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4 fattori che i brand dovrebbero considerare per la ripartenza nel settore Travel

  • Riprendono i viaggi in sicurezza, ma nulla sarà come prima. I consumatori, in questo periodo, sono ancora riluttanti a volare.
  • Un’attenta analisi, rivela che la maggior parte dei viaggiatori cambierà i propri comportamenti e anche gli operatori del settore Travel devono adeguarsi.

 

Il 13 maggio 2020, la Commissione europea ha pubblicato una guida per la ripresa dei viaggi in sicurezza. Ora che la filiera del Travel, compatibilmente con le norme vigenti, ha ricominciato la programmazione e la vendita di viaggi, è il momento di guardare ai primi dati del settore, per ipotizzare le sorti delle vacanze estive 2020.

Secondo Nicky Kelvin, Content Director di The Points Guy UK:

Il mondo che vediamo non sarà più lo stesso di prima che entrassimo nel lockdown. Da come prenotiamo, a dove e perché viaggiamo, dalla nostra scelta dei posti sull’aereo, a quali rischi finanziari e di sicurezza siamo disposti ad assumere… sicuramente da questa crisi mondiale emergeranno viaggiatori diversi rispetto a prima dell’inizio della pandemia.

Secondo un’indagine del Confturismo Confcommercio, in collaborazione con Swg, gli italiani che oggi pensano di fare le valigie tra giugno e agosto è passata dal 19% di aprile al 48%, ma siamo ancora molto lontani dal 70% dello stesso periodo dell’anno scorso. L’UNWTO ha avvertito che gli arrivi di turisti in tutto il mondo potrebbero scendere fino al 30%.

Interessante l’indagine condotta da Ipsos, per capire il “mood” degli italiani di fronte alla pandemia: alla domanda “Se si dovesse sbloccare la possibilità, lei pensa di fare una vacanza di almeno una settimana lontano da casa questa estate?” il campione esaminato ha risposto SI al 39%, NO al 38% (nella metà dei casi per paura, mentre un terzo per mancanza di soldi); e FORSE al 23%.

Attualmente, a livello mondiale, oltre la metà dei consumatori ha ritardato la prenotazione di una vacanza. In Francia, ad esempio, i ritardi negli acquisti delle vacanze sono passati dal 28% a metà marzo al 48% a metà aprile. Questo numero sale al 60% tra i consumatori in Cina e Singapore. 

1. Le vacanze sono ancora un acquisto prioritario, nonostante l’epidemia

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Secondo il Global Web Index Custom Research, un’indagine effettuata a fine aprile su 15.274 utenti in Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Irlanda, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Filippine, Sud Africa, Singapore, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, compresi tra i 16 ed i 64 anni.

I consumatori danno ancora la priorità alla prenotazione di una vacanza (23%) rispetto ad altri acquisti come l’acquisto di vestiti (17%), di un nuovo smartphone (13%), elettrodomestici (12%), dispositivi elettronici (11%) e automobili (9%). La prenotazione di una vacanza è la massima priorità per quasi tutti i mercati intervistati, a parte l’India e il Sudafrica, dove prevale l’acquisto di vestiti. Inoltre è stato notato che, più il consumatore è anziano, più è probabile che abbia la priorità di prenotare una vacanza (con boomers che segnano il 29%, contro la Gen Z che registra un 18%). I giovani privilegiano l’acquisto di abbigliamento (25%) e smartphone (20%).

2. I consumatori sono riluttanti a volare

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Le compagnie aeree sono destinate a subire il colpo maggiore: mentre il 23% dei consumatori dà la priorità all’acquisto di una vacanza dopo l’epidemia, solo l’8% afferma lo stesso della prenotazione di un volo. Questo è principalmente dovuto a problemi di sicurezza perché è quasi impossibile mantenere la distanza interpersonale all’interno degli aeroporti e del mezzo.

John-Holland Kaye, l’amministratore delegato dell’aeroporto Heathrow di Londra, ha avvertito che il distanziamento sociale negli aeroporti potrebbe richiedere code di imbarco lunghe un chilometro: ciò si traduce in un aumento della domanda di vacanze nazionali, come confermato da un’indagine di Astoi Confindustria viaggi. Restano provvisori, ma pur sempre significativi, i dati dell’outgoing, per il quale le mete ad oggi più richieste sono la Grecia, l’Egitto e la Spagna. Per chi vuole andare all’estero, infatti, è necessario valutare le politiche di protezione dal virus adottate nei vari Paesi e le restrizioni ai turisti adottate. 

3. La maggior parte delle persone cambia i propri comportamenti in viaggio

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Solo il 18% dei consumatori afferma di non avere intenzione di apportare modifiche ai propri comportamenti durante le vacanze. Il paese più incline a cambiare i suoi comportamenti riguardo al mondo travel, invece, è la Cina. Il 65% degli utenti cinesi, normalmente si recavano in vacanza all’estero almeno una volta ogni 6 mesi, mentre ora prediligono vacanze nazionali (42%), che richiedono meno di 3h di volo (25%) anziché ai viaggi internazionali. Wuhan è in cima alle liste dei desideri, i viaggiatori, infatti, affermano di voler contribuire allo sviluppo economico nella regione a seguito della pandemia.

In generale, i consumatori sono alla ricerca di luoghi non troppo affollati, viste le misure di distanziamento sociale da rispettare, luoghi “immersi nella natura” o  “all’aperto” dove potersi rilassare. Solo il 49% prediligerà vacanze al mare, aumentando le preferenze per la montagna (scelta dal 23% contro il 18% dell’anno precedente). Il 17% degli intervistati sceglierà una città d’arte, ma solo il 15% visiterà musei, monumenti e mostre, contro il 37% dello scorso anno.

In Italia, se da una parte sono crollate del 60% le richieste di informazioni per gli specialty travel (turismo enogastronomico, ecoturismo, viaggi avventura) e per il settore del bus o del car rental, sono esplose le ricerche di case in affitto con piscina in Sicilia, Liguria e Toscana. Un altro “best seller” annunciato sono le case con giardino in Veneto, Campania e Lazio (dato elaborato dall’agenzia di performance marketing ByTek in collaborazione con Parchi Permanenti Italiani).

Inoltre, si prediligeranno vacanze brevi (in particolare il 33% degli indiani opta per viaggi di soli 3 giorni). Secondo la ricerca, molte persone punteranno anche alle vacanze più economiche, viste le difficoltà finanziarie affrontate in questo periodo (in particolare il 27% popolazione delle Filippine).

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4. La sicurezza rimane una priorità per i consumatori nel settore Travel

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Le vacanze sono ancora in primo piano per molti consumatori, ma la sicurezza è diventata una questione prioritaria ed è qualcosa che le compagnie aeree, gli aeroporti e il settore dei viaggi in generale dovranno considerare attentamente. Solo il 28% dei consumatori afferma che la riapertura dei confini li farà sentire abbastanza sicuri da poter viaggiare di nuovo. Il 66% dei rispondenti, invece, ritiene che tornerà a viaggiare soltanto quando si sentirà totalmente tranquillo di poterlo fare. Alla domanda su “cosa darebbe loro la fiducia necessaria per viaggiare di nuovo”, il 60% della Gen X e il 65% dei Baby Boomers risponde la “sicurezza personale”. La percentuale minore (17% dei Baby Boomers) afferma “la sicurezza finanziaria”.

I viaggiatori, in questa fase, vanno suddivisi in quattro categorie: gli “esploratori”, che sono alla ricerca del prossimo viaggio e saranno i primi a ripartire; i “sognatori”, che anche se non sono alla ricerca di viaggi ora, lo erano prima della crisi e adesso vanno identificati, per iniziare a ispirarli; gli “esperienziali”, che non sono alla ricerca di viaggi, ma sono attivi nella ricerca di nuove esperienze travel e i “bookers”, categoria che identifica chi è pronto a prenotare e si sente sicuro a partire una volta tolte le restrizioni. Secondo Monica Mailander Macaluso, presidente di Mailander “bisognerà concentrarsi sui consumatori, ascoltarli, intercettarli e ispirarli, così da favorire la ripresa del settore”.

Pride Month

Pride Month 2020, le campagne più belle dai brand quest’anno

  • Nonostante il periodo che vede diversi brand affrontare numerosi tagli lato budget, hanno scelto comunque di dedicare parte delle loro risorse per supportare la comunità LGBTQIA+.
  • Uno dei temi principali e ricorrenti per questo Pride 2020 sono le difficoltà che si trova ad affrontare la comunità transgender, nel vivere la propria identità liberi da qualsiasi pregiudizio.

 

Sono passati più di cinquant’anni dall’evento che ha segnato una svolta reale per la comunità LGBTQ+ e il Pride Month è ancora oggi, attuale e più sentito che mai.

La ricorrenza nasce da un’irruzione della polizia fatta in un noto bar frequentato da omosessuali, lo Stonewall Inn, nel Greenwich Village, la notte tra il 27 e 28 Giugno 1969.

Durante quella notte diversi agenti di polizia arrestarono persone con abiti femminili semplicemente perché non in possesso di un documento di identità. Non era la prima irruzione non motivata, e la comunità LGBT, stanca dei soprusi, diede inizio a cinque giorni di scontri con la polizia dove non mancarono, purtroppo, diversi atti di violenza e umiliazione.

Da quella notte ad oggi i passi avanti nel riconoscimento e per il rispetto sono stati fatti, ma sono ancora molti quelli da compiere perché non si parli più di diversità, e perché le persone possano essere libere di vivere se stessi senza la paura del giudizio e del pregiudizio.

Un importante contributo è stato dato anche dai brand, che facendo sentire la loro voce, si sono schierati in passato per i diritti LGBTQ+, e lo fanno tutt’ora.

Anche quest’anno, nonostante il periodo di difficoltà e ai diversi tagli di budget, in molti hanno scelto di celebrare comunque il mese del Pride.

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Pride Month

Levi’s – Use Your Voice

“Non c’è giusto o sbagliato, è il tuo punto di vista” 

Il brand di denim americano dedica la propria campagna, con una collezione creata per l’occasione, a tutti coloro che hanno fatto sentire la loro voce per portare un cambiamento nel mondo.

Il tema principale di questo video è quello di incoraggiare le persone ad agire con orgoglio, parlare ed esprimere quello che provano e il loro punto di vista, sottolineando il potere che ognuno di noi ha per ispirare e cambiare l’opinione pubblica.

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Il Film di Diesel – Francesca

Da sempre in prima linea per celebrare il Pride Month, Diesel ha creato Francesca a Diesel Film, un video dedicato alla comunità transgender.

La storia è quella di Francesca, di cui viene mostrata la sua quotidiana e la sua progressiva trasformazione per abbracciare la sua vera identità ed inseguire un sogno del tutto inaspettato.

Boy Smells – The non binary scent candle

Quante volte ci è capitato di classificare anche i prodotti per il corpo per uomo e per donna, associando solo un determinato profumo?

Questa è la domanda che i fondatori di Boy Smells si sono fatti, quando nel 2016, hanno lanciato le prime candele dal genere “Fluido”. L’idea è quella che non tutti gli uomini si identificano per forza con profumi di legno, pelle e tutte le donne con un determinato fiore, ma ognuno è libero di scegliere il profumo che più sente adatto.

Per il Pride Month di quest’anno il brand ha scelto di investire non solo in una collezione di Candele Arcobaleno, ma di aprire i propri canali social a sei ambassador della comunità LGBTQ+, cui è stata dedicata una fragranza, con il compito di creare contenuti e stimolare discussioni sul tema delle diversità.

Starbucks – What’s Your Name

La campagna What’s Your Name non è strettamente legata al mese del Pride, ma rimane attuale, emozionante e tratta il tema dell’identità in modo delicato ma diretto.

Starbucks racconta la storia di James, che tutti chiamano Jemma, creandogli una profonda tristezza e inadeguatezza ogni volta che una persona ripete il suo nome.

L’unico momento in cui riesce ad essere se stesso e ad accettarsi, è quando può essere libero di pronunciare quello che per lui è il suo vero nome, e sentirsi per la prima volta chiamare James. Senza alcun pregiudizio.

10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

Il digitale è stata una grande rivelazione per molte piccole aziende negli ultimi mesi. Imprenditori e proprietari hanno scoperto che restare in contatto con i propri clienti grazie al web può essere non solo un’alternativa al negozio fisico o all’attività face-to-face, ma una parte complementare del business, oggi necessaria più che mai.

Certo, nessuno ha detto che costruire un business online (che si parta de zero, o che si voglia digitalizzare un’impresa esistente) sia un’attività semplice e lineare. Ma partendo preparati e conoscendo tutti gli step e i fattori in campo, questa nuova avventura può trasformarsi nella strada per il successo.

Scopriamo insieme, quindi, le dieci cose che dovresti assolutamente conoscere prima di lanciare un business online.

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1. La scelta dell’hosting

Molte aziende iniziano a costruire la propria presenza online con una semplice pagina Facebook o un negozio su piattaforme come Etsy. Qui, tuttavia, non si avrà il pieno controllo e si avranno dei limiti in termini di possibilità e di attività consentite.

Ecco perché spesso si arriva alla decisione di avere un proprio sito web, magari anche un eCommerce.

Il primo passo per farlo è scegliere l’hosting giusto per le proprie esigenze.

L’host di un sito web (talvolta indicato come fornitore di hosting di siti web) è una società che offre la tecnologia e i servizi necessari per la visualizzazione di un sito web su Internet. Il servizio collega il nome di dominio al provider di hosting in modo che quando gli utenti visitano il tuo indirizzo web, venga mostrato loro il tuo sito.

A seconda del tipo di tecnologia e di supporto scelto i costi di questi servizi possono variare, ma ci sono alcuni aspetti fondamentali da considerare quando si sceglie un hosting.

  • Hosting condiviso vs. server dedicato. Avere un hosting condiviso significa che si sta condividendo un server e le sue risorse con altri clienti. Il limite maggiore in questo caso sono possono essere le prestazioni limitate del sito, o maggiori rischi rispetto alla cybersecurity, ma potrebbe comunque essere una valida scelta se si è ancora agli inizi e si vogliono testare le performance del proprio business online. Avere un piano server dedicato significa, invece, che la macchina server fisica è interamente dedicata al tuo sito; quindi, tutte le risorse sono dedicate. Tuttavia si tratta di una soluzione in genere più costosa che non tutte le piccole imprese sono disposte a pagare. Infine, esiste una via di mezzo tra i due, ossia il VPS o “server privato virtuale”. Si tratta di un piano hosting che offre il meglio delle due soluzioni, poiché un VPS è una macchina partizionata per lavorare come se si trattasse di macchine multiple, con un prezzo simile a quello di un hosting condiviso, ma con una sicurezza e prestazioni simili a quelle di un server dedicato.
  • Supporto e assistenza. Nella scelta di un hosting non si dovrebbe dimenticare di verificare anche la possibilità di ricevere supporto telefonico o via chat, in modo da poter essere aiutati rapidamente in caso di problemi. Anche il supporto via email può essere utile, ma in genere richiede tempi di risposta più lunghi e questo può diventare frustrante quando un problema deve essere risolto rapidamente.
  • L’interfaccia server semplice da usare. Soprattutto per chi è agli inizi e vuole fare tutto da sè senza il supporto di un professionista o di un’agenzia, è molto utile valutare anche la facilità di utilizzo e configurazione del pannello di controllo dell’hosting, in modo da essere certi di poter apportare tutte le modifiche necessarie al proprio progetto.
  • La sicurezza del server. Come dicevamo, un aspetto da non trascurare in un business online, è la cybersecurity. Ad esempio, per un progetto eCommerce è necessario installare i certificati Secure Sockets Layer (SSL). Assicurati, inoltre, che la società di hosting effettui una regolare manutenzione della sicurezza. Idealmente il protocollo di sicurezza dovrebbe essere pubblico, per poter conoscere come vengono gestiti i server.

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2. La scelta del nome dominio

Il dominio è la parte dell’indirizzo web che viene dopo il www. Ad esempio: www.ninjacademy.it

Per un’azienda, un nome a dominio può anche essere legato a un indirizzo e-mail professionale. In questo modo:

support@ninjacademy.it

Diciamo che sto cercando un idraulico a Roma, utilizzando Google digiterò “idraulico a Roma” e otterrò come risposta un elenco di risultati di ricerca che includono siti web rilevanti identificati dai loro nomi di dominio.

Il tuo dominio è l’insegna della tua azienda sul web, quindi fai attenzione a scegliere un nome dominio che rappresenti la tua azienda e che sia facile da ricordare. Puoi seguire questi cinque suggerimenti:

  • Sii breve, per assicurarti di restare impresso.
  • Rendilo facile da digitare. Evitate i trattini e le grafie insolite.
  • Includi le parole chiave. Cerca di usare termini semplici che le persone potrebbero inserire quando cercano il tuo tipo di attività online.
  • Localizza il tuo business. Specie per le piccole imprese può essere utile includere anche il nome della propria città o della propria regione nel dominio, per attirare i clienti locali.
  • Scegli l’estensione giusta. L’uso e l’estensione del nome di dominio (la parte che viene dopo il “punto”) dovrebbe essere specifico per il settore o per la zona geografica. In Italia ad esempio, andrebbe scelto il .it o il .com se si tratta di un eCommerce, ad esempio.
  • Quando stai cercando un dominio, fai una piccola ricerca per assicurarti che il nome che hai in mente non esista già, non sia un marchio registrato, protetto da copyright o in uso da un’altra azienda.

3. La creazione del sito e del suo design

Dopo aver scelto un dominio sarai pronto a iniziare a pensare nel concreto al sito web. Un po’ di pianificazione è fondamentale per garantire che il sito funzioni come immaginavamo e presenti tutti i prodotti o i servizi in modo chiaro.

Parti quindi dagli obiettivi: vuoi che il sito informi, che ispiri o vuoi generare conversioni di vendita?

È sufficiente che il sito web mostri i tuoi prodotti e servizi, o vuoi che i visitatori possano acquistarli direttamente dal sito? Se è così, dovrai progettare un sito eCommerce, prevedendo anche carrello, metodi di pagamento, registrazione del cliente…

Quando avrai ben chiaro cosa vuoi che faccia il tuo sito per il tuo business online, potrai iniziare a costruirlo seguendo gli obiettivi che ti sei prefissato.

Anche se non sei un esperto informatico, potrai utilizzare piattaforme e strumenti facilmente installabili per costruire il tuo website.

Un esempio che avrai già sentito nominare molte volte è quello dei siti web in WordPress. Si tratta di un CMS (content management system) che non richiede la conoscenza di HTML, PHP o altri linguaggi di programmazione, ma che ti consente un ottimo livello di personalizzazione anche se sei non sei esattamente un pro!

Puoi scegliere tra una miriade di temi gratuiti o a pagamento (cioè il design per lo stile generale del tuo sito web). Inoltre hai a disposizione moltissimi plugin per aumentare e diversificare le funzionalità del sito.

In alternativa puoi assumere un professionista o un’agenzia e commissionare la costruzione del tuo sito. In questo caso prevedi con l’esperto che ti seguirà anche le diverse opzioni di assistenza e implementazione: una volta messo online il sito potrai occupartene da solo o avrai bisogno di un’assistenza dedicata costante?

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4. La creazione di contenuti di qualità

Una volta che avrai pensato alla struttura e al design, ossia al contenitore, potrai iniziare anche a capire cosa metterai dentro il tuo sito, cioè ai contenuti.

Per far conoscere e lanciare il tuo business online, puoi raccontare la tua storia, spiegare come hai iniziato, dire qualcosa di te e del tuo lavoro ai potenziali clienti, spiegare quale problema puoi risolvere per loro, la tua mission e la tua passione.

Tra le pagine da includere tra i contenuti del tuo sito ci sarà la Home (pagina iniziale su cui atterreranno digitando il tuo nome dominio), un Chi siamo, la pagina dei Prodotti/Servizi, i Contatti e se possibile una pagina con recensioni e testimonianze di altri clienti. Quest’ultima comunicherà fiducia ai nuovi potenziali clienti.

Oltre ai testi, dovrai prevedere anche immagini (foto, logo, icone…) ed eventualmente uno o più video.

Cerca di mantenere un tono di voce coerente tra tutti i diversi contenuti, e prevedi anche colori e grafiche coordinate, ricordando che potresti anche condividere sui social le tue pagine web.

5. L’uso della SEO

Una volta creati contenuti rilevanti per i tuoi potenziali clienti, è il momento di fare un passo in più per aumentare la visibilità del tuo business online.

Per farlo devi utilizzare la SEO, vale a dire l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

L’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) è il processo di perfezionamento di un sito web per ottenere un posizionamento più alto nei risultati sui motori di ricerca e portare visitatori organici al tuo sito, senza pagare per annunci in evidenza.

A differenza degli annunci a pagamento – annunci pubblicitari che vengono visualizzati in aree sponsorizzate – i risultati di ricerca organici sono “gratuiti” e basati, tra le altre cose, sul contenuto del sito e su quanto si avvicina alle parole chiave ricercate. Si tratta quindi di risultati molto rilevanti per gi utenti.

Anche se ogni motore di ricerca ha il proprio set di criteri di posizionamento, tutti guardano agli stessi elementi di base:

  • Contenuto della pagina rilevante.
  • Parole chiave.
  • Meta tag. 
  • Sitemap.
  • Link building.
  • Ottimizzazione delle immagini.

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6. L’uso dei canali social

Stabilire una presenza commerciale sui social media, cioè lì dove si trovano i tuoi clienti e potenziali clienti, è un po’ come allestire uno stand alla più grande fiera virtuale del mondo.

Certamente anche i tuoi competitor saranno lì, in fila per attirare l’attenzione dei potenziali clienti, con foto, video e offerte. Per questo, il segreto per usare al meglio i social media per comunicare con il tuo pubblico è creare contenuti di valore che ti permettano di costruire una relazione duratura.

Sviluppando un seguito sui social, potrai entrare in contatto con i tuoi clienti e potenziali clienti e condividere contenuti con un gran numero di persone. Il social inoltre rende facile indirizzare le domande o i problemi specifici dei clienti, rendendo le stesse informazioni disponibili anche per tutti gli altri.

Qui avrai anche la possibilità di costruire la tua brand awareness, ossia di condividere informazioni sulla tua attività e di mostrare la tua personalità. Oltre alla possibilità di guidare il traffico verso il sito web includendo link al sito nei post social e nelle varie bio.

Oltre a vendere, potrai renderti credibile. Condividendo contenuti rilevanti ti mostrerai come un leader di settore e creerai una presenza online solida per il tuo business.

Per utilizzare al meglio i social media, dovrai innanzitutto capire qual è il tuo target e scoprire su quali piattaforme spende il suo tempo. Non è detto che tu debba essere presente su qualsiasi social, potresti scegliere anche solo i più rilevanti e concentrarti su quelli.

7. L’advertising online

Proprio come la pubblicità sui giornali o sui manifesti per strada, anche l’advertising online gioca un ruolo importante per farti conoscere sul web. Ovviamente si tratta di un canale a pagamento, per il quale dovrai prevedere un certo investimento, per poter vedere risultati tangibili.

Gli annunci online, i post “sponsorizzati” sui social e tutte le altre opzioni a pagamento sono progettate per mettere le tue informazioni commerciali in primo piano e per guidare il traffico verso il tuo sito web.

Tra i vantaggi della pubblicità online puoi valutare questi di seguito:

  • è veloce e più economica di quella offline. Gli annunci online costano una frazione degli annunci tradizionali sulla stampa, ed è possibile eseguirli rapidamente.
  • Pubblico in target. Gli annunci saranno presentati solo a consumatori mirati sui social, sui media online o tra i risultati di ricerca.
  • È facile da misurare. Avrai a disposizione molte metriche per misurare il successo delle tue campagne pubblicitarie online, per capire cosa funziona e cosa no.

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8. La lead generation

Guidare il traffico verso il tuo sito web è fondamentale, ma convertire i visitatori in lead è il modo per far crescere il business online. Questo significa capire chi sta visitando il sito e contattarlo direttamente, in modo da poterlo convertire in cliente.

Includi il numero di telefono o l’indirizzo email della tua azienda in ogni pagina del tuo sito web.

Chiedi ai visitatori di lasciare il loro nome e indirizzo email, per restare in contatto. Questo è tutto ciò di cui hai bisogno per iniziare la conversione, e la maggior parte delle persone sono abituate a dare queste informazioni online.

Per raccogliere informazioni di contatto (sempre nel rispetto delle le linee guida del GDPR), puoi utilizzare i moduli di contatto, ossia form presenti sul sito che vengono compilati ogni qualvolta l’utente vuole porti una domanda, ha bisogno di informazioni e vuole essere ricontattato.

Puoi anche aggiungere un modulo di iscrizione alla newsletter per ricevere informazioni su prodotti e servizi, aggiornamenti, sconti, ecc. o fare un’offerta speciale per l’iscrizione alla mailing list.

Una volta ottenuti i loro indirizzi, l’email marketing ti offrirà un approccio mirato al contatto con i clienti attuali e potenziali.

9. La misurazione dei risultati

Ora che hai un sito web e dei profili sociali, oltre al know-how per guidare il traffico verso il tuo sito, coinvolgere i follwer con i contenuti e generare lead, sei in una posizione ideale per far crescere il tuo business online.

Ma come fai a valutare se sta andando tutto bene? Misurando i risultati ovviamente.

Come dicevamo, nel digital misurare i risultati è molto più semplice e ti permette di capire se hai bisogno di modificare il tuo sito, la strategia social, implementare la strategia di content marketing o la SEO.

Per sapere come sta andando poniti queste domande:

  • Quali tipi di contenuti ottengono la risposta più positiva?
  • Quando i tassi di coinvolgimento sono i più alti?
  • È il momento di provare l’adv a pagamento?
  • Quali sono i social network che sembrano funzionare meglio per la tua azienda?

In questa fase i tuoi alleati migliori saranno Google Analytics, gli insight delle piattaforme social e Google Search Console.

10. L’implementazione e la manutenzione

Un sito web non dovrebbe essere creato e poi abbandonato a se stesso. Per avere un sito web di successo e far crescere il tuo business online, dovresti sempre manutenerlo e implementarlo.

Per farlo:

  • controlla i dati della Search Console almeno una volta al mese;
  • utilizza i dati sul traffico per saperne di più sul tuo pubblico e sui contenuti più ricercati e apprezzati;
  • utilizza i dati sulle prestazioni per ottimizzare e correggere gli avvisi e gli errori;
  • assicurati che tutti i software siano sempre aggiornati;
  • esegui scansioni di sicurezza in modo da sapere se il sito è pulito da malware e non è stato violato;
  • utilizza gli A/B test per vedere se le prestazioni di un prodotto o di una pagina cambiano con piccole variazioni sulla pagina (copy diversi, tasti di colori differenti…);
  • continua a monitorare anche la concorrenza;
  • fai costanti backup del sito in modo da avere sempre una versione aggiornata conservata;
  • permetti agli utenti di fornirti feedback sul sito e sui prodotti.

10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)

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Educazione futura

Educazione e formazione: è il momento di costruire il futuro

 

  • L’anno in corso potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per il mondo della formazione 
  • Verso un modello ibrido di educazione: non per forza a distanza ma sicuramente connesso
  • Potrebbe nascere una nuova economia dell’educazione, flessibile e dinamica

a cura di Thomas Ducato

“Per costruire la scuola del futuro non bastano nuovi strumenti, serve una visione”. Titolava così un articolo a firma di Impactscool pubblicato qui, sulle pagine online di Ninja Marketing, in tempi non sospetti, nel novembre del 2019,  prima dell’emergenza Covid-19 e di lunghi mesi di lockdown, distanziamento sociale e DAD, acronimo di didattica a distanza.

Una rivoluzione, quella della scuola digitale, che sembrava lenta e lontana dal concretizzarsi e che invece, nel giro di qualche settimana, si è trasformata in una realtà inevitabile per milioni di studenti e per tutti i loro insegnanti.
Dalle lavagne alle video lezioni, dai libri ai materiali in pdf, dai compiti in classe alle interrogazioni attraverso uno schermo: i docenti di ogni ordine e grado si sono trovati, per via della pressante necessità, a dover trasformare la propria attività non sempre con una conoscenza integrata e completa sulla didattica digitale, così come senza sufficienti competenze per usare e scegliere strumenti efficaci e affidabili.
Un esperimento la cui riuscita è difficile da giudicare, troppo soggetta alle molteplici differenze che un sistema così complesso e articolato come quello scolastico ed educativo può presentare.

Ma cosa resterà di questo enorme esperimento a settembre quando, così sembra, la scuola tornerà ad essere anche un luogo in cui recarsi e non “solo” un’attività fatta di relazioni e connessioni vissute fisicamente distanti?

Se sapremo cogliere le opportunità e imparare dalla nostra esperienza degli ultimi mesi, l’anno scolastico 2019-2020 potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per tutto il mondo della formazione, non solo quella dei giovani. Da un lato non dobbiamo perdere l’occasione, dall’altro però è importante che nessuno resti indietro.

 

Rivedere l’insegnamento: verso un modello ibrido

L’incontro tra tecnologia ed educazione viene spesso definito con il termine Education Technology, o EdTech.

Questo approccio non prevede solo l’insegnamento di materie tecnologiche ma anche l’introduzione di strumenti che favoriscano l’apprendimento. Non necessariamente una didattica a distanza, dunque, ma la possibilità di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare l’insegnamento e offrire un servizio migliore agli studenti.

L’esperienza degli ultimi mesi, in questo frangente, potrebbe essere preziosa, perché ha costretto migliaia di docenti ad esplorare un nuovo modo di fare scuola anche attraverso questi sistemi digitali, che offrono nuove opportunità di collaborazione, co-creazione e progettazione.
Un tema, questo, molto caro anche a Cristina Pozzi, Ceo e Co-founder di Impactscool. “La scuola del futuro – ha dichiarato in una recente intervista – è liberamente partecipativa, aperta e situata a livello locale nel proprio contesto, ma anche in quello planetario. In un termine che va di moda possiamo dire che è “glocal”, una globalizzazione più matura, consapevole delle particolarità degli elementi che la costituiscono e in grado di creare rapporti virtuosi tra di esse”.

Una scuola che, indipendentemente dal fatto che sia a distanza o in presenza, dovrà adattarsi al suo contesto di riferimento ed essere (inter)connessa. “Qualunque sia la distanza fisica staremo insieme – spiega Pozzi – Gli strumenti digitali amplificano e massimizzano la capacità di collaborare. Credo nel mix tra le due cose: off line e on line. Possiamo usare gli strumenti digitali anche seduti uno a fianco all’altro e ottenerne grandi vantaggi se li utilizziamo al meglio.  L’allenamento fatto con la didattica a distanza potrebbe spingerci a velocizzare l’introduzione di giochi e metodi collaborativi che migliorano l’apprendimento (anche in presenza), nonché l’attenzione dei ragazzi, la motivazione e l’interesse”.

 

Imparare è un gioco da ragazzi (e non solo)

Il cuore della rivoluzione risiede proprio nelle metodologie didattiche, che devono adattarsi alle nuove esigenze di un pubblico, quello degli studenti, sempre più condizionato da una grande varietà di stimoli. Il mondo dell’intrattenimento, dai giochi al cinema e serie TV, rappresenta un settore importante da esplorare e sfruttare per avvicinare le nuove generazioni a cultura e apprendimento.

Ne abbiamo parlato con Massimiliano Tarantino, direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e responsabile della comunicazione istituzionale del gruppo Feltrinelli.
“La cultura – ci ha detto – deve reinventarsi per continuare ad aggiornare la sua utilità”. Non tutti, però, sono dello stesso avviso. “Nel mondo culturale – ha proseguito – c’è chi tende a derubricare il mondo delle serie TV, dei canali a pagamento, del mondo dei videogiochi o del gaming in generale come veicolo di cultura e di contenuto. Io credo siano strumenti straordinari e grandi opportunità di lavoro per tutti i soggetti coinvolti. Farsi una cultura, ottenere una laurea, avere un percorso serio, organico e solido nei campi delle science o delle humanities e poi trasformali in prodotti dell’entertainment, traducendo e trasformando i linguaggi con i quali entriamo in contatto con i pubblici, è il vero futuro dell’editoria. Significa conoscere e scegliere contenuto e avere il know how per padroneggiare le tecniche che ci consentano di trasformare questo contenuto in un prodotto in grado di garantire ingaggio di pubblico”.

Strumenti e metodi, questi, che possono essere particolarmente efficaci anche nei contesti aziendali o, in generale, per un pubblico adulto e che ben si sposano con la necessità di formazione continua che si sta delineando nel mondo del lavoro.

 

Reskilling e formazione continua: come impareranno i “grandi”?

Secondo le stime dell’OCSE, più di 1 miliardo di posti di lavoro, quasi un terzo del totale globale, saranno trasformati dalla tecnologia nel prossimo decennio. Il World Economic Forum stima che entro il 2022 saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro nelle principali economie per soddisfare le esigenze della quarta rivoluzione industriale. Due dati che esprimono in modo chiaro la necessità da parte dei lavoratori di aggiornare le proprie conoscenze e competenze, in quello che in inglese viene definito Reskilling e che si concretizza attraverso una formazione continua da parte dell’individuo nel corso della sua vita.

Come far convivere, però, questa formazione con il lavoro e la vita personale?

La strada da percorrere è quella di un’educazione sempre più flessibile e su misura, in grado di adattarsi alle esigenze di apprendimento e di tempo dei singoli individui.

 

Verso una gig economy della formazione?

Abbiamo conosciuto il termine gig economy con i fattorini della consegna a domicilio o gli autisti di servizi come Uber. Si tratta di una delle nuove forme di lavoro, gestito da piattaforme digitali attraverso l’attività di freelance. Un modello che si è imposto per attività ripetibili, standardizzate, facilmente controllabili e misurabili, mentre fatica a farsi largo, nonostante i costi molto più bassi, in altri ambienti e contesti come il mondo della conoscenza. Ma oggi qualcosa potrebbe cambiare, non grazie a una nuova tecnologia ma per il cambio di paradigma imposto dalla pandemia. Un modello, quella della gig economy del sapere, che sembra difficile possa applicarsi in modo trasversale al mondo accademico o della formazione tradizionale, ma la cui flessibilità ben si sposa con le necessità di formazione extracurricolare degli studenti (come per le ripetizioni), lo studio delle lingue, l’aggiornamento professionale o di competenze dei dipendenti.

 

Educazione e formazione del futuro devono iniziare da oggi

Siamo di fronte a un passaggio epocale: ci sarà un “prima” e un “dopo” Covid-19 ed è il momento perfetto per iniziare a costruire il futuro. Questi mesi ci lasciano un’eredità, che è importante custodire e utilizzare per porre solide basi alla realtà che vogliamo creare. Il mondo dell’educazione non fa eccezione in questo senso.

Dobbiamo capire cosa ha funzionato della didattica a distanza, ma soprattutto gli errori commessi e da non ripetere: le scelte che prendiamo da oggi devono essere funzionali alla costruzione del sistema educativo che verrà. “La scuola del futuro non sarà già attiva a settembre, ma con una visione chiara nel lungo termine, ogni azione e cambiamento che faremo sarà un passo verso la sua realizzazione”, ha concluso Cristina Pozzi.

Alcune sfide, come abbiamo visto, sono sul fronte didattico e metodologico, altre, invece, sul piano tecnico e di infrastruttura: l’obiettivo imprescindibile è quello di garantire l’accesso alla formazione, da un lato supportando le famiglie per la dotazione di pc e tablet, dall’altra costruendo un’infrastruttura di banda ultralarga che porti la rete veloce su tutto il territorio nazionale, offrendo così a tutti gli studenti quella connettività base che rischia altrimenti di diventare discriminatoria.

La formazione del futuro inizia oggi.

apple wwdc 2020 privacy

La guerra di Apple sulla privacy dal WWDC 2020

  • Alla WWDC 2020 Apple ha fatto vari annunci interessanti, tra cui spiccano quelli in tema di privacy.
  • I principali combattimenti di questa “guerra” si svolgeranno su estensioni, cookies e app.
  • Insieme ad altri recenti avvenimenti, le scelte di Apple in fatto di privacy sembrano preludere a un possibile cambio di rotta obbligato nel settore.

 

Si sa, Apple ogni anno delizia i suoi appassionati con qualche novità durante il WWDC. Dalle più grandi innovazioni della Mela Morsicata ai più piccoli aggiornamenti dei suoi iconici prodotti e servizi, questo è l’evento durante il quale tutto viene svelato. E anche quest’anno non è stato da meno.

L’evento aveva già iniziato a far parlare di sé per due principali motivi: perché sarebbe stato per la prima volta interamente online e della durata di una settimana; e per il vociferato divorzio da Intel in favore di processori ARM personalizzati.

Ma tra piccoli miglioramenti e lievi novità, c’è un’altra piccola bomba che l’azienda di Cupertino ha sganciato e che è passata un po’ più in sordina.

LEGGI ANCHE: Ecco cosa ha annunciato ieri Apple durante la WWDC

wwdc privacy apple

Apple e la Privacy: una lunga storia d’amore

Sì perché Apple sta iniziando a tirare fuori gli artigli per quanto riguarda un argomento dove praticamente non ha rivali, ovvero la Privacy.

Al contrario della maggior parte delle altre Big del tech, ha fatto del suo cavallo di battaglia la scelta di non fare business con i dati degli utenti.

Aziende come Google ci hanno abituato ad avere tutto “gratis”, ma questa assenza di scambio di denaro si trasforma semplicemente in una diversa modalità per monetizzare, ovvero attraverso i nostri dati, che vengono ceduti sotto forma di informazioni aggregate agli inserzionisti per fare un marketing maggiormente personalizzato.

La scelta di Apple è sempre stata invece quella di vendere solo hardware e software, spesso e volentieri anche a caro prezzo, ma garantendo che, a detta loro, la nostra privacy è tutelata.

Già da tempo Apple ci aveva abituati a questa direzione, ad esempio per il TouchID e il FaceID adotta un chip dedicato per l’autenticazione dell’utente che Apple garantisce essere totalmente protetto.

Addirittura ci dice che a tali informazioni non può accedere neanche il sistema operativo, né tantomeno app esterne; inoltre tali dati non vengono mai caricati sul Cloud.

Apple ha persino reso sicuro l’utilizzo di applicazioni in Cloud come Siri: infatti ogni volta che facciamo una richiesta all’assistente virtuale, la richiesta arriva al server con una chiave identificativa generata casualmente, per fare in modo che le nostre richieste non vengano in nessun modo associate con il nostro dispositivo o con la persona che le ha fatte.

Android viceversa, essendo un sistema operativo molto più aperto e modificabile, può in linea teorica presentare maggiori problemi di sicurezza; dal momento che spesso gli forniamo tutte le nostre informazioni più importanti, come le nostre impronte digitali, ecco che si comprende facilmente perché qualcuno come Apple scateni una vera e propria guerra sul tema della privacy.

WWDC apple 2020

Ma cosa ha annunciato Apple alla WWDC 2020 di così interessante per continuare la sua battaglia?

Ebbene, con l’arrivo del nuovo macOS arriverà anche un aggiornamento di Safari con tante novità legate alla privacy, tra le più importanti quelle sulle estensioni e i cookies.

Gli annunci sulla privacy del nuovo MacOS alla Worldwide Developer Conference 2020

Tante le piccole, grandi novità per tutelare i dati degli utenti Apple, che in maniera nemmeno troppo velata “attacca” direttamente i suoi competitor meno sensibili a questo argomento.

La possibilità di condividere dati relativi alla posizione approssimati invece che precisi; notifiche nella barra di stato se un’applicazione dovesse far uso della fotocamera o del microfono; l’elaborazione dei dati quanto più possibile nel dispositivo, invece che nel Cloud o inviandole a terzi.

Ma tra le novità più sostanziali, e che avranno un maggiore impatto sugli stakeholders allargati di Apple, ci sono soprattutto quelle legate a Safari e all’Apple Store.

Le estensioni nel nuovo Safari

Nei browser attuali, per esempio Chrome, possiamo accedere ad una vastità di estensioni per “ampliare” e personalizzare la nostra esperienza di navigazione, per la maggior parte gratuite.

Ma quale può essere il problema legato a queste “aggiunte“? Che una volta che un’estensione viene installata, può accedere a tutte le pagine su cui navighiamo in maniera indiscriminata, e questo potrebbe essere un rischio soprattutto se scegliamo estensioni non sicure e poi inseriamo dati sensibili da qualche parte.

Apple ha deciso di tagliare la testa al toro dando all’utente la possibilità di decidere a quali pagine una data estensione può accedere e per quanto tempo.

Ora quindi le estensioni sui dispositivi Apple saranno molto più limitate e starà a noi utenti decidere come e quando utilizzarle.

I Cookie di Safari

Altro grande “nemico” di Apple, la Mela aveva già dichiarato guerra ai cookies: quest’anno aveva introdotto il “Safari Intelligent Tracking Prevention”, ovvero un meccanismo che rende molto più difficile ai cookies tenere traccia di cosa visita l’utente.

In questo modo, quando cerchi una lavatrice da comprare, Apple voleva evitare che ti trovassi circondato di pubblicità di lavatrici per i successivi 10 giorni.

Con l’ultimo aggiornamento Apple ha deciso di mettere ancora di più sotto i riflettori i cookie.

Infatti, ha introdotto un nuovo pulsante che ti permette di vedere quali di essi sono stati bloccati in una data pagina.

E visto che Apple sembra bloccare in maniera indiscriminata la maggior parte dei cookies, compresi quelli di Google Analytics, questo potrebbe rivelarsi un problema crescente per tutte quelle aziende che li utilizzano per la pubblicità tracciando il comportamento dell’utente;

ma anche e soprattutto per Google stesso, che vede ridotta la propria “affidabilità” agli occhi degli inserzionisti.

Apple store e privacy

Apple non ci va leggera neanche con le app, e gli sviluppatori staranno sudando freddo in questi giorni che seguono gli annunci da Cupertino. Infatti adesso tutte le App pubblicate sullo Store dovranno avere una Privacy Policy molto chiara e rispettare regole ferree.

Queste informazioni tra l’altro dovranno essere messe ben in evidenza per gli utenti: per farlo, al momento del download verrà mostrata una sorta di “tabella nutrizionale” che contiene un accurato elenco di ciò a cui l’app avrà accesso una volta installata.

app apple privacy wwdc 2020

Ma non solo, Apple imporrà anche agli sviluppatori ad integrare nelle app il “Sign In With Apple, modalità di registrazione che, a differenza degli altri servizi di Login come Google o Facebook, non permette di catturare gli indirizzi e-mail degli utenti o altri dati.

Insomma, chi sviluppa app si dovrà adeguare alle nuove regole di Apple per la privacy degli utenti.

Marco Mignano di Rough Code Studio commenta: La pubblicazione di app sullo store di Apple è sempre più rigida, gli standard sono alti, non solo l’app deve avere certi standard di qualità e performance, ma ora l’attenzione sulla privacy si fa sempre più pressante; per questo noi sviluppatori dovremo fare molta attenzione alle scelte fatte in fase di progettazione, pena la non pubblicazione sullo store di Apple.

LEGGI ANCHE: Privacy: le future possibilità di Facebook che potrebbero spaventarti

Chi vincerà la guerra per la privacy? E a scapito di chi?

Probabilmente questa è una guerra che Apple ha già vinto in partenza, in quanto l’unica ad aver impostato il suo modello di business non sui dati degli utenti ma sulla sola vendita di hardware e software.

Scelta opposta a quella fatta da concorrenti come Google, che danno tutto gratis, dai motori di ricerca alle mappe, dai documenti online fino addirittura al sistema operativo mobile. A patto però di poter utilizzare i dati che per la pubblicità che poi ci propongono.

Una differenza di forma più che di sostanza? Forse.
Anche se oggi sempre più persone si mostrano sensibili al problema della privacy, come ha dimostrato il caso dell’app Immuni: molte persone hanno addirittura finito per annunciare su Facebook (paradossalmente) la scelta di non utilizzarla a causa di dubbi legati all’uso dei dati.

Ma quello della privacy, oltre ai motivi visti sopra legati alla sicurezza, è un tema caldo perché effettivamente garantisce la supremazia e il “monopolio” dei giganti del web, che in pratica mettono una barriera di prezzo all’ingresso enorme per qualunque altro competitor che voglia provare a fare loro concorrenza.

Ma forse c’è qualcosa di più: con sconcertante tempismo, infatti, il 18 giugno il Parlamento Europeo ha votato a grande maggioranza un provvedimento che vieta la pubblicità personalizzata su internet, ovvero la principale merce di scambio per i dati degli utenti online.

Insieme alle scelte di Apple per il futuro, e alla famosa e dibattuta frase pronunciata da Mark Zuckerberg ormai più di un anno fa, “the future is private, sembra che i paradigmi della tecnologia e del marketing siano pronti a ricevere una bella scossa…sarà forse l’anno del cambiamento, anche su questo fronte?

Fondo Nazionale Innovazione, presentato il Piano Industriale 2020-2022

  • Assegnate risorse per 1 miliardo di euro, con quattro fondi già attivi e ulteriori due in avvio per favorire l’innovazione.
  • Deliberati investimenti per oltre 100 milioni di euro nei quattro mesi dall’avvio della SGR che avranno un impatto su circa 160 startup.

 

Il Consiglio Amministrazione di CDP Venture Capital, presieduto da Francesca
Bria, ha approvato il Piano Industriale 2020-2022 “Dall’Italia per innovare l’Italia” presentato dall’amministratore delegato e direttore generale Enrico Resmini.

Nel prossimo triennio, l’obiettivo è di rendere il Venture Capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese investendo rapidamente e in modo efficace i capitali assegnati e creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’intero ecosistema.

francesca brina fondo nazionale innovazione

I fondi per l’innovazione

La dotazione dei fondi della SGR è di circa 1 miliardo di euro (di cui circa 800 milioni di euro già sottoscritti), grazie alle risorse allocate pariteticamente dal Governo – in particolare dal Ministero dello Sviluppo Economico – e dal Gruppo CDP (attraverso la sua controllata CDP Equity).

Ad oggi la sottoscrizione è prossima a raggiungere circa 800 milioni di euro, di cui 260 milioni di euro attraverso il Fondo di co-investimento Mise (dotazione target pari a 310 milioni di euro), che co-investirà sistematicamente con i fondi gestiti da CDP Venture Capital.

Quattro i fondi già attivi, con un equilibrato mix di investimenti diretti e indiretti:

  1. Fondo Italia Venture I: operativo dal 2015, investe in start up e PMI innovative in Italia. Opera principalmente nei settori digitale, biotech, medicale e high tech. Ha una dotazione pari a 80 milioni di euro e attualmente gestisce un portafoglio di 20 aziende in fase growth.
  2. Fondo Italia Venture II – Fondo Imprese Sud: il fondo ha l’obiettivo di accelerare la competitività e lo sviluppo di start up e PMI innovative nel Mezzogiorno. Investe in tutte le fasi del ciclo di vita di un’impresa, dal seed al growth/expansion. Dispone di una dotazione di 150 milioni di euro.
  3. Fondo di Fondi VenturItaly: investe in fondi di Venture Capital, inclusi first time team/first time fund, allo scopo di generare nuovi operatori sul mercato e nuovi team all’interno di gestori già attivi sul mercato, nonché supportare i fondi successivi di gestori esistenti. Ha una dotazione di 300 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e dal fondo di co-investimento MISE).
  4. Fondo Acceleratori: il fondo, diventato operativo a fine maggio 2020, ha lo scopo di aiutare la creazione e/o lo sviluppo di programmi di accelerazione verticali su settori strategici, investendo nelle start up che partecipano ai programmi supportati dal Fondo. Il fondo interverrà, in modo diretto e indiretto, per dare sostegno finanziario e/o manageriale a favore di acceleratori di impresa e di startup innovative ad alto contenuto tecnologico, operanti in settori ad elevato potenziale di crescita. Il Fondo ha una dotazione iniziale di 125 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e attraverso le risorse del fondo di co-investimento MISE).

LEGGI ANCHE: Fondo Nazionale Innovazione, si parte. CDP ha designato il vertice

Nei prossimi mesi CDP Venture Capital lancerà, inoltre, due nuovi fondi:

  • il Fondo Corporate Venture Capital, che coinvolgerà direttamente come Limited Partners alcune tra le principali aziende partecipate dal Gruppo CDP e che investirà direttamente in start up focalizzate su alcuni degli ambiti strategici del Paese. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Il Fondo Tech Transfer, con l’obiettivo di supportare la filiera del trasferimento tecnologico mediante il co-investimento selettivo nelle start up più promettenti e l’investimento in fondi verticali specializzati. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
  • Nei primi mesi del 2021, è previsto, infine, il lancio del Fondo Late Stage, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, con lo scopo di sostenere direttamente le start up già in fase “matura” che necessitino di capitali per ulteriore consolidamento ed espansione sui mercati internazionali, contribuendo così allo sviluppo di aziende ad alto contenuto tecnologico, con potenziale prospettico anche per la grande industria.

Complessivamente la SGR ha oggi in valutazione una pipeline di oltre 200 opportunità e conta di deliberare, complessivamente, investimenti per oltre 250 milioni di euro entro la fine del 2020.

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fondo nazionale innovazione

Cosa è stato già fatto per l’innovazione in Italia

Da febbraio 2020 sono state approvate e sono in corso nuove importanti iniziative che portano ad oltre 100 milioni di euro il totale degli investimenti deliberati – che avranno un impatto sulla vita di circa 160 startup – e che includono alcune azioni di sostegno nate dalla situazione di emergenza Covid-19 e dalla conseguente forte difficoltà nell’ecosistema start up:

  • AccelerORA: intende finanziare, entro settembre 2020, prevalentemente start up in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro, tramite il Fondo Acceleratori per un ammontare complessivo fino a circa 9 milioni di euro.
  • Seed al Sud: mira a finanziare, sempre entro settembre 2020, start up basate al Sud Italia in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro tramite il Fondo Italia Venture II, per un ammontare complessivo fino a 6 milioni di euro.
  • ItaliaXStartup: Web Series settimanali per favorire la condivisione di esperienze di start up che stanno affrontando la fase CoVid-19 e per creare opportunità di business/investimento su specifiche filiere.

Da oggi sono inoltre disponibili il sito web e la pagina LinkedIn di CDP Venture Capital che riporteranno le principali attività e iniziative della SGR.

whatsapp pay

Il Brasile sospende WhatsApp Pay (e i sogni di gloria di Facebook)

Il Brasile, il secondo mercato per importanza per WhatsApp, ha sospeso il servizio di pagamento mobile dell’applicazione di messaggistica istantanea nel paese una settimana dopo il suo lancio.

In una dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha dichiarato di aver preso la decisione di “preservare un ambiente competitivo adeguato” nello spazio dei pagamenti mobili e di garantire “il funzionamento di un sistema di pagamento che sia intercambiabile, veloce, sicuro, trasparente, aperto ed economico”.

Le banche del Paese hanno chiesto a Mastercard e Visa, che sono tra i partner di pagamento di WhatsApp in Brasile, di sospendere il trasferimento di denaro sull’applicazione. Il mancato rispetto dell’ordine comporterebbe per le società di pagamento l’applicazione di multe e sanzioni amministrative.

Nella sua dichiarazione, la banca centrale brasiliana ha suggerito di non aver avuto la possibilità di analizzare il servizio di pagamento di WhatsApp prima del suo lancio.

LEGGI ANCHE: Pagamenti digitali: Zuckerberg lancia Facebook Pay. No, non è Libra

whatsapp pay

La battuta di arresto per WhatsApp Pay

L’annuncio di martedì è l’ultima battuta d’arresto per Facebook, che ha iniziato a testare WhatsApp Pay in India due anni fa e non ha ancora ricevuto l’approvazione normativa per espandere il servizio di pagamento a livello nazionale.

Oltre all’India, che è il più grande mercato per l’app, WhatsApp sta testando Pay anche in Messico.

L’azienda ha lanciato il suo servizio di pagamento mobile in Brasile la scorsa settimana. È stata la prima volta che WhatsApp è stata in grado di condurre un rollout del proprio servizio di pagamento a livello nazionale.

Il servizio consente agli utenti di scambiare denaro tra loro e di pagare anche le aziende, senza commissioni per gli utenti nell’invio o nella ricezione di denaro, mentre per le aziende è prevista una commissione di elaborazione del 3,99% per ricevere i pagamenti.

Non è chiaro se WhatsApp, Mastercard e Visa abbiano già recepito l’avviso della banca centrale brasiliana. Il richiamo però costituisce un precedente che il social non può ignorare nei suoi progetti di espansione del servizio.

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Investire su sostenibilità e responsabilità sociale oggi è ancora più importante per i brand

  • Il Covid-19 ha insegnato ai brand una necessaria modifica delle strategie di produzione e comunicazione.
  • La solidarietà globale ha creato aspettative più alte anche per la sostenibilità.

 

La pandemia di Coronavirus ha spinto aziende e governi a mobilitarsi rapidamente per qualcosa che non è mai accaduto prima: fronteggiare in tempi rapidissimi un’emergenza sanitaria, economica e sociale che non ha eguali nella società moderna, con chiusure di negozi e ordini a domicilio che si protraggono da mesi.

Alcuni analisti ritengono che la risposta alla crisi sia una sorta di anteprima di come la società potrebbe affrontare il peggioramento dei cambiamenti climatici, anche se questo non è un pensiero prioritario per i consumatori.

L’altro lato della medaglia: un mondo sostenibile

Per gli esperti di marketing, i cambiamenti climatici e la sostenibilità dovrebbero essere al centro dell’attenzione sia per costruire la fiducia dei clienti durante un periodo di profonda incertezza, sia per proteggersi da future catastrofi ambientali legate sicuramente all’inquinamento.

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Guardando l’altro lato della medaglia la diminuzione dell’impatto nocivo ambientale e il ritorno in città degli animali selvatici hanno fatto sì che la pandemia in realtà creasse l’opportunità di orientarsi più rapidamente verso strategie orientate alla sostenibilità.

Con la pandemia sono emersi effetti positivi sull’ambiente. Alcune analisi di Axios prevedono un calo fino al 6% su base annua delle emissioni globali di CO2 per il 2020.

Prima, il tema sostenibilità era molto vicino ai giovani Millennial e della Gen Z, il Coronavirus sembra abbia allargato il raggio di interesse a tutti i gruppi demografici.

È quindi questo il momento propizio per i brand di creare un impatto comunicativo forte, strettamente legato alla sostenibilità. I marchi hanno concretamente l’opportunità di essere parte di un cambiamento forte per la comunità e i consumatori.

Raramente c’è una causa che risuona così profondamente con così tante persone contemporaneamente.

ha affermato Julia Wilson, vicepresidente responsabile della sostenibilità di Nielsen.

Investire nella sostenibilità e nella responsabilità sociale è un buon business

I marketers potrebbero fare un passo in avanti investendo nella sostenibilità, nonostante le pressioni economiche della pandemia. Una ricerca congiunta condotta tra lo Stern Center for Sustainable Business e l’IRI della NYU, ha rilevato che i prodotti sostenibili commercializzati sono stati responsabili del 50% della crescita del mercato tra i prodotti confezionati tra il 2013-2018.

Pre-pandemia, secondo i dati di Nielsen c’era anche un tasso di crescita dell’8% per gli attributi o le rivendicazioni dei prodotti di responsabilità sociale.

Al momento non è chiaro se aree come i prodotti sostenibili torneranno a quei livelli nei prossimi mesi, ma è possibile che l’interesse potrebbe effettivamente essere più alto di prima.

Se i brand contribuissero davvero al bene pubblico e si assumessero la responsabilità di una risposta concreta al benessere del pianeta, potremmo ipotizzare un futuro diverso.

sostenibilità brand

Per esempio, se l’incremento di utilizzo di biciclette in Italia (dovuto a diversi fattori come il bonus del Governo o la necessità di non utilizzare l’auto o i mezzi pubblici sovraffollati) cambierà la percezione delle necessità dei singoli e di conseguenza della comunità, in quel caso staremo compiendo un primo passo importante.

Il marketing del futuro potrebbe essere autentico

Riuscite a immaginarlo? Potrebbe realmente raccontare i valori migliori di un brand, contribuire al contenimento dell’inquinamento, garantire diritti equi dei lavoratori e sbandierare con orgoglio ogni passaggio della catena produttiva.

La pandemia ha provocato una solidarietà globale mai vissuta in precedenza: il malessere e le mancanze sanitarie ed economiche hanno rafforzato la necessità di condivisone dei diritti, di cui probabilmente in precedenza non ci preoccupavamo troppo.

LEGGI ANCHE: Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

sostenibilità brand

Il comportamento dei consumatori sta cambiando

Un recente studio di Accenture ha suggerito che le abitudini di acquisto dei consumatori potrebbero essere modificate dalla pandemia e che il “consumo etico” è in aumento. Il 45% degli intervistati ha riferito di fare scelte più sostenibili e probabilmente continuerà a farlo in futuro.

“L’ampiezza dei cambiamenti identificati nei nostri risultati suggerisce chiaramente che si tratta di un cambiamento a lungo termine“, ha dichiarato Oliver Wright, Ad di Accenture, “Mentre osserviamo queste tendenze da un po’ di tempo, ciò che sorprende è il ritmo: comprimere in settimane i cambiamenti che probabilmente avrebbero richiesto anni“.

Allo stesso tempo, le aspettative dei consumatori riguardo alla sostenibilità saranno probabilmente più alte di prima. È come se la pandemia avesse ribaltato totalmente le aspettative dei consumatori, rendendo tutto possibile. Di conseguenza i brand se non vorranno perdere in termini di credibilità dovranno adattarsi.

LEGGI ANCHE: 5 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione

Brand Activism

Il futuro deve essere sostenibile

Il continuo e prolungato degrado ambientale, tra cui la deforestazione, l’estrazione mineraria dilagante, lo sfruttamento intensivo dei terreni, renderà le pandemie più frequenti e più dannose per l’economia futura. Ignorare tutto questo, oggi, significherebbe pagarne conseguenze disastrose in futuro. I consumatori cercheranno qualità e longevità e ridefiniranno il rapporto con gli acquisti. Il cambiamento dovrà essere rapidissimo.

I consumatori hanno modificato alcune abitudini di acquisto durante il lockdown, favorendo il km zero, le botteghe di quartiere e le aziende agricole, ove presenti, in prossimità.

Alcuni colossi hanno già annunciato i primi cambiamenti come la sostituzione di bicchieri di plastica con quelli di carta e confezioni per cibo da asporto riciclabili ed ecosostenibili.

Altre categorie, incluso il settore della vendita al dettaglio gravemente compromesso, potrebbero dover esaminare più attentamente le opzioni di prodotti riciclabili o riutilizzabili.

Starbucks

La roadmap e il mindset per reinventare la tua Customer Experience

  • Siamo entrati nella fase 3: perché nessuno compra?
  • La Customer Experience come asset per fare riemergere il business
  • Tre traiettorie dove orientare gli sforzi di marketing e business

Siamo entrati da qualche settimana nella fase 3, ma aziende e business faticano ad accorgersene. Si chiama ‘Effetto Caverna’ e può essere riassunto così: in queste condizioni e dopo 3 mesi di stanziamento domestico, chi ha più voglia di rimettere la testa fuori casa?

E così, soprattutto in Europa, mentre ci sarebbe gran bisogno di spendere e tornare (con senno e nel rispetto delle regole) a uscire e consumare per fare ripartire l’economia, noi fatichiamo. Se aggiungiamo poi i timori del futuro imminente, il pranzo è servito.

E allora, cosa possiamo fare come marketer, imprenditori, consulenti e business strategist? La risposta finora ha un nome, ho meglio un acronimo: CX, ovvero Customer Experience. Tutto, o almeno la maggior parte, sta lì. Se le crisi sono gravi ma offrono tante opportunità ai pensatori laterali, comprendere per davvero cosa vogliono i consumatori e come deliziare le persone oggi – qualcosa di molto diverso rispetto a 3 mesi fa – è decisivo.

Cosa significa Customer Experience e perché oggi più che mai è decisiva

Partiamo dai fondamentali, ovvero da cosa significa CX.

Per Customer Experience intendiamo le reazioni emotive che i nostri utenti hanno quando entrano in contatto con noi attraverso una comunicazione, un’interazione, un touchpoint, …

Dunque, il focus della CX è sull’output, sul risultato concreto. Da sempre, sulla stessa Customer Experience aleggiano miti e leggende, già in una ricerca di alcuni anni fa, SAS e Harvard Business Review sottolineavano numeri contraddittori:

  • il 53% degli executive intervistati valutava la CX una leva di vantaggio competitivo;
  • di conseguenza, il 45% considerava la gestione della CX una priorità strategica;
  • nonostante tutto, la stessa percentuale (45%) valutava difficile misurarne il ROI.

Oltre a queste statistiche sfidanti, capiamo un altro motivo per cui oggi, rispetto alla CX, è davvero il tempo di passare dal dire al fare. Perché è cambiato tutto!

  1. I consumatori sono sul divano;
  2. Anche se possono muoversi, valutano questa opzione ancora poco conveniente;
  3. Amazon ha scardinato tanti indecisi digitali, facendo capire loro che con 2 soli click possono avere a casa e il giorno dopo (quasi) tutto ciò che serve;
  4. [Potrei continuare con decine di altre motivazioni…]

Una notizia positiva, è che il consumatore comunque non è sparito; come citato nel punto uno, è ‘semplicemente’ a casa e vuole buoni motivi per spostarsi dalla conca del divano che si è comodamente creato in queste settimane di remote working e social distancing. Dopo le settimane dell’empatia digitale, dove tutte le ricerche – in primis, quella di McKinsey legata a come declinare la Customer Experience al tempo del Coronavirus – erano concordi sulla necessità di rimanere digitalmente vicini ai clienti, dobbiamo adesso passare all’azione.

Tre stimoli di Customer Experience a prova di Covid-19

Ne abbiamo sentiti tanti, forse troppi: webinar, consigli, white paper, ricerche più o meno solide contenenti le linee guida per reinventare il dialogo con i customer.

Ma poi, cosa funziona davvero? Da tutto questo mare magnum di stimoli e contenuti, ti riporto tre pensieri su cui consiglio di ragionare e iniziare a lavorare.

Pensa poli-canale, non (più) omni-canale

Ivan OrtenziChief Innovation Evangelist del Gruppo BIP – ha provato a tracciare una nuova architettura dell’esperienza. Tra gli stimoli, uno mi sembra particolarmente efficace: almeno per un po’ di tempo, sarà difficile pensare omni-canale.

Se per anni abbiamo disegnato e progettato con il cliente al centro, semplicemente adesso il cliente al centro non vuole stare. Ha paura, preferisce mettersi di lato o non esserci proprio. Alcuni canali, dunque, saranno molto meno efficaci rispetto a prima: uno tra tutti lo store fisico. Il suo suggerimento è di pensare invece poli-canale, dando la precedenza ad alcuni touch-point rispetto ad altri.

Tieni comunque il mindset omni-canale nel tuo cassetto in ufficio: tornerà, tornerà. ?

Ripensa gli spazi

A proposito di precedenze, è indubbio che gli spazi fisici stanno soffrendo. Già soffrivano in parte prima del Coronavirus, ora fanno proprio fatica a riemergere. Non parlo solo del +400% che ha segnato l’eCommerce nelle ultime settimane: come anticipato le persone hanno paura, temono il contatto diretto, e in generale non vivono una bella esperienza in store con tutta quell’amuchina e quei guanti.

L’ultima trimestrale Inditex – il gruppo di Zara, per intenderci – non lascia spazio a dubbi ed è ben analizzata sul suo blog da Romano Cappellari, Professore di Marketing e Retailing: saranno chiusi nel triennio 1.000-1.200 punti vendita (il 13-16% della rete attuale e il 10-12% della superficie complessiva), ma nonostante queste chiusure la superficie complessiva della rete fisica è destinata a crescere del 2,5% annuo per effetto di 450 nuove aperture. Saranno negozi più grandi, più belli, più sostenibili e in grado di offrire una migliore Customer experience completamente integrata con l’esperienza online.

Già, l’online… non pensare che anche gli spazi digitali non debbano essere rivisitati. Come ho avuto modo di sottolineare in un recente articolo pubblicato sul mio blog, qualsiasi trasformazione digitale deve partire dai disobbedienti. Troppo spesso progettiamo per noi, o anche solo per una personas ‘media’: di ceto medio, di consapevolezza digitale media, e così via. Dobbiamo invece progettare per coloro che di digitale non capiscono molto, che fanno fatica ad avvicinarsi per via delle paure che solo il nome mette. La UI di Amazon è brutta, diciamocelo. Ma funziona benissimo. Pensa a spazi digitali a prova di… chiunque.

Rispetta il cliente

Una banalità, vero?

Quello del(la) cliente al centro è un grande mantra, che ogni tanto si perde in moda o in semplice linguaggio. Basta dire ‘Customer Centricity’ e pouf, ci sentiamo in pace verso il customer: stiamo facendo la cosa giusta, qualunque cosa sia. Tale dinamica ci fa perdere il contatto reale con le persone. Altre volte, il troppo successo ci rende sbruffoni e poco rispettosi, quasi come di così tanti clienti non ne avessimo bisogno. Quante volte abbiamo dovuto fare la fila, al caldo, per entrare in un posto? E quante volte abbiamo avuto a che fare con un front office poco cortese? Tutti abbiamo notato il cambio di orientamento della forza vendita nel post Covid-19: grandi saluti, grandi cerimoniali, grandi sorrisi (nascosti dalla mascherina, ma l’occhio non mente). Il problema, è che questo dovrebbe essere lo standard!

Approfitta di queste settimane per fare formazione di Customer Centricity ai sales assistant e a tutte le persone che si interfacciano giornalmente con gli utenti: è una buona occasione per allacciare i rapporti con clientela nuova, o per riscoprire un ‘pezzo’ di customer base che se ne stava lì, dormiente.

Magari seguendo casi eccellenti come Gucci, che ha nella boutique Gucci Wooster di New York ha sperimentato un nuovo modello di vendita attivando i Gucci Connectors. I visitatori sono infatti accolti da questo gruppo di ambasciatori della marca, il cui scopo sarà quello di coinvolgere i clienti nel brand storytelling. Il loro scopo? Non è solo la vendita, ma piuttosto la creazione di un legame profondo fra Gucci e il cliente.

Il rispetto del(la) cliente passa anche però da tutte le variabili che compongono il prodotto, prezzo compreso. L’economia ci insegna che il rapporto tra il prezzo di un servizio e il suo costo determina il markup che desideriamo ottenere. La riorganizzazione degli spazi, dei servizi e di molto altro che Covid-19 ha reso necessaria ha comportato per tutti investimenti più o meno ingenti, certamente sostanziosi. Diversi giornali hanno riportato una presunta tassa Covid-19 che alcuni commercianti e imprenditori hanno esplicitamente incluso nello scontrino mostrato al cliente finale.

Mi trovo ancora una volta pienamente d’accordo con l’analisi di Romano Cappellari: se certamente le spese ci sono state a discapito dell’efficienza e dei margini, considerare i costi il principale riferimento per determinare il prezzo è sbagliato. Il cliente oggi compra la maggior parte dei prodotti e dei servizi perché vuole sentirsi coccolato, servito, e desidera vivere un’esperienza. Paga volentieri per questo motivo; considera invece implicito che il prezzo copra anche il fatto che vengano adottate tutte le precauzioni e le norme attualmente in vigore per la migliore igiene, qualunque esse siano e qualunque cosa esse comportino.

In effetti, è anche generalmente poco interessato a capire che impatto abbiano tali precauzioni sui costi di chi gli fornisce il servizio. Evita dunque di mostrare la tassa Covid-19 e concentrati al contrario su come incrementare il valore percepito dell’offerta attraverso l’esperienza più opportuna: se il cliente è disposto già a pagare 40 Euro per un servizio completo, forse puoi proporgli un’esperienza ancora più ricca capace di inglobare implicitamente i costi sostenuti? Così facendo, tra l’altro, quando in futuro i protocolli di sicurezza consentiranno di tornare a una maggiore efficienza potrai anche godere di un incremento del markup.

Facebook Shop

Facebook Shops: come funziona nel dettaglio la nuova opzione per vendere online

  • Finalmente è arrivata la possibilità di aprire il proprio eCommerce sui social media.
  • Facebook Shops è una super novità facile da attivare, gratuita, intuitiva e che ci aspettiamo porti un’evoluzione nel mondo del social commerce.

 

È stato annunciato in una diretta Facebook da Mark Zuckerberg a metà maggio e non è ancora attivo in Italia, ma manca veramente pochissimo… Oggi vediamo nel dettaglio Facebook Shops.

LEGGI ANCHE: Arriva Facebook Shops, per creare eCommerce direttamente sul social

Facebook Shop

Che cos’è Facebook Shops e perché sarà utile

Facebook in questo periodo di pandemia ha pensato soprattutto a strumenti per piccoli business e attività locali che possono aver bisogno di supporto ed ecco che arriva un’altra super novità, per chi ancora non ha un vero e proprio eCommerce, ma vorrebbe buttarsi nella vendita online.

A brevissimo sarà possibile crearsi il proprio Shop sui i social media, direttamente su Facebook e Instagram, ma in un prossimo futuro integrando anche Messenger e Whatsapp.

Le persone spendono sempre più tempo sui social media e perché non trovare un modo per mostrargli anche i propri prodotti preferiti da acquistare. Facebook non si è lasciato sfuggire questa opportunità di business, ora che le vendite online continuano a crescere.

È uno strumento gratuito, facile ed intuitivo da creare e si discosta dalla tab Vetrina che abbiamo visto fino ad ora sulla pagine e che ci permette di avere il nostro catalogo prodotti condiviso anche su Instagram per i tag shopping. Ha un’interfaccia pensata per il consumatore sempre più attivo da mobile che in modo veloce potrà acquistare i suoi prodotti preferiti.

Come funziona Facebook Shops e chi lo può attivare

Facebook Shop

L’apertura dello Shop è gratuita, ma diventa fondamentale gestire i nostri account social con Business manager, lo strumento che ci mette a disposizione Facebook per avere sotto controllo tutte le nostre risorse collegate alle sue piattaforme social.

Per settare Facebook Shops si deve infatti essere:

  • Amministratore della pagina Facebook (o della pagina Facebook collegata all’account Instagram sul quale si vuole lavorare)
  • Amministratore del Business Manager
  • Gestire pagina Facebook e Catalogo nello stesso Business Manager

Sembra infatti che questa funzione si attiverà gradualmente per tutti, dando priorità a chi già gestisce un catalogo prodotti e Instagram Shopping.

Arriverà una notifica e tutto sarà gestibile tramite ‘Gestore delle vendite’ che avrete già iniziato a vedere impostato e dovrete configurare.

Gestore delle vendite include una serie di strumenti pensati per vendere prodotti, gestire l’inventario ed evadere gli ordini della tua azienda su Facebook e Instagram.

Cosa potremo fare con Facebook Shops

  • Sarà possibile caricare un numero illimitato di prodotti sul proprio catalogo e personalizzare il look and feel del negozio a livello base.
  • Si potranno organizzare i prodotti in collezioni e categorie.
  • I consumatori potranno comunicare direttamente con noi tramite la pagina. Potranno sfogliare i prodotti e salvarli.
  • Potremo vedere statistiche di vendita, di visite e altro ancora.
  • I nostri prodotti appariranno anche nel Facebook Marketpalce, dandoci sicuramente più possibilità di visibilità.
  • In Italia il check out non sarà diretto su Facebook, ma verremo ancora rimandati ad un sito web esterno dove concludere l’ordine, negli Stati Uniti invece è disponibile anche la funzione di check out diretto. Sono molte però le integrazioni possibile e tra i partner più accreditati Shopify, piattaforma per creare eCommerce.

Altra novità molto interessante legata a Facebook Shops è la feature Live Shopping: a breve sarà possibile taggare i propri prodotti prima di andare Live sia su Facebook che su Instagram e quindi venderli direttamente durante la diretta stessa, nella quale verrà mostrato sempre il prodotto in questione sulla parte inferiore del video, con possibilità di acquisto immediato.

Cosa si potrà vendere e quali sono le restrizioni

Come recita la policy di Facebook:

“I prodotti e i servizi venduti su Facebook e Instagram devono rispettare i nostri Standard della community e le Normative sulle vendite di Facebook. Le nostre Normative sulle vendite forniscono regole su quali tipi di prodotti e servizi possono essere offerti per la vendita su Facebook e Instagram. I venditori sono anche responsabili del rispetto di tutte le leggi e le normative applicabili. La mancata osservanza può comportare una serie di conseguenze, fra cui la rimozione dei contenuti pubblicati. Se pubblichi ripetutamente contenuti contrari alle normative di Facebook, potremmo intraprendere ulteriori azioni nei confronti del tuo account. Ci riserviamo il diritto di rifiutare, approvare o rimuovere gli annunci per qualsiasi ragione, a nostra esclusiva discrezione”.

Trovate qui l’elenco di tutti i prodotti vietati, al momento non è infatti possibile mettere in vendita:

  • Servizi
  • Medicine
  • Contenuti scaricabili e in abbonamento
  • Prodotti per adulti di carattere espressamente sessuale
  • Alcolici
  • Animali
  • Parti del corpo o fluidi corporei
  • Offerte di lavoro
  • Integratori quali vitamine, chitosano, barrette proteiche
  • Abbonamenti e prodotti digitali
  • Dispositivi medici e per smettere di fumare
  • Prodotti a base di tabacco
  • Esplosivi, munizioni e veleni

È inoltre limitata la vendita di buoni regalo, voucher e biglietti per eventi.

Ora non ci resta che aspettare di ricevere la notifica per poi iniziare ad impostarlo e capire cosa ci aspetta.