Illimity e il gruppo Sella stanno dando vita a una joint venture nell’open banking finalizzata al rafforzamento di Hype, la soluzione digitale con funzioni di conto bancario e di sistema di pagamento.
Illimity entrerà nel capitale di Hype che diventerà una jv paritetica (al 50%) con Fabrick, società del gruppo Sella che detiene il 100% di Hype, che già serve 1,3 milioni di clienti.
“Allo stesso tempo, l’operazione ha l’obiettivo di accelerare i piani di sviluppo di Illimity nello specifico segmento, facendo della fintech la realtà italiana a più elevato potenziale di sviluppo nei servizi di light banking e quelli di Fabrick come abilitatore di Open banking e di progetti fintech di nuova concezione” si legge in una nota congiunta.
Cosa prevede l’accordo tra illimity e Gruppo Sella
L’accordo prevede che Illimity, guidata da Corrado Passera, sottoscriva un aumento di capitale per Hype da 30 milioni di euro e conferisca alcuni asset alla stessa società. Fabrick conferirà azioni Hype a Illimity in cambio di una nuova emissione per un controvalore di 45 milioni di euro. Inoltre Fabrick avrà il diritto di ricevere altre azioni Illimity pari al 2,5% a condizione di obiettivi di redditività raggiunti da Hype nel 2023-24.
Per quanto riguarda gli accordi tra le parti, l’operazione prevede che Banca Sella Holding sottoscriva per cassa al perfezionamento dell’operazione un ulteriore aumento di capitale sociale in Illimity per 16,5milioni di euro, con esclusione del diritto di opzione (pari al 2,5%), per una partecipazione complessiva del gruppo Sella al perfezionamento dell’operazione del 10%.
Per effetto dell’operazione, Illimity emetterà complessivamente fino a 9,4 milioni circa di nuove azioni, di cui 7,3 milioni circa al perfezionamento dell’operazione e ulteriori 2,1 milioni complessivi entro il 2025 condizionati al raggiungimento dei predetti obiettivi di piano industriale di Hype di lungo periodo.
Il prezzo di emissione delle nuove azioni Illimity è di 8,337 euro e il perfezionamento dell’operazione è atteso entro la fine del 2020.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/illimity.jpg6091236Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-09-28 14:56:282020-10-02 18:41:00illimity e Gruppo Sella danno vita a una joint venture nell'Open Banking
La creatività e il design tornano, dopo lo stop del Coronavirus, in città e online
L’evento, evoluzione della Fall Design Week, intende promuovere la cultura del progetto, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani
Milano non rinuncia al design, il Fuorisalone, rinviato causa Covid, torna a Milano dal 28 settembre al 10 ottobre. La design week (prevista per lo scorso aprile) lascia il posto a Milano Design City: un’edizione autunnale che esplora la cultura del design e dell’innovazione attraverso talk, incontri e tavole rotonde in giro per il capoluogo lombardo.
Ritorna a essere settembre il mese del design, con un evento territoriale che unirà virtuale e reale. Un’opportunità unica per inventare nuovi modi di parlare di design, per definire un modello di comunicazione che ibriderà gli spazi digitali e fisici.
L’esigenza di comunicare il design nella nuova normalità post-Covid
Il Fuorisalone è quel rivoluzionario processo che ha portato il business dell’arredamento fuori dal contesto più istituzionale dei padiglioni fieristici, alla ricerca di spazi e modalità espositive inediti.
La pandemia ha creato uno scenario nuovo e inimmaginabile. Nel frattempo i linguaggi visivi e i codici che utilizziamo per comunicare si stanno evolvendo rapidamente e i tentativi di riprodurre in maniera virtuale un evento di tale portata sono ancora incerti.
Seguendo il format proposto dal Comune di Milano, l’evento diventa un’evoluzione della Fall Design Week degli ultimi quattro anni. La nuova edizione autunnale propone alla città due settimane di eventi, workshop, talk e mostre dedicate al design in showroom, musei e gallerie.
Design City Edition si concentra sul tema della cultura del design e dell’innovazione, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani.
Un nuovo appuntamento per promuovere la cultura del progetto e rilanciare la vocazione di Milano come punto di riferimento per il design internazionale grazie ad un ricco calendario di iniziative digital, con nomi rilevanti del settore industriale e dell’arredo.
La partecipazione sarà sia in loco che online: la piattaforma digitale rimarrà attiva per arricchire i contenuti e promuovere i brand non operanti sul territorio.
Attraverso la sinergia di diverse discipline artistiche e creative, l’evento intende affrontare una rilevante pluralità di temi come quelli dell’economia circolare, del riuso e della sostenibilità.
Di vitale importanza il supporto degli operatori del tavolo interzone (le zone e i distretti di Milano attivi sul territorio durante tutto l’anno) nell’organizzazione dell’evento. Spazio anche alla progettazione internazionale e alle riflessioni sui nuovi modi di intendere gli spazi urbani e la mobilità delle persone nelle città.
Milano Design City l’edizione autunnale del Fuorisalone
Brera Design District propone un percorso per coinvolgere gli showroom attivi e organizzare talk e tavole rotonde. In occasione di Fuorisalone Design City Edition in Brera saranno inaugurati e aperti al pubblico nuovi showroom, tra questi:
Il nuovo spazio aziendale Marsotto, disegnato da studio Nendo, caratterizzato dalla leggerezza delle linee, rende omaggio alle molteplici produzioni del brand, da sempre dedicato alla trasformazione di marmi e pietre naturali;
Mutina presenta Mattonelle Margherita, la nuova collezione realizzata dall’artista Nathalie Du Pasquier, Casa Mutina ospiterà un allestimento ad hoc, attraverso cui il pubblico avrà modo di sperimentare in prima persona l’universo vibrante che caratterizza la collezione.
Tra le principali zone del design, percorsi tematici e collettive in:
Distretto Durini con Inspire Design si ripropone in maniera coesa come distretto del design in città e promotore della ferma volontà di ripresa. La zona, forte dell’alta concentrazione di flagship store di importanti aziende del settore, sarà animata da presentazioni di prodotto e di ambienti esclusivi. La RE-START vedrà la presenza di numerosi architetti e designer di rilievo, con momenti di confronto e dibattito sulla cultura del progetto. Gli showroom si trasformeranno in veri “atelier di bellezza diffusa” in cui si potrà nuovamente respirare la leggerezza del lifestyle tra i più esclusivi al mondo.
5VIE D’N’A – Design ‘n’ Art for a Better World: un calendario di circa 50 eventi digitali (esposizioni, performance, dibattiti) e una ventina in presenza, su temi come l’innovazione sociale e l’economia circolare, espressi attraverso il design, le arti visive, la musica e la poesia.
Isola Design District, secondo l’iniziativa Isola Open Studios, aprirà le porte al pubblico di studi, laboratori e gallerie, programmando incontri per parlare di design sostenibile e biomateriali.
Dopo l’edizione di giugno, Tortona Rocks parteciperà anche a Milan Design City per esplorare la ridefinizione degli spazi lavorativi e della mobilità urbana all’interno dell’Opificio 31.
Tra gli altri progetti proposti in occasione di Milano Design City, presso i chiostri del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia appena restaurati grazie al contributo del Comune di Milano e di Regione Lombardia, due differenti iniziative dedicate alla cultura del design a cura della Galleria Rossana Orlandi:
“We Are Nature”, esposizione dedicata all’arte e al design responsabile dove le opere sono create in armonia con la convivenza tra uomo e pianeta e nel rispetto della natura;
“RO Plastic Prize 2020” il “Premio Internazionale” dedicato ai temi del riuso e del riciclo della plastica ed esposizione dei progetti finalisti.
Un post condiviso da Rossana Orlandi (@rossana_orlandi) in data:
Il programma del Fuorisalone d’autunno è online insieme alla guida eventi con mappa interattiva dedicata al territorio secondo il modello tradizionale proposto da Fuorisalone.it.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/milano-design-city-1.jpg600900Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2020-09-27 17:26:392020-09-30 22:14:11Milano non rinuncia al design e al Fuorisalone, arriva Milano Design City
Nell’arco di un ventennio Netflix ha cambiato radicalmente tempi e modi di fruizione dei prodotti audiovisivi.
Nella realtà dei fatti, la sua nascita non fu esattamente frutto di un colpo di genio.
Il “mito” della fondazione di Netflix risale a metà degli anni ’90, quando Reed Hasting, uno dei due founder, si trovava a dover pagare a Blockbuster una penale di 40 dollari per aver restituito in ritardo la videocassetta di Apollo 13. In seguito a quell’episodio, avrebbe iniziato a riflettere sulle possibilità offerte dal mercato dei dvd, allora in ascesa e ancora poco diffuso.
Nella realtà dei fatti, la nascita di Netflix non fu esattamente frutto di un colpo di genio, come ha raccontato Marc Randolph, l’altro founder e CEO di Netflix in un libro di recente pubblicazione, That will Never work.
Le epifanie sono rare. E quando compaiono nelle storie sulle origini, sono spesso troppo semplificate o semplicemente false. Ci piacciono questi racconti perché sono in linea con un’idea romantica di ispirazione e genialità. Ma la verità di solito è più complicata di così.
Quando diedero vita a Netflix, Hashting e Randolph avevano lavorato insieme già per diversi anni da Pure Atria, la software house nella Silicon Valley gestita dallo stesso Hastings, prima che Pure Atria fosse acquisita a sua volta da Rational Software.
Sempre Randolph ha raccontato che la società è stata fondata nel 1997 quando lui e Hastings decisero di creare “the Amazon of something”, e quel qualcosa fu il primo servizio online di noleggio di dvd.
Convertito nell’arco di un decennio dal noleggio allo streaming, Netflix conta ad oggi 151 milioni di abbonati in 190 paesi, con un fatturato di 20,16 miliardi di dollari e un valore azionario di 470,61 dollari (23 settembre 2020).
Nel 1998 Reed Hastings era un imprenditore trentacinquenne che aveva appena venduto Pure, la sua software house, con profitti milionari. Insieme a Marc Randolph, che vantava già ai tempi una brillante carriera come consulente e investitore nella Silicon Valley, aprirono la piattaforma netflix.com, dove si potevano noleggiare online film in formato dvd, che venivano consegnati a domicilio entro 3 giorni lavorativi.
Gli utenti potevano sfogliare una libreria e ricevere il film comodamente a casa a un prezzo accessibile, e poi rispedirlo dopo averlo guardato.
Lanciato inizialmente come “Kibble”, Netflix è un sevizio nativo digitale, che ha offerto una prima alternativa al noleggio tradizionale, mettendo in crisi colossi come Blockbuster.
Nel giro di un decennio, infatti, Blockbuster vide i propri affari crollare, per poi dichiarare bancarotta nel 2010 e sparire completamente dalla circolazione 3 anni dopo.
E pensare che esattamente 10 anni prima il CEO di Bluckbuster aveva liquidato una proposta di collaborazione da parte di Reed Hastings e sempre nello stesso periodo rifiutò di comprare Netflix per 50 milioni di dollari. Ad oggi, Netflix ha una capitalizzazione di mercato di 209,74 miliardi di dollari (luglio 2020).
La svolta streaming
In quegli anni, in parecchi avevano fiutato la nuova opportunità di business, non solo per il noleggio per posta, ma anche per i primi servizi di download a pagamento, Amazon e Apple in prima linea.
Dal lato suo, Netflix ha sempre saputo distinguersi per la personalizzazione del servizio: fin dal 2001 è stata introdotta sulla piattaforma la sezione “consigliato per te”, che utilizzava le valutazione degli utenti per intercettare i gusti e anticipare le scelte.
Ma la vera svolta è avvenuta nel 2007 con il lancio del servizio streaming “Watch now”, che consentiva di guardare istantaneamente film e programmi televisivi sul loro computer. Gli utenti avevano accesso ad un massimo di 18 ore di streaming gratuito, numero variabile in base al piano di abbonamento dell’utente.
Lo streaming fu lanciato inizialmente come plus per gli abbonati al noleggio per posta e accessibile dallo stesso account, ma era chiaro da subito che sarebbe stato il futuro dell’intrattenimento: alla fine del 2007 Netflix aveva 7,5 milioni di abbonati con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente.
La debacle di Qwikster
Nonostante le intuizioni fossero quelle giuste fin dall’inizio, la storia di Netflix non è stata sempre una vie en rose.
Nel 2011 Hastings decide di scorporare il servizio streaming da quello del noleggio di dvd, che rese accessibile separatamente, con il nome di Qwuikster. I due servizi avrebbero avuto due account diversi e il piano tariffario sarebbe variato in base al servizio o al pacchetto di servizi selezionato.
In pochi mesi la piattaforma aveva perso circa 600 mila abbonati e le azioni della società metà del valore.
Nonostante ciò, Hastings decise in un primo momento di mantenere una linea dura, tenendo separato il servizio di noleggio, ma circa un mese dopo dovette arrendersi al malcontento del suo pubblico e abbandonare i suoi piani per Qwikster.
Il 2017 è un altro anno nero per Netflix
Anche il 2017 è stato un anno tutt’altro che roseo. All’inizio dell’anno Netflix introduce la funzione di download e subito dopo si ritrova nel mezzo di un’azione legale per la violazione di un brevetto depositato nel 2000, che ha coinvolto anche altre piattaforme tra cui SoundCloud, Vimeo, Starz, Mubi e Studio 3 Partners. La causa fu intentata da Blackbird Tech, una piccola società cosiddetta patent troll, ovvero che non svolge nessuna attività, ad eccezione di detenere brevetti generici per puoi muovere azioni legali contro altre aziende.
Per concludere l’anno in bellezza, Netflix commette un errore, abbastanza grave per un brand del suo calibro che comunica sui social. In un tweet, si rivolge direttamente a 53 utenti che all’inizio di dicembre avevano riguardato quotidianamente per diversi giorni la commedia romantica natalizia Christmas Price.
To the 53 people who’ve watched A Christmas Prince every day for the past 18 days: Who hurt you?
Oltre che per i toni, il tweet ha suscitato parecchie reazioni negative, in quanto ha reso lo spettatore molto più consapevole della precisione con cui le sue abitudini di visione vengono monitorate, sollevando preoccupazioni in fatto di privacy.
Cosa ha in serbo Netflix per il futuro
Come scrive Randolph nel suo libro, “per ogni idea buona, ce ne sono mille cattive”. In effetti, la storia di Netflix è stata un po’ una scommessa fin dall’inizio: quando il progetto era ancora al suo stadio embrionale, nessuno dei due founder sapeva dove sarebbe andato a parare.
Tra le idee che Randolph racconta di aver presentato ad Hastings c’erano: articoli sportivi personalizzati, tavole da surf personalizzate, cibo per cani formulato individualmente per il tuo cane.
Tutto ciò che sapevano è che l’attività che stavano avviando avrebbe coinvolto la vendita online, orientandosi da subito verso un servizio che fossa altamente customizzato. Il sistema su cui è basato Netflix porta sempre in evidenza i contenuti che possono interessare all’utente, in base alle sue interazioni.
Attualmente, molti esperti ritengono che il futuro per Netflix potrebbe non essere così radioso, a causa dell’esplosione di altri servizi streaming emersi negli ultimi anni, che sembrano minacciare il suo dominio.
Ma, che questo sarebbe avvenuto, Netflix pareva saperlo già da diversi anni, ragion per cui nel 2018 ha investito ben 12 miliardi di dollari per la produzione di contenuti originali nella sua libreria, circa l’88% in più rispetto al 2017.
Anche per quanto riguarda i suoi piani per il futuro, l’azienda resta orientata verso la produzione in casa di film e serie tv, piuttosto che sull’introduzione di un sistema basato sulla pubblicità, a cui si è opposta fin dal principio.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/Netflix-story-2-scaled-scaled.jpg30534580Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2020-09-25 16:39:012020-09-30 22:12:06L’affascinante storia di Netflix che dovresti conoscere
Questo articolo è scritto da Jason Spero, Vice President, Global Business di Google
Rispetto ai primi mesi del 2020, la nostra vita oggi è molto diversa. Durante il lockdown, l’impiego della tecnologia da parte di aziende e persone è aumentato e ha subito un’accelerazione di circa cinque anni in otto settimane, con un impulso del telelavoro, della didattica a distanza, dell’eCommerce, dei rapporti sociali online. Il tempo trascorso in rete è aumentato come mai prima, e le persone si rivolgono a Google per esplorare, fare ricerche e programmare gli acquisti che effettueranno online e nei negozi fisici.
È un momento difficile per i proprietari di punti vendita fisici, ma massimizzare la propria presenza online può davvero aiutare a raggiungere potenziali clienti che vogliono fare acquisti di persona. Ciò che emerge con chiarezza è la crescente importanza per i clienti di vivere un’esperienza retail fluida tra online e offline.
Jason Spero, Vice President of Global Business at Google
Come stanno cambiando le abitudini di acquisto
Sappiamo che le abitudini di acquisto stanno cambiando: oggi i consumatori sono più attenti nel programmare una visita in negozio ed è cresciuto l’interesse verso le informazioni aggiornate in tempo reale. Le persone vogliono sapere cosa aspettarsi da un punto vendita prima di recarsi sul posto, conoscere gli orari di apertura, la disponibilità di prodotti in magazzino e se è possibile ritirare i propri acquisti.
In Germania, per esempio, abbiamo notato che l’interesse per la ricerca “orari di apertura oggi” è raddoppiato rispetto all’anno scorso. Durante la crisi, le ricerche per le parole “in magazzino” a livello mondiale sono cresciute di oltre il 700% rispetto allo stesso periodo del 2019. Inoltre, le persone ritengono più importante fare acquisti in negozi locali: se consideriamo in questo caso l’Italia, le ricerche contenenti le parole “vicino a me”, infatti, nel corso degli ultimi mesi sono aumentate del 300%.
Recenti studi condotti da Google mostrano che la pandemia ha reso le persone più flessibili riguardo agli acquisti online o offline: il 73% si descrive come indifferente rispetto alla scelta del canale di vendita (dato in crescita del 65% dal periodo pre-crisi). Sebbene la crisi abbia accelerato l’adozione delle tecnologie digitali e le vendite online siano in aumento, secondo quanto rivelato da una nuova ricerca di Euromonitor ci si attende che la gran parte degli acquisti verranno ancora effettuati in negozi fisici entro il 2024 (il 78% del totale, contro il 22% di acquisti online).
Come stimolare la crescita dei negozi fisici, oggi
La missione del mio team è aiutare imprese di ogni dimensione a stimolare la crescita raggiungendo il consumatore ovunque si trovi, online o in negozio, e porre in essere la trasformazione digitale affinché diventi accessibile per più inserzionisti. Uno dei pilastri perché ciò sia possibile è costruire strumenti digitali in grado di facilitare la connessione tra i negozi fisici e i clienti nel momento in cui l’acquirente programma gli acquisti futuri.
A maggio abbiamo lanciato il “ritiro all’esterno” per gli annunci di prodotti disponibili localmente per creare un rapido collegamento diretto tra gli acquirenti locali e i prodotti di cui hanno bisogno, rendendo il ritiro della merce più sicuro e più semplice, senza la necessità di entrare in un edificio.
Dopo 48 ore dall’inizio del lockdown e dalla chiusura dei negozi in Francia, Castorama, retailer francese di prodotti per bricolage, aveva lanciato un servizio di ritiro dall’esterno. Per tenere costantemente informati i propri clienti, Castorama ha aggiornato il proprio profilo Google My Business e ha introdotto per la prima volta la “Panoramica degli annunci di prodotti disponibili localmente”, mettendo in evidenza il nuovo servizio offerto. In questo modo, ha decuplicato le vendite online in dieci settimane.
Anche i nostri annunci per le campagne locali possono incrementare le visite nei punti vendita: lo ha scoperto il discount di abbigliamento tedesco Takko, la cui prima campagna in assoluto, condotta all’inizio di quest’anno, ha generato un aumento del 40% nel numero dei clienti nei negozi. Per rendere ancora più semplice la comunicazione di dettagli importanti per ogni azienda, abbiamo recentemente introdotto gli attributi di servizio nelle campagne locali, grazie ai quali i ristoranti potranno specificare l’offerta di servizi quali la consumazione sul posto o il take away nei propri annunci di campagne locali sulla Ricerca Google.
Presto, inoltre, aggiungeremo alcuni attributi per il commercio al dettaglio, come “shopping in negozio” e “ritiro dall’esterno”. Questa serie di funzionalità aiuterà i clienti a usare gli strumenti digitali per esplorare il mondo che li circonda, fornendo loro sicurezza e rassicurazioni ancora maggiori nel recarsi in un punto vendita fisico.
È fondamentale misurare l’impatto delle campagne online sulle visite in negozio e sulle vendite, ed è per questo che miglioriamo costantemente le funzionalità offerte. Volksbanken, la principale cooperativa di credito in Germania, ha ottimizzato le proprie campagne grazie alle funzioni Visite in negozio e Smart Bidding, generando un incremento del 320% nel traffico delle filiali. Volksbanken ha potuto misurare queste prestazioni grazie ai rapporti sui dati, aggregati e anonimi, forniti da Google.
Oltre a proporre campagne incentrate sull’aumento delle visite in punto vendita, abbiamo iniziato a integrare la misurazione delle vendite in negozio nel nostro prodotto automatico Smart Bidding. Creato con grande attenzione al rispetto della privacy, Smart Bidding permette a retailer e ristoranti di ottimizzare automaticamente le “vendite in negozio” sulla Ricerca Google, proprio come Smart Bidding già permette di fare con le conversioni online e le visite in punto vendita.
Considerando le così tante opzioni disponibili, abbiamo pensato di creare il nostro Advertising Solutions Centre, un semplice hub con prodotti, insights e consigli appositamente pensati per raggiungere i propri obiettivi di marketing, compreso l’aumento delle vendite in negozio.
Ci attendono ancora molte difficoltà in futuro, ma le strategie e gli strumenti di marketing online possono aiutare tutte le aziende a sostenere la ripresa, fornendo le informazioni di cui hanno bisogno per affrontare i cambiamenti in atto nel settore retail.
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Fonti:
Google Trends, IT, prima settimana di aprile vs prima settimana di agosto 2020.
Google, Smart Shopper Research. UAE, IL, RU, SA, ZA, DE, UK, TR, EG, NL, SE. All product buyers of CE, Home, Fashion, Toys. n=11047 (11453). 2019 – 2020.
Euromonitor (custom consulting project for Google). UK, USA, DK, SE, ES, IT, DE, FR, PL, NL. Retail Foresight. n=9577. June 2020.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/nuove-abitudini-di-acquisto-negozi-fisici-online.jpg6861169Ninja Guesthttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Guest2020-09-24 10:30:362020-09-28 17:20:51I negozi fisici possono trarre vantaggio dalla crescita dell’online
Il Prime Day di Amazon si terrà negli Stati Uniti il 13 e 14 ottobre, come suggeriscono alcune email interne trapelate ieri.
Presumibilmente le stesse date varranno anche per l’Italia, ma la data ufficiale si dovrebbe sapere solo domenica prossima, 27 settembre.
Il gigante dell’eCommerce non ha ancora confermato, infatti, dopo aver ritardato l’originale Prime Day, che di solito si tiene a luglio, a causa della pandemia.
Il messaggio ai dipendenti
Secondo quanto riferito da TheVerge un’email interna rivolta ai dipendenti confermava che l’evento annuale di shopping si sarebbe svolto nell’arco di 48 ore (come lo scorso anno), tra il 13 e 14 ottobre.
Un’altra comunicazione indicava poi ai dipendenti del magazzino di Amazon che l’azienda non avrebbe accettato nuove richieste di ferie per il 13-20 ottobre, suggerendo che si aspetta che le spedizioni vengano effettuate soprattutto in queste date, con la necessità quindi di avere tutto il personale a disposizione.
Le fughe di notizie confermano comunque la dichiarazione di Amazon, che era stata costretta ad anticipare che il Prime Day avrebbe avuto luogo nel quarto trimestre, dopo che un manifesto promozionale dell’azienda di elettrodomestici Braun con offerte per il Prime Day “a metà ottobre” era stato diffuso online la scorsa settimana per errore.
Amazon Prime Day e Black Friday
Qualunque sia la data, Amazon probabilmente vuole evitare che le vendite del Prime Day e del Black Friday si sovrappongano. Secondo Tamebay, una pubblicazione per venditori terzi di Amazon, gli accordi del Venerdì Nero dovrebbero iniziare ad apparire su Amazon intorno al 26 ottobre e durare diverse settimane.
Anche in passato il Prime Day è iniziato di lunedì, mentre solo l’anno scorso l’omaggio al consumismo è durato due giorni e, secondo le stime degli analisti, il Prime Day 2019 ha fruttato circa 6 miliardi di dollari.
Reuters ha riferito a luglio che la decisione di ritardare l’evento ha fatto sì che Amazon avesse 5 milioni di dispositivi in più, tra cui la sua popolare linea di altoparlanti intelligenti Echo, che avrebbe dovuto vendere con uno sconto, ma il quinto Prime Day annuale dovrebbe includere molte offerte anche per Apple, oltre ai consueti sconti su televisori, computer portatili, abbigliamento e altro ancora.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/07/amazon-prime-day-2019-2.jpg487882Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-24 07:00:092020-09-25 15:21:52L'Amazon Prime Day 2020 si farà: ecco la data
“I brand devono scendere dalla giostra dei social media”, ha detto Seth Godin
Il dibattito che ha scatenato il documentario The Social Dilemma ha riproposto fortemente la discussione sull’utilità dei social
Alla fine, a cosa deve prepararsi una marca? Certamente a un nuovo cambio di paradigma
Era il 15 febbraio 2019 quando intervistato da Gianpaolo Coletti su IlSole24Ore, Seth Godin faceva una dichiarazione molto forte a proposito dei social media, ma anche alquanto profetica.
«Dobbiamo far scendere i brand dalla giostra dei social media, che va sempre più veloce, ma non arriva mai da nessuna parte. È giunto il momento di smettere di convincere con insistenza e di disturbare o fare spamming, fingendo di essere i benvenuti. Siamo in una fase storica accelerata che non ammette però scorciatoie e occorre concentrarsi su un percorso lungo e sostenibile, tornare all’autenticità, che passa necessariamente dalle esperienze. A meno che tu non stia vendendo teoremi matematici, stai vendendo emozioni. D’altronde siamo umani, non cyborg. Almeno per ora.».
Il Maestro del marketing moderno (dire guru è forse persino sminuente) individua alcuni concetti basilari per interpretare il domani: accelerazione, spam, sostenibilità, autenticità, esperienze, e infine umanità.
Parole abusate, a volte decontestualizzate e banalizzate a favore di slide nell’atto di convincere l’ennesimo cliente della bontà di una campagna.
Il problema è che in questo caso, Seth Godin parla di social media secondo un punto di vista che, lento e inesorabile, sta cominciando a insinuarsi nella mente non solo dei consumatori, ma anche di chi nel digitale ci lavora.
Netflix propone il Dilemma sui social media: e noi cosa rispondiamo?
Se poi ci si mette la piattaforma di video streaming più famosa del pianeta a proporre documentari critici sulla struttura, ecco che il dibattito è servito.
Se avete bazzicato in questi giorni i social e i magazine vi sarete sicuramente imbattuti in qualche thread di discussione su The Social Dilemma, il documentario di Jeff Orlowski presentato al Sundance Film Festival di quest’anno e diffuso online agli inizi di settembre.
Un’ora e mezza di interviste e docufiction che presentano ciò che, per certi versi, chi lavora nel digitale ha sempre saputo (o meglio: avrebbe dovuto sempre sapere), con tanto di principi anche etici messi in discussione: le piattaforme digitali profilano gli utenti e li stimolano alla dipendenza da piattaforma per proporre ADS sempre più affini ai loro caratteri.
Il tutto raccontato con la naturalezza da chi questa sovrastruttura algoritmica che sovrasta le nostre vite ha contribuito a sviluppare, fatto salvo tornare indietro in nome di un’obiezione di coscienza retroattiva che addirittura fa ammettere davanti alla telecamera agli intervistati (fra cui Sean Parker) che i figli non hanno il permesso di usare lo smartphone (aprendo peraltro una serie di interrogativi su che cosa si stia facendo al sistema educativo iniettando nella società certe opportunità tecnologiche).
Non è un caso, visto che ad esempio a Stanford si studiano le tecnologie persuasive da almeno dieci anni e che già nel 2016 Cathy O’Neil (anche lei intervistata nel documentario) scriveva Weapon of Math Destruction, un testo che si concentra proprio sull’onnipotenza dell’algoritmo e della sua capacità di tenere incollate le persone allo schermo del proprio telefonino (se ancora lo possiamo chiamare così).
La domanda non è tanto cosa ci sia di nuovo, ma quanto sia stato chiaro fin dall’inizio che il proposito per cui erano nati i social media (proviamo a scriverlo in poche righe: unire le persone gratuitamente in un’unica grande nazione senza confini, favorendone l’incontro) si sia snaturato a fronte di una comprensibilissima necessità di sostentamento, fino a mutarsi in banalissima vocazione al business.
Una deriva che li ha obbligati a rendersi indispensabili nella vita delle persone per garantirsi la necessaria linfa umana a sopravvivere: una specie di Matrix morbido, possiamo dire, in cui la nostra attenzione diventa l’energia con cui drenare il vero oggetto del contendere, la vendita di ADS.
Ricordate l’audizione di Mark Zuckerberg e il suo sorriso sornione? Quell’espressione quasi divertita, stupita forse dalla necessità di esprimere l’ovvio, è descritta nel documentario secondo il punto di vista di chi ha permesso quel“We run ads“, una scelta che forse non ha tenuto conto di tutte le controindicazioni sulle generazioni più coinvolte nelle meccaniche digitali (e che ha richiesto anche una sorta di retromarcia).
Non è certo per demonizzare che diciamo tutto ciò: è però evidente che parliamo di qualcosa che, va da sé, fa a pugni con i concetti che Seth Godin poco più di un anno fa metteva alla base delle motivazioni di una scelta che, partendo dalle sue parole, sembrava perlomeno obbligata: in futuro i brand dovranno mollare i social media, se non altro perché semplicemente i consumatori cominceranno a dar spazio a necessità che non li contemplano più.
Diciamo subito: è un processo evidente, ma non così veloce. È certo abbia fondamentali analogici, ed è bello pensare al digitale che si “analogizza” per darsi nuova linfa: perché?
Prendiamo uno dei trend che l’Influencer Marketing Hub isola come quelli attesi per l’anno che verrà: Instagram rimuoverà definitivamente i like. Il fenomeno non è nuovo (ne avevamo parlato su Ninja Marketing anche lo scorso anno) ed è una scelta epocale, ma che può essere letta da due punti di vista diversi.
Quella più evidente: per le piattaforme social sta diventando vitale acquisire definitivamente lo status di paid media, spingendo le marche a investire per affidarsi a metriche sempre più precise e meno velleitarie.
Dall’altro, un’evidenza ben spiegata nel documentario di NetFlix: i social media non possono più essere veicolo per fattori che danneggino i propri utilizzatori, in particolare nelle fasce più giovani. In altre parole, è indubbio che si debbano cercare altri meccanismi per profilare (TikTok, con il tempo di visione di un video che determina il successo di un contenuto, ne è una fresca dimostrazione) senza creare dipendenza da vanity metrics.
Il motivo probabilmente è meno nobile di quanto si pensi: se qualcosa si scopre essere dannoso, presto o tardi verrà spontaneamente abbandonato, o vietato.
Se parliamo però di paid media, allora non è necessario per una marca lavorare su piani editoriali ormai vanificati dalla saturazione della content sfera: bastano degli investimenti, per attivare l’utente su spazi che giochino su aspetti dell’esperienza più autentici e coinvolgenti (ecco che tornano i concetti di Seth Godin).
Non è un caso che Facebook abbia spinto negli ultimi anni i gruppi, che all’inizio del decennio erano stati letteralmente surclassati dalle brand page. Venendo meno la funzione ludica e d’entertainment di queste ultime, è rimasta solo l’essenza dei social media a legare gli utenti a loro stessi: la possibilità di socializzare.
In narrazioni di marca che sono sempre di più collettive e orizzontali diventa centrale la community, intesa come comunità che si aggrega attorno a un -indovinate?- purpose (altro concetto di Seth Godin: umanità) che nobiliti l’esistenza del brand, dandogli senso.
Dove si verifica tutto questo? Sui social media, oggi. Domani? Chissà.
Scendere dalla giostra
Jaron Lanier, il pioniere dell’informatica intervistato in The Social Dilemma, è anche autore del libro “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social“. Nel suo testo, in Italia edito da Il Saggiatore, parla del sistema dei social come la FREGATURA (nella traduzione italiana, acronimo di Fornire ai Re dell’Economia Globale Annunci che Trasformano gli Utenti Ridotti in Algoritmi).
È un’affermazione forte, che però individua contemporaneamente il fine ultimo delle piattaforme social e anche la soluzione: vediamo perché.
Il lockdown ha mostrato come l’uomo abbia riscoperto lentezza e prossimità, due tendenze che erano già state comprese dai player del digitale e su cui le stesse big company hanno cominciato a lavorare con tool ad hoc. Allo stesso tempo, la pandemia da COVID-19 ha evidenziato le problematiche legate alla trasmissione “per via algoritmica” di informazioni infondate, le famigerate fake news, che cambiano il percepito dell’individuo costruendo realtà (e attenzione: non narrazioni!) alternative.
La necessità di “uscire” dalla meccanica algoritmica almeno in questi effetti nefasti si è evidenziata con prepotenza.
Allargando il campo, si è presa coscienza che un certo modo di vivere, dove il tutto e subito non era (è) più sostenibile non solo sul piano del consumo, ma anche su quello relazionale; un mondo dove è necessario rallentare per comprendere, informarsi, gustarsi i momenti, che è contrario all’approccio “flusso” di un newsfeed social.
Le persone hanno ricominciato a rivalutare il tempo come risorsa preziosa, cominciando a chiedere formule di lavoro meno bloccate (il lavoro da remoto ha mostrato che la via smart è possibile) che mettano al centro la propria dimensione personale. Ancora i concetti di apertura di Godin: la tangibilità dell’esperienza e l’autenticità come driver della propria esistenza diventano aspetti non più derogabili.
Le persone vogliono essere persone, prima che algoritmi: una trasformazione in atto, lenta, strisciante, ma che c’è.
Questo significa che i social media verranno abbandonati?
No: semplicemente ridimensionati.
È possibile che presto saranno gli utenti a lasciare quegli habitat, ormai più simili a cataloghi patinati di stereotipi ideali che non a genuini annuari scolastici dinamici dove ritrovare gli amici (d’altronde, Facebook è nato in un’università), in favore di canali dove l’autorialità sia il centro dell’esperienza (in principio è TikTok, ma c’è da scommetterci che sia solo l’inizio).
Mondi dove la metrica sarà la qualità del contenuto e non la semplice, automatica capacità di generare interazioni svuotate di senso (e nessuna introduzione di nuova reaction potrà frenare questa trasformazione), e in cui probabilmente anche la capacità dei marchi di entrare sarà più rispettosa, meno meccanizzata, si spera più attinente a propositi più alti.
I social media continueranno ad esistere, solo sotto un’altra forma.
In attesa che un’intelligenza artificiale prenda definitivamente il controllo della piattaforme, aprendo il prossimo dibattito sul rapporto fra etica, marketing e trasformazione sociale.
D’altronde, questo è il digitale: una giostra che non si ferma mai.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/carousel-horse-fun-children-year-market-fair-ride-gallop-colorful-1.jpg638880Francesco Gavatortahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFrancesco Gavatorta2020-09-23 14:56:442021-06-07 12:06:16C'è ancora spazio per i brand sui social media? Il vero dilemma è questo
Secondo le ultime notizie, TikTok non sarebbe ancora fuori pericolo e ci sono voci contrastanti rispetto all’accordo con Oracle e Walmart.
Sabato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dichiarato ai giornalisti di aver dato “la sua benedizione” all’accordo Oracle-lead per le operazioni di TikTok negli Stati Uniti, il che era stato sufficiente perché TikTok rilasciasse due dichiarazioni ufficiali sul fatto che l’applicazione era “qui per restare”.
L’approvazione verbale del Presidente sembrava essere il passo finale del processo di negoziazione – ma poi, domenica, a seguito di una dichiarazione ufficiale della società madre di TikTok, ByteDance, le cose sono diventate un po’ più nebulose sulle specifiche dell’accordo proposto.
Innanzitutto, ByteDance ha chiarito che non trasferirà algoritmi e/o tecnologie a Oracle, o a qualsiasi altra società statunitense, come parte dell’accordo.
“Il piano attuale non prevede il trasferimento di algoritmi e tecnologie. Oracle ha l’autorità di controllare il codice sorgente di TikTok USA”, ha dichiarato ByteDance.
Oracle e i suoi partner del consorzio saranno cioè in grado di utilizzare il codice sorgente come punto di riferimento, ma avranno bisogno di sviluppare un nuovo algoritmo unico per la piattaforma – cosa che potrebbe essere problematica.
L’algoritmo di TikTok, che tiene gli utenti incollati all’app, è visto come una componente chiave del successo della piattaforma, e se Oracle, che non ha esperienza di social media, sarà costretta a riscrivere o ricreare una versione propria della piattaforma, questo potrebbe avere un impatto importante sulle sue prestazioni.
2. I limiti imposti dalle leggi cinesi
ByteDance, dall’altra parte, è limitata in ciò che può trasferire a causa delle nuove leggi cinesi sul trasferimento di tecnologia, inclusi gli algoritmi, negli accordi di commercio estero, ma l’intesa iniziale era che, facendo in modo che ByteDance mantenesse la proprietà della piattaforma, Oracle e Co. avrebbero potuto essenzialmente concedere in licenza il codice sorgente, che avrebbe soddisfatto i requisiti legali.
E questo è solo il primo potenziale ostacolo per il nuovo accordo.
3. Il vincolo del fondo americano per l’istruzione
Oltre a questo, ByteDance ha anche dichiarato di non essere a conoscenza dell’affermazione del presidente Trump che avrebbe investito 5 miliardi di dollari in un nuovo fondo americano per l’istruzione come parte dell’accordo.
Quando originariamente aveva annunciato l’azione del governo contro TikTok, il presidente Trump aveva chiesto che il Tesoro degli Stati Uniti ricevesse una qualche forma di pagamento per facilitare l’eventuale acquisizione, ma il trasferimento al governo di una compensazione diretta da accordi commerciali non è possibile secondo la legge statunitense.
Il fondo per l’istruzione di 5 miliardi di dollari sembrava un modo per soddisfare indirettamente questa richiesta. Secondo quanto riferito, Trump intende utilizzare i fondi per creare una nuova “commissione patriottica per l’istruzione” che aiuti a ristabilire l’orgoglio e l’identità nazionale.
Ma ByteDance ha affermato di non aver incluso tale transazione nel suo accordo.
Questo, a quanto pare, è un altro elemento che è ancora in via di definizione.
4. Il problema della proprietà di TikTok negli USA
Ma il più grande ostacolo potenziale per l’accordo Oracle/TikTok finora è arrivato lunedì, quando il presidente Trump ha dichiarato che non avrebbe approvato alcun accordo per TikTok se la sua proprietà cinese non avesse venduto completamente il suo interesse nel prodotto.
L’attuale accordo, invece, vedrebbe Oracle e Walmart prendere una partecipazione del 20% in una nuova entità ‘TikTok Global’, che verrebbe separata da ByteDance e lanciata come nuova società indipendente il prossimo anno.
Quindi, in questo momento, TikTok resta ancora appeso a un filo negli Stati Uniti, mentre il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha prorogato di una settimana il termine per la rimozione dell’app dagli app store statunitensi (al 27 settembre).
Con oltre 100 milioni di utenti e più di 1.600 dipendenti TikTok, l’Europa non è stata quasi mai menzionata in questa saga. Ma gli utenti, gli inserzionisti e i dipendenti di TikTok si staranno chiedendo come saranno colpiti.
Punto uno: meno di un mese fa si parlava di collocare la sede internazionale di TikTok a Londra, ma sembra sempre più improbabile.
“Supponendo che l’affare Oracle/Walmart vada in porto, allora la sede centrale di TikTok Global si troverà sicuramente negli Stati Uniti”, ha dichiarato Matthew Brennan, analista di social media con sede in Cina.
TikTok ha uffici a Parigi, Berlino e Dublino, ma Londra è il più grande hub di TikTok in Europa.
“Per Londra essere la sede centrale di un’azienda come TikTok sarebbe stato un bel colpo per la città, ma ahimè sembra che non lo sia” e avrebbe aumentato enormemente il prestigio della capitale in termini di attrazione di talenti tecnologici internazionali.
Il Regno Unito, infatti, si trova oggi ad affrontare una sorta di “fuga di tecnologia” mentre le aziende escono o cambiano strategia, ha detto alla CNBC Abishur Prakash, futurista geopolitico del Center for Innovating the Future.
Si tratta di molto di più di investimenti e posti di lavoro perduti. Ovunque si trovino queste aziende, daranno vita alla prossima generazione di ecosistemi e industrie. Anche se non tutti sono d’accordo su queste osservazioni.
Punto due: in base all’accordo, i dati degli utenti U.S. TikTok dovrebbero essere memorizzati su server Oracle nei data center americani.
Attualmente gli utenti TikTok in Europa hanno i loro dati memorizzati su server negli Stati Uniti, con una copia di backup a Singapore. Chi gestisce questi server è meno chiaro e TikTok si è rifiutato di commentare.
Il mese scorso, comunque, prima di gran parte del caos, TikTok aveva annunciato la costruzione del suo primo centro dati europeo in Irlanda.
Quando sarà operativo, l’impianto da 420 milioni di euro (493 milioni di dollari) memorizzerà ed elaborerà i dati per tutti gli utenti europei di TikTok. Tuttavia, ciò non avverrà prima del 2022.
Punto 3: dal punto di vista pubblicitario, le aziende europee sono ancora desiderose di spendere su TikTok.
E anche i creator di TikTok continuano a crescere in Europa. Alcuni di loro perché sperano di assicurarsi una fetta dei 250 milioni di euro del “Creator Fund”che TikTok ha annunciato il 1° settembre. La società ha detto che il fondo è stato progettato per aiutare i creatori a trasformare la loro creatività in una carriera.
Un fondo simile esiste negli Stati Uniti e a livello globale TikTok prevede di erogare oltre 2 miliardi di dollari ai creatori nei prossimi tre anni, nel tentativo di raggiungere Instagram e YouTube.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/tiktok-installazione.jpg7841201Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-22 16:04:472020-09-24 07:05:24TikTok non è ancora fuori pericolo: l'affare Oracle resta in sospeso
Le crisi portano progresso, sosteneva Albert Einstein e il design italiano è in prima fila per guidare un nuovo rinascimento delle idee, della creatività e del saper fare.
I nuovi scenari delineati dalla pandemia possono essere sfruttati per innovazioni e per soluzioni adatte alla nuova quotidianità.
Dai pannelli di design in plexiglass alle nuove postazioni di smart working, il genio creativo si fonde con le opportunità post pandemia. Il lato positivo COVID-19 c’è.
La storia insegna che l’altra faccia della medaglia delle crisi sono le opportunità. Giusto per rendere il concetto un po’ pop, in questo caso si potrebbe affermare che “si fa quel che si può, con quello che si ha”. Pane per i denti della creatività italiana.
Dovremmo aspettarci un secondo Rinascimento? Possiamo sperarci. Nel frattempo, le case e le cose vengono rivisitate e adattate alle nuove esigenze imposte dai tempi COVID-19.
In effetti, il Coronavirus ha cambiato e sta cambiando il nostro modo di vivere la socialità. Un metro di distanza ci separa da tutti coloro i quali non sono né congiunti, né familiari e il file rouge che muove la nostra quotidianità è il distanziamento sociale. Trasporto pubblico, uffici, stabilimenti, teatri, negozi, ristoranti, riflettono le nuove esigenze comportamentali.
Cambieranno conseguentemente anche gli spazi che viviamo?
Nuovi scenari
Va in scena il COVdesign che punta a risolvere le necessità quotidiane relative alla pandemia. Scenari noti messi in discussione, nuovi gesti, nuove prospettive che alimentano anche la progettazione di interni e il disegno industriale.
Smart working e mascherine fanno sì che sia attribuito un senso diverso a progetti e oggetti. È ragionevole, dunque, pensare che l’emergenza COVID-19 stia riplasmando case, uffici, città e infrastrutture?
Nonostante i pareri divergenti delle archistar, si fanno spazio alcune innovazioni d’artista al passo coi tempi. Aziende e design sono all’opera.
Il desginer Matteo Cibic, per esempio, firma la collezione COV e lancia alcuni tra i progetti italiani più interessanti legati alla pandemia. Li chiama “fancy transparent socializing panels”, i paraventi di design per essere protetti senza sentirsi isolati, utili soprattutto negli open space.
C’è poi Christophe Gernigon, che con l’idea del “distanziamento socializzante” sperimenta sospensioni isolanti di plexiglass, per restare seduti a tavola in piena sicurezza.
Non mancano le postazioni di lavoro in casa: quinte o angoli per le diverse funzioni, per lavorare da remoto in serenità. Gli spazi domestici vengono dunque riorganizzati per improvvisare postazioni ufficio.
E ancora una volta i designer si sbizzarriscono: dalla cosiddetta plancia di comando di Patricia Urquiolaalla postazione operativa con vista sul Mediterraneo di Metz e Racine, le soluzioni sono molteplici e super creative.
Design in numeri
Nonostante le opportunità da cogliere un po’ giocoforza, la crisi COVID-19 ha inferto un duro colpo al mondo del design e, in maniera particolare, al comparto legno-arredo. In effetti, le micro imprese del settore hanno perso ad aprile 2020 il 72%del fatturato, assistendo ad un calo della domanda interna ed esterna.
In Italia sono 47.447 le unità locali che operano nel settore legno e mobili, dove in molte delle quali è alta la vocazione artigiana. È da questo tessuto e dell’attività dei maker che nascono creatività e innovazioni. Creatività messa alla prova già durante l’emergenza sanitaria, quando Christian Fracassi (maker e CEO di Isinnova) trasforma la famosa maschera di snorkeling di Decathlon Easybreath in un respiratore, utilizzando la stampa 3D.
Il progetto di Isinnova ha poi ispirato anche un giovane tecnico antincendio di Ravenna, Ottavio Giannella, che ha ideato un raccordo che collega comuni maschere antigas da lavoro a ventilatori polmonari.
Il lato positivo
L’intento non è solo quello di descrivere ciò che il design può fare per rispondere al post COVID-19, ma è di dimostrare come designer e maker svolgano un ruolo fondamentale, soprattutto in tempi di crisi.
In effetti, il design in Italia è nato negli anni ’50 proprio dalla voglia di riscatto post-guerra e, da allora, ha sempre rivestito il ruolo di decodificatore delle necessità umane, nonché di traspositore dei bisogni e desideri dell’uomo nella realtà che lo circonda. E non si limita ad intervenire sull’esteriorità delle cose, ma ne investe anche la funzionalità e il profilo semantico.
Durante quei tempi, non si trattava di progettare oggetti nuovi, ma di sfruttare ingegno e creatività per rispondere ai problemi quotidiani. Ne sono testimonianza la Vespa, la macchina da scrivere Lexicon e la moka Bialetti. Oggetti che rappresentano come le minacce più gravi possano costituire un’opportunità per l’innovazione e la collettività.
Dunque, nella società in cui ci troveremo a vivere post Covid-19, con le sue diverse e mutate esigenze, il design sarà un fondamentale strumento di adeguamento della realtà ai bisogni ed alle aspettative umane.
Chi l’avrebbe mai detto che COVID-19 e design sarebbero stati una perfect combo? Pensarla così aiuta a guardare il lato positivo della pandemia. Per il Rinascimento rimaniamo fiduciosi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/Immagine-del-14-09-20-alle-15.23.jpg419638Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-09-21 17:24:562021-01-05 15:44:06COVID e Design: come la creatività si incastra con le opportunità post crisi
Il content marketing è l’insieme di strategie per creare materiali di valore per gli utenti e può rendere un brand riconoscibile o virale.
Dall’ideazione del concetto alla sua diffusione, sono disponibili tool per semplificare il lavoro ai content creator.
Realizzare un contenuto ad alto potenziale vuol dire chiedersi di cosa gli utenti vogliono sentire parlare, come, quando e dove.
Devo dire la verità: il content è tra le mie branche preferite del marketing. Ma d’altronde alzi la mano chi non ama un contenuto di qualità. Perché, partiamo dalle basi, il content marketing è questo.
È la creazione di materiali, testuali o visuali, che siano di valore per chi ne fruisce. In quanto tale, ha un’importanza fondamentale nella strategia di marketing di un’azienda: permette di generare post potenzialmente virali e di avere una comunicazione immediatamente riconoscibile (Taffo è un ottimo case study).
Taffo è leader nel content marketing. I suoi post sono brevi, non convenzionali e ad effetto, anche e soprattutto quando riguardano temi sociali e non brand-related.
Ma in generale di Content Marketing non ce n’è mai abbastanza.
Anatomia del Content Marketing: ispirazione, realizzazione, revisione e diffusione
Come qualsiasi progetto, anche il content marketing può essere suddiviso in fasi.
Ispirazione. Per prima cosa si pensa al contenuto da veicolare: qual è il topic? Perché? È un tema hot?
Realizzazione. Avuta l’idea geniale, va messa su carta. Pardon, tastiera.
Revisione. Terminata la produzione, si ricontrolla tutto. Che sia con la biro rossa o con un software, questo è uno step imprescindibile che permette di trovare refusi, implementare SEO e leggibilità.
Diffusione. L’ultimo step è quello in cui si manda il post a colleghi, amici e parenti. Ma non solo.
Partendo da questi quattro pilastri, qui sotto raccontiamo strumenti e idee per rendere il content marketing ancora più efficace e divertente, per chi lo riceve e chi lo produce.
Ispirazione: i tool del content marketing per scegliere di cosa parlare
Potrebbe sembrare lo step più semplice, ma scegliere il tema non è facile come sembra. Avrei voluto saperlo agli esami di maturità, prima di impelagarmi in un saggio sui labirinti, o prima di farmi bocciare diversi articoli per i blog aziendali. Ma almeno ora posso testimoniarlo a voi.
Per quanto sarebbe bello poter parlare di quello che ci pare, il content marketing ha come scopo principale quello di catturare e poi coinvolgere il fruitore. Per farlo, la mossa più furba è cavalcare l’hype di qualcosa oppure chiedersi che cosa voglia leggere il lettore.
I topic per il marketing B2C: hype, millennials e zoomers
Per percorrere la prima strada, molto più B2C, ci sono gli evergreen Google Trends, BuzzSumo, Digimind, BlogMeter, che ti permettono di capire quali sono gli argomenti di tendenza mentre scrivi.
Se poi l’intento è quello di fare qualcosa di meno convenzionale, potrebbe essere strategico seguire direttamente le pagine Facebook e Instagram più famose dedicate ai meme (i millennial li adorano) o Tik Tok, luogo di nascita delle challenge (target zoomers). E iniziare a comunicare tramite questi pattern, ad alto valore di buzz.
BarkBox è un brand di cibo, toys e servizi per cani e questo è un ottimo esempio di meme marketing con la celeberrima Kombucha Girl
In aggiunta, per i marketer più nerd, suggerisco di cercare continuamente contenuti o newsletter per rimanere sempre up to date. Personalmente seguo Exploiding Topics (che racconta i trend di ricerca su Google dando più di qualche numero a proposito) e Ziodi Wyncenzo, votata alla spiegazione delle abitudini e dei trend dei teenager di oggi. Ad esempio, avete idea di cosa sia il Checkper uno zoomer?
Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è SvetaMilano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.
Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è SvetaMilano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.
I topic per il marketing B2B: l’inbound marketing
Mentre il content marketing B2C si basa su argomenti o campagne super catchy e di tendenza, il marketing B2B dovrebbe essere più orientato a risolvere i problemi del target. Prima ancora che si accorgano di averli: è questa la filosofia dell’inbound marketing, di cui la piattaforma HubSpotsi fa principale tool e portavoce.
In pratica, l’idea alla base dell’inbound marketing è di fare in modo che siano i deal a contattare un’azienda, e non il contrario (i.e. outbound). Per fare in modo che ciò accada, ci sono diversi passaggi, primo tra tutti la costruzione di un buyer persona (chi ci legge, chi ci compra) e la definizione degli argomenti che potrebbero interessargli.
Per esempio, sono un’agenzia di cybersecurity: in base ai miei meeting precedenti so che la prima cosa che mi viene chiesta è come funzioni il mio servizio. Colgo l’esigenza, la anticipo, e ci scrivo un articolo sul mio blog aziendale. Ma attenzione: con un articolo non potrò mai spiegare tutto in maniera completa, né renderò autonomo il mio buyer persona, che però sarà grato di aver potuto leggere qualcosa in più gratuitamente.
HubSpot funziona in modo tale da costruire dei “percorsi di marketing” che portano il buyer persona dal primo approccio al contatto con la forza vendita di un’azienda: il buyer persona viene traghettato da un contenuto all’altro fino ad arrivare a uno stage in cui accetterà di buon grado di ricevere la chiamata del sales che lo contatterà. E in tutto questo rimarrà traccia del suo percorso, così da apprendere in futuro di cosa parlare.
Non basta scrivere su Word: i tool di content marketing per la realizzazione e la revisione dei contenuti
Superato il timore da foglio bianco e prodotto il contenuto, arrivano in aiuto gli strumenti per l’editing dei propri scritti. Primo tra tutti, WordPress. In un loop vagamente alla Inception, vi sto scrivendo utilizzando WordPress un paragrafo dedicato a WordPress. La verità è che se riportassimo semplicemente i nostri articoli scritti su Word online, mancherebbero della revisione necessaria a renderli appetibili per il web.
Oltre a permettere di editare un testo in maniera strategica (inserendo titoli, immagini e link in un modo che su Word, Open Office o Pages non è possibile percorrere), WordPress infatti ha incorporato nel sistema di editing anche un software per il controllo della leggibilità e della SEO.
Me lo diceva sempre la mia professoressa di italiano: no periodi lunghi, no (troppe) subordinate e no incisi. Non l’ho ancora fatto del tutto mio, ma questo è un insegnamento concreto per tutti i content creator in ascolto. Google infatti premia i contenuti più leggibili, che WordPress stesso ti permette di ottenere revisionando la lunghezza delle frasi e dei paragrafi. Una volta che il testo è a prova di lettore pigro (frasi brevi e semplici), WordPress ti dà un bel bollino verde e ti fa sapere che il lavoro è ok.
Terminato il lavoro di revisione sintattica, ci si può concentrare sulla SEO. Per farlo ci sono tantissimi tool, anche meno focalizzati sull’analisi della SEO di un singolo blog ma più sull’interezza di un sito (SEMrush, Moze molti altri), ma tra i più utili va segnalato Yoast, che è incluso nel pacchetto premium di WordPress.
Yoast segnala all’editor una sorta di To do listdelle keyword (e.g. “usa la keyword almeno 8 volte”) e le eventuali lacune nella sua strategia, permettendogli di produrre un contenuto che verrà trovato. Come questo (Inception edizione Ninja Marketing).
Analisi SEO dell’articolo attuale (prima che termini l’editing e la revisione). Inception x3.
Il peggio è passato: manca solo da diffondere il contenuto
Come Rocky Balboa dopo aver salito la scalinata, stanchi ma soddisfatti: ce l’abbiamo fatta. Il post è pronto, va solo diffuso. Massivamente, si spera.
CRM, Email Marketing e Social Media sono i tre pilastri che a questo punto del percorso non dovrebbero mai mancare. Con il primo (Salesforcee Hubspot sono i più famosi) si realizza una sorta di rubrica 2.0. a cui inviare i contenuti. Il CRM funziona in effetti proprio come un incubatore di contatti provenienti da diverse “rubriche”: eventi aziendali, clienti fisici e e-commerce (nel caso del B2C), iscrizione a newsletter, etc. Una volta inseriti nella loro totalità, i contatti devono essere smistati per definirne i contenuti di interesse.
Qui entra in gioco l’email marketing, di cui MailChimpe GetResponsesono i leader del mercato. Tramite questi tool, è possibile inviare una newsletter e trackarne la performance (quante views? Quanti click? Quanti abbandoni?).
Anche quando sponsorizzano qualche prodotto (spesso), i post di Freeda ottengono molti like e commenti che accendono il dibattito degli utenti. Chapeau!
Infine, ci sono i canali di proprietà dell’azienda, primi tra tutti i social media. Pensateci un po’, come siete arrivati a questo articolo? Probabilmente tramite LinkedIn o Facebook, che sono sicuramente i tool più interessanti dal punto di vista B2B e B2C.
Ma non solo: ormai anche Instagram è un’ottima cassa di risonanza per i contenuti, soprattutto se in ambito propriamente editoriale. L’universo Vice e Freeda ne hanno fatto un mantra: l’effetto Word of Mouth si crea tramite i social, mica con Google.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2017/10/emailmarketing.jpeg7201080Cecilia Lorussohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCecilia Lorusso2020-09-21 11:32:202021-01-05 15:32:12Tool, idee e strategie di Content Marketing per catturare (tutti) gli utenti
Entro il 2022 in Italia ci sarà bisogno di 2,5 milioni di nuovi occupati e il 75% delle aziende reagirà alla crisi prodotta dal Covid-19 con attività di re-skilling.
Da questi dati nasce l’idea del nuovo spazio di Phyd, digital venture di The Adecco Group, nel cuore di Milano, dedicato a orientamento e percorsi di up-skilling e re-skilling per studenti, professionisti e imprese attraverso esperienze Phy-gital.
La location è stata ideata e costruita con un investimento di oltre 6 milioni di euro, compresa la realizzazione della piattaforma, e ha l’obiettivo di formare e valorizzare il capitale umano con le nuove skill richieste dalla costante trasformazione che il mercato del lavoro sta conoscendo.
Il futuro del lavoro (e delle competenze)
Secondo il World Economic Forum, nei prossimi 3 anni, a livello globale, l’evoluzione del mondo del lavoro – accelerata dalla tecnologia, dal digitale e dell’automazione – determinerà la nascita di 133 milioni di nuove opportunità occupazionali, a fronte di 75 milioni di posti di lavoro destinati a scomparire. Unioncamere stima che solo in Italia, ci sarà bisogno di 2,5 milioni di occupati in più.
L’impatto della crisi economica legata alla pandemia rischia di avere un impatto al ribasso su queste stime, ma il tema delle competenze diventerà ancor più cruciale. Secondo il dossier 2020 Unioncamere-ANPAL, il 75% delle aziende italiane dichiara che, per fare fronte alla crisi, nei prossimi sei mesi metterà in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda. Questo produrrà un’ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano, anche per favorire l’allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro.
Secondo Andrea Malacrida, Fondatore di Phyd e Country Manager di The Adecco Group in Italia: “Il tema dell’aggiornamento professionale continuo rappresenta uno dei punti centrali per il mondo del lavoro del futuro. Nei prossimi anni, anche a seguito dell’emergenza sanitaria appena vissuta, il mondo del business subirà cambiamenti ancor più repentini di quelli che abbiamo vissuto fino ad ora e solo chi riuscirà a coltivare le proprie competenze professionali, aggiornandole e sviluppandone di nuove, avrà l’opportunità di rimanere appetibile sul mercato del lavoro”.
Fondamentale, dunque, l’acquisizione di nuova conoscenza, sia tecnica che trasversale, tanto per gli studenti quanto per i professionisti. Le soft skill, in particolare, sono destinate ad avere un impatto determinante sulle retribuzioni, fino a incrementare uno stipendio di oltre il 40%.
Inoltre, resta attuale la criticità rappresentata dalla distanza che separa le competenze richieste dal mercato con quelle proposte dai programmi scolastici e universitari: lo skill mismatch impatta negativamente sia sui lavoratori che sulle aziende, frenando la crescita dell’intero sistema-Paese. Nel settore ICT, per esempio, il gap tra domanda e offerta di competenze è attualmente del 18%.
Come spiegato da Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia: “Lo skills mismatch è un fenomeno che in Italia sta diventando davvero rilevante e urgente. […] Non si tratta solo di implementazione di nuove tecnologie come il Cloud Computing o l’Intelligenza Artificiale, ma di avere le giuste competenze per cogliere tutte le opportunità di sviluppo che il digitale offre. Un recente studio Microsoft ha rilevato per esempio che le organizzazioni che traggono maggior valore dall’adozione dell’AI sono quelle che non puntano solamente sull’automazione e sull’efficienza operativa ma anche sulla formazione”.
Phyd Hub nasce con l’idea di permettere a studenti e lavoratori di vivere un’esperienza phy-gital e rappresenta la naturale evoluzione della piattaforma digitale Phyd, che, attraverso le soluzioni di Intelligenza Artificiale di Microsoft, misura l’attitudine e l’occupabilità di una persona rispetto ad una professione, ricavandone il grado di adeguatezza e rilevanza (employability index).
Proprio come la piattaforma, anche la location di Phyd Hub, aperta a tutti, offre contenuti poliedrici, inserendoli nella cornice di un luogo progettato in modo inedito. Lo spazio, organizzato su più livelli, ospiterà incontri, eventi, opportunità di networking e percorsi di up-skilling e re-skilling caratterizzati da un denominatore comune: interpretare nel modo più ampio il futuro del lavoro attraverso attività di career gym, preparazione ai colloqui e di controllo del curriculum vitae.
Situata nel centro di Milano, in via Tortona, la nuova location si caratterizza per un palinsesto di contenuti cross-generazionali che si svilupperà ogni anno nell’arco di 44 settimane e sarà incentrato sui temi del future of work, del life long learning e delle skill emergenti. Tra i partner di contenuti formativi anche Ninja Academy.
Phyd Hub è organizzata su più livelli per dare spazio a una dimensione immersiva che segna il passaggio dal mondo fisico esterno a quello phygital della nuova piattaforma e un’area training pensata per la formazione individuale; infine il luogo dedicato all’apprendimento verticale per piccoli gruppi e quello più esteso che ospiterà corsi, workshop, talk ed eventi.
Manlio Ciralli, Chief Executive Officer di Phyd, ha dichiarato: “Phyd nasce con l’obiettivo di nutrire la conoscenza attraverso un percorso di esperienze e fruizione che coniuga fisico e digitale. L’obiettivo primario è quello di dare alle persone la possibilità di porsi in uno stato di aggiornamento continuo. […] L’ambizione di amplificare – attraverso l’intelligenza artificiale – le opportunità di conoscenza e l’accesso ai contenuti senza distinzioni territoriali e, attraverso il luogo fisico, di mantenere la prossimità tra le persone laddove il networking e lo scambio di esperienze rappresenta di per sé uno strumento di miglioramento, contaminazione e conoscenza”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/phyd-hub-2.jpg7361198Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-18 13:59:092020-09-21 21:13:38A Milano nasce Phyd Hub, un nuovo spazio tecnologico che guarda al futuro del lavoro
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