In un mondo in cui le possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione si sono moltiplicate a dismisura in pochi anni, è una triste verità vedere come quello che che spesso manca è proprio l’accesso alle informazioni, quelle ufficiali e verificate, relative all’ambiente, all’inquinamento ed alla salute.
Presentato in anteprima al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ad aprile 2013, il progetto di civic journalism e crowdmapping su ambiente, salute e legalità "Cittadini Reattivi", frutto del lavoro della giornalista Rosy Battaglia, ribalta questa situazione, indagando sui siti inquinati in Italia e mappando le buone pratiche dei cittadini.
I numeri che emergono da questo progetto sono sconfortanti, e proprio per questo è necessario che possano arrivare a tutti: in Italia ci sono oltre 18 mila siti inquinati e almeno 5 milioni di persone, da Casale Monferrato a Brindisi, da Brescia a Taranto, dalla Valle del Sacco alla Valle Olona, vivono a ridosso di aree fortemente inquinate e contaminate da agenti cancerogeni (amianto, diossine, PCB, oltre fenoli, arsenico, cromo esavalente, mercurio, pesticidi e idrocarburi).
Il Personaggio
Giornalismo distribuito
Rosy Battaglia, giornalista freelance indipendente, premiata per il suo impegno costante con diversi riconoscimenti (tra gli altri, il premio “Reporter per la Terra 2015” di Earth day Italia, la candidatura al Premio per il giornalismo digitale “Marco Zamperini” nel luglio 2015, il terzo premio al giornalismo d’inchiesta del Gruppo dello Zuccherificio nel 2016, il premio come “Pioniere del futuro” per l’utilizzo degli open data nelle inchieste giornalistiche da Assoprovider e NaStartup a giugno 2017) ha fatto in modo che la rete diventasse lo strumento per raccontare questi temi, stimolando la partecipazione dei cittadini, chiamati a far sentire la propria voce e a raccontare la loro storia attraverso il crowdmapping. Questa mappa collettiva, insieme ai social network, è diventata il luogo per eccellenza del giornalismo civico on the road, ed ha prodotto nuove inchieste multimediali, pubblicate sulla carta stampata e online, su argomenti, storie e persone fino ad oggi “dimenticate” dal giornalismo tradizionale. Un lavoro di social watch-dogs che garantisce l’accesso alle informazioni su ambiente e salute ai cittadini, che ha avuto un riscontro pubblico di sicuro impatto sociale e ambientale, e che ha ottenuto il riconoscimento del Ministero dell’Ambiente e dell’Open Government Partnership in capo al Dipartimento della Funziona Pubblica.
L’ultimo step di questa bella storia è dello scorso giugno, quando il progetto #Storieresilienti di Cittadini Reattivi è stato selezionato da Banca Etica nel bando Impatto+ per i progetti culturali sulla sostenibilità ambientale e ha lanciato la sua prima campagna di crowdfunding, raccogliendo oltre 8 mila euro. I fondi ottenuti verranno utilizzati per promuovere un modello indipendente di informazione civica e giornalistica sostenuta dal basso in grado di produrre formati diversi: dal video documentario al progetto di data journalism alle mappe partecipate di monitoraggio civico.
Abbiamo chiesto proprio a Rosy Battaglia, da sempre giornalista freelance indipendente, quanto siano importanti l’uso della rete e l’indipendenza del giornalismo.
Battaglia, un nome un destino
Presentati a chi non sa chi sei né cosa fai...
«Molto di me passa attraverso il mio lavoro, quindi sono prima di tutto una giornalista che mette passione in tutto quello che fa. Mi sono ritrovata a fare tardi il lavoro che probabilmente avrei dovuto fare prima e quindi lo faccio con entusiasmo, nonostante tutte le difficoltà. Sono una madre, ma anche una donna impegnata e mi sono battuta da sempre per i diritti. Sono una persona che ha sete di giustizia. Questa definizione credo si rispecchia sia nella mia vita personale che nel mio lavoro».
I tuoi successi più grandi?
«In questo momento direi che i più grandi successi professionali sono dovuti ad un progetto che ho ideato, sognando ad occhi aperti, quasi cinque anni fa: Cittadini Reattivi. Penso che il mio più grande successo professionale sia dovuto a questa intuizione, al cercare di aprire spiragli di buona comunicazione, di dialogo con i cittadini e con la pubblica amministrazione.»
«Tutto questo lavoro di interesse pubblico è stato fatto da una freelance ed ha portato ad azioni importanti: pensiamo alla legge per il diritto di accesso alle informazioni a cui Cittadini Reattivi ha lavorato, oppure tutto il lavoro fatto sull’amianto che mi ha portato ad essere una delle giornaliste di fatto più competenti su questo tema in Italia e non solo. Uno dei lavori a cui tengo di più è sicuramente l’inchiesta, uscita lo scorso anno su Donna Moderna che mi ha permesso di mettere nero su bianco le storie di alcune mamme che si battono per la salute dei propri figli. Questo in particolare è un lavoro che doveva nascere prima, nel 2014 lo avevo già proposto a qualche editore che però lo aveva bocciato».
Lavorare senza capi
Cosa significa per te essere una freelance? Non avere un “capo” a cui rispondere è una scelta precisa?
«Nella prima parte della mia vita ho lavorato in azienda, sono stata responsabile della ricerca e sviluppo ed ufficio acquisti quindi so cosa vuol dire lavorare con un capo. In realtà nel campo editoriale da freelance ti ritrovi ad avere tanti capi.»
«Il giornalista freelance in Italia non è libero di scrivere ciò che vuole ma lavora più degli altri per creare proposte che vengono poi selezionate. Per come sono io, freelance è il mio modo di concepire il lavoro, per progetti. Anche nella mia vita precedente lavoravo per progetti. Per me essere freelance è un po’ questo, avere la libertà di progettare insieme ai committenti qualcosa che sia efficace dal punto di vista della comunicazione e dell’informazione. Questo è lo stimolo più grande, rispetto all’appiattimento che potrebbe magari avere un lavoro in redazione».
Il giornalismo è davvero libero?
«È la base, la prima cosa. In Italia purtroppo il giornalismo indipendente fa fatica a vivere proprio perché il nostro meccanismo non lo permette, ci vorrebbero editori che decidano di investire sull’informazione e sull’indipendenza, per alimentare la democrazia. Si è innescato un meccanismo dall’alto del giornalismo italiano e della comunicazione italiana per cui l’informazione viene messa in relazione al sistema politico e al sistema economico. Questo alla lunga, per come si stanno dimostrando le cose, non migliora la qualità dell’informazione e di fatto non aiuta i grandi numeri. Poi certo se parliamo di fake news, è un’altra cosa. Ma se vogliamo parlare di qualità e di un’informazione intesa come servizio ai cittadini penso che sia così».
Scenari futuri
Come immagini il futuro del giornalismo (e di quello civico)?
«Io ci sto provando, ne sono convinta anche se non è semplice. Bisogna formare anche i giornalisti civici, c’è bisogno che i giornalisti parlino davvero con i cittadini, con tutti gli attori della comunicazione. Ogni redazione dovrebbe avere uno spazio dedicato a chi fa approfondimento, a chi ha la possibilità di andare in loco a verificare le notizie e a cercare informazioni. C’è tanta informazione locale che questa cosa la fa, tanta che lo fa bene e tanta che lo fa male. Questo è quello che i cittadini comuni ritengono giornalismo senza però sapere che di fatto quel tipo di informazione è relegata ai margini, che non ci sono spazi per fare sempre questo tipo di giornalismo».
Il giornalismo digitale spesso viene denigrato. Perché per i lavoratori del web c'è questa scarsa considerazione?
«In realtà non sta ne in cielo ne in terra: i dati ci dicono che la televisione è ancora lo strumento più utilizzato per l’informazione, anche se le nuove generazioni di utenti e di lettori usano solamente i new media. Non ha più senso parlare di divisione tra stampa digitale e cartacea, ovviamente un pezzo per un giornale cartaceo deve avere determinati accorgimenti mentre la scrittura online permette molti più approfondimenti, molti più link, e consente al lettore di approfondire ulteriormente. La qualità potrebbe essere, ed in alcuni casi è, maggiore. C’è però un problema di sostenibilità e di investimenti pubblicitari, attualmente non ci sono modelli economici vincenti. Nel nostro piccolo come cittadini reattivi, come in passato ha fatto anche Valigia Blu, ci siamo fatti aiutare dai cittadini e dai lettori attraverso il crowdfunding. Se vogliamo buona informazione anche i lettori e i cittadini devono contribuire a questo cambiamento, spero però che ci siano anche delle imprese lungimiranti che vogliano continuare ad investire sull’editoria in maniera differente».
È sempre stato così? Quando hai iniziato, a esempio, quanto hanno pagato il tuo primo pezzo?
«Io ho iniziato in realtà nel momento del cambiamento, dieci anni fa, nel 2007. Ho iniziato facendo la giornalista per delle associazioni per cui seguivo anche l’ufficio stampa, e poi per il Movimento in Difesa del Cittadino per cui ho curato le inchieste ed il sito web. Ho fatto allora, prima di altri, quello che adesso è normale e devo dire che sono stata anche pagata e molto meglio rispetto ai compensi che ho ricevuto negli anni come giornalista. È drammatico che venga a mancare il riconoscimento a quello che è il valore dell’informazione e, tanto che ho dovuto integrare l’attività giornalistica con quella di social media specialist e di formazione. Il giornalismo non deve essere un passatempo, non deve essere l’attività solamente per chi è in pensione, il giornalismo ha bisogno di professionisti ben pagati. Quindi se vogliamo la qualità sicuramente dobbiamo sostenere i progetti che alimentino la buona informazione e non le fake news».
L'era della post-verità
Il problema della verifica delle fonti e delle cosiddette "fake news". L'unica soluzione è davvero porre limiti alla produzione di contenuti?
«Nel sistema editoriale italiano mancano delle figure che facciano questo tipo di lavoro, non ci sono responsabili che fanno verifiche su ciò che viene pubblicato. Torniamo al fatto che abbiamo bisogno di bravi giornalisti e di buoni social media editor che aiutino il processo di rinnovamento del giornalismo».
I tuoi progetti sarebbero nati comunque senza Internet?
«Sicuramente no. Io vengo da una vita di attivismo e informazione civica, in tempi non sospetti facevo anche la citizen journalist per radio popolare, e posso affermare che gli old media non hanno aiutato, non hanno migliorato l’informazione civica. È stata la rete a dare la svolta, questo bisogna riconoscerlo. Internet ha cambiato il nostro modo di informare, e nel mio caso la rete mi ha permesso di cambiare anche la mia vita in quanto io sono nata di fatto come blogger e come giornalista digitale poi. Certo, la rete potrebbe essere utilizzata anche molto meglio, questo è un altro dei problemi che si pone cittadini reattivi, come anche fare formazione rispetto all’uso sociale dei social media. Tuttavia, se da una parte si parla tantissimo di fake news, si parla poco delle buone cose che dice la rete: dalle raccolte firme, ai cambiamenti e a progetti come Terremoto Centro Italia e tanti altri che invece si fanno, grazie alle informazioni dei cittadini da Facebook, da Twitter e da Telegram, collettori di informazione».
La prossima battaglia della Battaglia?
«Questa intervista capita in un momento cruciale di cambiamento molto importante: a giugno con #storieresilienti abbiamo fatto la prima campagna di crowdfunding. In questi anni siamo andati avanti autofinanziandoci e non abbiamo avuto finanziamenti particolari, non perché non li abbiamo cercati ma perché non siamo riusciti ad ottenerli. Il fatto che invece quasi 200 persone, enti, associazioni, colleghi ed enti universitari abbiano deciso di sostenerci e darci modo di produrre inchieste ed e-book, che io spero diventi poi anche n'edizione cartacea, è per me un motivo di orgoglio. Questo è un momento di evoluzione che io spero permetterà a me ed ai miei colleghi di andare avanti a seminare buona informazione e trovo positivo che dopo quattro anni non ci stiamo riducendo ma che il percorso stia andando avanti».
«Il mio sogno sarebbe quello di sviluppare format in maniera veramente multimediale, ma sono conscia che per questo ci vogliono risorse umane ed economiche».
«Non sono però assolutamente sfiduciata, quello che è successo di questi mesi con la campagna di crowdfunding mi ha dato una forza notevole e soprattutto mi ha dato una parola fondamentale: indipendenza».