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Perchè non dovresti smettere di fare SEO durante l’emergenza COVID-19

  • Parlare di SEO e Digital Marketing durante l’emergenza da Covid-19 potrebbe sembrare superfluo, eppure sono proprio queste attività a sostenere il business adesso;
  • Anche in ottica di riapertura, bisognerà farsi trovare pronti e adottare strategie (anche di contenuto) coerenti con le nuove ricerche degli utenti. 
  • Un errore da non commettere? La chiusura o l’oscuramento del proprio sito internet. Meglio adottare altre strategie.

 

L’Italia e il mondo stanno affrontando l’emergenza legata al COVID-19. Per le aziende è un momento molto delicato e sappiamo bene che attualmente ci sono priorità che lasciano poco spazio ad argomenti come SEO e Digital Marketing: c’è da riorganizzare il lavoro per renderlo flessibile, capire come riaprire le aziende in sicurezza, trovare le modalità per garantire lo stipendio a fornitori e dipendenti, consegnare i prodotti in tempo.

Tuttavia, sono proprio la SEO e le altre attività di marketing a sostenere il business di molte aziende, rendendo visibili i prodotti e i servizi offerti sul web. Per questo motivo bisognerebbe assolutamente continuare l’attività di posizionamento, anche durante questo periodo di sacrifici. Questo consentirà di avvantaggiarsi rispetto ai competitor, in vista del momento in cui si tornerà ad una nuova normalità.

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lavoro remoto coronavirus

Cosa fare e cosa non fare in ottica SEO con Covid-19

Se la vostra azienda fa parte dei cosiddetti “business essenziali“, potrebbe non aver visto variazioni negative nella ricerca, ed anzi, ci potrebbe essere stato un boom nell’aumento del traffico organico. Dal momento in cui le persone sono in lockdown, infatti, cercano molto di più le informazioni online ed è aumentato il tasso di vendita degli e-commerce, in particolare di quelli che vendono beni di prima necessità.

Il problema sussiste principalmente per tutti coloro che, invece, hanno dovuto sospendere la vendita dei propri prodotti o dei propri servizi a causa della pandemia. In questo ci viene in aiuto il blog di Google Webmasters, che ha pubblicato un articolo di John Mueller per spiegare “come mettere in pausa un’attività online nella Ricerca Google”, per evitare di chiudere definitivamente il sito e perdere tutti i risultati finora ottenuti.

Con la crescita degli effetti del coronavirus, infatti, Mueller ha visto moltissime aziende cercare di stoppare le proprie attività online, magari oscurando totalmente il proprio sito dal web.

Disabilitare il sito è un grave errore, che potrebbe avrebbe effetti significativi sulla ricerca:

  • i clienti non saranno aggiornati riguardo a cosa sta succedendo all’attività;
  • gli utenti non potranno trovare informazioni riguardo ai prodotti e servizi offerti;
  • il knowledge panel potrebbe perdere le informazioni acquisite nel tempo;
  • non avremo più accesso ai dati acquisiti (es. Search Console, Analytics);
  • recuperare posizioni e traffico sarà molto più difficile rispetto a prima.

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Quali sono le modifiche da fare sul sito

Nell’articolo che stiamo utilizzando come fonte sono offerti dei consigli per mettere in pausa il sito, riducendo al minimo le conseguenze sul posizionamento, con la prospettiva di tornare ad essere presenti per i propri clienti, nel più breve tempo possibile. Per un eCommerce che non riesce a proseguire la propria attività, ad esempio, è consigliato contrassegnare gli articoli come esauriti o limitare la possibilità di effettuare la transazione, magari consentendo al cliente di aggiungere il prodotto alla lista dei desideri, per poterlo acquistare in un secondo momento.

In questo modo le persone potranno ancora trovare informazioni riguardo alle caratteristiche e ai prezzi dei nostri prodotti, articoli del blog che spiegano come usarli, ma anche leggere le recensioni degli altri utenti. È anche possibile bloccare temporaneamente solo gli acquisti di tutti i prodotti non essenziali, limitando la funzionalità del sito solo ai generi di prima necessità, come ha fatto Amazon a partire dal 14 Marzo 2020.

Esistono anche altre “buone pratiche” che andrebbero attuate sul sito:

  • creare un banner o una pagina specifica per il COVID-19, contenente informazioni riguardo allo status dell’azienda (apertura, chiusura, smart working), alle spedizioni (ad esempio tempi previsti, eventuali ritardi, comuni dove non è garantita la spedizione, etc.), alle precauzioni prese per garantire la sicurezza degli alimenti consegnati a domicilio. Ad esempio Amazon ha creato una pagina dedicata allo status degli ordini, una pagina per le FAQ ed una pagina dedicata alle iniziative intraprese dall’azienda. Anche Nike, eBay, Tannico, Esselunga, Iper, e molti altri siti hanno creato una pagina di aggiornamento COVID-19;
  • usare Google My Business (oltre ai profili social, come Facebook, Linkedin ed Instagram) per indicare chiusure temporanee, comunicare nuovi orari, aggiornare i clienti riguardo allo status dell’attività. In particolare, tramite i post ed i nuovi attributi è possibile comunicare informazioni tempestive e dettagliate riguardo ad iniziative, offerte speciali o aggiornamenti dell’inventario;
  • usare i nuovi dati strutturati, rilasciati da schema.org in occasione del COVID-19 (come “SpecialAnnouncement”, “eventAttendanceMode” e CovidTestingFacility”). ll primo tipo schema serve a segnalare gli “annunci speciali”, come la chiusura di scuole, il blocco di mezzi pubblici, le linee guida per la quarantena, le informazioni su come sottoporsi ai test/tamponi per verificare il contagio al COVID-19, il secondo schema serve per segnalare se un evento sarà cancellato, rinviato, posticipato o trasmesso in live streaming (script eventStatus e vitualLocation), mentre il terzo serve per indicare le cliniche dove sono disponibili i tamponi per il test del coronavirus. Anche se si possiede un negozio fisico, sarebbe il caso di aggiornare i dati strutturati delle attività locali con le nuove disposizioni attuate;
  • chiedere a Google di ripetere la scansione di un numero limitato di pagine (ad esempio, solo quelle relative ai beni di prima necessità acquistabili sul sito) tramite la Sitemap.xml e la Search Console;
  • restare in contatto con la propria audience, per offrire rassicurazioni, connessione sociale e assistenza tangibile durante tutto il periodo di emergenza. Innanzitutto, si potrebbe pensare di impostare un risponditore automatico, o una chatbot, per aiutare i clienti ad ottenere in modo rapido informazioni e risposte alle domande più frequenti. Si potrebbe pensare di proseguire la relazione instaurata tramite DEM, sui profili social, sui siti di recensione. Inoltre si potrebbero creare degli spazi live, come ad esempio un appuntamento fisso di diretta video, dove si potrebbe parlare dei trend del proprio settore, delle possibili azioni future in merito al prodotto o servizio;
  • creare nuovi contenuti informativi, in linea con le tendenze del momento, ma appropriati alla situazione che stiamo vivendo: nel caso voi facciate parte di tutte quelle aziende che sono definite “non essenziali”, questo non dovrebbe essere il momento per fare business, ma per continuare ad offrire valore ai propri utenti. Oltre all’utilità del contenuto, che dovrà rispettare le misure di sicurezza ed i cambiamenti dello stile di vita delle persone, concentratevi sul tono del vostro messaggio, che dovrà mantenersi sempre positivo, empatico ed ispiratore. Scordatevi i principi di scarsità: le “occasioni da non perdere!” non fanno leva in tempi di Coronavirus.

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Come definire la strategia di contenuti se l’intento di ricerca cambia così velocemente?

Il comportamento della ricerca è completamente cambiato a seguito dell’emergenza sanitaria e probabilmente continuerà a farlo nei prossimi mesi.

Dato che le persone sono costrette a rimanere a casa, il consumismo ha visto uno spostamento della domanda da acquisti basati sul desiderio, a quelli basati sui bisogni essenziali (in particolare cibo e farmaci). Di conseguenza sono cambiate anche le intenzioni di ricerca: nell’ambito dell’estetica, ad esempio, se prima si cercavano centri estetici vicino a casa, ora si tenta di trovare prodotti per la bellezza online, tutorial per effettuare la manicure, per tagliarsi i capelli e farsi la tinta in casa in casa, oppure per farsi la ceretta in autonomia.

Ora, avere contenuti in linea con le ricerche degli utenti, potrebbe fare la differenza. Come si può definire una strategia di contenuti, quando gli intenti di ricerca cambiano così velocemente e gli strumenti di ricerca delle parole chiave non sono aggiornati?

1# Consultare Google Trends per fare SEO durante Covid-19

Google Trends è il primo strumento da consultare nel caso si vogliano comprendere i cambiamenti nel comportamento di ricerca e capire quali argomenti sfruttare per la creazione di contenuti, in quanto è in grado di raccogliere dati in tempo reale.

Per identificare le tendenze emergenti, è necessario pensare alla propria attività e quali potrebbero essere le parole chiave essenziali in grado di darle visibilità. Ad esempio, chi possiede un ristorante, ed in questo momento sta effettuando consegne a domicilio, dovrà spostare l’attenzione da parole chiave come “ristorante + città”, “ristorante vicino a me”, a keywords quali “consegna domicilio + città”.

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2# Monitorare Search Console e la ricerca interna del sito

Altri due strumenti da monitorare per comprendere le ricerche dei propri utenti sono il rendimento della Google Search Console e i risultati della ricerca interna del sito.

Nei momenti in cui la domanda cambia fortemente, infatti, si possono notare dei cambiamenti sulle singole query effettuate. Integrando questi dati, con quelli rilevati da Google Analytics è anche possibile identificare quali pagine hanno registrato un maggior numero di visite e quali, invece, hanno avuto un tasso di rimbalzo più alto. In quest’ultimo caso potrebbe essere necessario rivedere la strategia SEO implementata

3# Testare l’usabilità del sito

Altri strumenti utili possono essere Hotjar, Google Tag Manager e Google Optimize. Se è stato impostato il tracciamento delle mappe di calore, si possono ricavare informazioni utili riguardo al comportamento dell’utente sul sito e possono essere messi in evidenza potenziali problemi legati all’usabilità.

Questo è il momento migliore per identificare i punti di attrito nel processo di conversione, fare dei test e intervenire per risolverli! Nel momento in cui la ricerca dei consumatori è spostato sul web è fondamentale garantire che l’esperienza complessiva dell’utente sia positiva. Non si può rischiare di trovarsi su un sito che non è usabile a causa del sovraccarico di utenti, come la piattaforma di spesa online di Carrefour all’inizio della pandemia. 

4# Analizzare la concorrenza per migliorare la SEO

In questi anni, a causa di mancanza di tempo, siete rimasti concentrati principalmente sul vostro business, piuttosto che sui siti della concorrenza? Questo può essere un buon momento per fermarsi a fare un’analisi dei propri competitor. 

L’ideale sarebbe individuare da 3 a 5 competitors che si performano meglio di noi nella ricerca organica ed individuare: quali sono le parole chiave principali per le quali si posizionano? come sono stati costruiti i contenuti principali? Quali sono i siti da cui ricevono backlink di valore? Hanno attuato delle strategie particolari per contrastare il problema del Coronavirus? Annotare tutti questi feedback potrà essere utile per valutare se ci sono delle migliorie che possono essere applicate subito al proprio contesto, e porre le basi per le prossime eventuali strategie di digital marketing.

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E per chi decide di disattivare definitivamente il sito?

Per chi decide di proseguire comunque con la scelta di disattivare completamente il sito, Google dà qualche piccolo suggerimento per cercare di limitare i danni a livello di SEO:

  • se si ha bisogno di disattivare urgentemente il sito per 1 o 2 giorni, si dovrebbe restituire una pagina di errore HTTP 503, invece di tutti i contenuti (in questo caso fare attenzione a non restituire un codice 503 per il robots.txt);
  • se si deve disattivare il sito per un periodo di tempo più lungo, sarebbe ideale fornire come risultato una home page indicizzabile con codice di stato HTTP 200, a cui fare redirect 302 temporanei, per mantenere frizzato il posizionamento acquisito;
  • se si ha bisogno di rimuovere rapidamente tutto il sito dalla ricerca, invece, è possibile bloccare temporaneamente le URL nella Google Search Console (attenzione: questa interruzione ha una durata di circa 6 mesi).

Ovviamente, come già detto in precedenza, questa soluzione è altamente sconsigliata.

European Green Deal

Dopo il Coronavirus, l’European Green Deal sarà ancora una priorità?

  • A dicembre 2019 è stato presentato L’European Green Deal, una strategia di crescita economica sostenibile
  • L’Unione Europea mette a disposizione 1000 miliardi di euro per una transizione green dell’Europa e nuove opportunità di lavoro e investimenti per cittadini e imprese
  • Ma qual è oggi il collegamento tra emergenza sanitaria ed emergenza climatica?

 

Dicembre 2019. La Presidente della commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, presenta ufficialmente il nuovo piano verde europeo, l’European Green Deal. Una strategia di crescita economica a favore dell’ambiente con l’obiettivo di trasformare l’UE nel primo territorio a zero emissioni di gas entro il 2050.

L’European Green Deal è la risposta concreta che l’Unione Europea mette in atto per fronteggiare i disastri climatici degli ultimi anni. La grande opportunità per gli stati è che ci saranno molti investimenti e ammodernamenti nelle infrastrutture, incentivi a progetti e startup green.

Il piano è davvero molto ambizioso, con l’obiettivo di includere tutti gli stati nel programma, anche quelli con economie più deboli, non lasciando nessuno indietro. Già qualcuno allora si chiede se l’Europa sarà pronta economicamente per l’European Green Deal, soprattutto oggi che sta fronteggiando l’emergenza sanitaria.

Nei prossimi paragrafi riepilogheremo l’European Green Deal, dalle iniziative dell’Europa per l’economia verde, alle opportunità e difficoltà di attuazione. Guarderemo infine al clima con gli occhi dell’emergenza sanitaria, analizzando il collegamento tra pandemia e alterazione degli ecosistemi secondo una recente report di WWF Italia.

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L’European Green Deal spiegato in maniera semplice

Prima di addentrarci nelle iniziative verdi dell’Europa un breve recap dell’European Green Deal.

Si tratta di una strategia di crescita per trasformare l’UE in una società equa e prospera, migliorando la qualità della vita delle generazioni attuali e future, con un’economia moderna, efficiente nell’impiego delle risorse e competitiva.

L’obiettivo è azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050 e arrivare a questo importante cambiamento non lasciando nessuno indietro. Altri obiettivi sono garantire che la transizione verso la neutralità climatica sia irreversibile e offra prevedibilità agli investitori e agli altri attori economici. Per raggiungere l’obiettivo, l’Unione europea mette in campo 1000 miliardi di euro e una tabella di marcia serrata con azioni e monitoraggi periodici dei progressi.

In sostanza quindi l’European Green Deal corrisponde a un piano di crescita economica sostenibile per l’Europa.

Tra le tappe importanti di questo percorso presentato ufficialmente lo scorso dicembre 2019:

  • gennaio 2020. Presentazione del piano di investimenti;
  • marzo 2020. Proposta di legge, alla quale hanno risposto positivamente tutti gli stati tranne la Polonia. Ogni cittadino europeo può inviare il suo feedback online alla proposta entro il 1 maggio;
  • marzo 2020. Patto climatico europeo. L’Unione Europea apre una consultazione pubblica online a cui tutti possono partecipare fino al 27 maggio, per esprimersi e progettare nuove azioni per il clima, condividere informazioni, avviare attività di base e proporre soluzioni che possono essere adottate anche da altri;
  • marzo 2020. Adozione di strategia industriale. Interessante il documento dedicato alle PMI;
  • marzo 2020. Proposta di un piano d’azione per l’economia circolare.

Le opportunità di lavoro e investimenti

Secondo un report di Green Italy, nel 2018 in Italia oltre 3,1 milioni di persone svolgevano lavori nella green economy (con un aumento del 3,4% rispetto il 2017) e 432 mila aziende negli ultimi 5 anni hanno investito in questo senso. Nel 2019, il numero di contratti di attivazione prevista dalle imprese per i green job è pari a circa 521.747 unità.

European green deal job

Con l’European Green Deal il numero di nuove professioni e posti di lavoro continuerà ad aumentare. Tra le nuove professioni presentate nel report:

  • cuoco sostenibile. Colui che presta attenzione ai marchi di qualità, alle produzioni biologiche e a chilometro zero e, soprattutto, ridurre gli sprechi e riciclare al massimo;
  • esperto in gestione dell’energia (ingegnere energetico). Progetta e gestisce impianti in maniera da ridurre i consumi di materie prime e di energia. I settori di applicazione sono quelli industriale, civile, agricolo e dei trasporti;
  • promotore edile di materiali sostenibili. Il suo ruolo è prevalentemente di consulenza e di supporto tecnico per favorire un corretto ed esteso utilizzo di materiali edili naturali, nelle applicazioni di tecnologie e tecniche costruttive per la riqualificazione energetica degli edifici;
  • meccanico industriale green. Il suo compito è installare o montare in ambito industriale, macchinari di nuova concezione e verificare gli ambiti dove tali impianti dovranno lavorare. In alcuni casi con adeguate specializzazioni la figura può evolvere in quella di un vero e proprio certificatore per il collaudo, la verifica e la certificazione secondo le ambientali dei sistemi installati;
  • informatico ambientale. Oggi le soluzioni del mercato nel settore della domotica e del cosiddetto “internet delle cose” sono in gran parte dedicate alla gestione di servizi energetici per ottimizzare i consumi. Per questo servono professionalità specializzate. Ma nell’ambito di informatico ambientale ci riferiamo anche al bioinformatico e il geoinformatico. Il primo ricercato nell’ambito della biologia e della genomica, il secondo ricercato per l’applicazione dell’informatica alle scienze geologiche.

Per quanto riguarda fondi e investimenti, come abbiamo detto il Green Deal mette a disposizione 1.000 miliardi di euro per l’economia verde in tutti gli stati. All’Italia andranno circa 400 milioni di euro.

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green building

Già sono presenti ad oggi progetti finanziati dall’Europa con questo scopo. L’European green Deal impatterà inoltre tutti i settori, tra i primi edilizia e trasporti.

Nel caso dell’edilizia per esempio si presterà particolare attenzione alla ristrutturazione degli alloggi sociali per aiutare le famiglie che faticano a pagare le bollette energetiche. Per i trasporti si incentiverà il trasporto merci con volume maggiore su rotaia o per vie navigabili. Entro il 2025 l’obiettivo è avere 1 milione di stazioni pubbliche di ricarica e rifornimento per i 13 milioni di veicoli a basse o zero emissioni.

Le difficoltà di attuazione

Un recente articolo di Forbes ha sollevato dei dubbi su quanto l’Unione Europea sia realmente pronta a sostenere il budget dell’European Green Deal.

Soprattutto in termini di controllo e rischi di corruzione, distribuzione equa, quantità di budget destinato alla transizione. L’articolo prende come riferimento eventi recenti per sostenere la tesi:

  • la scoperta di frode sulle aggiudicazioni dei fondi europei per l’agricoltura, emersa da un’inchiesta condotta dal New York Times, che vede anche l’Italia coinvolta;
  • l’investimento di 100 milioni di euro per il programma LIFE che finanzierà 10 progetti green per migliorare la qualità di vita dei cittadini preservando il territorio a Cipro, Grecia, Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Spagna e Lettonia;
  • la protesta sulla votazione contro la mozione di rifiutare una lista di progetti tra cui fino a 55 nuove infrastrutture di gas fossile.

European Green deal protesta EU

Il direttore di Climate Action Network Europe (CAN Europe), Wendel Trio, sostiene che l’intero budget EU dovrebbe essere destinato alla transizione invece che sovvenzionare ancora i combustibili fossili.

Il collegamento tra alterazione degli ecosistemi naturali e pandemie

Una domanda che è sorta in questi giorni è se l’European Green Deal sarà messo da parte a causa del Covid-19.

Si sta dando oggi priorità all’emergenza sanitaria e per i governi è complesso gestire contemporaneamente anche la crisi climatica. Tuttavia la salvaguardia degli ecosistemi è profondamente legata alla lotta delle pandemie. Quindi, in parole povere, l’European Green Deal e altre azioni a favore dell’ambiente non sono una forma nobile per salvare le generazioni future, ma una misura da adottare urgentemente per salvaguardare anche l’uomo di oggi e prevenire le pandemie.

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orso polare ecosistemi

Un report del WWF Italia, ci spiega proprio l’effetto boomerang delle nostre azioni sugli ecosistemi e la biodiversità e le conseguenze che queste hanno sulla diffusione di alcune malattie e quindi sulla salute pubblica, fino alle condizioni socio-economiche delle nostre società.

Negli ultimi anni sono aumentate in modo preoccupante le zoonosi, cioè malattie trasmesse all’uomo dagli animali, tra cui probabilmente c’è anche il Covid-19. Le zoonosi come malattie emergenti sono quelle che compaiono per la prima volta in una certa popolazione, o sono quelle che erano già presenti ma sono in rapido aumento per numero di casi o diffusione geografica.

Le zoonosi, tra cui HIV, MERS, SARS hanno un impatto importante sulla salute dell’uomo e sui sistemi sociali ed economici. Per esempio la SARS comparsa in Cina nel 2002 e trasmessa dai Chirotteri alle Civette delle Palme e successivamente all’uomo, ha provocato 774 vittime con un impatto economico di 40 miliardi.

L’aumento di malattie infettive emergenti secondo gli scienziati è causato dalla perdita di habitat, dalla creazione di ambienti artificiali, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e più in generale la distruzione della biodiversità.

La resilienza della natura

Lasciare da parte la lotta al cambiamento climatico e le iniziative verdi per fronteggiare l’emergenza sanitaria è come curare i sintomi di una malattia senza risalire alle cause. L’Europa ha già fatto grandi passi sulla sostenibilità, riducendo del 23% le emissioni di gas rispetto al 1990.

Siamo consapevoli anche che l’Unione Europea è una parte del mondo e da sola non può salvarlo, ma dimostrando che prosperità non significa distruzione della natura e scoraggiando il commercio di altri Paesi che perseguono politiche ad alto impatto ambientale, può con il tempo dare via a un cambiamento globale.

Green Chernobyl

Chernobyl, Pripyat, Ukraine

In questi giorni di quarantena stiamo vedendo i canali di Venezia di nuovo puliti, l’aria meno inquinata, gli animali selvatici camminare indisturbati tra le strade. Nel momento in cui stacchiamo la spina, la natura è pronta a rinascere, perfino lì dove sembrava che non ci sarebbe stata mai più la vita. Davvero vogliamo ancora chiudere gli occhi?

Bezos Earth Fund

Bezos Earth Fund: quali problemi vuole affrontare il CEO di Amazon investendo sull’ambiente

  • Bezos vuole investire in soluzioni innovative per proteggere il pianeta dai cambiamenti climatici
  • Il Bezos Earth Fund riceverà i primi finanziamenti a breve. La cifra totale stimata per ridurre le emissioni è pari a 50 trilioni di dollari
  • Resta da capire se gli sforzi congiunti, avviati dal CEO di Amazon, possano funzionare

 

Ha deciso di schierarsi apertamente nel contrasto all’emergenza climatica. Complice, forse, l’allarme globale per il Covid-19, Jeff Bezos ha compreso l’importanza di un pianeta in buona salute e dell’ecosostenibilità. Così, attraverso un post su Instagram, il CEO di Amazon ha annunciato che investirà 10 miliardi di dollari nel Bezos Earth Fund per “finanziare scienziati, attivisti, ONG” e altri esperti in un’operazione coordinata.

Lo scopo è contrastare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente. Questa, forse, è la prima volta che Jeff Bezos pone l’accento così decisamente sulla sua filantropia. Preoccupato per le epidemie, per il mondo stesso in cui viviamo e che stiamo “calpestando” nel modo più sbagliato, provocando conseguenze indirette sull’umanità? Forse, piuttosto, sta cercando di dare un contributo per arginare i fattori che mettono a rischio tanto l’economia, quanto il nostro pianeta e i vari ecosistemi.

Bezos Earth Fund

U.S. Department of Homeland Security (DHS) – Naturalization Ceremony

L’idea per contrastare il cambiamento climatico

“Il cambiamento climatico è la più grande minaccia per il nostro pianeta, ha dichiarato Bezos nel post pubblicato su Instagram. “Voglio lavorare con gli altri sia per ampliare gli strumenti noti, sia per esplorare nuove modalità per contrastare il devastante impatto del cambiamento climatico sul nostro Pianeta che noi tutti condividiamo”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Today, I’m thrilled to announce I am launching the Bezos Earth Fund.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ Climate change is the biggest threat to our planet. I want to work alongside others both to amplify known ways and to explore new ways of fighting the devastating impact of climate change on this planet we all share. This global initiative will fund scientists, activists, NGOs — any effort that offers a real possibility to help preserve and protect the natural world. We can save Earth. It’s going to take collective action from big companies, small companies, nation states, global organizations, and individuals. ⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ I’m committing $10 billion to start and will begin issuing grants this summer. Earth is the one thing we all have in common — let’s protect it, together.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ – Jeff

Un post condiviso da Jeff Bezos (@jeffbezos) in data:

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Il suo capitale basterà a salvare il pianeta?

In passato, a Bezos era stato contestato un minore interessamento alle organizzazioni umanitarie o senza scopo di lucro, al contrario di altri investitori. Ironia della sorte, l’annuncio arriva in un momento di difficoltà a livello globale, che non ha tardato a risvegliare l’attenzione degli uomini più ricchi del pianeta.

Il Bezos Earth Fund dovrebbe ricevere le prime sovvenzioni durante l’estate. Inizialmente, il CEO investirà 10 miliardi di dollari, dal 7 all’8% delle sue finanze. Ma la vera domanda è: i suoi soldi possono davvero salvare il mondo dall’inquinamento?

earth day bezos

Salvare la Terra, esplorare lo spazio

Con un patrimonio netto di circa 104 miliardi di dollari, erogare una parte dei suoi proventi a scopo benefico non sarebbe un problema, viste le spese effettuate negli ultimi anni. Nell’immediato, il miliardario potrà dare un contributo significativo agli sforzi di mitigazione, adattamento e costruzione di economie resilienti. L’Earth Fund darà l’avvio alle proprie attività in 5 step.

1. Riduzione delle emissioni di carbonio

Nonostante il ritiro formale degli USA dall’accordo di Parigi, il fondo può essere utile agli sforzi per superare le sfide politiche nel favorire il passaggio verso basse emissioni di carbonio, perché gli Stati Uniti producono buona parte delle emissioni inquinanti a livello globale.

Così, Bezos avrà l’opportunità di creare un influente fondo politico per contrastare l’industria dei combustibili fossili. Rimodellare le politiche economiche per scoraggiare le emissioni di carbonio sarà cruciale per il futuro. Ma la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio dovrebbe anche garantire di essere giusta ed equa. Pertanto, una parte considerevole del fondo dovrebbe essere destinata ad aiutare le regioni in via di sviluppo a compiere questa transizione. Un’accelerazione di comune accordo sulle politiche green per la diffusione di tecnologie più pulite avrà un impatto maggiore.

2. Innovazione e tecnologia

Il fondo dovrebbe ridurre significativamente i costi e rendere disponibili le tecnologie energetiche pulite già esistenti. Dirigere gli investimenti per ricerche verso soluzioni innovative e tecnologiche, generalmente molto costose, aiuterebbe a sviluppare soluzioni o a conoscere i rischi connessi al dispiegamento di queste nuove tecnologie.

3. Nuovi modelli di business

Amazon ha affrontato un grave contraccolpo per il suo impatto sulle emissioni di carbonio e l’inquinamento causato da spedizioni, imballaggi e data center. Anche se impegnata a potenziare le sue strutture globali con energia rinnovabile al 100% entro il 2030, e a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio entro il 2040, un’azienda di queste dimensioni potrebbe fare molto altro.

L’uso di una parte del fondo per avviare una filiera green globale potrebbe contribuire alla definizione di un modello replicabile da altre aziende.

4. Mobilitare il sostegno comune

Il fondo dovrebbe investire in ricerca, analisi e risorse nei paesi che hanno ridotto gli impegni a favore del clima, e che possono aiutare a superare le sfide per raggiungere emissioni nette pari a zero.

Segnalare gli impatti locali dei cambiamenti climatici e aiutare i media a contrastare la disinformazione aiuterebbe a costruire un supporto universale per l’azione a favore il clima.

5. Infrastruttura “resiliente”

A fronte di eventi meteorologici estremi indotti dall’inquinamento, sempre più dannoso, ha senso investire una quantità considerevole nella costruzione o nell’adeguamento di infrastrutture di vario tipo. Il vantaggio della resilienza climatica è ideale per le aziende come Amazon che, ad esempio, contribuiranno a potenziare le reti logistiche per le consegne dei pacchi.

Altre spese incredibili

Come molti imprenditori miliardari, il CEO di Amazon investe costantemente in centinaia di aziende e startup, ed è stato tra i primi azionisti di Google. Nel 1998 ha investito 250mila dollari sul motore di ricerca, e oggi ne ricava milioni.

Gran parte del suo patrimonio è stato già reinvestito in Blue Origin, la società di voli spaziali per cui sono previste missioni con equipaggio. Nel 2012 ha finanziato le operazioni di recupero dei motori del razzo che nel 1969 portò l’uomo sulla Luna, inabissati nell’Oceano Atlantico.

Bezos

E per quanto riguarda la distribuzione dei fondi del Bezos Earth Fund, un’altra ipotesi su come potrebbero essere impiegati arriva da nbcnews: Bezos afferma che questa estate il denaro inizierà ad essere erogato sotto forma di sovvenzioni a scienziati, attivisti e gruppi no profit per qualsiasi sforzo che offra una reale possibilità di aiutare a preservare e proteggere il mondo naturale. È quasi una controtendenza per il miliardario, che una volta dichiarò: ‘l’unico modo in cui posso concepire la distribuzione di questa grande risorsa finanziaria è convertire i successi riportati da Amazon in viaggi nello spazio'”.

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Sforzi comuni

Non mancano anche gli imprenditori italiani che fanno sentire la propria partecipazione per gli sforzi attuati a beneficio dell’ecosistema. Brunello Cucinelli, imprenditore umbro, ha risposto a Bezos con una corrispondenza di amicizia e stima, essendo unito all’iniziativa dall’amore per la Terra e dalla volontà di fare sforzi concreti per salvarla.

AncheBill Gates, il secondo uomo più ricco al mondo, ha destinato gran parte del suo patrimonio alle iniziative di beneficenza ma, probabilmente, Bezos oggi è “primo” perché non l’aveva ancora fatto allo stesso modo.

Eppure, l’iniziativa del CEO di Amazon, per quanto largamente provvisto di capitali, non basterà da solo a contenere l’emergenza climatica. Come già avvenuto in precedenza, è con l’unione di forze e risorse condivise che si può sperare di rimediare ai danni, altrettanto pandemici, di cui l’ecosistema ci sta restituendo il conto.

abitudini di acquisto covid 19

Le nuove abitudini di acquisto degli Italiani al tempo del Coronavirus

  • Il Coronavirus ha mutato le nostre abitudini di acquisto e di intrattenimento, spostando l’asse verso il canale di accesso più semplice, internet
  • Sia nel suo aspetto ludico che informativo, quello dei contenuti multimediali è un trend oggi ancora più in crescita

 

Chiamarle “abitudini di acquisto” suona di sconfitta, tuttavia la parola corretta è proprio questa. La quarantena – spesso, ahinoi – è per alcuni una forma di vero e proprio auto-isolamento che ha mutato anche le convenzioni di approvvigionamento e di intrattenimento, spostando l’asse (già ben rodato e utilizzato) attraverso il canale di accesso più semplice e immateriale: internet e i suoi molteplici touchpoint.

Secondo l’Agenda Digitale gli operatori della filiera del commercio elettronico hanno registrato una crescita imprevista della domanda a seguito dei diversi decreti sul Coronavirus, anche da parte di consumatori non abituali, solitamente restii all’acquisto e ai pagamenti online, aumentando così il livello di difficoltà e organizzazione dell’intero sistema di logistica e consegne.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa sta cambiando.

Una ricerca di GFK fa registrare una preoccupazione crescente, soprattutto da parte delle donne. A fronte di una ovvia e necessaria riduzione della mobilità, il consumo di contenuti è cresciuto a dismisura.

La ricerca mostra inoltre che cresce l’attenzione per la cura personale e l’alimentazione intesa come strumento di benessere. Resiste la voglia di vacanze, nonostante le preoccupazioni del Coronavirus; gli italiani, infatti, continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà.

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Coronavirus e nuove abitudini di acquisto

Veniamo adesso ai dati dei dei singoli punti sopra citati, allo scopo di tirare le somme alla fine di questo approfondimento e capire come i brand dovranno agire per posizionarsi strategicamente rispetto alle nuove abitudini di acquisto.

Le donne sono più preoccupate degli uomini: se in generale gli italiani sembrano ancora preoccuparsi soprattutto per la situazione economica e per la futura difficoltà – del tutto verosimile – di uscire da questa fase difficile, il 47% delle donne intervistate dichiara di essere molto preoccupata per il diffondersi di nuove malattie (il 17% in più rispetto agli uomini).

Le donne sembrano essersi rese conto per prime della gravità della situazione, tanto da aver modificato le proprie abitudini di consumo prima dell’entrata in vigore delle misure restrittive alla circolazione, riducendo o in molti casi smettendo di frequentare centri commerciali e negozi.

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Mobilità privata

Cresce la percentuale di persone che a causa delle restrizione utilizza la propria auto privata a discapito dei mezzi di trasporto pubblico. La ricerca fa notare come tale cambiamento rischi di ripercuotersi sui futuri comportamenti e abitudini di acquisto degli italiani; infatti i mezzi di trasporto privati potrebbero essere difficili da abbandonare anche al termine dell’emergenza COVID-19.

Ciò che di conseguenza rischia di cambiare è la sensibilità degli italiani in materia di sostenibilità ambientale. Un tema che si è – fortunatamente – fatto strada negli ultimi anni, ma che a causa dell’emergenza rischia di fare diversi passi indietro.

Voglia di contenuti multimediali

Chi non ha assistito ad almeno una diretta o non ha guardato un video del proprio beniamino di turno, scagli la prima pietra. Questa frase sarebbe in grado di riassumere da sola ciò che sta succedendo sui principali social network: da Tit Tok a Instagram, i nostri profili social sono inondati di contenuti più o meno validi da masticare e deglutire tra una siesta e la preparazione di una torta. Oltre all’aspetto ludico dei contenuti multimediali va aggiunto quello dell’informazione, legato chiaramente alle notizie relative al Coronavirus, come questa che state leggendo.

Altro dato scontato è quello relativo alla crescita di iscrizione a questo o quel servizio di streaming a pagamento: Netflix, Prime Video, Disney Plus, su tutti.

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Salute e benessere

Cresce la paura e cresce in maniera quasi proporzionale la necessità di una vita all’insegna della salute e del benessere, anche in cucina: in questo periodo gli italiani stanno di più in casa e dedicano più tempo del solito all’igiene personale e alla pulizia/sanificazione della casa e dei vestiti.

Cresce anche l’attenzione all’alimentazione, intesa come strumento per stare bene, in salute – e non tanto come una concessione o una compensazione.

Vacanze

Il passaggio della pasquetta senza la tipica gita fuori porta con annesso pic-nic, ha aggiunto ulteriore valore a questo punto e incrementato la voglia di vacanze, la quale resiste alle preoccupazioni del Coronavirus. Gli italiani continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà. Una prospettiva importante, anche dal punto di vista psicologico. Il dato andrà monitorato nelle prossime settimane, ma sembra indicare che – qualora la situazione dovesse migliorare – gli italiani sono pronti a rimettersi in movimento.

Questi i punti più centrali della ricerca fatta da GFK sulle abitudini di acquisto, ma quali sono le principali categorie merceologiche che sono uscite quasi incolumi dal tornado COVID-19? Intendiamoci, molte lo sono state per forza di cose. La risposta è pressoché scontata: chi possiede un touchpoint di vendita online (leggi eCommerce).

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Le principali categorie merceologiche in crescita

Il settore Food è senza dubbio quello che ha più ha beneficiato in questo momento di difficoltà. Infatti si registra un vero e proprio boom di vendite online. Il trend è iniziato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni più colpite dal virus.

Con l’arrivo del decreto del 10 marzo – quello sul quale si indicava che tutta l’Italia sarebbe stata obbligata a restare a casa – l’impennata dell’eCommerce di beni di prima necessità ha raggiunto tutto il paese, partendo dai generi alimentari, passando per i farmaci e terminando con i prodotti per la cura della persona.

dirigente preoccupato lavoro remoto

La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti

  • Il lavoro da remoto in quarantena è una sfida per i tanti dirigenti che non erano preparati o interessati allo smart working (56%)
  • In un contesto in cui questa modalità di lavoro sembra essere qui per restare, è essenziale un cambio di paradigma, anche in ottica post-Coronavirus

 

Chi ha ruoli manageriali in azienda di questo periodo non ha certamente vita facile.

Stiamo vivendo uno dei momenti di massima incertezza che probabilmente non ha paragoni in questo secolo, con aziende fino a prima della crisi del Coronavirus in perfetta salute che ora annaspano in cerca di aria. E lo smart working “obbligato” che tutto il Paese sta affrontando, senza la giusta preparazione e pianificazione, non aiuta.

È una grande sfida per tutti, ma soprattutto per chi riveste ruoli dirigenziali. Si parla molto delle difficoltà per i dipendenti, per chi d’improvviso si ritrova a lavorare da casa e a fare i conti con i lati negativi di questa modalità (dato che quelli positivi, a causa della quarantena, è difficile percepirli). E così il web si è riempito di consigli su come sedersi in maniera corretta, come ottimizzare il tempo, come coltivare i rapporti con i colleghi anche a distanza.

Ma per i capi azienda? Soprattutto per quelli che lo smart working non è che fossero proprio in procinto di introdurlo, prima che diventasse l’unico modo per lavorare?

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Chi ha detto “smart” working?

In fondo le statistiche parlano chiaro: nel tessuto aziendale fatto di PMI del nostro Paese, prima di questa crisi, erano ancora pochi i responsabili aziendali interessati ad applicare lo smart working.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico, nel 2019 in questa categoria erano ben il 51% le aziende non interessate (con un 4% in più addirittura ignaro del fenomeno). Il motivo? Nel 23% dei casi, mancanza d’interesse e resistenza da parte dei capi.

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Sarà interessante vedere, nella prossima edizione di questo report, come saranno cambiati i dati in seguito all’introduzione del Decreto Cura Italia e a tutte le sue conseguenze.

Ma per ora i dati parlano chiaro: questa situazione è “capitata” in maniera passiva, ricadendo nella maggior parte dei casi su aziende in cui lo smart working non era minimamente nei piani; anzi era spesso considerato come qualcosa di negativo, un grosso rischio di perdita di produttività, da evitare quanto più possibile.

Come confermava Methodos, società di consulenza specializzata proprio in questo campo, nell’intervista a Ninja Marketing raccolta in questo articolo, l’introduzione dello smart working richiede tempo e sforzi deliberati, ascolto e analisi, ma soprattuto volontà di farlo con successo.

Tutti elementi che sono mancati in questo frangente, e che pare ovvio ora portino molti dipendenti che lavorano da casa a lamentare, più ancora dei mal di schiena e degli altri “disturbi” da quarantena, la mancanza di comprensione e supporto da parte dei capi.

manager lavoro remoto

Che tipo di manager vuoi essere?

Il fatto è che, volontà o meno, interesse o meno, adesso l’opinione personale sullo smart working non conta più.

Non si tratta di poche settimane, visto che la durata del lockdown è stata già raddoppiata. Né di pochi mesi, presumibilmente, visto che è già stato chiaramente spiegato che la chiave per il successo della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus si baserà anche sullo smart working.

Adesso non si tratta di fare buon viso a cattivo gioco, ma di imparare a sfruttare questa situazione per migliorare la propria azienda e per migliorarsi come manager. Tutto dipende dalla risposta a una domanda: “che tipo di dirigente vuoi essere?“.

Credo che nessuno che si trovi in posizione di responsabilità pensi a se stesso come a un carceriere, eppure è quello che più spesso finisce per risultare come opinione tra i dipendenti, specialmente per quei dirigenti che basano sul “controllo” la propria idea di successo.

Come ha spiegato Maria Vittoria Mazzarini: La chiave del successo per lo smart working è la fiducia: avere un rapporto di fiducia con i responsabili, con i team, con i dipendenti, etc. È quella la leva che fa funzionare tutto, ed è una moneta che qualcuno deve giocare per primo”. 

Il dipendente, lavorando da casa, si deve impegnare a portare a termine i compiti che gli sono assegnati e a renderne conto ai propri dirigenti. Ma dall’altra parte? Qual è l’impegno del capo nei confronti delle risorse che dirige?

Deve essere una presa di posizione basata in primis sulla volontà, su un cambio di paradigma: chi lavora non lo fa perché controllato dall’alto come in una prigione, ma perché si sente valorizzato e motivato a farlo. È chiaro che l’approccio deve essere completamente diverso, con responsabili che credono nella buona fede dei dipendenti e dei colleghi e non il contrario.

Ma non si tratta solo di “fiducia incondizionata”: ci sono metodi e strumenti che si possono, anzi, si dovrebbero utilizzare per tenere traccia del lavoro svolto e della produttività personale, anche a distanza. Non sono strumenti “coercitivi” o di controllo remoto, come quello di registrare lo schermo del computer a distanza, ma tool e approcci di project management che sono stati definiti e implementati appositamente per questo.

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Gli strumenti della fiducia nel lavoro da remoto

Una gestione dei compiti e delle attività ben definita, basata sulla verifica del raggiungimento degli obiettivi e non sul numero di ore di lavoro (che tra l’altro finiscono spesso per essere di più, quando si lavora in smart working e gli orari d’ufficio sfumano).

Utilizzare strumenti come Trello o Asana per tenere traccia delle attività poteva sembrare un simpatico escamotage all’inizio della quarantena, ma in un’ottica di mantenimento di lungo termine di questa modalità di lavoro e della produttività necessaria, diventa indispensabile.

Ed è il capo il primo a doversi fare paladino di questa modalità di lavoro, perché essa possa aver successo. Incoraggiare l’uso di questi strumenti, provandoli e mettendoli in pratica, perché è appunto lui/lei che ha la vision necessaria per sceglierli.

Allo stesso tempo, il rischio dello smart working, soprattutto se il management non lo sposa completamente, è quello di creare un senso di distanza sociale incolmabile, che finisce per rendere meno efficaci le comunicazioni e forzate le interazioni.

Compito dei dirigenti invece, anche qui, è riuscire a ricreare le dinamiche sociali dell’ufficio al di fuori di esso, grazie agli strumenti di comunicazione remota quali le videochiamate. Dinamiche che faccia a faccia possono essere spontanee, come le chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè da cui spesso nascono le migliori idee, ora dovrebbero essere introdotte volontariamente.

Non solo riunioni “produttive”, quindi. Pranzi o pause caffè social davanti alla webcam, canali di interazione libera su Slack dove si incoraggi la condivisione della vita quotidiana, comunicazioni leggere e “off-topic” sono linfa vitale per il senso di appartenenza e di partecipazione in azienda, quando queste diventano interamente dipendenti da un computer.

Esistono (quasi) più strumenti che necessità quando si parla di smart working, e se la parte difficile è trovare quelli che più si addicono alla singola realtà aziendale, la buona notizia è che sicuramente esistono. E probabilmente in questo periodo, grazie alla piattaforma Solidarietà Digitale, possono anche essere gratuiti o comunque fortemente scontati.

strumenti lavoro remoto

La vera sfida dello smart working è il post-Coronavirus

Quel che è certo è che le aziende dovranno ragionare su come rendere lo smart working uno strumento davvero efficace, e non ‘di riserva’, per non trovarsi impreparati di fronte a probabili altri periodi di isolamento, che secondo gli esperti seguiranno anche in futuro.

Per farlo, è necessario creare un’organizzazione e una cultura aziendale che non “capita”, ma che anzi si deve implementare volontariamente e consapevolmente con cambiamenti e sforzi specifici.

“La sfida futura per le aziendesecondo Simone Colombo, HR fractional ed esperto di direzione del personale in outsourcing – sarà quella di riuscire ad avere un sistema di gestione che definisca gli obiettivi per ogni area di lavoro e riesca a misurarli, ora che nella misurazione manca la variabile tempo e spazio e soprattutto non è possibile indire riunioni o verifiche quando si vuole, lasciando il lavoratore libero (ma al contempo solo) di autodeterminare la propria attività”.

È una sfida per i dipendenti, che dovranno imparare ad essere molto più autonomi e focalizzati, ricreando a casa le condizioni lavorative che li rendono efficaci in ufficio, con orari, abitudini e attività specifiche.

Ma è una sfida soprattutto per i manager e i responsabili, che si trovano praticamente costretti a rivedere il proprio stile di leadership. Continuare a fare muro contribuirà solo alla creazione di una cultura del lavoro sbagliata e controproducente, che nel lungo termine farà più danno che altro a qualsiasi organizzazione.

La chiave di volta, in questa situazione, è una sola: abbracciare il cambiamento invece di opporvisi, e trasformare questo periodo di crisi in una grande opportunità, una vera e propria scuola di management e leadership.

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Come i ristoranti possono assistere meglio i clienti nei momenti di incertezza

Questo articolo è stato scritto da Ryan OlohanManaging Director, Food, Beverage & Restaurants at Google

 

I ristoranti sono il cuore di molte comunità. Sono il luogo in cui le coppie si godono un appuntamento, le famiglie festeggiano i compleanni, i team di lavoro si riuniscono per il pranzo dopo un successo. E mentre il mondo è alle prese con il COVID-19, sia le catene che i ristoranti indipendenti si stanno rapidamente attrezzando per trovare nuovi modi di servire le loro comunità.

Ryan Olohan, Managing Director, Food, Beverage & Restaurants di Google, racconta la sua esperienza come ristoratore che sta vivendo personalmente questa crisi: “Mia moglie ed io abbiamo aperto Seven Scoops & Sips nel 2019, e doniamo una parte dei nostri guadagni a cause meritevoli. Prima di COVID-19, il negozio era pieno ogni sera perché la gente sapeva che l’acquisto di un gelato, o di un caffè aiutava a finanziare le scuole locali e i programmi sportivi, le vittime del cancro, i giovani senzatetto, i bambini bisognosi di Harlem, i villaggi del Kenya e altre cause locali e globali. La crisi è particolarmente dura perché ora tutti i finanziamenti sono stati messi in attesa fino a quando gli affari non potranno riprendere”, ha spiegato in un post su Think with Google.

La pandemia presenta sfide uniche per l’intera industry. E mentre la strada da percorrere dipende da molte variabili, ecco alcune strategie che i ristoranti stanno adottando per supportare i loro clienti in questo momento senza precedenti.

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Aiutare i clienti a pianificare

Quando l’incertezza è al primo posto, la gente cerca informazioni di cui può fidarsi. Questo è ancora più evidente quando si tratta di opzioni alimentari accessibili e disponibili nelle vicinanze. L’interesse per la ricerca “Take away” è aumentato del 285% dall’inizio di marzo. Essere lì per aiutare le persone a vivere in questa nuova normalità con informazioni aggiornate e pertinenti può fare la differenza.

Comunicare in modo proattivo i cambiamenti che riguardano il proprio ristorante attraverso i canali a contatto con i clienti è fondamentale per aiutare le persone a pianificare e a prepararsi. Aggiornare il profilo aziendale su Google è un modo per farlo. Gli aggiornamenti sul profilo e sulla posizione, come le modifiche degli orari del ristorante, comprese le chiusure temporanee o gli orari modificati, appariranno anche su Google Search e Google Maps. E, in un momento in cui le persone stanno valutando ciò che meglio si adatta alle loro esigenze, fornire informazioni puntuali (ad esempio se si sta offrendo servizio da asporto o la consegna a domicilio) è un modo per aiutare gli utenti a decidere cosa è giusto per loro.

LEGGI ANCHE: COVID-19: come gestire la chiusura temporanea delle schede di Google My Business

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Comunicare efficacemente le soluzioni di asporto e consegna a domicilio

Negli ultimi cinque anni, le attività che troviamo nella ricerca“ristoranti vicino a me” sono stati costantemente classificati come la ricerca “vicino a me” più popolare. Ma il comportamento dei consumatori è cambiato. L’attenzione si è spostata su soluzioni alternative per i pasti. Nelle ultime tre settimane è stato registrato un aumento dell’interesse dei consumatori per la “consegna” come risultato delle campagne di distanziamento sociale; l’interesse della ricerca per le domande relative alla “consegna del cibo” è aumentato del 100%.

ristoranti su google coronavirus

Fonte: Google Trends, Stati Uniti, 1 marzo 2020-24 marzo 2020

Informare le persone sulle alternative a loro disposizione per i pasti aiuta i clienti e i dipendenti a rimanere al sicuro durante i periodi di lockdown. E soluzioni come le campagne locali possono aiutare a personalizzare la comunicazione del ristorante in modo da includere solo le località in cui si offrono le opzioni di consegna a domicilio.

Rassicurare sulla sicurezza dei ristoranti e sulle misure igienico-sanitarie

Oggi più che mai, quando si sceglie dove e cosa mangiare, la sicurezza è fondamentale. Infatti, l’interesse per la ricerca di “è sicura la consegna degli alimenti” è aumentato del 650% negli Stati Uniti dall’inizio di marzo. Rassicurare i clienti che capiscono le preoccupazioni per la sicurezza e che stanno prendendo misure importanti per affrontare la situazione attuale è fondamentale.

ristoranti covid-19Queste azioni includono la condivisione degli aggiornamenti sulle nuove implementazioni, come ad esempio l’istituzione di un team dedicato per concentrarsi sulla sicurezza alimentare. Altri esempi possono includere l’applicazione di procedure di pulizia più rigorose, l’aumento della frequenza del lavaggio delle mani tra il personale e l’aggiornamento dei materiali di formazione per i dipendenti.

Inoltre, comunicare la propria politica di congedo per malattia dei dipendenti o affrontare il problema delle assenze per malattia è un altro modo per mostrare come si sta riducendo al minimo la possibilità di mettere a rischio i lavoratori e i clienti.

In questo periodo difficile, l’ultima cosa di cui la gente vuole preoccuparsi sono le opzioni per i pasti. Alleviando queste preoccupazioni con comunicazioni pertinenti e scelte sicure e convenienti, si fornisce una forma di assistenza che tutti ricorderanno e apprezzeranno.

ecommmerce

Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

  • Il lockdown sta cambiando notevolmente le abitudini dei consumatori
  • La spesa nella GDO e la preferenza per gli acquisti eCommerce rispecchiano queste nuovi abitudini domestiche
  • Mentre l’Italia chiude, secondo le statistiche, esplodono gli eCommerce

 

Le misure imposte per arginare il diffondersi dell’epidemia da Coronavirus stanno cambiando profondamente le abitudini dei consumatori. Esercizi commerciali chiusi, smart working, quarantene forzate costringono le persone a condurre una vita molto più casalinga e gli effetti si leggono immediatamente sugli acquisti.

Cosa possiamo dire riguardo all’andamento delle vendite della GDO e degli eCommerce tra fine febbraio ed inizio aprile 2020? 

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ecommerce

La spesa nella GDO rispecchia le nuove abitudini domestiche

Secondo una ricerca di Nielsen le vendite della GDO hanno avuto un’impennata a partire dalla settimana tra lunedì 17 e domenica 23 febbraio, in particolare nei supermercati (+8,69%), negli ipermercati (+8,61%) e nei discount (+8,28%) del Nord Italia. Gli acquisti sono aumentati per via di due effetti: lo “stock”, che ha portato all’aumento degli acquisti di prodotti alimentari a lunga conservazione, quali riso (+33%), pasta (+25%), sughi e salse (+19%) e “prevenzione e salute”, che ha portato all’aumento delle vendite delle categorie della cura persona, come il comparto parafarmaceutico (+112%) e quello dell’igiene personale (+15%).

Nelle nostre rilevazioni – ha affermato Romolo de Camillis, di Nielsen Connect Italiasi può leggere l’apprensione per l’eventualità di una quarantena.

Durante le due settimane successive la crescita è dilagata anche al Sud, sempre trainata dai due effetti citati in precedenza, a cui se n’è aggiunto uno nuovo: #Restoacasa. Tra gli ingredienti base più acquistati si sono aggiunti il latte e la farina, mentre nel comparto surgelati, impanati, pesce e vegetali. In termini di valore assoluto sono i prodotti da forno a riscontrare una maggiore crescita, in particolare pasticceria e biscotti. Registrano una forte crescita anche l’acqua in bottiglia, la carta igienica, il sapone, la candeggina, le salviettine umidificate e i detergenti per le superfici. 

A seguito delle nuove misure restrittive, prese dal governo l’8 Marzo 2020, le vendite della GDO sono letteralmente esplose: la crescita di queste settimane risponde alla nuova esigenza di consumare i pasti esclusivamente in casa. Come nella settimana precedente, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+28,4%), seguito da Nord Est (+18,6 %) e Centro (16,8%). In particolare, il trend positivo si registra nei liberi servizi (+46,3%), nei supermercati (+30,4%) e nei discount (+22,5%).

Anche le vendite di prodotti ideali per un aperitivo home-made crescono, come mozzarelle (+43,4%), affettati (+32,4%), patatine (+31,3%), birre (+13,8%), ma anche di quelli che potremmo considerare “comfort food”, come creme spalmabili (+57,7%), pizza surgelata (+54,3%) e barrette di cioccolato (+21,9%). Sono tanti gli amici, i fidanzati, i colleghi, che nel primo weekend dopo la stretta si sono organizzati per vincere i momenti di noia e solitudine, tramite aperitivi e cene virtuali. Al contrario, il Cash & Carry ha subito un calo molto forte (-44,7%) e probabilmente questo andamento si protrarrà fino alla fine della quarantena, quando verranno riaperti bar e servizi di ristorazione. 

Ricerche prodotti di consumo coronavirus

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Durante la quinta e la sesta settimana (tra il 16 marzo e il 29 marzo), le vendite della Grande Distribuzione Organizzata continuano a crescere, ma in modo più contenuto, probabilmente a causa delle nuove procedure d’ingresso nei negozi e quelle relative allo spostamento (che può avvenire solo all’interno del comune di residenza). Secondo l’osservatorio Lockdown di Nomisma si prediligono ordini online, negozi di vicinato e prodotti a km zero, ma a differenza delle settimane precedenti è il Nord Est a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+8,9%).

Le categorie di prodotti maggiormente acquistate sono sempre legate ai tre “effetti” identificati da Nielsen: lo “stock” (farina, uova, zucchero, latte, burro, caffè, pasta, sughi e biscotti), la “prevenzione” (guanti, detergenti per le superfici, candeggina, sapone, termometri) e “resto a casa” (pizze surgelate, affettati, mozzarella, patatine, vino e gelato). In questo periodo aumenta la gente che si dedica alla preparazione di panificati e dolci in casa. Tutt’ora le vendite della GDO sono stabili, ma vista la proroga della quarantena fino al 3 Maggio, si pensa che ci sarà un nuovo incremento negli acquisti.

Mentre l’Italia chiude, esplodono gli eCommerce

In tutto questo caos, visti i moltissimi esercizi commerciali chiusi, le restrizioni all’entrata dei negozi aperti e la paura del contagio, moltissime persone hanno deciso di rivolgersi agli eCommerce per soddisfare i propri bisogni. Il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online è notevolmente cresciuto, passando da un 81,0% (rilevato da Nielsen tra lunedì 24 febbraio a domenica 1 marzo) ad un +162,1% (rilevato tra lunedì 23 a domenica 29 marzo). Da un’indagine di Netcomm, infatti, il 77% delle aziende che vende online nei diversi settori ha dichiarato di aver acquisito nuovi clienti, a dimostrazione che la crisi ha portato diversi consumatori ad avvicinarsi per la prima volta agli acquisti online. Secondo Romolo de Camillis, questa ascesa «rispecchia l’esigenza di evitare lunghi tragitti casa-negozio, nonché di evitare code e assembramenti».

Se si vanno a guardare bene i dati, però, il trend non è totalmente positivo: il boom negli acquisti online c’è stato, ma riguarda principalmente i beni di prima necessità.

Il trend di crescita riscontrato tra fine febbraio e inizio marzo, esattamente come quello del retail tradizionale, ha poi subito un lieve rallentamento: per molti player, sia B2B che B2C, il fattore determinante del calo è stato il decreto emanato il 22 marzo 2020, che ha applicato nuove restrizioni per limitare la diffusione del Coronavirus, ovvero il divieto di vendita dei prodotti non essenziali ed il conseguente ritardo o blocco dei sistemi di trasporto.

Attualmente, guardando i dati aggiornati delle spedizioni rilasciate da Qaplà, la situazione italiana per la logistica del commercio elettronico sembra abbastanza fluida: qualche corriere è in crisi, a causa delle filiali chiuse (in particolare nel Nord Italia) o degli scioperi degli spedizionieri che hanno paura ad andare a ritirare le merci nelle zone più colpite dal virus, ma molti altri stanno lavorando al meglio delle proprie risorse per garantire il flusso della distribuzione. Secondo l’indagine dell’Osservatorio Netcomm datata 31 marzo 2020, la percentuale di merchant che hanno riscontrato un problema nelle spedizioni (su 150 intervistati) è solo del 39,33%, ma un buon 80% non esclude di poter avere difficoltà nei prossimi mesi. 

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Andamento delle vendite online a seconda del settore

Analizzando i dati di Qaplà, a Marzo 2020 è stato evidenziato un netto miglioramento nel volume delle spedizioni totali, ma andando ad analizzare lo spaccato dei singoli settori ci si rende conto che le performance non sono per tutti uguali, anzi. 

Settori in crescita: spesa online, pharma, articoli sportivi e bricolage

La categoria che ha fatto segnare numeri da record, in particolare nei primi giorni di Marzo, è quella della spesa online. Tuttavia, nel giro di una decina di giorni il sistema ha fatto crash: nessun player era organizzato per far fronte a una domanda esplosa da un giorno all’altro. Il risultato è stato che molti siti erano diventati lentissimi, o addirittura inusabili, come quello di Carrefour, che bloccava la navigazione ogni qual volta si tentava di inserire un prodotto nel carrello, oppure chiedeva all’utente di rientrare a mezzanotte a saldare il conto della spesa. Altri player, come Iper ed Esselunga, invece, non sono riusciti a reggere il carico della logistica, facendo slittare la consegna di intere settimane.

Ecco quindi, che nelle ultime due settimane, alcune realtà si sono ingegnate per trovare delle soluzioni alternative: alcune realtà locali si sono impegnate nelle consegne a domicilio, magari approfittando della soluzione offerta da Nexi “Pay-by-link”, che consente di incassare l’importo dell’acquirente a distanza, tramite l’uso di un link. Anche molti eCommerce hanno ideato nuovi servizi, ad esempio Carrefour ha da poco lanciato “gli essenziali“, dei cesti precostituiti con alimenti in scatola, prodotti per la casa e per la cura della persona che vengono consegnati entro 4-5 giorni dall’ordine, in tutta Italia.

Trend ricerche spesa online coronavirus
Un altro settore destinato a una crescita esponenziale è quello delle farmacie online: secondo Qapla’ nella seconda metà di Marzo c’è stato un incremento degli ordini del +54%, rispetto allo stesso periodo del mese precedente, mentre Adabra ha registrato un 37% di fatturato in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia, anche in questo settore mostra un andamento simile a quello dei supermercati: un boom di vendite nelle prime settimane, che si è poi lentamente assestato su livelli tradizionali.

I dati positivi registrati tra fine febbraio ed inizio marzo sono stati trainati dalla ricerca di prodotti legati al COVID-19, ovvero i detergenti per le mani, le mascherine, i guanti ed i termometri (secondo IQVIA e Pharmacy Scanner +455%), di fatto introvabili nelle farmacie locali e nei supermercati. Durante il corso delle settimane c’è anche stato un incremento di ricerche anche per i termometri e per i pulsossimetri, ovvero strumenti utili per misurare la temperatura e l’ossigenazione del sangue, ma anche di vitamina C, causata da una fake news fatta circolare sui social network e ripostata da Belen Rodriguez.

Trend ricerca farmacie coronavirus

Dopo che Conte ha decretato il lockdown, l’attenzione degli utenti si è concentrata su altre due categorie di negozi online: eCommerce specializzati nella vendita di attrezzature per l’home fitness e del bricolage. Gli articoli sportivi sono molto ricercati e acquistati, in particolare da quando è stato vietato di passeggiare e correre all’aperto: fare sport tra le mura domestiche è diventata una vera e propria ossessione, sia per questioni di forma fisica, che per scaricare lo stress del momento.

E sicuramente l’offerta di video, app e tutorial messi a disposizione dagli influencer e dai personal trainer, ha notevolmente incrementato le vendite di questi prodotti, che secondo Adabra si aggira attorno ad un +48% di fatturato rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i negozi di bricolage, invece, se inizialmente la vendita è stata trainata dalla ricerca di mascherine ffp2 e ffp3, non sono mancati gli acquisti di vernici, utensili e materiali per i piccoli lavori di casa; secondo una ricerca di ManoMano e YouGov sulle nuove abitudini degli italiani, infatti, risulta che 4 persone su 10, in particolare di sesso maschile, durante la quarantena si sta dedicando ai piccoli lavori di manutenzione domestici.

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Rimangono alte anche le visite ai siti di elettronica di consumo, di giocattoli e di pet care. La necessità di seguire le lezioni e lavorare da remoto, ha incrementato l’acquisto di accessori quali webcam, monitor, cuffie e microfoni. Inoltre, la raccomandazione di evitare di toccare superfici condivise e di tenere puliti gli ambienti di casa, ha favorito le vendite di robot aspirapolvere, di dispositivi smart home.

Al contrario, secondo GfK hanno subito una decrescita prodotti quali smartphone (-6,7%), TV (-10,2%), macchine del caffè (17,4%), stampanti (-27%), condizionatori (-27,4%) e asciugatrici (-31,4%). E mentre i genitori lavorano, i bambini hanno bisogno di distrazioni, di conseguenza non sono mancate le impennate alle visite degli store di giochi e giocattoli; molti di essi però, purtroppo, rimangono chiusi fino a nuova ordinanza. Oltre i bambini, anche gli animali domestici in questo periodo reclamano le dovute attenzioni: il trend delle visite dei negozi di “pet care” è stabile, mentre gli ordini di cibo, integratori e peluche, secondo Qaplà, sono aumentati del 100% nel giro di un mese.

Ovviamente, in tutto questo periodo i marketplace sono rimasti il punto di riferimento per tutti gli italiani, in particolare Amazon ed Ebay. Inutile dire che, anche qui, i prodotti più cercati in assoluto sono state le mascherine e l’amuchina, il termometro ed il saturimetro. Nella top ten compaiono anche libri, accessori per bambini, il Risiko ed il Kindle. Anche l’acquisto su Amazon ha subito una lieve battuta d’arresto: secondo quanto riportato da Bloomberg, anche il grande colosso è rimasto spiazzato dall’enorme aumento delle domanda a livello globale e dal 21 Marzo, ha dovuto prendere la decisione di dare la priorità di consegna ai beni di prima necessità, appartenenti alle categorie della salute e degli alimenti. 

Settori in calo: fashion, lifestyle e travel

Secondo il Consorzio Netcomm, l’emergenza sanitaria ha causato un calo delle vendite degli eCommerce dell’abbigliamento, dell’arredamento e delle calzature. Nonostante le grandi catene di abbigliamento abbiano incentivano gli acquisti online con sconti e promozioni dedicate, il mercato sembra aver subito un calo pari all’84,62%. I motivi di questa tendenza potrebbero essere due.

In primis, alla preoccupazione e all’ansia dovuta alla pandemia in corso, si aggiungono i timori per le conseguenze economiche derivate dal lockdown. Nella nostra testa non c’è più spazio per sfizi ed acquisti accessori, ma solo per beni di prima necessità o articoli particolarmente scontati. A questo, si aggiungono i problemi legati all’operatività e alla logistica: ordinare senza sapere quando si riceverà la merce è un deterrente per molti consumatori. Il mondo del lusso, invece, ha deciso di convertire la propria produzione in strumenti di protezione individuale: sono molti i famosi brand di moda che hanno deciso di impegnarsi in questa causa: da Mango a Gucci, da Dior ad Armani.

Ma il settore che soffre di più in assoluto in termini di vendite online ed offline, è sicuramente quello del turismo. Arrivano a ritmo accelerato in questo periodo, cancellazioni e disdette in tutta Italia, mettendo in ginocchio il mercato. Secondo la rilevazione, realizzata dall’Istituto Demoskopika lo scorso 11 marzo, sarebbero almeno 14 milioni i cittadini che, al netto di una ulteriore proroga dei provvedimenti restrittivi, avrebbero già deciso di non trascorrere l’estate 2020 sotto l’ombrellone: un tasso che si ripercuoterebbe sul sistema turistico con una perdita di circa 5,8 miliardi di euro a cui si aggiungerebbero 3 miliardi, già calcolati per le festività pasquali.

Valori negativi anche per l’incoming turistico italiano, che potrebbe provocare una perdita di circa 15 milioni di turisti stranieri. Questi numeri trovano conferma nelle percentuali di prenotazione rilevate nel report di Darwin, che si assestano attorno al -84% per i viaggi organizzati, -80% per i voli, -73% per i trasporti e -67% per le strutture ricettive. D’altronde “del doman non v’è certezza”: nessuno sa se, come e quando la vita potrà tornare alla normalità

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Cosa aspettarsi dal prossimo futuro degli eCommerce?

Gli sviluppi dipendono sicuramente da più fattori. È probabile che per alcuni settori aumenti ancora la portata degli ordini, per via dell’esaurimento delle scorte in casa. Inoltre, dal momento in cui assisteremo alla riapertura dei punti vendita e le persone potranno tornare a circolare, con le dovute precauzioni per la tutela della salute, il ruolo del commercio online diventerà ancora più importante: molti preferiranno acquistare online, piuttosto che stare ore ed ore in fila al negozio o correre rischi per la propria salute. Perciò, i proprietari di eCommerce, dovranno rimboccarsi le maniche, per tenere sotto controllo tutta la filiera distributiva ed evitare intoppi nella fruizione del portale e nelle consegne.

Secondo la mia opinione, gli aspetti che devono e dovranno essere necessariamente tenuti sotto controllo sono: la comunicazione tempestiva degli aggiornamenti, l’usabilità del sito, la quantità di merci in magazzino, i prezzi e la scontistica, l’assistenza al cliente 24h e la garanzia di consegna. Se le reti di distribuzione continueranno a funzionare fluidamente durante le prossime settimane non dovrebbero presentarsi grossi problemi, ad eccezione della difficoltà dell’approvvigionamento: è un dato di fatto che già ora, in molti magazzini, la disponibilità di alcune merci è terminata e non sarà facile riassortirla nel breve periodo.

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Per alcuni settori sarà comunque necessario tenere conto che il fattore economico potrebbe impattare negativamente: molte aziende, che sono state costrette a rimanere chiuse, subendo ingenti perdite ai profitti, non saranno in grado di pagare i propri dipendenti, e a ciò si aggiungerà un tasso di disoccupazione molto elevato.

Questa preoccupazione è resa nota da una ricerca di SWG del 19 marzo scorso: il 53% degli intervistati teme che “la propria azienda o attività possa subire delle conseguenze” mentre il 44% ha paura di poter perdere il lavoro a causa di questa crisi. Sicuramente il potere di spesa di molti consumatori potrebbe essere notevolmente ridotto rispetto a prima. Purtroppo, avere il negozio migliore del mondo o le campagne di marketing più avvincenti potrebbe servire a poco, se le persone non avranno la possibilità di acquistare.

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Post-covid: l’emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro

  • Nel post-covid ci sarà un sistema che cambierà per non morire, così come questa emergenza ha generato milioni di lavori flessibili.
  • Alla contrazione della domanda di servizi si contrapporrà, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

 

“Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare” sono le parole che ruberei a Fiorella Mannoia per descrivere il presente che si trasforma. Non solo nella testa o nel cuore. C’è un sistema che cambierà per non morire, dalla necessità all’abitudine. Così come questa emergenza Covid ha generato, sta generando e genererà milioni di lavori flessibili.

Oggi 9 su 10 freelancer su un campione esteso intervistato dalla piattaforma di business data Statista, dichiara aspettative crescenti di riduzione delle attività.

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Una contrazione della domanda di servizi a cui si contrapporrà nel post-covid, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

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Come è cambiato il nostro quotidiano (e cosa ci porteremo nel post-covid)

È bastato questo periodo di vacanze pasquali per i nostri ragazzi a farci scoprire quanto sia difficile lo smart working con un figlio completamente libero dalle call di Zoom della scuola e farci rimpiangere la colf appena licenziata e le babysitter last minute che popolano le rubriche telefoniche di tutte le mamme.

Due giorni fa un caro amico mi ha chiesto come sopperire ai mancati ricavi della sua attività ora che i clienti non entrano più in negozio per provare la vista e comprare un paio di occhiali. Nella stessa giornata, in una chat di scuola, alcuni genitori si lamentavano perché temono che il figlio ricomincerà a prendere brutti voti, non potendo più frequentare le ripetizioni . E per finire immagino, dal taglio improbabile di capelli che ho inflitto a me stesso e ho visto nelle video call di questi giorni, come sia in difficoltà il gentil sesso che non può accedere al proprio parrucchiere per un taglio e una piega.

In questi giorni ho provato ad aiutare queste persone e son partito da tre considerazioni prima di dar loro un consiglio.

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Prima considerazione

Le abitudini in questo momento sono alterate dallo stravolgimento di un’emergenza planetaria che ha imposto un regime di quarantena. Aziende e lavoratori non erano preparati e devono da oggi prendere in seria considerazione di sviluppare un “gruppo di continuità” a protezione della capacità di sostentamento in casi di emergenza (al di là di ammortizzatori sociali).

Al mio amico ottico, che aveva un cospicuo seguito nei social ho consigliato di dare un occhiata ad uno dei tanti sistemi di dropshipping che mettono a disposizione i prodotti più disparati da vendere alla propria community senza possedere in magazzino le merci. Magari dando un occhio ai prodotti da mettere in vetrina del suo eCommerce in questo periodo prima di aprirlo. E quando riaprirà la sua ottica, perché non continuare a vendere anche la nuova linea di prodotti scelti in queste settimane!

Non sarà diverso per chi vende servizi, per loro i portali non mancano, nati da tempo grazie al fenomeno noto come Nomadismo digitale ed ora meta di iscrizione anche da parte di freelancer rimasti a bocca asciutta.

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Seconda Considerazione

Quando la marea si ritrarrà rimarranno sulla spiaggia abitudini, bisogni e professioni nuove con una trasformazione dei vecchi modelli che mixeranno le soluzioni tampone adottate in tempo di Covid a quelle più tradizionali a cui la natura umana è più propensa.

In ogni caso se saremo costretti, o sceglieremo di lavorare in regime di smart working da casa, con figli piccoli da gestire, sarà utile sapere che ora le babysitter operano pure a distanza ed organizzano challenge digitali per i più piccoli. O se un figlio doveva scegliere tra gli allenamenti o le ripetizioni di matematica perché i trasferimenti dal docente al campo da gioco non consentivano di incastrare i due appuntamenti nello stesso pomeriggio, non è più necessario. Stanno letteralmente decollando i docenti a distanza, sono più di 23.000 e funzionano alla grande stando ai commenti degli utenti.

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Terza considerazione

Da ultimo, se non si può velocemente passare a vendere on-line per qualsiasi motivo, forse si riesce almeno a prendersi cura dei clienti distribuendo forme di customer loyalty o coupon che accelerino il graduale ritorno alla normalità senza lasciare sul terreno i vecchi clienti attratti, sotto quarantena, dal vicino di saracinesca.

Sicuramente al fianco di forme di aggregazione che spingono frotte di signore a ritrovarsi in un salone di bellezza si svilupperà<strong> il servizio a domicilio. Sarà il lascito di questa pandemia, un’abitudine con cui le persone stanno prendendo confidenza con le provviste alimentari del bottegaio di fiducia. Fioriranno quindi portali come quello a cui ho consigliato la mia enoteca di fiducia di iscriversi.

Mentre ad un ristoratore dei vicoli di Genova ho fatto scoprire promettoditornare.it, il portale che aiuta i locali – settore particolarmente colpito da questa serrata – consentendogli di vendere dei coupon da riscattare appena la reclusione finirà. Un modo intelligente per ripartire e per chiamare a raccolta i tuoi clienti più cari.

Sempre che non possa accedere alle cucine del suo locale per cui il neonato RistoaCasa è portale ottimo e gratuito, al di fuori del circuito dei blasonati delivery, per servire piatti a domicilio.

Come sarà il post-Covid?

Nessuno può dirlo ma di una cosa sono certo, nel post-covid il livello di alfabetizzazione digitale del Paese sarà migliorato di molto aprendo le porte all’intraprendenza di molte professionalità che hanno scoperto nuovi lavori e un nuovo modo di vivere lavorando.

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Per capire chi è il Chief Digital Officer bisogna partire da un presupposto: negli ultimi anni è emerso un interrogativo comune tra i manager di PMI, istituzioni pubbliche o grandi aziende: “in che modo possiamo affrontare il cambiamento imposto dal digitale?”.

Rispondere in modo efficace a questa domanda presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che deve essere guidato da una figura professionale capace di:

  • comprendere lo scenario del cambiamento in atto;
  • attuare un framework di transizione verso il digitale in grado di porre al centro le persone prima ancora delle tecnologie.

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La trasformazione digitale

Per quanto riguarda il primo aspetto, il processo di convergenza tra tecnologie e piattaforme digitali ha contribuito a cambiare radicalmente le esperienze quotidiane di ciascuno di noi, sia nella vita privata che sul lavoro. Oggi il rapporto tra ecosistema digitale e mondo imprenditoriale è caratterizzato da due fattori critici sui quali occorre lavorare:

  • da una parte troviamo le aziende. Molte delle innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie contribuiscono a erodere quote di mercato consolidate in decenni di attività, se non addirittura a sfaldare modelli di business diventati rapidamente obsoleti perché non sono in grado di sostenere le rapide accelerazioni imposte sul mercato dal digitale;
  • dall’altro lato troviamo i professionisti, e in particolare le figure di middle e top management che sono chiamate a un urgente upskilling o reskilling in ambito digitale delle proprie competenze; azione indispensabile per non restare esclusi dalla competizione sul mercato del lavoro.

Upskilling nel mondo digitale

La trasformazione digitale alla quale ci troviamo di fronte determina una forte riduzione dei tempi di adozione delle innovazioni tecnologiche, che oggi tendono a raggiungere in tempi rapidi ampie quote di mercato, per poi decrescere altrettanto rapidamente sotto la spinta di prodotti/servizi aggiornati e, per questo, più competitivi.

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  • perché la tecnologia ci impone un nuovo mindset digital first;
  • dove stiamo andando e come stanno cambiando i modelli organizzativi e di business;
  • le aree di intervento del Chief Digital Officer in azienda;
  • quali sono gli step fondamentali per guidare il processo di Digital Transformation.

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corporate social responsibility

Il Coronavirus sta mettendo alla prova la Corporate Social Responsibility (e il risultato è sorprendente)

  • Dalle misure rivolte ai dipendenti, alle raccolte fondi, sino alle riconversioni, la Corporate Social Responsibility si esprime in tanti modi al tempo del Coronavirus
  • Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari quando il management sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.

 

Sono molte le aziende che si stanno impegnando socialmente per far fronte all’emergenza COVID-19. Un senso di responsabilità che si è inizialmente espresso grazie allo smart working, come soluzione per le imprese impiegate nel settore dei servizi. Anche molte compagnie che non avevano mai previsto il lavoro da casa si sono adoperate per garantire la salute e il benessere dei propri dipendenti.

Altri hanno optato per non chiudere il luogo di lavoro, prevedendo però una quotidiana sanificazione degli impianti, una turnazione del personale per rispettare le distanze di sicurezza e l’acquisto di prodotti per la protezione individuale.

Numerosi gli aiuti economici arrivati da parte delle aziende e degli stessi imprenditori e manager, in favore di ospedali, Croce Rossa e Protezione Civile. La maggior parte di queste offerte sono state utilizzate per comprare macchinari o per riadattare le strutture all’emergenza.

Non dimentichiamo che alcune fabbriche hanno deciso di interrompere la produzione di beni non necessari per cambiare o accelerare la produzione di materiali essenziali per contrastare il virus.

E il modo in cui le grandi aziende stanno rispondendo a questa crisi è un momento determinante che sarà ricordato per decenni.

Se da anni si parla ormai di come le aziende debbano avere uno scopo sociale e rispondere a un insieme di valori, o di quanto abbiano a cuore i loro dipendenti e gli altri stakeholder, ora è il momento di portare avanti questo impegno. Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari solo quando vedono il management prendere una decisione che sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.

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Gli esempi più significativi di Corporate Social Responsibility

Moda

Gucci invita tutti i suoi follower a diventare #GucciCommunty, dando un contributo economico per combattere la situazione di crisi che stiamo affrontando, attraverso due campagne di crowdfunding.

Una dedicata al nostro paese, a sostegno della Protezione Civileper sostenere il servizio sanitario italiano e la creazione di nuovi posti letto nelle terapie intensive”. È possibile partecipare alla raccolta fondi attraverso la piattaforma di Intesa SanPaolo ForFunding o tramite la story salvata sul profilo Instagram del brand.

L’altra campagna esorta a fare una donazione al Fondo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sempre grazie alla funzione “donate” nella IG Stories del canale www.instagram.com/Gucci.

Al momento del lancio, Gucci ha devoluto 1 milione di euro in favore della campagna per l’Italia e un altro milione al COVID-19 Solidarietà Response Fund della fondazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo finale è di arrivare a raccogliere 10 milioni per entrambi i progetti. Facebook si impegnerà a doppiare la cifra complessiva delle donazioni.

L’iniziativa fa seguito al progetto del gruppo Kering (di cui Gucci fa parte), ossia produrre oltre 1 milione di maschere e camici per il personale sanitario, in risposta all’appello della regione toscana.

Questa pandemia ci chiama a un compito inaspettato, ma è una chiamata alla quale rispondiamo con decisione, supportando il lavoro straordinario del personale sanitario, dei medici e degli infermieri che sono ogni giorno in prima linea nella lotta contro l’epidemia di Covid-19, in Italia e nel resto del mondo. Sostenendoci a vicenda saremo in grado di superare questa crisi: uniti, ancora più di prima.

Queste le parole di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, e Marco Bizzarri, Presidente e CEO.

Bizzarri, inoltre, ha donato 100 mila euro a favore dell’azienda sanitaria di Reggio Emilia, sua città d’origine.

Giorgio Armani è stato il primo a riconoscere la gravità del problema, decidendo di sfilare a porte chiuse. In principio con aiuti in favore della Protezione Civile e degli ospedali di Milano, Roma, Bergamo, Piacenza e Versilia, per un valore complessivo di 2 milioni di euro. A partire dal 26 marzo tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. È così che lo stilista piacentino decide di rimane vicino al nostro paese.

Moncler ha offerto 10 milioni per mettere in moto il progetto promosso dalla Regione Lombardia. Realizzare un polo ospedaliero con 400 posti di rianimazione nell’ex Fiera di Milano.

Milano è una città che ha regalato a tutti noi un presente straordinario. Non possiamo e non vogliamo abbandonarla. È un dovere di tutti restituire alla città ciò che fino ad ora ci ha dato.

Pronuncia con orgoglio Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato dell’azienda tessile.

In tanti hanno elargito ingenti somme di denaro e convertito la produzione delle loro fabbriche in materiali essenziali per contrastare il virus. Dalle mascherine, ai camici, fino agli igienizzanti per le mani. Valentino, Versace, Trussardi, Dolce & Gabbana, Bulgari, Prada, Gruppo Miroglio, Geox, Calzendonia e The Ferragnez, solo per citarne alcuni.

C’è chi come Trussardi ha deciso di destinare anche il 100% dei ricavi dell’eCommerce all’acquisto di respiratori e ventilatori polmonari.

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Auto e trasporti

FCA e Ferrari, insieme a Marelli, metteranno i loro impianti e dipendenti a disposizione di Siare Engineering International, leader nella progettazione e produzione di apparecchiature medicali a livello mondiale.

L’obiettivo è la fabbricazione di nuovi respiratori polmonari per i pazienti.

Pirelli, grazie alla collaborazione con China Construction Bank, ha deciso di donare 65 ventilatori per la terapia intensiva, 5.000 tute protettive per chi lavora negli ospedali e 20.000 mascherine alla Lombardia.

In un momento di così grande difficoltà, vogliamo stare vicini alla nostra regione e al nostro paese. Dobbiamo dunque ringraziare tutti i nostri partner che ci hanno aiutati in questa iniziativa, per supportare il sistema sanitario in modo rapido ed efficace.

Spiega Marco Tronchetti Provera, CEO della società.

Il gruppo Aponte segue le orme della Gnv Splendid, ovvero la “nave ospedale” ferma a Genova, offrendo la disponibilità di stazionare al porto di Palermo una nave MSC. Un piano B per la quarantena di coloro che risultano positivi al tampone o per i casi confermati di COVID-19.

Settore farmaceutico

La Bayer dona 1 milione di euro agli ospedali della Lombardia per acquistare macchinari per la terapia intensiva.

Menarini ha prodotto tonnellate di gel disinfettante da offrire agli ospedali.

La Roche si impegna a fornire gratuitamente il suo farmaco contro l’artrite, per il tempo necessario e a tutte le Regioni che lo richiedono. Infatti secondo la comunità scientifica questo prodotto sembra migliorare la capacità respiratoria nei pazienti positivi al virus.

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Intrattenimento

C’è un tempo per ogni cosa, e questo per tutti è il tempo per restare a casa, per essere responsabili, per proteggere noi stessi, i nostri cari, le persone più deboli, il Paese.

Queste sono le prime parole del comunicato stampa di Sky del 17 marzo.

L’emittente mostra la sua vicinanza agli italiani e il suo incoraggiamento a stare in casa tramite una programmazione aperta a tutti gli abbonati (nessun limite di pacchetto), senza costi aggiuntivi e lancia una campagna di raccolta fondi per sostenere la Protezione Civile.

Per ora non si sa con certezza fino a quando l’offerta rimarrà valida, l’unico aggiornamento è che dal 4 aprile ci saranno due nuovi canali creati ad hoc. Sky Cinema IoRestoACasa 1, con film per tutta la famiglia e Sky Cinema IoRestoACasa 2, indirizzato a un pubblico più adulto.

Infinity, la piattaforma streaming on demand del Gruppo Mediaset, offre due mesi gratuiti per provare il servizio.

MYmovies mette a disposizione (fino al 5 aprile e a costo zero) 50 film da visionare tramite la prenotazione di posti digitali nelle sale web.

Settore bancario

Il presidente di Intesa SanPaolo annuncia:

In un momento così difficile per l’Italia, destiniamo alla ricerca sul Covid-19 un milione di euro, una misura che si aggiunge alle donazioni alla sanità nazionale, al sostegno economico a privati e imprese, a iniziative di raccolta fondi per progetti meritori.

Insieme ce la faremo!” è lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, ha presentato l’iniziativa che si è tenuta il 19 marzo. Un approfondimento circa le previsioni economiche e finanziarie della crisi, grazie ai commenti di esperti del settore. Inoltre la Banca ha effettuato donazioni per l’emergenza sanitaria e organizzato una raccolta fondi.

UBI Banca ha devoluto 5 milioni di euro a istituti ospedalieri e centri di ricerca direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza.

Sport

La Roma ha raccolto 50 mila euro grazie alla fondazione RomaCares, il presidente Pallotta ha donato altri 50 mila euro e il club ha aperto una pagina su GoFundMe (piattaforma di crowdfunding americana) per la raccolta fondi in favore dell’Istituto Spallanzani di Roma.

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Anche altre società come Inter, Milan e Parma si sono impegnate con importanti donazioni, senza dimenticare gli aiuti economici da parte dei singoli giocatori tra cui DyBala, Pazzini, Balotelli, Donnarumma, Ilicic e allenatori come Filippo Inzaghi.

L’ex calciatore invita i suoi follower ad agire tutti insieme, ognuno in base alla proprie possibilità.

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Il valore della Corporate Social Responsibility

Questi sono solo alcuni esempi di Corporate Social Responsibility nel nostro paese.

Dall’attenzione ai dipendenti, a chi combatte in prima linea negli ospedali, a ogni singolo cittadino chiamato a stare in casa per proteggere se stesso e gli altri. Alle aziende che davanti a difficoltà come questa non si fermano. Ciò che non va dimenticato è che in questo momento così critico, le imprese hanno la possibilità di mostrare l’autenticità dei propri valori e in tante lo stanno facendo nel modo giusto, nel modo che non sarà facile dimenticare.