Questo post è stato scritto da Roberto Zarriello, autore del libro "Brand Journalism” (Cdg Edizioni, 2016)
Cosa si intende oggi per Brand Journalism? Innanzitutto è bene distinguerlo dalla pratica dello storytelling e del content marketing. Molti sono portati a confondere le tre tecniche, che non mancano di una certa sovrapposizione, ma hanno scopi differenti.
Lo storytelling, declinato nella comunicazione aziendale, è una tecnica utilizzata per raccontare la storia di un'organizzazione, di un brand, in modo convincente, al fine di ispirare i clienti con i propri modi di operare e offrire i servizi.
Il content marketing è un metodo che propone contenuti pertinenti e convincenti al centro delle attività di marketing.
Il brand journalism, infine, è una tipologia di giornalismo che stimola la condivisione di storie aziendali con l'utilizzo di strumenti e tecniche giornalistiche, ossia costruendo e fornendo una notizia (con criteri di notiziabilità) per interagire con i clienti e gli stakeholder.
Ci sono stati diversi momenti che hanno segnato salti di qualità radicali nella storia della scrittura e trasformazioni di linguaggio nei suoi rapporti, in continuo mutamento, col pubblico. Semplificando, poiché non è questo il topic dell'articolo, e cercando di porre due spartiacque principali, si può affermare come lo sviluppo del giornalismo dell'era moderna è coevo ed è stato reso possibile dall'invenzione della stampa a caratteri mobili, favorendo anche un processo di democratizzazione dell'informazione.
Il secondo momento storico che ha segnato una seconda trasformazione del giornalismo nella contemporaneità coincide con l'avvento di Internet, in particolar modo del web 2.0, ossia lo sviluppo di piattaforme e applicazioni che grazie a Internet consentono l'interazione tra i siti e gli utenti, e tra gli utenti. Questo è il caso di blog, social media, forum, chat e piattaforme wiki.
Dove e come si colloca il Brand Journalism?
Il brand journalism prevede che le aziende si comportino come editori. Perciò non si tratta, come nel caso dello storytelling aziendale, di raccontare, ad esempio, come la società è stata fondata, oppure di produrre libri bianchi aziendali. Il brand journalism ha in sé tutti i crismi del giornalismo e fornisce una “corretta informazione, distinta e distinguibile dal messaggio pubblicitario” (Carta dei Doveri dell’Ordine dei Giornalisti). Significa perciò informare il pubblico, ad esempio, sulle tendenze e gli sviluppi del mercato di riferimento del brand rappresentato, anche se tale notizia non impatta in alcun modo con l'andamento aziendale di quel momento specifico.
Fare brand journalism non è fare una marketta
Il termine "brand journalism" è stato coniato dal Chief Marketing Officer di McDonald, Larry Luce, nel 2004. Il dirigente della catena di fast food più famosa del mondo credeva che il marketing di massa non funzionasse più, poiché il pubblico andava via via frammentandosi. Perciò ha avuto l'idea di intercettare ogni segmento della propria audience attraverso contenuti ad hoc che potessero avere un impatto reale sul pubblico, davvero interessato al messaggio.
Un articolo di brand journalism è differente dalla cosiddetta "marketta", poiché non viene posto l'accento sull'offerta del brand che propone il contenuto, bensì sul valore aziendale veicolato da una specifica notizia.
LEGGI ANCHE: Giornalismo tra storytelling e marketing: il brand journalism
La crisi del giornalismo e una nuova opportunità: il brand journalism
La crisi del giornalismo e dell'informazione rappresenta oggi una ghiotta opportunità per le aziende.
Sempre di più i brand stanno costruendo e mostrando un nuovo lato di essi, quello di news corporation. Nella quasi totalità dei casi, però, sono impreparati a farlo, e si rivela dunque preziosa la figura di nuovi giornalisti dell'era social-mediale, la cui offerta nel mercato del lavoro è in continua crescita proprio a causa del periodo nero dell'editoria.
Rivolgersi a un brand journalist significa disporre di una risorsa qualificata che sa cos'è una notizia, un gate keeper in grado di fornire informazione, e allo stesso tempo abile nel veicolare con le parole e il linguaggio i valori dell'azienda che rappresenta. Un professionista della comunicazione, portavoce della mission del brand.
Cisco, tra il 2013 e il 2015, ha assunto una trentina di giornalisti (ex reporter di testate di spessore come The New York Times, The New Yorker, The Boston Globe e Los Angeles Times) chiedendo loro di scrivere per il web: un canale di notizie completamente di proprietà di Cisco, chiamato The Network, che si occupa di innovazione e tecnologia. Red Bull è un altro esempio, avendo dato vita alla sua newsroom chiamata Red Bull Content Pool, dove oltre ad articoli web vengono prodotti video, docufilm e una rivista cartacea mensile.
Certo, pensare di essere un giornalista al servizio di un brand può significare che forse il proprio contenuto non è poi così obiettivo. Questo è un punto di discussione su cui professionisti della comunicazione e giornalisti di professione devono ancora trovare intesa. Il fatto stesso di chiamarlo "brand journalism", però, induce le aziende a pensare i contenuti in modo differente, ponendo al centro il pubblico (o meglio, la nicchia di pubblico), piuttosto che il proprio prodotto.