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Nasce illimitHER, un programma di diversity e inclusion per valorizzare il potenziale delle giovani donne

illimity lancia “illimitHER”, programma di Diversity & Inclusion che nasce sotto il segno dell’innovazione digitale di STEM in the City per promuovere la cultura STEM e ispirare i giovani, in particolare le ragazze, a intraprendere strade coraggiose e alternative sia negli studi che nel lavoro.

Il programma intende creare occasioni di contatto tra le più giovani e le figure di ispirazione, in particolare donne under 35 che si sono distinte nel loro percorso personale e professionale sfruttando la vicinanza generazionale per realizzare connessioni ancora più profonde.

L’obiettivo è quello di trasferire e condividere conoscenze e competenze utili ad abilitare una nuova generazione di donne pronte a entrare in un futuro sempre più pervaso dalla trasformazione digitale.

Isabella Falautano, Chief Communication & Stakeholder Engagement Officer di illimity ha commentato: “Siamo orgogliosi di dare il via a illimitHER, progetto in cui crediamo fortemente e che nasce come iniziativa di ecosistema tra partner che credono nelle nuove generazioni e nell’importanza di sbloccare il potenziale dei giovani e, soprattutto, delle giovani. Con una percentuale di solo il 18% di ragazze iscritte alle Facoltà Stem*, riteniamo che il supporto e la vicinanza, anche generazionale, delle nostre Role Model sia fondamentale per ispirare tutte coloro che entrano nel mondo dello studio e del lavoro. Vogliamo che l’inclusione sia sempre più diffusa a vantaggio non solo delle donne, ma di tutti”.

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Gli appuntamenti di illimitHER

illimitHER nasce in collaborazione con associazioni e iniziative attive sui temi di Diversity & Inclusion: STEM in the City, SheTech, Young Women Network, Unstoppable Women di StartupItalia e della formazione delle nuove generazioni: Smart Future Academy, BAM Biblioteca degli Alberi Milano, Scuola di Politiche.

Sono tante le iniziative e le occasioni di confronto previste nei prossimi mesi. Gli eventi fisici e digitali saranno aperti a tutti e si terranno ogni mese su molteplici temi: scienza, imprenditorialità, sostenibilità, digitale e finanza.

Il primo appuntamento si terrà il 21 luglio alle ore 17:00 e vedrà come protagonista Diva Tommei, biotecnologa, inventrice, imprenditrice – che si è formata alla Cambridge e alla Singularity University – e oggi Direttrice di Eit Digital Italia, una innovation factory per startup ad alto impatto tecnologico.

Diva è tra le 50 donne della tecnologia più influenti d’Europa, è l’unica italiana nella “Top Women in Tech” di Forbes e sarà intervistata da Felice Florio, classe 1993, una delle voci narranti di illimitHER e giornalista della redazione Open.

Il webinar sarà visibile sulla pagina LinkedIn della banca e sulle piattaforme dei partner ed è dedicato a tutte le giovani donne che, se vorranno, potranno interagire con la speaker.

Il secondo evento, a settembre, sarà una “illimitHER marathon” organizzata in collaborazione con BAM Biblioteca degli Alberi Milano – spazio pubblico attivo sul tema dell’inclusione e della gender equality – che ospiterà personalità di spicco di diversi mondi, dalla scienza all’istruzione, dalla fisica all’imprenditoria, in linea con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e gli SDG dell’ONU condivisi.

Google-CEO-Sundar-Pichai

Google investirà 900 milioni di dollari nella ripresa economica dell’Italia

Il CEO di Alphabet e Google Sundar Pichai ha annunciato giovedì che il colosso della tecnologia investirà oltre 900 milioni di dollari nei prossimi cinque anni per aiutare l’Italia nella sua ripresa economica dalla crisi del coronavirus.

“Google è orgoglioso di essere un partner nella ripresa economica dell’Italia”, ha affermato Pichai su Twitter. “Oggi Google annuncia Italia in Digitale, un nuovo piano per accelerare la ripresa economica del Paese offrendo una serie di strumenti, formazione e partenariati per supportare le imprese e le persone in cerca di lavoro”, ha aggiunto.

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In cosa consiste il progetto di Google

Nell’ambito dell’iniziativa, Google lancerà anche due regioni Cloud in collaborazione con il fornitore di telecomunicazioni italiano TIM e aiuterà oltre 700.000 piccole e medie imprese e persone a digitalizzare il Paese.

Il progetto di Google include un milione di euro di pubblicità gratuita alle aziende di Unioncamere.

Già durante la pandemia il colosso del web si è attivato per collaborare con i governi di tutto il mondo – compresa l’Italia – per affrontare la crisi.

Tramite una partnership con il Ministero della Salute, per esempio, è stato possibile fornire informazioni essenziali relative a Covid-19 sul motore di ricerca, su Maps e su YouTube. Con il Ministero dell’Istruzione è stato invece accelerato il processo che ha permesso a milioni di studenti italiani e insegnanti di continuare gli insegnamenti con strumenti di didattica a distanza, a scuole chiuse.

Inoltre, Google ha distribuito crediti e grant pubblicitari alle piccole e medie imprese italiane, ad agenzie governative e ad associazioni nonprofit.

Il nuovo progetto di Google nasce dalla consapevolezza che l’Italia resta un mercato strategico e dall’esperienza e dal successo di precedenti iniziative come Crescere in Digitale e Google Digital Training, che negli ultimi cinque anni hanno aiutato 500.000 persone a ottenere le competenze digitali necessarie per rilanciare un’attività o migliorare la propria carriera lavorativa.

“Da molti anni Google è impegnata in Italia per diffondere le competenze digitali utili a trovare un lavoro o far crescere un’attività”, ha commenta alla Stampa Fabio Vaccarono, managing director di Google Italy. “Se queste competenze erano importanti prima della pandemia – aggiunge -, ora sono diventate tanto più necessarie: per superare le sfide del presente la digitalizzazione è un elemento imprescindibile, per trovare nuove opportunità lavorative, per rilanciare un’impresa, e a vantaggio dell’intera società”.

Anche il Premier Conte ha accolto con favore la notizia: “La tecnologia e l’innovazione digitale sono elementi centrali dell’agenda del mio governo per il futuro del nostro Paese”.

welfare aziendale

Il concetto di Welfare Aziendale è cambiato ed è sempre più legato a quello di Wellness

  • Il concetto del benessere, legato alle condizioni di salute e al miglioramento della qualità di vita negli ambienti di lavoro, si è ulteriormente diffuso durante il periodo pandemico.
  • Il Covid-19 ha messo in luce le debolezze del sistema aziendale, mostrando ai dipendenti quanto il sistema stesso non supporti nel modo corretto i lavoratori.
  • La grave situazione dell’emergenza ha spostato l’attenzione delle aziende e dei dipendenti verso un concetto di welfare aziendale diverso da quello conosciuto fino ad oggi.

 

In una situazione in cui il welfare pubblico sta restringendo fortemente il suo ambito di applicazione, sono le aziende a farsi carico del benessere delle persone introducendo, con frequenza, il concetto di wellness at work, ampliando e modificando il welfare aziendale fino ad oggi conosciuto.

Il welfare aziendale rappresenta una soluzione vincente per tutti i soggetti coinvolti nel processo, come evidenzia anche l’ultimo Rapporto Welfare Index PMI del 2019:

  • Lato aziendale si generano risparmi fiscali e contributivi, un ROI positivo e un aumento della capacità di attrazione e fidelizzazione dei dipendenti. Situazione che genera un vantaggio competitivo e strategico elevato;
  • Lato dipendente il sistema genera un aumento della produttività, una riduzione dell’assenteismo e un aumento della felicità al lavoro.

Ogni azienda ha la possibilità di introdurre piani di welfare proporzionati alla dimensione aziendale, diversificati per settore e target dei destinatari. Anche le aziende più piccole (PMI e micro aziende) possono accedere a politiche di welfare aziendale ottenendo vantaggi significativi.

La grave situazione pandemica ha però spostato l’attenzione delle aziende e dei dipendenti verso un concetto di welfare aziendale, diverso da quello conosciuto fino ad oggi. I piani di welfare aziendale del futuro non saranno più legati ai semplici voucher viaggi, buoni carburante, buoni palestra ma dovranno contenere benefit legati alla sfera personale dei lavoratori.

Salute, sicurezza, wellness e redditività saranno le parole chiave per il welfare aziendale del futuro.

Il concetto del benessere, legato alle condizioni di salute e al miglioramento della qualità di vita negli ambienti di lavoro, si è ulteriormente diffuso durante il periodo pandemico. Le aziende che avevano seguito una politica di lungimiranza, introducendo un wellness welfare, si sono fatte trovare pronte, per tutte le altre è giunto il momento di cambiare rotta.

I migliori piani welfare aziendale pre Covid-19

Le grandi aziende sono consapevoli del fatto che la felicità e il benessere dei lavoratori sono dei “must have” per la retention degli stessi e per l’attrattività che l’azienda deve avere nei confronti dei talenti. Qui di seguito alcune aziende, identificate come Best Welfare Workplaces nel mondo pre pandemia Covid-19.

Google

Il colosso tecnologico conosciuto principalmente per il motore di ricerca, si distingue per l’elevata attenzione al benessere dei dipendenti nei luoghi di lavoro. Ogni area dell’azienda, infatti, è studiata per rendere accogliente il luogo di lavoro, non solo per le attività meramente produttive ma anche per le attività ricreative. Sono famose le aree relax e gioco, quelle per la vendita di cibi salutari, per i servizi alla persona ecc. che trasformano l’azienda in un piccolo quartiere familiare.

Un altro importante benefit, legato al tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, è il congedo di maternità, retribuito pienamente per cinque mesi (consecutivi o fruibili in periodi differenti) oltre ad altri importanti vantaggi per i neo genitori lavoratori.

LEGO

L’iconica azienda danese di giocattoli punta, invece, sulla creatività. Il piano di welfare aziendale della società consiste essenzialmente nel far scoprire ai dipendenti la propria creatività partendo dal gioco. Lavorare e al tempo stesso visitare musei, giocare nelle sale gioco aziendali e divertirsi liberamente al parco divertimenti Legoland.

Netflix

Per la libertà concessa ai dipendenti nella gestione del tempo, pur nel rispetto delle consegne loro assegnate, Netflix si posiziona in un ruolo privilegiato nell’universo del welfare aziendale. Inoltre i lavoratori hanno sempre a loro disposizione centri fitness e palestre per prendersi cura del loro benessere psico-fisico.

Fitbit

La società di tecnologia indossabile, produttrice dei wearable utili per monitorare l’attività fisica, ha creato un piano di welfare che si sposa perfettamente con il core business dell’azienda. Sono infatti molto rinomate la competizioni tra dipendenti volte a monitorare chi percorre più chilometri: un’ottima combinazione tra tempo libero, salute e forma fisica.

Questo piano di welfare aziendale, che si avvicina a quello che sarà il welfare del futuro post pandemico, introduce il concetto di welfare wellness. I piani creati da Fitbit sono stati introdotti anche in altre aziende, attente al binomio welfare e wellness.

Il Welfare aziendale post Covid-19

Con l’arrivo della pandemia il concetto di welfare aziendale ha subito e subirà grandi cambiamenti. Le aziende dovranno:

  • Introdurre attività di prevenzione e gestione della sicurezza organizzativa, includendo nel set di rischi anche quello pandemico;
  • Coordinarsi con il SSN per un corretto e utile scambio di informazioni, per aggregare i dati e aumentare il monitoraggio;
  • Ridefinire il concetto di sicurezza sul lavoro (ampliando le funzioni del RSPP e del RLS) sviluppando l’assistenza sanitaria integrativa e investendo in polizze collettive ad hoc e nelle coperture LTC;
  • Rafforzare la conciliazione vita-lavoro, potenziando i benefit di sostegno al reddito, ripensando le policy di ageing aziendale;
  • Introdurre il benessere digitale: non solo dotazione di strumenti tecnologici, veloci e di qualità per lavorare in remoto ma anche ricerca e rispetto di un maggiore equilibrio tra la propria dimensione personale e quella lavorativa con attenzione al diritto di disconnessione.

Il Welfare aziendale post pandemico andrà nella direzione del people care: salute, reddito e pensioni.

welfare aziendale

Welfare aziendale e benessere organizzativo

In un’organizzazione è importante creare un ambiente di lavoro salubre e accogliente, oltre che predisposto per assolvere gli obblighi di legge in materia di sicurezza sul lavoro. Aspetto che si è mostrato preponderante durante la pandemia Covid-19 e che ha posto le basi per una rivisitazione di questo aspetto per quanto riguarda il futuro.

Il Covid-19 ha messo in luce le debolezze del sistema aziendale, mostrando ai dipendenti quanto il sistema stesso non supporti nel modo corretto i lavoratori. Il 90% dei consumatori, secondo una ricerca di Edelman, rivela che le persone intervistate desiderano che i brand si impegnino sempre di più per salvaguardare la salute dei lavoratori e le loro finanze.

I paesi anglosassoni stanno puntando moltissimo nell‘introduzione di misure volte alla promozione e alla prevenzione della salute. Le misure si possono identificare in questi tre pilastri:

  1. Salute e sicurezza: aspetti legati al regime regolatorio vigente ai sensi di legge relativamente alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  2. Prevenzione e promozione della salute: azioni di prevenzione primaria finalizzati alla promozione attiva della salute;
  3. Gestione della malattia: interventi di prevenzione secondaria, mirati a gestire le situazioni di malattia (assenza lunga dei dipendenti e la disabilità degli stessi).

Il primo punto si riferisce a condizioni minime che tutte le aziende devono, per legge, attuare. Il secondo e il terzo punto identificano i comportamenti proattivi e aggiuntivi alle norme di base, a cui tutte le aziende devono tendere, poiché procurano benessere fisico e psicologico delle persone all’interno dell’organizzazione.

welfare aziendale

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HR, CMO, welfare aziendale e la sfida del cambiamento

Le aziende, ed in particolare i responsabili HR e CMO, si trovano ad affrontare una situazione complessa. Da un lato la pandemia che ha comportato tagli di bilancio e riduzione dei costi e dall’altro lato la gestione, sempre più frequente, di disordini interni legati al personale dipendente e scioperi, indetti per richiedere maggiori tutele sia economiche sia in materia di sicurezza sul lavoro e di protezioni individuali.

Si riporta l’esempio di Everlane, negozio di abbigliamento low cost online americano, che ha subito un duro attacco dall’interno durante il periodo pandemico, poiché durante il mese di aprile ha dovuto sospendere dal lavoro circa 300 lavoratori.

Il brand ha da tempo intrapreso un percorso di trasparenza, che spinge, sin dalla sua nascita, a comunicare il vero costo dei propri prodotti, i materiali impiegati per realizzarli e le condizioni dei lavoratori nelle fabbriche che collaborano con il marchio.

Sappiamo che è difficile cambiare la mentalità delle persone e che è più facile desiderare di avere un guardaroba sempre pieno di capi nuovi. Quando raccontiamo la storia dietro ogni prodotto che realizziamo e parliamo delle nostre fabbriche, cerchiamo di trasmettere l’importanza di fare acquisti più sostenibili. Potevamo scegliere di lavorare fuori dal mondo della moda e di fondare un’associazione no profit, invece abbiamo deciso di costruire un’attività in grado di contribuire a creare un sistema che anche gli altri brand possano utilizzare in futuro. Insomma, abbiamo scelto di cambiare le cose dall’interno.

Tutto ciò in ottica di cambiamento e di comunicazione verso l’esterno dell’organizzazione. Ma questa trasparenza è ravvisabile anche all’interno dell’organizzazione stessa?

I CMO sono quindi chiamati a cambiare rotta anche internamente, la trasparenza non può essere solo esterna. Occorre aumentare la comunicazione interna all’azienda, attraverso informative chiare ed efficaci, volte a trasmettere anche decisioni difficili, condividendole direttamente con il personale.

Aziende che si sono distinte per le loro best practice durante la pandemia

Un caso differente è quello di Airbnb, marchio che è stato fortemente colpito dalla pandemia Covid-19. L’impossibilità di viaggiare a causa delle misure restrittive ha creato gravi danni al settore dei viaggi e dell’hospitality.

Il modello di business legato all’economia della condivisione è entrato in una forte crisi durante la pandemia. Per motivi di sicurezza internazionale è stata sospesa l’attività di condivisione/affitto degli alloggi.

Ad aprile Airbnb ha chiesto prestiti per due miliardi di dollari e ha istituito un fondo da 250 milioni di dollari per gli host che usano la piattaforma, che si sono trovati all’improvviso con le prenotazioni cancellate. Brian Chesky, CoFounder e CEO, ha tagliato il 25% della sua forza lavoro lasciando a casa 1900 dei suoi 7.500 dipendenti. Tagliati anche tutti gli investimenti che non riguardano il business principale quindi gli investimenti in hotel e produzioni cinematografiche. Nonostante la pesante crisi, Chesky ha deciso di comunicare in modo trasparente con i dipendenti coinvolgendoli nelle scelte, difficili, che l’azienda dovrà necessariamente intraprendere.

«Stiamo vivendo la crisi più straziante della nostra vita, dobbiamo apportare modifiche fondamentali ad Airbnb riducendo la nostra forza lavoro e avere una strategia aziendale mirata», ha scritto Chesky  in una lettera aperta ai dipendenti. 

La stessa sorte è toccata a WeWork e a Uber. Wework, azienda americana specializzata nell’affitto di spazi in co-working, si trova in grandissime difficoltà. Migliaia di clienti hanno rifiutato di pagare l’affitto o hanno cercato di interrompere i loro contratti di locazione. Il boom dello smart working, obbligato per motivi di sicurezza, non facilita il business degli spazi di coworking.

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Anche per Uber la situazione non è molto diversa. L’AD Dara Khosrowshahi ha annunciato che ridurrà la sua forza lavoro del 14% (pari a 3700 lavoratori licenziati) e lo ha comunicato a tutti i dipendenti attraverso una mail. Ulteriori tagli, prosegue, verranno attuati alle spese di marketing e grazie al rinvio di alcuni investimenti.

Khosrowshahi, come altri CEO della Corporate America, nel clima di difficoltà ha rinunciato al proprio compenso. Simili mosse, assieme, hanno contribuito a convincere gli investitori all’investimento, consentendo ad Uber di guadagnare il 5%, consolidando il precedente rialzo pari all’11%.

Lo stesso Khosrowshahi è altrettanto convinto che la ripresa, seppur non in tempi brevi, sia comunque prevedibile per il modello di business del gruppo. L’azienda ha infatti puntato forte su Uber Eats. La consegna a domicilio di pasti ha registrato un incremento di oltre il 50% delle entrate, pari a 819 milioni di dollari.

Il welfare aziendale per definizione sta cambiando in parallelo con i rinnovati bisogni di salute, sicurezza e tutela dei lavoratori. La pandemia ha mostrato le falle in un sistema che sembrava perfetto. Le aziende devono partire da questo “anno zero” per ricostruire i loro piani di welfare e insieme alla istituzioni creare un nuovo modello organizzativo.

Mondo post covid

Accelerazione digitale e Post COVID-19: come si evolveranno le tecnologie

  • Post COVID 19: come cambiano le aziende con l’accelerazione digitale. Esempi concreti di quelle che stanno subendo una trasformazione irreversibile
  • L’eCommerce è la risposta per reagire al ristagno economico dell’Europa
  • Consigli per lavorare bene in smart working da chi ci lavorava ancor prima della pandemia

Con l’arrivo del COVID-19 ci siamo ritrovati bloccati, da un giorno all’altro, minacciati da qualcosa che non potevamo prevedere, che non potevamo e non possiamo vedere, ma che era, ed è tutt’ora presente. Abbiamo dovuto cambiare abitudini, uscendo di casa solo se strettamente necessario e per procurarci beni di prima necessità.

Le nostre giornate sono state scandite da ritmi lenti. Noi che correvamo da una parte all’altra della città per lavoro, impegni e aperitivi, abbiamo trascorso mesi chiusi tra 4 mura, a lavorare al PC e la musica che ci accompagnava dai balconi come in un surreale spettacolo che ancora fatichiamo a comprendere.

File chilometriche fuori ai supermercati, locali chiusi, negozi serrati ad eccezione di poche attività. Chi lavora a contatto diretto con le persone, come ha fatto ad andare avanti? Trovando vie alternative. Il bisogno di sopravvivere in un mondo paralizzato ha avuto come conseguenza l’accelerazione digitale in molti settori economici e non solo, cambiando i servizi e il modo di erogarli.

Molti Paesi stanno ripartendo, e quasi tutte le attività si stanno preparando per fare il grande salto verso una po’ di normalità, cercando di andare oltre il punto d’arresto. Tutti noi vi aspiriamo, ripensando al vecchio tran tran quotidiano quasi con malinconia, quando un caffè al bar era un gesto spontaneo e ora ci sembra un atto rivoluzionario.

Nonostante la graduale ripresa, è impossibile non rendersi conto che con il COVID-19 il mondo è cambiato e che intere aziende hanno avviato un processo di accelerazione digitale ormai irreversibile.

L’accelerazione digitale dovuta al COVID-19

Forrester Research Inc., una società di ricerche di mercato americana, sta preparando un rapporto sulle aree tecnologiche che riceveranno investimenti per la digitalizzazione. Secondo Stephen Powers, vice presidente e direttore del gruppo Forrester, possiamo individuare 4 categorie chiave in cui sta avvenendo l’accelerazione digitale:  

  • Gestione dei rischi / crisi relativi allea ziende, dipendenti, fornitori e partner
  • Tecnologie per la customer experience come chatbot, sistemi di feedback dei clienti e contact center 
  • Tecnologie per la salute e la sicurezza come tracciamento dei contatti e sorveglianza
  • Esperienza dei dipendenti e strumenti di gestione del capitale umano come piattaforme di contenuto, videoconferenza per la gestione dei contratti e gestione del capitale umano.

Sebbene queste tendenze fossero già ben avviate prima della pandemia, Rob Thomas vicepresidente senior della piattaforma cloud e dati di IBM Corp, ha dichiarato che la crisi ne ha aumentato l’accelerazione digitale prima del previsto.

Le piattaforme di cloud e videoconferenze sono state le più ricercate e utilizzate nel periodo della pandemia per facilitare la comunicazione tra colleghi ma anche per incontrarsi virtualmente con la famiglia e gli amici.

Ma vediamo da vicino quali saranno le tecnologie che subiranno notevoli cambiamenti nel post COVID- 19.

1. Sviluppo software low-code / no-code con l’accelerazione digitale

La necessità di essere veloci e pronti è stata la molla che ha fatto scattare gli sviluppatori a ricorre a nuove applicazione da lanciare sul mercato. Le piattaforme di sviluppo low-code e no-code, che utilizzano componenti visivi e costruzioni drag-and-drop per sviluppare software rapidamente, erano già avviati e a buon punto prima che iniziasse la pandemia. La tecnologia low code permette di adattare e soddisfare le richieste mentre avvengono.

Lo scorso anno Forrester aveva previsto che questa tipologia di codici avrebbe fatturato, entro il 2022, più di 20 miliardi di dollari, mentre Gartner sostiene che saranno scelti per programmare dal 65% degli sviluppatori entro il 2024. Qualche esempio?

1.1 Esempi di software in low code

AirDev LLC ha creato un’applicazione per una catena scozzese di ristoranti che sostituisce le ordinazioni segnate solitamente dai camerieri con un’app. Il software è stato realizzato in meno di una settimana. Il CEO di AirDev, Andrew Haller ha dichiarato che sfruttando i nuovi codici al posto della programmazione convenzionale, realizzano e chiudono lavori in una, massimo 4 settimane, invece che i soliti, minimo, 3 mesi 

VantIQ Inc., produttore di una piattaforma di applicazioni real time ha visto una crescita delle opportunità legate al settore della sicurezza. Uno dei suoi partner sta sviluppando un’app di distanziamento sociale per i negozi al dettaglio che consente ai clienti di effettuare prenotazioni in modo che gli acquirenti non debbano attendere troppo tempo.

Inesa Co. Ltd. sta sviluppando un’applicazione per ascensori smart per tenere traccia delle metriche di salute di chi li utilizza e un altro partner sta lavorando a un’applicazione che fornisce gestione dei rischi, della quarantena, monitoraggio e instradamento intelligente delle persone negli ospedali. Le applicazioni per monitorare il movimento delle persone sono richiestissime, e sono quelle per cui la domanda crescerà sempre di più.

Appian Corp. ha utilizzato la propria piattaforma low code per creare e lanciare tre applicazioni in due mesi per aiutare le aziende a far fronte alla crisi, consentendo alle organizzazioni di garantire un ritorno sicuro a lavoro. La città di San Antonio, in Texas, ha utilizzato una piattaforma di Mendix Tech BV per accelerare l’elaborazione delle domande di noleggio, ipoteca, utilità e trasferimento. L’app è stata realizzata in 12 giorni.

2. Vendita al dettaglio ma in digitale

Con la chiusura della maggior parte delle attività commerciali, milioni di persone si sono precipitate a effettuare acquisti sul web. Non solo chi era solito farle ha aumentato la frequenza di acquisto, ma anche chi non aveva mai provato l’ebrezza di fare shopping nel cyberspazio ha cominciato a prenderci gusto.

Un sondaggio di Forrester evidenzia che nel mese di Aprile su 1.122 intervistati, il 21% ha dichiarato di aver acquistato generi alimentari online per la prima volta e il 41% sta acquistando più prodotti online rispetto al passato. Sempre nei mesi precedenti, le catene di negozi di Stati Uniti e Canada hanno visto un aumento dell’80% delle vendite online rispetto all’anno precedente. Il numero di acquisti per la prima volta sui siti di e-commerce dei rivenditori sono aumentati del 119%. 

E ancora, una società di consulenza aziendale West Monroe Partners LLC ha effettuato delle interviste a 150 dirigenti di medie e grande imprese, dimostrando che un terzo di queste attività si sta reinventando grazie all’acquisizione di nuove competenze online, sfruttando l’ondata dell’accelerazione digitale.

Credits: wearesocial.com

2.1 La vendita al dettaglio resiste

Anche se il COVID-19 ha temporaneamente rallentato la vendita al dettaglio, non significa che stia scomparendo. Swerdlow ha dichiarato che il 45% degli acquirenti vuole riprendere le consuete abitudini d’acquisto. I rivenditori devono tener conto di questo aspetto, perché per quanto ci sia stata un’impennata degli acquisti online, i consumatori vogliono tornare ad acquistare nei negozi. Ciò significa che dobbiamo aspettarci un futuro ibrido che combina elementi sia virtuali che fisici.

In primis si prevede un implemento delle innovazioni nello shopping in “touchless”, come accade nei negozi di alimentari senza cassiere di Amazon, con tecnologie che permettono alle persone di scansionare i codici a barre per la consegna in lotti anziché prelevare gli articoli dagli scaffali. Sono cose che già esistono, è vero, ma assisteremo a una vera e proprio aumento di questi servizi.

Anche gli spazi subiscono delle modifiche. Le aziende stanno investendo di più nella costruzione di relazioni one-to-one su siti web che in negozio. Powerfront Inc., produttore di una piattaforma di chat e di messaggistica live per rivenditori online, ha ampliato lo sviluppo della sua funzione Video Assistant, che consente al personale di offrire assistenza ai clienti, come dimostrazioni dei prodotti da remoto. I rivenditori devono attrezzarsi sempre di più su come vendere senza l’utilizzo di un luogo fisico.

 3. Chatbot e robot protagonisti dell’accelerazione digitale

Strumenti come chatbot e altri supporti informativi hanno colmato con grande successo il problema dei call center decimati da assenze e malattie. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità e i Centri per il controllo delle malattie hanno adottato chatbot per rispondere a milioni di domande. Molti siti web governativi stanno facendo la stessa cosa.

Research and Markets Ltd. prevede che il mercato globale dei chatbot crescerà di circa il 30% all’anno, raggiungendo 9,4 miliardi di dollari entro il 2024.

Attualmente i chatbot vengono utilizzati per rispondere rapidamente a domande generiche o per risolvere reclami, ma è probabile che la loro presenza si espanderà a nuove aree. Nel mondo post-pandemia diventeranno portali digitali per l’assistenza sanitaria interattiva, aiutando i pazienti a trovare un medico o un servizio, pianificare appuntamenti, facilitare il controllo dei sintomi, condurre il triage nelle cure di emergenza, preparare le procedure e seguire le istruzioni post dimissione.

3.1 Automazione e robotica

La difficoltà che le aziende hanno dovuto assumere per lavori in ambienti rischiosi come magazzini e negozi al dettaglio alimenterà un trend di investimento già forte nella robotica. Mordor Intelligence LLP prevede che il mercato crescerà del 25% ogni anno fino al 2025.

Pring di Cognizant fa un’affermazione che fa riflettere, ossia che nel post- COVID sarà molto più facile ottenere un prestito da una banca per investire in un robot piuttosto che assumere altre quattro o cinque persone per la propria attività. Inoltre si prevede che la robotica sarà sempre più utilizzata in compiti amministrativi.

Amazon ha fatto la sua seconda acquisizione di un’azienda robotica l’anno scorso, acquistando lo sviluppatore di veicoli autonomi Canvas Technology LLC. Inoltre sta sperimentando autonomamente veicoli e droni per alimentare la sua vasta rete di distribuzione.

Wal-Mart Stores Inc. utilizza robot per pulire i pavimenti e McDonald’s Corp. vuole sperimentarli sempre di più per svolgere diverse mansioni. I robot in Corea del Sud sono stati utilizzati per misurare le temperature e distribuire disinfettante per le mani. JD Logistics, una filiale del colosso cinese dell’e-commerce JD.com, ha utilizzato veicoli autonomi per consegnare pacchi agli ospedali di Wuhan, evitando il contatto fisico durante lo scoppio del contagio. I robot hanno utilizzato la tecnologia di riconoscimento facciale per convalidare l’identità dei destinatari.

Non dobbiamo sottovalutare la tendenze per cui le persone preferiranno andare in un posto che ha meno lavoratori e più macchine perché si sentono di poter ridurre il rischio di contagio, ha detto giustamente Martin Ford alla BBC.

4. L’affermarsi della telemedicina con l’accelerazione digitale

La telemedicina è l’evoluzione digitale dei servizi sanitari. Facilita la comunicazione tra medici e pazienti ed era già previsto che avrebbe fatturato 130 miliardi di dollari entro il 2025.

Durante la pandemia poi ha visto un incremento del suo utilizzo del 500% e ciò vuol dire che l’assistenza sanitaria da remoto diventerà mainstream più velocemente del previsto grazie all’accelerazione digitale. Un consulto medico virtuale sarà il primo passo, seguito da quello di persona, ha detto Pring di Cognizant.

La società di software per la sanità Epic Systems Corp. ha realizzato la propria piattaforma di telehealth in poche settimane. Cosa fa? Consente ai provider di avviare una visita video con un paziente, rivederne la storia clinica e aggiornandone la documentazione direttamente dall’app Epic.

Il COVID-19 ha costretto le aziende ad interagire con le persone senza doverle vedere di persona, ma a distanza, implementando nuove soluzioni prima del previsto. In California la società di software medica Heal Inc. sta lanciando un nuovo servizio che consentirà a coloro che ne hanno bisogno di consultare uno psicologo tramite una videochat.

La nuova app di Vecna ​​Technologies Inc. sta avendo molto successo per lo snellimento delle pratiche burocratiche sulla registrazione dei pazienti. Una serie di procedure che prima richiedevano l’interazione faccia a faccia.

5. L’importanza degli open software

Sebbene le licenze open source siano in circolazione da oltre 30 anni, durante la pandemia sono state utilizzate per creare servizi in ogni campo. Codici liberi, open-source e gli account di cloud computing che molti fornitori hanno reso disponibili durante la pandemia hanno permesso lo sviluppo di applicazioni per qualsiasi cosa, dalla traccia dei contatti alla ricerca virale.

Github,un servizio di hosting per progetti software, elenca oltre 27.000 repository di progetti open source relativi a COVID-19, tra cui: Coronavirus Tracker, che presenta visualizzazioni dell’epidemia globale utilizzando un repository di dati aperto gestito dalla Johns Hopkins University, e COVID-19 Scenarios, una dashboard di analisi per modellare le traiettorie dell’epidemia e la domanda ospedaliera.

5.1 Solidarietà digitale e open source

Il designer di user interface Michele Memoli ha realizzato, nel suo tempo libero, un’app per tracciare i contatti anonimi e l’ha aperta su GitHub. L’app automatizza la registrazione delle informazioni di contatto, avvisa le persone di una famiglia o di un gruppo se qualcuno si ammala e calcola i livelli di rischio in base ai contatti effettuati dagli utenti, preservando la privacy. Costruito con un budget pari a zero, il software utilizza un database grafico backend donato da Neo4j Inc. e un account di web hosting gratuito da Digital Ocean Inc. Memoli ha scritto il codice di base sul framework open source Gatsby.js con i linguaggi di query GraphQL e Cypher di Neo4j. Ha pubblicato il progetto in un canale Slack e circa una dozzina di collaboratori sono intervenuti per aiutarlo. Il codice open source e la collaborazione globale hanno dato vita a questo incredibile progetto in poche settimane.

Postman Inc., che commercializza un ambiente di sviluppo API, ad esempio, ha raccolto un ampio elenco di database a cui gli sviluppatori possono collegarsi. IBM ha rilasciato una versione del suo IBM Watson Assistant for Citizens specificamente indirizzato alle inchieste COVID-19 e sta lavorando con numerose organizzazioni governative su implementazioni personalizzate. Lo sviluppatore di software di riconoscimento vocale Deepgram Inc. ha donato 1 milione di dollari di riconoscimento vocale automatico agli operatori sanitari da utilizzare nel corso del prossimo anno.

Google LLC sta rendendo disponibile gratuitamente un repository ospitato di set di dati pubblici relativi alla pandemia sulla sua piattaforma cloud per query e formazione linguistica. Anche Amazon Web Services Inc. ha una risorsa simile, così come Microsoft Corp.

6. Sicurezza zero-trust

La sicurezza zero-trust ribalta le tradizionali difese perimetrali supponendo che nessuno e nulla siano attendibili. I dispositivi e gli utenti devono fornire un’ulteriore prova dell’identità quando accedono a informazioni sempre più sensibili, anche se sono già connessi alla rete. Con milioni di persone che si connettono alle reti aziendali da casa, utilizzando apparecchiature sconosciute alle loro organizzazioni IT, molte aziende stanno rivalutando la propria sicurezza informatica.

Un approccio zero trust offre un ulteriore livello di protezione contro visitatori sconosciuti. Può anche aiutare a proteggersi dai difetti di nuove app che vengono lanciate nella produzione per far fronte alla pandemia senza il solito rigore di sicurezza.

McAfee LLC ha registrato un aumento del 50% nel numero di porte Remote Desktop Protocol esposte a Internet, che consentono l’accesso esterno a una rete a causa di sistemi online con controlli di sicurezza minimi.

Barracuda Networks Inc. ha dichiarato di aver registrato nel mese di Marzo un picco del 667% negli attacchi di phishing relativi a COVID. Un sondaggio di Pulse Secure LLC ha scoperto che solo il 4% delle aziende ha implementato la segmentazione della rete e le pratiche di autenticazione a più fattori, mentre il 69% prevede di farlo in futuro.

7. Database di prossima generazione

Gli strumenti per tracciare e contenere il virus hanno tutti una cosa in comune: i dati.

Applicazioni su come tracciare i dati e ricavarne le informazioni necessarie fanno aumentare la domanda di nuovi motori di database in grado di funzionare su vasta scala. L’interesse è particolarmente elevato nei database di grafici, che sono ottimali per il monitoraggio delle relazioni. Il mercato raddoppierà i guadagni ogni anno per almeno i prossimi due anni, ha sottolineato Gartner all’inizio del 2019.

Lo sviluppatore del motore grafico Neo4j Inc. ha creato COVID-19-Community, un’applicazione di tracciamento dei contatti di crowdsourcing, che utilizza il monitoraggio del telefono cellulare per identificare rapidamente gli utenti che sono entrati in un hotspot e per avvisare gli operatori sanitari.

Un’applicazione sviluppata per l’annuale Graphs4Good GraphHack della società, denominata Project Domino, monitora i post di Twitter di COVID-19 per contrassegnare le truffe, tracciare la disinformazione clinica e infine aiutare i responsabili politici a comprendere la conformità del comportamento e la non conformità tra demografia e regioni.

TigerGraph Inc. offre un kit gratuito ai funzionari governativi e sanitari che viene fornito con un set di dati di esempio, schema e query che possono essere utilizzati per rilevare i centri di infezione e tenere traccia dei movimenti di potenziali spargitori.

La pandemia sta anche alimentando la domanda di motori di database in tempo reale e cosiddetti translytical, che possono eseguire calcoli analitici sui dati di produzione senza perdere troppo tempo.

8. Il cloud computing è fondamentale

Una tendenza già ben collaudata e affermata da tempo e che sta avendo un forte implemento con l’accelerazione digitale è quella di riunire tutti i dati in cloud. Gartner ha previsto che il 75% di tutti i database aziendali sarà distribuito o migrato su una piattaforma cloud entro il 2022.

Oltre ai vantaggi di disponibilità e scalabilità, le piattaforme cloud hanno anche il beneficio di una portata globale. Clemens Mewald di Databricks ha sottolineato l’importanza della raccolta dati e delle esigenze da parte delle aziende di avere software ideali per avere l’erogazione di servizi sempre reperibili e nello stesso posto. Dopo l’esperienza di questa pandemia, ci rendiamo sempre più conto che il cloud è vitale.

Le imprese europee hanno bisogno di e-commerce per superare la recessione

In Europa l’epidemia di Coronavirus ha avviato la corsa verso la digitalizzazione degli acquisti, grazie all’accelerazione digitale in molti settori, anche se è stata una strada molto lenta fino a poco tempo fa. Secondo Eurostat, solo il 17% delle aziende con 249 o meno dipendenti vende online. Per aiutare ad accelerare la transizione, verranno destinati dei fondi, un pacchetto salvataggio con 750 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture tra cui: intelligenza artificiale, dati, cloud e reti mobili 5G.

Il vicepresidente della Banca centrale europea, Luis de Guindos ha chiaramente espresso che è necessario investire nella digitalizzazione delle aziende per renderle più competitive. Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia dell’UE si ridurrà quest’anno del 7,1%. Le aziende che sono attive digitalmente hanno avuto più vantaggi durante la pandemia e continueranno ad averne poiché le restrizioni di distanza sociale limiteranno le interazioni quotidiane anche nei prossimi mesi.

Lucia Cusmano che è a capo della divisione PMI e imprenditorialità dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico afferma infatti che ci sono prove concrete che le aziende che erano già abilitate digitalmente, anche con l’uso base di piattaforme o strumenti, stanno affrontando meglio la crisi. Gli economisti della Banca centrale spagnola dichiarano che durante la pandemia gli acquisti online sono saliti al 22% rispetto al precedente 15%.

Cosa possiamo imparare da chi lavorava già da remoto

Per chi non fosse abituato a lavorare da casa, gli ultimi mesi devono essere sembrati davvero terribili. Non tutti erano pronti e disponevano degli strumenti giusti, e presto ci siamo dovuti abituare allo smart working, che in realtà il nostro non lo è stato davvero, ma aveva solo alcune caratteristiche in comune con esso. Ci sono state persone che non hanno avuto modo di gestire adeguatamente il carico di lavoro, anzi hanno avuto l’impressione di aver lavorato il doppio rispetto ai ritmi a cui erano abituati in ufficio. C’è però anche chi può ritenersi soddisfatto e vorrebbe continuare il proprio lavoro in questo modo.

Con più aziende che vogliono convertisti allo smart working e permettere il lavoro a distanza, è tempo di fare un nuovo passaggio con la possibilità che diventi una realtà a lungo termine grazie all’accelerazione digitale che sta investendo il mondo del lavoro. Per prepararsi a questo possibile scenario, bisogna tenere a mente alcune cose e imparare da chi già lavorava da remoto.

Abbiamo dedicato una Guida Interattiva all’argomento: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni 

Stabilire linee guida chiare

I team che lavorano in posti diversi sono più espliciti nello stabilire processi e norme di gestione. In un ufficio tanti punti non vengono delineati. Chi lavora da remoto documenta tramite un plan gli obiettivi raggiunti e i compiti che deve ancora completare per mostrarli al proprio superiore e ai colleghi.

Adattare gli strumenti di comunicazione al messaggio

Le procedure per le comunicazioni devono essere chiare. Strumenti altamente interattivi come le videoconferenze tendono ad essere stancanti, mentre le interazioni su app come Slack sono brevi e mirate. I team dovrebbero stabilire abitudini sane e sostenibili per prevenire il burnout causato da un eccessivo tempo trascorso su Zoom e piattaforme simili. Si potrebbero utilizzare le videochiamate per le riunioni del team, su Slack lasciarsi andare a qualche chiacchiere libera durante il giorno e usare le mail per decisioni o istruzioni importanti.

Per le comunicazioni urgenti dopo l’orario di chiusura, molti team hanno come regola quella di chiamare o inviare messaggi, quindi nessuno si aspetta che un dipendente controlli costantemente la posta elettronica. Ciò dà a tutti la possibilità di disconnettersi.

Essere flessibile e trasparente sulla pianificazione

Lavorando in home working possiamo stabilire i nostri orari e quando essere reperibili. Considerando che durante il lockdown bisognava gestire anche la presenza di bambini e varie esigenze personali, non tutti potevano essere presenti nello stesso orario. È importante dare ai lavoratori la possibilità di definire le proprie ore ed essere flessibili e trasparenti sulla pianificazioni dei plan.

Fare attenzione quando l’ufficio si riapre

Stiamo assistendo ad un graduale ritorno in ufficio e questo potrebbe comportare una sorta di esclusione non volontaria per chi invece sta ancora lavorando da casa. Man mano che i luoghi di lavoro iniziano a riaprire, una comunicazione chiara diventerà più importante per far funzionare i team senza intoppi.

sharing economy

Cosa ne sarà della sharing economy dopo il Covid-19?

  • Tutto può essere di tutti, l’economia della condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi e del possesso.
  • Fiducia, tecnologia e smartphone danno vita ad un’esplosione delle reti. Ma cosa succede se proprio la fiducia viene messa in discussione a causa dei timori legati alla pandemia Covid-19?
  • Ritorno all’essenza della condivisione e mobilità green saranno i trend che caratterizzeranno il futuro della sharing economy.

 

What’s mine is yours. No, non è un testamento, né uno slogan pubblicitario. Si tratta invece dello zeitgeist degli anni dieci di questo secolo, durante i quali la condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi.

Ed è il titolo del libro di Rachel Botsman What’s mine is yours, the rise of collaborative economy – guru della condivisione e tra le venti migliori speaker al mondo secondo Monocle.

È lei una delle prime ad intuire, prima ancora dell’esplosione di Airbnb e Blablacar, che la crisi finanziaria del 2009, partita da Wall Street e arrivata a stravolgere la quotidianità dei cittadini dall’altra parte del mondo, avrebbe lasciato un segno molto profondo, destinato non solo a trasformare l’economia globale, ma anche il comportamento dei consumatori stessi.

Mrs Botsman intuisce che i millennial, diversamente dalle vecchie generazioni, utilizzano il cellulare come un vero e proprio telecomando per il mondo. Lo smartphone è un mezzo per avere accesso a ciò di cui si ha bisogno: una stanza su Airbnb o una bici per il bike sharing.

Questo tipo di approccio, basato sulla gratificazione istantanea a richiesta è molto in linea con l’idea di accesso a prodotti e servizi che, nella cosiddetta sharing economy, si sostituisce all’idea di possesso.

Oltre ad un ritrovato senso di comunità, l’economia collaborativa mette al centro la fiducia, vero e proprio collante sociale che, mixato con la tecnologia, dà vita ad una vera e propria esplosione delle reti.

Sharing economy e Covid-19

LEGGI ANCHE: Le cose più strane che oggi la sharing economy ti permette di condividere

Complici le risorse ridotte, oggi andiamo contro tutte le raccomandazioni dei genitori: si sale in macchina con sconosciuti, si esce con persone conosciute online, si affitta un posto letto a casa di qualcuno che non si è mai visto prima.

Nuovi meccanismi abilitati dal digitale ci portano a fidarci di persone e aziende. Questo trend si potrebbe definire un passaggio epocale dalla cosiddetta “institutional trust” alla “distributed trust”.

Ma cosa succede se questa “distributed trust” viene improvvisamente messa in discussione, come è accaduto durante la pandemia del Coronavirus?

Sharing or not sharing?

Si, perché fino a qualche mese fa “condividere” era la parola chiave.

Oggi, complice la paura dei contagi, la condivisione non è poi così scontata. E il distanziamento sociale non supporta fiducia e apertura verso l’altro.

Le restrizioni, ma soprattutto i timori legati alla pandemia Covid-19 hanno enormemente limitato i viaggi, gli spostamenti e, più in generale, la voglia delle persone di usare e condividere qualcosa di già usato da altri.

La fiducia nell’altro viene meno e i colossi dell’economia condivisa, quali Uber e Airbnb, ne risentono. Nessuno avrebbe mai pensato che potessero essere così fragili.

Solo poco fa Uber aveva sollevato proteste non da poco e scatenato l’ira dei tassisti delle principali città italiane.

Oggi l’azienda ha dovuto tagliare 3.700 posti di lavoro, salvandosi con la consegna del cibo, cresciuta dell’89% rispetto allo scorso anno, ma questo non riesce a coprire le perdite del resto delle attività.

1.900 i tagli delle occupazioni per Airbnb, che dimezza anche le previsioni di guadagno annuali e rinuncia alla quotazione in borsa, inizialmente prevista durante il 2020.

Lyft, rivale di Uber negli USA, taglia il 17% degli impiegati.

Colossi dell’economia condivisa che, all’apice del loro successo, erano valutati complessivamente più di cento miliardi di dollari.

Si pensava che Airbnb e Uber avrebbero raggiunto la quotazione più alta di sempre per le start-up tech. Ma, anche poco prima del COVID-19, le stelle della sharing economy avevano già iniziato a spegnersi: Uber, ad esempio, aveva bisogno di contributi economici esterni.

Quando l’emergenza sanitaria ha ridotto le aziende all’inattività, si parlava già di attenzione alla redditività e dell’importanza di ridurre i costi.

Re-trust e Re-think

Sharing economy e Covid-19

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Continua ad essere una questione di fiducia. E le aziende stanno cercando di riconvertire le proprie attività per innescare nuovamente alcuni meccanismi che accendono la “distributed trust”.

Bird, azienda operante nella micro mobilità, assicura che gli scooter siano regolarmente sottoposti “a bagno” e Airbnb istruisce bene gli host su come pulire le stanze. Basterà? La certezza è il cambio delle abitudini per i consumatori.

I viaggi brevi verso le grandi metropoli saranno sostituiti da mete più vicine a casa e per un tempo più lungo.

Auto e scooter saranno preferibili rispetto ai trasporti pubblici. E, a seguito del ritorno alla quasi normalità, si riscontrano già segnali in questo senso: le corse sugli scooter Bird, ad esempio, sono del 50% più lunghe rispetto a prima della pandemia.

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Ritorno alle origini e green future

Vi è inoltre la volontà di ritornare all’essenza della condivisione, come ha sottolineato Chesky, capo di Airbnb.

In effetti, l’azienda si sta concentrando sugli host, che offrono in affitto abitazioni private proprie, piuttosto che sui professionisti che gestiscono proprietà immobiliari.

Olio, azienda London based, riporta l’economia della condivisione alle sue radici. In effetti, l’azienda ha come obiettivo la riduzione dello spreco alimentare e consente ai suoi utenti di condividere con i vicini il cibo e altri prodotti di cui non hanno più bisogno.

Dopo aver modificato il servizio, introducendo consegne senza contatto fisico, le condivisioni sono aumentate del 50% per il cibo e del 200% per gli altri prodotti.

C’è un altro campo della sharing economy che non ha risentito delle scosse della pandemia: è green ed è su due ruote.

sharing economy e Covid-19
In Cina, a quattro mesi dal contagio, l’utilizzo di monopattini e bike è aumentato del 150%.

Sembra che il futuro della sharing economy non sarà nero, ma sicuramente green e cavalcherà i trend e i valori riscoperti durante il lockdown.

Cosa possono imparare i professionisti del marketing dalle strategie efficaci per l’online gaming

Questo articolo è stato scritto da Marianna Nash – Contributor, Think with Google

 

Non sorprende che il settore dell’online gaming stia andando molto bene in questo momento di crisi. In tutto il mondo si contavano già 2,5 miliardi di giocatori. Ora che le persone cercano modi per passare il tempo e socializzare in tutta sicurezza restando a casa, il mondo dei giochi online sta attirando molti nuovi utenti. 

E in questo clima i professionisti del marketing non sono rimasti con le mani in mano. Hanno risposto alla situazione ripensando le loro strategie pubblicitarie, aggiornando i sistemi per i messaggi e i posizionamenti e addirittura introducendo nuove funzionalità per rendere più divertenti i giochi da fare in casa.

Ecco quindi qual è il comportamento dei consumatori, i trend relativi al gaming in tutto il mondo e il loro significato per chi opera all’interno e all’esterno di questo settore.

week in social

Ricerche per trovare ispirazione per l’online gaming

Per affrontare questo periodo di incertezze, sfuggire alla monotonia ed entrare in contatto con gli altri durante la quarantena, le persone cercano nuove esperienze virtuali. Non tutti sono giocatori e infatti molti di questi si avvicinano al mondo del gaming per la prima volta, pertanto cercano attivamente spunti di ispirazione.

Le ricerche ci consentono di capire in che modo gli utenti vogliono trascorrere il loro tempo e riflettono un andamento crescente dell’interesse per il settore dei giochi online. Il mese scorso, le ricerche di “app di gaming” sono aumentate di oltre il 100% in una sola settimana.

Più in generale, le ricerche di “best online games” (migliori giochi online) hanno registrato un incremento del 100% rispetto all’anno precedente. Inoltre, tra il 35% e il 44% dei partecipanti a un sondaggio in 14 Paesi ha dichiarato di aver scaricato un’app di gioco o per l’attività fisica e il benessere nell’ultima settimana.

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Anche le visualizzazioni di giochi in streaming stanno aumentando. Oltre a giocare insieme, le persone stanno creando community online con un tasso di partecipazione elevato su piattaforme che consentono di guardare e commentare in tempo reale.

Nell’ambito della campagna di YouTube Resta a casa #con me, ad esempio, i creator stanno semplificando il modo in cui entrare in contatto con gli utenti invitando i  fan a giocare con loro.

L’interesse di ricerca su YouTube per il “gaming” è quasi raddoppiato dall’anno scorso. Questa crescita è coerente con i dati rilevati da Nielsen, che dimostrano che la fruizione di video in streaming negli Stati Uniti è aumentata durante tutte le ore del giorno grazie anche al live streaming legato al gaming.

Per i responsabili marketing, puntare su questi appassionati potrebbe essere una scelta saggia, senza dimenticare tuttavia che la scoperta avviene su un’ampia serie di canali. Per raggiungere gli utenti con maggiori probabilità di effettuare un download, è bene valutare la possibilità di utilizzare le campagne per app per promuovere giochi su YouTube, Google Play Store e altre destinazioni chiave, ad esempio.

Anche i professionisti del marketing che non operano nel settore del gaming possono valutare di riassegnare la loro spesa pubblicitaria verso questo pubblico, dato che nelle ultime settimane le app di giochi per dispositivi mobili hanno registrato un maggior tasso di coinvolgimento.

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I giochi online favoriscono il contatto sociale a distanza

I giochi consentono a milioni di persone in tutto il mondo di entrare in contatto tra di loro ogni giorno. Che si tratti di condividere suggerimenti su YouTube o di trovare modi creativi per giocare, le persone cercano esperienze virtuali che consentano loro di rafforzare le relazioni esistenti e crearne di nuove.

L’interesse di ricerca per la query “online games to play with friends” (giochi online da fare con gli amici) ha subito un  incremento di 20 volte tra febbraio e marzo, il che indica che le persone cercano giochi che possono fare con amici e familiari.

Anche l’interesse di ricerca per “multiplayer video games” (videogiochi multigiocatore) è aumentato rapidamente alla fine di marzo.

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I professionisti del marketing nel settore dei giochi devono stare al passo con le tendenze relative ai giochi online e monitorare le proprie metriche per comprendere meglio cosa si aspettano le persone dal gaming.

Ad esempio, segmentando il pubblico in base ai nuovi trend, i marketer potrebbero rivolgersi specificamente a coloro che cercano creatività accattivanti a livello visivo mettendo in evidenza gli aspetti social dei giochi.

Altri, potrebbero anche pensare a come creare una community: secondo Edelman, l’83% dei consumatori afferma di volere che i brand mettano in contatto le persone e le aiutino a rimanere emotivamente vicine.

facebook gaming

Personalizzare il messaggio in base al momento

Per i brand, è sempre stato fondamentale creare una corrispondenza tra il tono utilizzato e il contesto, ma questo aspetto non è mai stato così importante come lo è ora, in un mercato in rapida evoluzione.

Lo stesso studio di Edelman indica che l’89% dei consumatori che hanno partecipato al sondaggio vorrebbe che i brand offrissero prodotti gratuiti o a prezzi ribassati per gli operatori sanitari. Questo è un aspetto importante che dovrebbero considerare tutti i brand, ma soprattutto quelli nella posizione di poter dare un contributo.

La società sviluppatrice di giochi Playdots sta collaborando con Frontline Foods e ha donato $10.000 a questo ente di beneficenza che supporta i ristoranti locali acquistando pasti da consegnare agli operatori sanitari. Uno dei suoi giochi, Two Dots, include all’interno dell’app un evento del tipo caccia al tesoro con contenuti di branding e messaggi che incoraggiano i giocatori a donare. I giocatori hanno anche la possibilità di competere per l’esclusiva medaglia “Selfless Silverware”.

I professionisti del marketing nel gaming possono rispondere meglio alle aspettative del loro crescente pubblico raggiungendo gli utenti tramite i canali giusti, tenendo sotto controllo le esigenze dei consumatori emergenti e aggiornando le strategie per il posizionamento e le creatività in risposta a quanto hanno appreso.

Anche gli inserzionisti che operano all’esterno del settore dei giochi online devono valutare in che modo possono trasmettere un autentico senso di comunità attorno a ciò che offrono. Inoltre, se non l’hanno già fatto, devono pensare a come raggiungere questo pubblico in rapida crescita, altamente coinvolto e con sete di contenuti.

Come fare SEO su Amazon (e ottimizzare le schede prodotto)

  • Oltre il 66% degli acquirenti ormai cerca direttamente nuovi prodotti su Amazon senza passare da Google. Ciò significa: se i tuoi prodotti non si posizionano bene, perdi davvero parecchio potenziale di vendita.
  • Il posizionamento di un prodotto è determinato da un algoritmo chiamato “A9”. Ecco cosa sapere.

 

Fare SEO su Amazon significa ottimizzare le schede dei tuoi prodotti affinché vengano visualizzate nella parte superiore dei risultati di ricerca di Amazon (per tutte le parole chiave pertinenti)

Amazon SEO = Ottimizzazione degli elenchi prodotti = posizionamenti migliori = Più visibilità = Più vendite

Proprio come su Google, gli acquirenti su Amazon inseriscono una parola chiave per trovare ciò che stanno cercando e proprio come su Google, gli utenti fanno principalmente click sui primi risultati e raramente fanno click su un prodotto nella seconda, terza o qualsiasi altra pagina (torna la storia del dove nascondere il cadavere!).

Se vendi su Amazon, ciò significa che un buon posizionamento su Amazon rappresenta il fattore di successo più importante per la tua attività: più alto sei, più vendi! Detta senza mezzi termini.

Se il tuo prodotto si posiziona a pagina 3 o peggio ancora, è improbabile che tu possa vendere qualcosa. Inoltre, oltre il 66% degli acquirenti ormai cerca direttamente nuovi prodotti su Amazon senza passare da Google. Ciò significa: se i tuoi prodotti non si posizionano bene, perdi davvero parecchio potenziale di vendita!

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Come funziona il posizionamento SEO su Amazon

Il posizionamento di un prodotto è determinato da un algoritmo chiamato “A9” (abbreviazione di “algoritmo”). Poiché questo algoritmo decide fondamentalmente il destino del tuo successo su Amazon, vediamo di imparare a capirlo meglio, io stesso ammetto che l’ho troppo trascurato, ma mi rendo conto che sempre di più i clienti sono interessati a questo servizio piuttosto che il posizionamento su Google.

Passaggio 1: le parole chiave determinano se il tuo prodotto si posiziona su Amazon

Nel primo passaggio, Amazon filtra tutti i prodotti che non sono rilevanti per la query di ricerca del cliente, osservando le parole chiave.

Se un prodotto non contiene tutte le parole chiave della query di ricerca, non può essere visualizzato nei risultati della ricerca (vedi perché è fondamentale aggiungere tutte le parole chiave pertinenti al tuo prodotto).

Questo passaggio è importante perché riduce drasticamente il numero di prodotti che Amazon deve ordinare in base alla probabilità di acquisto.

Passaggio 2: le prestazioni determinano il posizionamento dei tuoi prodotti su Amazon

Nel secondo passaggio, Amazon determina la probabilità di acquisto per i prodotti rimanenti e li classifica in un ordine specifico (ad esempio il ranking di Amazon). Per fare ciò, Amazon esamina le prestazioni dei prodotti.

Le prestazioni sono misurate dal CTR (percentuale di click nei risultati di ricerca), dal CR (tasso di conversione nella pagina del prodotto) e in particolare dalle vendite. Questi sono KPI significativi per Amazon in quanto rappresentano i passaggi che gli utenti devono adottare per acquistare un prodotto.

Amazon esamina questi KPI a un livello specifico di una parola chiave: un iPhone, ad esempio, avrà CTR, CR e vendite diversi per le parole chiave “iphone” e “smartphone”.

Per migliorare le tue metriche di CTR, CR e vendite e migliorare i tuoi posizionamenti, puoi utilizzare una varietà di leve, come immagini dei prodotti, gestione delle recensioni e Amazon PPC.

Una volta che le persone trovano il tuo prodotto e lo considerano pertinente, probabilmente fanno click e lo acquistano. Più persone fanno click e acquistano il prodotto, più generoso sarà l’algoritmo A9 nei tuoi confronti. Più alto è il tuo ranking dei prodotti, più persone lo compreranno.

Questo slancio, a sua volta, aiuterà i tuoi posizionamenti e ti consentirà anche di investire più risorse in iniziative di marketing per guidare le tue vendite.

Questo processo e questa strategia possono formare un volano che si autoalimenta tra posizionamenti, vendite e strategie di marketing che miglioreranno le tue vendite.

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Guida dettagliata per ottimizzare i tuoi elenchi di prodotti Amazon

Ora che hai visto come funziona l’algoritmo di ranking Amazon (A9), ci sporchiamo le mani e diamo un’occhiata a cosa puoi fare per ottimizzare la tua scheda.

Copriremo ogni passaggio che devi compiere dalla creazione della tua scheda per assicurarci che salga in cima dopo che è stata pubblicata e che rimanga lì.

Crea contenuti ottimali per la tua inserzione Amazon

Cominciamo con il primo passo: creare e migliorare i tuoi contenuti. Ciò significa ottimizzare il contenuto scheda e le immagini del prodotto.

Amazon funziona come un normale motore di ricerca, quindi l’ottimizzazione dei contenuti migliorerà la percentuale di click (CTR) nei risultati di ricerca e il tasso di conversione (CR) nella pagina del prodotto. Sia CTR che CR aumentano le vendite e, quindi, migliorano il tuo posizionamento.

Inoltre, tutte le campagne PPC o altre misure di marketing che generano traffico verso una pagina del prodotto avranno più successo se hanno ottimizzato il contenuto del prodotto al loro interno.

Pertanto, l’ottimizzazione delle schede dei prodotti dovrebbe essere sempre il primo passo per migliorare il posizionamento su Amazon.

Come funziona il Ranking Algorithm (A9)?

Con milioni di prodotti tra cui scegliere, gli acquirenti eseguono centinaia di milioni di query di ricerca su Amazon ogni mese.

Per ogni singola query di ricerca, Amazon deve decidere – entro pochi millisecondi – quale delle centinaia di milioni di prodotti mostrerà nella posizione di posizionamento numero 1, numero 2, ecc.

Quali fattori prende in considerazione Amazon per risolvere questa sfida molto complessa?

Amazon posiziona i prodotti in base alla probabilità di acquisto.
Tieni presente che tre parti si incontrano su Amazon: un acquirente, un venditore e Amazon.

Gli acquirenti vengono su Amazon per un solo motivo: vogliono acquistare! Questo intento di ricerca rappresenta un importante contrasto con la logica di Google.

Quando un utente digita “iPhone” in Google, non è chiaro l’intento di ricerca dell’utente. Infatti potrebbe voler acquistare un iPhone, ma potrebbe anche essere alla ricerca di un’immagine di un iPhone da utilizzare in una presentazione.

Come ottimizzare le parole chiave per Amazon SEO

Nel primo passaggio, hai scritto la tua scheda e creato contenuti convincenti sul prodotto per convincere i clienti a fare click e acquistare il prodotto. I tuoi contenuti miglioreranno le prestazioni del tuo prodotto e miglioreranno le sue classifiche.

Ma aspetta, non c’era un altro elemento essenziale? Esatto – parole chiave. Le parole chiave giuste consentiranno al tuo prodotto di apparire nei risultati di ricerca in primo luogo. Quindi ora, nel secondo passaggio, aggiungiamo alcune parole chiave alla tua scheda e le ottimizziamo.

Come fare la ricerca di parole chiave di Amazon

Ricorda: gli acquirenti possono trovare il tuo prodotto su Amazon solo se la pagina del prodotto contiene tutte le parole chiave utilizzate dagli acquirenti nella loro ricerca. Il tuo primo passo nell’ottimizzazione delle parole chiave è quindi quello di identificare tutte le parole chiave pertinenti. Ecco alcune tecniche e strumenti per farlo.

Completamento automatico Amazon

Quando inserisci una parola chiave nella casella di ricerca di Amazon, il completamento automatico suggerisce i termini di ricerca che i clienti di Amazon usano frequentemente.

Lista dei competitor

Analizza le schede dei tuoi concorrenti per trovare una serie di parole chiave pertinenti. Per fare ciò, inserisci una delle parole chiave principali per il tuo prodotto nella ricerca di Amazon e analizza i migliori prodotti nei risultati di ricerca.

Recensioni dei clienti

Dai un’occhiata da vicino agli acquirenti delle recensioni lasciati sul tuo e su prodotti simili. Scoprirai i termini esatti utilizzati dagli acquirenti per descrivere il tuo prodotto.

La prossima domanda importante è: dove devo mettere le parole chiave?

L’algoritmo A9 di Amazon esamina le parole chiave in vari campi nella scheda di prodotto per determinare se il tuo prodotto può essere visualizzato per il termine di ricerca di un acquirente. Se il tuo prodotto può essere visualizzato nei risultati di ricerca per una parola chiave specifica, il tuo prodotto viene indicizzato per questa parola chiave.

Diamo un’occhiata più da vicino a come Amazon tratta le parole chiave in ciascuno di quei campi nella tua scheda di prodotto.

Ponderazione dei diversi campi: importa dove metto le mie parole chiave per la SEO su Amazon?

I campi dell’elenco prodotti (titolo, punti elenco, descrizione, parole chiave back-end, ecc.) venivano ponderati in modo diverso nell’algoritmo di classificazione di Amazon. Amazon ha rimosso questa ponderazione successivamente nell’ottobre 2018.

Attualmente, i campi sono ponderati equamente. Non importa dove inserisci le parole chiave, purché si trovino in un campo indicizzato.

Brand

Anche se il tuo marchio è indicizzato come parola chiave, non varia (e non può) variare tra le schede di prodotto e, pertanto, non offre opportunità di ottimizzazione.

Titolo

Il titolo, corrispondente al tag title, del prodotto è di fondamentale importanza. Utilizza le Guide di Amazon specifiche per categoria per determinare la lunghezza corretta del titolo per il tuo prodotto.

Assicurati di farlo bene: Amazon rifiuta i titoli troppo lunghi e addirittura elimina le inserzioni in determinate circostanze. In questo caso, il prodotto non appare più nei risultati della ricerca.

Punti elenco (aspetti salienti)

In alcune categorie, Amazon indicizza solo i primi 1000 byte (spazi inclusi) come somma tra tutti i punti elenco. Le parole chiave dopo questa soglia non vengono indicizzate.

Il testo dovrebbe essere comunque più breve: mantiene i punti elenco leggibili ed evita effetti negativi sul tasso di conversione.

Il mio consiglio: utilizzare un massimo di 200 byte per punto elenco per garantire l’indicizzazione completa e un buon tasso di conversione.

Descrizione del prodotto

L’indicizzazione o meno di una descrizione del prodotto dipende dalla categoria del prodotto.

In alcune categorie, i prodotti possono essere trovati tramite tutte le parole chiave nella descrizione del prodotto. Nella maggior parte delle categorie, tuttavia, vale quanto segue:

  • un prodotto NON appare nei risultati di ricerca quando i clienti cercano singole parole chiave dalla descrizione del prodotto.
  • Un prodotto appare nei risultati della ricerca quando
    a) i clienti cercano due o più parole chiave dalla descrizione del prodotto che si trovano uno vicino all’altro o
    b) i clienti cercano una parola chiave dalla descrizione del prodotto E almeno altre due parole chiave da uno o più campi indicizzati (ad es. titolo, punti elenco, parole chiave back-end).

La descrizione del prodotto è quindi un luogo eccellente per aggiungere parole chiave a coda lunga.

Su Amazon, dicevamo, c’è solo un intento dietro ogni query di ricerca: acquistare il prodotto.

I venditori, d’altra parte, usano Amazon anche per un solo motivo: vogliono vendere!

Infine, Amazon vuole generare entrate, ma Amazon farà soldi solo se ha luogo una vendita (Amazon riceve una commissione del 15% da un venditore o incassa il margine da un fornitore).

L’obiettivo di Amazon, quindi, è quello di costruire un algoritmo che aumenti il numero di transazioni. Per raggiungere questo obiettivo, Amazon posiziona il prodotto che gli acquirenti hanno maggiori probabilità di acquistare immediatamente senza indurre in esitazione il potenziale acquirente.

In altre parole: Amazon deve posizionare tutti i prodotti in base alla probabilità di acquisto.

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Parole chiave e rendimento determinano il ranking di Amazon e la probabilità di acquisto

Amazon dunque posiziona i prodotti in base alla probabilità di acquisto. Questo mi fa sorgere una domanda alias dubbio: in che modo Amazon determina la probabilità di acquisto?

Sembra accadere in pochi secondi per l’utente, ma dietro le quinte, la verifica della probabilità di acquisto è una sfida assai complessa.

Ricorda: ci sono centinaia di milioni di prodotti e centinaia di milioni di query di ricerca. La probabilità di acquisto di un prodotto varia per ogni query di ricerca.

Di conseguenza, Amazon deve determinare la probabilità di acquisto non solo per ogni prodotto, ma per ogni combinazione di prodotto e query di ricerca.

Per affrontare questa sfida e ben posizionare i prodotti, Amazon esegue un processo in due fasi.

Testo persuasivo che vende: come scrivere la migliore scheda prodotto per la SEO su Amazon

Concentrati sull’ottimizzazione del seguente contenuto della scheda prodotto per Amazon in ottica SEO:

  • Titolo del prodotto (tag title) massimo 200 caratteri
  • Punti elenco a.k.a Punti salienti a.k.a. Attributi
  • Descrizione del prodotto (metadrescription)
  • Ulteriori informazioni sul prodotto
  • Contenuto avanzato del brand (venditori) e contenuto A + (fornitori)

Obiettivo numero uno: essere scelto come “Amazon’s Choice”

Il successo SEO su Amazon si riduce alla conoscenza di ciò che l’algoritmo di Amazon vuole da te come venditore, il che alla fine si riduce a rendere felici i clienti di Amazon stesso, detto banalmente. La pagina del prodotto può essere ottimizzata in vari modi, ma tutti si riducono a due fattori principali: pertinenza e prestazioni.

Se ottimizzi tenendo presente questi grandi fattori, alla fine dovresti vedere il movimento nella giusta direzione per quanto riguarda i posizionamenti nella ricerca, i tassi di conversione e le vendite.

shopping online

La personalizzazione è la chiave dello shopping online (e le persone non vogliono più farne a meno)

  • Un eCommerce che voglia cavalcare l’ondata di piena degli acquisti online non può prescindere dal creare esperienze di acquisto su misura.
  • Una ricerca di Global Index rivela le aspettative più comuni degli online shopper e le strategie più efficaci per fidelizzare i clienti.

 

Ancor prima che arrivasse la crisi sanitaria del Covid-19, il panorama dello shopping online era già un luogo molto affollato e competitivo.

Il lockdown ha reso ancora più saturo il mondo eCommerce. Un dato particolarmente interessante ci viene in soccorso: in ben 17 mercati, il 36% dei potenziali clienti abituati a fare acquisti in luoghi fisici hanno spostato il loro interesse negli acquisti online.

La causa di questa saturazione è dovuta in grossa parte alla necessità di chiusura dei negozi fisici e alla conseguente fioritura spasmodica di eCommerce di categorie merceologiche un tempo lontane dal mondo digitale.

In alcuni casi, tuttavia, questa necessità sbatte con una poco valutata presenza online e una capacità di attrazione lontana dalle aspettative dei consumatori.

I consumatori sono molto meno disposti ad accettare un approccio generale all’acquisto, e a tutto ciò che lo anticipa. Pertanto, i marchi che si sforzano di offrire un’esperienza di acquisto online più personale sono i più attrezzati per resistere alla concorrenza.

Qui approfondiamo il motivo.

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L’attuale panorama dello shopping online

È troppo presto per esprimere un giudizio analitico su cosa accadrà nel mondo e nella mente dei consumatori una volta superato questo momento di crisi globale ma possiamo certamente analizzare l’attuale panorama dello shopping online.

All’apice della gerarchia dei gruppi che acquista maggiormente ci sono sempre loro: i Millennial. Dall’inizio della pandemia la crescita degli acquisti è salita del 50% circa, le categorie merceologiche di riferimento sono pressoché tutte.

Dovendo analizzare l’andamento per genere troviamo che gli uomini concentrano i loro acquisti in alcol ed elettrodomestici, mentre le donne sono in vantaggio per i prodotti di bellezza e cosmetici. Ma qual è la motivazione che li spinge a scegliere questo o quel negozio online?

Perché la personalizzazione è un vantaggio per qualsiasi rivenditore

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La personalizzazione è la risposta. Nell’ambito eCommerce consiste nel sfruttare il potere dei dati dei consumatori per fornire percorsi su misura agli acquirenti online. L’obiettivo finale è fornire un’esperienza che piaccia agli individui in base alle loro esigenze, priorità e preferenze. In altre parole, incentivare i clienti presentando un’offerta che non si può rifiutare.

Pertanto, la personalizzazione è fondamentale per attrarre, acquisire e incoraggiare i clienti ad effettuare un acquisto.

Un ricerca di global web index sugli utenti degli shop online sostiene che:

  • Il 16% scopre i marchi tramite raccomandazioni di acquisto personalizzate sui siti Web.
  • Il 50% tende a optare per premi fedeltà dei marchi.
  • Il 24% sarebbe più motivato a promuovere un marchio online quando i prodotti/servizi è rilevante per i propri interessi.

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La segmentazione del cliente è la porta di accesso alla personalizzazione

I consumatori trascorrono circa 6 ore al giorno online, distribuiti equamente tra cellulari e PC. Mentre sono online, i consumatori passano in media 2 ore e mezza al giorno sui canali social.

Sebbene l’opportunità di raggiungere un pubblico diverso stia crescendo, specialmente online, non c’è dubbio che i consumatori stanno diventando sempre più esperti ed esigenti.
Il loro rifiuto della pubblicità globale non è nuovo ma è pur vero che si aspettano:

  • Più contenuti su misura.
  • Customer journey senza soluzione di continuità.
  • Una relazione uno a uno con i marchi.

Fortunatamente il marketing personalizzato può aiutare i rivenditori a superare queste sfide.

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Ogni segmento di consumatore (o “gruppo”) garantisce il proprio approccio personalizzato, determinato dai gusti, dai bisogni e dalle motivazioni di coloro che vi si trovano al suo interno.
In pratica, ciò significa fornire un’esperienza di acquisto eCommerce end-to-end su misura in ogni punto di contatto.
Sottoponendosi alla segmentazione, i marchi possono scoprire nuove opportunità per rafforzare il loro rapporto con i consumatori.

Ma non basta, poiché sebbene sia semplice da definire, è quasi impossibile cambiare o influenzare i comportamenti attraverso la pubblicità basata solo sulla segmentazione demografica. I consumatori sono semplicemente molto più complessi della loro età, reddito o posizione.

È possibile cambiare o influenzare i comportamenti attraverso la pubblicità basata sulla segmentazione comportamentale, ma solo fino a un certo punto. Piuttosto che osservare semplicemente le loro azioni, gli esperti di eCommerce devono sapere perché i consumatori fanno le cose, poiché questa è la chiave per raggiungerli a livello emotivo. Come? In questo caso, la segmentazione attitudinale aiuterà i marketer a scoprire in dettaglio ciò che i clienti apprezzano di più in un’esperienza di shopping online.

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I rivenditori online devono adattarsi al proprio pubblico

Nonostante l’aumento della concorrenza e un mercato eccessivamente saturo, il profitto nelle vendite online si ottiene solo attraverso una corretta personalizzazione.
La segmentazione attitudinale consente di attingere alle cose che interessano ai clienti e di amplificare questi fattori attraverso la funzionalità del sito Web.

Ma la personalizzazione non si limita nello sfruttamento della conoscenza dei potenziali clienti ma a mostrare come ci si adatta e si cambia con loro.
Gli atteggiamenti e le motivazioni dei consumatori sono influenzati da una varietà di fattori, il che significa che i loro tratti non sono mai fissati. I segmenti target e i mercati in cui vivono cambiano costantemente, quindi vale la pena stare in allerta.

Non solo GIF: perché Giphy era così importante per Facebook

  • Facebook ha comprato Giphy per 400 milioni di dollari, un’acquisizione che suscita non poche polemiche e fa suonare l’allarme dell’Antitrust.
  • L’attuale potenziale pubblicitario della piattaforma non sembra giustificare un così alto investimento da parte di Zuckerberg, il cui interesse parrebbe rivolgersi in un’altra direzione.

 

Il 15 maggio Facebook ha annunciato in un comunicato ufficiale di voler acquisire Giphy, tra le piattaforme più popolari del momento per la pubblicazione e la condivisione di GIF.

L’azienda ha dichiarato che Giphy verrà integrato nel “team Instagram”, che già da diverso tempo utilizzava la piattaforma come archivio a cui gli utenti accedono per condividere le immagini animate nelle IG Story.

Il gigante del web ha specificato che per gli utenti non ci saranno cambiamenti, la community creativa potrà continuare a produrre contenuti di qualità e utilizzare la piattaforma anche fuori da Instagram, così come continueranno a farlo tutti gli altri siti che utilizzano le API di Giphy.

Giphy manterrà il suo logo e la sua identità e, “continuerà a gestire la sua biblioteca (inclusa la sua raccolta di contenuti globali) e non vediamo l’ora di investire ulteriormente nella sua tecnologia e nei rapporti con i contenuti e i partner API”.

Ciò che Facebook non ha dichiarato è stato il costo di quest’acquisizione, che secondo quanto dichiarato da Axios si aggirerebbe intorno ai 400 milioni di dollari.

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GIF e sticker, un trend in crescita durante il lockdown

GIF animate e stickers offrono alle persone modi sempre più creativi di comunicare, nonché il mezzo più immediato per dare una risposta emotiva. Il loro utilizzo è a dir poco esploso negli ultimi anni, diventando una delle forme d’espressione nelle conversazioni digitali.

Tra le piattaforme dedicate alla ricerca e condivisione di GIF, Giphy è sicuramente la più utilizzata del momento, con più di 10 miliardi di contenuti condivisi ogni giorno, dati che, durante il periodo di lockdown, hanno visto una crescita esponenziale.

L’utilizzo della piattaforma ha registrato una crescita del 19% nel mese di aprile rispetto al mese precedente, che a sua volta aveva avuto un incremento del 65%.

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Ma non è tutto: attraverso le ricerche effettuate dagli utenti è stato possibile anche costruire un quadro di come sono cambiate le routine delle persone durante la quarantena ed evidenziare i maggiori interessi.

Per riportarne alcuni esempi: le ricerche per “Film” e TV” nell’archivio Giphy sono aumentate rispettivamente del 643% e del 999%, la parola “gaming” è salita del 928% e gli hobby in generale del 225%.

Da poco tempo Giphy aveva iniziato ad inserire funzionalità per gli inserzionisti per la creazione di GIF sponsorizzate, ma l’attuale potenziale pubblicitario della piattaforma non sembrerebbe in grado di giustificare un così alto investimento da parte di Facebook.

Qual è il motivo dell’acquisizione?

Secondo quanto dichiarato da Michael Ostrovsky, docente di economia a Stanford, “ci vorrà del vero ingegno per Facebook e Instagram per far funzionare le GIF come prodotto pubblicitario”.

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L’interesse di Zuckerberg parrebbe quindi rivolgersi in un’altra direzione. Il 50% del traffico di Giphy proviene già dalle app di Facebook, ma ora l’azienda avrà accesso ai dati di ricerca sulla piattaforma anche da tutte le altre app che utilizzano Giphy, tra cui iMessage, Snapchat, Telegram, Tinder, Slack e TikTok.

Sempre secondo Ostrovsky, le statistiche esistenti di Giphy sull’utilizzo delle GIF non forniranno a Facebook molto di più di quanto già non sappia in termini di targeting dei dati pubblicitari. Allo stesso tempo, però, Facebook potrebbe imparare molto su trend in crescita e topic caldi dal modo in cui le persone selezionano le GIF sulle varie piattaforme.

Inoltre, i dati Giphy, potrebbero essere in grado di rivelare la crescente popolarità di una nuova app che mostra una rapida espansione della sua base di utenti. D’altronde, si sa, Facebook è sempre molto attratto da tutto ciò che attira l’attenzione del web, e così come per le abitudini consumo e di navigazione degli utenti.

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L’allarme antitrust

Quest’ultima mossa di Facebook parrebbe non andare molto a genio ad un gruppo di senatori americani appartenenti ad entrambi gli schieramenti, che si sarebbero già mobilitati per l’applicazione delle norme antitrust nei confronti del colosso social.

Il repubblicano Josh Hawley ha dichiarato a The Verge che la società di Zuckerberg “vuole Giphy in modo che possa raccogliere ancora più dati su di noi. Facebook non dovrebbe acquisire alcuna società mentre è sotto inchiesta antitrust per i suoi acquisti passati”.

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È già stata annunciata da parte di un gruppo di senatori democratici l’intenzione di presentare un disegno di legge “Pandemic Anti-Monopoly Act”, che imporrebbe una moratoria sulle grandi fusioni fino a quando la Federal Trade Commission avrà accertato che le piccole e medie imprese e i lavoratori non sono più in gravi difficoltà finanziarie.

La senatrice democratica Elizabeth Warren, portavoce dell’iniziativa, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

L’acquisizione di Facebook è l’ennesimo esempio di azienda gigante che usa la pandemia per consolidare ulteriormente il potere – questa volta è una società con una storia di violazioni della privacy che ottiene un maggiore controllo sulle comunicazioni online.

Ma la richiesta dei democratici è già stata respinta dai repubblicani che in un appello alla Corte di Giustizia hanno chiesto di rifiutare qualsiasi modifica all’applicazione dell’antitrust fino a che l’emergenza Coronavirus sarà in atto.

Content Marketing nel B2B

Il ruolo del Content Marketing nel B2B tra numeri, esempi e casi di studio

  • Il Content Marketing nel B2B aiuta le aziende ad attrarre, educare e costruire una relazione con l’utente lungo tutto il percorso d’acquisto;
  • Nella maggior parte delle aziende non c’è una persona dedicata full-time al Content Marketing, il 50% esternalizza la creazione del contenuto;
  • Casi Studio e Webinar, due tipologie di Contenuto usate nel B2B per catturare l’attenzione dell’utente e aumentare la reputazione e l’affidabilità dell’azienda.

 

I processi di acquisto nel mercato B2B sono molte volte più lunghi e costosi che nel B2C. Pensiamo per esempio a un software, a un macchinario per la produzione in azienda, a una consulenza specialistica.

Oltre il tempo maggiore dal contatto iniziale all’acquisto, nel B2B si affrontano anche complessità nel far capire cosa si propone, le caratteristiche del prodotto e del servizio a più stakeholder, non solo tecnici e utilizzatori finali, ma anche ad altri attori che entrano nel processo decisionale, come per esempio manager non tecnici, ufficio acquisti, ecc.

Questa complessità si sposa nel marketing con l’approccio inbound, che vede nel contenuto informativo ed educativo un elemento centrale della strategia, per educare l’utente al prodotto e servizio e poi accompagnarlo e rassicurarlo durante tutto il customer journey, fino alla retention e il referral.

Il content marketing nel B2B è quindi una strategia cardine, con il sito web luogo ideale di contenuto, seguito da social, email, ma anche conferenze e incontri dal vivo.

Nei prossimi paragrafi esploreremo il contesto e le dinamiche del content marketing nel B2B, quali strategie di contenuto vengono maggiormente utilizzate, quante persone sono dedicate ai contenuti, quali riscontri portano.

Successivamente ci focalizzeremo su due tipi di contenuto molto utilizzati nel B2B: i casi studio e i webinar.

Inbound Marketing

Un breve recap sull’inbound Marketing. Si tratta di una metodologia, approccio, filosofia, codificata da Hubspot, azienda B2B di software, per attrarre potenziali clienti e successivamente farli diventare promotori spontanei della nostra attività. Non è obbligatorio utilizzare l’inbound marketing, ma soprattutto nel caso di acquisti complessi come nel B2B, aiuta ad accompagnare l’utente nel percorso di acquisto e promozione.

Il cuore dell’inbound marketing sono i contenuti e le esperienze su misura con l’utente al centro, grazie all’utilizzo di strumenti di marketing automation e analisi approfondite. Segue una logica di attrazione, con l’utente che trova il brand, grazie proprio a un contenuto di valore, che risponde a eventuali problemi che potrebbe incontrare. Il contrario è l’outbound marketing che approccia all’attenzione dell’utente con l’interruzione, come nel caso dei banner pubblicitari.

Flywheel hubspot

Fonte: Hubspot

Un esempio pratico di inbound marketing. Un’azienda ha difficoltà a organizzare, proteggere, aggiornare la propria documentazione cartacea, dall’altra parte c’è un software che permette di digitalizzare e gestire la documentazione. L’utente cerca su Google “consigli per organizzare la documentazione” trova un’infografica dell’azienda software con i “10 consigli per…” (lead magnet) e lascia la mail per scaricare il contenuto. L’utente è contento di aver trovato una risposta e allo stesso tempo è entrato in contatto con il brand, che sa ora che quell’utente ha un problema da risolvere e che il software potrebbe fare al caso suo. Una volta ottenuto il lead, viene nutrito sempre con il contenuto, lungo tutto il funnel, anzi utilizzando l’approccio di Hubspot, viene nutrito nel percorso del modello flywheel.

Si crea quindi con il tempo una relazione che porta alla conoscenza e fiducia, fino alla chiusura con l’acquisto del prodotto e servizio. Se e quando ciò accade, la relazione continua anche nel post-vendita con il cliente che viene aiutato a raggiungere il successo e diventa un promotore spontaneo dell’attività.

I numeri del Content Marketing nel B2B

Una ricerca del Content Marketing Institute, ha indagato lo stato e i trend del Content Marketing nel B2B con un survey che ha coinvolto oltre 650 marketers.

I top 3 obiettivi raggiunti dagli intervistati con il content marketing nel 2019 sono stati: creare brand awareness (86%); educare l’audience (79%); costruire credibilità/ fiducia (75%). Obiettivi top-of the funnel insomma, dall’altra parte tra gli obiettivi meno raggiunti: costruire audience abbonate/ iscritte (45%); generare vendite/ ricavi (53%), costruire fedeltà con i clienti acquisiti (63%). Dati comunque alti e in crescita rispetto l’anno precedente.

Content Marketing nel B2B

Un altro dato interessante è l’allocazione delle risorse e la struttura del team dedicato al contenuto in azienda. Nelle aziende più grandi c’è sia un team centralizzato che team individuali che si occupano di content marketing per l’organizzazione (36%). Nelle aziende medie (52%) e piccole (70%) prevale un team di poche persone o con solo una persona. Per almeno 1/3 degli intervistati non c’è una figura dedicata full-time al content marketing. Il 50% di aziende B2B esternalizza una parte del lavoro diContent Marketing, in particolare l’attività di creazione contenuti.

Content Marketing nel B2B

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Solo due terzi (66%) dei programmi di content marketing dà priorità alle esigenze informative del proprio pubblico rispetto al messaggio commerciale/promozionale della propria organizzazione. Sarebbe bene in questo caso arginare le richieste dei commerciali che spingono in questa direzione promozionale, soprattutto quando i lead acquisiti non hanno ancora compreso bene o acquisito fiducia con un percorso di contenuti adeguato.

I canali preferiti per la distribuzione dei contenuti nel Marketing B2B. Social media (91%), Sito web e Blog (89%), Email (87%), Eventi, Conferenze (63%), Guest post (48%), Relazioni con media e influencer (34%). Per quanto riguarda le campagne a pagamento sui contenuti, l’84% ne usufruisce, soprattutto con social media adv (72%), sponsorship per esempio di workshop (66%), Search Engine Marketing (61%).

I casi studio nel B2B

I casi studio nel content marketing B2B aiutano a costruire credibilità e fiducia verso il brand. Nel B2B gli acquisti spesso sono complessi, lunghi e hanno un notevole impatto economico. La riprova sociale, con recensioni, casi studio, pagina clienti, aiuta ad aumentare la fiducia verso il brand e diminuire le barriere di ingresso per un nuovo potenziale cliente.

Inoltre i casi studio consentono di costruire uno storytelling intorno al brand. Pensate alla struttura classica del caso studio, il cliente aveva questo problema, con il nostro aiuto è riuscito a risolverlo e a raggiungere il successo. I casi studio con la loro struttura narrativa possono raccontare non solo come lavora il brand, ma anche i suoi valori e come li applica concretamente. Possono aiutare inoltre a far immedesimare il prospect nella storia, attraverso la condivisione di problemi comuni. Per questo ogni caso studio che si rispetti presenta nella struttura un problema e una soluzione.

I casi studio possono essere rappresentati nelle forme più diverse, dal testo sul blog, al video racconto, al podcast con l’intervista, ad un evento live e anche in momenti diversi del Customer Journey, sia sul sito web come primo contatto sia anche offline nelle presentazioni del commerciale al potenziale customer.

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Tips per i case studies

  • Stabilisci l’obiettivo che vuoi raggiungere prima di iniziare e affronta diversi aspetti e soluzioni che il tuo prodotto o servizio aiutano a risolvere. Per esempio aderenza alle normative, aumento della produttività, aumento della qualità, ecc.
  • Prova diversi canali e mezzi. Lo stesso caso studio può essere un video per il tuo sito web, un’infografica per Pinterest, un post per i social.
  • La scelta del cliente. Un’azienda cliente conosciuta sicuramente porta maggiore autorevolezza al tuo brand, inoltre un’azienda che ha raggiunto risultati notevoli con il tuo prodotto, con cui sei maggiormente a contatto e ben istruita sul tuo prodotto.
  • Autorizzazioni e approvazioni. Sia prima della creazione del caso studio che alla fine della realizzazione è importante avere sia l’autorizzazione, sia l’approvazione dell’azienda cliente. Molte aziende hanno infatti policy che non permettono di pubblicare i loro loghi o nomi da parte dei fornitori. Inoltre il consiglio è coinvolgere pienamente il cliente fin da subito, dichiarando il tuo obiettivo e incentivandolo a partecipare, sia con vantaggi a livello di reputation che magari con benefit.

L’esempio di Facebook e Mercedes

Un esempio interessante di Caso Studio è quello di Facebook e Mercedes nella sezione Success Story di Facebook for Business. Il Caso studio è semplice da leggere e utilizza testo, icone, immagini, video e numeri. Parte con l’immagine di copertina e subito una frase con l’obiettivo raggiunto da Mercedes “Attrarre più lead con Facebook Custom Audience e Lookalike audience”. Interessanti anche i numeri messi in risalto per dimostrare il successo raggiunto. Screen e video che raccontano come hanno lavorato insieme le due aziende. I risultati raggiunti e infine i commenti da parte del cliente che racconta l’esperienza e la soddisfazione.

I Webinar

Prima della pandemia, qualcuno si chiedeva se nel 2020 il Webinar fosse ormai in fase di declino. In questi mesi la situazione è totalmente cambiata e la formazione in aula si è spostata completamente sul digitale, con il webinar strumento principale insieme alle dirette social per entrare in relazione con gli utenti.

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Nel Content Marketing B2B, il Webinar è uno dei migliori mezzi per generare lead di qualità per i commerciali, soprattutto se si scelgono argomenti specifici che rispondono all’offerta di valore dell’azienda e al bisogno del potenziale cliente. Il Webinar inoltre può essere utilizzato in diversi punti del customer journey, sia in fase di awareness, che di lead nurturing, così come di retention e per il referral.

Altre caratteristiche positive del Webinar sono l’alto contenuto educativo e informativo che si può trasmettere sul proprio prodotto e servizio, la possibilità di entrare direttamente in contatto con i potenziali clienti, soprattutto in fase di live e il fatto di poter mostrare la propria esperienza e autorità in un determinato campo.

Alcuni tips per i webinar

  • Argomento. Scegli un tema specifico su cui hai molta esperienza e puoi trasmettere reale valore all’utente. Il tema dovrebbe inoltre rispondere alle domande che solitamente vengono poste dal possibile cliente. Per questo è importante allinearsi con il team commerciale per scegliere l’argomento da trattare. Può essere interessante anche organizzare webinar in partnership con altre aziende con cui collabori.
  • Strumento. Nel momento in cui decidi di organizzare un webinar, scegli il tool più adatto considerando il numero di partecipanti, la possibilità di registrazione, ma anche l’interazione che lo strumento consente tra speaker e utente.
  • Giorno e orario, tempo. Molto importante tenere in considerazione, è la possibilità di partecipazione dell’audience al Webinar. Puoi per esempio basarti sui dati di Analytics per capire il momento migliore di affluenza sul sito in caso di utenti sconosciuti, o se il webinar è indirizzato a lead iscritti o clienti, puoi inviare un sondaggio chiedendo il giorno e orario di preferenza. Secondo ON24 il giorno e orario migliore è giovedì 10-11. Il consiglio è di mettere a disposizione la registrazione, per chi non potesse partecipare, soprattutto nel caso del B2B dove l’84% guarda il video successivamente.
  • Promozione. Sempre facendo riferimento alle statistiche di GoToWebinar, molte registrazioni avvengono il giorno stesso dell’evento, comunque la promozione dovrebbe svolgersi almeno una settimana prima. Un consiglio è di prevedere anche email di reminder e anche di inserire l’evento nel calendario del partecipante.
  • Partecipazione. Non creare webinar con presentazioni piene di testo e uno speaker che non coinvolge l’audience, potresti rischiare una perdita immediata di attenzione. Per esempio una pratica interessante potrebbe essere quella di chiedere ai partecipanti prima dell’evento di porre domande a cui lo speaker risponderà in diretta e di farli intervenire in diretta creando confronti costruttivi.
  • Rimani in contatto. Dopo il webinar, rimani in contatto con la tua audience, invia il materiale, la registrazione, ma richiedi anche un feedback e/o un sondaggio per futuri webinar.
  • Insight. Una volta finito il webinar è importante allinearsi con le vendite e condividere il comportamento dei partecipanti, per stabilire azioni mirate verso il prospect e proseguire nell’accompagnamento alla vendita.