Ancora UBER. Ancora driverless car. Le ultime news non arrivano però dal fronte tecnologico o business, bensì da quello legale: Google fa causa ad UBER.
Il contenzioso tra i due giganti della Silicon Valley conferma ancora una volta l'attualità della corsa verso la messa a punto e commercializzazione dei mezzi a guida autonoma.
E non si tratta neanche dell'ultimo imbarazzante scandalo che coinvolge la compagnia.
La ricostruzione
A chiamare in causa gli avvocati non è propriamente il gigante dei motori di ricerca, quanto la società madre, Alphabet, che si dedica allo sviluppo delle auto senza guidatore tramite la controllata Waymo.
Proprio qui ha lavorato Anthony Levandowski, fondatore di Otto, la startup acquistata da UBER in virtù delle sue ricerche sui camion a guida autonoma. Elemento fondamentale di questi veicoli sono i sensori di telerilevamento LiDAR, il cui design presenta delle evidenti somiglianze con i medesimi dispositivi della Waymo.
Il fatto è stato rilevato accidentalmente, a causa di un fornitore comune tra le due aziende. Tanto è bastato a Alphabet per approfondire la questione, ricostruendo le azioni di Levandowski prima delle sue dimissioni. L'accusa è di avere illegalmente scaricato 14.000 file confidenziali su una memoria esterna, per un totale di 9.7 GB di materiale inerente vari hardware, tra cui i sensori LiDAR.
La tecnologia rubata sarebbe alla base del successo di Otto, che ha realizzato un sistema di rilevazione ambientale perlopiù identico a quello di Waymo.
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Le disavventure di UBER: dall'accusa per molestie sessuali a #DeleteUBER
Uber since December ?? pic.twitter.com/CInrCcqA6g
— Caroline O'Donovan (@ceodonovan) 23 febbraio 2017
Continua così la serie di eventi negativi di cui UBER si è resa protagonista negli ultimi mesi.
A dicembre 2016 la società ha deciso di non aderire ad un regolamento comune, firmato da 20 società, per la circolazione dei prototipi delle auto senza guidatore nello stato della California. Il fatto ha portato le autorità a imporre all'azienda di ritirare dalla circolazione i propri mezzi, considerati fuorilegge.
Più recentemente, Susan Fowler, ex impiegata della società, ha denunciato nel suo blog le molestie sessuali subite in azienda e la mancanza di attenzione al problema da parte del management. Nonostante il CEO Travis Kalanick abbia condannato simili condotte e avviato delle indagini, il fatto ha dato nuovo respiro alla campagna di boicattaggio #DeleteUBER.
L'iniziativa di cancellare l'app dai cellulari è recentemente tornata alla ribalta anche per un altro fatto. A fine gennaio, in risposta all'iniziativa del presidente Trump contro l'ingresso di mussulmani negli USA, i tassisti di New York hanno scioperato, manifestando all'areoporto JFK. L'iniziativa non è stata condivisa da UBER, e le ragioni vengono ricondotte ai legami di Kalanick con Trump, che lo ha nominato suo consulente, insieme ad altri nomi noti delle industrie Tech del Paese.
L'ultimo evento a discapito dell'immagine dell'azienda vede nuovamente protagonista il CEO: Kalanick risponde in malo modo ad un guidatore della sua stessa compagnia durante una discussone a fine corsa sul calo delle tariffe del servizio.
Anche stavolta profonde scuse per Kalanick e nuovi titoli su tutti i giornali.