Chatbot è il nuovo amico di penna 2.0, un'interfaccia informatica in grado di rispondere correttamente e coerentemente con le domande dell’utente per un’interazione tutt'altro che robotica.
Un chatbot, insomma, è un qualsiasi software che dialoga con intelligenza umana.
La diffusione di questi nuovi software si deve al sempre più ampio utlizzo delle app di messaggistica istantanea che fondano sull'interazione one-to-one la loro ragione d’essere, in cui, cioè, scrivere o comunicare cosa si cerca in modo testuale e a volte gergale produce il risultato desiderato dall’utente, come un vero e proprio assistente virtuale.
Questa nuova opportunità si è già fatta strada tra i grandi brand, e non solo chi è nato per messaggiare come Facebook, ma anche in marchi prestigiosi di moda e eCommerce.
Serve anche un’anima, non solo un cervello
I chatbot non sono, - e non possono essere considerati - solo software programmati per interagire con l’utente, ma rappresentano assistenti virtuali, operatori di call center e assistenti alle vendite, amici informati, con cui dialogare con un linguaggio umano, caratteristica che li differenzia profondamente da semplici distributori automatici intelligenti.
Programmare un chatbot non significa essere soltanto dei bravi smanettoni, ma vuol dire anche conoscere le dinamiche della coscienza umana e delle relazioni o degli interessi, programmando secondo quello che si chiama consciousness design.
Le componenti che fanno di un semplice bot un chatbot sono essenzialmente quattro:
- personalità e valori: un chatbot degno di questo nome è il più simile possibile ad una persona in aspetti come esclamazioni o nell’esprimere emozioni attraverso l’utilizzo di parole gergali o modi di dire
- voce: è importante che il chatbot sia in grado di parlare con una voce il più possibile naturale e con termini di uso comune e semplici, programmato per rispondere alle domande più frequenti
- design: un chatbot non deve essere solo funzionale e correttamente programmato, ma, come un vero amico, deve presentare tratti somatici riconoscibili e avere un approccio informale, seppur professionale, nel dialogo. Infine è necessario che abbia un nome facilmente pronunciabile e ricordabile dall’utente come Mezi
- empatia: un chatbot può essere considerato un assistente personale nel momento in cui l’utente deve fare un acquisto o è alla ricerca di risposte, ma è anche in grado di giocare un ruolo fondamentale nella customer care. Un cliente, infatti, si trova più a suo agio a lasciare feedback riguardanti l’azienda al suo bot personale che a un dipendente reale.
Proprio quest’ultimo punto rende i chatbot gli strumenti più desiderati dai grandi brand per costruire un rapporto continuativo con i clienti.
Da Facebook a Microsoft per tutti i grandi brand è chatbot-mania, nonostante qualche insuccesso
Chatbot, per i brand, significa nuova frontiera della user experience, un mondo in cui le chat diventano il cuore di richieste e di engagement verso nuovi clienti o addicted.
Brand anche molto diversi tra loro stanno sviluppando bot in grado di rispondere alle domande dell’utente se stimolati, attraverso l’utilizzo di app di messaggistica già disponibili come Facebook Messenger, Kik, Slack o WhatsApp.
Con l’evoluzione di Internet, le chat e i dialoghi si stanno sempre di più affermando come motori di ricerca in cui l’utente può domandare direttamente a qualcuno per le sue necessità, ricevendo risposta da parte di bot completamente programmati per risolvere il problema o trovare alternative valide.
Ma il consumatore cosa ne pensa? I chatbot non sono il male, se l’utente è in grado di trovare le risposte che cerca in minor tempo, riuscendo anche ad avere sconti o divertendosi, ma è importante tenere presente che la componente umana del dialogo è ancora fondamentale per una customer care efficace.
Citando alcuni esempi di chatbot o iniziative che coinvolgono i nuovi software non ci si può sicuramente dimenticare di Facebook, neo entrato, e di Microsoft, epic fail del settore.
Per il social gestito da Mark l’entrata nel mondo chatbot significa la possibilità per i brand di utilizzare Facebook Messanger come strumento di connessione e conversazione con i loro clienti, coinvolgendo un bot in grado di interagire in modo naturale con l’utente; questo è possibile soprattutto grazie alla possibilità che Messanger lascia al programmatore nel plasmare un chatbot fuzionale alla app, con il vantaggio di regalare un’esperienza unica a chi vi dialoga, soprattutto in casi come la customer care o la richiesta di informazioni.
Se Facebook rappresenta un caso di successo, la storia dei bot non può sicuramente dimenticarsi di Microsoft e del suo Tay, nato e morto in pochissimo tempo. Il chatbot creato dal colosso informatico voleva essere un assistente tuttofare e onnisciente, in grado di dare informazioni all’utente su diversi campi, dai viaggi alla tecnologia, ma cosa più importante, programmato per codificare e parlare il gergo dell’utente.
L’epic fail si ha quando il bot, animato da vita propria, inizia a pubblicare Tweet e commenti scandalosi, razzisti ed offensivi. C’è chi parla di errore di programmazione e chi di pirati informatici fatto sta che Microsoft ha dovuto scusarsi pubblicamente e spegnere la sua creatura.
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ConvComp2016 il primo evento italiano sui chatbot
Se chatbot è ormai una parola comune nel resto del mondo, in Italia si è meno informati sulla nuova tecnologia e sui suoi sviluppi o utilizzi. Ecco perché lo scorso giugno, a Milano, si è tenuto per la prima volta in Italia un evento, ConvComp2016, a tema Conversational Computing e Chatbot presso lo spazio Venini24, per orientare i nuovi programmatori e le aziende, protagoniste di un cambio radicale nel loro rapporto con i clienti.
I temi che si sono affrontati hanno spaziato dalle app di messaggistica istantanea al ruolo del chatbot come assistente virtuale che risponde a comandi vocali, alla chat intelligente che sa esattamente cosa vuoi e ti risponde per ciò che chiedi, e infine come programmare un chatbot funzionale che, oltre ad essere programmaticamente corretto, abbia anche un vocabolario degno per sostenere una conversazione.
Un'ultima curiosità: il primo chatbot della storia era femmina, ELIZA (1966) creato solo per simulare una conversazione virtuale.