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Vita da sviluppatore: tutto ciò che vorreste chiedere ai maghi dell’informatica

Ci sono cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Esistono figure quasi leggendarie che hanno la soluzione giusta a tutti i nostri problemi tecnologici. No, non sono divinità ultraterrene, ma quasi. Stiamo parlando degli sviluppatori, coloro che sanno animare un PC con un semplice ticchettio della tastiera, fanno calcoli con numeri e lettere che per noi sono incomprensibili ma che per loro è un gesto così facile come bere un bicchier d’acqua. Più o meno.

Vita da sviluppatore: chi è e cosa fa

Volevamo vedere un esemplare di sviluppatore nel suo habitat naturale, volevamo capire cosa fa, come trascorre le sue giornate e come ha iniziato il suo percorso in questo mondo che corre più veloce del vento, e per fortuna Antonello Alonzi, sviluppatore di Seeweb, ci ha accontentati, rispondendo a tutte le nostre domande.

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1. Cosa fa esattamente uno sviluppatore e quando hai capito che volevi diventarlo?

Uno sviluppatore è solitamente, come nel mio caso, un analista/sviluppatore, ovvero una persona che ascolta le esigenze di un cliente, analizza la richiesta e sviluppa una soluzione software per automatizzare il processo che il cliente gli ha descritto.

Fin da bambino ho avuto la passione per l’elettronica, prima e l’informatica dopo. Come tanti della mia generazione ho avuto un’infanzia divisa tra i giochi in cortile con gli amici e gli esperimenti con i primi PC (nel mio caso un MSX anche se all’epoca il Commodore 64 era più diffuso).

Negli anni ho capito che mi interessava molto più la parte software che non la parte hardware e così i miei mi comprarono in edicola un corso di programmazione in “BASIC” a fascicoli. Iniziai a capire subito le base della programmazione e la cosa che mi affascinò di più è che pensavo si potesse programmare un PC per fargli fare qualsiasi cosa tu volevi. In effetti è un po’ così, anche se crescendo mi sono reso conto che non è così semplice come può immaginare un bambino. Insomma, anche se ho sempre avuto una passione per i PC in genere e per la programmazione, ho iniziato a programmare “seriamente” intorno ai 20 anni, con un primo vero lavoro (software tra l’altro ancora in funzione).

2. Qual è la cosa che più ti piace di questo lavoro e cosa ti scoraggia di più?

Lo sviluppo software è molto stimolante perché per ogni progetto c’è qualcosa di nuovo da fare, quindi c’è tutta la parte di analisi e poi di sviluppo che cerchi di fare con tutte le ottimizzazioni del caso, cercando di migliorare sempre e d’inserire nel progetto soluzioni innovative. La cosa che mi scoraggia è pensare a “lungo termine”, ovvero come si evolverà il mercato nei prossimi anni e se riuscirò a stare al passo con i tempi, si perché il problema fondamentale di oggi (rispetto a 20 anni fa) è che anche i linguaggi e le tecniche di programmazione si aggiornano continuamente e tu devi tenerti in continuo aggiornamento.

3. Cosa credi possa servire oggi per avere successo nel mondo del web che diventa sempre più affollato?

Si, è vero, il mondo del web è sempre più affollato, però ho avuto modo di capire che la maggior parte degli sviluppatori tende ad adattare soluzioni esistenti per i propri progetti, piuttosto che sviluppare come il cliente la richiede. Certo, il cliente va guidato e gli va spiegato quello che conviene o non conviene fare, però alla fine penso che offrire una soluzione completamente custom sulle esigenze del cliente sia un must e per questo ti preferiscono ad altri.

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4. Cosa consiglieresti a chi vuole provarci e quali consigli tecnici daresti?

Quando mi chiedono cosa bisogna fare per diventare programmatori, la risposta è pressoché la stessa: bisogna iniziare con qualche lettura di base, magari qualche video (ormai internet aiuta molto in questo) e sperimentare sul campo con un progetto demo. Se si riesce ad avere una certa autonomia, significa che si è “portati” e quindi conviene approfondire, altrimenti ci si può provare ancora, ma probabilmente non è la propria strada.

Questo non lo dico perché voglio scoraggiarli, ma perché fare quello per cui si è portati darà sicuramente più soddisfazioni, farà affrontare i problemi che si incontreranno in modo più semplice, ti darà la carica, giorno per giorno, per continuare in questo settore, a prescindere dalle difficoltà che si incontreranno. Fare qualcosa solo perché al momento è “cool”, alla lunga diventerà un peso da dover gestire in qualche modo, col rischio di buttare all’aria anni di sforzi senza riuscire a costruire nulla.

5. Svelaci 3 caratteristiche che uno sviluppatore deve assolutamente avere…

Beh, ormai è una parola che va molto di moda: resilienza. Oltre questo ci vuole passione e una mente particolarmente analitica per trovare le soluzioni ottimali alle sfide che giornalmente si affrontano.

Scopriamo l’ambiente italiano di sviluppo ideale

Seewb è un Cloud Computing Provider che offre servizi di alta qualità e unici quanto a tecnologia, scalabilità e rapporto prezzo/prestazioni. Se abbiamo bisogno d’istanze cloud da utilizzarle on demand, con fatturazione esclusivamente a consumo, Seeweb ha la soluzione giusta per noi.

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Intelligenza Artificiale, i trend 2021 di un mercato in fortissima crescita

  • Il mercato dell’AI  registrerà una delle crescite più importanti da qui al 2023
  • La mente umana sarà destinata a fare il suo lavoro: creatività, problem solving e active learning appoggiandosi sull’intelligenza artificiale per tutti i processi aziendali automatizzabili, customer care compreso
  • Il settore IT e AI sono considerati etici e non solo nell’applicazione coerente e condivisa degli strumenti, ma anche nell’eliminazione del gender gap

L’Intelligenza Artificiale è in continuo sviluppo e diffusione, anche grazie alla situazione attuale legata alla pandemia, ma secondo le previsioni il pericolo di un’invasione robotica sembrerebbe scongiurato.

Se da una parte, infatti, il segmento dell’intelligenza artificiale è in continua crescita e da qualche anno e ha accelerato il suo percorso contaminando anche i più tradizionali settori industriali, dall’altra è considerato uno dei mercati più equi: chi è in grado di governare e inventare nelle discipline di Artificial Intelligence, verrà certamente premiato dal mercato.

E, a un certo punto, la mente umana sarà chiamata a dedicarsi al miglioramento di altre skills come problem solving, active learning o leadership e creatività. Ecco cosa possiamo aspettarci, come aziende e utilizzatori, da questo segmento emergente che registrerà una crescita molto interessante entro il 2023.

Intelligenza artificiale, dove siamo e quali sono i trend di crescita dei prossimi anni

Il 2020 ha segnato per il comparto AI un boom di crescita. Se il segmento, infatti, era già sotto i riflettori dal 2019, l’avvento del COVID-19 ha portato moltissime aziende ad accelerare i propri investimenti in materia di Intelligenza Artificiale per affrontare meglio le nuove dinamiche legate, per esempio, allo smart working o alla continuità di produzione anche in assenza dell’uomo. Largo, quindi, a bot dedicati al customer service e a investimenti per la raccolta e l’analisi dei dati e delle interazioni con il nostro brand.

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Chi aveva già investito nei servizi legati all’intelligenza artificiale, oggi ha visto un incremento del suo EBIT anche del 20% e si è potuto concentrare su temi come la cyber security. Chi ha iniziato oggi a guardare al mercato dell’AI per la propria azienda, si trova indietro di diverse lunghezze in un mercato in cui il divario tecnologico può davvero fare la differenza tra un progetto vincente e un fallimento.

L’AI trova maggior diffusione nei comparti high-tech e telecomunicazioni, seguiti a ruota dal comparto produttivo, con una crescita di profitto per quelle aziende in cui l’intelligenza artificiale è implementata in tutti i livelli aziendali.

L’incremento positivo complessivo riguarda l’intera crescita aziendale: va da una migliore comprensione e accettazione degli investimenti nel segmento e una leadership attenta a condividere tali risultati con i collaboratori a un budget crescente di investimento finalizzato alla creazione di soluzioni AI proprie con l’assunzione di nuovo personale esperto e dedicato.

Tra i timori maggiormente avvertiti c’è quello relativo alla cyber security, con la richiesta sempre maggiore di esperti interni in grado di minimizzarlo il più possibile anche attraverso sistemi di contenimento creati su misura.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il 2021?

Secondo gli esperti:

  • IT e AI saranno sempre più vicini con l’applicazione dell’intelligenza artificiale a quasi tutti i comparti aziendali e per la creazione di soluzioni aziendali automatizzate e auto controllate, dalla produzione alla circolazione dei dati. Avere o non avere esperienza nel campo intelligenza artificiale darà o meno all’azienda un vantaggio competitivo sul mercato
  • L’AI diventerà sempre più diffusa e compresa, non solo nelle organizzazioni aziendali, ma dalla popolazione stessa con la possibilità di accesso da parte di tutti a strumenti facili e comprensibili disponibili sul mercato, oltre a dare forte impulso alla cosiddetta “cross-team collaboration”, cioè la pratica per la quale esperti del comparto IT condividono le proprie capacità e conoscenze per il raggiungimento di uno scopo comune
  • AI significherà anche riconoscimento vocale e di immagini. Se il trend dello smart working e della didattica a distanza continuerà ad essere così rilevante, le organizzazioni dovranno avere a disposizione strumenti sempre più evoluti che gli consentano di far interagire il loro staff, e che permettano di proseguire nelle pratiche di valutazione costante delle performance previste dalla loro azienda
  • L’intelligenza artificiale sarà etica, sia nella chiusura del divario in materia di gender gap sia nell’attenzione a problemi come disparità sociali e diversità: l’AI e la raccolta di dati sono imparziali e trasparenti.

Considerato il generale incremento dell’adozione dell’intelligenza artificiale, sia le più grandi software house mondiali sia i produttori di componentistica hardware sono sotto i riflettori: se vogliamo che l’AI sia adottata a tutti i livelli è necessario che la tecnologia che lo rende possibile sia all’avanguardia.

Ci basti pensare a come è cambiata la nostra vita nell’ultimo anno con un’attenzione spasmodica allo shopping online, all’automazione e controllo a distanza di device o assistenti virtuali o all’accessibilità a distanza di servizi pubblici e di pubblica utilità.

Non dimentichiamo che qualsiasi sistema di IoT o di intelligenza artificiale basa il suo comportamento sui dati raccolti; è importante che la qualità delle informazioni raccolte, la modalità e la sicurezza siano sempre al primo posto.

Affrontare il discorso AI dal punto di vista del Marketing ha molta importanza, grazie alla possibilità di conoscere le abitudini di consumo del proprio target cliente o del singolo individuo per  creare esperienze di acquisto uniche e di valore: compromettere la fiducia del consumatore perché i suoi dati personali sono stati ceduti a terzi senza un apparente consenso può essere questione di vita o di morte per un brand.

Intelligenza artificiale ed intelligenza umana come andare d’accordo

Lo abbiamo già detto nell’introduzione, il comparto AI sarà il settore economico più ricco da qui al 2023 e gli AI specialist saranno i lavoratori più pagati del prossimo futuro.

Nello specifico, il trend si svilupperà in diversi ambiti, tra i quali:

  1. Iperautomazione, cioè la possibilità di automatizzare i processi attraverso un’intelligenza artificiale: dalla produzione al customer care, ma anche la gestione del tempo aziendale dei lavoratori o le loro procedure standard
  2. Chabots e assistenti vocali, la possibilità di programmare un’intelligenza artificiale in grado di risolvere i problemi basici di customer care, anche fuori dall’orario di lavoro, oltre che di coordinarsi con il team per intervenire in maniera efficace solo sui problemi più complessi con il vantaggio di non perdere mai l’interazione con il cliente
  3. Etica, cioè l’applicazione, seppur esaltata, dell’intelligenza artificiale dal punto di vista etico. Il consumatore se lo aspetta da ogni brand.
  4. Applicazione di AI anche nello spazio di lavoro, sempre più fluido e smart con tecnologie che permettano ai collaboratori di lavorare da qualsiasi parte del mondo e che rendano il lavoro anche misurabile e le informazioni condivise
  5. Raccolta dati, i dati raccolti saranno la nuova ricchezza del futuro. Banche dati in materia di comportamento d’acquisto e tracciabilità di ogni singolo consumatore potrebbero essere il vero punto di partenza per il successo o il fallimento di nuove startup
  6. Sviluppo di chip e hardware in grado di elaborare efficacemente ed efficientemente la nuova mole di dati raccolti
  7. Cybersecurity, un sistema governato dall’intelligenza artificiale deve essere in grado di individuare, governare, eliminare eventuali minacce per i dati raccolti

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Lo scenario che ci troviamo davanti sembra chiaro: nel mondo del lavoro del futuro non esisterà professione che possa fare a meno dell’AI. Ogni lavoratore si troverà a collaborare con un’intelligenza artificiale in maniera più o meno intensa, quindi anche i leader del futuro dovranno conoscere e utilizzare l’intelligenza artificiale nella propria azienda.

Da qui assisteremo ad un cambio delle gerarchie e del tessuto delle organizzazioni stesse: i processi e le procedure base saranno portate a termine da meccanismi automatizzati e artificialmente intelligenti, mentre le persone e il team saranno il vero valore aggiunto dei brand.

La nuove soft skills, quello che il nostro cervello deve imparare se vuol differenziarsi

Se da una parte lo scenario punta a privilegiare la conoscenza e l’esperienza al solo titolo accademico, dall’altra parte, secondo il World Economic Forum, circa il 50% dei lavoratori attivi dovrà aggiornare le proprie competenze entro il 2025, sviluppando tutte quelle soft skill che li differenzieranno dall’intelligenza artificiale.

Tra le più richieste troviamo: intelligenza laterale, problem solving, resilienza, creatività, risposta positiva allo stress e flessibilità, capacità di lavorare in team e di apprendimento attivo nell’imparare a governare e applicare i diversi sistemi tecnologici e di intelligenza artificiale implementati nella propria azienda.

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Le persone dovranno essere pronte ad aggiornarsi in brevissimo tempo e le aziende dovranno strutturare corsi interni per garantire a tutti una giusta dose di formazione.

Niente scenario apocalittico o invasione robot con il genere umano in ostaggio: l’essere umano rimarrà ancora indispensabile, per lungo tempo.

veicoli elettrici

I veicoli elettrici sono sempre più vicini all’adozione di massa e l’Europa guida la crescita

  • Nel primo semestre del 2018, le vendite di veicoli elettrici avevano già raggiunto le 783.000 unità in tutto il mondo superando la quota del 2% del mercato globale
  • Per quanto le startup cinesi abbiano guadagnato terreno, i loro numeri sono ancora molto inferiori a quelli di Tesla
  • Ma il cambiamento è globale e l’Europa guida i trend di crescita, grazie agli obiettivi sulle emissioni di CO2. La sfida più grande oggi è nella catena di fornitura delle batterie

 

L’era dei motori a combustione sta finendo: a lungo termine, questo settore non esisterà più. 

Nel prossimo decennio la mobilità si trasformerà completamente grazie alla diffusione dei veicoli elettrici e alla condivisione dei mezzi di trasporto, con enormi implicazioni per il mercato dell’automobile e per la società in generale.

Una forte prova a sostegno di questa affermazione è la domanda di petrolio per il carburante dei veicoli che, secondo Bloomberg New Energy Finance, ha già raggiunto il suo picco, mentre la domanda di risorse energetiche per l’intero trasporto su strada raggiungerà il suo picco nel 2035, quando scenderà dello 0,6% su base annua per tornare ai livelli del 2018 nel 2050. Il trend si rifletterà sull’ambiente, con un deciso calo anche delle emissioni inquinanti, che seguiranno lo stesso percorso.

Già ora, i veicoli elettrici sostituiscono il fabbisogno di un milione di barili al giorno: in soli venti anni si consumeranno 17 milioni di barili di petrolio in meno. Ogni giorno. Seguendo questo trend, continuare a utilizzare automobili a combustione diventerà insostenibile dal punto di vista finanziario e inaccettabile per quanto riguarda l’ambiente.

Secondo Deloitte, nel primo semestre del 2018, le vendite di veicoli elettrici avevano già raggiunto le 783.000 unità in tutto il mondo superando la quota del 2% del mercato globale, e più che raddoppiando dal 2015.

Lo scontro fra Tesla e Nio (e le altre startup cinesi) in numeri

Il mercato cinese dei veicoli elettrici poggia prevalentemente su tre grandi operatori: Nio, Li Auto e Xpeng.

Le vendite di veicoli elettrici “puri” da gennaio a novembre sono aumentate del 4,4% rispetto a un anno fa, contro un calo del 7,6% delle vendite complessive di autovetture nello stesso periodo, secondo il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology cinese. Le azioni delle tre startup cinesi, tutte quotate a New York, sono salite alle stelle: Nio è stata una delle società cinesi quotate negli Stati Uniti più performanti del 2020, con un guadagno di oltre l’1,100%.

Per quanto le startup cinesi abbiano guadagnato terreno, i loro numeri sono ancora molto inferiori a quelli di Tesla di Elon Musk, che ha consegnato un numero di auto circa cinque volte maggiore in tutto il mondo nello scorso anno rispetto alle tre startup messe insieme.

Ecco lo scontro del 2020 in numeri:

Nio

L’azienda ha reso noto che nel 2020 le consegne sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente, arrivando alla cifra di 43.728 veicoli.

Diventata pubblica nel settembre 2018, ha subito incontrato difficoltà finanziarie. Mentre la Cina affrontava la pandemia all’inizio del 2020, Nio si è assicurata circa 1 miliardo di dollari di finanziamenti da parte di investitori statali. In agosto, il fondatore William Li ha dichiarato che la società prevede di riprendere i piani di espansione internazionale nella seconda metà del 2021, a partire dall’Europa.

Le consegne sono salite costantemente per cinque mesi consecutivi, raggiungendo le 7.000 unità nel solo mese di dicembre, e la startup ha da poco presentato la sua prima berlina.

Li Auto

Li Auto dichiara di aver consegnato 32.624 vetture nel 2020, appena 12 mesi dopo essere entrata sul mercato.

Le consegne per il primo modello, il SUV Li One, hanno raggiunto il record mensile di 6.126 unità nel mese di dicembre e le azioni sono aumentate del 150% rispetto all’offerta pubblica iniziale di luglio sul Nasdaq.

Xpeng

I dati rilasciati da Xpeng raccontano di 27.041 veicoli consegnati nel 2020, numero più che raddoppiato rispetto a un anno fa. Nel solo mese di dicembre, l’azienda ha infatti consegnato 5.700 auto elettriche.

Le sue azioni sono aumentate di oltre il 185% dall’offerta pubblica di acquisto iniziale alla Borsa di New York ad agosto.

Tesla

Numeri di tutt’altro tenore per Tesla, che nel 2020 ha consegnato 499.550 veicoli, mancando leggermente un obiettivo implicito di 500.000 unità. Tuttavia, la casa automobilistica di Elon Musk ha stabilito un nuovo record trimestrale con la consegna di 180.570 veicoli negli ultimi tre mesi dell’anno.

Il senior tech analyst di Wedbush Securities, Dan Ives ha attribuito la forte performance del quarto trimestre di Tesla proprio alla presenza in Cina, dove ha sede una fabbrica con una capacità produttiva annuale di 250.000 veicoli.

Nonostante la concorrenza agguerrita, “la Cina rimane un’opportunità per il mercato dei veicoli elettrici ‘greenfield’, poiché riteniamo che le vendite complessive di veicoli elettrici possano potenzialmente raddoppiare nella regione nei prossimi anni, data la domanda repressa di veicoli elettrici in tutte le fasce di mercato“, second Ives. Con un’ulteriore crescita in Cina, Ives prevede che Tesla potrebbe consegnare un milione di unità in tutto il mondo entro il 2022.

Intanto, Tesla ha comunicato che i veicoli del Model Y di fabbricazione cinese arriveranno sul mercato con un prezzo di 339.900 yuan: è il 30% in meno rispetto al costo inizialmente annunciato di 488.000 yuan.

Inoltre, durante il Battery Day 2020, il CEO di Tesla, Elon Musk, ha lanciato una bomba rivelando il suo piano per abbattere i costi degli EV e rivoluzionando così l’industria delle batterie: le nuove tecnologie per la produzione degli accumulatori (le batterie tabless) permetteranno di immagazzinare cinque volte più energia con un conseguente aumento di potenza del 6% e un aumento dell’autonomia del 15%

Il significativo calo dei costi di produzione renderà l’acquisto di un veicolo elettrico alla portata di un numero molto più alto di persone.

Il trasporto delle merci e la mobilità condivisa

Gli spostamenti delle persone non saranno gli unici ad essere rivoluzionati da queste innovazioni: UPS, big player delle spedizioni, ha iniziato a investire nel settore e ha già acquistato diecimila veicoli elettrici, con una previsione di acquisto di altri duemila veicoli ogni anno.

Nel frattempo, diverse società di car sharing hanno iniziato a utilizzare EV nel loro business e la maggior parte dei produttori di automobili sta sviluppando e testando nuove soluzioni a propulsione elettrica.

Il cambiamento è globale

Lo scorso anno Apple ha assunto Michael Schwekutsch, ex VP Engineering di Tesla, ora a capo dello sviluppo del propulsore elettrico dell’azienda. Una mossa audace, che rivela il chiaro intento di Apple di integrare i veicoli elettrici nella sua flotta di veicoli.

General Motor’s Cruise ha percorso 831 mila miglia con la sua EV Chevrolet Bolt di terza generazione e ha dato vita a Cruise Anywhere, un servizio di ride-hailing per dipendenti a San Francisco, e ha collaborato con DoorDash che utilizza i suoi veicoli per il food delivery.

Waymo (di proprietà di Google Alphabet)  batte la concorrenza in termini di chilometri: i suoi 600 veicoli hanno percorso oltre 35 milioni di km in 25 città e richiedono un intervento manuale solo ogni 20.000 km. Un fattore decisamente importante per superare la concorrenza.

Le prestazioni dei veicoli elettrici migliorano e i costi diminuiscono in misura esponenziale. Questo consente agli imprenditori e investitori più lungimiranti di spostarsi interamente sul trasporto elettrico.

Se Tesla raggiungerà da sola l’obiettivo di produzione di 3 terawattora all’anno, le industrie dell’energia e dei trasporti dovranno adeguarsi di conseguenza (e rapidamente), giustificando la folle quotazione attuale delle azioni.

Il crollo dei prezzi dei veicoli EV renderà presto le auto con motore a combustione interna un ricordo del passato.

 

Cina e USA frenano, l’Europa guida il trend di crescita

I mercati chiave dell’EV suggeriscono dinamiche regionali in evoluzione, con la Cina e gli Stati Uniti che perdono terreno rispetto all’Europa.

Secondo l’indice EVI di McKinsey, la crescita del mercato dei veicoli elettrici ha rallentato nel 2019 e nel primo trimestre del 2020, dopo essere invece aumentata del 65% dal 2017 al 2018.  Nel 2019, il numero di unità vendute è aumentato solo a 2,3 milioni, da 2,1 milioni, per una crescita di appena il 9% rispetto all’anno precedente. 

Nel primo trimestre del 2020, le vendite di veicoli elettrici sono diminuite del 25%  I giorni di rapida espansione sono cessati, o almeno si sono temporaneamente interrotti. 

Il discorso però cambia se consideriamo con attenzione il mercato europeo: in contrasto con un rallentamento a livello globale nel 2019 e nel primo trimestre del 2020, l’Europa ha ampliato la sua quota di mercato al 26%, crescendo del 44%, mentre nel Regno Unito le vendite di veicoli elettrici sono diminuite del 12% nel 2019, con solo 320.000 unità vendute.

CINA

Le vendite di EV sono rimaste più o meno costanti in Cina nel 2019: circa 1,2 milioni di unità vendute, con un aumento del solo 3% rispetto all’anno precedente e nel primo trimestre 2020 la vendita di veicoli elettrici è diminuita del 57% rispetto al trimestre precedente. 

Nel primo trimestre del 2020, la Cina è stata pesantemente colpita dalla pandemia COVID-19 e diversi produttori di veicoli elettrici sono stati costretti a fermare la produzione. 

Il calo della crescita dei veicoli elettrici in Cina, con conseguenti tagli alle sovvenzioni del governo, ha sollevato preoccupazioni sulla sostenibilità della domanda dei potenziali clienti, anche se Pechino ha fissato un obiettivo di vendita del 25% del mercato per i veicoli elettrici entro il 2025. Riuscirà a rispettarlo?

Il governo ha recentemente deciso di estendere le sovvenzioni ai NEV (Neighborhood Electric Vehicle) di due anni, fino alla fine del 2022.

Inoltre, 10 miliardi di RMB (1,4 miliardi di dollari) saranno investiti per ampliare la rete di ricarica per i veicoli elettrici come parte di uno stimolo economico che potrebbe aiutare la ripresa delle vendite di veicoli elettrici.

Tuttavia, raggiungere l’obiettivo del 25% entro il 2025 probabilmente richiederà strumenti politici aggiuntivi e nuovi modelli di business per stimolare una domanda sufficiente da parte dei consumatori.

EUROPA

In Europa la situazione è diversa perché i costruttori di automobili si affidano ai veicoli elettrici per rispettare i parametri di riduzione del biossido di carbonio per i prossimi anni.

Anche se l’investimento in EV è stato di oltre 30 miliardi di euro negli ultimi due anni, la crisi legata al COVID-19 rischia di vanificare gli sforzi per soddisfare le stringenti normative europee ed evitare sanzioni pecuniarie: il superamento dei limiti renderebbe ancora più severi gli obiettivi previsti per il 2030.

Nonostante la pandemia, l’Europa ha registrato un maggiore slancio, lato consumatore, per l’acquisto di veicoli elettrici nel primo trimestre 2020 e altri segnali suggeriscono che questo trend continuerà, ad esempio un piano importante per la realizzazione di infrastrutture di ricarica e la creazione di ulteriori incentivi all’acquisto.

Il nuovo standard di emissioni dell’Unione Europea, 95 grammi di anidride carbonica per chilometro, potrebbe incentivare ulteriormente le vendite di veicoli elettrici, perché stabilisce che il 100% del parco veicoli debba soddisfare questo standard nel 2021.

Le vendite di BEV (battery electric vehicle) hanno registrato una sostanziale accelerazione spinta da tre modelli: la Tesla Model 3, la Hyundai Kona e l’Audi e-tron.

Le vendite di EV sono aumentate di percentuali a due cifre nel 2019 in quasi tutti i paesi europei. Le vendite in alcuni mercati più piccoli, come Estonia, Islanda e Slovacchia, sono invece diminuite in termini assoluti. 

A trainare le vendite di veicoli elettrici ci sono Germania e Paesi Bassi, che hanno contribuito per quasi la metà della crescita complessiva del mercato in Europa; in entrambi i paesi, le unità vendute sono aumentate di circa 40.000 pezzi, grazie all’aumento della domanda di nuovi modelli, della disponibilità di modelli esistenti con batterie più performanti, e all’introduzione di nuovi incentivi governativi.

USA

Nel 2018, negli Stati Uniti le vendite di veicoli elettrici sono aumentate dell’80%, in grande misura grazie al lancio sul mercato della versione standard di Tesla Model 3.

Con l’aumento delle consegne di Tesla all’estero e la graduale eliminazione del credito d’imposta federale a gennaio e luglio 2019, le vendite del marchio negli Stati Uniti sono diminuite del 7%, ovvero di 12.400 unità.

Nel frattempo, la Chevrolet Volt è stata gradualmente eliminata e le sue vendite sono diminuite di 14.000 unità, mentre quelle della Honda Clarity sono diminuite di 8.000 unità.

Alcuni OEM internazionali (Original equipment manufacturer) hanno lanciato con successo nuovi modelli negli Stati Uniti nel 2019, tra cui Audi (e-tron) e Hyundai (la Kona). Anche le vendite dell’e-Golf di VW sono aumentate. Questi tre marchi hanno rappresentato più di 24.500 unità di vendite, ma la loro forte performance non ha potuto compensare il declino di altri modelli.

Anche i bassi prezzi del petrolio di oggi stanno contribuendo al rallentamento del mercato dei veicoli elettrici, perché riducono notevolmente il costo totale di proprietà dei veicoli con motore a combustione interna (rispetto ai veicoli elettrici). 

Questi cambiamenti stanno creando grande incertezza, e lo sviluppo del mercato americano dei veicoli elettrici potrebbe dipendere in gran parte sia dal numero di stati che adottano il programma “Zero-Emission Vehicle Program” della California sia dalle oscillazioni dei prezzi del petrolio.

Secondo il rapporto di McKinsey, le strategie di elettrificazione in USA rimangono costanti nonostante l’incertezza sulle normative vigenti, ma rispetto all’ultimo trimestre del 2019, le vendite sono diminuite del 33%.

Anche se alcune case automobilistiche hanno tagliato o posticipato i programmi per gli EV, gli OEM nazionali continuano a impegnarsi per migliorare il risparmio medio di energia sulle nuove flotte, comprendenti SUV e veicoli utilitari compatti. 

Molte case automobilistiche stanno utilizzando l’ibrido plug-in veicoli elettrici (PHEV) come ponte per un futuro completamente elettrico.

Negli ultimi anni, le vendite di ibride plug-in sono cresciute più lentamente rispetto alle vendite di veicoli a sola batteria elettrica (BEV). I PHEV (Plug-in Hybrid Electric Vehicle) rappresentano meno di un terzo del mercato globale dei veicoli elettrici in 2019. 

Precipita il mercato dei PHEV

Sebbene la maggior parte delle case automobilistiche li abbia in catalogo, il numero di modelli disponibili si ridurrà a meno della metà del numero di modelli BEV, nei prossimi anni. 

L’autonomia di guida è uno dei principali vantaggi dei PHEV, ma questa tipologia di veicoli ha recentemente iniziato ad affrontare i venti contrari della regolamentazione, perché il loro impatto ambientale ha suscitato preoccupazioni.  In reazione, alcuni paesi hanno ridotto o interamente abolito le agevolazioni economiche per i PHEV, aumentando ulteriormente il loro già elevato prezzo per i consumatori. 

Nel 2019, tra i mercati chiave dei veicoli elettrici, i PHEV dominavano la categoria dei veicoli elettrici in soli tre paesi: Finlandia, Islanda e SveziaPertanto, possiamo prevedere che i PHEV rappresenteranno una quota compresa solo tra il 5 e il 10 per cento del mercato globale da 2030.

L’alternativa a idrogeno

Si sente parlare molto poco dell’idrogeno ma in realtà c’è un bel po’ di movimento, soprattutto sul fronte dei veicoli commerciali. 

La maggior parte dei grandi OEM stanno lavorando su questa tecnologia: per esempio, Daimler e Volvo, Toyota e Traton, e Honda e Isuzu, mentre nuovi player, come Nikola e Hyzon, stanno entrando nel mercato. Anche le aziende cinesi si stanno muovendo velocemente.

Nel complesso, vediamo sempre meno OEM che non pensano all’idrogeno come a una necessaria parte del loro portafoglio di propulsione. Alla luce della regolazione del biossido di carbonio per i camion, ogni tonnellata di peso in  meno e ogni chilometro percorso in più abbatterà i costi per le celle a combustibile rispetto alle batterie. 

Per i camion a lungo raggio, i veicoli elettrici con celle a combustibile andranno in pareggio con i veicoli elettrici a batteria entro i prossimi cinque anni. Raggiungeranno anche un costo inferiore rispetto al diesel prima del 2030.

Come gli EV possono scalare il mercato

All’inizio gli acquirenti di veicoli elettrici sembravano costituire un segmento specifico di consumatori: abitanti di città tecnologicamente all’avanguardia con redditi superiori alla media e abituati allo shopping online. Adesso, la diffusione dei veicoli elettrici è significativamente aumentata tra i consumatori e molti hanno imparato a riconoscere i numerosi vantaggi dei veicoli elettrici. 

Per aumentare la quota di mercato, i produttori di questi veicoli dovrebbero sistematicamente insistere sui vantaggi legati all’adozione di queste tecnologie: dal rispetto per l’ambiente, fino alle sovvenzioni, passando attraverso una nuova esperienza di guida. 

La crescita nei settori dei trasporti rimane una delle leve più critiche negli sforzi globali per ridurre il biossido di carbonio e migliorare la qualità dell’aria urbana, ma sarà necessario che oltre a sovvenzioni e sanzioni, i governi attuino programmi di rottamazione che incoraggino i consumatori a sostituire le vecchie auto con quelle di nuova generazione.

Il boom del mercato delle batterie

Pompati dalle ambiziose strategie EV delle case automobilistiche, i fornitori di batterie stanno aumentando le loro capacità produttive. 

Quali sono le tendenze e le sfide principali per la catena di fornitura delle batterie?

Secondo Markus Wilthaner, partner associato di McKinsey a Vienna, l’adozione dei veicoli elettrici ha sovraccaricato l’industrializzazione e l’espansione nel settore. I produttori di celle a batteria si trovano ora davanti a un’opportunità di crescita fuori misura e potrebbero diventare alcuni dei maggiori fornitori del settore automobilistico a livello globale. 

Questa grande opportunità si accompagna però a enormi sfide e compromessi. Le aziende hanno bisogno di aumentare rapidamente le capacità di produzione e devono stabilizzare i processi raggiungendo rendimenti molto elevati e puntando costantemente all’innovazione dei prodotti. 

Ogni anno, devono ridurre i costi per aggiudicarsi contratti a lungo termine e rimanere competitivi, cercando allo stesso tempo nuovi modelli di business.

Infine questi fornitori dovranno risolvere le sfide legate alla sostenibilità trasformando l’intera catena del valore della batteria, dall’estrazione mineraria al riciclo delle unità esauste, rispettando l’ambiente e creando un’industria responsabile.

Joe Biden

Cosa cambia per l’industria tecnologica americana con la vittoria di Biden

Secondo alcune voci di corridoio, ancora prima che Joe Biden si assicurasse la vittoria nelle elezioni presidenziali americane, il suo staff si stava mettendo in contatto con i dirigenti dell’industria tecnologica americana cercando un dialogo, in previsione di rimodellare le politiche del Paese su alcuni aspetti legati a internet e alle telecomunicazioni.

La campagna di Biden ha segnato una significativa inversione di tendenza rispetto agli ultimi quattro anni, durante i quali il Presidente uscente Trump ha spesso rincorso diverse occasioni per farsi ritrarre insieme ai big del tech senza però instaurare un vero confronto con loro e senza prendere in considerazione le loro opinioni su temi chiave come l’immigrazione e le politiche commerciali.

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La vittoria di Biden, dopo diversi giorni di incertezza durante il conteggio dei voti negli stati a rischio, ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai dipendenti di tutto il comparto tecnologico, che hanno sostenuto in modo schiacciante il candidato democratico, come hanno fatto nella maggior parte delle elezioni passate. Il Presidente sta infatti integrando nel suo staff diversi esperti del mondo tech.

L’opinione diffusa è che la nuova amministrazione prenderà seriamente il suo ruolo di regolatore e gli investitori e le imprese non dovrebbero trascurare la rapidità con cui il presidente Biden si muoverà sulla politica, soprattutto per quanto riguarda il futuro del lavoro e la ripresa dell’economia americana.

I discorsi di Biden durante la sua campagna hanno offerto la speranza di un ritorno a una formulazione più sistematica delle politiche, basata sulla costruzione del consenso degli attori in gioco. Le politiche dell’amministrazione Trump, al contrario, spesso sembravano essere progettate per danneggiare singole aziende che il Presidente non vedeva di buon occhio o, al contrario, favorire quelle che considerava dalla sua parte.

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Uno dei casi più noti si è verificato quando Amazon aveva sostenuto che Trump avesse sollecitato impropriamente il Pentagono a scegliere Microsoft (invece di Amazon Web Services) per un contratto di cloud computing da 10 miliardi di dollari. Va specificato che il fondatore della piattaforma di eCommerce, Jeff Bezos, è anche il proprietario del Washington Post, spesso tacciato di essere ingiustamente critico nei confronti di Trump, proprio dal Presidente.

Ci si aspetta, quindi, che Biden operi una rottura netta con alcune delle politiche di Trump, come l’inversione dei tagli alle tasse per le aziende. Altre politiche, come le rigide regole dell’antitrust nei confronti delle grandi aziende tecnologiche e la riforma della Sezione 230, che le protegge dalle cause sui contenuti pubblicati online dai propri iscritti, potrebbero invece vedere un certo livello di continuità tra le amministrazioni Trump e Biden.

Dopo quattro anni di ostinato negazionismo di Trump, pensiero magico e danni economici, Biden promuoverà il rigore politico, lo spirito pubblico e l’ingegnosità del settore privato per lavorare insieme per soluzioni innovative. Sarà un lavoro duro, ma possiamo aspettarci l’alba di una nuova era di dinamismo trainata dalla tecnologia degli Stati Uniti.

Ecco quindi le cinque politiche chiave che potrebbero essere fortemente influenzate dall’elezione del nuovo presidente.

Antitrust

L’applicazione antitrust alle grandi tecnologie è un campo d’azione su cui c’è un ampio sostegno bipartisan. I funzionari antitrust, sia al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sia alla Commissione Federale del Commercio (che sta attualmente valutando una causa contro Facebook) sono infatti professionisti slegati dalle interferenze politiche.

È quindi probabile che l’amministrazione Biden esorterà le agenzie dedicate a mantenere un approccio aggressivo nel perseguire i casi antitrust, proprio come ha fatto l’amministrazione Trump.

Inoltre, i procuratori generali degli stati democratici avranno più influenza in un’amministrazione Biden e la sua vittoria rende più probabile l’ipotesi che si uniranno alla causa del Dipartimento di Giustizia contro Google, forse aggravando le accuse secondo le quali Google avrebbe usato illegalmente la sua forza online per dominare il mercato della pubblicità digitale

Ma i procuratori generali democratici avrebbero potrebbero attivare potenziali azioni antitrust federali anche contro Amazon, Apple e Facebook. L’obiettivo dichiarato era rendere più complicato per le piattaforme dominanti come Facebook o Google l’iter per ottenere l’approvazione per l’acquisizione di aziende più piccole e rendere più facile perseguire le imprese che violano le leggi antitrust.

Sezione 230

Mentre Biden ha già specificato di voler riformare la Sezione 230, la sua amministrazione probabilmente non sarà aggressiva come Trump nei confronti della legge.

L’ex Presidente aveva avviato “una guerra burocratica” sulla Sezione 230 con un ordine esecutivo che indirizzava il Dipartimento di Giustizia, il Dipartimento del Commercio, la Federal Communications Commission e la Federal Trade Commission a prendere provvedimenti per indebolire le protezioni legali delle piattaforme tecnologiche. L’azione era però motivata, in parte, dalla sua opinione che Facebook, Twitter e altri social media fossero impegnati nella censura selettiva delle voci conservatrici.

È probabile che Biden revochi gli ordini di Trump o spinga le varie agenzie a non intervenire sulla questione. Biden è stato membro del Senato per 36 anni e non è probabile che appoggi gli sforzi di Trump nell’usare le agenzie federali per minare l’autorità del Congresso nell’approvazione delle leggi. Tuttavia, se il Congresso approverà le riforme della Sezione 230, cosa che sembra probabile, ci si può aspettare che Biden le firmi convertendole in legge.

bytedance tiktok

Ci sarà probabilmente un accordo bipartisan su riforme che ridimensionano alcune delle protezioni della Sezione 230“, ha detto Bruce Mehlman, un lobbista la cui impresa lavora con aziende tecnologiche come Zoom e ByteDance. Secondo Mehlman, le piattaforme tecnologiche potrebbero essere costrette a rimuovere alcuni tipi di contenuti, ad esempio quelli relativi alla vendita di droghe illegali.

Immigrazione

L’approccio di Trump all’immigrazione ha infiammato l’industria tecnologica più di tutte le sue politiche. La sua amministrazione ha fatto il possibile per fermare il flusso di cittadini stranieri negli Stati Uniti e questo ha avuto un impatto diretto sull’industria.

L’Information Technology Industry Council, un gruppo commerciale tecnologico con sede a Washington, si aspetta che Biden annulli una serie di ordini esecutivi legati all’immigrazione emessi da Trump. Inoltre, il gruppo spera anche che Biden riveda i programmi di visto per non immigrati per soddisfare meglio la domanda del mercato del lavoro.

La “cosa più veloce da fare, e vedrete che Biden lo farà immediatamente, è stralciare le politiche di immigrazione di Trump e rendere il reparto tecnologico molto felice“, ha dichiarato Jim Messina, un ex assistente del Presidente Barack Obama, ora consulente di aziende tech.

Biden probabilmente sosterrà anche una legislazione come il Fairness for High-Skilled Immigrants Act, che renderebbe più facile per la Silicon Valley reclutare lavoratori nel settore dell’informatica. Sembra che il disegno di legge favorisca in particolare il grande numero di lavoratori provenienti dall’India in attesa della green card, il documento  che permetterebbe loro di rimanere permanentemente negli Stati Uniti.

Il disegno di legge rimuoverebbe il limite di green card a disposizione di ogni paese, consentendo ai molti impiegati indiani nell’industria tecnologica statunitense di assicurarsi il permesso per rimanere negli USA.

Tasse

inauguration day - joe biden

Una delle differenze più nette tra Biden e Trump è nel loro approccio alle tasse. Trump ha puntato alla più grande riforma del sistema fiscale dagli anni ’80, tagliando l’aliquota dell’imposta sulle società dal 35% al 21%. La riforma fiscale di Trump ha anche rivisto la tassazione personale, tagliando le aliquote per gli scaglioni più alti, dal 39,6% al 37%.

All’esatto opposto, Biden prevede di aumentare le tasse per chiunque guadagni più di 400.000 dollari e di riportare le imposte patrimoniale ai livelli precedenti. Tuttavia, un Senato repubblicano renderebbe difficile, se non impossibile, far passare modifiche fiscali significative.

Commercio

Il primo compito per il neo Presidente nell’ambito degli scambi internazionali sarà quello di tentare di ricucire il rapporto degli Stati Uniti con la Cina. Ovviamente, continuerà a “fare pressione”, ma abbandonando l’approccio unilaterale alla “guerra commerciale” del suo predecessore e concentrandosi invece sull’arruolamento di alleati come il Giappone e l’Europa per contrastare la crescente influenza economica globale cinese.

Biden adotterà un approccio più sistematico nei confronti della politica cinese degli Stati Uniti, che prima pareva concentrarsi sulle singole aziende, vedi ByteDance e Huawei, invece che su obiettivi commerciali più ampi.

linkedin employee branding

Dall’Employer all’Employee Branding: attrarre i giovani con l’umanità e l’imperfezione

  • Dall’eroismo alla vicinanza sociale dei brand, anche l’employer branding cambia prospettiva
  • Puntare sull’inclusione generazionale è la strategia giusta per non perdere attrattività

Non è un errore di battitura. Nel titolo è scritto proprio Employee Branding (branding dei dipendenti) perché il focus delle strategie di attrazione dei futuri lavoratori in azienda si sposta sempre di più dal brand alle persone.

La trasformazione in Employee Branding

Il cambio culturale che si è prodotto nel nostro immaginario collettivo in questo 2020 di pandemie e infodemie, ha già modificato i messaggi sul piano marketing dei brand più importanti portandoli a narrare degli storytelling che, come ha profetizzato Andrea Fontana in “Ballando con l’Apocalisse” (ROI Edizioni, 2020.p.58), sono passati dai messaggi che prima del Covid-19 recitavano: “Amami, ti insegno a vivere, per cui comprami” a: “So che siamo nei guai, ma credo di capire i tuoi problemi, che sono anche i miei, proverò a starti a fianco per fare con te un pezzo di strada insieme”.

leadership
E l’employer branding non può esimersi dal guardarsi allo specchio e riflettere se i messaggi che parlavano di impatto, carriera, “better workplace to be” e di benefit personalizzati siano ancora validi dopo la rivoluzione culturale e di sensibilità che si sta compiendo in questi mesi nella percezione dei potenziali nuovi dipendenti.

Un altro aspetto con cui fare i conti sarà senza dubbio la percezione della scarsità del lavoro e delle inevitabili difficoltà collegate alla contrazione del mercato per il 2021 che potrebbero modificare in un senso o in un altro i valori che i più giovani reputano distintivi di un brand. Si sceglieranno brand più “sicuri” dal punto di vista della stabilità economica e della sicurezza psicologica o continuerà il trend di infatuazione verso le aziende che riflettono sensibilità ai temi di sostenibilità e digitalità?

Employee Branding

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In altre occasioni ho già espresso personalmente quali contenuti evergreen dovrebbe comprendere una strategia di employer branding per essere efficace soprattutto in relazione al target giovanile: ovvero che il messaggio di Employer Value Proposition deve puntare sul miglioramento degli aspetti ritenuti per loro stessi come “negativi”, e quindi motivare, informare e valorizzare coloro che si ritengono disinformati, sfiduciati, defocalizzati, ma attraverso uno stile che si avvicini agli attributi che Millennials e Zed Gen conferiscono a loro stessi come “positivi”, ovvero partecipativo, dinamico, digitale e “smart”.

Ma esistono sicuramente altri temi fondamentali su cui vale la pena concentrare l’attenzione. Uno di questi è senz’altro la capacità di rappresentare in maniera trasparente ed efficace l’attenzione dell’azienda all’inclusione generazionale. Stando ai dati di Universum Global (2019) del D&I Index, infatti, il Il 53% dei Millennials definisce la diversità come diversità di età, l’83% dei Millennials e il 92% della Gen Z la considera come diversità culturale.

Sono quindi meno prevalenti gli altri temi come il genere, l’etnia, la religione, etc., e questo sta a significare quanto sia efficace poter rendere la propria organizzazione non solo sensibile, ma concretamente dedita all’inclusione generazionale, al fine di renderla naturalmente attrattiva per le nuove generazioni.

Employee Branding
La dicotomia tra “veterani” e “neofiti” rappresenta anche sul piano emotivo del giovane la paura di non essere integrato, accettato o accompagnato nella crescita professionale da parte dell’organismo aziendale. Questo, spesso, detiene o un numero elevato di senior, o una cultura valoriale che risiede necessariamente nelle figure con maggiore “anzianità” di carriera in quell’organizzazione.

Non è un mistero, inoltre, che i brand che investono in Diversity & Inclusion, aumentano significativamente i loro ricavi.
Gli ultimi dati del Diversity Brand Summit 2020 rilevano un +23% di crescita complessiva, con scelte di acquisto da parte dei consumatori che sono dedicate per oltre il 63% ai marchi ritenuti maggiormente inclusivi e la misura del Net Promoter Score che evidenzia una veicolazione del passaparola addirittura del +89,8% per questa tipologia di brand.

Se l’inclusione culturale attrae consumatori, probabilmente può farlo anche per futuri employee. Non a caso molti marchi di questa classifica coincidono anche con quelli più scelti o preferiti nelle indagini dell’Universum Most Attractive Employers Italy 2020.

Employee Branding

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Narrare l’inclusione significa approcciarsi alle tematiche sociali e di sostenibilità e ad un mindset culturale aperto e vicino alla realtà contemporanea delle persone, in particolare quelle alla ricerca di un lavoro, poiché ne vivono la complessità, l’incertezza e la volatilità in maniera molto concreta.

Torniamo quindi al principio per cui non sono forse solo le soluzioni eroiche dell’Employer ad attrarci (“ho un’opportunità di lavoro per te, ti salverò dalle difficoltà economiche”) ma anche i problemi e i conflitti umani che ci spronano e ci motivano nel momento in cui le organizzazioni che accettano le diversità e le fragilità di tutti e sono rappresentate anche da persone che falliscono, esitano e soffrono.

Poiché una delle grandi difficoltà delle strategie di employer branding è quella di rapportarsi con la comunicazione esterna di prodotto (che solitamente non parla di persone) la strada del racconto dell’imperfezione, fatta di esseri umani perfettibili, di risultati non ottenuti e obiettivi non raggiunti, potrebbe diventare una scelta di narrazione coraggiosa e ripida, ma che certamente riuscirebbe ad attrarre molto efficacemente la platea dei potenziali employee, (giovani e meno giovani), in quanto ineluttabilmente autentica.

La frontiera innovativa dello storytelling di un datore di lavoro che si prefigura è quindi una sorta di “Employer Unbranding” o “Employee Branding”, dove si comunica in primis la vita autentica delle persone, senza filtri, essenziale. E ancora di più uno storytelling intergenerazionale può fare la differenza, nel momento in cui la narrazione delle storie professionali riesca a rappresentare anche i conflitti e le criticità della vita delle persone, con l’obiettivo non solo di aumentare la notorietà dell’employer brand, ma anche di offrire una reale utilità alle persone stimolando il loro interesse e il loro coinvolgimento.

Iot

IoT, ovvero come iniziare a connettere oggetti nella propria azienda

Quando eravamo bambini e immaginavamo come sarebbe stato il futuro, non potevamo fare a meno di sognare macchine volanti, viaggi interplanetari e oggetti scintillanti con mille funzioni, come una sorta di coltellini svizzeri futuristici. Sulle macchine volanti e i viaggi spaziali ci stiamo ancora lavorando, ma per quanto riguarda gli oggetti la nostra fantasia non aveva tutti i torti. Pensate a come la tecnologia ha migliorato le nostre vite e come Internet sia parte integrante della nostra quotidianità attraverso prodotti e servizi sempre più 2.0.

Stiamo parlando dell’importanza dell’IoT, ossia l’Internet of Things, l’Internet degli oggetti e del ruolo crescente che ha assunto negli ultimi anni.

Internet of Things, quotidianità e mondo digitale

Cosa intendiamo quando parliamo di IoT? È un acronimo che abbiamo sentito spesso nominare. Internet of Things, lo dice stesso la parola, è l’Internet degli oggetti, sono infatti quest’ultimi a essere connessi, grazie a Internet, e hanno la facoltà di scambiare dati tra loro. Questi prodotti sono definiti intelligenti, quindi smart objects.

Stiamo parlando di un’evoluzione dell’uso d’Internet perché attraverso la connessione, gli oggetti si rendono riconoscibili e scambiano informazioni su sé stessi e l’ambiente che li circonda.

Gli smart objects hanno delle caratteristiche peculiari che li rendono tali, stiamo parlando di proprietà cui:

  • l’identificazione
  • la connessione
  • la localizzazione
  • la capacità di generare dati
  • la possibilità d’interagire con l’ambiente esterno

iot

Campi di applicazione dell’IoT

L’Internet of Things può essere applicato in qualsiasi contesto, dagli elettrodomestici di casa per un’abitazione smart, a sistemi più complessi come le apparecchiature in campo medico.

È possibile con l’IoT agire in ambito sanitario con precisione e ottimizzando gli sforzi monitorando, per esempio, lo stato di salute dei pazienti da remoto. In questo modo il personale può recarsi presso le strutture sanitarie solo quando c’è un’urgenza grave.

In riferimento a macchinari di qualsiasi genere, invece, l’IoT permette il monitoraggio e il loro funzionamento, così chi si occupa della manutenzione può intervenire solo quando c’è una reale necessità.

IoT e aziende: utilizzi e vantaggi

Abbiamo visto che l’IoT agisce in diversi campi applicativi, ma può essere vantaggioso anche per migliorare le performance di un’azienda? Certo che sì.

Con l’ormai conclamata industria 4.0, l’IoT è sempre più parte integrante dell’innovazione e consente alle organizzazioni di raccogliere, scambiare, analizzare e interpretare i dati in tempo reale. Il valore di questi dati è unico perché fornisce informazioni significative sui consumatori, in determinati contesti, e in tempo reale, permettendo alle aziende di modificare i propri prodotti e servizi, ove è necessario, e trasformare l’interazione e le relazioni con i clienti.

Ma un’azienda come può adottare in modo pratico l’IoT, utilizzandola e integrandola al proprio sistema?

Le soluzioni che ci vengono proposte non sono tutte performanti. Spesso risultano frammentate, troppo complesse e invece di semplificare i processi, tendono a comprometterli. Le aziende hanno bisogno di uno strumento unico e intuitivo che possa facilitare e non disperdere le attività utili proveniente dall’integrazione dell’IoT.

Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: a chi rivolgersi?

Iot

Cloud MQTT, il server per connettere gli oggetti nelle aziende

Ci viene in soccorso Seeweb, un Cloud Computing Provider che offre servizi di alta qualità e unici quanto a tecnologia, scalabilità e rapporto prezzo/prestazioni. Un provider che punta da sempre all’innovazione ed è sempre attento alle novità del mercato. Seeweb non poteva lasciarsi scappare l’occasione di creare un servizio tutto suo che riguarda proprio l’IoT, attraverso il lancio di Cloud MQTT.

Il Cloud MQTT connette gli oggetti nelle aziende sfruttando il protocollo di comunicazione più efficace in ambito IoT. Include diverse caratteristiche come:

  • la gestione semplificata dei dispositivi;
  • la personalizzazione dei dati di connessione;
  • la possibilità di salvare i dati nel nostro Cloud;

La piattaforma riduce le complessità legate all’utilizzo dell’Internet of Things nelle aziende grazie a una cloud things platform completamente gestita che:

  • si avvale di Kubernetes, che automatizza le operazioni di gestione dei container;
  • sfrutta MQTT, il protocollo più usato per connettere gli oggetti al Cloud;
  • è compatibile con la maggior parte dei device esistenti;
  • è abbinabile a un dominio personalizzato e a un certificato SSL;
  • offre la possibilità di salvare le metriche nel Cloud Seeweb;
  • permette di gestire i dati mediante Prometheus

Una volta acquistato il servizio verranno inviati i dati di accesso da utilizzare per configurare il prodotto e i dispositivi. Ogni dispositivo ha un client ID, un topic e i permessi di accesso.

Quali sono gli strumenti che possono beneficiare di questo servizio?

Possiamo utilizzare tutti i tipi di dispositivi che supportano MQTT, ossia i sensori di temperatura, automotive, controllo macchine ma anche software di telemetria o messaggistica. Ma cos’è un protocollo MQTT e a cosa serve?

Cos’è un MQTT

Il protocollo MQTT ha l’obiettivo di rendere facile ed efficace la comunicazione tra le macchine, ossia gli oggetti. Le sue caratteristiche principali sono:

  • la leggerezza e la semplicità nello scambio di messaggi;
  • ha la possibilità di creare il minimo traffico sulle reti;
  • richiede poche risorse ai dispositivi a livello di gestione.

È uno strumento capace di veicolare in modo efficiente la distribuzione di messaggi da uno a molti destinatari, garantendo affidabilità e semplicità. Connettere i dispositivi di un’azienda e integrare l’IoT non sarà più un grosso problema con Cloud MQTT, un modo semplice di abbracciare l’innovazione.

startup automotive italia

A che punto sono le startup italiane dell’Automotive

  • L’ecosistema delle startup italiane è in continua evoluzione, dal nord al sud dell’Italia
  • La transizione energetica e l’evoluzione degli stili di vita favoriti dalla digitalizzazione hanno incentivato l’innovazione del settore automobilistico
  • La pandemia non ha rallentato la nascita delle imprese italiane innovative grazie anche al programma sponsorizzato dal Governo Italiano nel giugno del 2020

 

Le startup emiliane e campane guidano l’evoluzione dell’industria automotive in Italia. Infatti, è nato a Modena il Motor Valley Accelerator: il primo acceleratore italiano dedicato al settore automotive, frutto di un’operazione congiunta del Fondo Acceleratori di Cdp Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione, Fondazione di Modena e UniCredit, con il fondamentale supporto di Crit e Plug and Play, la più grande piattaforma di Open Innovation al mondo.

Il progetto è stato ribattezzato Motor Valley Tech e ha l’obiettivo di movimentare complessivamente 20 milioni di euro. L’obiettivo è sostenere le migliori nuove idee imprenditoriali (early stage) e mettere in contatto aziende strutturate con quelle più giovani su progetti innovativi (scale up).

L’inaugurazione dello “Spazio CDP” a Modena, avvenuta in forma virtuale nel pieno rispetto dell’ultimo Dpcm, è stata dunque anche occasione per annunciare l’avvio del Fondo “Mobility & Digital Acceleration” e dell’acceleratore Motor Valley Accelerator.

Il piano, compreso tra le iniziative del “Fondo Acceleratori” gestito da CDP Venture Capital SGR, si propone di favorire lo sviluppo di startup innovative nel settore automotive e mobility, nonché la creazione e lo sviluppo di ulteriori programmi di accelerazione in ambiti sinergici e complementari collegati alla mobilità. Con particolare attenzione ai temi dell’innovazione e della sostenibilità.

startup dell'automotive, nel modenese si va a passo spedito

Il Motor Valley Accelerator è frutto di un’operazione congiunta del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione, Fondazione di Modena e Unicredit, con il fondamentale supporto di CRIT, broker tecnologico modenese.

«Siamo orgogliosi di essere stati scelti da Cdp, Fondazione di Modena e Unicredit per gestire questo importante programma nazionale dedicato alla mobilità – ha dichiarato  Marco Baracchi, Direttore Generale del Crit – Penso che la nostra conoscenza tecnologica e la nostra propensione ad applicazioni concrete dovuta all’abitudine a lavorare con il mondo industriale possano essere di grande valore per questa iniziativa. Abbiamo poi scelto come partner Plug and Play Italy perché ci sono sembrati i più adatti a supportarci, in quanto leader mondiali nell’Open Innovation e con una esperienza specifica di successo con le startup automotive sviluppata in altri acceleratori internazionali, come Startup Autobahn a Stoccarda».

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In Campania c’è il più alto tasso di startup dell’Automotive

Nella mobilità del futuro, l’Italia in generale vanta aziende di profilo internazionale come Motor K Italia, che con le sue piattaforme digitali dedicate all’automobile, serve il 90% dei produttori di veicoli a livello globale. Il comparto del trasporto è quindi tutt’altro che fuori dai radar degli investitori, le venture capital fanno a gare nel finanziare i progetti italiani più validi come 2hire, Brumbrum, Goodbuyauto.

Il settore automobilistico italiano è inoltre in fermento costante: l’evoluzione tecnologica dell’auto, spinta dalla transizione energetica verso l’elettrico al 100%, la profonda trasformazione della mobilità (smart mobility) e anche lo sviluppo e la gestione della rete elettrica del futuro (smart grid), sono il fertile terreno dove attecchiscono numerose startup italiane. La Regione Campania, in particolare, risulta essere una delle regioni a più alto tasso di nascita di startup, finanziate dal Fondo nazionale innovazione, gestito dal Ministero dello sviluppo economico e dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Nel ramo delle quattro ruote nascerà presto uno stabilimento produttivo di motori elettrici da competizione. A realizzarlo saranno la società pisana Mazzanti Automobili e la società d’ingegneria e consulenza Netcom Group di Napoli.
L’unione delle due imprese internazionali darà vita alla startup Mazzanti Automotive Testing & Innovation Lab, a cui partecipano anche le aziende spin-off dell’Università di Salerno eProInn ed ePowering.
In ambito nazionale, tra le startup dell’auto più in vista c’è certamente Brumbrum, che nel 2019 ha raccolto 20 milioni di euro di investimento in un solo round.

Startup dell’Automotive all’insegna degli investimenti

L'innovazione delle startup passa dagli investimenti

Autotarget è invece una società di marketing dedicata alle concessionarie, nata dall’inventiva di studenti universitari della Ca’ Foscari di Venezia, con un investimento di soli 50mila euro è ora parte di un più ampio progetto dedicato alla digitalizzazione dei servizi.
Nella nicchia (forse ancora per poco) dell’acquisto e noleggio dei veicoli elettrici, infine, troviamo Evtrip, una società di installazione dei punti di ricarica auto elettriche, la cui applicazione mobile segnala agli automobilisti la presenza di colonnine di ricarica in tutta Europa.

La transizione energetica e l’evoluzione degli stili di vita favoriti dalla digitalizzazione, che cambia il nostro modo di lavorare e di gestire i rapporti personali, assieme alla rivoluzione dell’infrastruttura elettrica sono i “fertilizzanti naturali” del settore dell’automobile del domani. L’investitore è chiamato, o può essere parte attiva del cambiamento studiando e selezionando le giuste startup italiane e regionali in cui investire.

Il software automotive di MegaRide si aggiudica il premio per le startup “evolute”

MegaRide, letto all’italiana, è il nome dell’isola del primo insediamento greco in territorio partenopeo. Letto all’inglese è uno spinoff accademico dell’Università di Napoli Federico II specializzato nella simulazione in ambito automotive, ed è la società che si è aggiudicata la 14° edizione dell’Italian Master Startup Award, premio promosso dall’Associazione Italiana Incubatori Universitari PNICube e organizzato quest’anno dall’Università degli Studi di Verona, che va a riconoscere gli effettivi risultati conseguiti dalle startup nate dalla ricerca accademica nei loro primi anni di vita, creando allo stesso tempo un importante ponte con il mondo degli investitori.

MegaRide nasce nel 2016 come software house, testing center, smart mobility provider, con l’obiettivo di diventare punto di riferimento nello sviluppo di modelli avanzati per la simulazione in real-time di dinamica veicolo su strada, nei settori automotive e motorsport, e nella fornitura di prodotti software per l’ottimizzazione delle prestazioni dei veicoli e della mobilità smart.

Fin dai primi passi si è interfacciata con i principali contesti automobilistici e motorsport mondiali e, oltre al mercato tedesco, sta ora sviluppando crescenti connessioni con Asia, Gran Bretagna e Spagna.

Fattore chiave per le startup dell’Automotive: sinergia con il mondo universitario

startup dell'automotive e università

«Tra i fattori chiave di successo della nostra startup – ha detto il Ceo e co-founder Flavio Farronila profonda sinergia con il comparto di ricerca della Federico II, l’investimento in talenti sul territorio e la promozione di una crescita organica che ha portato, nel 2019, a un fatturato di circa 1 milione di euro, senza ricorrere a debito bancario o cessione di equity».

Una menzione speciale è stata assegnata a Nito (i3P Politecnico Torino) che si è distinta per la progettazione e lo sviluppo di soluzioni di mobilità sostenibile.

CarPlanner: la startup che utilizza chatbot per il noleggio auto

CarPlanner, la società guidata da Marta Daina, ha creato un marketplace digitale che permette in modo semplice e veloce di noleggiare un’auto.

Si tratta di una piattaforma digitale che dal 2015, grazie ai propri strumenti di ricerca e comparazione, consente agli utenti di trovare l’auto che meglio si adatta alle proprie esigenze. Allo stesso tempo rende possibile cercare le offerte più competitive sul mercato, sia per l’acquisto sia per il noleggio a lungo termine. Il tutto grazie all’utilizzo di Chatbot.

Grazie ad algoritmi di Intelligenza Artificiale, il chatbot di CarPlanner “studia” la sostenibilità finanziaria del canone mensile di noleggio. In caso di insostenibilità, suggerisce all’utente l’auto e l’offerta più adeguata al suo profilo.

Tutto questo accade in tempo reale, guidando l’utente verso la migliore scelta possibile e con un processo quasi interamente digitale. Con un notevole risparmio di tempo.

LEGGI ANCHE: Digital Marketing e Automotive: cosa sapere per iniziare e 3 casi di successo

Silla Industries, startup veneta che vuole rivoluzionare la mobilità elettrica

La mobilità elettrica è il futuro? Le startup dell'automotive

Il panorama delle start-up italiane per il trasporto si arricchisce di una nuova impresa. Si tratta di Silla Industries, azienda padovana fondata da Alberto Stecca e Cristiano Griletti che punta a rivoluzionare il settore della e-mobility.

La prima soluzione proposta da Silla Industries è Prism Solar, prodotto sviluppato in collaborazione col gruppo Energetica di parma che è arrivato alla finale dell’Hackaday Prize 2019.

Si tratta di un caricatore universale, con tutti i veicoli elettrici provvisti di connettore di Tipo2 (lo standard europeo per la ricarica di veicoli completamente elettrici e ibridi plugin) che permette di gestire in maniera intelligente l’energia prodotto dall’impianto fotovoltaico, sfruttando l’eccesso di produzione per caricare la vettura elettrica invece di cederlo alla rete.

Prism Solar consente di configurare il bilanciamento dei carichi per integrare la produzione dell’impianto fotovoltaico con un minimo di energia prelevato dalla rete quando la produzione solare è minore, ad esempio in inverno, oppure non sufficiente per la ricarica dell’auto elettrica. In assenza di pannelli fotovoltaici, programma la ricarica selezionando le tariffe orarie più convenienti.

È in grado di gestire la potenza disponibile del contatore di casa, senza mai superarla, regolando automaticamente la carica erogata alla vettura per evitare cali di tensione e blackout.

Ecosistema startup in crescita, vediamo i numeri

Al termine del 3° trimestre del 2020 il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del registro delle imprese era di 12.068, in aumento di 572 unità (+5%) rispetto al trimestre precedente.

Per quanto riguarda la distribuzione per settori di attività, il 73,6% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti specializzazioni: produzione di software e consulenza informatica, 35,9%; attività di R&S, 13,7%; attività dei servizi d’informazione, 9,1%), il 17,7% opera nel manifatturiero (su tutti: fabbricazione di macchinari, 3,1%; fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 2,8%;), mentre il 3,2% opera nel commercio.

Dunque la pandemia non ha rallentato la nascita delle imprese italiane innovative grazie anche al programma sponsorizzato dal Governo italiano nel giugno del 2020, che prevede un investimento di 1 miliardo di euro e la creazione di una divisione dedicata all’ecosistema delle startup. Inoltre, il Ministero dello Sviluppo Economico ha lanciato l’Italian Startup Act per promuovere incentivi fiscali su investimenti e attività di ricerca e sviluppo.

ibm

Gli Stati Uniti autorizzano i droni a guida autonoma senza controllo umano

Negli Stati Uniti l’Agenzia Federale per l’Aviazione FAA approva i voli di droni a guida autonoma, senza il controllo dell’uomo. Un’evoluzione che apre nuovi margini di sviluppo produttivo del settore dei droni commerciali, con un mercato del valore di 100 miliardi di dollari, ma allo stesso tempo rende necessaria una normativa innovativa per la gestione dello spazio aereo.  

La prima azienda ad ottenere l’autorizzazione è l’American Robotics, con la concessione di far volare il quadricottero Scout System, dotato di intelligenza artificiale, “oltre la diretta osservazione umana” (Beyond-Visual-Line-of-Sight, BVLOS), senza essere pilotato manualmente, in maniera autonoma.

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Droni a guida autonoma: ricerca e sviluppo e indagini di mercato

Un’autorizzazione consentita “nell’interesse pubblico”, come sottolinea la FAA nel documento ufficiale prodotto dal Dipartimento dei Trasporti e della Sicurezza dell’aviazione USA. I droni, infatti, saranno utilizzati soprattutto per finalità di ricerca e sviluppo, addestramento e indagini di mercato, in aree rurali, alla luce del giorno, nelle zone a basso traffico e ad un’altitudine inferiore a 120 metri.

“Un’autorizzazione del genere avviene nell’ambito circoscritto della sperimentazione, paragonabile a quanto sta accadendo nel settore dell’automotive a guida autonomaesordisce Luca Mastroianni, co-founder di Getadroner ed esperto del settoreSi tratta di una doppia innovazione, soprattutto.

È la prima fase di utilizzo dei droni per scopi commerciali, oltre la diretta visione dell’uomo, ovvero senza un pilot in command (PIC). La concessione della FAA apre notevoli opportunità dal punto di vista commerciale, in termini di produttività, perché riesce ad immaginare un collegamento aereo per ispezioni, ricerca, delivery, senza la presenza dell’uomo. È un’occasione enorme di efficientamento, inoltre, perché permette di realizzare missioni continue”.

droni a guida autonoma - Luca Mastroianni

Luca Mastroianni, Co-Founder Getadroner

Le opportunità del nuovo scenario

Nuovi scenari di utilizzo, ma anche tre diverse sfide, secondo Mastroianni: tecnologiche, regolamentari e di responsabilità.  “Una competizione hi-tech, in primis. Approvare questo test significa che la tecnologia ha sviluppato sensori avanzati di “situational awareness” per verificare la presenza di ostacoli sul percorso e offrire informazioni su come aggirarli, simili a quelli delle auto a guida autonoma, inseriti di recente anche in alcuni smartphone – continua Luca Mastroianni – Sarà una verifica attuata su corridoi individuati, definiti, da uno specifico punto A di partenza ad una destinazione B, dove tutto è controllato per rendere operativi i droni. In questo caso specifico, sarà indispensabile l’implementazione del nuovo sistema di monitoraggio del traffico aereo UTM (Unmanned Traffic Management) a pilotaggio da remoto. Attualmente lo spazio aereo è regolato da controllori e torri che autorizzano. Il volo autonomo potrebbe far crescere la circolazione di droni, la cui gestione non può essere più manuale. Indispensabile, quindi, un sistema scalabile, che superi il processo di controllo dell’essere umano. Ci sono diversi progetti negli States e in Europa impegnati su questo fronte, tra cui U-Space per la sicurezza e l’automazione, la cui finalità è regolare l’accesso sicuro ed efficiente dei droni nello spazio aereo”.

droni a guida autonoma

La terza sfida prioritaria consisterebbe anche nella responsabilità legale e nella predisposizione di un quadro normativo. “Cosa accade quando non c’è più un uomo al comando, ma il volo è pilotato da un algoritmo? Chi è il responsabile? Pone un interrogativo enorme sotto il profilo assicurativoinsiste Mastroianni – Chi restituisce il danno? Quindi l’azione della FAA negli Stati Uniti va inquadrata come una sperimentazione a cui anche l’Italia partecipa. L’effetto sarà una crescita commerciale, ma è inverosimile immaginare il volo nei cieli senza norme e limiti, perché si rischierebbero collisioni con altri oggetti volanti, ultraleggeri o paracadute. I rischi sono enormi, il presupposto della diffusione dei droni è subordinato ad una nuova regolamentazione dello spazio aereo”.

Le linee guida della FAA in USA

La Federal Aviation Administration FAA, nel definire le linee guida, i limiti e le condizioni per l’autorizzazione all’American Robotics, prevede anche la presenza di un pilota da remoto in comando (PIC) per ogni volo di un aereo senza pilota (UAS), chiamato a garantire la sicurezza durante l’intera fase di volo e ad intervenire in caso di emergenza, oltre a conservare tutte le informazioni.

La possibilità di disporre di dati critici durante le ispezioni, potrebbe provocare un effetto economico positivo, secondo la FFA, in particolare su agricoltura, trasporti, estrazione mineraria, tecnologia, con una riduzione dell’impatto ambientale.

Il PIC remoto dovrà controllare il piccolo drone autonomo, per determinare che si trovi in condizione di funzionamento sicuro, attraverso un’ispezione preliminare, e in un ambiente operativo considerando i rischi per persone e cose nelle immediate vicinanze sia in superficie che in aria, incluse le condizioni meteorologiche, lo spazio aereo locale ed eventuali limitazioni al volo. Washington però chiarisce che questa autorizzazione non è valida per le operazioni al di fuori degli Stati Uniti.

 

La Cina ridimensiona i giganti fintech e intanto Jack Ma torna in un video

  • Cosa bolle nella pentola dell’attualità finanziaria cinese? Una lotta tra titani, da una parte i Big del Fintech dall’altra il governo di Xi Jinping
  • Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, che si era improvvisamente eclissato dopo un “vivace” botta e risposta tra Ant Group e gli organi di controllo bancari, è ora comparso in un breve video

 

Se in Occidente è il “caso WhatsApp” a tenere banco, in Cina l’attualità finanziaria vive un momento di incertezza relativa alla stabilità dei giganti della tecnologia. Di contorno, la misteriosa “spy story” che ha coinvolto Jack Ma.

Dov’era finito Jack Ma

Partiamo da qui: Jack Ma, il fondatore di Alibaba nonché quarto uomo più ricco della Repubblica Popolare Cinese, si è eclissato dalla scena pubblica per quasi tre mesi. A novembre sarebbe dovuto comparire come giudice finale di Africa’s Business Heroes, un TV show da lui stesso ideato. Dopo questa lunga e pesante assenza, è tornato a mostrarsi in un video rivolto agli insegnanti delle zone rurali.

Cina è pronta a ridimensionare i giganti fintech

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Nel frattempo, il fondatore del gigante tecnologico cinese è stato sostituito dall’Executive Vice Chairman del gruppo Alibaba, che ha giustificato il cambio di programma last minute con un “conflitto di programmazione”. Questo non ha fatto altro che suscitare ulteriori dubbi sull’assenza dalla scena pubblica di Mr. Ma. Perché?

Jack Ma, Alibaba e l’antitrust cinese

Il 24 dicembre 2020 le autorità antitrust cinesi hanno annunciato ufficialmente di aver aperto un’indagine nei confronti di Alibaba Group. Il motivo? “Sospetto di pratiche monopolistiche”. Il colosso fondato da Jack Ma è stato accusato di aver costretto i venditori a firmare “accordi di negoziazione esclusiva” per evitare che gli stessi prodotti messi in vendita su Alibaba venissero venduti anche su siti web concorrenti. E non è tutto.

Sempre durante la vigilia di Natale, altre quattro agenzie cinesi di regolamentazione finanziaria, tra cui la Banca Popolare Cinese, hanno annunciato uno «yuetuan», un “richiamo”, per approfondire la situazione di Ant Group, braccio finanziario del gruppo Alibaba.

Ant (già Ant Financial Services) è il gruppo fintech a cui appartiene Alipay, la più grande piattaforma mondiale di pagamenti online lanciata nel 2004 da Jack Ma e che mette a disposizione carte di credito e di debito, prodotti d’investimento, crowdfunding, credit scoring e diversi servizi bancari online.

Alipay è stata una vera rivoluzione nei sistemi di pagamento cinesi: dai pagamenti con QRCode alla gestione del conto corrente e trasferimenti peer-to-peer. Per arrivare a questo, Alipay ha stipulato accordi di fornitura con i maggiori istituti di credito internazionali. Si può considerare uno dei progetti meglio riusciti di Mr. Ma e Alibaba.

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Jack Ma

La più grande IPO della storia

Il 5 novembre 2020, sui mercati finanziari di Shanghai e Hong Kong, sarebbe dovuta andare in scena l’IPO di tutte le IPO, l’Initial Public Offering di Ant Group. Quel giorno Ant avrebbe potuto frantumare ogni record, ricevendo richieste per più di 3.000 miliardi di dollari a fronte di un’offerta di 37 miliardi di dollari in azioni.

Un valore smisurato, estremamente più elevato di JP Morgan e di tutte le grandi banche statali cinesi. La strada per il successo sembrava nuovamente spianata per Jack Ma, già precursore dell’eCommerce e di molte innovazioni digitali che hanno trascinato la Cina verso la nascita di un nuovo sistema economico-finanziario che non ha più bisogno di reggersi su banconote per il suo immenso giro d’affari. Tuttavia le cose non sono andate come dovevano.

A meno di 48 ore dall’apertura dell’offerta pubblica, i regolatori antitrust avevano intrapreso la decisione di sospendere l’IPO, sollevando preoccupazioni sui servizi di microprestito offerti da Ant Group. I regolatori cinesi avevano infatti annunciato, a ridosso del 5 novembre, un rafforzamento delle regole cui devono sottostare le società online del micro-lending.

La decisione di sospendere la quotazione in borsa di Ant, non solo per il suo particolare tempismo, è stata vista come un primo tentativo da parte delle autorità cinesi di frenare l’eccessivo potere delle grandi aziende tecnologiche del paese. Secondo il Wall Street Journal una scelta dettata dal diretto impulso del Presidente cinese Xi Jinping.

“Se queste norme entreranno effettivamente in vigore l’industria online micro-lending sarà pesantemente ridimensionata e le Internet companies che si stanno espandendo aggressivamente con la loro attività dei prestiti saranno duramente colpite” ha affermato Dong Ximiao, chief analyst di Zhongguancun Internet Finance Institute.

Jack Ma

Il Partito

In realtà, molti sono convinti che la vera ragione alla base della decisione delle autorità cinesi, abbia origine da un discorso tenuto da Mr. Ma il 24 ottobre 2020.

Il magnate aveva criticato aspramente l’atteggiamento delle autorità e del sistema bancario cinese. Jack Ma si sarebbe lasciato andare a frasi come “le banche cinesi hanno operato con una mentalità da banco dei pegni” oppure “innovare senza correre rischi equivale a non innovare. Spesso, evitare i rischi è la politica più rischiosa”.

Da quel momento, il governo cinese ha introdotto nuove e ancor più rigide regole antitrust in tutto il settore tecnologico che hanno innescato un calo di circa 140 miliardi di dollari pari al 17% del valore di mercato complessivo di Alibaba. La guerra tra Mr. Ma e il Partito non ha fatto che peggiorare.

Il retroscena è stato ricostruito dal Financial Times che ha raccontato di una richiesta del partito (di cui anche Jack Ma fa parte) volta a limitare la portata dell’IPO, così come riportato dalle parole di Chen Long, presidente della CONSOB cinese:

Gli imprenditori di internet, compreso Ma, non devono superare le frontiere dell’interesse del partito. Il governo li tutelerà solo nella misura in cui serviranno l’interesse nazionale.

Il Pcc ha sempre visto con sospetto l’influenza oltre misura dei grandi capitani d’impresa cinesi. A maggior ragione quella costruita da un miliardario carismatico ormai noto anche sul fronte occidentale per essere un “visionario della tecnologia”.

Ridimensionare i giganti fintech cinesi: chi vince la guerra di potere

Jack Ma fintech

In campo ci sono due forze contrapposte: il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping e il gigante tecnologico Alibaba.

Una rottura definitiva non converrebbe a nessuna delle parti ma la bilancia, ora come ora, pende chiaramente dalla parte del governo cinese. Da una parte il presidente non può tollerare un dissidio interno così clamoroso, ma dall’altra non ha interesse a sacrificare i vantaggi che Ant Group, con la sua capillare rete di utenti, ha portato sia al sistema, grazie a un forte aumento della produttività e al boom dei piccoli business, sia ai singoli consumatori.

Ad essere precisi, l’“affaire Ant” non è tanto la storia di un geniale imprenditore tech vessato da un governo liberticida quanto quella – d’attualità anche in Occidente – di piattaforme digitali che fanno incetta di dati dei clienti e, con la loro dimensione, rischiano di ostacolare alcune forme di controllo da parte delle autorità garanti.

Da questo punto di vista l’app di Ant è un’autentica idrovora di dati personali: debitori, creditori, abitudini di consumo, viaggi, pagamenti di utenze e così via. Insomma un’argomento caldo che ormai dovrebbe essere ampiamente noto anche dalle nostre parti.

Nonostante i dubbi sulla gestione dei dati privati, mandare in malora il gioiello creato da Ma sarebbe controproducente per la stessa crescita economica cinese. Ed è altresì difficile che il presidente Xi Jinping scelga di affossare Ant a vantaggio dei burocrati bancari. Intanto Mr. Ma deve stare attento a non oltrepassare i limiti della pazienza dei mandarini del Partito.

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Il mistero continua

Non si conosce con esattezza il motivo della “pausa” del magnate di Hangzhou, ma sono state avanzate diverse ipotesi.

La prima, quella più probabile: in un momento per lui estremamente delicato sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico, Jack Ma ha scelto un profilo basso. Se non bassissimo, tanto da smettere di pubblicare sul suo account Twitter (il suo profilo tace dal 10 ottobre).

La seconda, quella meno plausibile: sarebbe stato trattenuto dalle autorità cinesi e accusato di aver violato la legge con le sue dichiarazioni del 24 ottobre. Una sorta di “rieducazione” del sovversivo e delle sue manovre finanziarie in favore di Ant.

Per ora, stando a quanto riporta il Financial Times, Jack Ma sta bene e si è semplicemente ritirato dietro le quinte per paura della pandemia e non del presidente Xi. Il duello a distanza tra i due imperatori cinesi è destinato a proseguire, almeno per evitare una rottura definitiva che non conviene a nessuno. La partita vede ora in vantaggio il Presidente cinese avanti di un punto nella manovra anti-monopolistica contro i giganti dell’hi-tech.

 

Credits immagine di copertina: Jack Ma – Photographer: Tomohiro Ohsumi/Bloomberg

streetwear in cina

I numeri dello Streetwear in Cina: sul podio Supreme, Nike e Off-White

  • Tra i consumatori di streetwear, il 60% proviene da Cina, Corea e Giappone. La Cina, tra questi, è il mercato con maggiore complessità di adattamento di marketing
  • Il consumatore di streetwear in Cina è più attento ai fattori di presenza social del brand e esperienza online rispetto alla media e più incline a una spesa maggiore
  • Tra i brand stranieri di streetwear in Cina i best in class sono Nike e Adidas, tra i rimandati al prossimo appello Supreme, Off-White, Vetements

 

Ormai non si può più ignorare né relegare a sotto-cultura: lo Streetwear è un segmento sempre più importante per il mondo del fashion. Secondo le stime più attuali di PwC è un settore che vale 185 miliardi di dollari, circa il 10% del totale del fatturato Apparel & Footwear.

Ma al di là dei dati quantitativi, se ci si guarda intorno è facile accorgersi di quanto lo Streetwear sia sempre più in vista: dalla collaborazione di Louis Vuitton e Supreme, North Face e Gucci e al sorprendente successo della limited edition di Lidl.

Streetwear in Cina: a che punto è il marketing dei big oltre Muraglia?

Come abbiamo visto nell’articolo sull’ABC dello Streetwear, tra i risultati delle analisi relative al target vi era una preponderanza geografica in Corea e in Cina. Questa analisi, data la vastità del mercato e la crescente importanza dei suoi consumatori per l’industria fashion, sarà invece dedicata allo state of art dello streetwear in Cina.

Con buona pace della Corea, che sebbene al primo posto tra le provenienze geografiche dei fan dello streetwear, ha quasi un miliardo in meno di potenziali consumatori (fascia 15-54 in Cina, dati Index Mundi 2018) e un e-commerce a valore di “soli” 46 miliardi (la Cina li ha fatturati in un paio di giorni durante l’ultimo Single Day).

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Fashion e Cina: un connubio esplosivo non solo per lo streetwear

Prima di addentrarci nelle strategie di marketing dei brand streetwear in Cina, concentriamoci un po’ sul contesto. Secondo i dati Statista più aggiornati le revenue del settore fashion 2021 in Cina avranno un valore di 330.633 milioni di dollari. Nel 2025, secondo le stime del CAGR 2021-2025, il valore dovrebbe arivare a 454.046 milioni, con uno sbilanciamento del fatturato sul segmento Apparel (con una proiezione di 310.915 milioni nel 2025).

Streetwear in Cina_Valore Fashion_Statista

Proiezione valore Fashion Industry, dati aggiornati post Covid (Statista 2020)

Oltre al valore del mercato, un dato interessante è quello relativo al numero di utenti del settore: a essere in cerca di Apparel saranno 873 milioni nel 2025. Quelli dell’e-commerce, per intenderci, sono già oggi 926 milioni e saranno 1 miliardo e 2 entro 5 anni. Perciò, se già oggi c’è quasi un pareggio tra vendite online e offline (52% versus 48%), in futuro in Cina ci sarà un 55% solo su online (Statista, 2020).

Streetwear in Cina_Sales Channel_Statista

Proiezione divisione vendite online-offline Statista 2020 (dati aggiornati post Covid)

Anche il target d’età sarà quello giusto: oggi il 50% degli utenti fashion ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni.

Streetwear in Cina: attenzione ai social e all’esperienza offline

Tra i dati che il report di PwC e Hypebeast mettono a disposizione (2019) è possibile estrapolare le risposte dei più di 40.000 partecipanti per paese. Ed è quello che faremo, a partire da uno dei dati che interessa di più le aziende di streetwear, cioè i fattori alla base della scelta di un prodotto.

Troviamo al primo posto la qualità e il design del prodotto (81%), seguito da Brand Legacy (63%), Creative Director (49%), immaginario contro-corrente del brand (33%), presenza social media (31%), valore resell (25%) e esperienza offline (8%).

In Cina, troviamo lo stesso podio ma una diversa distribuzione dei valori: al quarto posto la presenza social (41%), seguito da immaginario contro-corrente (33%), valore resell (23%) e esperienza offline (13%). Oltre la Muraglia, apparentemente hanno un rilievo maggiore la presenza social e l’esperienza offline. Imprevedibile? No, anche perché la prima scelta di utente social cinese non è Instagram, ma WeChat.

Streetwear in Cina_Fattori interesse

Fonte: Hypebeast & PwC (2019)

A riprova di ciò, mentre il 94% dei rispondenti USA ha indicato Instagram come quasi unica piattaforma di utilizzo per la ricerca di informazioni, in Cina l’86% ha dichiarato di utilizzarla, con l’aggiunta di un 40% che ha indicato WeChat. Probabilmente, se i brand di streetwear cominciassero a comunicare propriamente anche sui social occidentali, il divario sarebbe maggiore.

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Perché e quanto si acquista lo streetwear in Cina

Se si confrontano le risposte al quesito “Perché ti piace lo streetwear” tra consumatori occidentali (USA e EU) e asiatici, emerge un’altra forte differenza di consumo. Mentre i primi sono molto legati al senso di Community (40% lo ha messo in cima alla lista), in Asia solo il 12% lo reputa un fattore chiave. Di contro, il 41% di consumatori cinesi e giapponesi ha indicato il “political statement” come key factor.

Anche in termini di spesa, ci sono delle differenze tra West e East:

  1. Meno di 100 dollari al mese: West 33%, East 21%
  2. 500-1.000 dollari al mese: West 9%, East 18%

Insomma, gli asiatici spendono di più, anche per singolo prodotto: tra i rispondenti coreani e cinesi, il 20% spende tra 300 e 500 dollari per prodotto, mentre la media occidentale (USA e EU) si attesta tra i 100 e i 300 (61% rispondenti). Un bel target, quello cinese.

I numeri dei Top of Mind

Nel 2019, i brand Top of Mind sono risultati essere nell’ordine Supreme, Nike, Off-White, Adidas, Bape, Stussy, Carhatt, Vetements e Palace.

Vediamo quali sono i canali di marketing presidiati in Cina:

Streetwear in Cina_Chart

Presidio dei canali digital per i brand di streetwear in Cina. Raccolta ed elaborazione dati a cura di Emilia Cozzocrea e Cecilia Lorusso (gennaio 2021)

Streetwear in Cina: Nike & Adidas Best in Class

Per interpretare questa tabella realizzata, un paio di cenni ai must have del marketing in Cina: un sito web tradotto e hostato in Cina, un presidio su Baidu (motore di ricerca principale in Cina) tramite campagne PPC, WeChat, Weibo e altri canali social per generare awareness e un miniprogram o uno store su Tmall per vendere. Si tratta di una check list semplificata (per alcuni può essere interessante valutare altri marketplace o strategia), ma dice molto del grado di localizzazione del marketing dei brand.

Come possiamo vedere dalla chart, i best in class sono evidentemente Nike e Adidas, che forti anche di una presenza fisica importante, hanno implementato tutti i canali possibili in Cina. In tabella non è riportato il loro canale su JD.com, altro leader marketplace in Cina.

Streetwear in Cina_Nike

Il miniprogram WeChat di Nike

Streetwear in Cina: Supreme, Off-White e Vetements rimandati al prossimo appello

Invece, dando uno sguardo a chi è bravo ma non si applica, spiccano tra i meno presenti Supreme, Off-White e Vetements. Soprattutto i primi due, che in Cina hanno un grandissimo successo, si trovano in una situazione particolarmente caotica.
Oltre a non avere un sito web in lingua, non hanno nessun canale social di proprietà, permettendo in questo modo ai rivenditori più o meno (meno) autorizzati di aprirne di non ufficiali. Tali canali, che recano comunque spesso anche la dicitura “official”, lasciano piena libertà di comunicare sul brand. Un’occasione sprecata di Brand Awareness ma anche un forte rischio. Stesso tema per l’e-commerce: dove i brand non hanno aperto un proprio flagship store, arrivano i rivenditori non autorizzati, che rivendono il prodotto senza nessun controllo da parte dell’azienda.

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La triste storia di Supreme in Cina

Ma forse, il più sfortunato tra tutti in Cina è Supreme, che oltre ad avere innumerevoli account social fasulli, ha dovuto anche risolvere un problema ben più grande: quello di un fake store Supreme a Shenzhen.

La storia risale al 2018, quando ancora Supreme non aveva depositato il marchio in Cina. A farlo, è stato Supreme Italia, un’azienda inglese che ai tempi aveva sfruttato questa “disattenzione” da parte di Supreme per registrare il marchio Supreme Italia e aprire flagship store del brand in Cina. Com’è finita la vicenda? A maggio Supreme ha vinto la causa e ha registrato il marchio in Cina, ma il caso è aperto. Ad oggi, la piazza digital è ancora lasciata al caso.