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La ripresa del settore Travel passa dalla fiducia dei consumatori

  • Con le compagnie aeree che hanno cancellato voli in tutto il mondo e gli hotel chiusi, le aziende del settore hanno dovuto reagire rapidamente al lockdown gestendo un numero di richieste senza precedenti.
  • Andrea Bertoli, COO di lastminute.com group, ci racconta cosa sta accadendo oggi nel settore Travel e quali sono i primi segnali della ripresa.

Dopo un crollo delle prenotazioni del 95% nel mese di aprile, le prenotazioni in Francia, Italia, Spagna, Germania e UK sono in ripresa settimana dopo settimana, segno che il desiderio di andare in vacanza all’estero esiste ancora, nonostante tutto.

A spiegarlo è Marco Corradino, Ceo di lm group, che nelle scorse settimane ha anche lanciato un appello alla collaborazione tra compagnie aeree e agenzie di viaggio per salvaguardare le vacanze estive in vista della graduale ripresa delle prenotazioni a giugno.

Mentre in tutta Europa si allentano le misure di blocco, il settore Travel inizia a rialzarsi, suggerendo che i viaggi sono ancora tra le priorità dei consumatori.

In particolare è la gestione dei rimborsi a rappresentare ora un ostacolo per le nuove prenotazioni: “Molte persone hanno ancora i propri soldi bloccati in seguito ad annullamenti e cancellazioni. Dobbiamo intervenire rapidamente in modo che le persone possano prepararsi a prenotare nuovamente i loro prossimi viaggi”, spiegano da lastminute.com.

Certamente il modo di viaggiare oggi è cambiato e le regole di sicurezza sanitaria sono una priorità per tutti gli operatori, dalle compagnie aeree agli hotel. Perché la partita del recovery si gioca su un fattore essenziale prima di tutto: la fiducia dei consumatori.

Su quest’ultimo punto in particolare, abbiamo sentito Andrea Bertoli, COO di lm group.

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I numeri del lockdown per la Travel Industry

Per il settore del Turismo il lockdown ha segnato più che per altri una cesura rispetto alla normalità. Quali sono i numeri di questa crisi a livello europeo?

«Stando alle stime dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, gli arrivi internazionali globali dei turisti potrebbero diminuire del 20-30% nel 2020 rispetto al 2019. Questo potrebbe tradursi in una perdita della spesa dei turisti internazionali che ammonta a 300-450 miliardi di dollari (270-407 miliardi di euro)

Di conseguenza, il World Travel and Tourism Council (WTTC) prevede che nel 2020 il mercato dei viaggi e del turismo potrebbe perdere 75 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo e 6.4 milioni nella sola Europa.

A livello europeo, si stima una perdita delle entrate per l’industria del turismo che si aggira su 1 miliardo di euro per mese come risultato dello scoppio del COVID-19.

Gli aeroporti europei potrebbero perdere 700 milioni di passeggeri (-28%), corrispondenti a 14 miliardi di euro di entrate nel 2020».

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Cosa è successo durante l’emergenza

La reazione di player del settore e compagnie aeree rispetto ai rimborsi, può essere spiegata come un momento di panico o ci sono dinamiche che vanno riviste anche nella gestione ordinaria?

«Stiamo affrontando la più grande emergenza di sempre che sta colpendo moltissime aree di business, l’industria del turismo e dei trasporti è il settore che più di ogni altro è stato sopraffatto da questa situazione.

Con le compagnie aeree che cancellano voli in tutto il mondo su base giornaliera, gli hotel che chiudono le loro porte a causa del lockdown, le aziende del settore hanno dovuto reagire rapidamente alla situazione gestendo un numero di richieste senza precedenti. Nessun operatore del settore era pronto a gestire questo tipo di volumi. Siamo passati dall’essere un sito di prenotazione a un sito di cancellazione.

C’è stato, ovviamente, un ritardo con una mancanza di leadership e chiarezza in merito alle linee guida e alle raccomandazioni della Commissione europea, unitamente a una mancanza di coordinamento con i governi locali che ha creato confusione e panico per i viaggiatori e i passeggeri in viaggio quando invece intraprendere azioni normative chiare e decisive era urgentemente necessario».

LEGGI ANCHE: Post-covid: l’emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro

Quali sono i principali rischi della perdita di fiducia da parte dei consumatori?

«La mancanza di coesione ha alimentato l’incertezza e gli effetti sono stati percepiti da tutti, inclusi gli intermediari come ad esempio il nostro gruppo. La relazione con i partner è cruciale nella ricostruzione della fiducia del cliente nel momento in cui vi è una netta mancanza di uniformità.

Questo è il motivo per cui il nostro gruppo ha recentemente lanciato un appello alle compagnie aeree e alle aziende travel ad una maggiore collaborazione, per garantire che le persone vengano rimborsate per i viaggi persi il prima possibile. Il cliente non può essere forzato ad accettare il voucher: è meglio restituire il denaro e ristabilire quel clima di fiducia che favorisce la ripartenza del settore.

Dobbiamo voltare pagina e preservare le vacanze estive in vista di una graduale ripresa delle prenotazioni a giugno, poiché ciò che possiamo dire è che il desiderio di andare all’estero è ancora molto presente. Abbiamo infatti registrato un enorme aumento del traffico sul nostro portale nelle ultime settimane, nel momento in cui c’è stato un allentamento delle misure di blocco in tutta Europa: questo ci fa pensare che le vacanze sono ancora in cima all’agenda per molte persone».

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Da dove parte la ripresa

Quanto è complesso essere coesi come operatori del settore in questo momento e cosa c’è in gioco?

«L’ecosistema dei viaggi è molto complesso con molti attori: fornitori (compagnie aeree e albergatori più tutti i fornitori di servizi ausiliari), agenti (tradizionali e online), intermediari all’ingrosso B2B (ad es. Banche e consolidatori di letti), società di tecnologia dei viaggi (ad es. GDS , aggregatori e fornitori di software) e canali di marketing (ad es. Google e meta searches).

La cooperazione non è facile perché ci sono molti player, alcuni dei quali molto grandi su scala globale, e tutti gli attori del settore cercano di ottenere il massimo valore possibile. Molto spesso i tuoi partner sono anche i tuoi concorrenti.

Chiaramente, questo rende molto difficile essere coesi, specialmente in un periodo difficile come quello che stiamo affrontando oggi».

Quali sono le azioni che andrebbero messe in campo per una ripresa più rapida del settore travel, da parte tanto dei governi quanto delle aziende?

«La prima misura che il governo dovrebbe prendere in considerazione è quella di costruire accordi bilaterali con i suoi principali mercati di emissione, sulla falsariga dei corridoi creati dal Portogallo con il Regno Unito. Prima di parlare di finanziamenti, dobbiamo assicurarci che la mobilità sia un’opzione per le persone in tutta Europa.

Le aziende dovranno migliorare ulteriormente la tecnologia e disporre di sistemi più automatizzati, per poter gestire volumi più elevati in futuro anche dato che il passaggio da offline a online, che stava già avvenendo, è stato accelerato dagli effetti dell’epidemia di COVID-19.

Bisogna essere creativi, ridefinire e reinventare le strategie di marketing: se non puoi spendere molto, spendi saggiamente. Vendite potenzialmente meno dirette e maggiore attenzione alla personalizzazione e all’ispirazione.

Abbiamo anche ascoltato i nostri clienti e insieme ai nostri partner aerei e alberghieri, abbiamo introdotto misure per offrire ai viaggiatori una maggiore flessibilità e tranquillità durante l’organizzazione del viaggio. Come ci hanno detto i nostri clienti, questa, piuttosto che il prezzo, è ora la loro più grande priorità al momento della prenotazione».

LEGGI ANCHE: Viaggiare (anche attraverso i social) aiuta a ritrovare l’ispirazione

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Siamo già nella seconda settimana di giugno e i dati sull’epidemia (almeno in Europa) lasciano ben sperare. Si inizia a registrare una ripresa nel travel anche per le prenotazioni?

«Dopo 7 settimane più o meno piatte in termini di trend delle prenotazioni, a partire dal 20 maggio abbiamo visto segnali di ripresa. Da quel momento, ogni settimana vediamo un tasso di crescita nell’intervallo del + 75/80% rispetto alla settimana precedente.

Ovviamente siamo ancora lontani dai numeri dell’anno scorso, ma dal punto più basso, all’inizio di aprile, i numeri delle prenotazioni ora sono già 10 volte superiori, specialmente in Italia.

Guardando ai mercati, i segnali di ripresa sono ovunque; in Spagna e Francia sono iniziati pochi giorni prima, a seguire in Germania e Italia. Il Regno Unito è un po’ indietro in questa fase di ripresa, ma ciò è giustificato dalle misure per il Covid-19 che sono ancora in atto nel paese».

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Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja

Il momento storico in cui siamo stati catapultati, ha davvero scosso i nostri animi. Siamo stati costretti a reinventarci e pensare a nuovi possibili modi di vivere, interagire e lavorare.

In particolare il lavoro da remoto e la sua diretta evoluzione, lo smart working, sono diventate parole chiave fondamentali di questo cambiamento, per garantire la business continuity.

Rispondere in modo efficace a questa nuova necessità presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che possa attivare il framework per avviare, sostenere e scalare una iniziativa di smart working.

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Trend, dati e potenziale del Food Delivery nell’era Covid

  • Coronavirus e lockdown hanno alimentato nell’ultimo periodo le consegne a domicilio: aumentano gli ordini da mobile e i pagamenti digitali.
  • Oggi l’ulteriore accesso al digitale per gli utenti ha un enorme potenziale nel food delivery.

 

Durante il lockdown, le strade deserte, senza pedoni e con pochissime macchine in circolazione, lasciavano spazio ad una presenza costante dei rider del food delivery.

La chiusura al pubblico di bar, pizzerie, ristoranti, infatti, non ha fermato l’attività di consegna al domicilio, anzi, molti clienti si sono avvicinati al servizio per la prima volta, proprio in relazione alla fase di emergenza.

Ma, cosa prediligono ordinare gli italiani?

consegne a domicilio

I cibi più ordinati sulle piattaforme di food delivery

Pollo allo spiedo di Giannasi 1967: il cibo più ordinato su Deliveroo

Deliveroo, piattaforma leader del food delivery, ha fatto il punto sulle preferenze degli italiani in termini di cibo a domicilio. Durante gli ultimi mesi, la città che più di ogni altra ha fatto ricorso a Deliveroo è stata Milano, davanti a Roma, Cagliari, Firenze e Bologna. Seguono Bolzano, Monza, Bergamo, Busto Arsizio e Modena. Tendenzialmente le persone preferiscono ordinare il fine settimana, con la preferenza per la giornata di sabato, seguita dalla domenica e dal venerdì. 

La cucina più apprezzata a livello nazionale è sicuramente quella italiana, con una predilezione per la pizza e la pasta. Seguono la cucina americana (in particolare gli hamburger), il gelato (+58%), il poke hawaiano e la cucina giapponese (sushi). Confrontando i dati con il passato, però, è notevole la perdita di posizione della cucina cinese, che fino ad oggi è sempre stata stabile nella top 5 delle cucine best-seller.

Quali sono i cibi più acquistati secondo Deliveroo? Al primo posto c’è il Pollo allo Spiedo di Giannasi 1967 (Milano), seguito dal Bacon King di Burger King (Roma) e l’OS Burger di Old Square (Cagliari). In quarta posizione c’è il Bowl Componibile di Pokeria By Nima (Firenze) e in quinta il Burger & Amazing Fries di Snack Jack (Bolzano). Seguono il Burger, pancetta, cheddar e insalata di La Birreria Italiana (Monza), il TW burger di Burger Wave (Bergamo), il Burger di manzo di Panino Grigliato (Busto Arsizio) e la Vaschetta 750 gr di Antica Gelateria Modenese (Modena). 

 

LEGGI ANCHE: Food delivery anche a lavoro: ecco cosa sceglie chi ordina

Pizza, patatine, hamburger e dolci dominano la classifica di Uber Eats

Trend molto simili emergono dalle statistiche di Uber Eats: in cima alla classifica dei cibi a domicilio più ordinati troviamo la pizza, in particolare la margherita. Seguono, poi, le patatine fritte, il salmon poke e numerosi prodotti della tradizione americana come hamburger e chicken nuggets. Ma non solo, molti italiani hanno ordinato panini e sandwich di diverse tipologie: tra i più ordinati durante il lockdown ci sono la Pita Greca Gyros la piadina Kebab e il Pulled Pork Sandwich. Non mancano nemmeno i sapori della tradizione messicana come il Burrito di Pollo, il Tacos di Pollo Asado o i Ribs Tacos.

Tra i prodotti più ordinati ci sono anche i dessert, che hanno addolcito le giornate di quarantena. Con l’arrivo delle giornate calde aumentano sempre di più gli ordini di gelati, che si posizionano al primo posto della classifica. Riscuotono grande successo anche i mochi, dolce tipico giapponese, disponibile in diversi gusti come cocco, cioccolato o mango, e i dolci della tradizione italiana, come il tiramisù e i cannoli siciliani.

Nella classifica non ci sono solo pizza, patatine, hamburger e dolci. I clienti Uber Eats, di target femminile in particolare, hanno preferito un’alimentazione più sana ordinando insalate e zuppe. Fra i cibi veg primeggiano le famose Poke: al primo posto si posiziona infatti la più classica con il salmone, ma sono presenti anche la Chicken Poke, la Vegan Poke e la Spicy Tuna Poke. Fra le zuppe, invece, primeggiano i sapori orientali: al primo posto si posiziona la classica Zuppa di Miso, seguita da Zuppa di Mais e Zuppa Agropiccante.

Secondo Just Eat, il piatto più ordinato in assoluto è la pizza

Anche l’Osservatorio Just Eat ha analizzato i consumi del food delivery degli ultimi mesi: secondo le statistiche, la pizza si conferma al primo posto come il piatto più ordinato (68%), seguita dalla cucina italiana (26%), in particolare la carbonara, le tagliatelle al ragù e l’amatriciana, e dagli hamburger (22%). Il cibo più ordinato sui luoghi di lavoro, invece, è il sushi. Il gelato è una new entry assoluta, che si inserisce, per la prima volta, al quinto posto in classifica.

Tra i principali trend di crescita si attestano poi proprio i dolci e i gelati (+133%), ma anche il sushi in formato famiglia, come le barche e i mix (+124%) e le ormai famose poke bowl (+54%). Emergono inoltre trend specifici, come i menù dedicati a chi lavora da casa, i menù baby, le sfiziosità in abbinamento a cocktail, birre artigianali o bottiglie di vino.

 

Qual è il profilo dell’acquirente medio?

Just Eat ha anche profilato l’acquirente medio del food delivery in fase di lockdown. Si tratta principalmente di uomini (55%), appartenenti alla categoria dei millennials (58%), ma anche famiglie (20%) e adulti (6%). I motivi che spingono gli italiani a ordinare food delivery in questa fase di pandemia sono principalmente quattro: la limitazione delle uscite (59,35%), evitare inutili code al supermercato (47,49%), farsi una coccola (15,97%), oppure la mancanza di tempo o della voglia di cucinare (13,81%). 

Ordini mobili, pagamenti digitali e attenzione alla sicurezza

Fra le altre evidenze del periodo, è possibile riscontrare un leggero aumento degli ordini da mobile (77%), ma anche un incremento dei pagamenti digitali (+36%). Predominante anche la quota di giovani che prediligono l’app rispetto al sito, anche se non mancano acquisti da desktop.

Il tema della salute e della sicurezza, comunque, restano di fondamentale importanza. Secondo il survey, quando ordinano i clienti si aspettano: rider con guanti e mascherina (65%), consegna senza contanti (59%), pagamenti digitali (55%), confezioni ben sigillate (47%) e richieste particolari da parte del rider (25%). Ecco perché, fin dall’inizio, Just Eat ha introdotto una serie di misure di sicurezza importanti (oltre 15.000 mascherine, 50.000 paia di guanti e gel disinfettante monouso, pagamenti elettronici e supporto economico ai dipendenti contagiati). Questo tipo di servizio è stato apprezzato dalla maggior parte degli acquirenti (96,1%), oltre che dai rider (76%).

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Il futuro del food delivery

Le consegne a domicilio rimarranno un’opzione che verrà sicuramente sfruttata anche in seguito alla fase di lockdown: l’80% dei nuovi utenti Just Eat, ad esempio, dichiara che probabilmente ordinerà food delivery anche nelle fasi successive alla pandemia

Questo servizio diventa un punto di forza per ristoranti, pizzerie e bistrot. Secondo le statistiche del food delivery e stando alle parole dell’analista statunitense John Glass:

“Siamo nei primi giorni di un cambiamento potenzialmente significativo nell’accesso alla consegna di cibo a domicilio, in quanto diverse aziende iniziano ad offrire più che mai varietà, velocità e convenienza ai propri consumatori.

Ma, lo sviluppo del digitale ha ancora un enorme potenziale legato al food delivery, basti pensare che attualmente, in Italia, solo il 18% del mercato della ristorazione è digitalizzato.

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Come diventare un Buddha duro (e trasformare il tuo approccio al lavoro)

  • Il duro lavoro può non essere l’unica strada per il successo.
  • Nel suo ultimo libro “The Buddha and The Badass”, il fondatore di Mindvalley Vishen Lakhiani spiega come iniziare a vivere la propria vita a un livello diverso, partendo da una nuova concezione.

 

“Oggi in molti credono al mito che l’unica strada per il successo sia il duro lavoro, per di più lo fanno ora in questo grande momento di incertezza per tutti noi. E se tu sei uno di quelli, beh questo libro sarà un gran bel cambiamento di prospettiva“.

Introduce così il suo nuovo libro Vishen Lakhiani, imprenditore, autore, speaker e scrittore di libri che son diventati New York Times best seller. Vishen è anche il fondatore di Mindvalley, un movimento che sta cambiando l’educazione con milioni di studenti in tutto il mondo.

Ve lo avevamo già presentato in una delle prime puntate di Ninja Economy, quando ci aveva spiegato i segreti del successo planetario di Mindvalley nell’intervista realizzata da Mirko Pallera all’A-Fest Sardegna.

Definirlo semplicemente un punto di riferimento come imprenditore è limitativo: per chi si dedica anima e corpo a una impresa, vita e lavoro diventano una cosa sola.

La missione imprenditoriale di Lakhiani è “missione di vita” e il suo agire nel mercato è agire nella società. Così ogni schema, compreso quello canonico della crescita aziendale, deve essere scardinato.

E oggi quello di cui parla in The Buddha and The Badass, il suo nuovo libro, potrebbe cambiare irreversibilmente tutte le tue credenze riguardo il lavoro, il successo e di conseguenza anche riguardo la tua vita.

Se il duro lavoro non è la soluzione, qual è la soluzione?

“Credo fermamente che tutti noi abbiamo due poteri dentro di noi in conflitto l’uno dall’altro. Io le descrivo come… il Buddha o il maestro spirituale e il ‘cazzuto’ o il cambiamondo sempre pronto a sfidare il pensiero tradizionale.

Quando prendi questi due aspetti che ognuno di noi ha e li mixi nell’ambito professionale il tutto diventa magico”, spiega Vishen.

È questo il modo per iniziare a vivere la tua vita ad un livello diverso rispetto a quello che la maggior parte delle persone fa, operando da un punto di vista di ispirazione, di serenità e di ricchezza.

Il suo primo libro, Il Codice della Mente Straordinaria, è diventato un best-seller su Amazon ed era focalizzato sul distruggere tutte quelle stupide regole che ci circondano e che ci vengono trasmesse da generazioni.

Questa settimana uscirà il suo nuovo libro The Buddha and The Badass. Un’occasione da non perdere per conoscere meglio il pensiero di questo straordinario visionario e per scoprire un nuovo modo di guardare al lavoro.

Inoltre, ordinando prima del 14 Giugno avrai anche accesso a bonus fantastici come diventare parte della cerchia personale di Vishen su Facebook.

Il mondo dopo il Covid: dati, previsioni e ipotetici scenari

  • Il Covid ha innescato una serie di cambiamenti, destinati a radicarsi in modo permanente nelle vite degli individui e delle comunità.
  • Nei prossimi mesi, saremo costretti ad affrontare un mondo dopo il Covid, a ridefinire le nostre abitudini, in termini di lavoro, mobilità, socialità ed esperienze di consumo.

 

È iniziata da poche settimane la fase due e ancora molti degli effetti a breve e a lungo termine di questa pandemia, restano incerti.

Fare previsioni su cosa ci attende diventa sempre più difficile, ma di certo il Covid ha innescato un cambiamento di portata globale, il più grande osservato da molto tempo.

Nel documentare l’emergenza vi è stato un ampio uso di espressioni come “economia di guerra” e “trincee negli ospedali” e a ben vedere l’uso del linguaggio bellico non è così improprio. Il clima di paura e incertezza induce le persone a farsi le stesse domande che ci si poneva durante i conflitti mondiali: cosa ci sarà dopo? Quali saranno i nuovi equilibri globali? Come cambierà la nostra vita in termini di lavoro, mobilità, relazioni sociali?

LEGGI ANCHE: Post-covid: l’emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro

Nuovi equilibri geopolitici: tra individualismo e cooperazione internazionale

In un suo articolo per The Gurdian, il giornalista britannico Timothy Garton Ash si domanda se quello che ci attende è uno scenario più affine al secondo dopoguerra o al primo, ovvero se andremo verso una crescita delle democrazie e della comunità globale, o all’avvento di nuovi nazionalismi e una tendenza alla chiusura degli Stati-nazione.

Come scrive Sylvie Kauffmann in un’analisi pubblicata su Le Monde, più che di rottura di equilibri preesistenti, è più corretto parlare di una brutale accelerazione di cambiamenti che erano già in atto prima della crisi.

Mentre negli Stati Uniti abbiamo assistito a un deciso inasprimento della dottrina “America first” del presidente Trump, rimasto sordo a qualunque cooperazione internazionale, la Cina continua la sua campagna di “diplomazia umanitaria”, approfittando della ritirata degli americani.

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L’esplosione dell’epidemia ha portato a galla tutte le criticità dei sistemi governativi delle singole nazioni, così come degli organi sovranazionali, a partire dall’Unione Europea, dimostratasi impreparata e incapace di dare risposte economiche concrete ai suoi stati membri.

Il rischio in l’Europa, scrive Kauffmann, è quello di una più profonda spaccatura tra nord e sud e un consolidamento delle correnti sovraniste.

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Gianpiero Petriglieri, esperto di leadership, ha spiegato che la metafora della guerra mondiale è applicabile anche sul piano politico, oltre che sanitario, perché, con la corsa al vaccino, i leader dei vari stati acquisirebbero un vantaggio competitivo a livello mondiale.

Nella fase in cui stiamo entrando ci sarà un gran bisogno di collettività, come ribadito anche dal viceministro agli affari esteri Emanuela Del Re in un’intervista con l’agenzia di stampa Dire: “La prospettiva multilaterale è fondamentale in questo momento, perché consente di partecipare a tutti i processi decisionali, e consente di mettere in campo la nostra grande esperienza in campo sanitario nel mondo”

La scienza è per sua natura internazionalista e, in una pandemia, ciò che serve è cooperazione globale.

Smart working e telelavoro, lo scenario italiano

Anche sul fronte telelavoro e smart working, i cambiamenti in atto sembrano destinati a radicarsi nelle nostre abitudini ancora per un bel po’. Attualmente, secondo un sondaggio condotto da Eurofound, sono 4 su 10 le persone che stanno lavorando da casa.

Le varie modalità di lavoro a distanza, che a tratti faticavano a farsi strada in Italia, sono dovute necessariamente diventare la nuova normalità, mettendo in luce i numerosi vantaggi del “lavoro agile”.

La filosofia manageriale su cui si basa lo smart working, è totalmente orientata al risultato prevede autonomia e flessibilità del lavoratore nella scelta di tempi e spazi di lavoro.

Se entrasse stabilmente a far parte delle nostre abitudini, potrebbe rappresentare una buona opportunità per le imprese anche in ottica sostenibile, in termini di risparmio su locazione, climatizzazione, pulizia e allestimento dei luoghi di lavoro, oltre che di alleggerimento del traffico e dei mezzi pubblici.

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Nonostante tutti i rosei presupposti, in Italia i risultati di una ricerca condotta da LinkedIn parrebbero evidenziare una situazione che proprio rosea non è.

Il numero di ore di straordinari da casa come quello dei lavoratori a rischio burnout evidenziano una preoccupante crescita.

Dai risultati è emerso che:

  • Il 46% dei lavoratori italiani si sente più ansioso o stressato perché lavora da casa
  • Il 48% ha sempre lavorato più ore dall’inizio della quarantena
  • Il 18% ha riscontrato un impatto negativo sulla propria salute mentale 
  • Il 16% teme un licenziamento al termine del lockdown

Questo perché nel nostro paese si parla ancora troppo di telelavoro piuttosto che di smart working, che è un concetto un po’ diverso, in primis perché prevede sempre la stessa postazione e orari d’ufficio.

Bisogna pur sempre considerare che parliamo di un cambiamento entrato prepotentemente nelle vite di tutti in un periodo già di per sé psicologicamente duro, in cui il confine tra lavoro, famiglia e tempo libero è diventato sempre più labile.

“Il lavoro da casa e l’impossibilità di uscire ci ha obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero” – ha commentato Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi“L’organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita, una possibilità che ora manca, costringendoci al confronto costante con l’isolamento o alle relazioni con i conviventi”.

Il mondo dopo il Covid, tra iperconnessione ed esperienze di consumo

Dai meeting di lavoro agli aperitivi in balcone, ogni forma di interazione sociale durante il lockdown è passata attraverso uno schermo. Viene da chiedersi come e in che misura questo influenzerà il nostro modo di relazionarci e la socialità in generale, una volta che l’emergenza sarà rientrata del tutto.

Se da un lato il Covid ha cambiato le abitudini d’acquisto, segnando l’impennata degli eCommerce e in generale aumentando la dimestichezza con il digital anche dei meno giovani; dall’altro i primi a pagarne il prezzo sono i rivenditori al dettaglio.

Con il distanziamento sociale è venuta meno ogni esperienza di consumo per strada legata alla ristorazione e alla convivialità, così come quella di shopping tradizionale.

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La pandemia di Coronavirus è il più grande motore globale di cambiamento osservato da molto tempo ha dichiarato Carla Buzasi, Managing Director di WGSN, colosso della ricerca previsionale, commentando un’indagine condotta dalla società sulle abitudini d’acquisto nel mondo dopo il Covid.

La realtà che stiamo vivendo obbliga aziende e lavoratori a far appello a tutta la loro capacità d’adattamento, flessibilità, resilienza. Ma anche creatività.

Nel mondo che ci attende dopo la pandemia, sarà ancora più importante intercettare i bisogni delle persone e creare i prodotti giusti. Perché, come dichiarato ancora da Buzasi: Anche se facciamo affidamento sulla connettività digitale per sopravvivere a questo periodo turbolento, sarà il nostro bisogno di connessione umana che modellerà davvero le nostre vite”.

In particolar modo per i più giovani, i brand dovranno ingegnarsi ulteriormente nella creazione di prodotti e servizi che rispecchino il loro stile di vita, da un lato investendo molto sul digital, dall’altro dando ancora più esclusività all’esperienza di shopping dal vivo, con edizioni limitate e ambienti d’acquisto immersivi (e instagrammabili).

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Ma, come consiglia WGSN:

In una cultura ossessionata dai giovani, i marchi dovranno tuttavia aggiornare le loro rappresentazioni dell’invecchiamento per stabilire un dialogo con tutti e celebrare ogni età.

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Glickon annuncia l’acquisizione della piattaforma Isaak di StatusToday

Glickon era già in crescita come azienda del 116% per quanto riguarda i fatturati, raddoppiando il numero di dipendenti negli ultimi 12 mesi e ora mette a segno un’importante acquisizione: quella della piattaforma Isaak della società britannica StatusToday (Gartner Cool Vendor 2019 e Best AI Startup – AI Summit 2017).

Con questa acquisizione Glickon aumenta la propria capacità di trasformare ogni interazione tra le organizzazioni e le proprie persone in un’esperienza unica e significativa fornendo una potente piattaforma di ascolto, analisi e azione a chi ha il compito di guidare il business.

L’AI per migliorare il benessere di candidati e dipendenti

Con la crescente attenzione sui temi di Agile Working, le imprese stanno cercando strumenti basati sull’intelligenza artificiale per migliorare il benessere e l’impegno di candidati e dipendenti. L’azienda offre una gamma di soluzioni che hanno come obiettivo comune quello di migliorare il rendimento e la soddisfazione della forza lavoro: questa offerta sarà consolidata e arricchita dalle innovazioni tecnologiche della piattaforma Isaak di StatusToday per migliorare l’offerta in ambito People Analytics.

“Stiamo dando un concreto avvio alla fase di crescita di Glickon. L’acquisizione della piattaforma di StatusToday si inserisce nel nostro percorso di espansione e ci fornisce ulteriori innovazioni nel campo della People Analytics. Inoltre, questa prima acquisizione vuole essere uno dei tasselli iniziali per un’espansione all’estero che rappresenta il nostro naturale mercato di riferimento”, ha dichiarato Matteo Corte, Chief Financial Officer di Glickon.

“Un grande passo in avanti verso un mondo in cui le persone si svegliano ispirate e concludono la giornata soddisfatte del lavoro che hanno svolto”, continua Filippo Negri, Chief Executive Officer di Glickon.

L’approccio tailor-made

L’operazione ha avuto come oggetto l’acquisizione di alcuni asset strategici di proprietà intellettuale.

Glickon è una delle principali società tech dedicata alle HR con sede in Italia e un nuovo ufficio nel Regno Unito, è stata fondata nel 2014 e sintetizza la sua attività in un payoff decisamente efficace: Simplify Human Experience. È senza dubbio possibile rendere più semplice ed engaging l’esperienza delle persone in azienda e la selezione dei candidati grazie a un mix di gamification e data science.

“Stiamo arricchendo una piattaforma flessibile che unisce la semplicità del gioco con l’efficienza dei dati avendo come obiettivo di rendere migliore la vita delle persone in azienda e la loro esperienza di lavoro. Tutto questo partendo sempre dall’ascolto”: con queste parole, Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer della società pone l’accento su un approccio consulenziale e tailor-made che non si limita a fornire dei tool efficaci ma segue i clienti da vicino ogni giorno attraverso team dedicati per monitorare l’andamento e i risultati di ogni progetto.

Con l’acquisizione di Isaak di StatusToday, Glickon si arricchisce di una piattaforma di analisi che aiuta le aziende a guidare il cambiamento organizzativo. Attraverso una tecnologia basata su Intelligenza Artificiale, la piattaforma misura la collaborazione, il benessere e l’engagement delle persone per migliorare l’esperienza di lavoro dei dipendenti in azienda. Uno sviluppo naturale degli strumenti quali l’Organizational Network Analysis e la Sentiment Analysis già presenti nell’offerta in ambito di Candidate ed Employee Experience, al fine di ottimizzare, automatizzare e semplificare i processi di selezione, onboarding, formazione e sviluppo e comunicazione interna facendo leva sul coinvolgimento in tutti i momenti salienti nel percorso di carriera delle persone.

Mai come adesso c’è bisogno di persone in grado di cambiare

Durante la terza edizione della Milano Digital Week in versione completamente online, abbiamo seguito gli appuntamenti di IAB all’interno del palinsesto di oltre 500 eventi, panel, webinar e lectio magistralis, intorno al tema del confronto aperto e inclusivo sul digitale.

“Game Changers” è stato il titolo degli eventi curati da IAB, nei quali personalità ed esperti hanno dialogato sul topic dell’innovazione in tutte le sue declinazioni, dall’educazione all’energia, fino all’entertainment.

Proprio su quest’ultimo punto abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Amati, Direttore General IAB Italia.

Se negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad una rivoluzione digitale che ha cambiato il nostro mondo con modalità che non avremmo mai potuto immaginare, ora sta iniziando un nuovo decennio che si presenta come ancor più rivoluzionario, e ne stiamo avendo un primo assaggio.

La crisi che abbiamo vissuto (e ancora stiamo vivendo) ci impone di ripensare il nostro modo di comprendere il mondo e affrontare la sua complessità. Dobbiamo credere nella nostra creatività, nella nostra capacità di resilienza e nel nostro potere di diffondere il cambiamento sia a livello individuale che collettivo.

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La sfida di un evento che diventa full digital

Qual è stata la sfida più grande di una edizione completamente digitale, rispetto a un evento che avrebbe dovuto essere live come la Milano Digital Week?

«La Milano Digital Week era prevista agli inizi di marzo e abbiamo dovuto fermare tutto a pochi giorni dalla partenza. È stato uno shock enorme, come tutti ci siamo sentiti persi e senza punti di riferimento. La cosa che mi rende più orgoglioso è stata la nostra capacità di reazione. Ci siamo detti che questa era una grande opportunità per valorizzare il grande patrimonio di contenuti che avevamo raccolto e che costruire una piattaforma full digital avrebbe potuto essere la miglior risposta.

La piattaforma due mesi fa non esisteva e i contenuti erano stati pensati per essere erogati in contesti fisici. Abbiamo lavorato su più fronti: da una parte costruendo un team tecnico che ha progettato sia il sito che l’infrastruttura di erogazione degli eventi live e on demand e dall’altra abbiamo trasformato una redazione e una struttura operativa – pensata per l’offline – in una squadra in grado di gestire la combinazione di contenuti e tecnologia propria di un progetto digitale. Un modo nuovo di lavorare che tutti hanno abbracciato con entusiasmo.

Dall’inizio della Milano Digital Week è attiva una “war room” dove gestiamo in diretta tutti gli eventi. In questa sala operativa sono presenti sia i redattori che i producer, per reagire immediatamente in caso di modifiche all’ultimo minuto.

Oltre 500 eventi online in una settimana ci rendono sicuramente la manifestazione full digital più importante in Italia prima e dopo la crisi del COVID e quindi posso dire che la sfida sia stata vinta».

milano digital week game changers 4

I Game Changers siamo tutti noi

Chi sono i veri Game Changers oggi e in che modo il loro lavoro può incidere sulle nostre vite?

«A marzo noi di IAB avevamo pensato a una conferenza durante la Milano Digital Week che avevamo chiamato “Game Changers”. Abbiamo deciso di mantenere lo stesso nome nell’edizione online perché pensiamo che mai come adesso ci sia bisogno di persone in grado di cambiare, anzi di reinventare le regole del gioco.

Dalle conversazioni con grandi nomi (non cito nessuno perché sono per me tutti importantissimi) sono emersi tantissimi spunti interessanti. La capacità di adattamento e l’agilità sono sicuramente dei tratti comuni a queste persone. Si è parlato molto di “digital divide di seconda generazione” e una delle grandi sfide sarà di portare l’accesso al digitale a fasce di popolazione ancora escluse e di formare le persone all’utilizzo degli strumenti.

Chi vuole cambiare le regole del gioco deve concentrarsi sugli individui, che sono anche clienti, consumatori, dipendenti e collaboratori. Abbiamo parlato molto di come cambia la customer experience: sarà una vera e propria rivoluzione che farà tantissime vittime. Ripensare i canali di comunicazione e relazione, gli spazi fisici e le organizzazioni sarà un’altra grande sfida dei prossimi mesi/anni.

Lasciatemi dire però che i veri “game changers” sono gli 800 ragazzi e ragazze che hanno partecipato agli 8 hackathon dedicati agli Obiettivi Sostenibili delle Nazioni Unite. I giovani vengono spesso criticati per essere “sdraiati” ma io credo che i partecipanti agli hackathon siano uno straordinario esempio di impegno. Abbiamo avuto 120 team che hanno lavorato per 48 ore senza sosta e prodotto idee e progetti su temi come l’economia circolare, la medicina, le smart city, la parità di genere. I giovani hanno un’energia unica ed è nostra responsabilità dare loro le opportunità per poter esprimere il loro potenziale».

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Come cambia l’entertainment e cosa aspettarci dalla tecnologia

Riguardo all’entertainment, quali sono le regole che probabilmente ci porteremo dietro da questo periodo di emergenza?

«Con Maximo Ibarra, CEO di Sky, abbiamo parlato di come il mondo dell’entertainment si stia trasformando profondamente. La dimensione fisica e quella digitale, anche a causa della crisi sanitaria, si sono profondamente combinate e le persone si sono abituate a fruire di contenuti in modalità differenti.

Il grande salto che ci ha fatto fare il COVID a mio parere è stato di rendere concrete cose che prima erano solo keyword. Ad esempio, la parola “phygital” che ci è stata propinata per anni da società di consulenza ora diventa tangibile. La combinazione fisico / digitale è ora parte della nostra esperienza quotidiana e chi si occupa di entertainment dovrà adattare sistemi, contenuti, processi per migliorare sempre più questa esperienza. Lo sport ad esempio, dove il distanziamento sociale avrà un impatto fortissimo, dovrà trovare sistemi per far vivere da casa o da mobile una esperienza sempre più intensa. Siamo solo all’inizio di questo processo di trasformazione e sono sicuro che vedremo enormi innovazioni in questo campo».

milano digital week game changers 2

E a livello tecnologico, avremo delle vere innovazioni nel prossimo futuro o dobbiamo immaginare più uno sviluppo delle tecnologie che già in qualche modo conosciamo, come robot, realtà virtuale e intelligenza artificiale?

«Robotica, VR e AI sono tecnologie su cui si sviluppano le innovazioni. Io penso che queste tre tecnologie continueranno inevitabilmente a crescere e a combinarsi, con robot che saranno “alimentati” da motori di intelligenza artificiale e conterranno strumenti di realtà virtuale o aumentata. Le applicazioni in ambiti come il risparmio energetico, la mobilità smart, la sicurezza informatica saranno infinite.

Pensando alla tecnologia però mi viene in mente un passo della conversazione che, dentro “IAB Game Changers”, abbiamo realizzato tra Corrado Passera e Roberto Cingolani. Roberto ha raccontato di aver portato una volta un bambino in visita all’Istituto Italiano di Tecnologia e di avergli mostrato con orgoglio vari robot umanoidi. Il bambino non aveva mostrato grande stupore di fronte a questi oggetti, mentre invece era rimasto estasiato di fronte ad un “robot centauro” che rappresentava per lui qualcosa che veramente non aveva mai visto.

Questo per me rappresenta bene la nostra grande sfida: non copiare un organismo quasi perfetto come l’uomo, che non riuscirà mai ad essere riprodotto in modo migliorativo, ma usare la creatività per inventare cose nuove, magari facendo errori ma puntando sempre a nuovi traguardi di innovazione. La capacità dei giovani di pensare fuori dagli schemi è il migliore strumento per fare vera innovazione.

Sempre durante “IAB Game Changers” abbiamo fatto parlare persone appartenenti a generazioni diverse. Mettersi in gioco e accettare il confronto con i giovani deve essere a mio parere un punto fermo per chi guida una grande azienda, una amministrazione pubblica o qualsiasi altra organizzazione. I giovani sanno usare la tecnologia per esprimere meglio la propria creatività e non la vedono come una minaccia ma come una naturale estensione della loro vita».

Performance Improvement Plan

Performance improvement plan: come dare una svolta alla tua carriera

  • Performance Improvement Plan, il documento usato dalle HR per migliorare le performance lavorative
  • Essere in un PIP non significa fare le valigie, perché è un’occasione preparata per aiutare il dipendente a dare il meglio di sé
  • Dialogare col capo, tracciare i progressi e pensare positivo (anche se è difficile) ti aiuterà a dare una svolta alla tua carriera

 

Ultimamente, tra le parole più frequenti e “spaventose” che circolano in fase di revisione delle performance, ce n’è una che suona davvero complicata e faticosa: il “performance improvement plan” (PIP). Sarebbe a dire: piano di miglioramento delle prestazioni lavorative. Ed è un po’ come affermare, implicitamente, che il normale piano di monitoraggio delle performance aziendali ha urgente necessità di essere rivisto, e nel più breve tempo possibile. Per questo, lavorare sul PIP genera di per sé molta ansia.

I piani di miglioramento delle performance affrontano nel tempo varie “scosse”, e a volte sfociano in tagli al personale o perdita delle risorse.

Eppure, se sei valutato in base a un PIP, non dovresti essere pessimista a priori. Puoi davvero riuscire a modificare i risultati delle tue performance e, magari, assecondare il tuo performance improvement plan, scoprendo che è addirittura il tuo migliore amico, la tua guida “anti-fuffa”.

Cos’è il Performance Improvement Plan

Performance Improvement Plan

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Si tratta di un documento formale che indica, nello specifico:

  • Eventuali problemi nelle performance lavorative ricorrenti
  • Gli obiettivi che devi raggiungere per riguadagnare una buona posizione
  • La tempistica specifica per completare il piano
  • Gli eventuali provvedimenti attuabili in caso di insuccesso

Se ti viene assegnato un PIP, molto probabilmente il tuo manager e i responsabili HR fisseranno un incontro con te per esaminarti e rispondere a tutte le tue domande.

Purtroppo, sarai sorvegliato da vicino durante questo periodo. Se non riesci a completare il tuo PIP alla fine della sequenza temporale, potresti perdere il lavoro.

Se in precedenza hai avuto difficoltà a raggiungere gli obiettivi, il PIP è pensato per darti la possibilità concreta di invertire la tua performance. In genere, sapere esattamente cosa fare per migliorarti è già sufficiente per avere successo.

Sono in un PIP. Faccio le valigie?

Piano per la carriera

Niente di tutto questo. Considera, innanzitutto, che se la tua azienda volesse davvero licenziarti, non investirebbe neanche un briciolo di tempo per aiutarti a raggiungere e i tuoi obiettivi e migliorare.

Attenzione, però, a non sottovalutare l’ostacolo, perché se non dovessi soddisfare i requisiti del tuo PIP, saranno presi dei provvedimenti specifici (già delineati nel documento).

Come completare al meglio il PIP

La comunicazione con il proprio manager e gli addetti alle risorse umane è fondamentale. Se stai lottando per raggiungere uno degli obiettivi, o hai dubbi sul risultato atteso, segui questi 4 step che potranno aiutarti ad uscire fuori dal PIP.

Performance Improvement Plan

1. Dialoga con il boss

Controlla se il tuo capo ha qualche suggerimento da darti per svolgere il tuo compito in modo più accurato. In questo modo, dimostrerai di essere proattivo e di voler prendere sul serio l’opportunità che stai ricevendo.

2. Traccia i progressi

Durante l’intera attività, è necessario verificare regolarmente i progressi con il responsabile assegnato. Effettuare il check più frequentemente ti darà la possibilità di correggere in tempo utile gli eventuali “blocchi”, e di prepararti al successo.

3. Chiedi ai colleghi

Prova ad offrire ai migliori colleghi un buon caffè, e parla con loro per capire come mantengono la concentrazione sugli obiettivi. Trova qualcuno che sia molto preparato in quello che ti riesce peggio, e punta su di lui per cambiare la tua strategia.

4. Think positive (anche se è dura)

Soprattutto, cerca di mantenere un punto di vista positivo, perché aiuterai soprattutto te stesso. Puoi davvero riuscirci — pensa alla soddisfazione che proverai quando tirerai fuori il tuo PIP. La fiducia nella possibilità di migliorare renderà più semplice farlo davvero.

Vogliono liberarsi di te?

Performance Improvement Plan

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Sfortunatamente, in alcune aziende c’è la brutta abitudine di usare i PIP per documentare in anticipo un licenziamento. Se sospetti che questo sia il tuo caso (e se gli obiettivi da raggiungere sembrano impossibili in base a qualsiasi standard), puoi comunque portarti avanti sulla ricerca di un nuovo lavoro, che è un successo personale non da poco. Non vorresti lavorare in un’azienda che si prende davvero cura dei suoi dipendenti, e che sostiene i tuoi successi?

Quindi, usa il tempo a disposizione anche per aggiornare il tuo curriculum, rivedere l’account LinkedIn e immergerti nel web per trovare nuove opportunità, se non l’hai già fatto.

Poi, prima di passare a qualsiasi altro lavoro, rifletti su cosa ti sta rendendo difficile avere successo. È un fattore proveniente dall’ambiente aziendale in cui ti trovi, o è qualcosa che non puoi evitare se prosegui con lo stesso tipo di lavoro? Il consiglio Ninja è di usare il tuo tempo per capire cosa stai cercando nel nuovo ruolo che immagini: così, se il tuo PIP non sarà completato, potrai trovare subito qualcosa che si adatta meglio a te (e non sarà stato inutile, in ogni caso).

Ho completato il PIP. E adesso?

Se hai completato con successo il PIP, questo dovrebbe essere qualcosa a cui fare sempre riferimento, in futuro, nelle tue conversazioni con il capo.

Con questo esercizio hai già individuato le tue carenze, hai preso in carico le tue performance, e ti sei trasformato in un dipendente ancora migliore. Quindi, assicurati che il capo lo noti. Ora sei motivato, tenace e capace di cambiare, e hai la documentazione per dimostrarlo, che è più di quanto molti possano dire.

Visualizza il tuo successo, e sii pronto ad entrare nella “stagione delle valutazioni”. Ricorda, un performance improvement plan non è la fine del percorso. Sia che tu lo completi, o che scelga altre opportunità, questo potrebbe essere l’inizio di un nuovo entusiasmante capitolo della tua carriera.

Steve Jobs

“[…] a 30 anni ero fuori. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso, e io ero devastato. Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Era stato un fallimento pubblico, e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.
[…] Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. È stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però”.

Steve Jobs sul suo licenziamento (1985) seguito dal grande ritorno in Apple (1997)

Google Shopping vs Amazon: il sorpasso?

  • La pandemia ha portato ad una consacrazione finale dell’eCommerce come principale strumento di vendita.
  • Sempre più retailer si stanno spostando da un business offline a uno online.
  • Google ha dichiarato il proprio desiderio di aiutare i rivenditori più piccoli, a prescindere dal budget investito su Shopping, ma lo ha fatto anche per contrastare un involontario vantaggio che aveva dato ad Amazon.

 

Google Shopping e Amazon, lo scontro tra titani del digital in campo di vendita online. La situazione in cui ci troviamo ci ha fatto capire quanto sia fondamentale per il nostro successo, la presenza sul web.

Google ha da poco dichiarato che, per aiutare i retailer più piccoli a risollevarsi dopo il duro colpo subito, ha aggiunto alle listing una parte di prodotti date dalle ricerche organiche dei consumatori, a prescindere dal budget speso per la parte di advertising.

Prima di capire quanto questo possa rappresentare una rivoluzione, e una minaccia per il rivale Amazon, è necessario fare un veloce ripasso su come gli investimenti fatti sui differenti canali portino benefici agli inserzionisti.

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Come funziona Google Shopping (in parole semplici)

La piattaforma di Google Shopping è lo strumento a pagamento che consente di promuovere i propri prodotti ai consumatori attraverso il motore di ricerca.

Il funzionamento di Google Shopping non va però confuso con un altro strumento, al quanto famoso, chiamato Google Ads.

A differenza di quest’ultimo, non è possibile inserire delle keyword per far apparire i propri prodotti, ma è necessario curare i propri contenuti e le parole chiave contenute nelle immagini e nelle descrizioni prodotti o categorie, per apparire nelle giuste queries.

Il vantaggio di Google Shopping? mostra ai consumatori i prodotti più rilevanti e aumenta la brand awareness, portando gli utenti sui siti dei brand.

Come funziona Amazon

Amazon è una piattaforma eCommerce che offre ai propri consumatori sia prodotti del proprio marchio sia di altri retailer.

La similitudine principale a Google Shopping è sia quella di beneficiare degli investimenti degli inserzionisti sia di proporre prodotti derivanti solo da traffico organico.

Anche Amazon può beneficiare di investimenti fatti in advertising, qualora un brand desideri che il suo prodotto appaia come scelta principale per il target di consumatori prefissato.

Cosa cambia oggi

Fatta questa premessa, torniamo dunque alla rivoluzione di Google: l’obiettivo dichiarato è quello di proporre soluzioni agili, semplici ed efficaci in un mercato come quello di oggi, in evidente difficoltà in ogni settore.

Inoltre, Google propone una soluzione accessibile anche ai brand più piccoli, permettendo di capitalizzare un investimento minimo con maggiore visibilità.

Ci sono anche altre ragioni dietro la decisione: la prima si chiama investimento incrementale.La speranza è infatti quella che i piccoli brand, a seguito di un minimo investimento, o in assenza di esso, vedano un incremento notevole nell’esposizione e conversione dei prodotti, da essere spinti, in futuro immediato, a spostare gli investimenti verso Google Shopping ottenendo maggiori benefici.

Il problema di Amazon

La scelta fatta da Google rappresenta una “minaccia” reale per il sito di eCommerce più solido al mondo. I motivi sono diversi.

Il primo è che il colosso di Mountain View punta alla debolezza di Amazon: la poca varietà di brand proposti. Non tutti i brand e retailer hanno budget a sufficienza per investire su Amazon e, per di più questo non rappresenta un canale di vendita diretto. Il periodo in cui ci troviamo è strettamente collegato a queste scelte.

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Google Shopping ha il vantaggio di dare, per lo stesso tipo di prodotto o servizio, un’ampia varietà di scelta al consumatore, aumentando le possibilità di conversione.

Il secondo vantaggio di Google Shopping è, come anticipato, la brand awareness: il consumatore di Amazon infatti non cerca un prodotto o un brand specifico, ma quello più utile e meno costoso.

Google Shopping invece offre un accesso diretto ai siti di vendita diretta di ogni brand, rafforzando la fedeltà di un consumatore al marchio e permettendo di incrementare sforzi ed investimenti su contenuti, categorie e miglioramenti della propria piattaforma, tramutandole in maggiori visite, entries e dunque conversion dirette.

Google ha ora annunciato l’aggiunta di annunci organici al suo sito Shopping e ad altre proprietà, con lo scopo di aiutare i rivenditori a connettersi con i consumatori indipendentemente dalla spesa pubblicitaria. Proprio questa mossa potrebbe essere la chiave di un ribaltamento dei risultati di ricerca (che ora vedono una abbondante presenza di prodotti proprio da Amazon) e un duro colpo al business del gigante dell’eCommerce.

Online c’è davvero posto per tutti? Staremo a vedere.

Smart Working Guida

Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni

Viviamo tempi incredibilmente complessi e sfidanti. La pandemia Covid-19 ha scosso le fondamenta del mondo per come lo conosciamo: come ogni crisi improvvisa, ci ha costretto a trovare nuovi modi di pensare, interagire e soprattutto lavorare. Infatti in una manciata di giorni le nostre aziende hanno dovuto cambiare radicalmente processi e operatività, e ci siamo tutti ritrovati a lavorare a distanza, come membri e leader di team virtuali. 

Abbiamo quindi creato una guida interattiva focalizzata su un aspetto importantissimo di questo cambiamento: il lavoro da remoto, remote working o remotely working in inglese, e la sua diretta evoluzione, lo smart working, parole a volta abusate che rappresentano però sfide centrali per garantire la business continuity. 

Come aiutare le imprese a lavorare con queste nuove dinamiche in modo efficace? Come far evolvere l’organizzazione dal lavorare remote al lavorare smart? Come scalare un reale processo di smart working in un’organizzazione complessa? 

Questa guida si pone l’obiettivo di aiutare imprenditori, manager, HR a comprendere i punti saldi di questo nuovo modo di lavorare e applicarli nelle proprie aziende, al fine di trasformarle in vere smart organization.

Gli autori Federica Bulega, Corporate Training Manager Ninja Academy, e Alessandro Prunesti, Consulente Senior in HR Digital Transformation e Digital Marketing, ti guideranno verso paradigmi e nuovi modelli lavorativi.

Che cosa trovi nella guida?

La nuova normalità: gli impatti su persone, organizzazioni e processi di lavoro

  • La necessità di organizzazioni “Change-able”
  • Dal remote working allo smart working
  • Facciamo chiarezza sulla differenza tra smart working e remote working
  • I principali vantaggi dello Smart Working
  • I principali rischi dello smart working

Come attivare un progetto di Smart Working

  • Strategie e tecniche per superare le resistenze
  • Il framework per avviare, sostenere e scalare una iniziativa di smart working
  • Fase 1: Definire la sfida
  • Fase 2: Mobilitare l’organizzazione
  • Fase 3: Focalizzare gli investimenti
  • Fase 4: Rendere scalabile il progetto

Le piattaforme abilitanti il remote working e lo smart working

  • Piattaforme di Enterprise Productivity
  • Piattaforme verticali per la collaboration
  • Soluzioni a supporto delle attività di video conference 
  • Management skills: gestione di team virtuali

From face to screen: pratiche virtuose per riunioni e presentazioni da remoto

  • Il framework degli aspetti operativi e di comunicazione

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Smart Working Guide

La guida interattiva Ninja Pro per i manager e professionisti.