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Ecco cosa ha annunciato ieri Apple durante la WWDC

La Worldwide Developer Conference di Apple (o WWDC, come è meglio nota) è uno degli eventi più attesi dell’anno da parte dei geek.

A causa della pandemia, naturalmente, anche questo appuntamento è stato interamente virtuale, compreso il grande keynote del CEO Tim Cook.

Come ogni anno sono stati mostrati tutti gli aggiornamenti per iOS, macOS e tutti gli altri software realizzati dall’azienda.

Se non hai avuto il tempo di guardare la diretta streaming, ecco un breve riassunto di tutti gli highlights, categoria per categoria.

iOS 14

La prossima versione di iOS esce in modalità anteprima per gli sviluppatori, con una beta pubblica prevista per luglio.

Cambiamenti nell’interfaccia:
una nuova home screen page apparirà dopo aver passato la pagina finale delle applicazioni. Classifica e ordina automaticamente tutte le app, evidenziando quelle usate di più.

Widget: 
i widget possono ora vivere sulla homescreen accanto alle icone delle app, invece di essere sepolti nella schermata Today.

Picture-in-picture su iPhone:
mentre l’iPad ha avuto la riproduzione di video picture-in-picture da iOS 9, è stato curiosamente assente sull’iPhone. Non più! Se si passa da un’applicazione all’altra mentre si riproduce un video (o si fa una video chat), la riproduzione continua in una piccola scatola che si può trascinare sullo schermo.

Siri:
l’interfaccia di Siri è stata revisionata per non occupare più lo schermo intero, e può fare la trascrizione da parlato a testo interamente on-device per il bene della velocità e della privacy.

Messaggi:
ora è possibile inserire le conversazioni più importanti in cima alla lista dei messaggi, e si possono impostare le notifiche sui messaggi di gruppo rumorosi per avvisare solo quando si viene menzionati per nome. Le Memoji possono ora indossare delle maschere.

Mappe:
le “nuove mappe” di Apple usciranno nel corso dell’anno nel Regno Unito, in Irlanda e in Canada. Le mappe riceveranno presto anche indicazioni per i ciclisti (a New York, SF Bay Area, Los Angeles, Pechino e Shanghai all’inizio) che tengono conto di elementi come le piste ciclabili e le colline, insieme a indicazioni per i proprietari di veicoli elettrici che tengono conto di fattori come l’autonomia della batteria e i luoghi di ricarica.

CarPlay:
CarPlay avrà una serie di nuove opzioni e una manciata di nuove applicazioni integrate, che si concentrano su elementi come il parcheggio, la ricarica e l’ordinazione di cibo. Nel frattempo, Apple ha lavorato con alcune case automobilistiche (tra cui BMW) per consentire di utilizzare il telefono come chiave.

App Clip:
piccoli, veloci, leggeri “Applet” che compaiono su richiesta senza richiedere l’installazione manuale di nulla – come, ad esempio, qualcosa da pagare al volo quando si vuole noleggiare uno scooter. Può essere attivato tramite NFC, codice QR o tramite Safari/Messaggi.

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iPad OS

Apple Pencil/Scribble:
il riconoscimento della scrittura a mano ora funziona in qualsiasi campo di testo, consentendo di annotare una nota veloce senza dover scrivere a matita. Ora è anche possibile disegnare forme grezze (come stelle, ottagoni e frecce) e farle convertire automaticamente in forme disegnate al computer, tenendo brevemente la matita in posizione mentre si finisce di disegnare.

AirPods

Commutazione automatica dei dispositivi:
gli AirPods possono ora passare automaticamente da un dispositivo all’altro. Riproducete un video sul vostro iPad e sentirete l’audio degli AirPod; se arriva una chiamata sul vostro iPhone, gli AirPod possono passare automaticamente da un dispositivo all’altro.

Audio migliorato:
arriva il suono surround simulato, compatibile solo con AirPods Pro. Prende in considerazione fattori come la posizione della testa, utilizzando gli accelerometri integrati negli AirPod, per far sembrare che l’audio sia “fissato” al mondo reale che ci circonda.

Apple Watch

Face Sharing:
hai impostato il tuo Apple Watch in un modo che ti piace tanto? Puoi condividere l’attuale configurazione del tuo orologio con gli altri attraverso Messaggi, Mail o Safari. Se la persona che ti riceve non ha un’app richiesta, verrà mostrato dove scaricarla.

Tracciamento del sonno:
Watch può ora rilevare automaticamente quando stai dormendo, registrando questi dati e aiutandoti a tracciare il tuo programma di sonno nel tempo.

Rilevamento del lavaggio delle mani:
l’Apple Watch è in grado di rilevare quando ti lavi le mani, utilizzando l’accelerometro per cercare i movimenti rilevanti e il microfono per ascoltare i suoni dello strofinamento. Quando rileva che stai lavando le mani, può avviare automaticamente un conto alla rovescia per assicurarsi che tu lo abbia fatto per i venti secondi necessari per una corretta igienizzazione.

Modifiche alla privacy

Posizione approssimativa:
vuoi un’app per sapere approssimativamente dove ti trovi, ma non esattamente? Ora è possibile concedere ad un’app attraverso la propria posizione approssimativa, piuttosto che dal punto preciso.

Indicatore microfono/camera:
anche se forse non è buono come una luce hardware dedicata, iOS ora mostrerà un indicatore sullo schermo quando un’app accede al tuo microfono o alla videocamera.

Politiche sulla privacy semplificate:
gli sviluppatori di app dovranno ora fornire un “highlight” semplificato di quali dati utente tracciano e/o condividono con terzi. Queste informazioni riassuntive verranno ora mostrate prima del download negli app store iOS/macOS.

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Homekit

Illuminazione adattiva:
Homekit è ora in grado di regolare automaticamente la luminosità/temperatura delle lampadine intelligenti collegate per tutto il giorno, permettendo funzioni come luci più fredde durante le ore di lavoro e temperature più calde quando è il momento di spegnere le luci.

Riconoscimento del volto:
le telecamere per campanello abilitate da Homekit sono ora in grado di riconoscere i volti noti e di far sapere chi è alla porta tramite le notifiche Homepod/AppleTV.

MacOS Big Sur

La prossima versione di macOS si chiamerà “Big Sur”, e includerà alcune modifiche che lo faranno assomigliare un po’ di più a iOS.

Centro di controllo:
prendendo in prestito un’idea da iOS, macOS avrà ora una tendina nell’area in alto a destra dello schermo che fornisce l’accesso con un clic alla luminosità del display, al volume, alla modalità oscura, ai controlli WiFi e altro ancora.

Centro di notifica:
il Centro Notifiche è stato ripulito, portando le notifiche/widget in un’unica vista unificata e rendendo più facile eliminare molte notifiche in una sola volta.

Nuove mappe:
le mappe su macOS sono state ridisegnate con il supporto per elementi come mappe interne, guide, luoghi preferiti, ecc.

Safari:
Safari ora può monitorare le password salvate per cercare quelle che potrebbero essere state esposte a violazioni. Un pulsante “Privacy Report”, nel frattempo, suddivide ciò che si sa su quali dati vengono tracciati dal sito su cui ci si trova attualmente.

Estensioni revisionate:
il sistema di estensioni di Safari, da tempo antiquato, sta ricevendo un aggiornamento, con l’obiettivo di trasmettere/limitare ciò a cui gli sviluppatori di estensioni di dati possono accedere. Se un’estensione richiede la possibilità di fare qualcosa come accedere alla cronologia di navigazione, può essere concessa per un periodo di tempo limitato, solo su un sito specifico, o su tutti i siti.

Nuovi processori su Mac

Come si dice da mesi, Apple sta passando da Intel a CPU personalizzate basate su ARM che sta progettando internamente, come ha fatto per anni attraverso le sue lineup di iPhone/iPad/Watch. L’azienda dice che questo porterà un “livello di prestazioni completamente nuovo”, consumando meno energia, e permetterà a cose come la Secure Enclave di Apple di arrivare al Mac. E le applicazioni iOS potranno funzionare sul Mac!

Mentre gli sviluppatori dovranno aggiornare le loro applicazioni per funzionare in modo nativo sui nuovi chipset, Apple dice che la maggior parte degli sviluppatori dovrebbe essere in grado di far funzionare tutto “in pochi giorni”; nel frattempo, “Rosetta 2” in Big Sur tradurrà automaticamente le applicazioni esistenti per la compatibilità.

Il comparto del lusso: dalle riconversioni alla ripresa nelle vendite grazie alla Cina

  • Anche il comparto del lusso ha subito forti contraccolpi a causa della pandemia, con fatturati che sono calati fino al 30%.
  • La Cina, primo mercato di riferimento, però, è in piena fase revenge spending, con numeri che fanno ben sperare.
  • Big news: anche il lusso finalmente si apre al digitale puntando alle esperienze d’acquisto personalizzate.

 

Da questa pandemia stiamo uscendo cambiati e sicuramente non fa eccezione l’economia, con abitudini del consumatore mutate, aziende ancora non del tutto operative, nuove misure di “distanziamento sociale”.

Non è da meno il comparto del lusso, un mercato in cui la crisi è bivalente: brand e subappaltatori italiani in difficile ripartenza e il miglior e maggior cliente, la Cina, con forti conseguenze da totale lockdown.

Ma nulla è perduto! Le stime confermano un trend di crescita positivo, seppur meno del previsto e viene finalmente sdoganato lo shopping online per i beni di lusso.

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Dal calo di fatturato al digitale

Il mercato del lusso ha, negli ultimi anni, attirato milioni di investimento e il trend si conferma in questo periodo di neo post lockdown con previsioni di incremento fino al 70% di nuovi fondi che stanno guardando a questo comparto come la prossima mossa per il 2020.

Perché? I dati parlano chiaro: il settore prevede una crescita del 10% iniziata nel 2019 fino al 2025 con un +1,9% annui e, dopo questa pandemia, con ampia manovra di sviluppo in campi come digital, shop online e tech inesistente prima del febbraio 2020.

I settori che vedranno arrivare più capitali sono quelli del beauty come la cosmetica e i profumi, gli accessori moda e il lusso digitale e sono anche i settori che hanno tenuto di più durante il periodo COVID, mentre contraccolpo negativo per hôtellerie, auto ed orologi.

Se da una parte i nuovi investimenti nel settore non sembrano rallentare, dall’altra, inevitabilmente, i consumi e le produzioni hanno subito una brusca frenata, con un calo del 30%. Questo è dovuto soprattutto al fatto che la clientela del settore è rappresentata per il 35% dalla Cina, Paese primo ad entrare in lockdown con forti conseguenze sulla sua capacità di spesa e potere di acquisto.

In periodi come questi è fisiologico che le priorità di acquisto cambino, seppur possedere ed acquistare beni di lusso rappresenti anche l’appartenere ad uno status quo, è necessario procedere per priorità, le spese per nuovi beni impossibili però sembrano solo posticipate, niente cancellazione quindi soprattutto tra i giovani e la Gen Z, i maggiori acquirenti del mercato.

In Cina, infatti, sono le nuove generazioni e le zone emergenti ad essere affamate di beni nuovi grazie anche all’influenza dei social, un pubblico che in questo momento è pessimista per il peggioramento della loro condizione economica a causa del lock-down, ma che dichiara anche di voler tornare a comprare come prima appena tutto sarà finito.

Due cose il comparto dovrebbe imparare dopo questo trimestre: il lusso al giusto prezzo e che l’online non è il diavolo, ma un’opportunità.

Il lusso al giusto prezzo, infatti, ha dato un segnale al mercato importante sul fatto che potrebbe essere l’occasione per ampliare la clientela con una corretta segmentazione il settore potrebbe rispondere in maniera più solida ai contraccolpi di cali di fatturato.

L’online è un’opportunità soprattutto per chi non lo ha ancora esplorato e questa è un’inevitabile conseguenza che ci porteremo tutti dietro dopo questa pandemia, d’altronde se non si può stare “vicini” come prima è necessario trovare un altro modo, un’esperienza d’acquisto online personalizzata, store digitali con assistenti reali che guidino il cliente nel suo shopping o un processo d’acquisto online che si finalizzi nello store, ma il negozio fisico seppur di alto livello ormai non è più sufficiente.

Una cosa mi ha stupita, lo “store” in cui avvengono i maggiori acquisti del comparto sono gli aeroporti e con il turismo limitato è il punto vendita che ha in assoluto registrato numeri negativi ed è da sempre stata la fonte maggiore di guadagno per il settore.

La luce a fine tunnel c’è e si vede. Gli esperti dichiarano che tra il 2022 e il 2023 si ritornerà al livello di spesa pre Covid con la Cina sempre in testa nella ripresa, anche per il 2020 anno in cui sarà l’unica a chiudere in positivo.

Insomma, la situazione non è così nera come ci si aspetta, ma sicuramente sarà una nuova ripresa, diversa e che avrà cambiato anche un settore così tradizionale ad ancorato agli store fisici.

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Il Revenge Spending dalla Cina

Si sa, gli autoregali e la voglia di avere qualcosa di nuovo sono i migliori antidoti a malumore e depressione. Anche con l’apertura delle attività post Covid si conferma questo trend che ha un vero e proprio nome: Revenge Spending, la voglia di riscattarsi dopo un periodo di limitazioni attraverso lo shopping, insomma il classico shopping consolatorio.

Tra i settori più colpiti da questo shopping compulsivo ci sono ristoranti, viaggi, locali e, naturalmente, i negozi, brand del lusso compresi.

Non solo Cina, anche il mercato indiano è sotto la lente d’ingrandimento dei brand di lusso che si aspettano da questo altro Paese emergente una crescita di volume d’affari tra il 10 e il 15 percento, ma non solo nell’ambito “grandi marchi internazionali” che sicuramente traineranno il comparto, ma anche dai luxury brand indigeni come abbigliamento e accessori sotto il marchio Indian Apparel, ma anche servizi, turismo, auto e beni immobili con un settore che vale circa il 30% del mercato totale.

Il mercato asiatico, ma più in generale il mercato dei beni di lusso, oltre a registrare le sue maggiori vendite nel contesto turistico ed aeroportuale, rappresenta per l’acquirente l’occasione di essere arrivato, di ostentare, anche, il suo potere di acquisto e di sentirsi parte di un’élite.

Se in India la fetta più ampia di clientela è rappresentata dagli uomini di affari e dalle loro famiglie, per il popolo cinese è la Generazione Z, oltre ai Millennials, quella che guida la classifica con previsioni di spesa che si aggirano sui 43 miliardi di dollari entro il 2024.

Per questo segmento, infatti, non è più l’ostentazione la motivazione d’acquisto, ma il “social capital” sentirsi, cioè, parte di un gruppo. Vedetela come: per noi in adolescenza se non avevi il motorino non eri nessuno, ora gli adolescenti nel 2020 se non hanno l’ultimo paio di scarpe droppato da Nike o un bell’orologio importante si sentono ai margini del loro gruppo.

Sicuramente il periodo che stiamo attraversando ha significato un parziale cambio di rotta e di regole per i player del settore che, pur di non perdere il loro mercato principale, hanno abbassato prezzi e tassazione puntando sul comparto digitale, pensate che Burberry, Guerlain o La Mer hanno deciso di aprire un loro store su Alibaba.

Queste scelte strategiche, fatte anche di acquisti di prossimità, hanno portato fin dal mese di aprile ad una ripresa, per marchi come Louis Vitton, Dior ed Hermès i dati parlano già di +50%.

Oltre a ciò un trend importante viene avanti: la valorizzazione di marchi cinesi coppia della volontà di ridurre, soprattutto dopo questa pandemia, la dipendenza del Paese dal mercato estero che per i brand stranieri, anche quelli più conosciuti vuol dire prendere in considerazione una distribuzione diretta in Cina o ad installare parte della produzione direttamente sul territorio asiatico.

Dopo questo Covid si parlerà, insomma, di Km0, o quasi, anche per lo shopping di alto livello.

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Una promettente ripartenza dei più grandi marchi del comparto del lusso

I veri imprenditori non rimangono mai con le mani in mano e ce lo hanno dimostrato anche e soprattutto i grandi nomi della moda e del lusso durante questa emergenza, c’è chi ha convertito la propria produzione per offrire un prodotto utile alla comunità e c’è chi ha voluto fare donazioni alle strutture sanitarie. Insomma tutti hanno voluto dare una mano.

Per citare alcuni degli esempi più chiacchierati: Dior e Armani hanno convertito le loro produzioni tessili, la prima per mascherine produttive e la seconda per camici monouso; lo stesso gruppo Armani e l’omonima squadra di basket hanno voluto donare dei capitali alle terapie intensive milanesi e lombarde; lo stesso ha fatto il gruppo OTB devolvendo in beneficenza il 10% del ricavato di ogni vendita, Valentino, Geox e Diadora anche loro protagonisti di cospicue ed utili donazioni; Gucci e Prada forzando la loro produzione alla realizzazione di mascherine e camici monouso; LVMH, invece è passata dai profumi al gel disinfettante distribuito in modo gratuito agli ospedali.

Ma se anche i big del Made in Italy e non solo hanno registrato cali di fatturato causati da pandemia e contrazione dei consumi, il settore più colpito sarà quello dei piccoli artigiani a cui i grandi brand subappaltano parte della produzione per garantire la qualità del fatto a mano.
Un esempio rilevante viene dalla produzione del cuoio, scorte accantonate su stime del periodo che però ora non possono essere lavorate per mancanza di richiesta. Quindi cosa fare? Comprare i piccoli produttori o lasciarli fallire?

Come già detto sopra i segnali positivi di ripresa ci sono, come le cifre record incassate da Hermès nella sola giornata dell’11 aprile: 2,5 milioni di euro registrati dalla boutique locale di Canton. E per l’occasione non volevamo lanciare la nuova Birkin tempestata di diamanti?

Sicuramente questi dati incoraggianti avvalorano di nuovo la tesi della Revenge Spending, i consumatori si sono stufati di spendere solo per le spese essenziali, c’è voglia di ritornare a concedersi qualche vizio in più.

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Dopo ogni momento di cambiamento è necessario capire quali sono le nuove strategie e i nuovi comportamenti da adottare per non farsi cogliere impreparati e rimanere il più possibile sul mercato.
Sicuramente dopo questa pandemia i brand, non solo del lusso, si sono resi conto di due leve ancora forse inesplorate: le vendite online e le vendite di prossimità.

  • La vendita online rappresentava prima del 2020, per alcune aziende, una strategia di mercato lontana o inesplorata, ma i lock-down ha portato i consumatori in modo più o meno consapevole ad accelerare le loro abitudini e il loro salto culturale verso il digitale, sia in termini lavorativi con lo smart-working, sia in termini di abitudini d’acquisto con la preponderanza dello shopping online.
  • In netta contrapposizione, le vendite di prossimità, che non significa solo lo store fisico dietro l’angolo, ma anche l’iniziare a pensare al proprio cliente come persona ricca di valori e necessità e non solo un numero da mettere a budget. Questo vuol dire che le comunicazioni e le strategie pubblicitarie devono iniziare ad apprendere un tone of voice più umano portavoce di valori aziendali veri e condivisi

Sicuramente i grandi brand del comparto del lusso stanno sperimentando queste due nuove leve, con l’apertura di esperienze di shopping online prima impensabili e con la creazione di store fisici o esperienze d’acquisto più personali e personalizzabili.

La luce in fondo al tunnel c’è, basta vederla.

Brand Activism

5 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione

C’è chi, come Oberalp, trasforma i materiali di scarto delle tute da sci in cinture e accessori. Chi, come Loop, realizza packaging riutilizzabili. E chi, come Flowe, si serve di gaming ed educazione finanziaria per spingere le persone ad acquisti più consapevoli e per riforestare il Pianeta.

Esperienze diverse tutte accomunate da una parola: brand activism, ovvero la ricerca di uno scopo, di un impatto positivo sugli altri e sull’ambiente, che superi la mera logica del guadagno.

L’espressione è immortalata in un libro, considerato uno dei testi più importanti sulla materia, “Brand Activism. From purpose to action”, scritto da due guru del marketing come Philip Kotler e Christian Sarkar, per i quali il brand activism è la responsabilità che l’azienda si assume in ambito sociale, con una serie di iniziative volte al raggiungimento di un bene comune.

Dalla teoria alla pratica: abbiamo raccolto cinque esempi di “brand activism” nel mondo, dall’Italia, agli Stati Uniti, fino all’Australia. Li raccontiamo in questo articolo.

brand activism

1. Oberalp lotta contro i perfluorocarburi

Gruppo storico di Bolzano, nato nel 1846 e specializzato nei prodotti di abbigliamento e attrezzature per sport alpini, da circa un decennio ha deciso di puntare fortemente sulla sostenibilità ambientale. Per farlo ha creato un gruppo di lavoro interno dedicato proprio alla Corporate Social Responsibility, che sta lavorando su più fronti.

La riduzione dei perfluorocarburi (si tratta di composti sintetici molto impiegati nell’abbigliamento sportivo) con un impatto dannoso sull’ambiente: l’azienda ha, per esempio, deciso di non utilizzare fluorocarburi nel 65% della sua produzione. Inoltre, ha puntato sul riutilizzo, trasformando i materiali di scarto delle divise di sci in cinture e altri accessori, e sul riciclo di vecchi appendiabiti, che diventano oggetti di design grazie alla collaborazione con l’Università di Bologna.

2. Burwood Brickworks e i carrelli di bottiglie riciclate

Nato a Melbourne, in Australia, il Burwood Birckworks è il centro commerciale più sostenibile del Pianeta, secondo una classifica di Living Future Institute.

A partire dall’utilizzo dell’acqua, che viene riciclata nell’edificio per il sistema di raffreddamento o per l’irrigazione dell’orto sul tetto, aperto ai visitatori che possono coltivare liberamente verdure e mangiarle. L’elettricità necessaria arriva da pannelli solari e da centri di energia pulita, situati nei pressi della struttura. Nel parcheggio esterno sono installate stazioni di ricarica per auto elettriche. Oltre a soluzioni davvero originali: come il carrello della spesa fatto di bottiglie di latte riciclate.

3. Flowe e la better being economy

Apri un conto via app in otto minuti, ottieni una carta in legno certificato e pianti un albero nella regione del Pèten in Guatemala. Questo e tanto altro è Flowe, la startup guidata da Ivan Mazzoleni, che opera all’interno di Banca Mediolanum, il gruppo guidato da Massimo Doris.

L’app fintech, pensata per attrarre i giovanissimi, ambisce a creare un nuovo mercato unendo finanza, educazione, sostenibilità e gaming. Grazie a partnership con altre startup, consente di tracciare l’impatto economico generato dai propri consumi, contribuire alla riforestazione del Pianeta, finanziare progetti idrici in villaggi bisognosi.

“Abbiamo creato un ecosistema, una better being economy, dove l’individuo impara ad avere uno stile di vita più sostenibile, a vivere in armonia con gli altri e con la natura. Il nome stesso del brand e il pittogramma riconducono gli esseri umani a una goccia d’acqua, unica ma parte di un flusso”, spiega Mazzoleni nel giorno della presentazione della startup al Campus Mediolanum, alla presenza del già citato Doris, e di Oscar di Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum.

Di Montigny evidenzia nel suo intervento come “Flowe non vuole essere un’azienda, ma una piattaforma, un ecosistema, che aiuta i suoi utenti ad avere consapevolezza dell’impatto dei loro comportamenti sugli altri e sull’ambiente. E sulla base di questa consapevolezza possono migliorarsi continuamente”.

Per coinvolgere un pubblico di giovanissimi, Flowe ha attinto dal linguaggio del gaming. Gli utenti, sulla base di alcune azioni virtuose, ottengono delle gemme, cioè dei punti premio, che possono poi convertire per comprare gift card su Amazon, Decathlon, Media World.

“Rispetto ai competitor abbiamo costruito una dimensione comunitaria, un senso di appartenenza forte che va ben oltre il mondo finanziario. Oggi abbiamo già 15mila utenti sulla piattaforma”, conclude Massimo Doris.

4. Loop e il ritorno del fattorino del latte

“Abbiamo chiesto alle aziende di considerare il packaging come un asset e non come un costo”, spiega a Fast Company, Tom Szaky, imprenditore del New Jersey, fondatore di Loop, specializzata nell’ideazione di packaging riutilizzabili.

Il concetto è un po’ simile a quello del “fattorino del latte” che portava la bevanda in bottiglie di vetro riciclabili direttamente dietro la porta di casa. Il cliente usa il prodotto in un packaging originale e alla fine, quando l’ha consumato, chiama Loop che va a ritirare gratuitamente la confezione, pronta per essere riutilizzata.

L’iniziativa ha già visto l’adesione di brand come Procter & Gamble, Unilever, Mars, Nestlé, PepsiCo e Coca-Cola, tra gli altri.

brand activism case study

5. Refurbed rigenera dispositivi elettronici

Innovazione e sviluppo tecnologico devono vivere in totale armonia con la natura. Questo è il credo di Kilian Kaminski, austriaco, ideatore di Refurbed, piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici.

I vecchi telefoni sono riparati, testati, reimballati e rimessi in vendita. Ex Amazon, Kilian ha iniziato sviluppando un programma di vendita per prodotti rigenerati, internamente al gruppo di Jeff Bezos. Ma poi ha compreso che il colosso non aveva interesse a investire nel settore. Allora ha scelto di “mettersi in proprio”.

I numeri gli hanno dato ragione: in tre anni, l’azienda ha superato i 100 mila clienti.

Non solo eCommerce, il Gruppo Campari compra Champagne Lallier per 21,8 milioni

  • L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita rafforza la presenza di Campari in terra di Francia.
  • L’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita ( + 1,80 % rispetto al mese scorso).
  • L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari nel primo trimestre 2020, oltre a quello della startup italiana Tannico.

Lo scorso 17 aprile Campari aveva avviato una trattativa con la francese SARL FICOMA, holding familiare di Francis Tribaut, per l’acquisizione di una partecipazione dell’80% e, nel medio termine, della totalità del capitale azionario di SARL Champagne Lallier.

L’accordo è stato siglato il 5 maggio, con un esborso di 21,8 milioni di euro da parte della società milanese.

champagne

Campari conquista la Francia e il titolo vola in Borsa

L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita on-premise (ritenuto strategico per le attività di brand building), rafforza la presenza di Campari in terra di Francia, dov’è da poco presente con una propria struttura commerciale.

E l’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita.

champagne lallier campari

Lallier, un brand storico

A rendere così appetibile il brand Lallier, oltre che la buona reputazione, è anche la sua grande storicità. La Maison infatti, nasce nel 1906 ad Aÿ, per volere di René Lallier e sua moglie, figlia di importanti vigneron francesi. Sono gli anni dell’ascesa per questo straordinario terroir, riconosciuto e classificato nel 1936 come Village “Gran Cru” in Champagne.

Passa il tempo, ed è il turno di René james Lallier – nipote del fondatore – che, deciso a rivoluzionare l’intera linea di produzione, modernizza gli impianti e le cantine, ormai vetuste.

Anziano, René James Lallier, cede l’attività al suo enologo di fiducia, l’allora giovane Francis Tribaut, che ancora oggi riveste il ruolo di managing director all’interno della società, e continua a dispensare preziosi consigli, forte di una solida esperienza, tra etichette classiche ed esclusive, di cui l’ “Ouvrage” rappresenta la punta di diamante.

Lo Champagne Lallier conserva il proprio posto nell’Olimpo delle bollicine, con una produzione che non supera le 400.000 bottiglie, fedele al celebre motto “less is more”, per un fatturato attorno ai 20 milioni di euro.

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borsa campari

La terza mossa di Campari

L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari, prima di quella di Tannico, nel primo trimestre 2020, assieme all’acquisto del distributore francese  Baron Philippe de Rothschild France Distribution (Rfd) (per 54,6 milioni di euro) e alla joint-venture con la Ct Spirits Japan.

La scelta di uno Champagne, può sembrare lontana dalla logica Campari, focalizzata soprattutto sui superalcolici – che garantiscono un ritorno di gran lunga superiore a quello del vino -, ma in realtà è motivata da ben due elementi: in primo luogo dalla volontà di aumentare la propria quota di mercato in Francia e, in secondo luogo dal fatto che lo Champagne è considerato un prodotto di lusso, capace di fidelizzare il consumatore al marchio.

Il Gruppo Campari continua dunque, a passo veloce, la marcia conquistatrice in Europa, fagocitando icone alcoliche di forte appeal, che porteranno non solo ad una diversificazione dell’offerta, ma anche ad una maggiore copertura del mercato, e quindi ad un ruolo sempre più rilevante nel commercio mondiale degli spirits e non.

body shaming contro le donne forti

Body shaming e insulti contro le donne forti: come colpiscono i leoni da tastiera

  • La violenza verbale sui social si accanisce sulle donne che non fanno scelte dettate dalla società.
  • Rakete, Botteri, Romano sono solo alcune vittime del bullismo verbale.
  • Il manifesto della comunicazione non ostile contro la violenza delle parole.

 

Il body shaming spesso si presenta travestito da battuta. L’aspetto fisico è ancora oggi un metro di misura diffuso per giudicare se stessi e gli altri. Purtroppo al giorno d’oggi vige la convinzione che magrezza e bellezza sono requisiti fondamentali per avere successo. Il bullismo verbale crea vergogna in coloro che lo subiscono, che a sua volta può scatenare depressione e comportamenti compulsivi.

I commenti sulle donne professioniste spesso vertono sull’apparenza e raramente sui contenuti. Apprezzamenti, battute o insulti, poco importa: il corpo fa discutere più dell’intelletto.

In società maschiliste e populiste emerge una diffusa difficoltà nel ritenere il sesso femminile capace di svolgere determinati incarichi o di occupare posizioni di potere. Abituati a veline, vallette, schedine, Miss Italia ecc., il corpo della donna si riduce ad oggetto di facile giudizio agli sguardi pubblici. La tv diventa veicolo di stereotipi di genere ed alimenta luoghi comuni. Succede dunque che grazie a questo mondo non rappresentativo della società si diffondono rigidi canoni di bellezza. I leoni da tastiera criticano a prescindere:

“In Italia le donne vengono criticate qualunque cosa facciano. Se sei intellettuale, ti criticano perché sei una maestrina. Se ti occupi di moda ti criticano perché sei troppo superficiale, se sei brutta ti criticano perché sei brutta e se sei bella ti criticano perché sei troppo bella”

  • Maura Gancitano su L’Inkiesta

 

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La paura delle donne indipendenti

Spesso dietro l’odio si nasconde la paura di ciò che è ignoto, perché in fondo la figura della donna forte e libera non è ancora radicata nella nostra società. Se guardiamo indietro non sono pochi gli esempi di body shaming avvenuti negli ultimi mesi:
Carola Rakete si è fatta carico della vita di molte persone. Cercando un porto sicuro nelle acque italiane, ha finito poi per essere insultata per i suoi capelli, le ascelle non depilate e il reggiseno non indossato sotto la maglietta.

Poi c’è Silvia Romano: partita per il Kenya ad aiutare il prossimo, sequestrata per 18 mesi, dopo la liberazione si è ritrovata a sua volta messa alla gogna dal terrorismo mediatico. Lì dove dovrebbe sentirsi libera non lo è. Imprigionata dall’odio trasmesso da una fetta d’Italia che non ha saputo accoglierla, accusandola tra l’altro di indossare un velo ed essersi convertita all’Islam.

O ancora la giornalista Giovanna Botteri: poco importano gli innumerevoli riconoscimenti ed i 25 anni di lavoro in zone di guerra, il suo look rimane tema di numerosi commenti sui social. In una recente intervista sulle pagine del Corriere della Sera, la giornalista afferma:

“In generale il problema è quando si confondono i piani, quando la tua immagine diventa notizia. Noi raccontiamo, non siamo quelli che devono essere raccontati: se la donna da soggetto diventa oggetto del racconto c’è qualcosa di sbagliato. I problemi sono sempre legati all’immagine: la giornalista che fa tv non dovrebbe mai rispondere a una serie di canoni legati al suo essere donna piuttosto che giornalista”

 

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Rakete, Romano e Botteri sono solo alcuni esempi dove l’intelletto e l’esperienza sono passati in secondo piano a favore del body shaming. Armandosi di superficialità, c’è chi non è riuscito e non riesce a guardare oltre. Anche nelle realtà più piccole, al di fuori dei grandi riflettori, non mancano episodi di bullismo verbale. Recentemente, in provincia di Bolzano, la capogruppo dei Verdi, Brigitte Foppa, è stata presa di mira da una lettera anonima che insultava lei ed i suoi capelli (!). Nell’intervista con il quotidiano Alto Adige afferma:

“Sono anni che sento parlare dei miei capelli, troppo lunghi, troppo ricci, brizzolati o colorati. Il punto è che disturbiamo.”

Contrastare il body shaming: il manifesto della comunicazione non ostile

Le parole hanno un peso e lo dimostra anche Parole O_Stili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. Il loro manifesto è composto da dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere parole giuste, per non dare etichette, isolare o ferire.

Manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale

Il manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale

Educazione e prevenzione costruiscono le basi per combattere le discriminazioni, il body shaming e la grassofobia. Sul sito di Paroleostili sono disponibili vari materiali didattici e informazioni per approfondire il tema. Le parole pungono, gli insulti feriscono. Scegliamo con cura le parole che diciamo (e non diciamo)!

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Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?

Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)

  • Nel momento in cui le proteste infiammano gli Stati Uniti e il mondo intero, nell’occhio del ciclone sono finiti anche noti brand.
  • Aunt Jemina, Uncle Ben e Cream of Wheat da sempre utilizzano “testimonial” afroamericani stereotipati.
  • Queste immagini sorridenti e compiacenti servirono agli albori dei marchi per edulcorare la realtà della schiavitù.

 

Nel momento in cui sto scrivendo questo post, sui social ha trovato terra fertile una nuova ondata di sgomento: HBO Max ritira “Via col Vento” – momentaneamente e per permettere l’inserimento un disclaimer che sia in grado di contestualizzare l’epoca storica nel quale è ambientato il film (che probabilmente verrà fatto da un esperto di storia e cultura afroamericana) –  un classicone della filmografia mondiale.

La decisione del broadcaster è dovuta all’impatto globale che hanno avuto l’insensato omicidio di George Floyd e le manifestazioni mondiali nate in seno al movimento attivista internazionale Black Lives Matter (movimento che non nasce dall’omicidio Floyd ma in risposta all’assoluzione dell’assassino di Trayvon Martin, vi rimando al sito ufficiale dell’associazione per conoscerne meglio la storia).

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Sotto accusa anche le opere d’arte: primo bersaglio diverse statue di schiavisti e coloni che sono state abbattute negli U.S.A. (anche quella di Cristoforo Colombo) e nuovi bersagli in tutto il mondo. A Milano viene messa in discussione (e imbrattata) la statua di Indro Montanelli, ubicata nel parco stesso che porta il suo nome, mentre a Londra pare abbiano già messo sotto teca protettiva quella di Winston Churchill in attesa delle prossime manifestazioni.

Ma mentre il dibattito verte su censura vs atto obbligato, il problema razziale nella cultura e nell’intrattenimento si esaurisce qui?

Personalmente ritengo che la storia non vada né revisionata né cancellata; sarà banale ma da lei si può solo imparare e migliorare, ma per farlo bisogna conoscerla. E l’intento di questo post non è quello di sposare uno schieramento ma fare luce proprio sulla storia di tre particolari loghi.

Alla fine la pubblicità è anche cultura, quella in cui nasce e quella che crea.

black lives matter

Cosa succede nella comunicazione dei brand?

Nei giorni scorsi molti brand, nazionali, internazionali, grandi o piccoli hanno preso posizione soprattutto sui social, dove (spesso senza contesto e slegati da qualsiasi narrazione di marca) sono state pubblicate immagini completamente nere, a sostegno della protesta.

E mentre la catena di supermercati svizzera Migros ritira dagli scaffali i “Moretti”, c’è anche chi con la “nostalgia” e sulla mitizzazione decontestualizzata dei suoi testimonial, soprattutto sugli scaffali dei mass market, continua a contribuire alla consistenza di alcuni brand.

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C’è chi cambia e chi no: da Land O’Lake ad Aunt Jemina

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?


Il brand Land O’Lakes ha scelto di eliminare la donna nativa americana che offre del burro dal suo logo, segnando la fine di una testimonial controversa con quasi 100 anni di storia alle spalle, eliminando una “testimonial scomoda”, soprattutto alla luce della sempre maggiore presa di coscienza da parte del pubblico.

Ma quelli che probabilmente sono gli esempi più eclatanti di testimonial che potrebbero (o dovrebbero?) essere discussi sono tre: Aunt Jemina, Cream of Wheat e Uncle Ben, brand creati in un anfratto della storia, tra la Guerra Civile americana e il Civil Right Act.

Scott vs. Sandford: quando stereotipo e discriminazione nascono in un’aula di tribunale

Facciamo un passo indietro: perché questi tre brand dovrebbero essere incriminati, perché utilizzano testimonial di colore? No, è perché hanno pescato a piene mani negli stereotipi razziali, tutto in regola e con il pieno favore della legge.

Secondo un post pubblicato nel blog dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture, l’incentivo all’utilizzo di figure caricaturali nella cultura popolare a danno della comunità afroamericana (inclusa la Mami interpretata da Hattie McDaniel e della quale Aunt Jemina è un’omologa), affonda le sue radici nelle aule di un tribunale.

Gli stereotipi sugli afroamericani sarebbero infatti cresciuti dopo la decisione – nel 1857 – del giudice della Corte Suprema Roger B. Taney, che nel caso “Dred Scott vs. Jhon F.A. Sandford”, sentenziò che le persone di origine africana non fossero cittadini statunitensi e non avessero diritto di adire a un tribunale federale.

La storia di Aunt Jemina

Ieri, , stando a quanto riportato da Usa Today, la Quacker Oats, proprietaria del brand, ha ritirato dal mercato il logo che – per sua stessa ammissione – rappresenta uno stereotipo razzista.

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?

“Zia Jemina” è una vera e propria istituzione in America che nasce dalla tradizione orale, e che è stata resa popolare dagli spettacoli per menestrelli dopo la Guerra Civile.

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Marilyn Kern-Foxworth nel suo libro “Aunt Jemina, Uncle Ben and Rastus, Black in advertising, Yesterday, Today and Tomorrow”, scrive proprio che uno dei soci fondatori di Aunt Jemina ne sentì la storia da un menestrello nel 1889.

Vista la sua data di nascita possiamo dire che questo è il capostipite dei tre brand dei quali vogliamo parlare, e quello con il seguito più interessante: come si diceva qualche riga più in lato, Aunt Jemina rappresenta lo stereotipo della governante-nutrice di colore, la stessa Mami di Via col Vento.

Il personaggio venne interpretato per la prima volta nel 1890 da Nancy Green, che il Brand descriveva come una “narratrice, una cuoca e una lavoratrice”, sorvolando sul fatto che fosse nata schiava nel Kentucky del 1834.

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?

Successivamente il ruolo venne affidato ad altre donne: Anna Robinson, il cui retroscena è poco chiaro ma pare che il brand dichiarò che dopo aver viaggiato negli Stati Uniti in lungo e in largo fosse stata i grado di acquistare una casa da 22 camere (ha fatto i soldi insomma), a cui seguirono altre donne per poi arrivare all’attrice Aylene Lewis, che veste i panni di Aunt Jemina in un ristorante del Brand a Disneyland dove “serve” frittelle e “posa” per le foto con gli ospiti.

…E Mrs. Butterworth’s?

Mrs. Butterworth's

Strano, è anche lei una governante, tenera, sorridente e di colore. Ed anche lei è immortalata su una bottiglia di sciroppo per pancake, di un brand facente parte del colosso CPG Unilever che lo acquistò nel 1961 e più recentemente passata sotto il controllo di Conagra.

Interpellati pochi mesi fa da AdWeek, in una mail di risposta Dan Skinner – responsabile della comunicazione del brand – scriveva: “Non abbiamo mai discusso della razza, della religione o dell’etnia di Mrs. Butterworth’s, se non per dire che è materna e conosciuta in tutto il mondo per il suo delizioso sciroppo”. (Nel momento in cui questo post è stato redatto pare che anche Mrs. Butterworth’s sarà ritirato dal mercato o subirà un rebranding).

Cream of Wheat

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia? cream of wheat

Passarono pochi anni dalla nascita di Aunt Jemina quando un brand di cereali, Cream of Wheat, iniziò a usare un’immagine molto simile per sponsorizzare il suo prodotto.

In un post del 2013, Kirsten Delegard co-founder  del Mapping Prejudice Project presso l’Università del Minnesota, dichiara che Emery Mapes, il fondatore di Cream of Wheat, disegnò la sua confezione scegliendo come modello un ex schiavo, “Rastus”, fondamentale per il successo di questo prodotto.

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia? cream of wheat

Ma dell’immagine controversa utilizzata da Cream of Wheat ne parlò, in un saggio del 2000, anche David Pilgrim – professore di Sociologia alla Ferris State University – nel quale afferma che Mapes, ex tipografo, trovò l’immagine di un cuoco nero in un vecchio album. Solo negli anni ’20 del secolo scorso, Mapes diede 5 dollari ad un cameriere di colore perché posasse per il suo logo.

Lo Chef di Cream of Wheat è sicuramente la rappresentazione stereotipata più longeva di quello che viene chiamato “lo Zio Tom”, risalente al romanzo del 1852 La capanna dello Zio Tom.

Molto interessante quello che lo Smithsonian scrive in merito:

Lo stereotipo dello Zio Tom ha una natura sottomessa, obbediente e in cerca della costante approvazione bianca.

Nel suo saggio Pilgrim aggiunge che la caricatura di Tom, come quella di Mami, nasce nel periodo pre-bellico in difesa della schiavitù.

Come potrebbe essere sbagliata la schiavitù – sostennero i suoi sostenitori – se i servi neri, i maschi (Tom) e le femmine (Mami), se sono così felici e leali? – David Pilgrim

Ed è proprio questo il punto fondamentale, quello a cui dobbiamo puntare non è il revisionismo odierno ma quello che è stato fatto in passato per “rendere più piacevole”, appianare il disgusto, di fronte ad uno degli atti peggiori compiuti dall’umanità.

Uncle Ben

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?

Secondo il brand, il nome “Uncle Ben” venne adottato nel 1946, solo quattro anni dopo che Forrest Mars – figlio di Frank Mars, il magnate americano che fondò l’omonima compagnia – acquistò i diritti per un riso parboiled facile da cucinare.

Sul sito ufficiale “il nome dello zio Ben deriva da un contadino nero texano, conosciuto appunto come Zio Ben, che coltivava riso così bene che la gente lo rese uno standard d’eccellenza. Il signore così orgoglioso e dignitoso che ha impersonificato i nostri prodotti era un amato Chef e cameriere di Chicago che si chiamava Frank Brown”.

Anche in questo caso, la storia però dipinge un quadro nettamente diverso: Ronald LF Davis, professore alla California State University, Northridge, nel suo articolo “Racial Etiquette: The Racial Customs and Rules of Racial Behaviour in Jim Crow America”, fa notare come gli uomini di colore fossero chiamati “Boy”, “Uncle” e “Old Man” per “indicarne l’inferiorità durante l’era di Jim Crow”, periodo di segregazione e discriminazione seguito alla Guerra Civile e che perdurò fino al Civil Right Act del 1964.

Oltre al naming, il New York Times sottolinea che la raffigurazione di Uncle Ben, munito di papillon evocava i servi e i facchini dei pullman, tutti uomini afroamericani, alcuni di loro ex schiavi, che servirono i passeggeri bianchi sui vagoni ferroviari dal 1860 al 1960.

Digital Hubs, l’evento gratuito per scoprire l’evoluzione del banking

La digitalizzazione pervade ormai ogni settore e i mercati, così come le tecnologie, sono in continua evoluzione. Per restare al passo è necessario continuare a informarsi e arrivare per primi a conoscere l’innovazione lì dove avviene.

Venerdì 19 giugno, ad esempio, illimity farà il punto durante il suo evento sul tema della digitalizzazione e sul suo nuovo modello Open Plaform.

Ad appena 9 mesi dal lancio sul mercato illimitybank.com – la banca digitale diretta di illimity – avrai la possibilità di conoscere una novità assoluta per il settore: gli illimity Hubs.

Una banca che va oltre se stessa e si apre fino a diventare una piattaforma cross industry, che mette al centro le persone con un innovativo modello di collaborazione, sviluppato in piena ottica open banking ma anche open platform.

Potrai seguire il debutto dal vivo, con due partner di eccellenza, entrambi con DNA tecnologico: MiMoto, first mover nello sharing di scooter elettrici ha rivoluzionato il concetto di mobilità urbana e sostenibile, e Fitbit, azienda che aiuta le persone a condurre una vita più sana e attiva offrendo dati, ispirazione e consigli per raggiungere obiettivi di forma fisica per il benessere.

Prenota il tuo posto per seguire l’evento in streaming di illimity, venerdì 19 giugno alle ore 14.00

illimity Hubs per una nuova user experience

Si tratta di una vera novità, perché con gli illimity Hubs, la banca vuole andare oltre il tradizionale modello di partnership in un’ottica cross industry finalizzata ad anticipare e rispondere in modo sempre più efficace alle esigenze dei clienti attraverso una user experience unica e integrata, che, per la prima volta, inizia e termina all’interno della piattaforma di illimitybank.com.

All’interno degli illimity Hubs, infatti, è possibile utilizzare le funzionalità offerte dai partner attraverso l’integrazione nella piattaforma di illimitybank.com e attivare servizi sinergici con l’operatività bancaria.

Un esempio? Si può usare la possibilità di creare progetti di spesa connessi alla misurazione dei passi fatti e registrati attraverso Fitbit con l’obiettivo di raggiungere la somma necessaria a realizzare i propri sogni o compiere determinati acquisti.

Oppure, integrando l’app di MiMoto, si può prenotare uno scooter con rapidità grazie alla funzione di Geomapping, ottenere la nota spese dei propri viaggi e avere una carta di debito elettronica personalizzata MiMoto.

Inoltre, grazie ai sistemi evoluti di data analysis e di intelligenza artificiale, vengono forniti suggerimenti personalizzati che combinano l’attività del cliente con i suoi consumi e abitudini quotidiane.

Dalla banca diretta fully digital a un ecosistema evoluto

Gli illimity Hubs disponibili dal 16 giugno e inizialmente riservati ai clienti dei partner che apriranno un nuovo conto illimity, saranno disponibili per tutti i clienti della banca a partire da luglio.

“In piena logica open banking, abbiamo creato un’unica piattaforma che consente ai clienti di accedere alle app di partner d’eccellenza non finanziari in un ecosistema evoluto sia in termini di offerta sia di user experience interconnessa. Grazie al debutto degli illimity Hubs, la banca diretta fully digital di illimity, dimostra ancora una volta di saper andare oltre ridefinendo le frontiere del banking e mettendo al centro il cliente e la sua quotidianità”, ha commentato Carlo Panella, Head of Direct Banking and Chief Digital Operations Officer di illimity.

Per saperne di più sull’evoluzione del banking e su illimity Hubs, prenota il tuo posto per seguire l’evento gratuito in streaming che si terrà il prossimo 19 giugno alle ore 14.00.

cosa resta della tecnologia dopo l'emergenza

L’eredità tecnologica dell’emergenza aiuta persone e aziende a ripartire

  • Lo streaming diventerà il nuovo modo di consumare i contenuti.
  • Anche per lo Smart Working, una volta che i lavoratori avranno un assaggio di cosa significa davvero e i dirigenti vedranno che i dipendenti saranno più produttivi, diventerà la nuova normalità.
  • L’emergenza COVID-19 lascerà un segno enorme su come consumiamo, come impariamo, come lavoriamo e come socializziamo e comunichiamo, grazie all’uso che abbiamo fatto della tecnologia durante l’emergenza.

 

I cambiamenti che stiamo vivendo in questo periodo di ripartenza sono molteplici. Molte di quelle che erano le nostre abitudini sono state stravolte, a partire dal tempo libero, e dal lavoro.

A causa del virus, tutti i cambiamenti già in atto hanno subito un’accelerazione. Internet è diventato sempre più fondamentale per far fronte alla pandemia, e quando tutto questo sarà finito, saremo più dipendenti che mai dall’essere connessi.

Dall’inizio del lockdown le nostre esigenze sono cambiate, lo ha sottolineato Think with Google, che indica che ad oggi le ricerche fatte dai consumatori sono più “sofisticate”.

Le persone si sono adattate alla nuova quotidianità, sfruttando maggiormente quelli che sono gli spazi casalinghi.

Poco più di un secolo fa, un mondo molto meno connesso ha subito una pandemia simile e ne è uscito cambiato. L’influenza spagnola del 1918 ha infettato 500 milioni di persone, ucciso 50 milioni e confinato le persone nelle loro case.
Ciò ha avuto un profondo effetto sulla medicina, in particolare sullo studio e il trattamento dei virus, che erano noti, ma non ben compresi. All’epoca, la maggior parte degli scienziati credeva che l’influenza fosse causata da batteri, ha affermato Laura F. Spinney, autrice di Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How It Changed The World. La devastazione dell’influenza ha dato origine ai sistemi di medicina socializzata in Europa, così come al sistema basato sulle assicurazioni negli Stati Uniti.

Mentre è ancora troppo presto per valutare il danno causato da questa pandemia globale a livello sanitario e medico, è già evidente che cambierà in modo permanente il modo in cui la società funziona. Dal suo impatto sull’economia globale alle nostre vite quotidiane, COVID-19 lascerà un segno enorme su come consumiamo, come impariamo, come lavoriamo e come socializziamo e comunichiamo.

digital detox, coronavirus

Il Coronavirus viene già considerato il momento più impattante di questa generazione e avrà un effetto duraturo. Molti di questi cambiamenti riguardano la tecnologia connessa. Lo streaming è diventato il nuovo modo di consumare i contenuti.

Più di tutte saranno tre le aree maggiormente cambiate da questa pandemia: lavoro, istruzione e intrattenimento. Proviamo quindi ad analizzare come la tecnologia ha supportato questi settori e soprattutto come in futuro ci verrà in aiuto.

Lavoro

Come strategia per contenere le persone potenzialmente infette e impedire che il virus si diffonda ulteriormente, le aziende e le scuole hanno fatto affidamento su Internet. Dall’apprendimento online al telelavoro, molti aspetti della nostra vita quotidiana che erano soliti coinvolgere i contatti faccia a faccia verranno spostati nel cyberspazio. Questo passaggio al lavoro basato su Internet presenta vantaggi, sfide e numerose opportunità.

In Italia prima dell’arrivo della pandemia l’Osservatorio del politecnico di Milano censiva 570.000 persone che lavoravano in smart working, indicando però che quelli potenziali sarebbero stati circa 5 milioni.

A conferma di questo, il grafico sottostante ci mostra la forza lavoro europea che saltuariamente svolge attività da casa in percentuale rispetto all’occupazione totale, e possiamo notare come l’Italia sia in una posizione molto bassa.

Tecnologia

Dopo l’esplosione del virus i numeri delle persone che hanno iniziato a lavorare da casa sono aumentati moltissimo nel giro di qualche settimana.

L’utilizzo di questa metodologia di lavoro è stata resa possibile, grazie anche a diverse piattaforme virtuali: Zoom, Slack e Skype, per citarne alcune.

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Alcuni vantaggi del lavorare da remoto sono un amento della produttività, in quanto viene dichiarato che la concentrazione aumenta, il risparmio di tempo, non dovendosi spostare.

Quello che emerge è che la soddisfazione maggiore si ha nel momento in cui si può alternare il lavoro da remoto a quello in cui ci si può recare in ufficio. Infatti uno degli svantaggi è la mancanza di relazioni dirette con i colleghi, e in alcuni casi aumenta la sensazione di isolamento.

In realtà per sopperire a questo la tecnologia ha potuto arginare questa situazione usando sistemi di teleconferenza.

Tecnologia

In questo ambito i manager maniaci del controllo e i dirigenti legati alla tradizione stanno imparando che lo smart working non è il male in termini di produttività.

Ce ne parla Matt Mullenweg, fondatore di Automattic, la società dietro la piattaforma di blog WordPress. Mullenweg è diventato uno dei principali sostenitori del lavoro da remoto, in cui i dipendenti sono autorizzati a lavorare ovunque si trovino. La sua azienda non ha mai avuto un quartier generale fisico, sebbene i dipendenti si riuniscano una volta all’anno.

Sebbene Mullenweg sia il primo a sostenere questo modo di lavorare, non è così che immaginava che la rivoluzione del lavoro in smart working prendesse piede.

Questi sono tempi anormali, le persone fanno fatica a lavorare da casa, in quanto la situazione è davvero estrema. I bambini sono a casa da scuola e bisogna, ovviamente, dedicagli molto tempo. Siamo preoccupati per i nostri cari. Anche quando si lavora da casa, la migliore pratica è uscire e socializzare. Questa situazione, non lo permette.

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Detto questo, Mullenweg ritiene che questo sia un punto di svolta per il lavoro da remoto. Una volta che i lavoratori ne avranno un assaggio e i dirigenti vedranno che, sì, i dipendenti sono spesso più produttivi, diventerà la nuova normalità.

Per alcune aziende, il telelavoro può essere un vantaggio per i loro profitti. Immagina una società in grado di gestire tutto il lavoro da casa. Non è necessario affittare spazi per uffici di grandi dimensioni. Non c’è bisogno di lunghi spostamenti. Orari flessibili e lavoro in pigiama (o qualsiasi cosa tu voglia indossare). Con il telelavoro, puoi assumere un gruppo di dipendenti geograficamente diversificato senza preoccuparti di dove alloggiarli o trasferirli.

Questa situazione potrebbe rappresentare un futuro diverso anche quando la pandemia sarà finita?

Istruzione

La chiusura delle scuole, come sappiamo, è stata una delle prime azioni messe in atto contro il Covid-19. Ciò ha colto impreparato il sistema scolastico, che ha catapultato tutti gli insegnanti nel mondo delle lezioni a distanza.

Tecnologia

Molti insegnanti, hanno cercato di padroneggiare gli strumenti per la didattica online e di fornire supporto tecnico a genitori e studenti che non hanno familiarità con la tecnologia.

In termini di istruzione, l’apprendimento online presenta alcuni vantaggi. Per molto tempo, scuole e università hanno resistito all’istruzione online e sono state considerate inferiori.

Tuttavia, con un virus in rapida diffusione e strutture piene di persone a stretto contatto, le scuole non hanno avuto altra scelta che passare alle lezioni online come soluzione alternativa, seppure temporanea. Consentendo agli studenti di imparare da casa, le scuole come le università possono permettere a più studenti di frequentare la stessa classe contemporaneamente, mentre gli studenti che hanno perso delle lezioni per qualsiasi motivo possono compensare con lo streaming video.

La didattica online non è la soluzione a tutti i mali della scuola pubblica italiana, i rischi sono comunque tanti, ad esempio: l’insegnante che parla per tutto il tempo senza riuscire ad interagire con i suoi alunni, una classe virtuale che potenzialmente, potrebbe distrarsi più spesso, senza tener conto del bisogno di interazione con i compagni di classe.

In questo contesto diventa fondamentale avere infrastrutture e alfabetizzazione digitale sia degli studenti che dei docenti.

Ora è importante passare da uno stato di emergenza dell’istruzione a distanza a quello di vederlo come un’opportunità per ripensare al processo di insegnamento.

Come molti stanno scoprendo, non si tratta di padroneggiare la tecnologia, si tratta di come si insegna.

Intrattenimento

Come già sottolineato lo streaming è stato il protagonista di questo lockdown, in questi mesi ci sono state alcune app che hanno fatto da padrone, troviamo Tik Tok, zoom, Disney+, l’app di Nike training, Netflix e Telegram.

Serie tv e film sono stati per molti di compagnia e non è strano che gli utenti registrati siano aumentati negli ultimi mesi. Eclatante è stato il caso della piattaforma Disney+ lanciata a marzo che ha visto un iscrizione da parte dei consumatori molto più alta di quello che era stato previsto.

A dover far i conti con questa situazione è sicuramente il settore dell’intrattenimento che dovrà effettuare non pochi cambi per poter adeguarsi allo stile di vita post pandemia. Gli eventi dovranno essere più piccoli e gestiti in modo diverso, in questo senso dovrà avvenire una vera e propria rivoluzione. Nei cinema e teatro si stima che ci sarà una riduzione di affluenza compresa tra il 40 e 60% imposte dalle norme di sicurezza e il distanziamento.

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Il cinema in particolare stava già vivendo un momento di transizione e di cambiamento, in parte dovuto all’aumento costante delle piattaforme streaming, che trasmettono contenuti appena usciti dai cinema. Come è successo per gli altri settori, il virus ha accelerato un cambiamento che comunque sarebbe avvenuto in un prossimo futuro. Incisivo è stato il caso di Trolls World Tour, un cartone firmato Dreamworks, atteso soprattutto dai più piccoli, in uscita al cinema a inizio aprile. Non potendo ovviamente essere trasmesso al cinema è stato reso disponibile in digitale comodamente da casa.

Tecnologia

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Lo streaming di contenuti online è diventato molto popolare negli ultimi dieci anni. Man mano che i cinema chiudono e gli eventi dal vivo vengono cancellati di fronte a una pandemia globale, lo streaming diventerà un modo ancora più critico e dominante per fornire contenuti al consumatore. Dai concerti agli eventi sportivi, quelli che una volta erano considerati eventi principali per il grande pubblico di persona saranno costretti a trasmetterli in streaming ai fan di casa.

Sebbene gli eventi live dopo l’attuale crisi torneranno, si prevede che più fan e consumatori rimarranno invece nel comfort delle proprie case e guarderanno eventi che vengono trasmessi in streaming o in live invece di pagare biglietti costosi, alloggi. Lo streaming di film a casa, già un’opzione in uso, aumenterà di popolarità, con aziende come Netflix e Disney che ne trarranno vantaggio. Allo stesso tempo, l’industria dell’intrattenimento dal vivo e le attività teatrali ne risentiranno.

Cosa resterà della tecnologia dopo l’emergenza

Per preservare le connessioni umane, internet è uno strumento essenziale. Grazie ad esso, l’apprendimento online, lo streaming e il telelavoro sono tutte tecnologie disponibili.

In questo ultimo periodo molti servizi online sono diventati sempre più abituali, come effettuare pagamenti online, frequentare corsi da remoto, e video di attività fisica. Senza dimenticare l’incremento dello smart working che in molti casi migliora la qualità della vita e riduce l’impatto ambientale.

Sfortunatamente, affinché tutti questi metodi siano implementati in modo appropriato, dobbiamo disporre di una rete in grado di sostenere tale larghezza di banda e, per molti l’infrastruttura è gravemente carente.

Mentre molti di noi che vivono in città dispongono di Wi-Fi e Internet ad alta velocità, le persone che vivono in aree rurali non lo hanno, ciò provoca un potenziale divario di informazioni in tempi di crisi. Inoltre, gli adulti più anziani la cui sopravvivenza dipende da informazioni adeguate non sono in grado di navigare online, rendendoli vulnerabili ad informazioni false.

Gli studenti meno abbienti potrebbero non avere la tecnologia necessaria per partecipare ai corsi online e alcuni lavoratori potrebbero non avere le connessioni per il telelavoro. Per riparare questo divario informativo, il governo e le imprese private dovrebbero investire per estendere la copertura della rete domestica a milioni di persone a un costo accessibile.

Indipendentemente dalla durata e dalla gravità della pandemia a livello globale, tutto questo avrà un impatto duraturo sulla nostra società, ed è evidente come il supporto della tecnologia sia fondamentale per lo stile di vita che avremo dopo questa pandemia.

retail new normal report

Retail in Europa: come si preparano i consumatori per l’estate

  • In Europa, il 40% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato più articoli online dall’inizio della pandemia.
  • I dati di Comscore ci mostrano i livelli di attività tra le categorie di retail che hanno visto un notevole cambiamento tra il 27 aprile e il 31 maggio 2020, periodo in cui i governi europei hanno gradualmente revocato le restrizioni del lockdown.

 

Il termine del lockdown ha determinato un nuovo inizio per molti settori. Un confronto importante con quello che è stato definito “new normal”, alla luce dei dati dei mesi dell’emergenza, ma anche in una prospettiva di ripresa.

È quello che emerge anche dal nuovo approfondimento realizzato da Comscore sui comportamenti degli utenti europei nel mondo online.

In Europa, il 40% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato più articoli online, inclusi prodotti di prima necessità e generi alimentari, dall’inizio della pandemia, secondo l’ultima rilevazione del Global Digital Payments Tracker di Comscore.

Scopriamo gli insight sui livelli di attività tra le categorie di retail che hanno visto un notevole cambiamento tra il 27 aprile e il 31 maggio 2020, un periodo in cui i governi europei hanno gradualmente revocato le restrizioni del lockdown e i consumatori hanno iniziato a pianificare le vacanze estive.

LEGGI ANCHE: Gli effetti della pandemia sulla moda e la ripartenza per il settore retail

retail new normal report

Abbigliamento

L’estate è il momento in cui le persone rispolverano il proprio abbigliamento estivo.

Nonostante quest’anno il comportamento dei consumatori sia cambiato radicalmente, si sono rilevati segnali che dimostrano che la voglia di nuovi outfit per l’estate non è stata completamente annullata: i dati settimanali mostrano un aumento delle visite ai siti retail di abbigliamento online in quasi tutti i paesi dell’EU5 nel periodo dal 27 aprile al 31 maggio 2020.

L’aumento più elevato è stato registrato in Francia, con un aumento del 32% nella settimana tra il 25 e il 31 maggio 2020 rispetto alla settimana tra il 27 aprile e il 3 maggio 2020. La Germania è stata l’unico paese del gruppo che ha registrato una diminuzione delle visite a questa categoria di siti, con il 13% di visitatori in meno.

Profumi e cosmetici

Vi sono diversi dati che dimostrano che i consumatori hanno speso meno per l’igiene personale e i prodotti per la cura di sé stessi durante il lockdown. Tuttavia, ad eccezione del Regno Unito che è in ritardo rispetto ad altri Paesi per quanto riguarda la revoca delle restrizioni della quarantena, la categoria Profumi e cosmetici ha chiuso il periodo con una risultati leggermente più elevati rispetto all’inizio.

L’Italia ha visto la variazione maggiore, con un aumento del 35% delle visite, seguita dalla Francia con un aumento del 19%.

La volatilità osservabile dei dati rilevati deriva dal fatto che le dimensioni del target di questo settore sono inferiori rispetto ad altre categorie di vendita al dettaglio come quella dell’abbigliamento, per esempio, il che lo rende molto più sensibile agli eventi esterni come le festività che hanno costellato tutto il mese di maggio in Europa.

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Sport e attività all’aperto

Poiché l’estate è un periodo caratterizzato dalla ripresa delle attività all’aperto, non è insolito rilevare picchi nella categoria Sport / Outdoor. E, con la rilevante eccezione della Germania, ciò si riflette infatti nei dati: le visite alla categoria dei siti e app retail Sport / Outdoor sono aumentate in tutti i paesi dell’UE5, esclusa proprio la Germania.

Il comportamento osservato nel Paese tedesco riflette lo stesso modello rilevato per la categoria Abbigliamento. Le ragioni di questo fenomeno non sono chiare. La Germania è stata tra i primi paesi dell’EU5 a revocare gradualmente le restrizioni, e questo ha forse incentivato meno i consumatori a orientarsi verso gli acquisti online.

Verso un ritorno alla normalità

Mentre l’aumento delle attività di vendita al dettaglio nelle ultime settimane è stato limitato a una manciata di categorie, l’aumento delle visite potrebbe essere un segnale promettente per un eventuale ritorno a un comportamento più normale dei consumatori. La stagionalità svolgerà un ruolo importante in questo processo.

Sul lungo termine, poiché i consumatori continuano a mostrare sempre più agio nell’acquisto di articoli online mai comprati prima su Internet, esiste la possibilità che il campo d’azione dei loro acquisti si espanda andando a integrare anche il web.

way of working

L’importanza del WOW (Way Of Working) per il Team

In questo periodo molte aziende stanno scoprendo che, effettivamente, si può lavorare da remoto senza necessariamente condividere tutti i giorni le scrivanie.

Ma come sta andando? Per alcuni professionisti e team è cambiato poco mentre per altri si è trattato di una mezza rivoluzione: come possiamo migliorare il modo in cui i team lavorano? Partendo dal WOW.

Way Of Working (WOW)

WOW è un acronimo che sta per Way Of Working e che potremmo tradurre con “il modo in cui un gruppo decide di lavorare” ed è un elemento fondamentale per aumentare le probabilità di successo di un team nella realizzazione di un progetto o per il raggiungimento di un obiettivo.

Pensiamo infatti all’ultimo progetto che abbiamo realizzato con altre persone: è stato facile? È andato tutto bene? Molto probabilmente ci sono stati intoppi e screzi, alcune incomprensioni hanno generato ritardi, l’account ha dovuto chiamare il cliente, sono stati necessari quattro rework e via dicendo.

Due buone notizie: quelli elencati sono problemi comuni a molti team di progetto e tutte queste criticità possono essere mitigate. Per arrivare al WOW è necessaria una premessa: un gruppo di persone in una stanza che lavora sullo stesso progetto non è necessariamente un team. Un team è qualcosa di più, sono persone che lavorano insieme e lo fanno perché lo vogliono, perché sanno che cosa devono fare: è un punto di arrivo e non di partenza.

Da dove iniziamo allora per portare questi soggetti eterogenei verso una maggior collaborazione? Aiutandoli a capire come lavorare insieme e supportandoli nella definizione della loro Way Of Working. Parole come “aiutiamo”, “supportandoli” e “loro” non sono casuali e raccontano già molto: si tratta di soluzioni locali (specifiche per ogni gruppo) e non necessariamente trasferibili.

Non è possibile definire una check-list da seguire che si possa replicare esattamente con ogni gruppo sperando di ottenere lo stesso risultato: la cosa bella delle persone e dei team è che sono tutti diversi. Parafrasando Lev Tolstoj “…ogni team infelice è invece disgraziato a modo suo…”.

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La necessità dei framework

Bisogna quindi definire dei framework, delle soluzioni ad alto livello che poi i singoli team possano calare nella loro realtà definendo così il modo in cui quel gruppo lavora e attenzione: queste soluzioni non sono sempre valide anche all’interno dello stesso gruppo. Uno degli elementi chiave è infatti il contesto.

Pensiamo a questa pandemia: in molti casi è una forzatura parlare di Smart Working o Agile Working. Riflettendo meglio appare chiaro come in realtà alcune persone stanno lavorando da casa (come in ufficio) durante un’emergenza non potendo uscire di casa. È una situazione diversa rispetto a quella nella quale ci si gestisce gli spazi e li modo di lavorare in serenità (che si spera torni presto o si diffonda sempre più).

Ogni team quindi può dover ridefinire al variare del contesto il proprio WOW e questa è la risposta che mediamente nessuno vuole sentirsi dire: non esiste una ricetta, non è facile e ci vuole tempo (praticamente quello che accomuna tutte le cose belle e che meritano di essere fatte).

In questo momento quindi è opportuno che il team si chieda come sta lavorando e se questa modalità sia efficace, quali siano le problematiche e che cosa invece stia funzionando bene. È una riflessione importante che necessita in alcuni casi di essere guidata. Pensiamo ad alcune domande:

  • Come stiamo lavorando oggi? La domanda più difficile è la prima perché bisogna rispondere sinceramente: la tentazione sarà di rispondere più sul “come dovremmo lavorare” o “quali sono i processi standard”. Il consiglio è quello di mappare e descrivere quello che succedere davvero: bisogna visualizzare le inefficienze per risolverle.
  • Che strumenti usiamo per lavorare? Si tratta di un passaggio fondamentale per evitare di perdersi tra Mail, Messenger, Whatsapp e dover cercare ogni volta i documenti
  • È necessario che tutti siano online e disponibili alla stessa ora? Se in questo momento ci sono esigenze specifiche (es. tenere i bambini durante una call) magari ci si può organizzare all’interno del team, oppure valutare le differenze di fuso orario
  • Lavoriamo in maniera sincrona o asincrona? Se in ufficio possiamo abbuffarci di informazioni (tanto i colleghi sono sempre disponibili, al massimo vado alla scrivania, lo interrompo e gli chiedo qualche dettaglio sul brief) spesso da remoto non è possibile e bisogna considerare le implicazioni e come aumentare e strutturare le comunicazioni (ed evitare di vivere in conference infinite)
  • Cosa intendiamo con queste parole? Definire bene il lessico aiuta il team a ridurre le ambiguità e non perdersi. Un esempio su tutti? Finito. Cosa vuol dire “finito”? Che ha mandato all’account? Che è stato approvato dal PM? Che è chiuso il progetto? Bisogna capirlo insieme
  • Sono chiari a tutti il progetto e le tempistiche? Le persone non sono cattive e non sono stupide, partiamo da questo assunto. Se vengono commessi degli errori nella maggior parte dei casi è perché è mancata comunicazione e non c’è stata chiarezza nella definizione del progetto o delle esigenze. Un esempio: “te lo consegno domani” vs “domani verso le 17.40 ti consegno un report in ppt dove ci sono le quattro richieste fatte dal cliente”. Ricchezza informativa e chiarezza che aiutano poi a discutere e fidarsi nel team.

Queste sono solo alcune delle domande che un team si può porre per iniziare a definire il proprio Way Of Working che dovrà poi evolvere nel tempo per aiutare quel gruppo di persone a diventare un team che lavori sempre meglio attraverso piccoli cambiamenti costanti nel tempo, il kaizen del team.

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Il ciclo di Deming

Riprendendo infatti la filosofia Lean stiamo semplicemente riportando il ciclo di Deming (PDCA – Plan – Do – Check – Act) a livello di team per definire il WOW, definire dei miglioramenti, metterli alla prova e valutare il risultato: si tratta di portare un mindset differente anche a livello di team e avere un Project Manager con un ruolo che diventa più di supporto e crescita che di comando e controllo.

Le soluzioni per il team

Per identificare i WOW del proprio team e farli evolvere esistono numerose soluzioni e possiamo citarne due: uno più legata ai processi e l’altro è invece uno strumento. L’elemento di processo è la Retrospettiva: si tratta di un momento, normalmente alla conclusione di una fase di progetto, durante il quale il team analizza che cosa ha funzionato e cosa invece può essere migliorato. Dal mio punto di vista l’applicazione ottimale è quella indicata da Scrum (uno dei principali framework di Agile) che prescrive alla fine di ogni ciclo di lavoro, oltre che di progetto, una Retrospettiva dando vita a uno dei principi dell’Agile Manifesto (Regular reflections on how become more effective).

Se infatti nelle metodologie tradizionali la riflessione è relegata alla fine del progetto, in Scrum è obbligatorio fermarsi alla fine di ogni ciclo di lavoro (chiamati Sprint) in modo da migliorare durante lo sviluppo del progetto e non solo tra un progetto e l’altro. In questo momento il team quindi valuta che cosa sta funzionando e può esplorare il modo in cui sta lavorando, identificare alcuni cambiamenti e implementarli per poi verificare i risultati.

Durante le retrospettive possono essere usati vari strumenti e spesso si utilizzano il serious gaming o legate al visual thinking (una raccolta si trova ad esempio su funretrospectives o gamestorming ). Uno degli esercizi più famosi è chiamato “starfish”: si tratta di uno spazio diviso in cinque aree dove troviamo Keep (Cose da tenere), Less (Da fare meno), More (Da fare di più), Start (Esperimenti), Stop (Smettere). Il team a questo punto può discutere di alcuni degli elementi e identificare visivamente alcuni cluster, esperimenti o comportamenti da modificare.

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Starfish per le Retrospettive

Per quanto invece riguarda lo strumento, anche per i team esistono alcuni Canvas, come per qualunque altra cosa (o quasi). Si può scegliere tra il Team Canvas e il Business Model Team. Il secondo è decisamente più strutturato e offre anche una serie di strumenti aggiuntivi per riflettere sul proprio team e sui punti di forza, mentre il primo è disponibile in due versioni, una completa e una basica.

Team Business Model Canvas by Bigname.

Dovendo scegliere un punto di partenza e non avendo fatto lavori analoghi, probabilmente è possibile partire dall’ultimo (Basic) per poi procedere nelle retrospettive successive verso gli elementi più strutturati e le riflessioni più profonde per costruire il proprio WOW.

A ogni caso il suo way of working

Come abbiamo visto si tratta di processi e strumenti che possono facilitare la definizione di un metodo di lavoro (costringendoci a fermarci con le retrospettive e rendendo visibili elementi positivi e inefficienze del nostro team e del mondo in cui sta lavorando con i canvas), ma non ci sono soluzioni pronte.

Sarà ogni contesto a dover analizzare i propri vincoli, il livello di maturità delle persone e dei team e, sulla base degli elementi a disposizione trovare il modo in cui lavorare meglio.