Gli effetti della plastica riversata negli ambienti ha spinto le aziende a rimediare ai danni che tutti noi da troppi anni abbiamo recato all’ecosistema;
Anche gli scarti delle nostre tavole potranno essere trasformati in oggetti di uso comune grazie ad alcune colonie di batteri.
La plastica biodegradabile ha iniziato a segnare punti contro la plastica derivata da petrolio. La “guerra” è iniziata già da diversi anni e le grandi aziende insieme a biologi collaudano e sperimentano tecniche di riciclo sempre più affinate.
La green economy si sta imponendo sempre più, sensibilizzando non solo l’intero processo produttivo ma coinvolgendo anche nuovi attori in nuovi ruoli. L’intento è ovviamente quello di scusarsi con tutto l’ecosistema per i danni provocati fino ad ora.
La plastica ad oggi è uno dei maggiori inquinanti tra tutti i rifiuti di cui ci liberiamo e che riversiamo nell’ambiente – soprattutto marino – con le catastrofiche conseguenze sulla fauna che non possiamo più far finta di ignorare. Questa volta, però, parliamo dei rifiuti alimentari: una volta finiti in discarica, la loro decomposizione produce emissioni di carbonio, complici insieme ad altre materie inquinanti di agevolare il disastroso cambiamento climatico.
Cosa hanno in comune le bucce di banana e la plastica?
Da qualche anno si stanno perfezionando dei processi dedicati proprio ai rifiuti alimentari. Da questi infatti è possibile ottenere un tipo di plastica biodegradabile, “naturale”, che dà vita a materiali completamente compostabili. E così le bucce della frutta, l’olio di frittura, le patate e altre materie prime, invece di essere lasciate libere di trasformarsi in carbonio e gas serra, avranno una nuova vita tutta degna di stima. Oggetti o prodotti di uso comune, come stoviglie o imballaggi, decomponibili ed ecologici.
Le bioplastiche in questione, non provenienti dal petrolio e totalmente naturali, sono i PHA (poliidrossialcanoati) – polimeri poliesteri termoplastici – cioè catene lineari di molecole combinate tra loro e facilmente malleabili grazie al calore.
Il tipo di plastica tutta naturale deriva, in parole povere, dal processo di digestione di diverse colonie di batteri. I PHA nient’altro sono che il prodotto di questi esseri unicellulari, ottenuto attraverso il processo di sintetizzazione di zuccheri e lipidi in particolari condizioni di coltura come l’eliminazione di azoto, zolfo e fosforo.
La trasformazione in PHA avviene in circa sette giorni e sono coinvolte varie specie batteriche (Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas,etc) che, come in una catena di montaggio, hanno ognuna il proprio ruolo produttivo. Una coltura di batteri si occuperà di scomporre i rifiuti alimentari in minuscoli blocchi di carbonio. Il ruolo della seconda coltura sarà quello di mangiare il carbonio e immagazzinarlo nelle proprie cellule. Il prodotto finale, che per i batteri è accumulo di energia, a noi si presenta sotto forma di granuli che opportunamente estratti daranno vita a materia plastica biodegradabile.
La plastica biodegradabile che si crea e che si distrugge
Questa nuova alternativa vede come protagonista la startup canadeseGenecis. L’azienda biotecnologica, nata nel 2016, intende creare plastica biodegradabile ad uso commerciale e lanciarla presto a prezzi relativamente bassi, aprendo così la strada ad una nuova consapevolezza verso l’economia circolare. Il nuovo materiale ha una bassa permeabilità all’acqua e un’alta resistenza termica ma presenta le medesime proprietà della plastica a base di petrolio. La sua degradazione però è veloce: circa un anno in ambiente terreno e marino.
Inoltre, in partnership con Sodexo, società di servizi alimentari, Genecis si vede impegnata a riconvertire gli sprechi delle mense aziendali in prodotti compostabili riutilizzabili dalle mense stesse. Un interessante progetto a dimostrazione della funzionalità della tecnologia a favore delle economie circolari.
Una tecnologia dunque che servendosi di materie naturali e grazie al prezioso aiuto dei batteri potrebbe risollevare le sorti dell’ambiente. Un ricircolo di materie che provengono dalla terra e ad essa ritornano dopo diverse vite vissute sotto differenti forme. Si spera in questa alternativa responsabile che probabilmente non cambierà le nostre abitudini al monouso ma che ci abituerà a fare scelte di acquisto più sostenibili, come è giusto che sia.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/cover-cannucce-scaled-scaled.jpg19202880Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2020-05-05 11:59:412020-05-05 11:59:46La plastica biodegradabile offre una nuova prospettiva al riciclo, grazie agli scarti di cibo
È un dato di fatto: le aziende che assumono donne sono più produttive, ciononostante il gender gap continua a persistere;
Le insicurezze e gli stereotipi influenzano i percorsi lavorativi delle donne nel settore tech;
Il report della Commissione europea dimostra che gli uomini – a parità di esperienza – valutano con più ottimismo le proprie competenze rispetto alle donne.
Prima di approfondire la tematica “donne in tech”, è necessario citare gli studi della Columbia University secondo i quali aziende con alte percentuali di dipendenti donne superano i loro concorrenti in termini di redditività. Nonostante ciò, posizioni di vertice, promozioni e salari più alti non sono equamente distribuiti tra i generi. I motivi attribuiti al divario sono diversi, tra cui le barriere burocratiche e le differenze culturali. Numerosi studi, inoltre, dimostrano come la carenza di fiducia nei propri mezzi delle donne le spinga spesso a sottovalutarsi e a frenarsi.
Al giorno d’oggi, nel settore della programmazione, le developer di sesso femminile sono sotto-rappresentate. Il digital report conferma il cosiddetto “confidence-gap” ovvero che le donne – a parità di anni di esperienza dei colleghi maschi – sottovalutano le loro capacità. Su una scala da 1 a 10, più del 70% dei developer maschi hanno valutato le loro abilità nella programmazione con voto 7 o più, mentre solo la metà delle donne ha scelto di darsi un voto uguale o superiore al 7.
Statistica tratta dal report della Commissione europea “women in the digital age”
Gli stereotipi di genere hanno fatto sì che le donne tendano molto meno degli uomini a pubblicizzare i risultati ottenuti.
La scrittrice e giornalista di ABC News Claire Shipmann, nel suo libro “The Confidence Code”, racconta che inizialmente giustificava il suo successo avuto come corrispondente della CNN con un semplice “sono solo fortunata”, essendosi trovata a suo parere nel posto giusto al momento giusto.
Inconsciamente credeva che i suoi colleghi di sesso maschile, in quanto più sicuri di sé, dovessero parlare di più in televisione rispetto a lei. Ma erano davvero più competenti?
Donne in tech: l’insicurezza alla base delle scelte lavorative
La carenza di fiducia femminile è sempre più quantificata e documentata. Nel 2011, l‘Institute of Leadership and Management, nel Regno Unito, ha effettuato un sondaggio tra i dirigenti britannici sulla fiducia che hanno nelle loro competenze. La metà delle donne intervistate ha espresso dubbi su prestazioni lavorative e carriera, rispetto a meno di un terzo degli intervistati di sesso maschile.
Hewlett-Packard (HP) diversi anni fa ha condotto degli studi per cercare di capire come portare più donne nelle posizioni di vertice. La revisione dei documenti interni ha rilevato che le donne assunte da HP hanno presentato domanda di promozione solo quando ritenevano di soddisfare il 100% delle qualifiche elencate per la posizione offerta. Gli uomini invece erano felici di candidarsi quando pensavano di poter soddisfare il 60% delle esigenze lavorative. Vari studi antecedenti a quelli di HP confermano l’ipotesi che la maggioranza degli uomini, seppur sotto-qualificati e sotto preparati per una certa mansione, non pensano due volte prima di lanciarsi in una nuova sfida.
Il cosiddetto “sesso debole” in realtà non lo è. È forse debole chi passa ore ed ore in sala parto per mettere al mondo un figlio? È debole colei che mensilmente si reca al lavoro seppur abbia il ciclo con forti dolori mestruali? È debole chi giostra famiglia-lavoro-casa?
Storia di una donna in tech: Mada Seghete, dal fallimento al successo
La carriera di Mada Seghete, oggi CEO di una startup della Silicon Valley, è iniziata quando ha lasciato la sua città natale in Romania per studiare ingegneria informatica negli Stati Uniti. Rimasta poi all’università per ottenere anche un master in economia aziendale, il suo primo tentativo di avviare un’azienda è stato un fallimento, ma proprio in quel momento di crisi ha scoperto una lacuna sul mercato, trasformando così la sua impresa.
Seghete racconta d’aver trovato equilibrio e supporto in gruppi di imprenditrici, dove ha potuto esprimere liberamente dubbi e insicurezze.
“Credi nel fatto di potercela farce. Credi che solo il cielo sia il limite. Credi che puoi fare più di quanto pensi di poter fare”.
In questa video-intervista racconta la sua carriera come donna in tech.
Il femminismo non è contro il genere maschile
Il femminismo ideologicamente non combatte per togliere diritti al genere maschile, ma combatte per ricevere equamente gli stessi diritti.Scende in strada anche per i diritti degli uomini, dei padri. Perché anche i neo-papà, al giorno d’oggi, non possono automaticamente prendersi un periodo di paternità, a meno che le circostanze non lo richiedano.
Ciononostante, molte persone alla parola “femminista” storcono ancora il naso o rispondono con un semplice “il mondo ha altri problemi”. Parlando di problemi, vogliamo citarne solo alcuni:
I dati del rapporto Eures 2019 su “Femminicidio e violenza di genere” mostrano che in Italia nel 2018 sono state 142 le donne uccise, +0,7% rispetto all’anno precedente, il valore più alto mai censito in Italia;
Il senato del Missouri nel 2019, composto maggiormente da uomini, ha deliberato che l’aborto dopo la 6a settimana rappresenta un reato, anche di fronte a stupro o incesto. Un giudice federale ha poi bloccato l’entrata in vigore della norma.
Il gender gap persisterà nel mondo in media per altri 99 anni. In Italia ci vorranno circa 54 anni per superare il divario;
Oggi, oltre ai femminicidi e alle violenze domestiche, non mancano innumerevoli episodi di insulti e l’uso di linguaggi violenti. Non basterebbe un articolo per completare la lista. L’avversario dei femministi e delle femministe non sono dunque gli uomini, ma è un sistema di ideologie discriminatorie.
La società odierna educa maggiormente le bambine ad essere gentili, perfette e diligenti, mentre i bambini ad essere più forti e più combattivi, ad avere successo, ad osare. I media, i libri e le pubblicità negli scorsi anni – con le dovute eccezioni – suggerivano alle bambine di aspirare ad una vita da principesse in attesa di un principe che le salverà. Ai bambini invece ad essere forti come i supereroi. L’esperimento della BBC spiega come gli stereotipi di genere possono involontariamente educare i bambini e le bambine a comportasi in un certo modo.
Insegniamo il coraggio, non la perfezione
Reshma Saujani, una delle più conosciute donne in tech, CEO e fondatrice di Girls who code, insiste sull’importanza di educare ogni ragazza a essere coraggiosa: è necessario uscire dalla logica della perfezione, perché è proprio questo tipo di educazione che favorisce atteggiamenti arrendevoli ed eccessivamente prudenti. “Dobbiamo insegnare loro ad avere fiducia, a osare e a credere nelle proprie capacità. È ormai famoso il discorso tenuto da Saujani al TEDx, da vedere e rivedere:
“Insegnate alle giovani donne il coraggio piuttosto che la perfezione”.
Anche il detto “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna” è fuori luogo, non è più al passo con i tempi. Le grandi donne hanno diritto di stare affianco ad un grande uomo, non dietro. (Per par condicio: I grandi uomini hanno diritto di stare affianco ad una grande donna, non dietro).
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/donne-in-tech.jpg10801920Marina Nardonhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMarina Nardon2020-05-04 10:47:342020-05-05 17:59:29Nel tech per le donne ci sono ancora stereotipi da abbattere e insicurezze da vincere
Il servizio di video conferenza di Google da domani sarà gratuito;
I meeting virtuali possono ospitare fino a 100 persone in contemporanea;
Per arginare eventuali minacce alla sicurezza e alla protezione dei dati Google ha introdotto nuove misure.
Da domani, Google Meet sarà gratis per tutti gli utenti. Il servizio di video conferenza solitamente incluso negli account Enterprise ed Education è ora accessibile a chiunque abbia un account Google attivo.
Dal 1°maggio al 30settembre la durata delle video-conference non avrà alcun limite di tempo, mentre da ottobre tutti gli account basic potranno usufruire di questo servizio gratuito solo per un massimo di un’ora.
Il rollout di Google Meet annunciato per maggio sarà graduale.
Come accedere ai meeting su Google Meet
Per accedere a una conference occorre essere connessi al dispositivo su cui si si usa Google Meet, non solo avere un account Google.
Questa è solo la prima delle misure di sicurezza implementate da Big G per impedire che utenti anonimi possano inserirsi nel virtual meeting.
Inoltre, tutti coloro che sono aggiunti alla riunione video – per esempio attraverso il semplice invio di un link – senza essere stati preventivamente invitati su Google Calendar, vengono ammessi preventivamente in una virtual room d’attesa, fino a che l’host non avrà approvato la loro partecipazione.
Google tiene a evidenziare che le conference su Meet vengono crittografate in tempo reale e tutte le registrazioni archiviate su Google Drive restano criptate.
Per creare una riunione o per avviarla da browser è sufficiente atterrare sull’home di Google Meet, mentre se si opera da mobile è necessario scaricare l’applicazione gratuita su App Store e Play Store.
Verso il New Normal, i dati di Google Meet
La mossa di Big G tende a favorire la transizione alla fase di “new normal” di tutti coloro che continueranno a lavorare da casa e viene anche incontro all’esigenza di creare classi scolastiche virtuali.
In tal senso, Google ha rilasciato un’analisi dei dati sull’utilizzo di Meet nelle ultime settimane:
da gennaio, l’utilizzo quotidiano di Meet è aumentato di 30 volte.
Ogni giorno, Meet ospita conferenze video per un totale di 3 miliardi di minuti e rileva 3 milioni di nuovi utenti.
Dalla settimana scorsa, coloro che ogni giorno si riuniscono Meet superano i 100 milioni.
Quali sono le misure di sicurezza di Google Meet?
Vediamo insieme tutte le misure implementate da Google per garantire sicurezza del servizio di video-conference.
Alle conference non sono ammessi utenti anonimi, questo significa che gli che user privi di un account Google non possono partecipare ai meeting creati dagli account dei singoli utenti.
Di default, i codici per partecipare alle riunioni sono complessi e quindi resilienti a qualsiasi tentativo di accesso forzato.
Come accennato, le conference su Meet vengono crittografate in tempo reale e tutte le registrazioni archiviate su Google Drive rimangono criptate.
Non è necessario alcun plugin per installare Meet. Il servizio funziona direttamente su Chrome e altri browser, per questo motivo è meno vulnerabile ad eventuali minacce.
Gli utenti Meet possono registrare il proprio account all’interno del Programma di Protezione Avanzata di Google, sistema di protezione contro il phishing e il furto di identità
Tutti i servizi di Google Cloud sono sottoposti a rigorosi controlli di sicurezza e privacy.
I dati degli utenti su Meet non vengono usati a fini pubblicitari, né ceduti a terzi.
Google offre questo servizio su attraverso una rete privata altamente sicura che connette tutti i data center tra loro – garantendo la sicurezza dei dati.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/google-meet-1.jpg554887Giulia Migliettahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulia Miglietta2020-04-30 17:26:392020-05-04 22:30:32Google Meet diventa gratis per tutti dall'1 maggio (e fino a settembre)
Le HR si configurano come il vero driver dell’innovazione e della digital transformation;
Le aziende devono ridisegnare i processi aziendali e al tempo stesso rassicurare le persone per accompagnarle verso un nuovo modo di lavorare.
L’emergenza sanitaria in corso, scatenata dalla pandemia COVID-19, ha cambiato in poco tempo, e probabilmente cambierà per sempre, le abitudini di vita e di lavoro delle persone. Ha cambiato anche le strategie aziendali e, in particolar modo, ha modificato la gestione e l’organizzazione delle persone verso una modalità di lavoro delocalizzata e sempre più digital.
Questo veloce cambiamento ha portato le Human Resource ad essere il vero driver dell’innovazione e della digitalizzazione. Le HR, infatti, sono state chiamate (dalla sera alla mattina) a reinventare processi organizzativi per consentire all’impresa di proseguire l’attività lavorativa; non hanno solo modificato il modo di lavorare delle persone ma sono profondamente cambiate anche nel loro interno, mettendo in luce in poco tempo skill come leadership e change management.
Digital transformation, digital tools
La prima scelta delle HR, imposta anche dal Governo, è stata quella di implementare velocemente:
Attraverso l’utilizzo di questi strumenti le organizzazioni sono riuscite a dare continuità all’attività lavorativa. La risposta lato umano è stata ottima, passando a una riorganizzazione del privato per accogliere il lavoro all’interno dell’ambiente domestico.
Non solo, le persone hanno dovuto sviluppare differenti capacità: autonomia, collaborazione, condivisione e responsabilizzazione. Perché una modalità di lavoro agile passa, in primis, da un rivoluzione organizzativa d’impresa e poi da un cambiamento personale dell’individuo.
In poco tempo, le HR hanno dovuto creare processi digital che consentissero alle aziende di continuare ad operare, e ai lavoratori delocalizzati di gestire il lavoro in autonomia pur rispettando le scadenze prefissate.
Sfida non facile, perché comporta un cambio culturale e organizzativo obbligato e veloce, legato a questi due fattori:
Change management. Con questo termine inglese (traducibile come “gestione del cambiamento”) si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato. Il change management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per riconoscere, comprendere e gestire l’impatto umano di una transizione, ad esempio dovuto all’innovazione tecnica o a una variazione nella gestione operativa.
Employee experience. Racchiude tutto ciò che un lavoratore osserva e percepisce durante l’intera esperienza di lavoro con una determinata azienda. La qualità di questa esperienza viene influenzata da elementi come gli spazi di lavoro e la flessibilità nella gestione del tempo e degli obiettivi, le interazioni con colleghi e dirigenti, il work-life balance (ovvero l’equilibrio ideale tra lavoro e vita personale, che per ogni lavoratore si trova su un punto diverso), la dotazione di strumenti tecnologici per rendere più efficiente e semplice il lavoro e, ovviamente la remunerazione e la presenza di benefit.
Si va quindi verso una cooperazione forte tra HR (driver) ed employee, ossia verso una visione persona-centrica.
Come le HR modificheranno l’ambiente di lavoro
La pandemia inevitabilmente cambierà le organizzazioni, i metodi di lavoro e le relazioni con le persone.
Ecco come le Risorse Umane diventeranno il driver della digitalizzazione.
Si investirà nell’HR
Il Coronavirus ci sta mostrando la centralità delle risorse umane in tandem con la digital transformation.
Mai come in questa situazione abbiamo visto che investire in questo binomio, ha consentito di dare continuità all’attività lavorativa utilizzando la digitalizzazione come medicina contro il virus, consentendo altresì, in alcuni casi, anche di aumentare le performance dei collaboratori.
Si andrà verso un modello employee-centric
Le HR lavoreranno per:
Un coinvolgimento importante dei lavoratori partendo dai punti di forza di ciascuno. In questo modo si otterrà maggiore produttività anche in situazione di lavoro a distanza;
KPI innovativi, tra cui: la capacità di progressione, ossia l’abilità di sapersi evolvere velocemente quando necessario, ridefinendo spazi, tempo ed energie, la leadership ecologica, che va in ottica di una valorizzazione della crescita e dell’evoluzione delle persone, la ricerca di Ambassador della Positività, persone che sanno trasformare un momento critico in un’occasione di vicinanza, cioè persone con una buona dose di intelligenza emotiva, empatia e ottimismo.
Si continuerà verso lo smart working ma solo insieme al team building
Non sarà sicuramente possibile far rientrare massivamente le persone sul posto di lavoro, per questo motivo lo smart working sarà ancora, per molto tempo, il protagonista assoluto.
Lo smart working, per funzionare nel modo corretto, dovrà necessariamente essere supportato da un importante lavoro di team building al fine di ottenere una comunicazione efficace, fluida e condivisa in tutti i reparti. Eliminare i protagonismi per dare spazio al lavoro di squadra.
Il ritorno in aula per i consueti appuntamenti formativi rimane ancora un miraggio, per cui è il momento questo di puntare sull’innovazione e sul digital learning.
Le HR dovranno quindi spingere in questa direzione per creare percorsi formativi personalizzati sulle esigenze degli employee in un’ottica di community, come il social learning, ad esempio.
Occorrerà ripensare tutta l’esperienza di apprendimento investendo su metodi sempre più innovativi, gamification e AR su tutti.
Pianificazione e riorganizzazione degli spazi aziendali
Le HR dovranno anche ridisegnare gli spazi aziendali, per accogliere le persone mantenendo la distanza di sicurezza che la legge impone.
Occorrerà strutturare un lavoro su turni, per esempio, oppure creare per alcune tipologie di lavoro (come i commerciali) degli spazio di lavoro virtuali (digital desk).
Cushman & Wakefield, società americana di servizi immobiliari globali, ha elaborato delle linee guida per un corretto rientro in ufficio. “The 6 feet office”, questo il nome del progetto, sta per “6 piedi” (i nostri 2 metri), ovvero la distanza consigliata dagli esperti per evitare la trasmissione del virus da persona a persona. È composto da sei punti chiave.
un’analisi dell’attuale ambiente di lavoro nell’ottica di migliorarlo per impedire la diffusione del virus;
l’introduzione di un codice di condotta che tutti devono rispettare per mantenere l’ambiente in sicurezza;
la creazione di un percorso unico per ogni ufficio con un sistema di segnalazione visivo;
l’individuazione delle figure chiave che possano verificare che tutto il processo si svolga correttamente;
il conseguimento di una certificazione di sicurezza: un attestato vero e proprio che determini la sicurezza del luogo di lavoro;
Ridisegnare i processi aziendali e, al tempo stesso, rassicurare le persone accompagnandole verso un nuovo modo di lavorare non è una sfida semplice.
Le organizzazioni dovranno inevitabilmente sostenere dei costi per potersi adeguare a questa trasformazione obbligata. Le realtà che hanno già iniziato, nel passato, il percorso di digital transformation sono meno impreparate, ma purtroppo sono ancora tante quelle che non hanno intrapreso questa strada.
Le HR possiedono competenze gestionali e, da un po’ di tempo a questa parte, anche digitali e sono quindi il driver più importante per accompagnare le imprese verso una nuova e mai provata operatività. Appare oramai piuttosto scontato che la modalità di lavoro a distanza sarà ancora per molto tempo la forma di lavoro preponderante in molti settori, per cui le istituzioni dovranno intervenire per introdurre strumenti agevolativi per consentire a tutti di adeguarsi a questa trasformazione in ottica di abbattimento dei costi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/hr_digital.jpg449800Elisa Bonatihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElisa Bonati2020-04-30 13:56:552020-05-04 22:29:25Coronavirus e Digital Transformation: spinte evolutive per la direzione HR
Il 2020 lo ricorderemo, oltre che per la sua bisestilità, anche per uno dei più grandi stravolgimenti prima sanitari e poi economici della storia: il COVID-19
I settori trend trainanti, i rapporti sociali, il modo di essere imprenditore: ancora una volta si punta sui giovani per idee innovative che ci guideranno in questo nuovo mondo post apocalittico
Alcuni la definiscono come un periodo di crisi mai visto per il nostro tessuto economico, una crisi sanitaria che si è trasformata velocemente anche in crisi economica e dell’imprenditoria, una situazione in cui non si riesce a vederne la via d’uscita certa, ma nella quale oggi ci si sta muovendo per tentativi. Tutto vero, ma poi si legge e si guarda di come, in una situazione così buia, il popolo italiano abbia ritrovato senso di unione e umanità e si sia fatto valere per quello che è: una Nazione piena di innovazione e di idee, che salvano anche la vita, come quelle di alcuni giovani imprenditori.
Ecco che possiamo citare un caso emblematico: Issinnova con il team bresciano guidato da Cristian Fracassi con le sue valvole stampate in 3D che ha trasformato un hobby, lo snorkeling, nella soluzione creando una partnership con Decathlon. O ancora parlare di Copan, guidata dall’italianissima Stefania Riva, a cui è stato chiesto di incrementare la produzione di tamponi per far fronte all’emergenza.
Continuare ad essere un brand di successo convertendo le produzioni per fare la propria parte è forse quello che ci si aspettava, ma essere un neo imprenditore in un contesto come quello attuale è una mossa coraggiosa e cosa più importante di nomi ce ne sono!
Il trend economico per il 2020, previsioni e settori “caldi”
È importante partire da dove saremmo se il 2020 fosse stato l’anno che tutti si aspettavano. In particolare guardando a quelli che sono e saranno i settori caldi.
Lo scenario previsto all’inizio di quest’anno vedeva tutti gli economisti d’accordo su una crescita del PIL ed una decrescita della disoccupazione nella maggior parte dei Paesi con un ruolo delle banche centrali sempre più defilato.
Insomma si era considerato il 2020 come un anno di rinascita e crescita dopo l’ultima crisi finanziaria.
Sul fronte Globalizzazione, invece, seppur pareva un trend in continua crescita, i dati parlavano di slowbalisation e a questo punto sarà il vero trend economico rilevante: ossia la condizione per il quale tutte le economie del mondo continueranno ad essere interconnesse, ma con meno accelerazione rispetto agli anni passati. Il tessuto locale su cui fare focus si fa un’esigenza sempre più importante e questo sia per i dazi imposti all’import-export di alcuni beni, ma anche per lo sviluppo economico in crescita dei cosiddetti Paesi Emergenti.
Se i sistemi di pagamento via smartphone sono uno dei comparti in crescita costante da qualche anno, vedi Apple Pay o Google Wallet, e uno dei settori trainanti del Fintech, non solo in Italia, con il raddoppio degli utenti che ne utilizzano le funzionalità anche la sezione bot e chatbot non scherza. Tecnologia sempre più “umana” con un’attenzione particolare alla loro interazione con l’uomo e al fatto che possano rendere interattivi gli oggetti più comuni.
Al terzo e quarto posto un grande tema: l’alimentazione. Non solo per le tecnologie blockchain, ma anche perché forse siamo pronti, o no, al cambiamento: da carne da animali alla farina di insetti. Ce lo dice Fucibo, startup italiana, che per metà maggio ha in programma il lancio della sua linea di pasta con 100% farina di insetti.
Quando invece si preferisce ancora la carne tradizionale, ecco che al quarto posto, si fa strada l’eticità dell’allevamento: focus sugli allevamenti attenti agli animali, al bio o anche solo all’aria aperta; Slowfood ha lanciato una vera e propria campagna di sensibilizzazione verso una riduzione di consumo di carne e di un prodotto di qualità migliore
Quinto e sesto per l’economia della cura così suddivisa: il tech nel beauty e l’attenzione per il prossimo, per altro vero trend del 2020 ad oggi.
L’acquisto di prodotti online di beauty ha un valore attuale di 22,1 miliardi di dollari con una previsione di crescita a 27,8 miliardi nel 2022. Con più mercato per i giovani imprenditori che vogliano partire da un eCommerce per fare la loro fortuna e un diffuso impiego della realtà aumentata per “la prova” sul proprio viso del prossimo makeup.
La cura per gli altri invece, si sta concretizzando in startup come Ugo, in grado di incrociare domanda ed offerta nel campo dell’assistenza alla persona, soprattutto per le esigenze quotidiane come la spesa o il trasporto in ospedale per le visite di routine.
Ultimo, ma legato a quello che il tema ecologia e green, è il settore legato al mondo vegetale, non solo alimentare, ma anche giardinaggio, cura del verde, architettura con nuovi modi di riportare gli alberi in città. Ci basta pensare al lancio del famoso Hashtag #urbanjungle.
Le startup nate con il COVID, l’innovazione non si ferma
Se queste erano le previsioni, probabilmente qualcosa andrà rivisto o solamente adattato, il fintech e la cura del prossimo sono anche in questa situazione COVID oriented tra i settori più di interesse per le nuove startup che si fanno avanti.
Si parla già di economia del confinamento e chi fa o vuol fare impresa la deve conoscere al meglio per sfruttare quelle che sono nuove o vecchie leve che porta con sè.
Questa emergenza, primariamente sanitaria, ha portato al coinvolgimento in una situazione di limitazione delle libertà umane di praticamente tutta la popolazione mondiale e anche quando il lock-down avrà termine le abitudini umane avranno subito un notevole cambiamento, tutto si concentrerà ancora di più sul demand, l’on-line e la consegna a domicilio, gli italiani potrebbero, per una volta, essere un popolo freddo e distaccato.
Se ai grandi brand vogliamo dire di farsi ricordare come chi ha fatto del bene durante l’emergenza e non solo inventando ed implementando format anche social di intrattenimento per i clienti rinchiusi, ma anche, e soprattutto, come colui che ha donato, che ha riconvertito la propria produzione per produrre il materiale utile ai soccorsi e che ci ha messo la faccia nel fare qualcosa per il suo Paese e i suoi dipendenti.
Tranquilli, finita l’emergenza i risultati saranno tangibili: la clientela avrà ben presente su che brand investire e i migliori talenti sapranno qual è l’azienda per cui vogliano lavorare.
E per i giovani imprenditori?
I giovani imprenditori sono sempre una delle risorse più importanti del tessuto economico perché con sé portano nuovi bagagli di conoscenze, nuove idee, la fame di successo e la flessibilità di adattamento.
Ecco allora che sbucano bandi, sia della commissione Europea sia di Innova, per chi è in grado di creare tecnologie ed idee al servizio del periodo di emergenza, che possano essere anche rivoluzionari nel bel mezzo della pandemia.
La Commissione Europea ha messo a disposizione 164 milioni di euro e chiama startup e PMI puntando sul comparto tecnologico e innovativo per il monitoraggio o la misurazione del contagio.
Il bando di Innova, concluso a fine marzo, ha preso in considerazione 3 settori di provenienza dei candidati:
l’ambito DPI, dispositivi di protezione individuale, e respiratori o componentistica per chi è in grado di produrne in quantità:
l’ambito diagnosi con i soggetti in grado di produrre tamponi o kit innovativi che misurino il contagio
l’ambito monitoraggio e prevenzione includendo tutte quelle app o tecnologie che possano registrare gli spostamenti dei cittadini e relativi comportamenti
Ecco, quindi, che vogliamo citare, dopo aver già citato in apertura Issinova e Fracassi, altre due startup guidate da giovani imprenditoriche in questo periodo hanno avuto l’idea, hanno saputo prendere il bello anche da questa situazione come solo dei giovani imprenditori sanno fare.
Il primo caso è quello di Webtek, guidata dal 35enne Piasini, che ha convertito parte della sua azienda di software nella creazione di un’app in grado di tracciare gli spostamenti e con chi è venuto a contatto un paziente positivo al Covid.
La app ha un nome chiaro “Stop Covid 19” e sarà in grado, tramite incrocio di tracciati GPS, di fornire una mappa quasi precisa degli spostamenti del soggetto andando quindi ad intercettare e avvisare chi negli ultimi giorni è venuto in contatto con lui.
E sul tema privacy? L’utente deve fornire autorizzazione, per 2 volte, dell’utilizzo della sua geolocalizzazione ed è obbligato solo a fornire il suo numero di telefono.
Ovviamente questi arresti forzati non danno grande evidenza del funzionamento in quanto la maggior parte dei soggetti è confinata, ma alla riapertura potrebbe rappresentare davvero uno strumento molto utile.
La seconda startup è Pharmap, nata nel 2017 da una coppia di oggi trentenni premiati da Forbes per il 2020 e che sostanzialmente fonda il suo business sulla consegna a domicilio dei farmaci.
Pharmap è un servizio importantissimo per i cittadini che possono ricevere a casa propria i farmaci da loro acquistati abitualmente o occasionalmente anche quelli con prescrizione medica, ma altrettanto importante per la farmacia aderente: una via nettamente utile per incrementare clientela e fidelizzazione.
La startup che già aveva la strada segnata, con un incremento del 200% nel 2019 degli utenti, ha visto incrementare con questa emergenza la sua popolarità garantendo anche la consegna gratuita per un periodo limitato. I piani per il futuro vedono l’azienda proiettata in altri Paesi d’Europa, quindi stiamo a vedere.
Classifiche: i talenti Under 30 del 2020
Ecco quindi che, come da tradizione, spunta la classifica dei 100 talenti under 30 di Forbes sia America che Italia. Sono praticamente 200 ragazzi che con le loro idee stanno cambiando il mondo.
Tra i 100 USA ci sono anche tre nomi italiani: i primi due sono di due sorelle, Recchi che hanno creato un chatbot-tutor per gli studenti universitari (EdSight) e quello di un italoamericano, Stefano Daniele, impiegato nella ricerca medica per quella che parrebbe una vita cerebrale dopo la morte.
Per gli italiani, invece, abbiamo già citato Pharmap, ma i settori dei giovani talenti sono tra i più diversi, non solo quindi il settore Healthcare, ma anche intrattenimento, finanza, food&drink e marketing che mettono in luce talenti.
I candidati non devono necessariamente essere startupper, ma anche o giovani imprenditori che, presa l’azienda del padre, ne hanno cambiato l’immagine o hanno puntato su nuove feature per renderla al passo coi tempi.
Ragazzi su cui puntare e ai quali verranno affidati tutor d’eccellenza del loro settore di operatività che li aiuteranno “a diventare grandi”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/lifebelt-3426088_1280.jpg8531280Emikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmiko2020-04-30 10:54:532020-04-30 17:45:22Giovani imprenditori ai tempi del COVID-19: le nuove idee ci salveranno
Nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano
Nella società dei consumi la percezione dell’essere consumatori è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità
La sfida che si apre ai professionisti di Marketing non è sul what, ma sull’how
Buone notizie da Covid-19
Se questo fosse stato un blog post, avresti avuto tutte le migliori ragioni per criticare il titolo che ho dato al paragrafo, troppo simile all’esca del click baiting usata ancora da tanti (sedicenti) giornalisti e writer. In effetti, Covid-19 non porta quasi mai buone notizie, anzi. Piuttosto, porta notizie meno negative.
Se c’è una cosa che la storia delle pandemie e delle crisi insegna, e che gli analisti (in primis, finanziari) ci stanno ripetendo in continuazione dagli inizi, è che anche lo stress di Covid-19 finirà. Questa è in realtà una prima buona notizia, e dobbiamo prepararci a quello, dopo ben più di 40 giorni chiusi in casa o comunque molto limitati nella nostra quotidianità. Dobbiamo prepararci come persone, ma anche come professionisti. Se poi lavoriamo nel marketing, questa preparazione non è solo importante ma essenziale.
E qui, sta una seconda buona notizia: nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano, stanno probabilmente vivendo un periodo di maggiori ristrettezze economiche, vivono una giornata diversa che richiede nuovi punti e modalità di contatto.
A proposito, ti consiglio l’ottimo e ricco osservatorio globale di McKinsey con dati legati a cosa stanno provando e a come si stanno comportando i consumatori. Anche perché nella società dei consumi dove in Italia viviamo da tempo, proprio la percezione dell’essere consumatori e consumatrici è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità. Consumo dunque sono, ci avrebbe ricordato il grande Zygmunt Bauman. Immaginiamo le attuali economie a maggior tasso di crescita, come quelle asiatiche: appena i consumatori cinesi hanno potuto uscire nuovamente di casa, hanno dato vita al fenomeno del revenge spending, ovvero della spesa rabbiosa e senza sosta, dopo settimane di forzature e ristrettezze imposte. Per la felicità di brand del luxury come Hermès, che nella sola boutique di Canton e nel solo giorno di riapertura dopo il lockdown ha fatturato la bellezza di 2.7 milioni di dollari (che in euro, sono 2.5 milioni).
Dunque, Covid-19 finirà e i consumatori esistono ancora. Già queste mi sembrano due belle notizie, in mezzo a tante difficoltà. La sfida che si apre ai professionisti di marketing non è dunque sul what, ma sull’how: come leggere il mondo che verrà?
La marketing personas di Covid-19
Da professionisti, un esercizio utile che possiamo fare (e che personalmente ho fatto più volte) per dare forma e sembianze al Covid-19 è antropomorfizzarlo.
L’antropomorfismo è l’attribuzione di caratteristiche e qualità umane ad esseri animati o inanimati o a fenomeni naturali o soprannaturali.
Antropomorfizzare, nel marketing, è un fenomeno comune e con una lunga storia di ricerche e progetti alle spalle: lo si fa, per esempio, per dare ai brand maggiore concretezza e poterne comunicare meglio l’identità. I ricordi personali più vividi riportano alla memoria personaggi come Bibendum (l’Omino Michelin) o le forme umane (anche se comunque idealizzate) dei profumi La Femme e Le Male dello stilista Jean-Paul Gaultier.
Ecco, proviamo adesso a fare lo stesso esercizio con il Coronavirus e chiediamoci: se fosse una persona, come sarebbe a livello di tratti, personalità, fisico?
E allora, Covid-19…
è straniero (Cinese)
viene da zone periferiche, di mercati e mercanteggiamenti
è solitario
è magrolino e snello
[in modo contro-intuitivo rispetto al punto 4] è molto forte
non solo è forte. Ha una forza esplosiva e contagiosa
è dunque e in qualche modo irresistibile
è infido, sempre pronto a colpire (fatalmente) alle spalle
[per tutti i motivi sopra] è totalmente inaffidabile
When magnified, with its ‘corona’ (crown) it appears at the same time beautiful and horrific.
‘Coronavirus’, in effetti, è un nome esplosivo e altisonante. Regale e killer allo stesso tempo.
Brand new world
Quando ero studente in business school, mi aveva affascinato molto il titolo di un libro: si chiamava e si chiama ancora Brand New World, lo ha scritto Nello Barile nel 2009 per l’editore Lupetti. Un gioco di parole chiaro su come già allora il modo di pensare e progettare i brand stesse cambiando, rinforzato da un’altra riflessione più recente pubblicata su Advertising Week dall’ex docente di Harvard e imprenditore Erich Joachimsthaler: “It’s a Brand-New World When It Comes to Building Brands”.
Oggi più che mai, dobbiamo ripensare il nostro marketing tenendo conto di tale nuova personas appena discussa. Una personas che in tanti dicono rimarrà nella nostra testa e nelle nostre abitudini, anche dopo questi mesi difficili.
Come possiamo rispondere? Vincenzo Cosenza ha prodotto una matrice del marketing emergenziale utile per iniziare a posizionare il comportamento dei business al tempo del virus in funzione dello stato psicologico del management e dell’approccio al marketing.
Più nel concreto, servirà una trasformazione del marketing e del business: personalmente, parlo proprio di marketing transformation. Anche perché nel 2003 era la Sars, nel 2008 la crisi finanziaria e nel 2020 Covid-19: dobbiamo diventare resilienti e innovativi by design: quel mondo VUCA (volatile, uncertain, complesso, ambiguo) su cui ci hanno tanto stressato nel tempo, è arrivato ed è qui per restare. Da dove puoi e possiamo partire?
A mio avviso, sono tre i principali paradigmi trasformativi su cui come Marketing Expert dobbiamo iniziare a lavorare.
1. Dal journey delle persone, al journey per le persone
Customer journey dinamici, social, digital, consumer decision journey: tante parole scritti da tanti (a memoria, McKinsey, Altimeter, Jeremiah Owyang, Brian Solis, …) che indicano una profonda e crescente difficoltà nel tempo da parte delle aziende di mappare e disegnare percorsi di marca e di interazione con le audience davvero efficaci. Troppo touchpoint, troppa volatilità nelle preferenze, troppa poca fedeltà alla marca o al prodotto.
D’altronde, con un semplice gioco di lettere il futurologo Brian Solis su Instagram mostra come, aggiungendo una ‘s’ possessiva alla parola customer journey, passiamo a un sorprendente customer’s journey. Appunto, a un journey quasi posseduto dalle persone, senza possibilità alcuna per le aziende di governarlo o almeno orientarlo. Covid-19 sta digitalizzando la società e l’economia, e alla base del digitale sta il dato.
Non abbiamo più scuse: la relazione tra marketing, data management e tecnologia è ormai molto forte. Gianluigi Zarantonello ne ha scritto anche un libro per la collana che dirigo in FrancoAngeli: si chiama Marketing Technologist. Dobbiamo rinforzarla e rinforzare le competenze su tutti e tre i domini, perché solo grazie al dato e alla corretta strategia tecnologica a suo fondamento possiamo tornare in possesso del customer journey, e possibilmente anticiparlo per deliziare i clienti. Clienti che proprio oggi stanno facendo ampio utilizzo di Amazon, delle piattaforme di food delivery e di altri player densi di tecnologia, i quali applicano a dovere questo triage sin dalla loro nascita. Non pensare che, dopo due mesi abbondanti passati così e il mondo nuovo che sta nascendo, accetteranno ancora di fare la fila alle poste.
2. Dall’omnicanale, al policanale
L’idea del policanale non è mia, per sfortuna. L’ha proposta l’evangelist italiano Ivan Ortenzi in un talk online che puoi ritrovare su YouTube, ed è molto interessante: semplicemente, nel dopo Covid-19 e per un po’ di tempo possiamo scordarci l’omnicanalità, perché alcuni canali non li vorremo vedere o faremo fatica a farlo. Pensa a tutto il mondo del retail fisico e degli store, quanta fatica farà. Si parla di distanze minime di 2 metri, di sterilizzazione dei capi di abbigliamento una volta che vengono provati dai potenziali clienti, di chiusura prolungata dei luoghi più a rischio diffusione del virus come le palestre e i cinema. Hai visto gli spoiler billboard, l’idea proposta da due studenti della Miami Ad School di Amburgo di tappezzare le città di manifesti con spoiler eclatanti delle più popolari serie Netflix per far desistere le persone dall’uscire e contribuire alla prevenzione del Coronavirus? Ecco: trovo renda molto bene l’idea. Omnicanalità, adieu.
Al contrario, i touchpoint dovranno essere attentamente identificati e selezionati, il budget ottimizzato e gestito sempre più in tempo reale, e nuovi modi di contatto ora futuristici per certi mercati – penso ad AR, VR, AI Assistant, tecnologie olografiche – diventeranno la realtà. A proposito, ti consiglio il report prodotto da Futurum e SAS sulla customer experience 2030, ricco di suggestioni che stanno per arrivare a partire da una ricerca globale su un campione di più di 4.000 rispondenti equamente suddivisi tra brand e consumatori.
3. Dai touch point, ai trust point
Quando parliamo di canali e touch point, parliamo di contesto: conoscerlo è di grande valore, ma bisogna prestare molta, molta attenzione alle insidie legate alla privacy e alla tutela del dato che lo abilita. Soprattutto sui mercati europei protetti da GDPR.
L’edizione 2020 del Trust Barometer, il report che l’agenzia di relazioni pubbliche Edelman dedica annualmente alla misurazione della fiducia, riporta alcuni risultati per me impressionanti. Su tutti, l’attesa da parte dei consumatori che i brand agiscano e prendano posizione rispetto ai grandi temi sociali, economici, etici.
Una novità bellissima, nonché una grande opportunità per le aziende e i business in un momento dove la reputazione di politica e istituzioni è ai minimi di sempre. Allo stesso tempo, come mi ha recentemente fatto notare il CIO di illimity Filipe Teixeira in un webinar che ci ha visto coinvolti, una sfida di digital trust e cybersecurity impressionante. Se la metà delle persone coinvolte nella survey Futurum / SAS che ho citato sopra sono disponibili a condividere i propri dati in cambio di valore, attraverso la tecnologia questi dati devono restare in buone mani, ed essere utilizzati per renderle ancora più consapevoli del valore che stanno ottenendo.
Già nel secondo punto ho ricordato come, quando parliamo di customer experience, le interazioni avvengano principalmente tramite i diversi punti di contatto che l’azienda ha progettato e gestisce nei confronti dell’ecosistema connesso. Il problema dei touch point, sta proprio nella credibilità. Amplificati dal digitale, fake news, gossip, storytelling negativi mettono sempre più a dura prova la percezione di affidabilità che abbiamo dei diversi canali. Con il rischio che i touch point si trasformino in terreno di contro-narrazioni – a volte di vere e proprie battaglie conversazionali – tra persone e aziende. Nel mondo digitalizzato di oggi è difficile giudicare ciò che è autentico, da dove viene l’informazione e chi l’ha eventualmente modificata.
La soluzione a questo problema sta probabilmente nel passaggio da touch point come il discusso Facebook (ricordi lo scandalo Cambridge Analytica?) a trust point come la blockchain o altri ‘luoghi’ abilitati dalla tecnologia dove la fiducia può essere co-creata e approfondita. Un discorso valido soprattutto nei settori che soffrono maggiormente a livello reputazionale.
Allora, ho trattato tre punti impegnativi vero?
Da parte mia non ho ancora soluzioni a proposito, ma ho la consapevolezza che su questi si giocherà tanto del marketing di domani.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/Articolo-Marketing-Futuro-Alberto-Maestri.jpeg13001864Alberto Maestrihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlberto Maestri2020-04-29 17:16:172020-04-30 17:28:48Tutto il Marketing che verrà
Casaleggio Associati è al lavoro sulla nuova ricerca “E-commerce in Italia 2020 – Vendere online ai tempi del Coronavirus”. Giunta alla XIV edizione la ricerca verrà presentata il 19 maggio alle ore 15.00 durante un evento digitale trasmesso in streaming.
Come ogni anno, la ricerca “E-commerce in Italia” di Casaleggio Associati farà il punto su numeri, trend e strategie adottate dai principali operatori del mercato.
Lo studio mette in luce l’andamento del commercio online al dettaglio nel Mondo, in Europa e nel nostro Paese, in crescita a doppia cifra anche nel 2019. Non mancheranno dettagli sui principali trend, che fanno emergere sempre di più l’importanza della digitalizzazione e delle tecnologie esponenziali per l’evoluzione e l’innovazione delle aziende italiane dei vari settori.
Il focus sull’eCommerce nella fase dell’emergenza
Un focus, in particolare, verrà dedicato all’eCommerce ai tempi del Coronavirus. Se da una parte, infatti, gli acquisti online stanno garantendo grandi performance alle aziende impegnate ad esempio nei settori merceologici dell’alimentare, molti altri settori sono fortemente in crisi e solo un’adeguata strategia può permettere un rilancio. La pandemia e il lockdown stanno cambiando ancora più velocemente le dinamiche di acquisto e i mercati, anche quelli online.
La ricerca di quest’anno punta anche ad evidenziare quali sono le strategie che le aziende stanno applicando e che possono applicare per far fronte alla situazione, ed eventualmente, accelerare la ripresa.
Nel rapporto verranno raccontati casi aziendali nazionali di successo, che potranno essere d’ispirazione per tutte quelle piccole e medie imprese che ancora non hanno saputo cogliere il vantaggio della vendita online.
La partecipazione è riservata ai merchant eCommerce: imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, responsabili marketing, responsabili e-commerce e responsabili Internet.
Per iscriversi alla presentazione e ricevere gratuitamente il report basta registrarsi sulla pagina dedicata all’evento: https://www.casaleggio.it/e-commerce/
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/09/email-marketing-ecommerce-b2c-1.jpg281500Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-04-29 17:00:162020-05-04 16:49:10L’eCommerce ai tempi del Coronavirus: numeri, trend, scenari e strategie
A causa della pandemia, le persone sono meno inclini a toccare con mano i contanti e a digitare i tasti di un touchpad;
Sta anche spopolando la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi spostamenti diffondendo il virus negli ospedali;
Più in generale ci sono settori nei quali la Digital Transformation ha subito una decisa accelerazione, complici tecnologie già testate.
L’emergenza Coronavirus ha messo l’acceleratore sul progresso tecnologico. In molti ambiti i cambiamenti che si sarebbero verificati nel corso dei prossimi anni hanno preso vita nel giro di qualche settimana.
In che senso la digital transformation ha subito una accelerazione e quali sono le principali trasformazioni in atto? Le abbiamo analizzate una per una.
Più spazio ai pagamenti digitali: considerando che attualmente la maggior parte degli acquisti vengono effettuati online la moneta elettronica prende piede a livello globale. Basti pesare agli Stati Uniti dove, nel corso dell’ultimo decennio, il mondo del retail non si è lasciato coinvolgere dalla diffusione delle nuove tecnologie di pagamento che si sono diffuse in Europa e in Asia.
Con il COVID-19 si nota un inversione di tendenza, le persone per paura del contagio non sono molto propense a maneggiare contanti e a toccare i tasti di un touchpad. I sistemi che consentono di effettuare le transazioni mediante il proprio dispositivo mobile sembrano avere la meglio. Catene alimentari come Publix stanno accelerando sul lancio di terminali in cui non è necessario il contatto e l’introduzione di servizi come Apple Pay e Google Pay.
#2 Telemedicina
La pandemia globale in corso ha costretto le istituzioni sanitarie e gli organismi di regolamentazione a ricorrere a metodi alternativi per offrire assistenza sanitaria limitando il contagio del virus.
È così entrata in gioco la telemedicina, una valida possibilità per limitare gli spostamenti dei pazienti.
Le soluzioni di telemedicina possono essere descritte come prodotti e servizi progettati per migliorare e coordinare l’assistenza ai pazienti mediante la tecnologia. Gli strumenti e le soluzioni emerse negli ultimi anni sono state sviluppate e concepite per migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria, per consentire ai pazienti di essere monitorati da remoto e per facilitare l’accesso alle informazioni sanitarie elettroniche.
Nell’attuale scenario mondiale, così come le aziende e persino le scuole adottano la soluzione dello smart working, i robot aiutano a monitorare i pazienti infetti per limitare il contatto con il personale medico e anche la telemedicina gioca la sua parte, acquisendo una nuova luce. La consultazione medica a distanza diventa un’opzione sempre più attraente.
La tele-health si rivela essere un valido strumento nella lotta al virus, che sta colmando il gap tra persone, medici e sistemi sanitari, consentendo a tutti, soprattutto ai pazienti sintomatici, di rimanere a casa e comunicare con i medici attraverso canali virtuali, contribuendo a ridurre il contagio. Non solo, grazie alla consulenza medica a distanza è possibile addirittura filtrare i potenziali casi COVID-19 da remoto.
La telemedicina sta incontrando l’interesse sia delle istituzioni che dei pazienti.
Anche l’OMS sta sostenendo la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi che con gli spostamenti diffondano il virus negli ospedali.
Il numero di persone che si affida alle consulenze mediche virtuali è sempre più alto.
Nel 2018 la Commissione europea aveva stimato che il mercato globale della telemedicina avrebbe raggiunto i 37 miliardi di euro entro il 2021, con un tasso di crescita annuale del 14%. Questi numeri possono essere decisamente superati in quanto con la diffusione della pandemia la domanda è nettamente in crescita.
La pandemia COVID-19 è un banco di prova impegnativo per tutte le aziende che offrono soluzioni di telemedicina. Oltre a dover dimostrare affidabilità, una delle sfide più grandi è la scalabilità dei sistemi. L’opportunità di aumentare il numero di utenti in poche ore è il requisito principale e le soluzioni basate su cloud hanno meno problemi in questo senso. Con così tanti nuovi pazienti interessati, le soluzioni proposte dovrebbero essere uno strumento di facile utilizzo ed essere disponibili attraverso i dispositivi degli utenti stessi come computer, smartphone, notebook e tablet.
Il punto di forza della telemedicina sta nella sua capacità di riunire diverse organizzazioni mediche in un’unica rete virtuale, guidata da un’unità centrale. Questa rete può includere diverse località fisiche: cliniche centrali e remote, cliniche statali e private, centri di riabilitazione e centri di prevenzione, studi privati dei medici e tutti i pazienti registrati all’interno delle loro sedi. Le funzionalità prioritarie dei sistemi di Telehealth devono essere: audio / videoconferenza, messaggistica sicura, programmazione elettronica, analisi e report, fatturazione e pagamento online, upload di immagini e file, prescrizioni digitali. Un aspetto cruciale per i sistemi di telemedicina è legato alla protezione e alla sicurezza relativa allo scambio e alla conservazione dei dati.
#3 Gli eventi digitali rappresentano la nuova normalità
La diffusione del COVID-19 ha causato la chiusura di frontiere e affari, nonché la cancellazione di eventi a livello globale. È qui che arriva ancora una volta in aiuto la tecnologia. Con l’ausilio di tool digitali e del web, gli eventi diventano virtuali.
Webinar, live, sono ormai entrati appieno nel mondo degli eventi coinvolgendo il popolo della rete.
Seppur vero che molti aspetti degli eventi di persona non possono essere replicati in forma digitale, organizzare un evento virtuale può avere anche i suoi lati positivi, in primo luogo si abbattono le distanze e si può coinvolgere un pubblico più ampio, si eliminano i costi relativi alla realizzazione dell’evento stesso e quelli legati agli spostamenti e ai viaggi.
Oggi, una delle sfide più grandi per l’industria dell’eCommerce è limitare il contatto umano legato alle consegne. Quale soluzione adottare per far fronte a questa criticità? La risposta per molte aziende è stata quella di effettuare consegne mediante i droni.
C’è già chi ha iniziato a testare questa strada, parliamo di Amazon, Walmart, UPS e Domino’s Pizza che hanno avviato un servizio di delivery via droni per recapitare generi di prima necessità, medicine e cibo, offrendo così un servizio sicuro e al tempo stesso riducendo i costi di consegna.
Operando con i droni, le persone vulnerabili che sono in quarantena o malate possono ricevere tutti i beni essenziali di cui hanno bisogno senza rischi per l’operatore che dovrebbe recapitare la merce.
Secondo eMarketer, nel corso del 2020 assisteremo ad un aumento di 24.900 spedizioni effettuate mediante droni per il retail, con una proiezione di 122.000 entro il 2023.
La consegna automatizzata al momento risponde ad una delle preoccupazioni maggiormente diffuse ossia limitare i contatti.
Ci sono buone probabilità che, finita la pandemia, l’utilizzo dei droni potrebbe affermasi come un’opzione valida e vantaggiosa. I brand che decideranno di continuare ad adottare questa soluzione per il delivery potranno da un lato risparmiare denaro e dall’altro ottimizzare l’organizzazione dei dipendenti reindirizzando gli addetti alle consegne verso altre aree e mansioni.
#5 Il mondo del fitness diventa social
È evidente come palestre e centri fitness hanno subito un impatto negativo relativo alle restrizioni imposte che prevedono la chiusura di queste attività.
Tuttavia il fitness è un ambito che sorprendentemente si è adatto abbastanza bene alla trasformazione digitale. Molti business operanti in questo campo si sono reinventati aprendo le porte al pubblico mediante i social network. Diverse palestre e aziende che vendono attrezzature sportive hanno messo a disposizione degli utenti che desiderano mantenersi in forma da casa lezioni online.
Un caso di successo che vale la pena citare è quello della catena americana Planet fitness, che vista la situazione ha subito modificato la propria strategia di comunicazione sui canali social adattandola alle esigenze attuali. Il brand sin dall’inizio del lockdown ha ospitato lezioni di allenamento gratuito tramite Facebook live, iniziativa che ha subito riscosso un enorme successo tra le persone bloccate a casa.
L’azienda ha inoltre collaborato con il giocatore di football Julian Edelman trasmettendo live una sua lezione di 20 minuti. Risultato? Più di 2000 persone coinvolte in un solo giorno.
Jeremy Tucker, CMO di Planet Fitness, ha dichiarato in un’intervista a USA Today:
Le lezioni di fitness virtuali offrono strumenti per combattere lo stress, fornendo al contempo motivazione e ispirazione per farci stare fisicamente e mentalmente in forma.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/contact-tracing-app-immuni-privacy.jpg525946Alessandra Galluccihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlessandra Gallucci2020-04-28 15:46:182020-04-30 14:04:105 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation
Al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente;
Con il termine ”scale up” si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura;
Tre filosofie distinte in Italia, secondo i dati del report: mettere radici a Milano, investire in altre grandi città italiane oppure creare il proprio rifugio in centri geograficamente più piccoli;
Alcuni mesi fa, prima dello scoppio dell’emergenza mondiale da COVID-19, sono stati analizzati la situazione e l’andamento delle startup innovative in Italia durante l’ultimo trimestre del 2019.
Il primo giorno di gennaio 2020 è stato pubblicato dal Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico, il “Report con dati strutturali Startup innovative – 4° trimestre 2019”: osservando i dati pubblicati, è interessante constatare che al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente.
+2,6% vuol dire 272 nuove startup innovative: questo dato significa che, nel trimestre che è andato da ottobre a dicembre 2019, ben 272 idee hanno avuto la possibilità di concretizzarsi, con una media aritmetica di 13,6 nuove imprese a regione italiana.
I numeri del report
Di queste startup innovative, il 73,7% ha lo scopo di fornire servizi alle imprese come la produzione di software e la consulenza informatica, 2.153 o il 19,8% sono a prevalenza giovanile (under 35) e il 13,5% del totale (numericamente 1.468) è a prevalenza femminile, vale a dire startup in cui le quote e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne.
Il dato più interessante, e su cui ci si può soffermare, è quello inerente alla distribuzione geografica del fenomeno, in quanto analizzandolo emerge un vero e proprio leader di questa speciale classifica: considerando che la Lombardia è la Regione da cui partono più di un quarto di tutte le startup italiane (26,9%), è da sottolineare che solo la Provincia di Milano, con 2.075 società (il 19,1%) ospita quasi un quinto delle startup innovative italiane, superando i numeri di qualsiasi regione d’Italia.
A seguire, in questa classifica territoriale, Roma con 1.110 startup innovative e al terzo posto Napoli con 423. Scorrendo qualche posizione nella classifica territoriale è facile notare come si siano concentrati dei poli innovativi anche in città con meno abitanti come Padova, Bergamo e Salerno, tutte e tre in “top ten”.
Scegliere il contesto territoriale giusto per fondare una startup innovativa è uno dei momenti critici ed essenziali di un business plan. Per quanto si tenda maggiormente all’offerta di servizi e quindi in maniera inevitabile all’utilizzo degli strumenti digitali, che “internazionalizzano in rete” una startup, è pur vero che il contesto di inserimento geografico di quest’ultima può essere determinante nella sua trasformazione in una scale-up.
Per una definizione internazionale, con scale-up si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: insomma una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura.
La scelta dello scenario territoriale per fondare una startup non è governata da una regola. Tuttavia, in base ai dati del Report, è forse possibile interpretare tre filosofie distinte in Italia:
Mettere radici a Milano– Questa città merita un capitolo a parte! Se quasi 1/5 degli startupper innovativi italiani ha deciso di partire dalla città meneghina per piantare il seme della propria idea, allora vi saranno tanti validi motivi. Milano rappresenta un formidabile ed enorme incubatore di startup: partendo da questa città, si può sfruttare lo scenario internazionale, l’efficienza e la potenza delle infrastrutture e dei trasporti, l’esposizione mediatica, il network a disposizione e i collegamenti che possono nascere anche durante un semplice aperitivo a Corso Sempione (appena sarà possibile!).
Investire in grandi città italiane – Investire, con la propria idea, in città metropolitane come Roma, Napoli, Torino e Bologna: grandi scenari con altrettanto grandi tradizioni storiche dove è davvero facile farsi ispirare ed affascinare da turismo, territorio e popolazione. Si tratta di grandi compromessi fra modernità e tradizione. C’è tanto spazio per il turismo ma allo stesso tempo una grande varietà di risorse umane, c’è cultura gastronomica ma anche tanta ricerca di trend e novità. Queste città rappresentano dei punti di riferimento per tutti i territori limitrofi.
Creare il proprio rifugio – Per alcuni startupper è sempre valido il detto che recita: “Nella botte piccola c’è il vino buono”. Scegliere come base città geograficamente più piccole o con meno abitanti, sia del Nord che del Sud Italia, sembra essere apprezzato: la conoscenza diretta di eventuali partner, collaboratori e delle usanze di un territorio può rappresentare un vantaggio non indifferente per chi decide di fare impresa. Puntare sul cosiddetto “fattore umano” può rivelarsi davvero vincente quando si opera in un territorio più circoscritto. Per esempio Bergamo e Salerno sono entrambe città con meno di 150mila abitanti ma con rispettivamente 209 e 193 startup innovative all’attivo.
Non va dimenticato che l’Italia è storicamente un paese di creativi e di straordinari ideatori, che man mano si sta approcciando sempre di più ai metodi digitali, sfruttandone le potenzialità: lo dimostra la diffusione dello smartworking, l’interesse incalzante verso gli strumenti digitali o verso le ultime tendenze di marketing. La storia insegna che con strumenti, impegno e coraggio si possono compiere delle opere straordinarie e colmare gap anche profondi.
È importante trasmettere dati e andamenti positivi, anche se relativi ad un periodo (leggermente) precedente all’emergenza da Coronavirus, che ha fortemente scosso l’economia italiana e mondiale. Mai come in questo periodo è estremamente importante utilizzare tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione al fine di riprendere, al più presto, il percorso di crescita tecnologica nazionale e far sì che delle semplici ma efficaci idee possano trasformarsi in grandi startup innovative.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/Depositphotos_136289484_s-2019-min-1.jpg5901000Luca Maucionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maucione2020-04-28 11:52:512020-04-29 17:22:25Startup innovative in Italia: i numeri, ma anche il contesto geografico per capirne l'evoluzione
Capacità di leadership innate, fiducia nella creatività e nella possibilità di crearsi opportunità per il futuro, un mindset orientato al rischio e ad abbandonare lo status quo. Tutto questo e molto altro è Bob Iger;
Torna alla guida di Disney il CEO che in 15 anni ha rivoluzionato l’azienda con le sue acquisizioni: Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox.
Lo scorso martedì 25 febbraio Robert “Bob” Iger ha annunciato il suo ritiro dall’incarico come CEO di Walt Disney Company. Una notizia sorprendente su una decisione inaspettata, dato che il suo mandato sarebbe durato fino a fine 2021. Si tratta comunque di una transizione graduale, con il testimone operativo che passa a Robert Chapek (direttore dei parchi a tema Disney dal 2015) e con Iger che prende il ruolo di Executive Chairman. L’incarico prevede di supervisionare il lavoro del suo successore fino a fine mandato, conservando comunque la delega alla gestione della produzione del contenuto. Un cambiamento “soft”, per così dire.
È con l’emergenza Coronavirus, però, che si sono rimescolate le carte in tavola. Meno di due mesi dopo questa fatidica decisione, infatti, Bob Iger è tornato alla guida di Disney, per gestire l’azienda in un periodo a dir poco preoccupante. Ecco quindi che si è dimostrato subito disponibile per aiutare attivamente il “nuovo” Bob, dopo aver gestito la multinazionale di Topolino per ben 15 anni. Quest’ultima, infatti, si trova attualmente in grande difficoltà, essendo una delle società in ambito media che più ha risentito della pandemia globale, tra uscite cinematografiche ritardate, produzioni di film e serie TV interrotte, oltre alla chiusura di parchi a tema e di altre numerose attività previste in questi mesi.
I numeri pre-Coronavirus di Disney, però, sono a dir poco impressionanti. Nel 2019 l’azienda ha prodotto da sola un terzo dei ricavi del box office USA. Nel 2005, quando Iger è diventato amministratore delegato, valeva 29 miliardi di dollari. Oggi, 15 anni dopo, quei miliardi sono diventati quasi 230, con i profitti che sono aumentati del 335%. Grazie alla guida del CEO che si era ritirato lo scorso febbraio, la Walt Disney Company è diventata la più grande azienda cinetelevisiva del mondo.
Bob Iger ha fatto sua la citazione di Walt Disney “If you can dream it, you can do it“, ed è proprio con 15 sue citazioni che vogliamo raccontarlo.
La storia di Bob Iger
Nato a New York nel 1951, Bob Iger debutta sul piccolo schermo già da studente come conduttore di uno show televisivo della sua università, Campus probe. Si laurea in Scienze della televisione e della radio e poco dopo inizia a lavorare per ABC. Questa viene comprata da Disney nel 1996, e 4 anni più tardi Iger ne è già il numero due sotto il CEO e presidente Michael Eisner. Dal 2005, è alla guida della multinazionale.
Una scalata incredibile, contando che nel 1974 era un semplice assistente di produzione con uno stipendio da 700 dollari al mese. Nella sua biografia “The Ride of a Lifetime”, infatti, ha dichiarato:
A volte mi sento un concorrente in un reality show che probabilmente si chiamerebbe “L’Apprendista Sopravvissuto che è diventato Milionario”.
(Credits: ABC)
I valori di un leader secondo Bob Iger
«La vera autorevolezza e la vera leadership vengono dal sapere chi sei e non dal pretendere di essere qualcun altro.»
«Nella sua essenza, la buona leadership non ha a che fare con l’essere indispensabile; ha a che fare con l’aiutare gli altri a essere preparati a mettersi al tuo posto, in caso di necessità […]»
«Questi sono i 10 principi che penso siano necessari per la vera leadership: Ottimismo, Coraggio, Concentrazione, Capacità di prendere decisioni, Curiosità, Fantasia, Premura, Autenticità, implacabile Ricerca della Perfezione, e Integrità.»
«Se i leader non articolano chiaramente le loro priorità, allora le persone attorno ad essi non sapranno quali dovrebbero essere le loro, di priorità».
Bob Iger è entrato nella lista delle 100 persone più influenti secondo Time, mentre lo scorso gennaio è stato anche inserito nella Hall of fame della televisione statunitense. Innegabile come in 15 anni ai vertici di Disney ci abbia dimostrato doti di leadership innate, diventando una tra le figure più importanti nel mondo dell’intrattenimento. La crescita della sua azienda, poi, è a dir poco mostruosa: con Iger ai vertici, i risultati che ha ottenuto si rivolgono “all’infinito e oltre”, come direbbe Buzz Lightyear.
Gli elementi che ruotano intorno al suo concetto di leadership sono sicuramente riconducibili all’essenza stessa del guidare le persone, del farle sentire coinvolte. Un vero leader cerca di trasmettere al suo team i suoi valori personali, senza cercarne altrove, così da diventare un punto di riferimento per la vera persona che è. Così, ci si sente guidati da qualcuno che si conosce, lavorando come un unico sistema in grado di funzionare perfettamente anche senza una persona “al comando”.
Non c’è innovazione senza creatività
Sotto la gestione Eisner, Disney era diventata di nuovo grande dopo molte difficoltà. Agli inizi anni Duemila, però, entrò di nuovo in crisi quando il produttore Jeffrey Katzenberg lascia la compagnia per andare a fondare il dipartimento Animation di DreamWorks SKG.
Nel frattempo, un certo Steve Jobs rivoluzionava il mondo dell’animazione con l’aziendaPixar, sia dal punto di vista tecnico che creativo. Ed è proprio con il fondatore di Apple che Bob Iger aveva un feeling particolare. Egli succedette a Eisner con l’aiuto del nipote di Walt Disney, Roy Edward. Probabilmente, proprio perché il suo predecessore non fu in grado di gestire i rapporti con Jobs.
A inizio 2006, invece, il primo colpo di Iger fu proprio l’acquisizione della Pixar. L’operazione portò la famiglia Jobs e Apple ad acquisire un’importante fetta di azioni Disney, e il direttore creativo John Lasseter insieme al top management Pixar a prendere la guida di tutta la produzione animata dell’azienda di Topolino, che da quel momento iniziò a risalire velocemente.
Bob Iger, quindi, rivoluzionò l’azienda in un momento in cui rischiava di perdere tutto ciò di buono che aveva portato Pixar. Una visione che donò a Disney nuova linfa creativa, oltre a spianare la strada per numerosi ed enormi successi. Con questa acquisizione, costata 7,4 miliardi di dollari, Iger lasciava un’impronta indelebile per gli anni successivi, caratterizzata da una capacità indescrivibile di raccontare storie che sprigionano creatività da tutti i pori.
D’altronde, secondo lui è proprio la creatività uno dei valori principali per un’azienda, una qualità imprescindibile se si vuole davvero innovare.
5. «Non c’è nulla di scientifico nella creatività. Se non ti dai la possibilità di fallire, non potrai portare innovazione.»
6. «Il cuore e l’anima di un’azienda sono la creatività e l’innovazione.»
Come nacque l’impero: i segreti di Bob Iger per la crescita Disney
Dopo l’acquisizione della Pixar, Bob Iger non si è fermato. Nel 2009 ha comprato quello che sembrava il “nemico”, Marvel, per 4 miliardi, entrando in un mondo che dava a disposizione di Disney oltre 5mila personaggi usciti dalla testa di Stan Lee. È stato lo stesso Iger, poi, a contribuire alla pianificazione della saga degli Avengers, realizzando il franchise più redditizio della storia del cinema (28mld in 10 anni). Nel 2012, poi, un’altro colpo di scena: l’acquisizione della casa cinematografica di George Lucas, Lucasfilm, aka Star Wars e Indiana Jones.
Inutile dire i successi derivati da questa mossa strategica. Basti pensare che la nuova trilogia di Guerre Stellari ha incassato da sola circa 4 miliardi e mezzo di dollari. Disney, oggi, monopolizza i box office grazie a un’altra famosa acquisizione avvenuta a marzo 2019: 21st Century Fox. Un vero e proprio impero dell’entertainment, creato sotto la guida di Iger.
Lo scorso settembre ha dichiarato allo show “The Talk” che una delle ragioni per cui è riuscito ad acquisire realtà come Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox è che non si è mai preoccupato di proteggere lo status quo Disney.
Qui la chiave del nativo di New York per la crescita e il cambiamento: mai andare sul sicuro. Se non ci si prende dei rischi difficilmente si potrà ottenere grandi risultati. Il suo consiglio è quello di essere ambiziosi, così da crearsi le proprie opportunità senza aver timore di sbagliare o di non capire. C’è sempre possibilità di imparare. I rischi più grandi per lui, infatti, e quindi anche quelli da evitare, sono proprio affidarsi allo status quo e alla staticità, e non saper prendere rischi.
7. «Si guardi al mondo oggi e a quanto sconvolgimento si può trovare, a quanti cambiamenti sono in atto: penso che se si va sul sicuro, se in un modo o nell’altro si prova a proteggere lo status quo, non si va da nessuna parte.»
8. «Nulla è sicuro, ma come minimo a volte avrai bisogno di essere disposto a prenderti grandi rischi. Non puoi ottenere grandi risultati senza rischiare.»
9. «Non puoi lasciare che l’ambizione si allontani troppo dall’opportunità.»
10. «Chiedi ciò che ti serve sapere, ammetti senza timore ciò che non capisci, e fai in modo di imparare ciò di cui hai bisogno più velocemente che puoi.»
Consumer-first. I bisogni delle persone sono il futuro
11. «Se approcci e coinvolgi le persone con rispetto ed empatia, quello che sembra impossibile può diventare reale.»
12. «È nei nostri migliori interessi lasciare perdere alcune vecchie regole, crearne di nuove e seguire i consumatori – quello che i consumatori vogliono e dove vogliono andare.»
13. «Le persone amano ancora una bella storia, e non credo che questo cambierà mai.»
Quando Bob Iger salì sul palco del keynote di Steve Jobs nell’ottobre 2005, durante il quale Apple presentava l’iPod video e la possibilità di guardare comodamente non solo film ma anche le serie TV ABC, disse che secondo lui quello sarebbe stato «il primo passo da gigante verso il rendere più contenuti disponibili a più persone online […] È il futuro, per quanto mi riguarda». Da lì a Disney+ sono passati 14 anni, ma il percorso che ha segnato Iger sin dall’inizio è ben chiaro.
Con la sua piattaforma di streaming, che ha avuto molta fortuna in Europa vista la quarantena causata dal fenomeno Coronavirus, Disney lancia un bel messaggio a Netflix e agli altri concorrenti, superando i 50 milioni di abbonati in 5 mesi. Disney+ è la dimostrazione che sotto la guida di Bob Iger l’azienda di Topolino non solo ha saputo destreggiarsi nello sviluppo creativo di nuovi prodotti, ma anche ascoltare il consumatore cercando di soddisfare al meglio i suoi desideri. Questi ultimi, secondo Iger, ruoteranno sempre attorno al racconto di una bella storia.
Alcuni sostengono che l’addio di febbraio 2020 sia dovuto alla sensazione della fine di un periodo d’oro che difficilmente potrà continuare, per Disney. Probabile, ma ora come ora la realtà dei fatti ci dice che Bob Iger è tornato alla guida del suo gioiello in un momento difficile, di crisi, con pochi spiragli luminosi per il futuro. Come riemergere? Per Iger, la qualità più imprescindibile per un leader è l’ottimismo. D’altronde, chi seguirebbe una guida pessimista? Bisogna quindi crearsi tutte le opportunità con entusiasmo, guardando al futuro con la fiducia che le cose miglioreranno. Un pensiero che, oggi, può aiutare tutti noi anche nel nostro piccolo. Magari con una piccola spintarella made in Disney, che, come dice Iger, «produce felicità».
14. «Ottimismo. Una delle qualità più importanti per un grande leader è l’ottimismo, un entusiasmo pragmatico per quello che si può realizzare. Anche quando ci si trova davanti a scelte difficili e risultati non del tutto confortanti, un leader ottimista non si lascia condizionare dal pessimismo.»
15. «Il tono che tieni da leader ha un effetto enorme sulle persone attorno a te. Nessuno si ispira o viene motivato da un pessimista.»
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/bob-iger-disney-citazioni-cover.jpg5631000Andrea Zucchiattihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAndrea Zucchiatti2020-04-24 15:20:572020-04-29 17:24:07L'uomo che ha creato l'impero Disney: Bob Iger in 15 citazioni
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