Come spesso accade quando parole fino a poco tempo prima quasi sconosciute iniziano ad essere sulla bocca di tutti, ci si ritrova confusi e curiosi; così sembra essere avvenuto anche per questa realtà di cui tutti parlano, ma che pochi conoscono davvero e ancora meno hanno provato: lo “smart working”.
Non è una novità, è vero: sono anni che si parla di lavoro agile (non chiamatelo telelavoro, però: è cosa ben diversa!), dei suoi benefici tanto sul work-life balance dei dipendenti, quanto sulla produttività e sui costi aziendali.
Anche il Salone del Mobile quest'anno è stato invaso da installazioni, talks, presentazioni e incontri per la stampa a tema "smart working". In questi luoghi il lavoro agile è stato presentato da un punto di vista legato al design (dicesi “design del lavoro”), che è uno degli aspetti portanti di questa nuova tipologia di lavoro, non solo al Fuorisalone ma anche alla Fiera stessa, come nel caso dello stand di Estel, tutto dedicato al Workplace 3.0.
Se si deve ripensare l’ufficio e la giornata lavorativa in ottica di smart working, infatti, ci sono tre ordini di cose che devono cambiare: la prima è proprio il design, la disposizione degli spazi, il suo utilizzo, lo stesso concetto di “ufficio”, che va ripensato in ottica smart e mobile-first.
La seconda è la tecnologia: gli strumenti che il digitale offre oggi rendono possibile l’accesso ai dati ovunque, il mantenimento di relazioni lavorative da remoto, una gestione delle attività sempre più mobile. Perché il nostro modo di lavorare è invece praticamente lo stesso di 50 anni fa?
La terza, invece, è proprio la mentalità, l’idea di lavoro, di produttività e di controllo (tanto dei lavoratori quanto delle aziende). Questo aspetto è il più importante, ma anche il più difficile da modificare.
Il design del lavoro: ripensare gli spazi e gli oggetti in modo smart
Smart Working significa in primis un cambio di paradigma per quanto riguarda gli spazi dedicati al lavoro stesso, in ufficio e a casa, ed è per questo che anche la Design Week di Milano si è ormai accorta di questa nuova filosofia lavorativa e ne sta facendo, anno dopo anno, uno dei suoi cavalli di battaglia. Perché lo Smart Working non è solo ciò che stanno introducendo tante aziende, come ha di recente fatto Ferrero, ovvero uno o più giorni della settimana lavorativa in cui è possibile lavorare da casa.
Dal punto di vista organizzativo, il vero balzo in avanti verso lo smart working si ha quando l’intera organizzazione e l’ufficio stesso si orientano a questo scopo.
Un buon esempio in Italia di questo può essere la tanto chiacchierata Microsoft House, che alcuni hanno additato come un non-ufficio, costruito con scopi principalmente di marketing, ma che in realtà incarna il concetto di “workplace transformation”: un ufficio in cui recarsi solo all’occorrenza, in cui non essere legati ad una scrivania fissa, in cui l’attività richiesta determina la scelta del luogo in cui lavorare - e non viceversa.
Tecnologia sempre più mobile per un lavoro sempre più mobile
La tecnologia a nostra disposizione oggi permetterebbe già di lavorare in modo completamente diverso, nella maggior parte dei casi. Secondo l’Osservatorio per lo Smart Working del 2016, il 23% dei lavori italiani ad oggi potrebbero già essere “smart works”, in base alla tipologia e alle tecnologie utilizzabili.
Ci sono principalmente tre pilastri tecnologici che trainano il cambiamento e che abilitano una modalità di lavoro diversa: il cloud, le tecnologie per la collaborazione da remoto, e i sempre più potenti hardware mobili. È chiaro che anche solo 20 anni fa questo intero articolo non avrebbe avuto alcun senso: in una condizione lavorativa in cui i dati erano fisicamente contenuti in archivi cartacei, in cui scambiarsi informazioni faccia a faccia era l’unico modo per interagire, la partecipazione fisica al lavoro era una condizione essenziale e la produttività si misurava in ore trascorse in ufficio.
Ma oggi, cosa ci lega alla scrivania? Oggi, che il Cloud rappresenta un archivio più ampio, più sicuro, più veloce di ogni possibile archivio tradizionale, con il vantaggio di essere ovviamente anche ubiquo. Oggi, che i sistemi di gestione dei compiti online come Trello, le chat aziendali come Slack, gli strumenti di videoconferenza sempre più avanzati, hanno rivoluzionato il modo di comunicare e collaborare.
Oggi le workstation sono sempre più mobili e leggere, fino al punto che è quasi possibile lavorare solo con uno smartphone, magari collegandolo ad uno schermo. È ad esempio quello che sta cercando di fare Samsung che, insieme al suo nuovo telefono dal design super elegante, il Galaxy S8, ha presentato proprio alla Design Week anche DeX Station, un accessorio che lo trasforma in un vero e proprio computer.
Insomma, oggi la tecnologia rende sempre più urgente un cambio di paradigma nel lavoro, per riuscire ad aumentare la produttività (che invece perdiamo con le continue distrazioni), a ridurre i costi per le aziende e a vivere una vita più bilanciata e sana dal punto di vista personale. Ma allora perché non lo facciamo?
Dal controllo alla fiducia: il vero SMART working
La difficoltà più grande, alla fine, è quella culturale: non è facile cambiare un modo di lavorare che è rimasto praticamente invariato dalla Seconda Rivoluzione Industriale!
Perché la rivoluzione dello smart working possa davvero avvenire, il vero cambiamento deve avere luogo a livello di approccio al lavoro: è necessario spostare l’asse da una modalità di valutazione basata sul tempo, sull’operatività, sul controllo, ad una basata sui risultati, sulla produttività, sulla fiducia. Solo così tecnologia e ambiente possono dare la possibilità al singolo lavoratore di responsabilizzarsi; e, al contempo, permette alla singola impresa di risparmiare sui costi legati all’ufficio e all’operatività e di avere dipendenti soddisfatti che diventino ambassadors del proprio brand.
Sempre secondo l’Osservatorio sullo Smart Working, infatti, questo “ha un effetto positivo concreto sull’engagement delle persone: oltre un terzo del campione si sente di contribuire positivamente alla creazione di un buon clima aziendale e oltre il 40% degli Smart Worker è entusiasta del proprio lavoro”.
Ma non crediate che la difficoltà sia solo da parte delle aziende nel fare questa transizione: anche moltissimi lavoratori, che pur rientrano in quel potenziale 23% di smart workers, non si sentono pronti per questo cambiamento.
È un processo comunque già in atto, e che nell’ultimo anno ha visto una decisa impennata, sia in termini di adozione che per l’esposizione mediatica che sta avendo, e che è destinato a cambiare il modo in cui lavoriamo, nel bene e nel male, completamente.