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Gender gap, a che punto siamo nel mondo dell’arte

  • La vita delle artiste non è mai stata facile, fin dagli albori. Per questo si susseguono ancora oggi iniziative e opinioni sulla disparità di genere nel mondo dell’arte;
  • Facciamo il punto sulla situazione delle artiste, perché alcuni dati rivelano un gender gap oggi ancora forte.

 

Una donna deve essere nuda per entrare al MET. Museum?

Era il 1989 quando un collettivo di artiste femministe, The Guerrilla Girls, invasero le strade di New York con manifesti che denunciavano le discriminazioni di genere dell’art system. Secondo una statistica del 1984 solo 13 dei 169 artisti esposti al Metropolitan Museum erano donne, e indovinate un po’? L’83% dei nudi presenti della collezione rappresentavano corpi femminili. Donne rappresentate come oggetto artistico ma limitate nell’essere fautrici di una rivoluzione artistica. Perché?

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The Guerrilla Girls, 1989

Questa è una delle tante proteste contro la discriminazione nei confronti del talento e del genio artistico delle donne, che, per troppo tempo, sono state sottovalutate per portare avanti una cultura mainstream a vantaggio della controparte maschile. Ovviamente non stiamo assolutamente dicendo che uomini e donne devono fronteggiarsi in una competizione infinita su chi è più bravo/a nel proprio campo, ma sarebbe il caso di cominciare a render giustizia a tutti e tutte, senza distinzioni di genere, e oltre.

La situazione delle artiste in passato

Nel campo dell’arte, le donne sono state tenute lontane dalle professioni artistiche e dalla formazione fino al 1870, ma possiamo trovare talentuose artiste già prima di quella data, anche se non vengono valutate come meriterebbero. Troviamo riscontro in questo atteggiamento anche a scuola, durante l’ora di storia dell’arte. A volte ci sarà capitato di porci la domanda sulla loro scarsa presenza, chiedendoci perché ci sono così poche biografie, così poche opere, e perché dobbiamo saltare questa o quella pittrice, per passare direttamente all’artista successivo?

Fateci caso, i primi nomi di artiste, a meno che non lavoriamo e studiamo nel campo delle belle arti, che ci vengono in mente, sono sempre gli stessi.

Nel 1971 Linda Nochlin pubblica un saggio dal titolo provocatorio, “Perché non ci sono mai state grandi artiste donne?”, per affrontare una questione delicata sul ruolo delle donne nel mondo delle arti figurative. In questo saggio l’autrice cerca di dare una spiegazione per cui il numero delle donne artiste che hanno ottenuti gli stessi successi dei colleghi uomini, sono davvero minime.

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“Perché non ci sono state grandi artiste?” di Linda Nochlin

Afferma che le donne artiste non hanno mai avuto un ruolo di protagoniste in campo sociale e istituzionale perché la produttività artistica è il risultato di un condizionamento culturale, sociale e istituzionale per cui il talento si affina e si allena. Per molto tempo la  donna è stata esclusa da questi meccanismi. L’arte non è un’attività autonoma e libera, ma soggetta alle accademie, alle istituzioni culturali, agli organismi economici e familiari. Non è solo quello che più comunemente chiamiamo genio, ma come in tutte le cose richiede metodo, disciplina e tempo.

Contrariamente agli uomini, alle aspiranti artiste era proibito studiare dal vero con modelli e modelle senza veli. Il problema principale è che le donne non sono state agevolate nell’apprendere e nell’esercitarsi con tecniche e mezzi adeguati, ma hanno dovuto lottare, e spesso sono state derise, etichettate in modo dispregiativo, per inseguire la propria aspirazione. Lacerate da una costante ambivalenza, divise tra aspirazioni e aspettative sociali, sentono la propria autostima cedere, combattute se aderire o meno a una distorta concezione di femminilità che la stessa società vuole. Ma a che prezzo?

Il mondo dell’arte non è l’unico campo in cui sussiste una differenza tra uomo e donna. Quante volte ci siamo ritrovati ad ascoltare storie sulle disparità di compensi tra lavoratori e lavoratrici? Passano gli anni, mutano mode e costumi, ma non abbiamo ancora raggiunto una parità di genere su molte cose.

Ma com’è oggi la situazione delle artiste in Italia?

La ricerca sul gender gap nel mondo dell’arte

Kooness, realtà milanese operante nel settore artistico, ha recentemente rilasciato i dati di una ricerca sul divario di genere tra uomini e donne nel campo dell’arte. I risultati confermano, purtroppo, la tendenza di cui abbiamo discusso fin ora. Il divario esiste ed è tangibile.

Lo studio è stato condotto prendendo in considerazione una lista di 440 artisti che collaborano con essa e oltre 2700 opere. La metodologia di studio si basa principalmente su 4 punti:

  • il prezzo delle opere
  • gli artisti presenti in galleria
  • i premi vinti da artisti uomini e donne
  • la percezione pubblica del valore di un’opera

I premi di riferimento sono i cinque riconoscimenti più importanti dell’arte contemporanea: il Turner Prize, il Mac Arthur, l’Hugo Boss, il Bucksbaum Award e il Duchamp Prize.

I risultati ottenuti non sono incoraggianti. Guardiamoli insieme.

1. Il valore delle opere artistiche

Parlando meramente in termini economici, il valore delle opere d’arte create da artisti uomini hanno un prezzo maggiore rispetto a quello delle donne. Gli uomini guadagnano il 24% in più rispetto alle creative. Il prezzo medio per un artista uomo è di 3700 euro circa, mentre per una donna ci aggiriamo intorno ai 2900 euro.

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Gli uomini guadagnano il 24% in più rispetto alle donne.

2. Il numero degli artisti e delle artiste

Lista alla mano, su 2723 opere d’arte, 1723 sono state realizzate da uomini, 1000 da donne. In percentuale, la presenza maschile è del 63,3%, quella femminile un 36,7%. Un dato particolare se diamo uno sguardo ai dati sul sito del MIUR per l’anno accademico 2018/2019, relativi agli iscritti alle accademie pubbliche di belle arti in Italia. Le donne rappresentano la maggioranza degli studenti: su 26.756, 18.152 sono ragazze. Che succede dopo? Che tipo di carriere e di percorso scelgono? 

Su 2.723 opere d’arte, 1.723 (63,3%) sono state realizzate da uomini e 1.000 (36,7%) dalle donne.

3. Premi vinti da artisti e artiste

Considerando 5 premi prestigiosi: il Turner Prize, il Mac Arthur, l’Hugo Boss, il Bucksbaum Award e il Duchamp Prize, assegnati ai più brillanti e migliori artisti del mondo dell’arte, ne viene fuori che: su 406 vincitori, 253 artisti sono uomini e 153 donne. Il 62,3% contro il 37, 7%.

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Su 406 vincitori, 253 artisti sono uomini contro 153 donne. Il 62,3% contro il 37, 7%.

4. La percezione pubblica del valore dell’arte

Voi sareste in grado di giudicare il valore di un dipinto semplicemente guardandolo? Il genere dell’artista influenzerebbe la vostra decisione? Durante un’intervista a 2000 persone, sono state mostrate loro 10 opere d’arte, chiedendo di assegnare un valore.

Incredibilmente, i risultati mostrano che le opere d’arte delle donne hanno una probabilità 3 volte maggiore di essere sottovalutate rispetto a quelle degli uomini. Oltre la metà, il 51,60% dell’arte femminile è stata sottovalutata dagli intervistati, e solo il 12,20% l’ha sopravvaluta. Al contrario, il 31,80% delle persone ha sopravvalutato le opere d’arte prodotte da uomini. Nel complesso, la percezione pubblica del valore dell’arte è che l’arte delle donne vale meno degli uomini, precisamente 3 volte di meno.

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Le opere d’arte create da donne hanno una probabilità 3 volte maggiore di essere sottovalutate rispetto a quelle degli uomini.

I motivi del gender gap e cosa si può fare

Le origini di questa disuguaglianza così forte è dovuta principalmente dal lungo divieto, a discapito delle donne, dalla formazione artistica. Districare le ragioni per cui questa disparità persiste oggi è difficile.

Possiamo rintracciare tante motivazioni: le differenze nell’essere rappresentati in una galleria, i pregiudizi culturali dell’interpretazione dell’arte, il peso sbilanciato della genitorialità tra uomo e donna, ma anche la mancanza di assertività tra le artiste è stata proposta come causa ipotetica. Probabilmente sono cause valide, in un modo o nell’altro, ma alcune fanno veramente storcere il naso e digrignare i denti.

Insieme, questi e altri meccanismi contribuiscono a un effetto in cui il vantaggio genera vantaggio, ed è difficile rompere questo circolo vizioso. 

Oggi le artiste hanno più riconoscimenti rispetto al passato, ma purtroppo la strada è ancora lunga e piena di ostacoli. Donne che lottano per far emergere la propria arte, non possono essere abbandonate a loro stesse dalle istituzioni e dallo stesso panorama artistico.

Frida Kahlo, una delle artiste più apprezzate, riscoperta specialmente negli ultimi anni, diceva che tutti la etichettavano come pittrice surrealista, cercando così di giustificare cosa la ispirasse, quali sogni e quali incubi. Lei dipingeva semplicemente la sua realtà.

Ogni artista ha una voce, uomo o donna che sia. Quanti sono ancora i passi che le artiste dovranno fare per uscire da un alone che le avvolge da così tanto tempo?

Post Lockdown eCommerce Marketing: inizia la nuova sfida

La sfida dell’eCommerce Marketing nel post-lockdown

  • L’eCommerce ha conosciuto una nuova spinta durante l’emergenza;
  • La Digital Transformation impone oggi più che mai rapidità e competenze per fronteggiare una nuova domanda d’acquisto.

 

Il crollo degli incassi nei negozi fisici e l’esplosione del traffico sull’eCommerce rappresentano nuovi rischi ed opportunità, figli di questo periodo. Valutare un nuovo modus operandi per accelerare il percorso di acquisto finale rappresenta oggi una vera e propria missione digitale.

Dal tradizionale “Drive To Store” al “Drive To Online Store”, l’eCommerce trova una nuova luce.

Il nuovo capitolo digitale ha già notevolmente stimolato gli acquisti online, motivo per cui, per imprese e professionisti del web, si è presentata l’esigenza di elaborare nuove modalità gestionali. L’eCommerce, con le dovute messe a punto può diventare la fonte di sostentamento per una nuova economia dall’eccezionale peculiarità. L’epidemia ha accelerato i processi di una Digital Transformation che ha imposto rapidità e nuove competenze per allineare domanda e offerta.

Per capire al meglio tutto ciò, bisogna ricercare le cause all’interno dei nuovi atteggiamenti degli utenti: “Quando la situazione non è sotto controllo, tendiamo ad eseguire azioni e nuove attività per aumentare, in noi, un senso di controllo”, in risposta alla nuova dimensione che ci circonda.

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e-commerce

Cosa non perdere di vista nell’eCommerce

Paul Marsden, Consumer Psychologist – University of the Arts di Londra, tenta di fornire una spiegazione, attraverso cui l’attuale utente è mosso da ben tre diversi tipi di “necessità”, che si configurano nei seguenti princìpi:

  • autonomia (per tenere sotto controllo la situazione);
  • relazionalità (quel senso senso di stare bene facendo del bene per la propria famiglia);
  • competenza (l’idea di essere in grado di acquistare “le cose giuste”);

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Il vedere gli altri che acquistano o comunque notare la scarsità di certi prodotti, a partire dai supermercati, ci fa credere di dover acquistare “per non restare senza”. Alcuni studi di settore hanno evidenziato che il nuovo approccio d’acquisto si presenta diversamente anche tra le diverse generazioni: per la Generazione Z e millenial, si assiste, ad una minore spesa (a fronte di un utilizzo più spiccato dei canali digitali), mentre gli appartenenti alla Generazione X ed i Baby-Boomers dichiarano che la pandemia ha avuto un impatto sul “cosa comprare” e non sul “quanto”.

eCommerce

La chiave (anche nell’eCommerce) è la comunicazione

Cercare di orientare al meglio le aspettative dei propri clienti, riflette, quindi, l’esigenza di valutare una nuova chiave in merito alla comunicazione aziendale.

Innanzitutto, valutare possibili ritardi prioritariamente alla presa in carico di qualsiasi ordine. Bisogna, inoltre, valutare se continuare le campagne attive, e per gli ordini già presi in carico diventa necessario informare i clienti in merito a potenziali ritardi sopraggiunti, causa Covid-19.

In tal senso, anche l’OMS è intervenuta, confermando che non c’è nessun rischio nell’aprire o maneggiare prodotti spediti dalla Cina.

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eCommerce

Come fronteggiare al meglio la crisi

Ecco alcune buone norme e consigli:

  • Scegliere una piattaforma intuitiva all’interno della quale sviluppare il proprio sito, tramite una chiave semplice e sicura.
    Rendere visibile, in primis, il numero di step necessari prima della convalida dell’ordine e limitare il numero dei campi da riempire, richiedendo solo i dati necessari.
  • Assicurare lo stock di prodotti.
    Generare un Business Plan che tenga conto delle nuove richieste e contattare i propri fornitori per un recap della situazione, aumentando, possibilmente, le scorte di prodotti per soddisfare la domanda.
  • Scegliere il partner a cui affidare la logistica.
    Tempi brevi e tempistiche sicure devono essere elementi prioritari, e nel caso in cui i tempi di consegna si prolungassero, risulta indispensabile avvisare i consumatori per evitare episodi di Chargeback (forma di tutela per i clienti truffati dai commerciati riguardo gli acquisti effettuati sul web o comunque tramite carte di credito).
  • Trasparenza sulle condizioni di vendita, specificando le modalità di consegna, restituzione e consegna.
    Valutare, quindi, dato il periodo, di prolungare i tempi di restituzione, e qualora non si fosse in grado di soddisfare alcuni ordini, procedere al rimborso.
  • Configurare una pagina di pagamento personalizzata e sicura.
    In fase di pagamento, il visitatore che è già stato convertito in una lead e che ha pensato di concludere positivamente il processo di acquisto (Bottom of Tunnel – BOFU), tende ad abbandonare il carrello e non concludere la transazione, se proprio in questa fase, viene reindirizzato su una pagina impersonale, rispetto al sito del negozio. Meglio, quindi, tentare di eliminare processi di registrazioni ed informazioni richieste troppo complicate.
  • Offrire diverse modalità di pagamento.
    Risulta positivo, il cercare di offrire più soluzioni di pagamento nei confronti degli utenti: bonifico bancario, portafoglio elettronico, carta di credito. Caratteri quali la notevole personalizzazione, compatibilità e semplicità di acquisto, sembrano essere ottimi ingredienti. Una delle ultime soluzioni più innovative, in tal senso, prende il nome di Payplug. Nata in Francia nel 2012, ha già ricevuto più di 12 milioni di euro di sovvenzioni e conta, oggi, oltre 10.000 clienti tra Francia ed Italia. Per tutti gli E-Merchants, permette di realizzare pagine a pagamento ottimizzate, ed usufruire, così, di un’esperienza unificata, attraverso un portale di gestione su cui seguire lo stato dei pagamenti.
  • Richiesta di pagamento per ordini al telefono o via mail.
    Si presentano nuove modalità, come la cosiddetta funzionalità “richiesta di pagamento” (RDP): si tratta di inviare in pochi click un link all’utente per reindirizzarlo ad una pagina di pagamento Payplug, in questo caso, 100% sicura, così da definire la transazione.

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Sicurezza e buone norme per gli acquisti eCommerce

I criminali informatici stanno fiutando le numerose informazioni veicolate verso i siti web, poiché sempre più utenti rimangono online per tanto tempo, condividendo dati succulenti e preziosi e per hackers affamati dell’ultima ora.

A supporto di ciò, Tim Mackey, Stratega della Sicurezza presso il Synopsys CyRC (Cybersecurity Research Center), indica alcune misure da adottare per tutti coloro che utilizzano le carte per attività di E-Shopping:

  • non archiviare i dati della carta di credito su alcun sito.
    Se sopraggiungesse un eventuale hackeraggio del sistema, i propri dati potrebbero essere manomessi.
  • Limitare l’utilizzo di metodi di pagamento monouso di terze parti come Apple Pay , Google Wallet, PayPal.
    È preferibile che l’utente visualizzi che il prompt della pagina web presentato dal metodo di pagamento prescelto sia ben visibile così da evitare reindirizzamenti anomali.
  • Abilitare avvisi di acquisto su tutte le carte per monitorare costantemente le transazioni.
    Si riduce, così, il tempo in cui, eventuali hackers, potrebbero utilizzare una carta rubata (numerosi episodi a riguardo, si sono registrati a danno del colosso Tupperware).
  • Disabilitare tutti gli acquisti internazionali per tutte le carte di credito.
    Così da perseguire al meglio, da parte delle forze dell’ordine, eventuali malintenzionati.
  • Utilizzare soltanto la rete del provider di casa/cellulare per attività di eShopping.
    Le reti WI-FI aperte sono convenienti ma rischiano di configurarsi come il luogo migliore per eventuali compromissioni delle impostazioni DNS.
L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

L’evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

  • GroupM ha realizzato un progetto per disegnare un framework che possa servire sia come strumento di analisi, che come strumento di pianificazione e di misurazione della comunicazione;
  • Il report racconta le reazioni degli ultimi due mesi degli italiani che navigano in rete, e giunge alla definizione di quattro macro-aree e di sette personas.

 

Il virus, la pandemia, il lockdown. Il tempo che stiamo vivendo ci ha insegnato che non è più possibile ragionare attraverso le categorie tradizionali, tanto nella politica quanto nell’economia e di conseguenza anche nel marketing e nella comunicazione.

L’emergenza da COVID-19 ha creato nuove differenze, definendo uno scenario che può essere affrontato solo a partire da un quadro generale, una visione che aiuti a semplificare la complessità delle reazioni umane senza banalizzarla.

Proprio in quest’ottica GroupM ha realizzato un progetto il cui obiettivo non è solo ottenere nuove informazioni, quanto mettere in prospettiva l’enorme mole di dati che vengono prodotti ogni giorno, per disegnare un framework che possa servire sia come strumento di analisi, che come strumento di pianificazione e di misurazione della comunicazione.

In concreto, questo report racconta le reazioni degli ultimi due mesi della popolazione italiana maggiorenne che naviga in rete, e giunge alla definizione di quattro macro-aree e di sette personas, che descrivono come stanno reagendo gli italiani alla crisi attuale.

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Personas al tempo del Coronavirus

Le Personas dopo al tempo del Coronavirus

I Protector – sono 11,8 milioni (rappresentano il 28,8% della popolazione online)
Il tema che li guida è garantire la sicurezza personale e dei propri familiari da un punto di vista sanitario. Non contagiarsi, non ammalarsi.

I Defender – sono 9,5milioni (rappresentano il 23% della popolazione online)
Sono preoccupati di dover difendersi dai pericoli (reali e immaginari, che spesso sono ancora più profondi) che stanno insorgendo e che possono insorgere dal punto di vista sociale ed economico. Oltre che sanitario.

Gli Escapist – sono 6,4 milioni, (rappresentano il 15,6% della popolazione online)
Tendono ad usare il tempo della crisi per trovare tempo per sé stessi ed approfondire i propri interessi e le proprie passioni.

I Calm Keeper – sono 4,9 milioni, (rappresentano il 11,9% della popolazione online)
Non lasciarsi travolgere dalle emozioni e ricostruire una nuova normalità, un equilibrio psicologico innanzitutto, è la loro priorità.

I Committed – sono 4,1 milioni, (rappresentano il 10,1% della popolazione online)
Sono quelli che non si sono mai fermati e si sono dati da fare per trovare soluzioni per sé (lavoro), per i figli (studio) e per la vita quotidiana.

I Communitarian – sono 2,1 milioni, (rappresentano il 5,2% della popolazione online)
Preoccuparsi, fare qualcosa di concreto per gli altri, non lasciare indietro nessuno: questi i loro obiettivi

I Surrender – sono 2,2 milioni, (rappresentano il 5,4% della popolazione online)
Sono i sommersi, coloro che sono andati sott’acqua, sono sprofondati in una zona oscura. Una precisazione su quest’ultimo segmento. Anche se le cifre sono destinate a cambiare di mese in mese, Istat dichiarava nel 2019 (dati 2018) che gli italiani in condizioni di povertà assoluta erano 14 milioni di cui 5 sotto soglia di povertà assoluta (dati ISTAT 2019). 2 milioni di Surrender sono solo la punta dell’iceberg, ovvero la parte di persone in difficoltà che può essere intercettata con uno strumento come questo, ovvero con una ricerca sulla popolazione online. Se teniamo ferma la cifra ISTAT all’appello mancano più di 10 milioni di persone, persone “digitalmente invisibili”.

Personas al tempo del Coronavirus

Le quattro aree in cui si muovono le nuove Personas

Le sette diverse Personas si posizionano all’interno di un contesto caratterizzato da due dimensioni: l’asse temporale che indica la prospettiva di uscita dalla fase più acuta della crisi. In particolare, risponde alla domanda se usciremo da questa fase prima o dopo l’estate. Una dimensione più di speranza che fa riferimento alla fiducia nella capacità delle istituzioni di governare la situazione.

Si delineano così quattro macro-aree, “abitate” con attitudini diverse dalle sette Personas, per raggiungere le quali le aziende devono adeguare la propria comunicazione scegliendo nuovi messaggi, tone of voice, mezzi e strumenti.

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Personas al tempo del Coronavirus

1. L’avanguardia

È quella dove si trovano i Communitarian schierati – come in una frontiera – nel ruolo di messaggeri della fine della crisi.

Rappresentano la parte più attiva della GenX. Sono coloro che si sono dati da fare concretamente per aiutare persone in difficoltà: tra loro, ad esempio, c’è chi ha fatto la spesa e chi ha raccolto e distribuito computer e tablet ai ragazzi più poveri per seguire le lezioni scolastiche. Sono molto fiduciosi sulla possibilità di chiudere la fase più acuta della crisi in tempi brevi e danno un giudizio positivo su come si stanno comportando le istituzioni pubbliche.

Sono anche tra coloro che, per primi, potrebbero riprogrammare i piani futuri di un ritorno alla normalità. Quello che li spinge così avanti nella speranza è la convinzione che “ci si salva tutti assieme”, un sentimento molto importante per bilanciare coloro che, invece, sono rimasti intrappolati nella paura e nello scoraggiamento.

Rispetto agli altri segmenti hanno ridotto la fruizione della cronaca più allarmistica, poco vicina alla loro sensibilità e alla loro attitudine pratica. Sono il target ideale ed aspirazionale delle tante comunicazioni valoriali presenti oggi su tutti i media, messaggi legati alla visione collettiva e di lungo periodo.

2. Il Mainstream

Attivo, popolato in maniera più articolata, da Calm keeper, Committed e Escapist, che valgono in totale 15,4 milioni di persone. Ognuno di questi profili esprime un diverso progetto per affrontare la crisi, tre modi differenti di stare nella situazione senza subirla.

I Calm keeper fin dalle prime fasi della pandemia hanno cercato di non farsi travolgere dagli eventi per conservare o ritrovare il senso di una nuova quotidianità. Il loro mantra è: “preoccuparsi oltre il necessario rende la vita ancora più difficile”. Si tratta di Boomer anziani e Senior evoluti con istruzione elevata, che vivono soprattutto in provincia.

Condividono con i Communitarian la fiducia in una fine rapida della crisi ma sono più pessimisti sulla tenuta della società nelle fasi successive all’emergenza, perché grazie alla loro età e alla loro esperienza ne hanno viste tante e anche se, alla fine, se la sono cavata ricordano ancora le ferite e le cicatrici del passato. Facendo di necessità virtù, molti di loro hanno iniziato ad acquistare online, colmando il digital gap rispetto alla popolazione più giovane. Per non perdere la loro immunità psicologica e non essere sovrastati dall’infodemia anche loro, come i Communitarian, si sono schermati da un’esposizione eccessiva ai media, in particolare dalla cronaca che enfatizza troppo gli aspetti allarmistici e sensazionalistici. Proprio per questo è importante rivolgersi a loro usando una comunicazione e dei toni pacati e realistici.

Personas al tempo del Coronavirus

I Committed, giovani adulti (25-34 anni), prevalentemente uomini, metropolitani e di istruzione e livello socioculturale superiore. Il loro tema è essere proattivi e trovare soluzioni. Sono la parte più giovane e intraprendente della popolazione, pieni di energia e mentalmente aperti. Hanno reagito alla crisi attrezzandosi attraverso le tecnologie digitali per il lavoro o per lo studio dei figli e sono diventati il popolo dello smartworking e dell’e-learning evoluto. Sono l’immagine di un’Italia che ha saputo stare al passo con l’innovazione. Sono tra quelli che dall’inizio della crisi hanno ridotto di più i loro acquisti fisici, incrementando ancora di più lo shopping online. Hanno utilizzato i servizi di food delivery anche per fare la spesa e sono tra i maggiori sottoscrittori di servizi d’intrattenimento. Il loro mondo mediale è dominato dal video: TV tradizionale, streaming, siti. Per comunicare con loro è importante bilanciare valori d’immagine e soluzioni pratiche che aiutano a ripensare le nuove condizioni di vita, usando un tono di voce concreto e positivo.

Gli Escapist, che hanno approfittato della quarantena per dedicare ancora più tempo alle proprie passioni e interessi. Sono il gruppo più giovane. Si sono ritagliati una sorta ambiente-nido alternativo al mondo di fuori. Per questa ragione sono tra i meno preoccupati per la situazione e hanno maturato, al limite, una sorta d’indifferenza. Abituati a mangiare spesso fuori casa prima della crisi, molti di loro hanno dovuto abituarsi a cucinare tra le pareti domestiche incrementando gli acquisti di beni di prima necessità. Sono i massimi consumatori d’intrattenimento in tutte le sue forme: film in TV, YouTube, Netflix, Amazon Prime.

Sono il core target di social, Instagram in particolare, e sono anche il pubblico ideale degli influencer e degli Youtuber, del gaming, degli eventi digitali su piattaforma. Per comunicare con loro è fondamentale costruire relazioni leggere e ludiche, evitando messaggi drammatici e presidiando l’intrattenimento.

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Personas Coronavirus

3. Il Mainstream

Passivo, un’area in cui prevalgono le emozioni negative e le preoccupazioni. La crisi è vista soprattutto come qualcosa che si subisce. Qui troviamo i Protector e i Defender.

I Protector sono prevalentemente donne, di età centrale e anziana, più concentrate nei piccoli centri. Il loro tema principale è seguire tutte le precauzioni possibili dal punto di vista sanitario per proteggersi e tenere in sicurezza se stessi e i propri cari. Sono i più assidui nelle pratiche igieniche, evitano ogni mezzo di trasporto pubblico e il contatto con gli oggetti nei luoghi comuni. Sanificano la spesa dopo essere rientrati dal supermercato e disinfettano spesso le superfici di casa. Il livello di paura e di preoccupazione verso il contagio è tra i più elevati. L’ansia e la paura li rende molto critici verso le istituzioni e vedono l’uscita dalla crisi molto in là nel tempo. Hanno incrementato gli acquisti di prodotti per la cura e la salute sia on che offline e di alimentari nei negozi fisici. Sono il pubblico dei media generalisti e sono uno dei target elettivi dell’infodemia. Proprio per questo, hanno un’alta esposizione mediale e hanno grande bisogno di soluzioni pratiche e rassicuranti sulla soluzione dei problemi quotidiani.

I Defender, profilo adulto con una presenza massiccia di anziani e una maggiore concentrazione nel Nord e nei centri più grandi. La loro preoccupazione fondamentale è difendere sé stessi e i propri casi da ogni rischio e pericolo economico e sociale, oltre che sanitario. Non sono tra le persone più in difficoltà, ma hanno una gran paura di trovarcisi: il loro livello di paura è il più elevato e la fine della crisi è proiettata molto in là nel tempo. Hanno costruito delle trincee che presidiano e nelle quali si sono attrezzati per resistere a lungo, facendo ad esempio scorte significative di beni di prima necessità, soprattutto nei negozi fisici. Sono il pubblico ideale dell’infodemia e da quando è iniziata la crisi hanno incrementato in modo significativo il consumo di tv, in particolare di news e di Facebook.

Come per i Protector, sono un pubblico sovraesposto ai media che cerca praticità, concretezza e rassicurazioni sulla soluzione dei problemi e sulle procedure di sicurezza e trasparenza.

L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

4. La Zona buia

È l’area della paura, dello sconforto e dell’impotenza, popolata da coloro che non hanno né mezzi, né risorse per andare avanti.

Qui si trovano i Surrender. Questa ricerca ne conta solo 2 milioni di persone perché il campione è stato reclutato con interviste online. Ma di fatto sono solo la punta dell’iceberg degli oltre 10 milioni di italiani in condizioni di povertà.

Quella parte dei Surrender che è stato possibile intervistare è rappresentata prevalentemente da adulti, in maggioranza donne, di età trasversale, disoccupati o separati o divorziati delle medie città e dei piccoli centri. Una minima parte dei precari che, già fragili e in difficoltà prima della crisi, sono stati letteralmente travolti. Non hanno nessuna fiducia nel futuro e sono decisamente ostili alle istituzioni. Impauriti e sfiduciati, tendono a isolarsi e a sopravvivere. Sono quelli che hanno attinto alle loro già scarse riserve per fare scorte di beni di prima necessità. E, rispetto alla media, hanno ridotto anche il consumo di tutti i media (TV, digital, notizie, intrattenimento) entrando in una sorta di isolamento. Per questo è fondamentale cercare di rassicurarli e di raggiungerli con offerte, agevolazioni, promozioni. Se possibile in collaborazione con le istituzioni e le iniziative dei leader di mercato.

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L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

Verso la Fase 2

Allo stato attuale i segmenti che potrebbero crescere di più nel breve periodo sono quello dei Protector e dei Calm Keeper. I primi sono predittivi dell’intenzione di mantenere le abitudini prese durante la fase di emergenza; i secondi esprimono la necessità di recuperare una qualche forma di equilibrio dopo la fase iniziale.

Tutto questo in uno scenario nel quale l’orizzonte temporale di uscita dalla fase acuta della crisi si sposta oltre l’estate e la fiducia nella tenuta del clima sociale è in calo.

“Nonostante il momento che stiamo vivendo, la maggior parte della popolazione continua a chiedere di non fermare la comunicazione commerciale – commenta Federica Setti, Chief Research Officer di GroupM Italia. Questo dipende dalle funzioni fondamentali della comunicazione: identificazione e orientamento, delle quali le persone oggi hanno più che mai bisogno. Una lettura integrata di tutti questi elementi ci consentirà di definire l’evoluzione dei prossimi mesi. E la prima cosa che capiremo riguarda la profondità e l’impatto delle abitudini prese durante la quarantena. Per comprendere se queste abitudini sono destinate a volatilizzarsi, persistere (ma solo per il periodo della crisi), diventare definitive o per capire quali nuovi e inaspettate reazioni potrebbero sorgere”.

spazio business coronavirus 2

Cosa è successo alla corsa allo spazio (e al suo business) durante l’emergenza Coronavirus

  • Entro il 2040 si prevede che l’economia spaziale globale raggiungerà 1.100 miliardi di dollari;
  • Il lockdown ha messo in standby anche tantissime delle missioni e delle esercitazioni previste nello spazio, permettendo di attivare però nuove sperimentazioni tra i civili;
  • Le ultime notizie parlano di un nuovo possibile business spaziale, stavolta non legato alle estrazioni minerarie dagli asteroidi, ma ad Hollywood.

 

Gli esseri umani osservano le stelle da migliaia di anni. Da sempre, scienziati e studiosi hanno fatto scoperte e messo a punto teorie rivoluzionarie, che hanno cambiato radicalmente la percezione dell’universo.

Dopo aver compreso il nostro sistema solare e l’universo, l’umanità ha deciso di superare i confini del nostro pianeta e di esplorare lo spazio. I primi tentativi furono fatti negli anni ’50, con la Russia che lanciò il primo satellite artificiale in orbita. Il successo della Russia preoccupò gli Stati Uniti, spingendoli ad accelerare le proprie attività spaziali. Tutto questo fino al 1969, anno in cui il primo uomo mise piede sulla Luna, uno dei balzi più significativi per l’umanità.

Quel periodo, fino ad oggi, è rimasto ineguagliato per la quantità di risorse impegnate in termini economici. A partire dagli anni Settanta, la corsa allo spazio rallentò e i budget assegnati alla NASA diminuirono. Per questo il sostegno privato al settore spaziale divenne una priorità.

Oggi l’economia spaziale privata non è più un ripiego e, grazie ad un numero crescente di imprese e ad una produzione diversificata, ha raggiunto una dimensione significativa, diventando uno dei protagonisti più potenti dell’economia globale.

Per comprendere meglio le dimensioni di questo fenomeno, dovremmo dare uno sguardo ai numeri. Secondo alcuni studi, infatti, l’economia spaziale globale raggiungerà 1.100 miliardi di dollari entro il 2040, mentre la quota dei governi nell’economia spaziale globale diminuirà dal 25% al 17%.

economia dello spazio

Come evolverà l’economia spaziale globale?

Tuttavia, ci sono ancora dubbi sul futuro dell’economia spaziale globale. Alcuni affermano che, sì, l’economia spaziale è fiorente, ma per poter parlare di un’economia da 1,1 trilioni di dollari, è necessario che entrino in gioco enormi interessi. Di conseguenza, ci si riferisce a due diverse economie spaziali. Da un lato, le attività basate su necessità “terrestri“, come le telecomunicazioni e la sorveglianza. Dall’altro, nuovi settori, come l’esplorazione dello spazio profondo e l’estrazione mineraria dagli asteroidi.

Dato che, per quanto riguarda il primo caso, possiamo tranquillamente dire che si tratta di attività che diventano, giorno dopo giorno, più fiorenti, per capire come si evolverà l’economia spaziale globale, dobbiamo concentrarci sui nuovi campi come la vita interplanetaria, l’estrazione mineraria dagli asteroidi e il turismo spaziale privato

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L’estrazione mineraria dagli asteroidi

Dieci anni fa, l’estrazione mineraria su asteroidi sembrava irrealistica, ma oggi ci sono aziende che operano in questo campo e si prevede che questa diventerà una pratica comune tra qualche decennio.

Metalli Preziosi

Il protagonista dell’industria mineraria legata agli asteroidi è Planetary Resources, una società con sede a Washington che mira a estrarre acqua e metalli preziosi dagli asteroidi.

Quando si parla di metalli preziosi, si pensa immediatamente all’oro. Ma il fisico Stephen Hawking, nella sua ultima intervista televisiva prima di morire, disse “l’oro è raro ovunque, non solo sulla Terra“.

Trovare l’oro, dunque, potrebbe essere un problema? No, pare ci sia un’eccezione: l’asteroide Psiche 16.

Psiche 16, scoperto dall’astronomo italiano Annibale de Gasparis il 17 marzo 1852, è quasi del tutto costituito da metalli – per lo più oro – a differenza della maggior parte degli altri asteroidi precedentemente osservati.

Ora, immaginiamo che una società mineraria atterri su questo asteroide, lo scavi e riesca a riportare i metalli preziosi sulla Terra. Cosa accadrebbe? Beh, Psyche 16 vale 700 quintilioni di dollari, una cifra sufficiente a dare a ogni persona sul pianeta 93 miliardi di dollari. Ma c’è una realtà: il prezzo si basa sui concetti di domanda o offerta. Quando l’offerta sale, i prezzi scendono, quindi, un forte aumento della quantità di oro presente sul mercato porterebbe ad una diminuzione molto forte del prezzo.

Quindi, in termini di metalli preziosi, questo esempio, ci mostra come il contributo dell’estrazione dagli asteroidi all’economia spaziale globale potrebbe risultare alquanto controverso nell’attuazione.

Acqua e Ossigeno

Un altro obiettivo delle compagnie minerarie specializzate in asteroidi sono acqua e ossigeno. L’acqua, infatti, viene utilizzata per la produzione di aria respirabile e di cibo, ma anche per il propellente ad acqua, una tecnologia che faciliterà l’esistenza interplanetaria e le esplorazioni nello spazio profondo su cui la NASA sta lavorando.

Alcuni studiosi hanno già iniziato a pensare al valore di questi due elementi nelle colonie extraterrestri. L’ossigeno, dunque, potrebbe generare enormi entrate per le compagnie minerarie che lavoreranno sugli asteroidi, anche se, tali compagnie potrebbero non essere l’unica opzione per fornire acqua e ossigeno. Alcuni scienziati, infatti, pensano che Marte e la Luna – gli obiettivi primari dell’esistenza interplanetaria – possano avere abbastanza acqua per produrre ossigeno.

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Vivere nello Spazio

La possibilità, per l’uomo, di vivere su pianeti diversi dalla Terra è uno dei campi che farà progredire l’economia spaziale globale. Oltre alle agenzie spaziali nazionali, le società private hanno pianificato missioni con equipaggio per visitare anche altri corpi celesti.

La figura più importante in questo campo è Elon Musk, il fondatore di SpaceX. Musk ha un piano ambizioso per andare su Marte prima della NASA nel 2020. Inoltre, ha anche in programma di fondare una colonia sul Pianeta Rosso. La sua azienda ha già testato con successo Starhopper, il prototipo della nave stellare marziana colonizzatrice. Questo razzo nei test è stato capace di salire di 150 metri per poi fermarsi su una piattaforma di atterraggio vicina.

Anche se un progetto interplanetario di questo tipo aiuterebbe senza dubbio l’economia spaziale globale ad andare avanti, bisogna tener presente che i progetti interplanetari richiedono ingenti fondi e, sicuramente, i costi più bassi delle aziende private rispetto alle agenzie spaziali nazionali aiutano.

La NASA non sta ferma a guardare

L’agenzia spaziale statunitense, infatti, prevede di andare su Marte nel 2030, ma senza certezze, a causa di questioni tecniche ma anche, e soprattutto, finanziarie. La stima dei costi di una missione su Marte con equipaggio è di 217,4 miliardi di dollari. Se si considera che il budget della NASA è di 22 miliardi di dollari, risulta chiaro che, per questa missione, sarebbe necessario stanziare un enorme budget aggiuntivo.

D’altra parte, vale la pena ricordare che le attività militari nello spazio si stanno intensificando. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno ufficialmente attivato lo Space Command, una nuova forza militare che difenderà i propri satelliti e altri beni spaziali. Inoltre,  il Pentagono vuole creare una stazione spaziale, inizialmente usata come esperimento, capace, in seguito, di sostenere la vita e ospitare equipaggi militari.

Tanti progetti che richiederanno uno sforzo economico notevole ma che, una volta realizzati, saranno capaci di diventare fonte di guadagno per governi e aziende private.

Turismo Spaziale

Molte aziende stanno lavorando febbrilmente per portare dei semplici passeggeri nello spazio. È il caso di Virgin Galactic. L’azienda ha già presentato il suo spazioporto, un hangar che fornirà uno spazio per le operazioni di volo e ha venduto 600 biglietti, con un costo a partire da 250.000 dollari.

Il ruolo del turismo spaziale, non deve essere ridotto ad una semplice stravaganza per ricchi. Infatti, un team di medici della University of Technology Sydney ha scoperto che la maggior parte delle cellule tumorali sottoposte a microgravità in laboratorio muoiono senza alcun altro trattamento e vuole riprodurre lo stesso esperimento nella Stazione Spaziale Internazionale. Se questo metodo dovesse essere accettato, potremmo vedere le aziende che si occupano di turismo spaziale collaborare con il settore sanitario per trasportare i pazienti affetti da cancro nello spazio. Naturalmente, un tale trattamento richiederebbe un tempo di permanenza più lungo. Ma alcune aziende stanno ci stanno già pensando. Un esempio è la Orion Span, che sta lavorando alla costruzione di una stazione spaziale privata che dovrebbe fungere da albergo spaziale, capace di accogliere i suoi ospiti per 12 giorni.

Riassumendo, molto probabilmente in futuro assisteremo a missioni spaziali di successo effettuate da governi e aziende private. Alcune nazioni che oggi non si sono ancora impegnati in attività spaziali parteciperanno sicuramente all’industria spaziale globale negli anni a venire. In ogni caso, come sottolineato in precedenza, le missioni spaziali su larga scala determineranno il raggiungimento dei mille miliardi di dollari impiegati in questo settore e se i governi e le agenzie nazionali continueranno a collaborare con le aziende private, molto probabilmente vedremo più aziende spaziali, una produzione diversificata e una più ampia economia spaziale globale.

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spazio business coronavirus 2

Intanto, sulla Terra…

In tutto questo, l’emergenza Coronavirus ha messo in standby anche tantissime delle missioni e delle esercitazioni previste dalle varie agenzie spaziali, permettendo di attivare però nuove sperimentazioni anche tra i civili.

L’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ad esempio, è stata costretta a concentrare gli sforzi sulle attività più pressanti e necessarie, annullando tutto il resto.

Il direttore generale dell’ESA Jan Wörner ha dichiarato a Euronews che l’agenzia ha visto il coronavirus “venire verso di noi come uno tsunami”, ed è passata alla modalità telelavoro ancora prima del lockdown. L’ESA ha normalmente circa 5.000 dipendenti nei suoi siti chiave in Germania, Francia, Spagna e Italia, ma ora ne ha meno di 100 in loco. Secondo Wörner, infatti anche l’ESA ha registrato circa 50 casi di COVID-19 tra il suo personale.

La decisione ha significato anche un arresto del funzionamento della strumentazione e della raccolta dati sull’ExoMars Trace Gas Orbiter, che stava iniziando a rilevare segni di vita sul pianeta rosso, mentre la navicella spaziale MarsExpress, che opera intorno a Marte dal 2004, è stata anch’essa posta in modalità standby.

Anche l’ultima missione dell’ESA, Solar Orbiter, lanciata solo nel febbraio 2020, si è ridotta al minimo per un periodo sconosciuto, pur continuando la sua lunga crociera verso il Sole. La prima fase di messa in servizio degli strumenti scientifici era già partita, ma questi sono ora fermi. Anche la missione JUICE per esplorare le lune ghiacciate di Giove subirà ritardi prima del lancio.

Altre attività spaziali critiche sono ancora in corso. La Stazione Spaziale Internazionale è in fase di manutenzione come di consueto, mentre l’agenzia concentra l’energia anche su satelliti cruciali per l’osservazione della Terra, come la flotta di satelliti Sentinel dell’UE.

Mettere in standby le navicelle interplanetarie non è considerato un problema importante per i prossimi mesi, secondo il capo delle operazioni di missione dell’ESA, Paolo Ferri. “Queste sonde sono progettate per sostenere in sicurezza lunghi periodi di tempo con un’interazione limitata o nulla con il suolo”, ha spiegato. Quelle navicelle che richiedono attenzione sono sorvegliate da un unico tecnico in una sala di controllo, supportato da controllori di volo che lavorano da casa.

Wörner ha detto che una delle sue preoccupazioni principali è stata quella di preservare l’industria spaziale europea durante la crisi. Il settore comprende grandi aziende come ArianeGroup e ThalesAleniaSpace, ma anche una vasta gamma di PMI specializzate. “È nostro dovere fare in modo di non perdere molte di queste aziende”, ha detto Wörner. La risposta dell’ESA per le imprese più piccole è  stata quella di spostare le date di fatturazione e di pagamento per garantire un certo reddito per tenere a galla le imprese. Le aziende più grandi, come ArianeGroup, continuano le “attività critiche”. L’azienda aerospaziale italiana Avio, ad esempio, continua a produrre razzi a propellente solido Vega.

Per quanto riguarda i grandi progetti previsti nei prossimi mesi, il quadro è eterogeneo: “Siamo tutti la stessa specie, su un piccolo punto blu”, hanno ricordato dall’ESA.

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Anche il previsto lancio di SpaceX di un nuovo satellite di navigazione GPS per l’esercito americano è stato ritardato almeno fino a giugno a causa della pandemia di Coronavirus, secondo quanto riferito dagli ufficiali della Space Force.

In una dichiarazione rilasciata il 7 aprile, i funzionari dello Space Force’s Space and Missile Systems Center (SMC) hanno annunciato di aver posticipato il lancio “per ridurre al minimo il potenziale di esposizione di COVID-19 all’equipaggio di lancio e agli operatori”.

L’esperimento francese

In Francia, intanto, gli scienziati spaziali hanno usato il blocco dovuto al COVID-19 come una prova generale di ciò che sarà stare rinchiusi all’interno di una navicella spaziale in missione su Marte.

Le cavie dell’esperimento sono 60 studenti che sono confinati nelle loro stanze del dormitorio nella città di Tolosa – non lontano dalle condizioni che potrebbero incontrare in una lunga missione spaziale.

Quando il governo francese ha imposto restrizioni di movimento per frenare la diffusione del virus, la ricercatrice spaziale Stephanie Lizy-Destrez ha deciso di sfruttare al meglio la situazione e ha iscritto gli studenti volontari.

Non è una simulazione esatta del volo spaziale: compiti come il prelievo di campioni dalla superficie di un pianeta con un rover lunare non sono previsti, e gli studenti possono interrompere il loro viaggio spaziale virtuale per una passeggiata giornaliera all’esterno.

Al contrario, essi svolgono compiti al computer come test di memoria e test di agilità mentale. Tengono un diario giornaliero e ogni cinque giorni devono compilare un questionario.

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Ma gli spazi ristretti – gli studenti si trovano in stanze che misurano 12 metri quadrati – e i limiti di ciò che le persone possono fare sono simili alle condizioni che le persone possono incontrare nello spazio. Così come gli effetti psicologici negativi che questo può avere sulle persone, che gli scienziati vogliono capire meglio prima di inviare astronauti in una missione su Marte che potrebbe durare diversi mesi.

Tom Lawson, uno studente di master in ingegneria aerospaziale che partecipa al programma, ha descritto gli effetti: “Molti studenti trovano estremamente difficile stare al passo con il loro lavoro e tenere il passo con quello che devono fare”.

Nel 2017, sei volontari hanno trascorso due settimane in Polonia in una versione simulata di una base di Marte. Anche la Mars Desert Research Station nello Utah, negli Stati Uniti, mette in scena missioni simulate, ma il vantaggio della missione di isolamento durante il lockdown è che i ricercatori hanno avuto accesso a un campione di dimensioni maggiori.

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Nello spazio arriva anche Hollywood

Notizia di pochi giorni fa, Tom Cruise, la NASA e SpaceX di Elon Musk starebbero pianificando di girare un film nello spazio. Dalle indiscrezioni emerse il progetto sarebbe ancora in fase iniziale, ma decisamente avviato; tuttavia, per ora non è ancora stato coinvolto alcuno studio.

Se il progetto dovesse realizzarsi si tratterebbe del primo vero film di fiction – non un documentario, insomma –  girato intorno alla Terra.

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EnerTech, NeN annuncia il lancio del suo servizio di fornitura

A metà tra una tech company e una energy company – tanto da definirsi “la prima startup EnerTech in Italia – NeN ha lanciato il suo servizio di fornitura elettrica e di gas, con la promessa di “sorprendere, stravolgere e ripensare da zero il mondo dell’energia”.

La startup è profondamente diversa dai tradizionali fornitori di energia. Nasce infatti con l’obiettivo di esprimere al meglio i valori di digitalizzazione, semplicità e trasparenza in un settore spesso percepito come ermetico e complicato, e per offrire una fornitura davvero green e sostenibile, con energia proveniente solo da fonti solari, eoliche e idriche sparse sul territorio italiano.

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nen energia

Come funziona NeN

Grazie alla sua piattaforma digitale, NeN semplifica l’intera esperienza di gestione della fornitura di luce e gas. Lo smartphone e il pc sostituiscono interamente la burocrazia, i moduli da compilare a mano e le tradizionali bollette difficili da capire: con NeN basta una scansione dell’ultima bolletta per dare il via al tanto famigerato “switch”. Non solo, NeN elimina i conguagli “a sorpresa” e le voci di costo criptiche, attraverso la creazione di un’offerta di fornitura che funziona come un abbonamento: ogni cliente ottiene una rata personalizzata al centesimo, basata sui propri consumi e all inclusive, che garantisce prevedibilità della spesa domestica per ogni anno di fornitura.

L’app di NeN, inoltre, permetterà all’utente di monitorare i consumi in qualsiasi momento: questo renderà le eventuali variazioni alla rata dell’anno successivo prevedibili, ma, soprattutto, aiuterà l’utente a capire l’origine dei propri consumi, migliorando abitudini e comportamenti quotidiani in ottica di un uso efficiente e responsabile dell’energia.

nen energia startup

Gli obiettivi

“NeN nasce per trasformare radicalmente l’esperienza di gestione e fornitura dell’energia. La digitalizzazione sta cambiando completamente l’approccio ai servizi del cliente, che ha aspettative sempre più alte e vuole semplicità, velocità e trasparenza; il settore dell’energia è fermo a modelli tradizionali, e non offriva nulla che rispondesse a questi bisogni – spiega Stefano Fumi, CEO di NeN – Il mondo energy è in grande fermento, con la liberalizzazione definitiva dei servizi di energia e gas prevista per il 2022: ci sembrava il momento migliore per lanciare un progetto così innovativo e offrire all’utente un’alternativa. Il mercato è affollato, ma abbiamo obiettivi importanti: puntiamo a 50.000 utenti domestici nei primi 12 mesi, che auspichiamo diventino più di 500.000 entro il 2024″.

A ulteriore garanzia degli utenti, la presenza e il coinvolgimento nell’assetto societario della startup del gruppo A2A, che ha creduto nell’idea e ha scelto di sostenere e investire nel progetto, con un’operazione di corporate entrepreneurship:

“Abbiamo dato vita ad un’iniziativa, dotata di autonomia, agilità e velocità necessarie ad interpretare in modo autenticamente innovativo necessità emergenti dal mercato – commenta Valerio Camerano, Amministratore Delegato di A2A – In un certo senso NeN vuole anche essere il nostro contributo di investimento, sviluppo e ripartenza in questa delicata fase che vive il nostro paese, contribuendo a dare più certezza e affidabilità ai bisogni concreti di individui e famiglie”.

Il servizio di fornitura elettrica e di gas di NeN è attivo in tutta Italia: è possibile ottenere una rata personalizzata in pochi minuti sul sito o, a breve, scaricando l’app NeN, disponibile per iOs e Android.

brian chesky airbnb lettera

La lettera di Airbnb che potrebbe passare alla storia delle HR

Se non avete già visto la lettera che parla dei licenziamenti imminenti scritta dal CEO Brian Chesky al suo team di Airbnb, probabilmente vi siete persi qualcosa.

Si tratta di una missiva che sta già iniziando a diventare virale, e si trasformerà certamente in un caso di studio per le HR, non solo perché si parla di licenziamenti in tempo di COVID-19.

Per capire cos’è che rende così incredibile la lettera, e soprattutto il sentimento che sta dietro alla lettera, basta leggerla. Ne riportiamo qui il testo tradotto.

airbnb lettera licenziamenti

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Un messaggio dal co-founder e CEO Brian Chesky

5 maggio 2020

Questa è la settima volta che vi parlo da casa mia. Ogni volta che abbiamo parlato, ho condiviso notizie buone e cattive, ma oggi devo condividere alcune notizie molto tristi.

Quando mi avete chiesto dei licenziamenti, vi ho detto che niente può essere fuori discussione. Oggi devo confermare che stiamo riducendo la forza lavoro di Airbnb. Per un’azienda come la nostra, la cui mission è incentrata sull’appartenenza, questo è incredibilmente difficile da affrontare, e sarà ancora più difficile per chi dovrà lasciare Airbnb. Condividerò tutti i dettagli possibili su come sono arrivato a questa decisione, su cosa stiamo facendo per coloro che se ne vanno e su cosa succederà in seguito.

Permettetemi di iniziare con il modo in cui siamo arrivati a questa decisione. Stiamo vivendo collettivamente la crisi più straziante della nostra vita e, mentre cominciava a svilupparsi, il viaggio globale si è arrestato. L’attività di Airbnb è stata colpita duramente, con un fatturato che quest’anno dovrebbe essere meno della metà di quello che abbiamo guadagnato nel 2019. In risposta a questo, abbiamo raccolto 2 miliardi di dollari di capitale e abbiamo tagliato drasticamente i costi che hanno toccato quasi ogni reparto di Airbnb.

Sebbene queste azioni fossero necessarie, è diventato chiaro che avremmo dovuto andare oltre quando ci siamo trovati di fronte a due dure verità:

  1. Non sappiamo esattamente quando torneremo a viaggiare.
  2. Quando torneremo a viaggiare, il viaggio avrà un aspetto diverso.

Anche se sappiamo che l’attività di Airbnb si riprenderà completamente, i cambiamenti che subirà non saranno temporanei o di breve durata. Per questo motivo, dobbiamo apportare ad Airbnb cambiamenti più radicali riducendo le dimensioni della nostra forza lavoro intorno ad una strategia di business più mirata.

Dei nostri 7.500 dipendenti, quasi 1.900 compagni di squadra dovranno lasciare Airbnb, vale a dire circa il 25% della nostra azienda. Poiché non possiamo permetterci di fare tutto quello che facevamo prima, questi tagli hanno dovuto essere mappati su un business più mirato.

Un business più mirato

I viaggi in questo nuovo mondo avranno un aspetto diverso, e dobbiamo far evolvere Airbnb di conseguenza. La gente vorrà opzioni più vicine a casa, più sicure e più convenienti. Ma la gente avrà anche il desiderio di ritrovare qualcosa che oggi sente come se gli fosse stata portata via – la connessione umana. Quando abbiamo dato vita a Airbnb, si trattava di appartenenza e di connessione. Questa crisi ha acuito la nostra attenzione per tornare alle nostre radici, alle basi, a ciò che è veramente speciale in Airbnb – le persone comuni che ospitano nelle loro case e offrono esperienze.

Questo significa che dovremo ridurre i nostri investimenti in attività che non sostengono direttamente il nucleo della nostra community di host. Stiamo mettendo in pausa i nostri sforzi nei Trasporti e negli Airbnb Studios, e dobbiamo ridurre i nostri investimenti in Hotel e Lux.

Queste decisioni non sono un riflesso del lavoro svolto dalle persone di questi team, e non significa che tutti i membri di questi team ci lasceranno. Inoltre, i team di tutti i reparti di Airbnb ne risentiranno. Molti team saranno ridotti di dimensioni in base alla loro capacità di individuare la direzione di Airbnb.

Come ci siamo approcciati ai tagli

Era importante che avessimo una serie di principi chiari, guidati dai nostri valori fondamentali, per come avremmo affrontato la riduzione della nostra forza lavoro. Questi erano i nostri principi guida:

  • Tracciare una mappa di tutti i tagli in base alla nostra strategia aziendale futura e alle capacità di cui avremo bisogno.
  • Fare tutto ciò che possiamo per coloro che ne sono colpiti.
  • Essere incrollabili nel nostro impegno per la diversità.
  • Ottimizzare la comunicazione 1:1 per coloro che ne sono colpiti.
  • Aspettare a comunicare qualsiasi decisione fino a quando tutti i dettagli non saranno stati definiti – la trasparenza di informazioni solo parziali può peggiorare la situazione.

Ho fatto del mio meglio per rimanere fedele a questi principi.

Il processo per fare riduzioni

Il nostro processo è iniziato con la creazione di una strategia di business più mirata, costruita su un modello di costo sostenibile. Abbiamo valutato il modo in cui ogni team ha mappato la nostra nuova strategia e abbiamo determinato la dimensione e la forma di ogni team che andrà avanti. Abbiamo poi fatto una revisione completa di ogni membro del team e abbiamo preso decisioni basate sulle competenze critiche e su come queste competenze corrispondano alle nostre future esigenze di business.

Il risultato è che dovremo separarci dai compagni di squadra che amiamo e che apprezziamo. Abbiamo persone fantastiche che lasciano Airbnb, e altre aziende saranno fortunate ad averle.

Per prenderci cura di coloro che se ne vanno, abbiamo tenuto conto della liquidazione, dell’equità, dell’assistenza sanitaria e del sostegno al lavoro e abbiamo fatto del nostro meglio per trattare tutti in modo compassionevole e premuroso.

TFR

I dipendenti negli Stati Uniti riceveranno 14 settimane di stipendio base, più una settimana supplementare per ogni anno presso Airbnb. La retribuzione sarà arrotondata all’anno più vicino. Ad esempio, se qualcuno è stato in Airbnb per 3 anni e 7 mesi, riceverà 4 settimane aggiuntive di stipendio, o 18 settimane di stipendio totale. Al di fuori degli Stati Uniti, tutti i dipendenti riceveranno almeno 14 settimane di stipendio, più gli aumenti di ruolo in linea con le pratiche specifiche del Paese.

Equity

Stiamo diminuendo a un anno le regole per l’equity per tutti quelli che abbiamo assunto nell’ultimo anno, in modo che tutti coloro che se ne vanno, indipendentemente da quanto tempo sono stati qui, siano azionisti. Inoltre, tutti coloro che se ne vanno hanno diritto alla data di maturazione del 25 maggio.

Assistenza sanitaria

Nel bel mezzo di una crisi sanitaria globale di durata sconosciuta, vogliamo limitare l’onere dei costi sanitari. Negli Stati Uniti, copriremo 12 mesi di assicurazione sanitaria attraverso il piano federale COBRA. In tutti gli altri Paesi, copriremo i costi dell’assicurazione sanitaria fino alla fine del 2020. Questo perché non siamo legalmente in grado di continuare la copertura, oppure i nostri attuali piani non consentiranno una proroga. Forniremo anche quattro mesi di supporto per la salute mentale attraverso KonTerra.

Sostegno al lavoro

Il nostro obiettivo è quello di mettere in contatto i nostri compagni di squadra che lasciano Airbnb con nuove opportunità di lavoro. Ecco cinque modi in cui possiamo aiutare:

  • Alumni Talent Directory – Lanceremo un sito web rivolto al pubblico per aiutare i membri del team che lasciano Airbnb a trovare nuovi lavori. I dipendenti che lasciano possono scegliere di avere profili, curriculum e portfolio di lavoro accessibili ai potenziali datori di lavoro.
  • Alumni Placement Team – Per il resto del 2020, una parte significativa di Airbnb Recruiting diventerà un Alumni Placement Team. I reclutatori che rimarranno in Airbnb forniranno supporto ai dipendenti che lasciano per aiutarli a trovare il loro prossimo lavoro.
  • RiseSmart – Offriamo quattro mesi di servizi di carriera attraverso RiseSmart, una società specializzata in servizi di transizione professionale e di collocamento.
  • Supporto agli Alumni – Stiamo incoraggiando tutti i dipendenti rimasti ad aderire a un programma per aiutare i compagni di team in partenza a trovare il loro prossimo ruolo.
  • Computer portatili – Un computer è uno strumento importante per trovare un nuovo lavoro, quindi stiamo permettendo a tutti coloro che se ne vanno di tenere i loro portatili Apple.

Ecco cosa succederà dopo

Voglio fare chiarezza su tutti voi il prima possibile. Abbiamo dipendenti in 24 paesi e il tempo necessario per fare chiarezza varia in base alle leggi e alle pratiche locali. Alcuni paesi richiedono che le notifiche sull’impiego siano ricevute in modo molto specifico. Anche se il nostro processo può differire a seconda del Paese, abbiamo cercato di pianificare con cura ogni dipendente.

Negli Stati Uniti e in Canada, posso fornire chiarezza immediata. Entro le prossime ore, quelli di voi che lasciano Airbnb riceveranno un calendario con l’invito a una riunione di commiato con un senior leader del vostro dipartimento. Per noi era importante che, ovunque fosse legalmente possibile, le persone fossero informate in una conversazione personale, uno a uno. L’ultimo giorno lavorativo per i dipendenti in partenza con sede negli Stati Uniti e in Canada sarà lunedì 11 maggio. Abbiamo pensato che lunedì avrebbe dato alle persone il tempo di iniziare a fare i passi successivi e di salutarsi – capiamo e rispettiamo quanto questo sia importante.

Alcuni dipendenti che rimarranno avranno un nuovo ruolo e riceveranno un invito ad un incontro sul tema “Nuovo Ruolo” per saperne di più. Per quelli di voi negli Stati Uniti e in Canada che si trovano nel team Airbnb, non riceveranno l’invito per il calendario.

Alle 18:00, ora del Pacifico, ospiterò un incontro world@ per i nostri team dell’Asia-Pacifico. Alle 12 del mattino, ora del Pacifico, ospiterò un incontro world@ per i nostri team dell’Europa e del Medio Oriente. Dopo ognuna di queste riunioni, procederemo con i passi successivi in ogni Paese sulla base delle pratiche locali.

Ho chiesto a tutti i leader Airbnb di aspettare a riunire le loro squadre fino alla fine di questa settimana per rispetto ai nostri compagni di squadra che sono stati colpiti. Voglio dare a tutti i prossimi giorni per elaborare la questione, e ospiterò un Q&A CEO anche questo giovedì alle 16:00, ora del Pacifico.

Alcune parole finali

Come ho imparato in queste ultime otto settimane, una crisi porta chiarezza su ciò che è veramente importante. Anche se abbiamo attraversato un vortice, alcune cose mi sono più chiare che mai.

In primo luogo, sono grato a tutti qui alla Airbnb. In tutta questa esperienza straziante, sono stato ispirato da tutti voi. Anche nelle peggiori circostanze, ho visto il meglio di noi. Il mondo ha bisogno di connessioni umane ora più che mai, e so che Airbnb sarà all’altezza della situazione. Ci credo perché credo in voi.

In secondo luogo, provo un profondo sentimento d’amore per tutti voi. La nostra missione non riguarda solo i viaggi. Quando abbiamo iniziato Airbnb, il nostro slogan originale era: “Travel like Human”. La parte umana è sempre stata più importante della parte del viaggio. Ciò di cui ci occupiamo è l’appartenenza, e al centro dell’appartenenza c’è l’amore.

A quelli di voi che restano,

uno dei modi più importanti per onorare coloro che se ne vanno è che sappiano che i loro contributi sono importanti e che faranno sempre parte della storia di Airbnb. Sono fiducioso che il loro lavoro continuerà a vivere, proprio come questa missione.

A chi lascia l’Airbnb,

sono veramente dispiaciuto. Sappiate che non è colpa vostra. Il mondo non smetterà mai di cercare le qualità e i talenti che avete portato ad Airbnb… che hanno contribuito a creare Airbnb. Voglio ringraziarvi, dal profondo del cuore, per averle condivise con noi.

Brian

Qui il link per leggere il testo originale.

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La gamification applicata a spese, risparmi e investimenti

  • Negli anni ’90 gli Italiani erano tra i maggiori risparmiatori dell’Unione Europea ma oggi il tasso di propensione al risparmio è crollato
  • Una ricerca condotta da Columbia Threadneedle ha identificato nei millennial, la fascia di popolazione maggiormente preoccupata per questioni economiche
  • La gamification ha già cambiato il fitness, l’apprendimento e il corteggiamento: lo farà anche sulle questioni economiche?

Ping! Viene visualizzata una notifica sul telefono.

Ciao, sto solo facendo il check-in per farti sapere che sto per fare il tuo primo salvataggio automatico di € 20,59.

Cinguetta un chatbot.

Ching! Punteggio!
La dopamina ti attraversa le vene mentre senti il ​​brivido della vittoria e l’approvazione del chatbot.
Ancora meglio, quel denaro extra che hai risparmiato significa che puoi fare shopping, andare fuori a cena o semplicemente hai più fondi.

Ben soddisfatto, accedi a un’altra app e parte la caccia al tesoro in realtà aumentata in stile Pokémon Go intorno alla città.

Ecco che ti imbatti in un poster dallo strano aspetto; lo scansioni con la fotocamera del telefono, rivela un modello 3D di un paio di scarpe da ginnastica non ancora rilasciate.
Congratulazioni! Puoi acquistarle prima di chiunque altro: basta inserire i dettagli della tua carta come indicato sull’app, oltre al tuo indirizzo di consegna ed eccole già in viaggio verso il tuo appartamento.

Sembra fantascienza ma non lo è. È la gamification applicata al risparmio e investimento.

Il FinTech, il risparmio e le nuove generazioni: amore e odio

La crisi del 2008 ha cambiato la percezione delle vecchie e nuove generazioni rispetto le istituzioni bancarie tradizionali e i mercati di capitali. Allo stesso tempo, le nuove generazioni sono più propense a spendere in viaggi ed esperienze piuttosto che investire nel mattone come i nostri nonni.

Specialmente in Italia, fino a prima dell’impatto COVID-19, miglioravano redditi e consumi, ma nessuno metteva più da parte. Negli anni ’90 eravamo tra i maggiori risparmiatori dell’Unione Europea (con una propensione al risparmio del 13,88% nel 2008 contro una europea dell’11,19%) ma oggi il tasso di propensione al risparmio è crollato ( nel 2017, il 9,71% Italiano contro il 9,97% Europeo).

Le cause sembrano riportare a quei giovani-adulti che guadagnano poco, ma non vogliono rinunciare al loro tenore di vita. Il reddito disponibile delle famiglie è infatti cresciuto, dell’1,5% e 1,7% nel 2016 e 2017, la spesa per consumi finali dell’1,6% e del 2,5%, gli investimenti del 3,4% e 2,4%, dopo un lungo periodo negativo. Nell’Unione Europea in media si è verificato un progresso del 15,1%, in Germania del 38,8%, in Francia del 13,9%.

Il risparmio come risultato di mentalità e conoscenza

La “classe aspirazionale” è quella crescente parte della società che ha fatto del mantenimento di un tenore di vita molto alto uno standard cui non vuole e non può rinunciare. Questa è fatta di consumi non vistosi, principalmente in servizi più che in prodotti, in esperienze, viaggi, ristoranti, aperitivi, master, che di lussuoso hanno spesso poco e che vengono preferiti a vecchi status symbol in disuso come una bella automobile o anche un vestito firmato. Insomma, la definizione propria delle spese di un millennial tipo.

Questo ceto in espansione ha caratteristiche ben definite: lo scollamento tra il reddito percepito, il consumo e la frequenza del consumo stesso. Spende cifre non enormi, preferendo il weekend low cost o alla vacanza al mare, invece di risparmiare soldi per una casa.

Da un lato, risparmiare significa privarsi di qualcosa oggi per avere qualcosa domani, ma se non si capisce il senso e gli effetti di tale sacrificio è difficile trovare la giusta motivazione. Il mondo in cui viviamo, le nuove generazioni, vogliono tutto e subito; questo, combinato all’espansione della nuova “classe aspirazionale”, e al fatto che ben il 62% dei Millennial soffre di insonnia causata dalla difficoltà di arrivare a fine mese e pianificare il proprio futuro finanziario.

C’è molto di sociale e non solo di economico in questa crisi del risparmio, che è probabilmente qui per restare a prescindere da come andrà l’economia nei prossimi anni.

Rispetto alla media internazionale gli italiani mostrano un grave ritardo nell’apprendimento di nozioni e abilità economico-finanziarie, collocandosi all’ultimo posto tra i Paesi OCSE e al penultimo tra quelli del G20, come spiega Lorenzo Bandera. Secondo Standard & Poor’s nel 2014 un italiano su tre non era in grado di leggere un estratto conto o di distinguere tra le diverse forme di mutuo. 

Educazione significa Inclusione. Capire la finanza personale e gli strumenti a disposizione apre un ventaglio di possibilità per il nostro futuro: aprire un impresa, comprare una casa o investire nella nostra istruzione. Ma come possiamo capire di più senza dover acquisire conoscenze troppo tecniche? Come si possono trovare i corretti incentivi ad applicare un comportamento coerente con questa nuova esigenza?

La gamification sembra essere la risposta.

Gamification of Savings

Il Trend

“Gamify” significa utilizzare concetti di gioco, come punti e premi, per coinvolgerci e motivarci in attività specifiche. Basti pensare a Fitbit che migliora l’esercizio assegnando medaglie per le gli obbiettivi prefissati. Hinge fa il “gioco delle coppie” con il suo sistema di “mi piace”. Duolingo permette l’apprendimento delle lingue con livelli diversi da completare e un sistema di punti che premia l’utilizzo quotidiano. Una nuova generazione di app, bot e siti web sta ora facendo lo stesso con le nostre tasche.

Il risparmio può essere reso coinvolgente e gratificante come le app che attualmente  sono le più usate dagli utenti di smartphone. Per incoraggiare i giovani a risparmiare, paradossalmente, serve qualcosa che offra gratificazione immediata. I risparmiatori hanno bisogno dello stesso tipo di eccitazione che ottengono giocando ad un videogame con gli amici o raggiungendo il livello successivo in Candy Crush.

La gamification utilizza elementi del mondo dei giochi – come sfide e competizioni – per premiare azioni positive nel mondo reale, che si tratti di 10.000 passi compiuti o 1.000 euro risparmiati.

Gamification implica necessariamente competizione, che quasi sempre si traduce in motivazione.

Tante app popolari riguardano la valutazione e il confronto e la valutazione del servizio, di chi lo offre e di chi lo riceve (si pensi alle semplici app di taxi) ma ciò che amiamo ancora di più è confrontarci con l’altro: sapere cosa stanno facendo i nostri coetanei per essere sicuri che non siamo da meno ed anzi sentirci migliori.

Questo sicuramente suona vero per molte persone quando si tratta di esercizio fisico. Infatti il successo di molte app è ottenuto anche con la condivisione dei risultati con gli amici nei social network. Possiamo misurare la nostra salute (ma anche i nostri risparmi) non nel vuoto, ma in base ai risultati – e alle aspettative – di amici e familiari.

Anche se non scegli di condividere le tue informazioni, queste app rendono più semplice che mai impostare obiettivi di risparmio personali, segnare i tuoi progressi e essere premiato per i tuoi sforzi.

Alla base c’è, d’altronde, uno studio della psicologia umana. La dopamina è il neurotrasmettitore che controlla il centro di ricompensa e piacere del cervello e si attiva quando “vinci”, una vulnerabilità che aziende tecnologiche come Facebook hanno ammesso di sfruttare per tenerti agganciato.

Simon Rabin stesso, fondatore di Chip, afferma che “la comunicazione di Chip è progettata per far sentire l’orgoglio e il senso di realizzazione ad ogni salvataggio”. Le notifiche di congratulazioni che inducono dopamina creano dipendenza. La psicologa dei consumi Carolyn Mair sottolinea l’effetto della ricompensa: “Quando desideriamo qualcosa, le nostre aspettative sull’avere o possederlo rendono più forte la nostra eccitazione e quindi aumentano il rilascio di dopamina. Una volta che abbiamo l’oggetto e sperimentiamo il piacere, la dopamina diminuisce in modo tale che abbiamo bisogno di un altro episodio emozionante per innescare di nuovo la dopamina”.

Le Startup

Queste app, così come FinTech multimilionarie come Monzo e Revolut, sfruttano le nuove regole dell’Open Banking dell’Autorità della concorrenza e dei mercati. Consentono ai clienti delle maggiori banche di fornire a terzi un accesso sicuro ai dati del loro conto, mantenendo al contempo i loro soldi al sicuro con la crittografia. Tra le startup da tenere sott’occhio abbiamo identificato:

  • Chip – utilizza l’intelligenza artificiale (AI) per calcolare un importo conveniente che può essere salvato automaticamente senza influire sulle solite abitudini di spesa quotidiane. Chip ha recentemente infranto l’obiettivo di crowdfunding sulla piattaforma CrowdCube raccogliendo 2,9 milioni di euro da un target di 1,1 milioni.
  • Qapital – consente di impostare “trigger” per risparmiare automaticamente quando hai raggiunto un determinato obiettivo, come, ad esempio, correre cinque miglia. Puoi anche impostare i trigger di “colpevolezza” per penalizzarti per comportamenti scorretti, come spendere troppo sulla tua carta di credito.
  • Cash Coach – un’app AI progettata per aiutare le persone a risparmiare e incoraggiarle ad investire, sostituendo il budget con un’esperienza completamente gamificata. Cash Coach offre agli utenti sfide di risparmio mensili, calibrate in modo intelligente e personalizzato. Gli utenti sono classificati in base alle loro prestazioni di risparmio, consentendo loro di confrontarsi tra di loro.
  • Thriv – si concentra sull’aiutarti a risparmiare abbastanza denaro “per le cose che vorresti davvero in futuro”. Puoi impostare obiettivi a breve e lungo termine, inclusi titoli, cartellini dei prezzi, immagini, descrizioni e collegamenti, e tenere traccia delle tue spese e risparmi personali con facilità. Un promemoria accurato e barre di avanzamento ti aiutano a rimanere motivato.
  • Fortune City – ti piacciono i tipi di giochi che ti consentono di costruire la tua città virtuale? Fortune City è un’app di contabilità che ti premia con le funzionalità di costruzione della città per l’uso quotidiano dello strumento.

Big Players

I big players come sempre non stanno a guardare, soprattutto negli Stati Uniti dove i maggiori esempi di gamification arrivano da Ally Bank e Indiana Centier Bank.

Ally Bank ha adottato diverse campagne usando giochi per mettere in evidenza i consumatori sulla finanza personale. La banca si è anche superata con il suo gioco di realtà aumentata “Ally + Monopoly“. Il gioco ha trasformato sei città degli Stati Uniti – Charlotte, Detroit, New York, Chicago, Seattle e Dallas – in tavoli da gioco dal vivo Monopoli. Pokémon Go incontra il settore bancario e il denaro.

Centier Bank dello Stato dell’Indiana ha offerto la propria gamma di risparmi, con tanto di premi in denaro, attraverso un’app chiamata Billinero. Il nome dell’app di gioco è una composizione di “Bill”, come in valuta, e “Dinero”, spagnolo per soldi.

Anche le nuove banche stabilite come Monzo aprono la discussione direttamente nei loro forum mostrando non solo un forte interesse nello sviluppare tali soluzioni, ma la volontà di svilupparle proprio come i loro consumatori più fedeli le preferiscono.

Le Critiche

Se sembra tutto divertente e giochi, anche la gamification ha i suoi critici. Alcuni studi dimostrano che i giochi e le loro ricompense estrinseche (trofei, badge, ecc.) possono essere dannosi per la nostra motivazione intrinseca, che generalmente ci motiva a fare qualcosa senza il ronzio della ricompensa o delle congratulazioni. Tra i maggiori detrattori, Ian Bogost, professore presso il Georgia Institute of Technology e autore di Play Anything. Ian ha criticato la gamification ed il modo in cui “trasforma il noioso in straordinario. Prendi il tuo lavoro: ottenere punti per tenere in ordine la tua scrivania lo rende divertente?”.

Conclusione

La gamification può rendere divertente il risparmio, ma può aiutare i consumatori a raggiungere i loro obiettivi? Ci sono alcune prove che suggeriscono che funzioni. Commonwealth, un’organizzazione che aiuta le persone a diventare finanziariamente sicure, ha condotto studi e sviluppato giochi come SavingsQuest, uno strumento online e mobile considerato il primo “Fitbit per il risparmio”.

Non esiste alcuna garanzia che la gamification aiuterà ogni consumatore a costruire o far crescere un fondo di emergenza. Ma potrebbe fornire la motivazione necessaria per spendere meno e risparmiare di più.

In ogni caso i segnali che la gamification può potenziare un business sono molteplici e ormai assodati. Per una azienda B2C potrebbe essere una possibilità ulteriore da inserire nei propri servizi al cliente in quei settori che vogliamo far crescere o in cui un maggiore coinvolgimento del cliente risulterebbe portare vantaggi a lui e all’azienda.

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5 brand sostenibili che hanno scelto l’ultimo trend della moda: la canapa

  • I dati relativi all’impatto ambientale della moda fast-fashion hanno dimostrato come questo modello di business non sia sostenibile sul lungo periodo;
  • La risposta di molti brand a questa crisi è l’utilizzo di materie prime che riducano le emissioni, prima tra tutte la fibra di canapa tessile.

 

Da tempi immemori vittima del proibizionismo e oggetto di innumerevoli controversie, la pianta di canapa si conferma sempre di più una preziosa risorsa nei più svariati settori industriali (bioedilizia, alimentare, tessile, e via dicendo), in un momento storico in cui la necessità di una svolta sostenibile appare lampante come mai prima d’ora.

L’enorme potenziale di questa materia prima non è sfuggito ai brand di moda più attenti alle problematiche ambientali, che vogliono mantenere alti gli standard qualitativi dei loro prodotti, e allo stesso tempo adottare un approccio sostenibile per ridurre le emissioni inquinanti.

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito alla crescita smisurata del fenomeno fast fashion, denunciata da Giorgio Armani nella sua lettera aperta al quotidiano americano Women’s Wear Daily come responsabile non solo di un netto abbassamento della qualità dei capi sul mercato, ma anche di aver fatto dell’industria tessile una vera e propria minaccia per il pianeta.

La moda fast, si sa, alimenta costantemente l’impulso all’acquisto ed è caratterizzata da un sempre più rapido ricambio di capi d’abbigliamento, economici e fatti per non durare troppo a lungo (chi produce fast fashion arriva a lanciare fino a 50 collezioni in un anno). Questa logica di produzione ha degli effetti a dir poco devastanti per il pianeta, in termini di sovrapproduzione e conseguente difficoltà di smaltimento della mole di invenduto, oltre che impiego di materie prime e tecniche di lavorazione ad alto impatto ambientale.

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Per citare solo qualche dato relativo ai materiali maggiormente impiegati, il cotone occupa da solo il 3% dei terreni coltivati in tutto il mondo e richiede il 25% di pesticidi e fertilizzanti impiegati in totale; mentre per la produzione di poliestere, fibra che da sola copre il 47% dell’intera produzione d’abbigliamento a livello mondiale, ogni anno viene rilasciato nell’atmosfera l’equivalente delle emissioni di gas serra generate da 185 centrali elettriche e a carbone.

La coltivazione della canapa industriale, invece, richiede meno di un terzo delle risorse idriche e dei pesticidi impiegati per la produzione del cotone, con una resa di fibre estratte per ettaro del 250% in più. Rispetto al lino, si calcola addirittura una resa maggiore del 600%.

Senza contare che netta riduzione di CO2 nell’atmosfera a cui si andrebbe incontro, incrementando la coltivazione di questa pianta che, in fase di crescita, si stima che assorba una quantità di anidride carbonica pari a 4 volte quella immagazzinata dagli alberi.

Gli indumenti realizzati a base di fibre di canapa sono circa 2,5 volte più resistenti dei tessuti sintetici oltre che completamente biodegradabili: proprio per questo, molti brand che fanno della sostenibilità un punto focale della propria mission, continuano ad investire nella ricerca e sviluppo di materiali e tecnologie per la realizzazione di capi hemp-based.

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Tra i brand più eco-friendly, ecco quelli che si sono distinti negli ultimi anni per aver ideato e realizzato intere linee che vedono come protagonista questa pianta dalle innumerevoli risorse.

Levi’s Wellthreat x Outerknown

Marchio per antonomasia del jeans in denim, Levi Strauss & Co, ha presentato alla fine della scorsa estate una nuova collezione, realizzata in collaborazione con il brand d’abbigliamento Outerknown, interamente a base di cottonized-hemp, una fibra ottenuta dalla miscela cotone e canapa.

Con un occhio rivolto all’innovazione e l’altro alla responsabilità sociale e ambientale, il colosso californiano del blue jeans apre così la strada a un nuovo denim più green, puntando a ridimensionare in maniera significativa l’utilizzo di acqua e pesticidi nelle coltivazioni destinate alla produzione.

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Patagonia

Il noto brand di abbigliamento tecnico e sportivo outdoor, da sempre attento ad offrire ai suoi clienti solo capi di prima scelta, presenta la sua prima linea di hemp clothing nel 2017, a base di fibre di canapa miste a cotone organico, poliestere riciclato e tencel.

L’azienda, impegnata sul fronte sostenibilità, mira a recuperare un antico know how in materia di coltivazione e lavorazione delle fibre di canapa, in particolar modo dopo l’approvazione del “2018 Farm Bill” che sancisce l’erogazione di incentivi per la coltivazione e la ricerca sulla canapa industriale.

L’obiettivo di Patagonia è sfruttare a pieno il potenziale di quest’opportunità di business, come dichiarato da Alexandra La Pierre, responsabile ricerca e sviluppo materiali di Patagonia:

“Non abbiamo coltivato la canapa negli USA da così tanti anni da aver perso parte di questa tradizione e della nostra conoscenza storica. Ora è il momento di recuperare”.

Jungmaven

Brand d’abbigliamento casual, per Jungmaven la moda sostenibile è una vera e propria vocazione, e fin dalle sue origini ha puntato sulla canapa come materia prima per la sua capacità di rigenerarsi rapidamente e gli enormi benefici sull’ambiente.

Con un’esperienza ultraventennale in ambito hemp clothing, oggi Jungmaven è un marchio d’alta moda eco-consapevole, i cui capi sono sfoggiati da molte celebrità.

Utilizzare la canapa è una scelta etica, un atto di responsabilità verso il pianeta, che diventa parte di un cambiamento a tutto tondo, che implica un ripensamento di un stile di vita culturalmente e socialmente determinato.

Recreator

Street e irriverente, Recreator non si accontenta di adottare la canapa come materia prima, ma sfida ogni pregiudizio giocando con gli stereotipi sulla pianta, con delle grafiche sulle sue t-shirt che di certo non mancano di creatività.

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Coniugando le tradizionali tecniche di coltivazione della pianta con le tecnologie di lavorazione più innovative, e condendo tutto con uno stile underground, l’azienda di Los Angeles trasforma la canapa da hippie a hipster.

Hempy’s

Come suggerito dal nome del brand, anche il modello di business adottato in casa Hempy’s mette in primo piano la salute del nostro pianeta, proponendo capi di qualità a prezzi comunque accessibili.

Tutti gli articoli firmati Hempy’s sono realizzati in canapa e cotone organico, per poter garantire capi resistenti, traspiranti e che non provochino prurito o irritazione.

Casual e confortevoli, i prodotti Hempy’s si adattano a qualsiasi stile e spaziano dall’abbigliamento agli accessori, e constano anche di una linea di cosmetici bio, naturalmente, anche questi hemp-based.

Decreto liquidità, accordo Banca Sella-Credimi per finanziamenti “Liquidità 100”

In questi giorni abbiamo compreso sempre meglio quanto sia essenziale questo aspetto per le aziende per un reboost di tutte le attività.

Banca e Fintech oggi sono insieme per favorire l’accesso alla liquidità alle ditte individuali, in modalità totalmente digitale, senza andare in succursale, e in tempi molto veloci. Banca Sella, già attiva nell’open banking, nell’ambito delle iniziative che sta avviando per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza covid-19, ha firmato un accordo con la Fintech Credimi, leader europeo del finanziamento digitale alle imprese, nella quale detiene anche una partecipazione.

Grazie a questa partnership Banca Sella potrà garantire ai propri clienti, che svolgono attività economica rientrante nel perimetro previsto dal cosiddetto decreto liquidità, tempi ancora più rapidi per la gestione delle domande di finanziamento previste dal decreto, che prevede la possibilità di richiedere un prestito fino a 25 mila euro o comunque non superiore al 25% dei ricavi 2019, con la copertura del Fondo di garanzia del 100%.

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Credits: Depositphotos #79691248

Come funziona l’accordo

Le ditte individuali, clienti di Banca Sella, potranno richiedere questo finanziamento direttamente dall’internet banking, senza passaggi in filiale e senza presentare alcun modulo o documento cartaceo. A questo punto la domanda verrà presa in carico dai sistemi di Credimi, che processerà la richiesta in maniera quasi automatica, interfacciandosi digitalmente con il Fondo Centrale di Garanzia, senza alcun aggravio per il cliente, escluse le firme (tutte digitali) richieste dalla legge. La risposta arriverà sempre in pochi giorni e l’erogazione avverrà immediatamente dopo il rilascio della garanzia. Questo processo di lavorazione – dedicato alla partnership con Banca Sella – è stato messo a punto e rilasciato in una settimana.

“L’accordo con Credimi – ha dichiarato Andrea Massitti, Head of Corporate and Small Business di Banca Sella – rientra nell’ambito delle iniziative che la nostra Banca ha messo in campo nelle ultime settimane per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza Covid-19. In particolare, rispetto alle domande di finanziamento previste dal decreto liquidità, ci siamo organizzati per garantire ai nostri clienti tempi rapidi nella gestione delle richieste sia al nostro interno che attraverso la partnership strategica con Credimi. Questa organizzazione ci permette di rispondere alle esigenze dei clienti ed evadere le richieste nel minor tempo possibile”.

Da Gucci a FCA, quali sono stati i brand italiani che hanno riconvertito la produzione durante l’emergenza

  • Tanti brand si sono ritrovati, a seguito della pandemia da Coronavirus, a dover riconvertire la propria attività producendo mascherine, camici e gel igienizzanti;
  • Circa 180 aziende italiane del settore moda (ma non solo) si sono unite e hanno creato delle filiere per aiutare il personale sanitario.

 

In questi mesi, il mondo è cambiato. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha modificato le vite e le abitudini di ognuno di noi, ha trasformato il nostro lavoro e riadattato le nostre priorità, ha messo a dura prova la nostra resistenza, la forza d’animo ed economica di ogni singolo individuo e ogni singola famiglia. Adesso la ripartenza sembra sempre più vicina, anche se molto lenta e graduale.

Tutti, in un modo o nell’altro, hanno fatto la propria parte e dato il proprio contributo alla causa. Dal più piccolo gesto di solidarietà alla più grande e “rumorosa” donazione economica, chi ha potuto aiutare – in linea di massima – in questo periodo, lo ha fatto.

Sono tantissimi, ad esempio, i brand italiani che hanno riconvertito la propria attività e si sono messi a produrre mascherine, camici e gel igienizzanti da fornire gratuitamente al personale sanitario, in prima linea per affrontare l’emergenza, e ai cittadini italiani.

Vediamone alcuni.

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Il settore fashion: da Fendi a Calzedonia

Sono state circa 180 le aziende italiane della moda che si sono unite ed hanno creato due filiere per produrre ben 2 milioni di mascherine al giorno, per la maggior parte pro bono. Grandi brand come Fendi, Gucci, Armani, Valentino e Ferragamo hanno riconvertito – almeno in parte – la propria produzione, per fronteggiare l’emergenza Coronavirus

La casa di moda Ermanno Scervino ha acquisito a pieno la modalità di lavoro in smart working per i propri dipendenti e gli ha chiesto di realizzare mascherine da destinare alle aziende sanitarie della Toscana. Ogni giorno, alcuni addetti consegnano alle sarte di Scervino il cosiddetto “tessuto non tessuto” per realizzare le mascherine e ritirano i prodotti già confezionati.

Ancora, Prada ha realizzato 80 mila camici e 110 mila mascherine. 

Gucci ha donato 1 milione e 100 mila mascherine chirurgiche e 55 mila camici alla Regione Toscana. E Giorgio Armani, dopo aver donato 2 milioni di euro agli ospedali, ha convertito tutti i propri stabilimenti produttivi per realizzare camici monouso per gli operatori sanitari. 

Anche Calzedonia ha riconvertito la propria produzione e formato il proprio personale per realizzare materiale monouso da donare a chi lavora in trincea contro il Covid-19.

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Da Menarini a #RaiseYourSpirits di Bacardi

Non soltanto camici e mascherine, ma anche gel igienizzanti e prodotti disinfettanti per ambienti. Ad occuparsene, ai tempi del Covid, sono state tantissime aziende italiane che hanno – in parte o completamente – riconvertito la propria produzione e aiutato tantissime persone e strutture.

Il colosso farmaceutico Menarini ha deciso di produrre 5 tonnellate di gel disinfettante a settimana da donare agli ospedali. Bulgari ha prodotto gel disinfettante per un totale di 6000 pezzi al giorno, 200.000 pezzi in circa due mesi.

E ancora, L’Erbolario e l’azienda Davines di Parma hanno lavorato per produrre e consegnare enormi quantità di gel e disinfettanti per ospedali e strutture sanitarie.

Tra i tanti, Bacardi si è distinto non solo per aver utilizzato il suo alcol per realizzare gel disinfettanti, ma anche per l’iniziativa #RaiseYourSpirits attraverso la quale ha messo a disposizione dei membri della comunità dei bartender di tutta l’Europa occidentale 1,5 milioni di euro. 

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Ma sono ancora tantissime le piccole e grandi aziende e le industrie che si sono messe alla prova e hanno dato una mano ad un’Italia fortemente provata dall’emergenza sanitaria. Gli ingegneri di FCA e Ferrari, ad esempio, stanno collaborando con l’azienda Siare Engineering – una delle poche produttrici di respiratori – per aiutarli ad aumentare la produttività.

Ancora, industrie tessili come Confindustria Moda e Bc Boncar che hanno intercettato i materiali idonei alla realizzazione di camici e mascherine e hanno cominciato a produrne per dare una mano alla comunità.

C’è poi il caso di Apulia Stretch che ha sperimentato un nuovo tessuto idrorepellente all’esterno e idrofobico all’interno, molto simile al “tessuto non tessuto” (Tnt) che sarà distribuito alle sartorie e utilizzato per produrre mascherine.

Insomma, esiste un’Italia che davvero non si ferma e non lascia solo chi ne ha bisogno. Sono i brand conosciuti in tutto il mondo per l’alta qualità delle proprie produzioni e il grande cuore che mettono nel proprio lavoro, anche quello che prescinde la quotidianità.