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Startup

Flessibilità e propensione al cambiamento: in Italia è giunto il momento delle startup?

  • L’emergenza Covid-19, dicono gli esperti, potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo
  • Le aziende saranno costrette a rivedere modelli di business e processi e individuare strategie per cavalcare il cambiamento, anziché subirlo
  • Dopo la crisi del 2008 sono nati colossi del mondo tech come Dropbox, AirBnb e Whatsapp
  • L’ecosistema italiano delle startup può trovare nuova linfa da questa emergenza: sarà fondamentale, però, la capacità di adattarsi al cambiamento

 

a cura di Thomas Ducato

 

Dalle crisi nascono sempre nuove opportunità.
Leggiamo spesso, in momenti come quello che stiamo attraversando, frasi come questa: affermazioni che difficilmente potranno essere accolte di buon grado da aziende e lavoratori colpiti duramente dall’emergenza Covid-19, che potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del lavoro.

Allo stesso tempo, però, nonostante la retorica che si cela dietro a queste “frasi ad effetto”, la storia ci insegna che la verità non è troppo distante: lo abbiamo visto con la crescita successiva alla grande crisi finanziaria del ’29 e nei decenni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, ma anche in epoca più recente. Non è un caso che alcune tra le grandi imprese tech, che oggi dominano i mercati mondiali, siano nate o “esplose” negli anni successivi al 2008, dopo la bolla che ha colpito l’economia e la finanza globali.

Parliamo di colossi come Dropbox, AirBnb, WhatsApp, Slack, Uber, Groupon e Instagram, per citarne alcuni, ma anche di aziende più piccole e meno note che hanno contribuito in modo importante all’innovazione tecnologica e alla nascita e allo sviluppo dell’ecosistema delle startup e del mito della Silicon Valley.

In un momento di rapido mutamento dei mercati, dei modelli di business, dei bisogni e delle abitudini dei consumatori come quello attuale, le startup sono di fronte a un bivio: sono realtà fragili e potenzialmente a rischio ma, allo stesso tempo, quelle con maggiori opportunità e margini di crescita, in grado di cavalcare il cambiamento, anziché subirlo.

 

Cosa sono le startup? Un po’ di chiarezza

Prima di addentrarci nel discorso è necessaria una precisazione: non tutte le nuove imprese possono essere considerate startup. Non è semplice dare una definizione univoca, ma è possibile evidenziare quattro serie di caratteristiche, riassunte in modo efficace da Startup Geeks, che fanno di una nuova azienda una startup: scalabilità, replicabilità del modello di business, innovazione intrinseca (di processo o di prodotto) e temporaneità.

Senza queste caratteristiche, a cui potremmo aggiungere la capacità di sconvolgere un settore esistente o quella di creare un nuovo mercato, difficilmente possiamo dire di essere di fronte ad una startup.
Secondo Enrico Pandian, un punto di riferimento nel panorama italiano del settore che si è conquistato il titolo di startupper seriale grazie alle 18 imprese create dal 1999 a oggi (tra cui spicca Supermercato24, di recente diventata Everli), si tratta di “fondare una piccola società pensandola già come una multinazionale”.

 

L’immediato post Covid: lo stato di salute dell’ecosistema italiano

Le startup non solo sole: sembra questo il messaggio lanciato dalle istituzioni. Sono pari a 60 milioni i fondi messi a disposizione dall’Eit, Istituto europeo di innovazione e tecnologia, con l’obiettivo di sostenere le imprese innovative, considerate fondamentali per la ripresa post Covid. Anche in Italia qualcosa si è mosso: il 23 giugno ha fatto il suo debutto ufficiale il Fondo Nazionale Innovazione che prevede lo stanziamento di un miliardo di euro per sostegno e incentivi all’investimento.

Nonostante l’effetto Covid, inoltre, la prima metà del 2020 ha fatto segnare 260 milioni di investimenti nelle startup nostrane e anche il crowdfunding ha dato segnali incoraggianti, toccando i 38 milioni raccolti rispetto ai 25 dell’anno passato.

In un momento disruptive come quello attuale innovazione e digitale sono due asset importanti su cui credere e investire e questi numeri sembrano avvalorare questa tesi.

 

Adattarsi al cambiamento per scongiurare il fallimento

A fare la differenza, però, sarà soprattutto la capacità di adattarsi al cambiamento e a quella “nuova normalità” tirata spesso in ballo durante l’emergenza.
Ci è riuscita la startup FrescoFrigo, fondata da Enrico Pandian. Questa startup nasce dall’idea di portare cibo sano e di qualità a pochi metri del consumatore, direttamente nel suo luogo di lavoro, grazie a un frigorifero “intelligente” che punta a rivoluzionare il settore dei distributori automatici. Con l’emergenza sanitaria, però, gli uffici si sono svuotati e il fatturato di FrescoFrigo è rapidamente sceso a zero, con conseguenze dirette sull’umore di dipendenti e investitori.

“FrescoFrigo è stato impattato moltissimo dal Covid – ci ha raccontato Pandian -. Il 9 o 10 marzo il mio grafico del fatturato ha toccato lo zero e la situazione è rimasta così per svariati giorni. Appena abbiamo capito che l’emergenza sarebbe durata a lungo ci siamo impegnati per trovare una soluzione, non tanto per il fatturato per quanto importantissimo, ma soprattutto per il team che iniziava a essere preoccupato e demoralizzato. Da un confronto con alcuni consumatori è nata l’idea di installare FrescoFrigo all’interno dei condomini: abbiamo capito che le persone lavoravano da casa, spesso più di quanto non facessero in ufficio e che il nostro servizio poteva essergli di aiuto. Abbiamo installato più di 30 frigo condominiali solo nel primo mese e ora, nonostante la fine del lockdown, ci chiedono di mantenere comunque il servizio”.

Perché? La risposta individuata da Pandian in realtà è molto semplice: “Il consumatore è pigro e ha trovato una nuova comodità”.

 

Fare startup in Italia

“In Italia la parola Startup viene spesso associata a una cosa da “ragazzini” – ci ha detto Pandian – che fondano la loro prima azienda appena usciti dall’università. Io invece ho 40 anni, di aziende ne ho fatte tante, e vorrei cambiare la narrazione sulle startup che c’è in Italia”.
Come abbiamo visto dalle cifre di questo inizio di 2020 la sensazione è che qualcosa stia cambiando e che la crisi che sta seguendo l’emergenza sanitaria possa in qualche modo preparare il terreno all’affermazione dell’ecosistema italiano delle startup. Obiettivo e punto di riferimento resta sempre la tanto citata e ammirata Silicon Valley: quanto siamo distanti?

Lo abbiamo chiesto ad Alberto Onetti, Imprenditore e presidente della californiana Mind the Bridge la cui missione è quella di avvicinare grandi e medie imprese al mondo dell’innovazione e delle startup. “In Italia – ha spiegato Onetti – siamo partiti molto molto tardi, il mondo dell’innovazione ti porta a raccogliere i frutti del lavoro solo dopo tempo. In Silicon Valley questo processo è partito 40-50 anni fa. Da noi è un sistema ancora nella sua infanzia, ancora fragile. Inoltre, se parti dopo e corri più piano degli altri è difficile riuscire a vincere. Lavoriamo a un decimo di capitale rispetto a Francia e Germania, che a loro volta investono metà del Regno Unito, in cui si investe un quarto di quanto avviene negli Stati Uniti”.

Ma non è solo una questione economica, a mancare è anche lo spirito che si respira oltreoceano: “Negli Stati Uniti – racconta Onetti – tutti fanno il tifo per tutti, mentre da noi c’è la cultura del tifare contro. Quello che percepisci in Silicon Valley è che le persone si aiutano senza chiedere niente in cambio, solo perché è nell’interesse dell’intero ecosistema. Si chiama “give back”. Qualcosa torna, perché ti trovi su una torta più grande: avere una fetta più piccola di una torta grande è meglio di avere il 100% del niente. Sembra semplice, ma forse abbiamo problemi di matematica”.

 

Un cambio epocale

La strada è ancora lunga, dunque, ma l’emergenza sanitaria ha accelerato una serie di cambiamenti che erano già in atto: siamo di fronte a un momento di passaggio, a un cambio epocale che la crisi ha anticipato. Anche in questo senso la storia offre spunti su cui riflettere: la peste nera del ‘300, arrivata in un periodo già ampiamente condizionato da carestie, ha portato a profondi cambiamenti nel tessuto sociale, che hanno favorito la nascita di nuove opportunità e innovazioni tecnologiche.

Il Covid-19 potrà rappresentare una reale occasione per le imprese e per chi sarà in grado di leggere i segnali che ci offre questo presente così instabile e complesso, ripensando il proprio modello di business e rendendo più flessibili e leggere le dinamiche aziendali: proprio per questo le startup possono giocare un ruolo da protagonista!

“Il periodo che stiamo attraversando può trasformarsi in eccezionale per chi ha tante idee”, ci ha detto Enrico Pandian.
L’ecosistema italiano saprà approfittarne?  

whatsapp business

WhatsApp Business: nuovi strumenti per le aziende

  • Qr code e catalogo prodotti: nuove funzionalità per gli account WhatsApp business.
  • Vendite online e pagamenti via chat: il futuro dell’eCommerce.
  • Facebook Shops: un nuovo strumento per vendere online.

 

Novità in arrivo per tutte le aziende che utilizzano WhatsApp Business.

Approdano all’interno dell’app i tanto attesi Qr code per aiutare i brand a promuoversi meglio e il catalogo prodotti diventa condivisibile.
Il rilascio di queste nuove funzioni non è del tutto casuale, ma nascono dalla volontà di Zuckerberg di agevolare e sostenere con nuovi mezzi la ripresa post-Covid che vede il digitale decisamente protagonista.
La pandemia ha accelerato senza ombra di dubbio la digital transformation, portando diversi brand, in particolar modo i local business a costruire e a rafforzare la propria presenza online per sopravvivere alla situazione.
Durante il lockdown, WhatsApp ha permesso a molte attività locali di vendere via chat anche senza avere un’eCommerce.
È infatti cresciuto il numero degli utilizzatori dell’app Business, che oggi conta 50 milioni di utenti, mentre migliaia di imprese più grandi utilizza le API di WhatsApp Business.

Quali sono le novità per le aziende?

Qr code: la nuova porta d’accesso per chattare con un brand

Fino ad oggi per entrare in contatto con un’azienda su WhatsApp era necessario aggiungere manualmente il numero in rubrica, oppure con un click mediante la funzione click to chat integrabile sui web site.
Ora è possibile iniziare una conversazione semplicemente inquadrando il Qr code relativo all’account business dell’attività. Una volta scansionato il codice QR, si aprirà una chat con un messaggio precompilato e modificabile, impostato precedentemente dall’attività per avviare una conversazione.
La nuova feature è stata rilasciata in tutto il mondo sia per chi utilizza l’app Business che per le API.

Questa nuova opzione spinge i brand verso una strategia omnichannel, dove i touchpoint del negozio fisico aprono le porte alla chat. I Qr code potranno essere esposti in vetrina, stampati sulle shopping bag piuttosto che sulla ricevuta, è evidente quindi un’integrazione tra modo online e offline.

Il QR Code, spiega l’azienda:

Funziona come una porta d’ingresso digitale che agevola l’interazione iniziale con un’azienda. Ad esempio, Ki Mindful Wearing, un marchio brasiliano di abbigliamento sportivo che ci ha aiutato a testare questa funzione, riporta i codici QR sulle confezioni e sulle etichette dei prodotti, in modo che i clienti possano contattarli tramite WhatsApp per ricevere assistenza.

Il catalogo prodotti diventa condivisibile

La funzione catalogo consente alle attività di creare una vera e propria vetrina virtuale per mostrare ai propri clienti prodotti e servizi facilitando cosi le vendite.
Il catalogo, introdotto lo scorso anno, ha sin da subito ottenuto un ottimo riscontro sia da parte delle aziende che dei clienti. La conferma ufficiale arriva dai numeri : ogni mese oltre 40 milioni di persone visualizzano i cataloghi all’interno dell’applicazione di messaggistica.

Per agevolare la promozione dei prodotti e la ricerca da parte dei consumatori, il catalogo diventa condivisibile.
La condivisione può avvenire non solo all’interno delle chat con i clienti ma anche sugli altri canali digitali come social network piuttosto che sito web. Per condividere il catalogo basta copiare il relativo link presente all’interno dell’applicazione business, con due opzioni di scelta: condividere un singolo prodotto oppure l’intero catalogo.

WhatsApp Pay i pagamenti si fanno in chat

Un’altra grande news del colosso di Menlo Park è legata al mondo dei pagamenti. Recentemente WhatsApp sta testando in Brasile, uno dei paesi in cui l’app ha una penetrazione maggiore, WhatsApp Pay.

Il sistema di pagamento consente ai clienti di inviare denaro e acquistare dalle attività commerciali in maniera estremamente semplice, ma soprattutto senza uscire dall’app.
Per gli utenti il servizio sarà gratuito mentre per i business ci sarà una commissione sulle transazioni.

WhatsApp ha dichiarato:

Semplificare i pagamenti significa permettere a un maggior numero di attività commerciali di entrare a far parte dell’economia digitale, creando nuove opportunità di crescita.

Arriverà anche in Italia? Non lo sappiamo, dall’azienda dicono che verrà rilasciata presto anche in altri paesi del mondo, ma non abbiamo conferme ufficiali che l’Italia sarà compresa.

whatsapp pay

L’era del WhatsApp Commerce?

Le ultime novità introdotte relative al catalogo e al mondo dei pagamenti lasciano presagire che in casa WhatsApp si stiano compiendo gli ultimi passi per avvicinarsi totalmente al mondo dell’eCommerce.
Vista la popolarità dell’applicazione e la sua base utenti multi-generazionale, vendere via WhatsApp potrebbe rivelarsi un’arma vincente e dalle enormi potenzialità per le aziende.

Anche i numeri giocano a favore del WhatsApp commerce, secondo uno studio condotto da Facebook:

Il 65% degli acquirenti a livello mondiale sembra essere più propenso a fare acquisti da un brand con cui può comunicare via chat,

Il 40% dei consumatori intervistati ha dichiarato di aver iniziato a fare shopping online grazie al conversational commerce. 

Questa prospettiva potrebbe dar vita ad un nuovo ecosistema basato sul commercio via chat.
Si andrebbe così a delineare un nuovo modello di business in cui le aziende di vari settori andrebbero a interagire con i clienti utilizzando WhatsApp come canale principale.
Ciò cambierebbe sicuramente il nostro modo di fare shopping.

Con WhatsApp non parliamo esclusivamente di vendita, ma parliamo di conversational commerce.

Vendere via WhatsApp vuol dire dialogare con i clienti, ma soprattutto offrire una user experience unica e personalizzata.
Uno dei punti di forza della chat è proprio quella di conoscere il cliente, guidarlo e consigliarlo nel processo d’acquisto, costruendo quindi relazioni di valore.

Il conversational commerce consente di unire l’esperienza fatta di relazioni che si creano all’interno di uno store fisico con l’istantaneità dello shopping online.

In definitiva alla luce dei recenti aggiornamenti che vedono protagonisti i codici QR, i pagamenti in App e il commercio via chat la teoria che Zuckerberg stia pianificando il futuro di WhatsApp guardando al mondo delle vendite in app e lasciandosi ispirare da WeChat sembra essere sempre più credibile.

C’è chi ha già fatto della messaggistica il suo principale canale di vendita, parliamo del brand tedesco Charles che ha dato vita al primo WhatsApp store in Europa.

Una volta approdati sul sito dell’azienda la call to action che invita l’utente a chattare con Charles su WhatsApp oppure su Messenger è subito ben evidente.

Come funziona il servizio?

Un assistente alle vendita risponde via chat alla richieste e consiglia i clienti passo passo, guidandoli per tutto il processo d’acquisto, dalla scelta del prodotto, alle transazioni,  all’assistenza post vendita.

Il social commerce di Facebook: nuove opportunità per le aziende

Nel piano del social commerce di Zuckerberg si intravede la volontà da parte dell’azienda di integrare le varie piattaforme per dar vita ad un vero e proprio ecosistema a disposizione dei business.

A darne conferma è un’altra delle recenti novità introdotte da Mark in fase di lockdown, parliamo di Facebook shops.

Gli shop di Facebook, vista la loro semplicità, consentono a chiunque, dal piccolo negozio alla grande aziende di vendere e comunicare con i clienti attraverso Facebook, Instagram e WhatsApp.

Creare uno shop su Facebook è gratuito. I clienti possono scoprire i negozi virtuali sulla pagina Facebook o Instagram di un brand, oppure trovarli mediante le storie o l’advertising.

Che ruolo svolgono le applicazioni di messaggistica in questo contesto?

WhatsApp e Messenger diventano i mezzi per interagire con le aziende in maniera diretta cosi come accade in negozio.

È chiaro che Facebook sta cercando un nuovo modo per generare utili insieme all’advertising.

In realtà il padre dei social media lavorava da tempo a questo piano, progetto che ha subito una accelerazione dovuta alla situazione generata dal Coronavirus che ha visto molti negozi chiudere i battenti e aprire le porte al mondo online.

Tutto ciò trasformerà il mondo dell’eCommerce?

Coupon e Instant Win: due modi per generare conversioni in-store

Coupon e Instant Win: due modi per generare conversioni in-store

Coupon e Instant Win possono aiutare a generare nuove conversioni negli store online e fisici.

Per conversione, in questo caso, intendiamo l’acquisto tramite l’app o il sito web anche se sappiamo bene che il termine può indicare qualsiasi metrica importante per il nostro business: dall’iscrizione alla newsletter, alla compilazione di un form, fino all’azione di aggiungere prodotti nel carrello.

Qui vogliamo analizzare le strategie di marketing, da integrare a quelle già esistenti, per aumentare i volumi di vendita di uno store online, anche se queste indicazioni possono essere riadattate anche per le catene dei negozi fisici.

Da marzo in poi si è registrato un picco di interesse da parte delle aziende sulla digitalizzazione, specialmente da business che hanno ricevuto impatti negativi durante la fase di chiusura forzata.

Il 20% delle micro-imprese ha attivato sistemi online per il delivery e per rimanere in contatto con i propri clienti. Adesso è giunto il momento di prendere tutto ciò che ci ha insegnato l’online e unirlo definitivamente agli store offline.

Oltre alle classiche promozioni ci sono dei metodi alternativi che coinvolgono clienti e potenziali tali, fanno crescere l’interesse verso i tuoi prodotti e stimolano la ricerca dei tuoi negozi.

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coupon

Generatori di codici Coupon personalizzati

Il miglior modo per veicolare e monitorare la promozione che vuoi mettere in atto è generare dei codici coupon che siano univoci per i tuoi clienti. Nell’era degli smartphone è indispensabile che essi siano digitali, inviati tramite email o memorizzati all’interno dell’area clienti della tua app, in modo da poterli utilizzare facilmente per l’acquisto successivo.

Un software che genera i codici coupon digitali deve permettere di monitorare quelli già usati e quali no, essere in grado di catturare tramite form di registrazione i dati utili per arricchire il proprio database e specialmente fornire report dettagliati. Per questo è meglio affidarsi a tool specifici a questa funzione e non solo a generatori di codici generici.

Ogni codice sarà associato a un contatto in modo da verificare anche il ROI, ovvero la revenue generata tenendo in considerazione anche le spese pubblicitarie.

Oltre al monitoraggio, il codice nominativo darà un senso di esclusività al coupon che diventerà prezioso e insostituibile per i clienti.

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Un esempio di campagna Coupon è quella di Shimano, un brand molto noto ai ciclisti agonistici, che ha fornito dei coupon attraverso l’iniziativa #inGiroConShimano. I codici regalavano un bike check completo da effettuare nei loro punti vendita durante l’inizio della stagione ciclistica.

Questo Case Study ci fa comprendere come non sia solo importante il coupon in se, ma anche il modo in cui si comunica l’iniziativa. Il bike check in fase di pre-apertura della stagione è un importante periodo per tutta l’audience Shimano, che percepisce il Brand come vicino ai propri bisogni.

Instant Win tramite API: regala un premio ai tuoi utenti

Oltre ai coupon digitali, puoi creare un vero e proprio contest per aumentare la curiosità e l’interazione con i tuoi visitatori. L’Instant Win è un concorso a premi in cui l’utente, compilando un form di registrazione, scopre subito se ha vinto il premio in palio o meno.

I premi possono essere codici sconto, oggetti fisici, servizi online che appaiono appetibili alla tua audience. Un esempio è stato il contest #PerfectSummerPerfectFit di Ragno che in occasione del lancio della nuova collezione ha messo in palio degli sconti esclusivi.

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Per portare gli utenti sul tuo sito ogni giorno, integra un Instan Win più giocoso come una Ruota della Fortuna (Spin and Win) o un Gratta e Vinci virtuale (Scratch and Win) all’interno del tuo sito o della tua app. In questo modo intercetti ogni visitatore del tuo sito invitandolo a giocare e, chi ha vinto, avrà subito la possibilità di sfruttare la promo vinta durante il prossimo acquisto.

Coupon e Instant Win sono due metodi che possono portare nuovi utenti, incuriositi dall’iniziativa, oppure stimolare vecchi clienti al riacquisto. Il trucco per sfruttare al meglio queste due opportunità è quello di offrire un premio di alto valore che sia in linea con gli interessi e i valori dell’audience.

bicicletta

Il mercato italiano della bicicletta: dal bike to work al cicloturismo

  • Il mercato italiano della bicicletta è in crescita: dalla riapertura dei negozi dopo il lockdown +60% di acquisti.
  • La bicicletta viene utilizzata solo dal 3,6% della popolazione come mezzo di trasporto, ma sono in corso molte iniziative pubbliche e private per cambiare tendenza.
  • Il cicloturismo come esperienza di viaggio, nel 2019 ha generato 4,7 miliardi di euro.

 

“Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor…” cantava negli anni Cinquanta Silvana Pampanini.

La bicicletta è uno dei mezzi più utilizzati al mondo e ha una storia antichissima oltre che un valore sociale. I primi schizzi di bicicletta sono contenuti addirittura nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e risalgono al ‘500. Il primo modello di bici vero e proprio (draisina) risale invece all’800 tedesco.

bicicletta di Leonardo da Vinci

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In Italia la bicicletta è stata ampiamente utilizzata durante la Grande Guerra in ambito militare. Diventa popolare negli anni ’30 e ’40, come mezzo di trasporto. Con il boom economico subisce un calo, sostituita dai motocicli e dall’utilitaria. Ritorna popolare negli anni ’70 e ’80, soprattutto a scopo sportivo. Negli ultimi anni, grazie all’aumento di sensibilità verso i temi della sostenibilità e all’innovazione tecnologica dell’elettrico, la bicicletta sta prendendo sempre più piede anche come mezzo di trasporto, soprattutto nel corso dell’emergenza sanitaria.

Nel contesto attuale in cui viviamo, come si posiziona quindi la bicicletta?  Può dare una spinta alla ripresa del turismo italiano?

Nei prossimi paragrafi faremo una fotografia del mercato italiano, concentrandoci sull’utilizzo della bici come mezzo di trasporto, con alcuni progetti in corso sia a livello pubblico che privato. Guarderemo poi la bicicletta nel contesto del cicloturismo.

Il mercato delle biciclette in Italia

In Italia c’è un mercato molto attivo per le biciclette, con aziende storiche presenti soprattutto al nord. Pensiamo per esempio all’azienda Torpado, nata a Padova nel 1895, ad Atala nata a Milano nel 1907, a Bianchi, la più antica, nata nel 1885 a Milano.

Il mercato italiano registra una produzione annua stabile intorno alle 2.500.00 biciclette: nel 2019 c’è stata una crescita del +25% e il 2020 potrebbe registrarne una ancora maggiore. La richiesta di biciclette vede sicuramente un aumento di interesse nell’e-bike, ma anche nelle biciclette sportive.

bicicletta

Secondo un recente comunicato stampa di Confindustria ACMA (Associazione Nazionale ciclo motociclo e accessori), dalla riapertura dei negozi dopo il lockdown c’è stato un +60% di acquisto di bici tradizionali e a pedalata assistita rispetto lo scorso anno, intorno a 540 mila biciclette vendute. Un incentivo è sicuramente il Bonus Mobilità del Governo con il 60% di restituzione importo sull’acquisto, ma non solo, perché gli acquisti si registrano anche in Comuni al di sotto dei 50.000 abitanti, che non usufruiranno del bonus.

Un rischio, in questo momento di boom, potrebbe essere perfino una domanda che supera l’offerta a causa dello stop di produzione in questi mesi. Alcune aziende infatti stanno accelerando la produzione per recuperare il gap.

La bicicletta come mezzo di trasporto

Se la bicicletta riscuote un certo interesse in ambito sportivo e di svago, lo stesso non si può dire del suo utilizzo in Italia come mezzo di trasporto.

Secondo un report di Legambiente, la bicicletta viene utilizzata infatti solo dal 3,6% della popolazione con questo scopo. I frequent biker, cioè coloro che utilizzano la bici regolarmente per il tragitto casa-lavoro sono solo 743.000, con percentuali elevate nella provincia autonoma di Bolzano (13,2% degli occupati), in Emilia Romagna (7,8%) e in Veneto (7,7%). Le città più bike-frendly in Italia sono 12, con in testa Bolzano, Pesaro, Ferrara e Treviso, dove un quarto della popolazione pedala per i propri spostamenti quotidiani. Nel centro-sud l’utilizzo della bicicletta per spostarsi è molto basso. Nel tragitto casa-scuola o casa- università, utilizzano la bicicletta circa 1 milione di studenti nelle regioni già citate.

bicicletta mezzo di trasporto

Il report di Legambiente ha quantificato l’ammontare dei benefici annuali in euro prodotti da ogni singolo chilometro di ciclabile nelle città dove almeno il 20% degli spostamenti viene effettuato in bici. A Bolzano i benefici in termini di risparmio di carburante, benefici sanitari, contenimento dei costi ambientali e sociali dei gas serra, riduzione di smog e motore, dall’abbattimento dei costi delle infrastrutture e dell’artificializzazione del territorio, ammontano a 1.156.849 euro l’anno, a Ferrara 751.890, a Treviso 655.873.

Progetti Ciclabili: Milano e Pesaro

A determinare alti livelli di ciclabilità nelle città è l’approccio innovativo allo spazio pubblico e alla sostanziale ridistribuzione dei pesi tra le diverse componenti del trasporto unita a una pianificazione urbana, che mette al centro le esigenze della persona e non del veicolo e punta all’efficienza dell’intero sistema locale degli spostamenti.

Rapporto Legambiente, L’Abici

La rimodellazione della città in funzione della bicicletta necessita, come cita il rapporto di Legambiente, una ridistribuzione dei pesi tra le diverse componenti del trasporto e una pianificazione urbana. Questo per esempio può significare ridurre la carreggiata o eliminare dei parcheggi auto a favore delle piste ciclabili.

piste ciclabili

Nelle città italiane, ci sono diversi progetti sulla ripianificazione urbana in fase di realizzazione.

  • Milano. Il comune ha avviato un progetto per costruire 35 chilometri di piste ciclabili entro dicembre. Tra le motivazioni principali, quelle di contenere il contagio e consentire gli spostamenti con il giusto distanziamento sociale, senza causare congestioni di traffico e aumentare l’inquinamento. I 35 chilometri di nuove piste ciclabili si aggiungeranno ai 220 chilometri già esistenti e nuovi parcheggi per bici e moto.
  • Pesaro. La bicipolitana, questo il nome del progetto a due ruote che il comune sta realizzando. Si tratta di una vera e propria metropolitana in superficie, dove le rotaie sono i percorsi ciclabili e le carrozze le biciclette. Utilizza lo schema delle metropolitane, con le linee azzurre, gialle, rosse, arancioni e i collegamenti a più parti delle città. Attualmente sono realizzate la linea verde e azzurra, le altre sono in costruzione.

Le iniziative delle aziende: Oracle e Trek Italia, Enel

Sul fronte privato anche le aziende stanno sperimentando progetti di mobilità sostenibile di bike to work. Oracle in partnership con Trek Italia nelle sedi di Roma e Milano ha messo a disposizione in bike sharing 8 biciclette a a pedalata assistita per i propri dipendenti.

Le biciclette potranno essere prenotate con una app, che permetterà anche di monitorare gli spostamenti e calcolare il risparmio in termini di inquinamento grazie alla bicicletta.

bike to work

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Anche Enel ha messo a disposizione una flotta biciclette in bike sharing per le sedi di Firenze e Bologna. I dipendenti possono utilizzarle per spostamenti dalla sede di lavoro alla stazione ferroviaria o per altri spostamenti professionali in città.

Oltre la sostenibilità, l’utilizzo della bici per andare al lavoro porta una riduzione di stress da traffico, attività fisica quotidiana e la possibilità di attraversare i centri storici delle città.

Cicloturismo

Il cicloturismo è la visita ed esplorazione di luoghi a scopo ricreativo, di uno o più giorni, incentrata in modo prevalente e significativo sull’uso della bicicletta per finalità di svago. La bicicletta nel cicloturismo quindi riveste un ruolo rilevante nell’esperienza di viaggio. Non è considerato cicloturismo l’attività sporadica con la bicicletta.

Nel 2019 l’Italia ha registrato quasi 55 milioni di pernottamenti di cicloturisti, generando una spesa complessiva di 4,7 miliardi di euro. Di questi 20,5 milioni sono italiani, con 1,7 miliardi di euro. Questo dato potrebbe aumentare a 26 milioni nel 2020 grazie al turismo di prossimità e la possibilità che offre la bicicletta di mantenere un distanziamento sociale.

Il rapporto Isnart-Legambiente rileva che nel 2019 la maggior parte dei cicloturisti in Lombardia ed Emilia-Romagna si sono mossi nella area di residenza o limitrofe, mentre veneti e toscani hanno raggiunto anche Sicilia e Calabria. I cicloturisti stranieri tedeschi e austriaci prediligono il Trentino, i francesi Lombardia, Trentino e Sardegna. Le regioni meno toccate dalle due ruote sono Umbria, Abruzzo, Campania e Molise.

La spesa media del cicloturista è di 75 euro pro-capite, ha reddito un medio-alto e predilige le vacanze in coppia. Tra gli stranieri l’uso della bicicletta è al primo posto per le attività sportive praticate in vacanza (37,5%) a cui seguono Sci (28,8%) e Trekking (18,5%). Il cicloturismo ha in media un peso del 6% sulla domanda turistica.

Tra le ciclovie italiane con maggiore appeal turistico troviamo la ciclovia del Garda, che sarà conclusa nel 2021, attraversa 19 comuni del Lago di Garda. Dal 2018 è attiva la ciclopista del Garda, parte del progetto della ciclovia, con una pista sospesa a 50 m sul lago di Garda che collega Limone sul Garda al confine della provincia di Trento.

brand activism

I consumatori chiedono un nuovo brand activism fatto di azioni concrete

  • Durante l’ultima ondata di brand activism è emersa, come non mai, la richiesta di responsabilità e autenticità da parte dei consumatori.
  • La brand self awareness è un antidoto contro l’ipocrisia aziendale e deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di sostegno alle cause sociali.
  • Le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Al contrario, i brand non faranno altro che mettere in discussione la loro credibilità.

 

Nelle ultime settimane, sulla scia della campagna Black Live Matters, molti brand si sono espressi contro il razzismo. Alcuni hanno semplicemente dichiarato la propria solidarietà, altri – come LegoBen & Jerry’s – hanno invece annunciato azioni concrete. Scelte accomunate dalla stessa volontà di stare “dalla parte giusta della storia”, ma che hanno sortito nel pubblico reazioni diverse. Se alcune aziende sono state infatti lodate per il proprio impegno, altre sono state accusate di ipocrisia e opportunismo.

Brand activism, un fenomeno in crescita

Il motivo per cui il brand activism è un fenomeno in crescita appare chiaro. Secondo un recente sondaggio condotto dalla società di consulenza Edelman, il 60% degli americani boicotterebbe o comprerebbe da un marchio in base alla sua risposta alle proteste contro l’ingiustizia razziale. E il dato è ancora più alto tra i più giovani: il 78% dei millennials ritiene che anche i brand debbano alzare la voce, mentre il 70% delle persone tra i 18 e i 34 anni cambierebbe di conseguenza le proprie scelte di di acquisto. Ma già più di quattro anni fa il 66% delle persone era disposto a pagare di più pur di avere prodotti che rispettassero principi quali ad esempio la sostenibilità ambientale.

I consumatori ritengono che le marche abbiano la possibilità di produrre un impatto concreto sulla società. Lo studio di Sprout Social del 2019, ad esempio, rivela che secondo il 66% delle persone i brand hanno il potere di facilitare un cambiamento reale, mentre il 67% di esse pensa che le loro piattaforme – in particolare i canali social – siano efficaci nell’aumentare la consapevolezza riguardo le problematiche sociali. Insomma, parafrasando Spider-Man, secondo i consumatori da un grande brand derivano grandi responsabilità sociali.

Come ha sottolineato anche l’Outlook report quindi, sempre più la fiducia nel marchio non si basa solo sui suoi prodotti o servizi, ma anche sulle scelte etiche e politiche fatte dall’azienda che vi sta dietro.

brand activism

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Perché i social media hanno cambiato tutto

Prima della nascita dei social media, i marchi non avevano canali di comunicazione diretta coi proprio clienti. Di conseguenza, i consumatori stessi non si aspettavano prese di posizione su tematiche sociali da parte dei propri brand preferiti. L’avvento dei social network ha invece aumentato le aspettative dei consumatori riguardo l’attivismo dei brand.

Del resto, l’ondata di indignazione in seguito all’uccisione di George Floyd non è stata guidata da testate giornalistiche o istituzioni, ma da persone comuni che hanno iniziato a condividere il proprio sdegno su Twitter e Facebook. In una simile situazione, coesistendo nello stesso spazio digitale, i marchi devono necessariamente inserirsi nelle conversazioni in modo pertinente. Ma non corrono il rischio di apparire opportunisti?

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La domanda di autenticità da parte del pubblico

Molti dei più grandi brand mondiali erano rimasti in silenzio sul tema della violenza razziale fino al momento in cui hanno twittato #BlackLivesMatter. Per questo sono apparsi opportunistici. Certo, meglio tardi che mai. Ma il brand activism va costruito nel tempo, con costanza e soprattutto autenticità. L’autenticità non è qualcosa che può essere presa in prestito o prodotta da un giorno all’altro e il suo punto di partenza è la costruzione dell’attivismo di brand sui valori fondamentali del marchio stesso.

Ma il sostegno a una o più cause non assolve automaticamente i brand dal silenzio su altre problematiche sociali: il silenzio non è più neutrale. Ciò che allora può fare un marchio è inquadrare il proprio sostegno attraverso un approccio intersezionale. Ad esempio, se un brand è impegnato nella sensibilizzazione sul cambiamento climatico, in occasione di campagne contro il razzismo potrebbe sottolineare il concetto di sproporzionalità riguardo le conseguenze dei problemi ambientali sulle persone di colore.

Infine – ma non ultima – fondamentale per l’autenticità è la brand self awareness, la consapevolezza di sé da parte del brand. Un antidoto contro l’ipocrisia aziendale che deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di supporto. Cioè, inutile twittare contro il razzismo, se al suo interno l’impresa stessa non è impegnata a sradicarlo. Amazon, Ralph Lauren e Next Door sono tre esempi di brand fortemente criticati per aver rilasciato dichiarazioni di sostegno ipocrite, perché in contrasto con problematiche interne.

brand activism

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Una nuova era per il brand activism

Durante quest’ultima ondata di brand activism è emersa come mai prima d’ora una richiesta di responsabilità. Denunciare il razzismo sui social media non è attivismo di marca senza azioni a sostegno, e le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Se al contrario un marchio è tutto parole e niente azioni, questo non farà altro che mettere in discussione la sua credibilità.

Denunciare l’ipocrisia aziendale non è mai stato così facile. Internet non dimentica mai, anzi sembra fatto apposta per riesumare i problemi del passato e di conseguenza responsabilizzare i brand su ciò che fanno nel presente.

Non basta aprire il libretto degli assegni per effettuare donazioni una tantum. Occorre invece cambiare la politica interna a favore dell’inclusione razziale, rivedere i prodotti perché non siano diffusori di pregiudizi, espandere la responsabilità sociale. Un cambiamento insomma non relegato alle strategie del reparto marketing, ma abbracciato da tutta l’azienda come valore chiave su cui lavorare.

È responsabilità di ciascuna impresa abbracciare e inserire la corporate social responsibility (CSR) all’interno della propria struttura aziendale. Magari non tutte diventeranno B Corps, ma qualche ritocco al modo in cui calcolano il risultato economico aziendale contribuirà a rafforzare la responsabilità interna nei confronti della società.

Insomma, nonostante le reazioni dei brand al movimento Black Live Matters siano state talvolta superficiali, la nuova domanda di responsabilità potrebbe provocare nei marchi riflessioni più profonde e portare infine a cambiamenti sostanziali nell’autenticità del loro attivismo.

Questi valori sono già radicati nel DNA del vostro marchio? Benissimo! Altrimenti, questo è il momento di iniziare.

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Apple potrebbe lanciare due MacBook con processori ARM già nel 2020 (e la rivoluzione è appena iniziata)

  • Durante il WWDC 2020 Apple aveva già annunciato il passaggio dei processori su Mac da Intel agli ARM.
  • Secondo quanto riferito da The Next Web, Cupertino sta pianificando due MacBook con i nuovi processori già per la fine dell’anno.

 

Il divorzio tra Intel e Apple è appena agli inizi. Ecco la più grande novità introdotta con il WWDC del 2020, il consueto appuntamento annuale dedicato agli sviluppatori ed incentrato sulle novità software delle proprie piattaforme.

Decisamente l’evento che tutti gli sviluppatori aspettavano e le novità introdotte sono state davvero innumerevoli, per gran parte dei dispositivi firmati Apple: dell’iPhone, al Watch, sino a coinvolgere il settore computer.

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Nell’aria si respirava già da tempo l’arrivo imminente di importanti novità, ma nessuno o quasi si aspettava un passaggio epocale di questo genere. In molti aspettavano un restyling di iMac, ma così non è stato. A Cupertino è stata svelata la più grande novità di quest’anno: il passaggio dei processori su Mac da Intel agli ARM.

Questi nuovi processori, cugini molto lontani di quelli già utilizzati sui dispositivi portatili di Apple come iPhone e iPad, determineranno una profonda rivoluzione del mercato dei computer.

Il primo su tutti sarà l’inevitabile interruzione dello sviluppo di software delle più importanti software house, altre conseguenze invece riguarderanno strettamente le performance delle macchine, che potrebbero migliorare ad esempio l’autonomia e attrarre nuovi segmenti di mercato. Le risposte a questi ed a ulteriori dubbi saprà fornircele soltanto il tempo.

Già pronti due MacBook

Secondo quanto riferito da The Next Web, Apple sta pianificando due MacBook con processori ARM già per il 2020.

L’analista Apple Ming Chi Kuo ritiene che si tratterà di un MacBook Pro da 13,3 pollici e un nuovo MacBook Air con i chip della casa madre, mentre i due modelli pro da 14 e 16 pollici arriveranno l’anno prossimo.

Si dice anche che Apple annuncerà un iMac riprogettato con un design più simile all’iPad Pro quest’anno, anche se probabilmente non presenterà un processore ARM nel 2020.

I nuovi processori ‘Apple Silicon’

Nasce questo nuovo termine: l’Apple Silicon. Sono stati così definiti i nuovi processori di Cupertino che presto sostituiranno i consueti Intel. In Apple è stata evidenziata una profonda esperienza e studio del settore, che permetterà di produrre processori ad alta prestazione.

apple macbook

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Architettati ad hoc per i propri prodotti, i chip Apple comporteranno un minor consumo energetico, minori costi di produzione, maggior controllo sull’intera architettura dei componenti.

Durante il WWDC sono state presentate anche alcune applicazioni demo, che mostrerebbero la potenza degli ARM e che confermerebbero la capacità di questi chip di offrire un’esperienza d’uso appagante, come: Final Cut, Affinity Photo e Cinema 4D, tutti applicativi molto richiesti dagli utenti Apple.

Ultimo aspetto molto interessante sarà la dimensione di questi chip, varierà in base alle caratteristiche delle macchine sulle quali verranno montati. Dunque molto efficienti ed energivori per Mac più grandi. Più compatti, silenziosi e meno caldi per portatili e dispositivi più piccoli.

Tempistiche e dettagli dei chip Apple

Il cambiamento annunciato durante le WWDC se da un lato ha notevolmente scosso il mercato, dell’altro non ha placato i malumori degli analisti che durante l’evento non sono riusciti a carpire molti dettagli tecnici per offrire fiducia nel futuro dei Mac sia agli utenti che agli sviluppatori di tutto il mondo, che da oggi potranno (e dovranno) servirsi di un nuovo ambiente di sviluppo firmato interamente Apple.

Il passaggio da Intel agli ARM sarà graduale ma già verso la fine di quest’anno, dovremmo poter verificare ed analizzare le conseguenze della scelta.

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Amazon lancia il Dash Cart: un nuovo modello di carrello intelligente

Amazon espande la sua impronta nel mondo reale con uno strumento fisico unconventional. Si chiama Dash Cart ed è una versione intelligente del classico carrello della spesa da supermercato.

È dotato di touchscreen e altre componenti hardware per rilevare automaticamente quali oggetti si inseriscono all’interno e persino quanti prodotti uguali hai scelto dallo scaffale. Quando hai finito di fare acquisti, ti è permesso portare il carrello attraverso una corsia speciale che controlla tutto in digitale senza la presenza di un addetto umano.

Da anni l’azienda cerca di applicare quanto acquisito dallo sviluppo di prodotti basati su Alexa agli store fisici, anche grazie all’acquisizione di Whole Foods e alla crescente rete di negozi Amazon Go (cashless). Tali sforzi stanno ora portando a prodotti ibridi che collegano il digitale e il fisico.

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Dall’Amazon Go al Dash Cart: come cambia la strategia del gigante dell’eCommerce

Il Dash Cart arriverà per primo nel negozio di alimentari di Amazon nel quartiere di Woodland Hills a Los Angeles. Il negozio, confermato per la prima volta l’anno scorso, non è un Amazon Go, il che significa che non ha telecamere, sensori e altre apparecchiature integrate nel soffitto per rilevare automaticamente gli oggetti che togli dagli scaffali.

Questo è un supermercato “normale”, come quelli in cui tutti facciamo acquisti ogni giorno, solo che ha carrelli della spesa fatti appositamente per l’uso tecnologico.

Il negozio è attivo e funzionante per soddisfare gli ordini di generi alimentari online, ma lo spazio fisico non è ancora aperto al pubblico; Amazon afferma che punta ad aprire il negozio entro la fine dell’anno. Il negozio si unisce alla rete Whole Foods di Amazon e al suo negozio di alimentari Amazon Go di formato più grande, aperto a Seattle a febbraio.

Non è chiaro perché Amazon stia optando per un negozio più tradizionale, visti i suoi oltre due dozzine di negozi Go. Da un lato, potrebbe essere perché il modello Go è difficile da ridimensionare alle necessità di un negozio di alimentari più grande della classica drogheria. La nuova sede di Woodland Hills si trova infatti sul sito di un ex Toys “R” Us , che è sicuramente molto più grande di un Amazon Go.

C’è poi un’ulteriore domanda relativa alla privacy: forse l’approccio di monitoraggio e sorveglianza del formato Go non è appetibile come quello di un carrello intelligente che un consumatore deve scegliere di utilizzare.

Detto questo, sembra che ridimensionare il suo approccio senza casse, sia dal punto di vista della privacy sia da quello tecnico, una sfida che Amazon sta cercando di superare, e il carrello è lo strumento giusto per farlo in modo gestibile e scalabile rapidamente.

Come funzionerà il Dash Cart

Per ora, l’azienda non è pronta per utilizzare la tecnologia Dash Cart per grandi spese. Quindi il dispositivo può gestire fino a circa due buste di articoli, ma non può essere utilizzato per una spesa familiare che arriva a riempire per intero il carrello. Ciò significa che il negozio di Woodland Hills avrà carrelli standard e corsie di pagamento standard per tutti i clienti che acquistano più di quello che il Dash Cart consente.

dash cart amazon

Come spiegato da The Verge , il Dash Cart grazie a telecamere, una bilancia e sensori di visione e peso computerizzati può determinare non solo il tipo di articolo, ma anche la quantità.

Il carrello elabora l’ordine solo alla fine del percorso nel supermercato e solo dopo aver effettuato l’accesso al proprio account Amazon. Il carrello ha anche uno scanner coupon integrato e supporta la funzionalità di liste della spesa di Alexa.

Quando finisci di fare acquisti, poi, le corsie Dash Cart dedicate ti consentono di uscire dal negozio senza dover gestire i pagamenti.

Se il Dash Cart dovesse essere un successo tra i consumatori, Amazon potrebbe lanciare questo modello anche altrove, rivoluzionando anche la spesa di tutti i giorni, dopo aver trasformato il nostro modo di fare shopping online.

Come costruire la credibilità di un sito web: regole e consigli

Regole e consigli per costruire la credibilità online di un sito web

  • I visitatori che approdano sul tuo sito web decidono in pochi secondi se rimanere o andarsene, per questo l’esperienza dell’utente va curata.
  • Consigli utili per creare fiducia e credibilità nel proprio sito web e non far scappare gli utenti, ma condurli fino alla conversione.

 

Stiamo scoprendo l’acqua calda se diciamo che le persone comprano i prodotti di un marchio se lo conoscono, ne hanno almeno sentito parlare e quindi si fidano. Non è solo il prezzo ad entrare in campo o quanto è attrattiva la tua pubblicità, il rapporto che instauri con il consumatore ha un ruolo importantissimo e la parola chiave è: fiducia.

In questo articolo ti spieghiamo una serie di tattiche ninja proprio per rendere il tuo sito web altamente credibile per le persone che lo visitano, anche per la prima volta.

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Come costruire la credibilità di un sito web

Design e prestazioni del sito

Appena gli utenti atterrano sul tuo sito web, dovranno decidere se rimanere o andarsene. Uno dei motivi che incide fortemente è la velocità di caricamento della pagina. La parte tecnica è importante e una volta che tutti i contenuti si saranno caricati velocemente, allora il primo test è passato con successo.

Ora oltre alle prestazioni tecniche, bisogna valutare anche se la pagina è attraente agli occhi dell’utente e se trova in poco tempo proprio quello che si aspetta e stava cercando.

Le percezioni principali che il visitatore deve subito provare perché si senta rassicurato, devono essere chiare:

  • Rassicurazione sulle transazioni sicure;
  • Percezione che il prodotto sia accuratamente descritto;
  • Convinzione che i tempi di spedizione sono brevi e verranno rispettati grazie ad adeguate informazioni su termini e condizioni.

Oltre a queste tre informazioni principali assicuratevi di conoscere bene il vostro consumatore per potergli proporre proprio quello di cui ha bisogno.

  • Il design è importante, ma va pensato sulle caratteristiche del nostro consumatore. Spesso idee creative e brillanti non si spostano con la nostra tipologia di utente. Quindi attenzione a studiare tutto in sua funzione;
  • Impostate in modo chiaro tutte le informazioni di contatto e rendetele sempre ben visibili. Non inserite solo la mail, per generare maggior credibilità, scrivi anche indirizzo completo, numero di telefono e tutti i dettagli normalmente indicati;
  • Il linguaggio e la terminologia usata sul sito web, devono essere coerenti con l’audience di riferimento. Parla la lingua dei tuoi consumatori, non perderti in tecnicismi, inglesismi o costruzioni particolari solo perché è cool. Il tuo pensiero deve sempre andare ai tuoi utenti e a semplificare al massimo il dialogo con loro, perché i messaggi arrivino in modo forte e chiaro;
  • Come sempre attenzione anche a refusi ed errori grammaticali. Sembra scontato, ma la nostra credibilità e professionalità deriva anche da questo.

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Trasparenza e autenticità

Un altro punto cardine che incide sulla credibilità del nostro sito web, è la trasparenza. L’utente deve percepire che siamo noi, che siamo reali e autentici e deve fidarsi per comprare sul nostro sito web.

  • Inserisci una pagina ‘chi siamo’ completa, personalizzala e presentati come se stessi prendendo un caffè con il tuo interlocutore e dovessi spiegargli in modo genuino chi sei e cosa fai;
  • Sii reale e non ridicolo, non cercare di esasperare caratteristiche o esagerare. Come si dice ‘il troppo stroppia’ e non è credibile. Attieniti ai fatti, a documentare e raccontare quello che fai, piuttosto che esagerare con l’essere autoreferenziale;
  • Mostra chi lavora nel tuo team e cosa fate, fai vedere il dietro le quinte dell’azienda e mettiti a nudo proprio per far percepire l’autenticità della tua attività: tutto ciò che solo tu puoi mostrare, ti rende unico!

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Riprova sociale e sicurezza

Infine è importante mostrare testimonianze, consumatori soddisfatti e partner per generare quella che viene definita: riprova sociale.

Secondo il principio di riprova sociale spiegato da Robert Cialdini le persone attribuiscono importanza all’opinione di una voce esperta e credibile, ma dall’altro canto con i social media ci sono anche le riprove sociali che si basano sul comportamento di un gruppo di amici, utenti o cittadini a cui una persona si sente in qualche maniera legata o affine, e che emergono più chiaramente nelle dinamiche della social economy.

Ecco perché è importante inserire sul tuo sito web recensioni (meglio se con un punteggio alto) e testimonianze di altri utenti che hanno comprato i tuoi prodotti o servizi. I visitatori nel vedere l’esperienza e l’opinione di altre persone si sentiranno rassicurati.

Inoltre se hai dei partner che collaborano con te o segui dei clienti, puoi inserire i loro loghi e daranno credibilità al tuo lavoro.

Se invece ci sono blogger o riviste che hanno parlato di te e della tua attività puoi citarle e farne bella mostra sul tuo sito web.

Tutto ciò può contribuire a generare fiducia nel tuo sito web e nella tua attività.

Non ti resta che tornare sul tuo sito web e controllare se hai già inserito tutti questi punti, come sei messo a credibilità verso i tuoi utenti?

turismo covid-19

Breve guida 2020 per le PR nel settore hospitality

Subdolo e invisibile, il Covid-19 ha sconvolto il mondo del lavoro.

Di più: lo ha rivoluzionato proiettando tutte le categorie professionali in un futuro che, senza pandemia, avrebbe richiesto decenni per delinearsi.

In particolare è stato il settore turistico a essere travolto da questa situazione di emergenza, per questo abbiamo pensato a una piccola guida per le attività che affronteranno la stagione turistica più anomala di sempre.

Le aziende dell’hospitality hanno più bisogno di PR rispetto alle altre

Ciononostante, come dopo ogni shock sociale di proporzioni epocali, le conseguenze rischiano di essere pesantissime e gli strascichi molto dolorosi.

Come prevedibile, le attività basate sull’accoglienza del pubblico sono quelle destinate a pagare il prezzo più alto per i protocolli anti Coronavirus.

Tuttavia non è la prima volta che il settore hospitality si trova a dover fronteggiare delle crisi legate a virus di varia natura.

Un’evenienza simile era già occorsa durante l’epidemia di SARS tra il 2002 e il 2004, quando la disdetta delle prenotazioni negli hotel di tutto il mondo superò abbondantemente il 50% e quasi 10 milioni di turisti rinunciarono per paura alle proprie vacanze, generando una perdita per tutto il settore compresa tra i 30 e i 50 milioni di dollari.

Dopo appena due anni di incertezza, l’industria del turismo e della ristorazione ha fatto registrare una crescita con pochi precedenti.

Nel 2006, il settore hospitality ha influito sul prodotto interno lordo mondiale per un totale di 5.160 miliardi di dollari.

A dimostrazione che non importa quanto sono pesanti: le crisi sono sempre passeggere.

Ciò che dev’essere permanente, piuttosto, è la capacità di trarne un vantaggio competitivo sul medio e lungo periodo.

Grazie alle cloud technologies come i software che gestiscono le prenotazioni, i pagamenti contactless e addirittura le nuove app che contingentano gli ingressi fornendo informazioni aggiornate in tempo reale, il mondo del turismo dispone di strumenti per il rilancio che non possono più essere sottovalutati.

Proprio ora, nel mezzo di un impatto devastante che rischia di cancellare milioni di posti di lavoro, le strutture più colpite sono quelle che necessitano più di tutte di strategie di relazioni pubbliche efficaci in relazione all’unicità del periodo storico.

Tre imperativi da rispettare nell’hospitality

1. Riportare i vecchi clienti all’interno delle attività

Le conseguenze del Coronavirus, un po’ acceleratore di processi già in atto e un po’ rivoluzione sistemica con pochi precedenti in epoca moderna, non hanno risparmiato nessun settore.

Persino il marketing sta subendo un cambio di paradigma che fino a pochi mesi fa sarebbe risultato impensabile.

digital pr

Anche le relazioni pubbliche non fanno eccezione.

La nuova sfida per le realtà turistiche e della ristorazione non è più cercare nuovi clienti, ma far tornare quelli vecchi all’interno delle proprie attività.

Per riuscirci, le strutture del settore hospitality dovranno mutare radicalmente e in tempi brevi il proprio modo di comunicare: con il turismo straniero e gli spostamenti internazionali ancora incerti, l’obiettivo dev’essere quello di riavvicinare i clienti storici, quelli più affezionati, ricordando loro i motivi che li hanno spinti a scegliere un hotel o un ristorante piuttosto che un altro.

Mantenere attivo un contatto diretto è più importante che promuoversi urbi et orbi con una comunicazione aggressiva.

Sul piano delle PR è consigliabile piuttosto un lavoro di manutenzione, atto a mantenere stabile il prestigio del brand e fortificare la lealtà dei clienti storici, quelli che già conoscono le qualità distintive della struttura e non intendono rinunciarvi.

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2. Comunicare sicurezza

Come dimostrano i dati che vengono diramati ogni giorno dalle istituzioni competenti, l’emergenza Covid-19 non è ancora finita.

Verosimilmente saremo tutti chiamati a conviverci fino alla creazione di un vaccino in grado di farci tornare a una parvenza di normalità, ma fino ad allora una parte di noi manterrà sempre alta l’allerta.

pagamenti contactless coronavirus

Durante i mesi di quarantena, oltre la metà della popolazione mondiale si è vista costretta a rinunciare alla propria quotidianità.

La lontananza dalle persone care, che siano amici o parenti o congiunti, ha lasciato una traccia importante nella psiche collettiva.

È proprio qui che le PR possono diventare il miglior alleato delle strutture del settore hospitality, le più a rischio in assoluto.

Oggi più che mai è di fondamentale importanza immedesimarsi nel potenziale cliente per intuirne le esigenze e ragionare come lui.

Fin dalle riaperture generali abbiamo infatti assistito a un paradosso che però non deve sorprendere: molte persone vivono ancora immerse in un clima di paura e diffidenza.

Ed è così che nonostante il rispetto delle normative sugli assembramenti e il distanziamento sociale da mantenere, molte realtà faticano ancora a riportare fisicamente la clientela all’interno delle strutture.

Il motivo? Una comunicazione poco efficace.

Chi si appresta a scegliere un tavolo al ristorante o la stanza di un hotel, le precauzioni prese per abbattere il rischio di contagio preferisce vederle piuttosto che limitarsi a leggerle.

A livello di PR, dunque, adottare il concetto astratto di sicurezza e recitarlo come un mantra è indispensabile ma non più sufficiente: l’aspetto visuale, foto e video che dimostrano il lavoro fatto per rendere i locali perfettamente adeguati, giocherà un ruolo primario per chi vuole distinguersi.

Riuscire a comunicare gli sforzi messi in atto contribuisce a generare un clima sereno e disteso, che non a caso è il fine ultimo di chi cerca un’esperienza confortevole durante una vacanza o una semplice cena.

Questo, ai tempi del Coronavirus, è doppiamente vero. E in futuro sarà la norma.

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coronavirus igiene mani

3. Enfatizzare i propri punti di forza

Se in tempi meno turbolenti i punti di forza costituivano un biglietto da visita molto importante per le strutture alberghiere e della ristorazione, oggi rappresentano un plus determinante sul quale concentrare le proprie strategie di relazioni pubbliche.

Il Covid-19 sta determinando un nuovo modo di concepire le interazioni umane attraverso gli spazi.

sharing economy e Covid-19

I divieti di assembramento e le distanze minime di sicurezza da mantenere, se ben sfruttate, possono trasformarsi in una straordinaria opportunità per garantire massima privacy e relax dopo mesi psicologicamente non facili da gestire.

Mare o montagna, città o campagna, non esiste angolo notiziabile che le PR non possano trasformare in un’arma a proprio vantaggio.

Le strutture possono così riorganizzare i servizi migliorando quelli che già erano gli aspetti strategici dominanti nella propria offerta.

Spazi aperti, spiagge più confortevoli, escursioni in montagna o gite in barca: sarà proprio il potenziamento del servizio e la sua comunicazione intelligente, secondo le prerogative della struttura, a fare la differenza.

Celebrities Culture: la fine di un’era?

  • Tra la fine degli anni novanta e primi duemila le celebrities hanno influenzato opinioni e consumi.
  • L’era dei social ha reso queste persone più accessibili e creato la consapevolezza che le loro azioni possono influenzare i cambiamenti di domani, sociali e culturali.

 

Celebrities culture: un fenomeno nato agli inizi degli ’80, negli Stati Uniti, grazie al canale musicale MTV ha reso la vita di cantanti e icone pop più glamour, determinando l’inizio l’era del culto dell’immagine.

Durante la fine degli anni novanta e i primi anni duemila, abbiamo assistito ad una crescita continua del mercato delle celebrità, la cui influenza ha toccato tutti gli aspetti della vita televisiva e non.

L’arrivo di internet, e soprattutto dei social media, ha poi amplificato il panorama delle star, determinando l’arrivo delle cosiddette self-made celebrities.

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Nuove star che, attraverso la continua esposizione, non solo della propria immagine ma anche delle proprie qualità o idee imprenditoriali, hanno dato il via al fenomeno (e all’industria) degli influencer.

Le star dunque non sono persone solo ricche ma, in particolare per il pubblico americano che ha dato vita a questa “evoluzione pop del divismo”, ma personaggi che hanno ottenuto (e saputo gestire) l’attenzione delle persone influenzandone opinioni e consumi.

Pensiamo solo al settore del fashion, e a come la moda dei primi anni duemila sia stata fortemente influenzata dalle scelte di stile di numerosi cantanti.

Celebrities culture: la fine dell’apparenza

La pandemia non ha risparmiato nessuno dal distacco netto ed improvviso dalla realtà vissuta fino al giorno prima.

E così come ha cambiato i nostri consumi e il nostro modo di vivere, ha reso le vite tutte uguali tra le mure di casa.

Il culto delle celebrità si è sgretolato a poco a poco durante i periodi di lockdown: le persone hanno considerato il modo di agire di tanti loro idoli poco coerente con la realtà.

Diversi personaggi famosi si sono trovati spiazzati, vedendo i loro milioni di fan non apprezzare più la loro immagine, ma anzi reputare le loro azioni offensive e non coerenti con il mondo il reale, nonostante lo #StayPositive o l’#AndraTuttoBene.

Dalla cultura dell’immagine alla cultura dei valori

La domanda è: abbiamo ancora bisogno del mondo di apparenze a cui eravamo abituati prima?

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Ad oggi non c’è una risposta corretta: non è pensabile per le star né rimanere in silenzio prima che passi la tempesta, né dare consigli senza agire veramente.

La comunità nell’era dei social non dimentica i fatti e le azioni concrete.

Diversi brand hanno scelto di agire e anche per le celebrità è venuto il momento della cultura del fare.

Fare non vuol dire invitare i propri fan a compiere un azione o a prendere una posizione restando in disparte ma esserci in prima persona. L’era di Internet ha fatto emergere una nuova tendenza: quella del self-made.

“Metterci la faccia”, portare avanti una causa o un ideale non solo per dimostrare di esserci, ma credendo davvero che la loro immagine possa contribuire al cambiamento.

Il fenomeno delle star ha un potere sulla società di grande valore perché può influenzare il pensiero di molti e stimolare un cambiamento; lo sforzo di queste persone dovrebbe spostarsi da un obiettivo solo di consumo, verso uno stimolo nel portare un cambiamento nella società in cui vivono.

Finora un grande esempio in questo senso è stato quello del movimento #MeeToo, che vedeva però coinvolte in prima persona tante celebrità nello scandalo. La partecipazione attiva alla protesta era quindi una scelta con una chiara consequenzialità.

I social media hanno avuto il potere di abbattere un muro invisibile tra le star e noi: possiamo vedere come vivono, possiamo interagire con loro. Allo stesso modo perché il fenomeno muti e sopravviva, anche le celebrities devono esporsi ed essere umane. Combattere in modo genuino per gli ideali, mostrarsi per quello che sono, fragilità comprese.