Alla luce delle sue potenzialità, la crescita del social media marketing entusiasma ogni giorno di più tutti gli operatori del settore. Secondo alcuni studi statunitensi rivolto a 427 marketer, però, l’80% di essi non riesce a quantificare il valore dei propri sforzi sui social media e l’87% dei CMO (Chief Marketing Officer) non può affermare con certezza che i social media generino nuovi consumatori.
Eppure, Facebook ad esempio continua a farla da padrone: l’80% delle compagnie parte della classifica di Fortune 500 ha una presenza Facebook attiva. Nonostante le preoccupazioni dovute all’ad-blocking o il dubbio riguardo la sua efficacia, la spesa dedicata all’advertising digitale è sempre più in crescita, superando addirittura per la prima volta negli Stati Uniti la spesa dedicata all’advertising in TV.
Secondo un’interessante ricerca eseguita dall’Harvard Business Review, molti marketer giustificherebbero la spesa social come un investimento per attrarre un pubblico nuovo, che non sarebbe altrimenti esposto al brand in nessun altro modo, al fine ultimo di aumentare le vendite. Secondo questa logica quindi, investire significanti somme di denaro su Facebook significa esporre il brand a specifici utenti, per ricevere un like che potrà innescare meccaniche di brand advocacy.
Comscore e Facebook, qualche anno fa, hanno mostrato che effettivamente gli utenti che seguivano la pagina Facebook di Starbucks o con un amico legato ad essa, spendevano l’8% in più ed effettuavano transazioni più frequentemente rispetto agli altri.
Attenzione però non confondere causa ed effetto.
In quanti casi acquistiamo un prodotto perché siamo stati esposti alla sua esistenza su Facebook? Non molti. Nella maggior parte dei casi, al contrario, mettiamo un “mi piace” perché abbiamo acquistato un prodotto, qualcuno ce ne ha parlato o abbiamo avuto un'interazione nella dimensione offline. È possibile che indurre gli utenti a seguire la pagina li porti ad effettuare più acquisti, ma è forse più probabile che a seguire la pagina Facebook sia chi acquista un prodotto, o già conosce il brand. Per tornare all'esempio di Starbucks, è questa la ragione per la quale i followers spendono più dei non followers.
L’Harvard Business Review ha condotto vari esperimenti per valutare i "like" e testare se e come Facebook avesse un effetto sulle azioni dei consumatori. Vediamo cosa ne emerso.
Testare l’effetto di un “like”
Nel primo esperimento condotto su diversi gruppi non è risultata nessuna evidenza che seguire un brand sui canali social porti un soggetto ad effettuare un acquisto più di un altro. Semplicemente, indurre un gruppo di utenti a mettere un "mi piace" ad una pagina non porta a nessun conseguente acquisto.
Può un “mi piace” avere come conseguenza l’acquisto da parte di un amico?
Qui ci troviamo in ambito WOM (word of mouth) che come sappiamo è lo strumento marketing più efficace mai esistito. La fidata raccomandazione da parte di un amico o parente sarà sempre la più preziosa forma di marketing. Questo approccio del mondo digitale non è che manchi, ma è meno efficace. Perché?
Una delle ragioni sta nel fatto che seguire un brand, non necessariamente garantisce l’esposizione ad esso. Su Facebook come ben sappiamo, algoritmo docet; inoltre seguire un brand non significa effettivamente essere interessato ad esso ma in alcuni casi mettiamo il "mi piace" solo per partecipare ad un contest, ricevere uno sconto, per monitorare un competitor, o in generale per ricevere un rewarding. Anche in questo studio effettuato su tre gruppi diversi, è emerso che seguire un brand sui social media non ha generalmente nessun impatto sulle abitudini di acquisto di un amico o conoscente su Facebook.
Può un "like" avere effetti sulle abitudini di un utente oltre che portare ad un acquisto?
Per esempio, è possibile indurre un consumatore o un utente ad abbracciare un comportamento salutare suggerito da un brand? Uno studio che ha monitorato due gruppi di persone, seguaci su Facebook di un brand e non, ha analizzato se gli sforzi da parte di una compagnia nel creare contenuti interattivi o campagne che necessitavano di un’azione da parte degli utenti su Facebook, avesse realmente degli effetti, o modificasse abitudini e comportamenti da parte degli utenti. È emerso che l’investimento nella creazione di contenuti originali e innovativi da parte di un brand su Facebook, non è abbastanza per ricevere l’attenzione degli utenti, in quanto è abbastanza improbabile che i contenuti appaiano nel newsfeed degli utenti (poiché non ritenuti rilevanti dall’algoritmo di Facebook), a meno che questi ultimi non visitino la pagina del brand.
Ma c’è una soluzione a tutto ciò.
Come sbloccare il potere di un “like”?
C’è un modo per convertire i "mi piace" che appartiene al caro vecchio manuale di marketing tradizionale: l'advertising.
Con l’avvento dei social media si è diffusa la leggenda che il “push marketing”, di cui fa parte soprattutto l’advertising, fosse ormai passato in secondo piano e che il focus principale dovessero essere azioni di “pull marketing”, per attrarre i consumatori attraverso i canali social. Ma, il segreto del successo del marketing della nuova era, è fondere la tradizione con la novità. Pensate che ogni anno Facebook fattura 22 miliardi di dollari in advertising, tutto fatturato che proviene da brand che investono per garantire l’esposizione all’originalità dei propri contenuti. Ed in effetti, ciò che è emerso dalla ricerca sopra è che sì, la creazione di contenuti innovativi ed interattivi possono provocare azioni desiderate da parte degli utenti, ma non senza il potere dell’advertising. Quindi il motto “dare e avere” ha la sua efficacia anche nel mondo social.
In generale, tutte le tattiche social non potranno mai effettivamente sostituire il potere del WOM del mondo reale, ma vi si può avvicinare il più possibile attraverso soprattuto programmi di endorsement (adottando testimonial) che potrebbero chiudere quello spazio vuoto tra mondo reale e digitale. È importante utilizzare gli UGC (user generated content) nel modo più creativo possibile.
Un buon esempio è Trip Advisor, che informa gli utenti che stanno cercando un hotel o un ristorante in un’area specifica, quale dei propri amici su Facebook è stato in quel posto e come lo hanno recensito. Anche in una campagna politica per aumentare il numero dei votanti, è stato provato che far sapere cosa un amico ha votato, aumenta le possibilità che un altro utente faccia lo stesso.
Un dato di fatto è comunque che i consumatori più leali sono quelli che si preoccupano di cercare un brand autonomamente su Facebook senza essere esposti ad esso su social. Quelli sono i consumatori che dobbiamo ascoltare e di cui ci dobbiamo fidare per apportare modifiche o miglioramenti ad un nostro prodotto o servizio. Il consumatore fidato è quello che difende il brand da accuse ingiustificate ed è il primo ad adottare una nuova offerta.
Un brand che fa questo molto bene è per esempio Lego, che utilizza i social media per studiare nuove idee e come gli utenti utilizzato il loro marchio on line. O anche MyMuesli, una marca di cereali tedesca, che ha chiesto ai propri consumatori di condividere sui Instagram il propri mix e successivamente ha selezionato alcuni mix creati e per venderli sulla propria pagina web.
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Quindi, unire gli sforzi dedicati ai nostri contenuti originali ad un tocco di advertising budget, può convertire quei "mi piace" nei nostri più fidati e preziosi consumatori, con l'opportunità di aumentare le ROI dei propri investimenti social.