In attesa dell'imperdibile corso di specializzazione in Tribal Marketing & Trend Research, che potrà contare sulla presenza del Prof. Bernard Cova, cominciamo a parlare di tribù e community in modo da potervi preparare al meglio!
Un recente articolo ha fatto chiarezza sul concetto di community, trattandolo da una prospettiva micro rispetto alla concezione che gran parte delle persone normalmente ha. In questo modo è possibile passare da un'idea generica di comunità a tre dimensioni più specifiche, riassunte nel grafico di Chess Media Group (c).
Questi tre livelli si distinguono dal diverso grado di engagement dei soggetti che ne fanno parte, dalla profondità dei loro interessi nei confronti della compagnia e dalla posizione (esterna-interna) verso la stessa organizzazione. Analizziamoli nello specifico e vediamone le differenze, per poi comprendere alcuni cambiamenti portati dall'utilizzo diffuso dei social media.
1. Community esterne
Le più diffuse! La maggior parte delle persone quando pensa ad una community intende soprattutto queste. Esse sono composte da utenti che condividono esperienze di acquisto, idee comuni, etc. Di solito l'interesse verso la compagnia si ferma ai prodotti trovati sugli scaffali, ai servizi offerti o alla possibilità di ottenere informazioni, senza spingersi più in profondità. La grande maggioranza dei fan di brand globali come Best Buy o Microsoft fanno parte di questa prima categoria, e i social media hanno incrementato la possibilità di creare (pensiamo ai social network creator) e gestire tali community.
2. Community ibride
Non se ne parla spesso, ma esistono! Sono a metà strada tra le community composte da consumatori ed altri individui esterni all'impresa e quelle formate da lavoratori e utenti che trattano di temi interni e strategici per l'organizzazione. In questo caso l'interesse dei soggetti nei confronti dell'azienda va molto più in profondità, anche se non si può ancora parlare di comunità interne.
3. Community interne
Sono formate esclusivamente dai dipendenti interni all'organizzazione e sono create grazie all'utilizzo di reti, social network ed altri strumenti di lavoro collaborativi (pensiamo a SharePoint di Microsoft) interni all'impresa. Per avere un reale beneficio, l'impresa deve lavorare anche sulla diffusione di una cultura organizzativa votata all'innovazione e all'utilizzo delle nuove tecnologie 2.0. Qui non viene solo considerato il soggetto in quanto consumatore, ma anche e soprattutto l'individuo, legato con un doppio filo all'impresa e dalla quale si aspetta sicurezza, guadagno, rispetto, partecipazione, dialogo, etc.
CON I SOCIAL MEDIA...
... i confini tra le 3 community diventano sempre meno netti! In effetti da una parte ora assistiamo ad un sempre maggiore potere dei consumatori e degli utenti esterni, che a volte si sostituiscono o si aggiungono ai dipendenti e hanno fortissimi impatti sulle strategie aziendali. Pensiamo solo a piattaforme (ma prima di tutto aziende con fatturati e rischi economico-finanziari) come Spreaker, il cui servizio offerto (quali programmi fare ascoltare) è deciso dai consumatori-protagonisti. Attorno a queste decisioni ruotano temi importanti come il target raggiunto, la tipologia di investitori pubblicitari e l'entità degli investimenti, etc. D'altra parte la comunicazione interna cerca sempre più di fare diventare i dipendenti veri e propri business partner, nonché principali advocate del brand per cui lavorano.
Tutto questo, in ultima analisi, rende necessaria la nascita di nuovi modelli organizzativi che mettono in crisi il modo tradizionale di fare economia, come ben spiegato nel nuovo ed utilissimo quaderno del Societing scaricabile qui.
Sperando di avere chiarito qualche idea, di avere aperto nuove prospettive e di avere stimolato la curiosità, vi diamo allora appuntamento in Ninja Academy!