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5 consigli per affrontare l’emergenza Coronavirus in business, finanza, psicologia e salute

Siamo tutti disorientati e a caccia di consigli, specie quelli di esperti che possono aiutarci a comprendere il periodo storico che stiamo vivendo.

Come l’emergenza per Covid -19 cambierà il mio business? I miei investimenti sono al sicuro? Qual è il modo migliore per affrontare l’isolamento senza che l’ansia prenda il sopravvento?

Sono queste alcune delle domande che hanno trovato risposta a Insieme Ce la Faremo, l’evento che Banca Mediolanum ha ideato in collaborazione con ClassCNBC, per offrire consigli su come affrontare l’emergenza Covid-19, con il parere di esperti dal campo della medicina, della psichiatria, dell’economia e della finanza.

Per fare chiarezza e avere un orizzonte entro il quale orientarsi, ecco alcune delle indicazioni condivise dagli esperti che abbiamo raccolto per te.

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1. Come gestire l’ansia recuperando le proprie passioni

I rischi per la nostra psiche in questo periodo di isolamento forzato sono uno degli argomenti affrontati da Raffaele Morelli nel suo intervento. Lo psichiatra ha sottolineato come la quarantena stia provocando l’aumento del senso di solitudine e di angoscia e il rischio di una fase di eccessiva autocritica: «Diventiamo fragili, iniziamo a chiederci quali sono gli errori della nostra vita, se abbiamo sbagliato lavoro o abbiamo un partner sbagliato. Questo non è il modo giusto per vivere il disagio».

I consigli di Morelli vanno tutti in un’altra direzione. Spiega che l’ansia che proviamo va ascoltata senza cercare una risposta, che bisogna imitare i bambini, sfruttare il potere della nostra immaginazione per distrarci, disegnare, scrivere, piantare semi, “svolgere attività con le mani”: «Approfittiamo di questo momento per spostare la nostra attenzione su immagini e azioni, e per rivedere il rapporto con noi stessi. Allontanarci dalla fretta che abbiamo tutti i giorni e ritrovare le nostre passioni soffocate da tempo. La distrazione ci aiuta a scacciare la paura, la stessa paura che indebolisce le nostre difese immunitarie e ci porta ad ammalarci più facilmente».

2. Gli imprenditori trasformino la paura in coraggio

Dove gli imprenditori possono trovare la forza di reagire? Questa è la domanda che Andrea Cabrini ha rivolto a Oscar Farinetti. Quest’ultimo ha invitato gli imprenditori a non andare in panico, ricordando un insegnamento di suo padre: “È dalla paura che nasce il coraggio”.

L’imprenditore ha poi offerto i suoi consigli per il rilancio del Paese, evidenziando come questa crisi abbia messo in risalto il meglio degli italiani: «Siamo un popolo di furbetti nell’ordinario, ma di comportamenti straordinari nelle emergenze. Per ripartire, occorre soprattutto avere rispetto degli altri popoli, non accusare gli altri o sentirsi superiori poiché nessuno compra da un Paese di antipatici. E poi preparare, una volta finita la crisi, una grande operazione di marketing con personalità come Andrea Bocelli, Valentino Rossi, Renzo Piano e altri, che vadano nel mondo a raccontare che abbiamo sconfitto il virus e che tutti possono tornare nel nostro Paese, che li accoglieremo. La speranza? Di riuscire a sconfiggere il virus per il 25 aprile: sarebbe un’altra Liberazione per il Paese».

Infine, ha sottolineato come in questa fase della nostra economia sia decisivo un sostegno alle aziende, poiché “il lavoro si crea dentro le imprese”: «Il nostro modello sociale si basa sui consumi, se li fermiamo sarà un crack. Bisogna fare interventi per aiutare le aziende a risalire, non fare operazioni esclusivamente sul welfare, di orientamento populista. Allo stesso tempo, rendere i nostri comportamenti più sostenibili e i consumi più consapevoli».

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3. L’isolamento, l’unico vaccino per preservare la nostra salute

Massimo Galli ha offerto i suoi consigli a chi è preoccupato degli effetti del Covid-19 sulla sua salute. Il medico ha sottolineato che “l’unica via di uscita sono le misure di contenimento” e che l’isolamento è la strada più sicura per garantire l’incolumità propria e della propria famiglia: «La strada maestra che tutti devono seguire sono le misure di contenimento, supportando di più le persone in quarantena attraverso la telemedicina. Il vaccino arriverà, ma è utopico pensare che succederà in tempi brevi. Per uscirne dobbiamo stare separati fisicamente ma vicini nella volontà di aiutarci, medici, cittadini e istituzioni».

L’isolamento per evitare nuovi contagi, tanto più necessaria data la precarietà che vivono oggi i medici e il personale sanitario, “in ospedale, ci sentiamo come chi è in punta di piedi su uno scoglio nella speranza che non arrivi mai l’onda”.

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4. Il protocollo vincente per investire in tempi di crisi

Sono tre le regole di comportamento che Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum, ha svelato. Un “protocollo vincente” per non rischiare di perdere soldi sui mercati in quest’emergenza:

  1. Diversificare gli investimenti nel mondo, agganciandosi all’economia globale.
  2. Rimanere investiti. “Come dice Warren Buffett, i mercati sono redistributiva di ricchezza, la danno a chi ha pazienza e la tolgono a chi ha fretta”.
  3. Mettere da parte l’emotività e ragionare. “L’emotività sta spingendo i prezzi in zona saldi o super saldi. Il sottostante è rappresentato, tuttavia, dalle più grandi aziende del mondo, che una volta superata questa crisi, torneranno a macinare utili”.

Volpato ha poi spiegato perché questa crisi è in realtà una grande opportunità, se sapremo adottare le regole di comportamento sopracitate: «I “virus” del mercato li conosciamo bene. Dalla crisi petrolifera, alla Bolla delle dot-com, fino all’ultima crisi di Lehman Brothers. Quello che fa innescare le crisi è sempre diverso, eppure gli eventi che succedono prima o dopo sono molto simili. Se ne esce adottando questo protocollo vincente».

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5. Come coltivare la speranza con “i fatti”

Il presidente di Banca Mediolanum, Ennio Doris, ha invitato tutti all’ottimismo, prendendo ad esempio la Cina, dove il numero dei contagi è in nettissimo calo, e dove si avverte già un rilancio importante dell’economia.

Ha poi evidenziato come la “medicina monetaria” stia per essere iniettata nei mercati, con i 750 miliardi di euro promessi dalla BCE per l’acquisto di titoli di Stato, “anche se con ritardo”. E poi ha passato in rassegna tutte le aziende che sono oggi impegnate nella ricerca di un vaccino, come Gilead, Moderna, Migal: «A differenza di altre crisi finanziarie, come l’ultima del 2008, che sono nate dall’interno del sistema e c’è voluto tempo per assorbirle, questa crisi avrà tempi più brevi, perché riguarda un evento esterno ai mercati che si risolverà non appena arriverà sul mercato il “cigno bianco”, il vaccino. Da lì partirà una rapida ripresa. Il clima che immagino è simile a quello che abbiamo sperimentato alla fine della Guerra: ci riverseremo in strada, ci sarà euforia. Allora faremo il viaggio che abbiamo sempre rimandato e acquisteremo l’auto dei nostri sogni…».

In prima linea per la lotta al Covid -19

Il presidente ha poi sottolineato l’impegno di Banca Mediolanum nella lotta al Covid-19: «Abbiamo donato 240mila euro per il Sacco di Milano e aperto una sottoscrizione di fondi per gli ospedali per 422 mila euro. Insieme ad altre donazioni che complessivamente raggiungono il milione di euro. Abbiamo realizzato poi uno spot per sollecitare donazioni per le strutture e i medici che sono in prima linea per la lotta al virus. Mentre come famiglia, a titolo personale, abbiamo donato cinque milioni di euro alla fondazione che si occupa di tutti gli ospedali veneti».

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Smart Working: 4 consigli per bilanciare vita lavorativa e vita privata (anche a casa)

In un momento in cui lo smart working è una condizione obbligatoria per la maggior parte dei lavoratori, con le tecnologie scopriamo che sappiamo lavorare bene anche a distanza, senza doverci confrontare ogni minuto, trovando spazio per la concentrazione e spazio per la condivisione a seconda del bisogno. Abbiamo visto che questo molto spesso è anche meglio, siamo più produttivi. Ma siamo anche capaci di scoprire questo “nuovo paesaggio del lavoro”, decisamente più domestico e cercare non solo occasioni per essere produttivi ma anche di crescere professionalmente e personalmente, tenendo presente che questo ambiente nel quale ci si muove verrà modificato dalle nostre azioni anche in maniera non prevista.

Del resto – e chi lo pratica da tempo lo sa – alla base della “filosofia” dello smart working c’è proprio l’idea di riuscire ad ottenere un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata. Come sottolineato nella ricerca Copernico. Il nuovo paesaggio del lavoro condotta dallo Studio Carlo Ratti Associati (in collaborazione con Copernico, BNL e Arper) il lavoratore moderno è “nomade” nello spazio ma anche nell’organizzazione del suo tempo, e come tale, tende a intrecciare momenti di lavoro a momenti privati, a volte sovrapponendoli. Ora la possibilità di muoversi nello spazio è decisamente limitata. Questo ci dà l’occasione di vivere le nostre giornate in modo più consapevole, trasformando il limite spaziale in opportunità di sviluppo.

smart working perché

Come trasformare l’home working in smart working

Chi è abituato a lavorare per obiettivi e in contesti flessibili, chi è parte di una community consolidata come quella dei coworking e degli uffici flessibili, è ormai allenato a distribuire bene il proprio tempo tra lavoro, sviluppo di relazioni e tempo per sé. Ma chi questo esercizio lo fa per la prima volta potrebbe scoprire che mantenere questo intreccio in maniera sana e consapevole non è sempre facile. Certo, i tanti flashmob e gli appuntamenti social promossi nell’ultima settimana ci hanno aiutato a staccare un po’ e a sentirci ancora parte di una comunità, ma per trovare il giusto bilanciamento ci vuole tanta esperienza e molta pratica. Ecco allora la ricetta di Copernico per uno smart working “bilanciato” anche da casa:

  • Rimanere produttivi e connessi con il proprio team
  • Continuare a pensare al futuro
  • Curare il proprio benessere fisico
  • Rinforzare il benessere mentale e la creatività

smart working consigli

1. Rimanere produttivi e connessi al proprio team

Come continuare ad essere produttivi anche in remoto? Come mantenere vive le relazioni tra le persone in questo momento? Gli step fondamentali sono tre:

  • Usufruire di app e sistemi per stabilire obiettivi condivisi o fissare appuntamenti in modo tale da aiutare tutti nella gestione e nel rispetto delle scadenze. Microsoft Planner, Trello, Asana sono le app più utilizzate;
  • Installare e utilizzare i sistemi di videoconferenza da usare tra colleghi, collaboratori, clienti e fornitori. Microsoft Teams, Google Hangouts Meet, Slack, Zoom e Skype sono solo alcune delle alternative possibili;
  • Non dimenticare la socialità tra colleghi: in questo periodo in cui alcuni di loro potrebbero essere completamente isolati (perché single, lontani dalla famiglia, etc.) si può comunque fare leva sulla tecnologia anche per mantenere vivi quegli importanti momenti di socialità che vanno dalla pausa caffè al festeggiamento delle ricorrenze, come il compleanno di un collega o un anniversario di lavoro.

smart working lavoro famiglia

2. Continuare a pensare al futuro

Prima o poi questa crisi finirà. È bene quindi usare il proprio tempo libero in casa non tanto per pensare alle occasioni che stiamo perdendo in queste settimane, bensì a quelle che potremo cogliere quando si tornerà alla normalità. Come fare?

  • Organizzare call di networking in mezzo alla giornata lavorativa con quella persona incontrata durante un convegno e che tante volte abbiamo pensato di contattare (è l’occasione giusta!);
  • Seguire webinar e gruppi di Facebook per aggiornarsi e per imparare cose nuove. Qui qualche consiglio sugli appuntamenti di Copernico;
  • Rifare i siti web, sistemare gli archivi online, pensare a tutte le cose che si possono portare avanti senza la presenza fisica;
  • Cercare nuovi potenziali clienti.

3. Curare il proprio benessere fisico

Lavorare da casa rischia di farci diventare tutti un po’ più pigri, perché non dobbiamo fare spostamenti e tutto è a portata di mano. Ma le idee per rimanere in forma e per prendersi cura della persona sono tantissime. E si possono fare insieme (anche con i figli, se sono a casa con noi!), come occasione di team building, perché insieme, c’è più motivazione.

  • Yoga, stretching, attività cardio: a metà o fine giornata, per distendere i muscoli, allentare la tensione. Molte palestre e personal coach stanno lanciando sessioni gratuite di attività motorie in streaming. Ecco allora che si possono organizzare lezioni di gruppo, anche con i colleghi;
  • Cercare di non lasciarsi andare: lavorare da casa in pigiama è bello e da una certa soddisfazione per i primi giorni, ma dopo un po’ rischia di diventare motivo di inerzia e perdita di concentrazione. Mantenere la distinzione tra abito da casa e da lavoro (anche se molto più casual del solito) resta un ottimo modo per non dimenticarci della cura della nostra persona. E ci permetterà di essere pronti per le videochiamate!

smart working benessere fisico

4. Sostenere il benessere mentale e la creatività

Come abbiamo anticipato all’inizio, lavorare in smart working dalla propria abitazione può portare ad un overburn. Ma è possibile evitare questo rischio attraverso alcuni piccoli accorgimenti e soprattutto ricordandoci che anche da casa possiamo mantenere una vita sociale attiva e sana! Ecco qualche piccolo consiglio:

  • Stabilire degli orari. È possibile rivedere quelli normali: si può attaccare prima visto che potenzialmente tutti possono iniziare a lavorare mezz’ora dopo il suono della sveglia. O magari anche dopo perché si preferisce dormire un po’ di più e rimanere al PC fino a più tardi tanto… non c’è traffico a tornare! L’importante è che ci sia una routine. Fissate l’ora del caffè, quella del meeting quotidiano per aggiornarvi e quella delle risposte ai clienti. Interrompersi continuamente è controproducente: a ogni ora, la sua attività;
  • Vi manca il venerdì sera al cinema insieme? Basta decidere quale film e stabilire un orario. Durante la visione sarà divertente scambiarsi commenti e impressioni nella chat di lavoro o in una creata per l’occasione;
  • Oppure manca il classico aperitivo settimanale tra colleghi? Anche questo è facilmente organizzabile da casa attraverso gli strumenti di videocall;
  • Volete darvi alla lettura collettiva? Ci si può dare appuntamento, per finire la giornata, con Fiesta immobile, l’idea lanciata da Alessandro Baricco e dalla scuola Holden di Torino. Alle 18.30 su Radio Casa Bertallot uno scrittore o una scrittrice leggono per mezz’ora le pagine che più amano. Si andrà avanti fino alla fine dell’emergenza, finché ce ne sarà bisogno. Come per l’appuntamento “in sala” anche in questo caso ci si può dare appuntamento per un ascolto di gruppo, a distanza;
  • Preferite una visita virtuale a un museo? Sono davvero tanti i musei che in questi giorni stanno offrendo visite gratuite alle loro mostre o alle loro collezioni. C’è chi fa dirette su FB o IG e chi carica dei video, chi ancora pubblica foto. Perché non scegliere di visitare un museo alla settimana?
  • Volete trovare una bella idea per coinvolgere le persone? Si può creare una playlist condivisa su Spotify: a turno ogni persona dell’azienda o dell’ufficio suggerisce un brano che viene inserito nell’elenco;
  • Infine, non dimentichiamoci che non siamo soli. Non dobbiamo aver paura di chiedere aiuto. Ci sono molte persone che in questo periodo non intravedono una via d’uscita o che si sentono in trappola. In questi giorni ci sono molti professionisti che forniscono consulenze individuali e coaching psicologico a distanza per manager e professionisti in crisi. E in questo periodo potremmo essere in molti ad averne bisogno.

Tutte le crisi insegnano qualcosa. E se nelle prime settimane di smart working obbligatorio abbiamo imparato ad apprezzare e a gestire il lavoro da remoto, ora, dopo più di 15 giorni di quarantena obbligata, abbiamo capito che il bilanciamento tra vita e lavoro è fondamentale, per i singoli lavoratori così come per le aziende nel loro insieme. Per poter ripartire con uno spirito diverso, e forse anche con un asso in più nella manica.

marketing crosscanale

Il Marketing Crosscanale nell’era del Retail 5.0 generata dall’emergenza Coronavirus

  • L’emergenza Coronavirus ha portato alla chiusura della maggior parte dei negozi fisici tradizionali in Italia
  • L’eCommerce ha conosciuto un’impennata in termini di ricerche e di vendite nelle ultime settimane
  • Un approccio di marketing crosscanale può aiutare le aziende a dare una risposta efficace alla crisi del retail dovuta all’epidemia

 

La crisi dovuta al Coronavirus è, molto prima di qualunque altra cosa, una tragedia umana globale che coinvolge centinaia di migliaia di persone. Talvolta, purtroppo, in maniera fatale.

Ma ci sono anche delle conseguenze per il marketing e per la sua capacità di servire la causa degli individui in quanto consumatori; per migliorare le loro vite, anche e soprattutto in un momento di sfide e cambiamenti. E così in questi giorni anche la professione del marketer assume i contorni di una missione.

Cosa sta succedendo in Italia per l’emergenza Coronavirus

Il 10 marzo in Italia è infatti successo l’impensabile: tutti i negozi fisici tradizionali hanno dovuto chiudere. Una cosa inaudita che, per metterla in prospettiva, nemmeno durante le due guerre mondiali era accaduta. Chiusi tutti i punti vendita tranne quelli di pubblica utilità, s’intende. In primis gli alimentari. Eppure, proprio il grocery in questi giorni sta trainando la crescita dell’eCommerce. Perché? Perché il mutamento che stiamo vivendo in diretta ha due caratteristiche importanti che stanno prendendo forma di ora in ora:

  • non è un mutamento di breve-medio periodo
  • non è (o meglio, non soltanto) un mutamento nel mix dei canali distributivi

Da questo possiamo trarre la conclusione che quello che stiamo vivendo non è né un cambiamento che riguarda le marche né un cambiamento che riguarda le insegne.

Oggi in Italia stiamo vivendo un mutamento epocale che riguarda i consumatori.

Per questo l’impatto sarà molto più strategico di quello che oggi si può anche soltanto immaginare. Sarà strutturale, rivoluzionario, di lungo periodo – ma anche innovativo e per il meglio. Stiamo entrando nell’era del Retail 5.0.

Un esempio: nella seconda e nella terza settimana di marzo la crescita a valore dell’eCommerce rispetto al pari periodo del 2019 è stata rispettivamente del +81% e del +82% [Dati: Nielsen]. Con un incremento del 30% rispetto alla settimana precedente. È poco. E dire che è poco non è una provocazione. Lo dimostra tra gli altri indicatori il grafico dei volumi di ricerca Google indicizzati per la query “spesa online”: qui la crescita ha picchi del +1250%.

LEGGI ANCHE: Come cambia il ruolo del Social Media Manager in situazioni di emergenza (e cosa puoi fare adesso)

Marketing Cross Channel dati spesa online

Cosa significa lo spostamento dei consumi sul digitale?

Significa che lo spostamento dei consumi verso i nuovi canali digitali (dagli eCommerce proprietari ai marketplace, come Amazon e AliExpress) è appena cominciato. Infatti, su Amazon, la query “spesa online” è cresciuta di un inequivocabile +2814% negli ultimi 30 giorni, dandoci il senso di un processo ampio che un’analisi comparata restituisce in tutta la sua potenza.

marketing crosscanale coronavirus volumi ricerca

Che poi l’eCommerce fosse un canale in ascesa non è certo una novità per nessuno. Negli ultimi dieci anni anche in un’Italia per certi versi digitalmente-arcaica è cresciuto anno dopo anno di una cifra variabile tra il 17 e il 22% [Dati: Politecnico di Milano]. Con picchi al +40% per le categorie in ascesa, tra le quali proprio il grocery.

Quindi, ricapitolando, in queste settimane stiamo viaggiando a 4 o 5 volte tanto la velocità degli ultimi dieci anni. Un mutamento strutturale che, appunto, è solo al suo inizio. Perché una nuova predisposizione all’acquisto digitale si va sedimentando.

In definitiva, quindi, anche se siamo tutti bloccati in casa, quello che dicono di noi le query di Google è che il fenomeno dell’infocommerce è sempre più la guida, la pancia dello shopping behaviour.

Il fenomeno dell’infocommerce che a sua volta è il primo, per importanza, tra i fenomeni crosscanale (nel senso che di solito ci si informa online per acquistare sia online che offline). Per questo forse è proprio l’impostazione strategica dei nostri piani di marketing in un’ottica crosscanale che può rappresentare la vera uscita da questo tunnel del COVID-19.

LEGGI ANCHE: Introduzione al Marketing Crosscanale: cos’è, come funziona e perché fa vendere di più

Cosa significa crosscanale e cos’è questo approccio al marketing?

Crosscanale è una strategia che usa un mix di canali per produrre risultati incrementali misurabili, tipicamente in vendite.

marketing crosscanale significato

Le strategie crosscanale permettono cioè a consumatori sempre più connessi di iniziare, condurre e completare un’esperienza di acquisto su qualsiasi mezzo che sia per loro più comodo, nel momento in cui gli è più comodo: motore di ricerca, social media, email, mobile app, eShop e, infine, il negozio fisico, che manterrà sempre e comunque un ruolo chiave nella fase di transazione, con buona pace del Coronavirus.

Avere una strategia crosscanale non significa però riprodurre un contenuto identico su più canali: questo è l’approccio omnicanale al marketing.

L’obiettivo di una campagna crosscanale efficace è invece raccontare la stessa storia in modo diverso a seconda del media utilizzato. Ogni canale è utilizzato dai consumatori in modo differente e unico; allo stesso modo la comunicazione di un brand deve seguire lo shopping path, utilizzando i media più adatti e ROI-effective passo dopo passo.

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Queste ibridazioni mediatiche sono un’opportunità unica per cogliere il massimo dallo status quo fortemente multicanale di oggi e tremendamente volatile di questi giorni. Un’opportunità da cui si può ottenere il massimo costruendo piani media crosscanale vincenti ma flessibili (a CPC) con obiettivi quantitativi, in vendite.

Il Marketing Crosscanale ci permetterà di uscire indenni da questa crisi?

Mi piacerebbe tanto, ma in queste prime settimane stiamo solo vivendo l’inizio di un lungo periodo di incertezza. Che un approccio crosscanale al marketing e alla comunicazione possa essere più utile di altri lo dimostra un’analisi di buon senso di quello che sta accadendo in questi giorni a tante aziende con cui parliamo tutti:

  • chi non aveva un eCommerce (o Amazon) sta correndo ai ripari
  • chi aveva una strategia media/retail monolitica la sta abbandonando

Chi già aveva pianificato in senso crosscanale, invece, mi sembra che ne esca meglio degli altri. Chi assieme alla TV ha guardato a YouTube continua a fare media, come prima, cambiando il mix verso il secondo mezzo e spendendo a CPV, quindi a consumo: mantiene un problema sui volumi, certo, ma non sulle performance %. Lo stesso esempio si può fare per Google.

Chi a un piano di store-visibility ha affiancato un piano media sui social può contare più che mai sul real-time-marketing e sullo user-generated-content. TikTok, che è il social del momento anche in Italia, è un approdo perfetto per entrambe queste esigenze. Ma siamo tutti sempre più instagramer, oltre che tiktoker, in questi giorni: la produzione dei contenuti è un’ancora di salvezza – e può certo esserlo anche per aziende che hanno il coraggio di guardare a queste soluzioni create delle loro stesse audience target in chiave di branding.

Questi comportamenti “misti” o meglio “cross” costituiscono il background a partire dal quale il marketing crosscanale, che in questi anni ha acquisito una centralità crescente, si configura come (a) soluzione flessibile dal punto di vista dello spending ma anche (b) strategica nel suo andare incontro di corsa a quello che sta cambiando, oggi, nei sentimenti e nelle azioni dei consumatori italiani – di oggi e di domani.

marketing crosscanale kpi

D’altronde l’impatto delle soluzioni crosscanale adottate dai brand era già visibile su più livelli prima della crisi. Il primo è quello del costo per contatto rispetto alle soluzioni di marketing che mettono al centro un piano univoco che coinvolga solo media tradizionali: il costo è mediamente 1/10 in un piano crosscanale. Il secondo è quello dell’impatto sulle vendite in termini di uplift: fino a due volte meglio di un piano tradizionale [Dati: XChannel].

insieme ce la faremo banca mediolanum coronavirus

“Insieme ce la faremo”, l’appuntamento di Banca Mediolanum per resistere all’emergenza

“Insieme ce la faremo!”

Questo lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, presenta una iniziativa speciale, nata per approfondire il contesto delineato dall’emergenza sanitaria e l’attuale situazione dei mercati finanziari.

Se la pandemia di Coronavirus preoccupa innanzitutto per il suo enorme impatto sanitario, a rendere ancora più allarmante lo scenario sono le previsioni economiche e finanziarie di questa crisi mondiale.

Tutte le grandi compagnie oggi mettono in campo risorse per aiutare le aziende a resistere nell’attuale contesto di grande incertezza e anche Banca Mediolanum oggi interviene con un fondamentale supporto, quello dato dal know how e dalle conoscenze di tanti esperti, che questa sera, 19 marzo 2020, dalle ore 21,  commenteranno il periodo che stiamo vivendo e dispenseranno utili consigli economici.

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Insieme ce la faremo!

L’evento sarà moderato da Andrea Cabrini, Direttore Class CNBC, e vedrà l’intervento di diversi saperi.

A rappresentare BancaMediolanum saranno Ennio Doris e Stefano Volpato.

Insieme a loro saranno presenti:  Oscar Farinetti – Imprenditore, il Prof. Massimo Galli – Direttore Unità Operative di Malattie Infettive 3 – ASST Fatebenefratelli Sacco Milano e Raffaele Morelli – Psichiatra e Psicoterapeuta, Direttore di Riza Psicosomatica.

Per rendere ancora più corale l’evento, questo sarà disponibile non solo sul canale 507 della piattaforma Sky, ma anche sulla pagina Facebook, sul canale YouTube di BancaMediolanum e sulla pagina dedicata del sito.

In prima linea per l’emergenza

Banca Mediolanum è stata in prima linea in questo mese anche nel supporto all’Ospedale Sacco di Milano, donando prima 100 mila euro a favore delle Unità Operative di Malattie Infettive e di Terapia Intensiva e poi ulteriori 140mila euro per l’acquisto di una macchina destinata all’Unità Operativa di Virologia e Bio-Emergenze.

Prosegue inoltre la raccolta fondi, iniziata lo scorso 4 marzo.

coronavirus business

Come fare brand activism e diventare aziende protagoniste del futuro

L’epidemia di Coronavirus sta mettendo a dura prova il tessuto economico del nostro Paese, ed è probabile che questo non sia che un antipasto. Il Covid-19 sta infatti diffondendosi anche in Europa e America, intaccando le certezze e cambiando le abitudini e probabilmente rimetterà al centro delle agende di tutto il mondo il dover pensare a come ripartire dopo una grave crisi.

Una delle chiavi che probabilmente potrebbero essere rivelatrici per il futuro sta però non tanto nella capacità delle aziende di costruire nuove opportunità di ricavo, quando nel portarsi dietro con chiarezza che ruolo si è recitato in questa fase critica.

Viviamo infatti in un’epoca in cui le aziende, per forza di cose, devono recitare un ruolo all’interno della società andando probabilmente oltre anche il concetto di Sostenibilità, che è riduttivo.
Un’impresa infatti, al di là della sua vocazione al ricavo, oggi è più che mai un attore che svolge un ruolo attivo nella società, e che è responsabile della crescita della stessa.

Una sfumature particolare e decisiva, che però rimarca molto come da solo un approccio “sostenibile” non basti.

Negli anni infatti abbiamo assistito, al di là delle discutibili azioni di Greenwashing che talvolta ci è capitato di osservare, a molte aziende che ritenevano di fare il proprio limitando l’impatto della propria azione sulla collettività, sull’ambiente, sulle proprie persone.

Questo può dirsi a tutti gli effetti solo il primo passo da compiere. Un aspetto scontato e dovuto, non più un valore aggiunto.

Perché il futuro sta in quelle aziende che riescono a impattare positivamente anche su ciò che non le riguarda direttamente.

Il trionfo del Purpose e l’emergere della vera applicazione dello Storytelling

Se in questi anni non avessimo contribuito a svuotare di significato la parola Storytelling, allora oggi potremmo comprendere fino in fondo come questo sia un passaggio estremamente attinente al mondo della narrazione.

La concretizzazione del purpose, inteso come proposito massimo di un’azienda, va oltre il principio di mission e tocca un po’ tutti gli elementi fondativi di un’impresa: un’idea del proprio futuro, una serie di valori in cui si crede, un orizzonte nuovo per sé e per le persone che collaborano con l’azienda, oltre che ovviamente per la società.

Si capisce bene quanto tutto questo non corrisponda a miraggio astratto, quanto a un progetto concreto, che non può esistere autonomamente e che per essere raggiunto deve necessariamente esser pensato per interagire con il resto del mondo.

Una capacità richiesta dal mercato: secondo la ricerca di Deloitte2020 Global Marketing Trends, le imprese che si lasciano guidare dal “Proposito principe” oggi hanno un guadagno concreto, parametrato su una proporzione che fa impressione: le aziende purpose-driven guadagnano quote di mercato e crescono in media tre volte più velocemente rispetto ai loro concorrenti.

I consumatori le preferiscono, anzi le cercano, tanto che l’80% dichiara di esser disposto a spendere di più per prodotti e servizi se chi li produce si impegna ad agire allo scopo di contribuire a migliorare il mondo, responsabilizzandosi verso la società, le persone e l’ambiente.

Per queste ragioni le azioni di attivismo di marca, o brand activism, risultano essere una delle forme più autentiche e concrete che oggi le aziende hanno di agire allo scopo di rendere realtà il proprio “purpose”: perché come le persone si attivano per rendere reali i propri valori e agiscono concretamente, così le marche -e le aziende che le sostengono- devono dar seguito ai propri intenti, con azioni tangibili.

E allora, tornando all’inizio: qual è il legame con il tema narrazione? Perché se ogni storia è esperienza, allora la costruzione di esperienze memorabili, di marca e non, che impattino sul mondo e spostino gli equilibri è a tutti gli effetti un processo narrativo. Non a caso, infatti, al Purpose viene associato il termine “StoryDoing”.

Peccato non aver dato il giusto peso a una parola che oggi servirebbe più che mai a spiegare certi cambiamenti…

Brand Activism

Brand Activism: agire per cambiare le cose

L’attivismo di marca, quindi. In questo periodo, dicevamo, può essere questa la leva utile per azionare il cambiamento e cominciare a dare solidità e concretezza al proprio purpose. Il Coronavirus, da poco definito dall’OMS pandemia, è un’occasione che in molti stanno cogliendo per fare i primi passi in un processo che certamente non potrà limitarsi a questo momento di crisi.

Il Ministero dell’Innovazione ha lanciato recentemente un’iniziativa in questo senso meritevole di citazione: Solidarietà Digitale. Aziende e professionisti vengono chiamati a offrire soluzioni per favorire lo smart working, l’eLearning o anche banalmente un diversivo, come un abbonamento a un periodico o a un servizio streaming.

In molte aziende hanno già aderito: dalle telco come FastWeb e Vodafone agli editori come Gedi con La Repubblica e La Stampa, da Google fino a Connexia, Amazon e Infinity.

Sono segnali da cogliere, un po’ come nel caso di Calzedonia.

In questo caso, la scelta di chiudere i propri negozi diventa una mossa che anticipa un’ordinanza probabile del governo, ma che è anche un segnale: l’azienda, in nome del bene comune, sceglie di fermarsi, nonostante questo costi evidentemente un mancato guadagno.

Altro piano è la scelta compiuta da SoundReef, che ha deciso di anticipare ai suoi oltre 22.000 iscritti le royalties derivanti da diritti per tamponare la temporanea crisi del settore eventi.

È attivismo di marca? In parte.

Questa è una situazione di crisi, e il confine fra ciò che è marketing puro, semplice buon senso e vero sviluppo del Purpose non è così definito.

Per capire cosa intendiamo esattamente con brand activism, dobbiamo andare al 2018, quando la Nike punta su Colin Kaepernick come suo testimonial. Il video proposto per i Lions di Cannes del 2019 riassume benissimo cosa questo configuri:

Don’t ask if your dreams are crazy. Ask if they’re crazy enough“, la frase con cui il giocatore dell’NFL chiude lo spot, è una sintesi perfetta non solo dell’immaginario di marca, ma anche lo spirito con cui lui stesso si è mosso nella realtà, sfidando la politica americana.

La marca, come ci mostra la case study, non ha paura di perdere terreno anche dal punto di vista commerciale per rendere concreti i propri valori: si muove come fosse un movimento, esattamente come fece la stessa azienda qualche tempo prima nel caso della nota legge Muslim Ban, quando fu il CEO Mark Parker a prender parola e a rifiutare, civilmente ma con fermezza, quella norma così discussa.

Nike CEO lettera

Lettera di Mark Parker CEO di Nike

 

Ciò che ha fatto Nike ci lascia una serie di indicazioni molto importanti, che possiamo far nostre a maggior ragione se consideriamo come il risultato sia, alla fine di tutto, una reale posizione di leadership sul mercato.

Se dovessimo stilare un piccolo prontuario di quali siano le caratteristiche delle azioni di brand activism pure, potremmo soffermarci su alcuni punti indispensabili. Li elenchiamo di seguito.

Non importa il guadagno, ma la coerenza

Ogni posizionamento strategico concepisce come fattori determinanti il pubblico cui si parla e il tipo di prodotto che si vende: intrecciando questi valori, si ottengono i fattori identitari che distinguono il marchio.

L’identità è diventata una chiave indispensabile nei processi di marketing, tanto da diventare lo specchio in cui si riflettono anche i particolari quali gli spazi di lavoro o il work-life balance dei dipendenti, la scelta di un fornitore o di un canale di promozione.

Questa identità oggi si è tradotta in tanti elementi espressivi: dal tono di voce al carattere del brand, che si declina nelle comunicazioni e nella relazione con gli stakeholder.

L’attivismo di marca si sviluppa correttamente quando le scelte che vengono compiute sono in continuità con questo carattere: Nike non ha mostrato alcuna sbavatura rispetto al “Just do it” che abbiamo imparato a conoscere nel suo difendere la scelta di Kaepernick. Sarà stata la scelta giusta per noi? Si saranno chiesti i decision maker aziendali guardando la flessione delle stock option.

, si saranno risposti, e allora… fallo e basta.

Senza paura che questo possa comportare momentanee perdite. Chi ti ha seguito fino a quel punto, non avrà paura di seguirti ancora.

Bisogna essere coraggiosi

Altro tema interessante è quello del coraggio: per essere veramente coerenti è necessario a volte superare la paura di non esser capiti, o peggio di esser rifiutati. Se si vuole mettere in condizione un’azienda di mettere i mattoni per edificare il proprio Purpose, allora non bisogna dimenticare che questo richiederà, evidentemente, dei sacrifici.

Perché? Perché stiamo parlando di un qualcosa che richiede un cambiamento, una trasformazione degli equilibri, e nel mondo in cui viviamo è evidente quanto sia necessario ripensare il proprio ruolo secondo paradigmi diversi.

In questo è indicativa la scelta di quelle aziende che scelgono di incamminarsi anche su territori scivolosi come quello politico, contestando apertamente ciò che non credono giusto allo scopo di offrire una lettura dell’esistente diversa, talvolta progressista.

Citiamo ad esempio la campagna di Ben & Jerry’s, datata 2018, sempre critica contro l’amministrazione Trump.

 

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Un post condiviso da Ben & Jerry’s (@benandjerrys) in data:

 

In questo caso, lasciamo al lettore il compito di decidere se sia una presa di posizione giusta o sbagliata. Non è nostro compito, infatti, giudicare se una presa di posizione basata su valori precisi sia giusta e sbagliata. Essendo un fattore di coscienza, come tale va trattato: certamente, è indubbio che un’azienda che si muove a favore di coscienza, più che di convenienza, si sta muovendo secondo una logica di activism.

Il futuro è l’unica cosa che conta

Infine, ciò che spinge una marca a mettersi in discussione non può che essere un valore nobile e indiscutibile: il domani. L’azienda deve prendere posizione su ciò che ci aspetta, e lottare non solo per ciò che la riguarda direttamente affinché questo possa essere garantito per tutti.

Ecco allora emergere casi interessanti di movimenti interni alle aziende e ai grandi marchi, non solo tollerati ma talvolta supportati con orgoglio dalle stesse aziende: un esempio sono i lavoratori di Google e di Amazon che hanno recentemente deciso di schierarsi apertamente a favore degli scioperi per il clima di Greta Thumberg.

 

Sempre per contrastare il Climate Change, Lush ha scelto nel settembre scorso di chiudere tutti i propri negozi per sensibilizzare la clientela al problema.

Lush pubblicità cambiamento climatico

Sono solo esempi di azioni suffragate da una necessità: quella di schierarsi a favore di un ideale fortemente connotato dalla spinta al domani.

Uniti contro il Coronavirus (e ciò che verrà dopo)

Coerenza, coraggio, futuro: ci va molto impegno per muoversi secondo queste linee guida. Oggi più che mai, però, le aziende possono assolvere con azioni concrete un ruolo fondamentale, che sarà sempre più centrale negli equilibri cui siamo abituati. Le aziende, e i marchi, hanno un ruolo sociale sempre più centrale e ispiratore, talvolta in grado di abbattere confini e differenze e unire più dei legami nazionali.

La crisi che stiamo vivendo, per esser superata, chiede alle persone molto senso civico e sacrificio: le aziende, attraverso scelte coraggiose e prese di posizione veramente innovative, possono supportare questa traversata aiutando la società a uscirne migliorata.

Non sarà semplice, ma neanche impossibile. Anche perché purtroppo la storia è fatta anche di momenti difficili: non sarà l’ultima volta che purtroppo l’umanità dovrà affrontare una crisi tanto epocale. Meglio essere allenati, per superarle. Insieme.

Come cambiano le regole del Business nella recessione guidata dal Covid-19

È pura finzione immaginare che la recessione imminente scomparirà presto.

La tipica reazione a tale sfortuna è quella che Andrew Lorenz sul Financial Times descrive come “anoressia industriale”, un desiderio eccessivo di essere più magri e più in forma, che porta al deperimento e alla morte. Sì, certo, c’è la necessità di tagliare i costi, ma deve essere fatto in modo sensato, come dirò più avanti.

Ma se questa è l’unica risposta a una recessione, è destinata a fallire, soprattutto perché si traduce in un servizio peggiore per i clienti, e i clienti non lo sopporteranno più.

Le nuove regole del business

Forse è necessario ricordare brevemente che le regole della concorrenza sono cambiate. Il modello del “make and sell” è stato ucciso da una nuova ondata di concorrenti con tecnologie imprenditoriali, liberi dal bagaglio di burocrazia, beni, culture e comportamenti ereditati dal passato.

L’elaborazione delle informazioni sui prodotti è stata separata dai prodotti stessi, e i clienti possono ora cercarli e valutarli indipendentemente da coloro che hanno un interesse a venderli. I clienti hanno ora tante informazioni sui fornitori quante questi ne hanno tradizionalmente accumulate sui loro clienti. Questo nuovo stato ha creato una nuova dimensione della concorrenza basata su chi agisce nel modo più efficace nell’interesse dei clienti.

Questo è lo scenario contro il quale ci troviamo ad affrontare questa nuova sfida all’inizio del 2020. 

Ho 120 ricerche scientifiche per dimostrare che le aziende di successo a lungo termine si prendono l’onere di segmentare i loro mercati. I segmenti sono gruppi di clienti con esigenze uguali o simili, non settori. Lavorano duramente per comprendere queste esigenze e i modelli di comportamento. Danno priorità a questi segmenti in base alla loro probabilità di consentire all’azienda di raggiungere i propri obiettivi di profitto, e poi sviluppano pacchetti di prodotti/servizi appropriati per ciascuno di essi.

In tempi di recessione sono spietati nel concentrare la loro attenzione sui segmenti che intendono mantenere a lungo termine, e tagliano fuori quelli che rappresentano un freno per le loro risorse. Solo allora è giustificato il taglio dei costi e il ridimensionamento.

Mi riferisco, naturalmente, alla Legge di Pareto (la “regola” 80/20). Circa il 20% dei vostri clienti consegnerà circa l’80% delle vostre entrate e dei vostri profitti, quindi cercare di accontentare tutti con tutte le vostre offerte garantisce un servizio mediocre che non piacerà a nessuno. Identificando il vostro mercato principale di clienti primari e servendoli con offerte differenziate, conserverete con successo una base clienti solida.

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Linee guida per la gestione di questa recessione causata da COVID-19

  1. Ricordate che i clienti sono attratti dalle promesse, ma vengono mantenuti attraverso la soddisfazione. Ciò significa che, se non riuscite a definire il valore richiesto dai clienti, non sarete certamente in grado di mantenerlo. Quindi, fate un’attenzione particolare a comprendere le loro esigenze.
  2. Non cercate di coprire troppi mercati, segmenti e clienti. Concentratevi su quelli con cui volete stare a lungo termine.
  3. Riducete il vostro portafoglio prodotti, cioè considerate se avete troppi prodotti, servizi, confezioni, ecc.
  4. Osservate attentamente la vostra rete di distribuzione. È cresciuta troppo?
  5. Migliorate la produttività di tutte le vostre spese promozionali, ma soprattutto quella della forza vendita.
  6. Riducete i costi nelle aree improduttive del business. Ciò include i costi associati al servizio di mercati e clienti non redditizi.
  7. Lavorate sui vostri clienti (chiave). Toglieteli dalla forza di vendita e datene uno a ciascuno dei vostri migliori manager.
  8. Non lasciate che la forza vendita faccia grandi sconti. A meno che non siano totalmente professionali, c’è il pericolo che entro pochi giorni tutti abbiano il massimo degli sconti.
  9. Focalizzatevi selettivamente sui clienti chiave della concorrenza che vi attraggono. Non preoccupatevi se perdete alcuni dei vostri clienti non redditizi.
  10. Mantenete il core business – prodotti essenziali, mercati chiave e clienti chiave.

Il problema, naturalmente, per alcuni tipi di aziende con costi fissi massicci come le compagnie aeree, è su una scala completamente diversa, e anche se i principi sono gli stessi, questo breve articolo non è destinato a loro.

Questo articolo è stato tradotto e adattato da “Marketing during the Covid-19 Recession”

Smart Working e Solidarietà Digitale: strumenti e iniziative per il lavoro al tempo del Coronavirus

  • Con “Solidarietà Digitale”, l’iniziativa del Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, imprese e associazioni hanno messo a disposizione servizi digitali gratuiti. Lo scopo è migliorare la vita di tutte le persone che stanno subendo un mutamento della propria quotidianità a causa dell’emergenza COVID-19
  • È possibile usufruire gratuitamente di servizi per lo smart working e la connettività fra utenti, ma anche di strumenti di informazione, di istruzione, intrattenimento ed e-learning
  • Dalla multinazionale alla startup: tutti possono offrire la propria soluzione digitale

 

“A fronte del nuovo decreto che ha esteso le misure di prevenzione e contenimento a tutto il territorio italiano, abbiamo deciso di estendere a tutta Italia anche il nostro progetto di solidarietà digitale lanciato nei giorni scorsi”.

Così il Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Paola Pisano, ha esteso a tutto il territorio nazionale l’iniziativa “Solidarietà Digitale”, organizzata con il supporto tecnico di AgID, per ridurre l’impatto sociale ed economico in questa Italia completamente “rossa”, attraverso l’offerta gratuita di soluzioni e servizi innovativi da parte delle imprese.

Al fine di poter fronteggiare al meglio questo periodo, nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento, dell’emergenza COVID-19 (Coronavirus), alcuni giorni fa è stato firmato un Dpcm che conferma l’accesso agevolato allo smart working per le imprese: “La modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.

Per definizione con smart working si intende “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”

In questi giorni infatti lo smart working ha rappresentato una valida risposta alle necessità di molte aziende di poter continuare ad essere produttive e utili, seppur con la maggior parte dei propri dipendenti e collaboratori da remoto. Tuttavia il lavoro agile necessiterebbe, oltre che di strumenti digitali quali pc, tablet e smartphone, anche di piattaforme, software e risorse preziose di condivisione, utili per portare avanti da remoto tutte le attività aziendali: soprattutto di quelle imprese già proiettate nel vasto universo digitale.

Purtroppo non tutte le aziende hanno a disposizione questi strumenti per rendere possibile il lavoro agile.

Solidarietà Digitale

A questo punto entra in gioco “Solidarietà Digitale”: imprese e associazioni hanno messo a disposizione servizi gratuiti, al fine di poter dare il proprio contributo attraverso l’innovazione e la digitalizzazione.

Sul sito web sono offerti servizi per agevolare lo smart working e la connettività fra utenti ma anche strumenti di informazione, di istruzione, formazione ed e-learning. Senza dimenticare piattaforme di gaming ed intrattenimento per i più giovani.

Lo scopo dell’iniziativa è infatti migliorare la vita di tutte le persone che stanno subendo un mutamento della propria quotidianità. Con i tool e i servizi a disposizione è possibile:

  • utilizzare piattaforme di smart working avanzate per pianificare il lavoro da remoto, condividere documenti e dati ed organizzare meeting
  • informarsi, senza uscire di casa, direttamente sul proprio smartphone o tablet attraverso gli abbonamenti digitali gratuiti ad alcune testate giornalistiche nazionali
  • studiare su piattaforme di e-learning, partecipare a lezioni virtuali, condividere materiali utili e gestire lavori di gruppo e verifiche per non rimanere indietro nei rispettivi percorsi di formazione scolastici
  • leggere un libro scegliendo fra le librerie virtuali a disposizione o vedere un film in famiglia su una piattaforma di video streaming on demand
  • usufruire di piani telefonici e di connessione.

Aderire all’iniziativa

Aderire all’iniziativa e fare “solidarietà digitale”, offrendo gratuitamente un servizio o uno strumento per un periodo di tempo limitato, è davvero semplice, compilando il form “Come aderire” in fondo alla pagina.

È giusto ricordare che non è necessario essere un’organizzazione multinazionale per partecipare e condividere uno strumento digitale: basta avere una soluzione che agevoli la quotidianità delle persone di tutta Italia.

La Digitalizzazione e l’innovazione possono rappresentare, soprattutto in un momento come questo momento che sta mettendo a dura prova le vite di tutti, i metodi principali di condivisione e di connessione: con senso civico, responsabilità e usando tutti gli strumenti che la tecnologia ha a disposizione, si supererà questo periodo.

Connessi, ma pur sempre insieme.

corona birra coronavirus

5 business colpiti dal Coronavirus e 5 che potrebbero guadagnarci

  • La pandemia del Coronavirus ha colto tutti impreparati: scopriamo i business a livello globale che ne hanno risentito più di tutti e chi ne potrebbe trarre beneficio
  • La birra Corona ha percepito una crescita del 5% negli Stati Uniti nell’ultimo periodo di quattro settimane, nonostante l’assonanza del proprio brand con il virus

 

Oggi tutto sembra un po’ surreale. Questa nuova realtà fatta di misure di emergenza, smart working e distanze di sicurezza, ci sta catapultando un un mondo diverso da quello che conosciamo, in cui i social network ci avevano ormai abituato a connessioni strette anche se virtuali, con la teoria dei sei gradi di separazione.

Viaggiare ovunque, senza barriere, intrattenere rapporti commerciali da un capo al lato del pianeta, è stato in questa epoca il segno della globalizzazione. E ora, costretti a restare in case per salvaguardare la salute collettiva oltre che quella individuale, ci interroghiamo sempre di più sulla correttezza di certi modelli e sulla loro sostenibilità.

Molto più concretamente, però, i mercati e le borse ci ricordano che questa epidemia (che in meno di tre mesi ha assunto le dimensioni di una pandemia) ha attaccato anche le economie.

Abbiamo provato a dare uno sguardo ai business a livello globale per capire chi ci sta perdendo di più e chi invece ha tratto beneficio da questa incredibile situazione sanitaria mondiale, che ha colto tutti impreparati rispetto alla sua effettiva portata.

coronavirus business

LEGGI ANCHE: Il Coronavirus contagia anche l’economia: quale potrebbe essere l’impatto a livello globale e nazionale

I business più colpiti dall’emergenza Coronavirus

1. Travel

È una delle più grandi industrie del mondo, con 5,7 trilioni di dollari di entrate. È responsabile di circa 319 milioni di posti di lavoro, ovvero circa una persona su 10 che lavora sul pianeta. E nessun settore è stato più a rischio di quello del Travel a causa del nuovo Coronavirus.

L’industria dei viaggi ha già subito un enorme danno dalle restrizioni a viaggi e spostamenti, non ultimo il divieto imposto da Trump ai voli passeggeri dall’Europa. Secondo alcuni esperti, dalle compagnie aeree che hanno deciso di sospendere completamente alcune rotte come quelle italiane, agli hotel che hanno dovuto fare fronte alle cancellazioni dei soggiorni, fino alle crociere, si tratta della più grande crisi dopo quella dell’11 settembre.

“È il settore più direttamente e immediatamente influenzato”, ha dichiarato Mark Zandi, responsabile di Moody’s Analytics.

2. Sport

Mentre i governi di tutto il mondo oggi si impegnano per fermare la diffusione del virus, tra le principali misure per evitare il dilagare del contagio viene continuamente ribadita quella che recita “evitare gli assembramenti”. Per lo sport questo significa partite e match a porte chiuse nel migliore dei casi e rinvii e cancellazioni nel peggiore.

Se l’Italia ha già cancellato tutti gli eventi sportivi fino almeno al 3 aprile, anche in Nord America, Major League Baseball, Major League Soccer,  e National Hockey League hanno temporaneamente limitato l’accesso agli spogliatoi: solo giocatori e “staff essenziale”. L’NBA ha dovuto invece cancellare il campionato, a causa della positività di un giocatore.

La FIFA e la Confederazione calcistica asiatica hanno concordato di rinviare le partite di qualificazione della Coppa del Mondo.

In Grecia, gli spettatori non saranno presenti alla cerimonia di accensione della torcia per le Olimpiadi di Tokyo 2020 nell’antica Olimpia, mentre i campionati mondiali di atletica leggera indoor, in programma dal 13 al 15 marzo, sono stati rinviati al prossimo anno.

Anche le maratone di Parigi e Barcellona sono state rinviate. Gara senza pubblico in Bahrein per la Formula 1 e cancellati anche alcuni importanti incontri di tennis.

E così per quasi tutti gli altri impegni sportivi nelle diverse discipline in tutto il mondo.

Ma lo sport che si ferma, significa che anche gli investimenti dei brand sulle diverse gare e sui diversi eventi rischiano di finire nel vuoto.

Fonte: Ansa

3. Advertising

L’elenco dei grandi brand legati agli eventi sportivi del 2020 mostra anche le diverse forme in cui la sponsorizzazione può manifestarsi.

Airbnb, ad esempio, è uno dei nuovi sponsor olimpici che si è unito a partner di lunga data dei Giochi come Coca-Cola o Visa. Secondo l’avvocato Nick Breen, Senior Associate dello studio legale Reed Smith, dove collabora con clienti tra cui organizzatori di eventi, emittenti e inserzionisti per consulenze in materia commerciale, le implicazioni di una grande cancellazione saranno significative per i brand:  “Uno sponsor potrebbe trovarsi in una posizione in cui ha pagato una somma significativa per i diritti e quei diritti sono gravemente diluiti in valore o diventano inutili. Probabilmente le aziende avranno investito risorse di marketing, forse coinvolgendo agenzie di terze parti, magari organizzando concorsi a premi per i biglietti e comunque sostenendo tempi, costi e risorse considerevoli nella preparazione dell’evento”.

L’investimento in eventi come i Giochi olimpici può impegnare anche gran parte del budget annuale dei brand e dunque un’eventuale cancellazione potrebbe rivelarsi un disastro. Gli effetti sono meno gravi quando l’evento viene semplicemente riprogrammato: la soluzione migliore in quel caso è che lo sponsor continui semplicemente a sponsorizzare l’evento.

Ma l’advertising legato ai grandi eventi non è l’unico aspetto di questa epidemia.

Analisti e ricercatori pubblicitari sostengono che se il Coronavirus riuscirà ad essere contenuto in tutti i paesi attraverso le misure già messe in atto, qualsiasi budget in annunci potrà facilmente essere riallocato entro la fine dell’anno. Se invece la crisi sanitaria si protrarrà fino all’estate, l’impatto sul settore potrebbe essere più significativo.

Inoltre, aree come lo streaming TV e i videogame potrebbero non risentire affatto dell’epidemia e anzi beneficiare della presenza di un numero maggiore di persone in casa per più tempo al giorno.

Infine, un ultimo aspetto, le aziende produttrici di beni di consumo confezionati potrebbero ridurre la spesa pubblicitaria in caso di problemi di inventario dovuti a vincoli nella catena di fornitura. In questo caso cioè, i problemi di un settore avrebbero evidenti ripercussioni anche su altri.

Anche alcuni editori online, come il New York Times, hanno indicato che il COVID-19 sta iniziando a incidere sulle vendite di advertising. Le entrate pubblicitarie sarebbero già diminuite di circa il 10% in questo trimestre a causa dell’ “incertezza e ansia per il virus”

4. Eventi

Il Mobile World Congress è stato il primo grande evento a dichiarare la chiusura a causa del Coronavirus. Poi la scelta è stata seguita anche da Facebook per il suo F8, l’evento più atteso dell’anno dedicato agli sviluppatori.

In Italia, prima la Milano Fashion Week, poi il Salone del Mobile, quindi la Milano Digital Week, hanno cancellato o rimandato gli appuntamenti previsti. Un danno non solo per organizzatori e partecipanti ma anche per i tanti espositori che grazie a questi eventi stabiliscono importanti contatti commerciali e collaborazioni.

Anche Ninja ha scelto, ancora prima che le misure restrittive fossero emanate dal governo, di rinviare N-Conference, come gesto di responsabilità verso tutti.

5. Prodotti Tech

È evidente che l’acquisto di un nuovo smartphone non sarà la priorità per moltissimi consumatori in epoca di Coronovirus. In parte per le possibili difficoltà anche economiche che molti lavoratori dovranno fronteggiare, con fabbriche e uffici chiusi, e in parte perché in periodi di crisi, diventano prioritari nella mente dei consumatori i beni alla base della piramide dei bisogni.

Altro fattore, di cui non si può fare a meno di tenere conto: la produzione di moltissimi prodotti elettronici ha subito una flessione a causa della chiusura delle fabbriche cinese per questi primi mesi dell’anno, proprio lì dove si è registrato il primo epicentro dell’epidemia. Una su tutte da ricordare, la Foxconn, fornitrice di componenti per Apple.

food

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I business che potrebbero crescere grazie alla pandemia da Coronavirus

1. Food delivery

Le misure di prevenzione prima e quelle restrittive poi hanno avuto come prima conseguenza tangibile che moltissime persone passino la maggior parte del proprio tempo a casa. Questo dato così semplice ed evidente ha alimentato un aumento della domanda di servizi di consegna e di servizi digitali, con Deliveroo e Netflix tra le prime compagnie ad aver visto un incremento della domanda.

Un sondaggio del fornitore di servizi di pagamento Barclaycard ha registrato una crescita del 12,4% tra i servizi di intrattenimento in abbonamento come Netflix e Now TV, mentre il food delivery ha segnato una crescita delle vendite di 8,7%.

Un dato ancora più concreto in Italia, dove dopo le 18 l’unico sistema per i ristoranti per continuare a restare aperti è quello di optare per il take away.

2. Streaming

Sebbene secondo alcuni analisti questa temporanea crescita di Netflix potrebbe rivelarsi un boomerang per la società, che nel lungo periodo rischia di non veder tramutare i nuovi iscritti in abbonamenti a pagamento, il servizio di streaming potrebbe superare le aspettative nel secondo trimestre, a causa dell’impatto dell’epidemia di Coronavirus COVID-19.

In generale il trend dello streaming video è un grande business e diventa sempre più grande. Le entrate del settore dovrebbero ammontare a 25,9 miliardi di dollari quest’anno, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 4,1%, secondo Statista.

L’analista Michael Olson di Piper Sandler ha pubblicato i risultati preliminari del suo “Netflix Navigator” trimestrale e ha riscontrato una tendenza crescente nei primi due mesi del trimestre, dimostrando che Wall Street potrebbe sottovalutare seriamente il numero di consumatori che si iscrivono a Netflix.

3. Prodotti per l’igiene e dispositivi sanitari

Certo, basta dare uno sguardo ai meme sui social perché il dato sia lampante: le persone sono preoccupate per il virus e di conseguenza anche per germi e batteri, o più in generale per l’igiene. Si rivolgono quindi a prodotti disinfettanti come Amuchina, Napisan, o Purell, Lysol, Clorox, per andare oltreoceano.

Così, nel mezzo della crescente minaccia da Coronavirus, tutti sono concentrati verso questo nuovo e invisibile nemico, da combattere con ogni arma: disinfettanti, mascherine, guanti. Negli Stati Uniti, Purell ha assistito a un picco della domanda senza precedenti.

Gli enti per il controllo della pubblicità in tutto il mondo hanno dovuto ricordare ad alcuni marchi, inquadrati come veri e propri dispositivi medici, che non è possibile promuovere questi prodotti come un qualunque detersivo per l’igiene, e dall’altro lato piattaforme come Amazon, eBay o Facebook hanno dovuto mettere al bando gli annunci allarmistici dei venditori di mascherine, i cui costi saliti alle stelle hanno richiesto anche un intervento dell’antitrust.

4. Servizi per lo smart working

Ne hanno parlato davvero tutti e lo smart working è stato finalmente una scoperta per tanti lavoratori italiani. Nonostante si sia dovuto aspettare un momento di crisi per attuarlo secondo la normativa, insomma, questa forma di lavoro agile è oggi una realtà.

Per metterlo in pratica molte aziende hanno fornito strumentazione hardware ai propri dipendenti, e comunque hanno adottato soluzioni in cloud e altri servizi di condivisione del lavoro utili nelle gestione del team.

Da G Suite a Trello e a Slack, fino all’infinita serie di possibili tool, ciascuno adatto alle diverse esigenze aziendali, il digitale sta davvero dando una mano a non fermare completamente il Paese (e il mondo).

elearning e smart working

5. eLearning

Ne abbiamo parlato diffusamente e a più riprese anche qui su Ninja: con le scuole e Università chiuse, anche queste istituzioni hanno dovuto fare i conti in modo emergenziale con l’istruzione a distanza.

Servizi per l’eLearning, piattaforme per la creazione di classi virtuali e la condivisioni di materiali, ma anche corsi già disponibili online, come quelli di Ninja Academy, sono diventati l’alleato indispensabile per continuare a studiare e, diciamo la verità, per colmare in parte il vuoto delle giornate in casa.

Chissà che il ritorno alla normalità non ci trovi anche tutti più preparati e più colti.

E la birra Corona, ha davvero subito una crisi delle vendite a causa del Coronavirus?

La birra Corona, storico marchio di proprietà del gigante delle birre Anheuser-Busch InBev, secondo alcune fonti aveva lamentato un drastico calo delle vendite, soprattutto sul mercato cinese, a causa della assonanza del proprio brand con il virus che ha messo in ginocchio il mondo. “Per i primi due mesi del 2020 stimiamo che la diffusione del virus ha causato perdite dei ricavi per circa 285 milioni di dollari”, aveva comunicato la multinazionale, come riportato anche da La Repubblica.

Numeri riportati anche dalla Cnn, secondo cui i consumatori americani sarebbero in fuga dalla bevanda a causa dell’infelice omonimia.

Tuttavia, secondo i sito di verifica delle notizie FactCheck.org, Constellation Brands, il produttore di Corona, avrebbe affermato che le sue vendite negli Stati Uniti sono aumentate nella prima parte dell’anno e la società non ha molta esposizione ai mercati internazionali, come la Cina, che hanno subito un impatto maggiore dalla malattia.

Le vendite di Corona Extra sono cresciute del 5% negli Stati Uniti nell’ultimo periodo di quattro settimane, conclusosi il 16 febbraio.

La disinformazione sulla birra sarebbe stata alimentata proprio dal sondaggio secondo cui alcuni bevitori di birra avevano smesso di acquistare birra Corona a causa del COVID-19.

La società che aveva condotto la survey ha poi reso noto che il 38% degli intervistati “non avrebbe acquistato Corona in nessun caso”.

Poche donne tra i leader più innovativi. È ancora tutta questione di Gender Gap?

  • 100 i leader più innovativi secondo Forbes, classifica stilata in base ad Innovation Capital e reputazione online, una sola donna in classifica e Bezos e Musk al primo posto a pari merito
  • L’unica donna presente, Barbara Rentler, è la rappresentante di quello che ancora è un fenomeno particolarmente evidente: il gender gap

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Stilare una classifica dei 100 leader più influenti al mondo è assolutamente una cosa seria e Forbes lo sa molto bene.

Forbes, infatti, non solo compone la classifica dei 100 leder economici più influenti d’America, ma anche, contemporaneamente, un elenco delle 100 aziende più innovative dell’anno, e non sempre aziende e leader corrispondono.

La metodologia ben rodata e schematizzata permette, all’illustre rivista, di comporre la classifica annuale su una base di analisi quinquennale e prendendo in considerazione quattro parametri precisi.

La vera sorpresa? È che in questo elenco di 100 nomi le donne sono pochissime, se non quasi del tutto assenti.

Metodologia di analisi: è tutta questione di Innovation Capital, o quasi

LEGGI ANCHE: Non solo Facebook, Google e Amazon: ecco le aziende Tech da tenere d’occhio secondo Nasdaq 100

Ormai è tradizione, la rivista Forbes ogni anno stila una classifica dei leader più influenti d’America e lo fa attraverso un metodo provato e consolidato negli anni che comporta, oltre che la raccolta e l’analisi di dati finanziari, anche la registrazione di informazioni reputazionali di imprese ed imprenditori.

In particolare vengono messi sotto microscopio i CEO delle società, intese come sedi centrali o unici titolari, prendendo in considerazione:

  • Media Reputation for Innovation, ossia quello che i media dicono dei leader più innovativi in merito a quanto le aziende che conducano abbiano compiuto passi avanti in materia di innovazione guadagnando, quindi, sempre più punti anche in merito al valore di mercato dell’impresa. Questa caratteristica è essenziale in quanto un team attento all’innovazione, crea un brand innovativo che attira una clientela sempre più attenta a nuove tecnologie. Essere un leader innovativo significa, non solo essere attenti all’innovazione, ma anche avere una visione a medio e lungo periodo che porti l’azienda proiettata nel futuro combinando capacità e potenzialità disponibili.
  • Social Capital, quanto l’azienda è inserita nel contesto sociale in cui si trova, che seguito ha e quanta capacità di influenzare il pubblico nelle loro scelte e un leader con questa caratteristica deve saper metterci la faccia nelle iniziative della propria azienda, partecipandovi in prima persona.
  • Track Record for Value Creation, l’incremento o il decremento che l’azienda e il leader sotto esame hanno avuto negli ultimi anni, inteso proprio come il suo valore economico di mercato e per gli stakeholders.
  • Investor Expectations of Future Value Creation, semplificando, le aspettative di crescita che il mercato ha nei confronti di una determinata azienda sia in materia di innovazione sia in materia di capitali.

Tutto qui? Negativo, manca il cosiddetto dato di Innovation Capital, il parametro, forse più difficile da monitorare e che potremmo paragonare al vecchio e caro “pierraggio”.

Avere l’Innovation Capital, infatti, vuol dire avere capacità relazionali e soft skills in grado di farti reperire sul mercato finanziamenti, aiuti, spazi pubblicitari, nuovo pubblico, insomma maggiore attenzione da tutti gli shareholders.
Si dice che questa caratteristica sia innata, può solo essere allenata per il raggiungimento dell’obiettivo.

Qualcuno potrebbe dire che essere “carini e coccolosi” aiuta e non solo per entrare nell’olimpo di Forbes, ma anche per attirare nuovi capitali ed investimenti dal mercato.

I 100 leader secondo Forbes, una la donna in classifica

Forbes annuncia i 100 leader più innovativi d’America, ma tra loro solo una donna.

La classifica completa è disponibile online e la puoi consultare a questo link.

Direi però che la cosa più importante non è trovare il podio composto da 3 degli uomini più influenti al mondo, non solo negli USA, ce lo si aspettava, ma che tra i 100 nomi compaia solo un nome femminile: al 75esimo posto Barbara Rentler, CEO di Ross Stores, la catena di grandi magazzini low cost americana.

Scendendo in profondità con l’analisi vediamo come non ci sia un secondo posto, ma due primi classificati: Jeff Bezos (Amazon) ed Elon Musk (Tesla). Il primo con un reddito netto di 127 miliardi di dollari è uno degli uomini più ricchi al mondo e founder del colosso Amazon, sicuramente un self-made-man, ha dato vita a quello che oggi è Amazon in casa sua nel 1994 quando l’idea di eCommerce era ancora lontana. Il secondo, invece, un reddito netto che si attesa a 43 miliardi e una reputazione che nasce nel 2003 insieme al suo brand di auto elettriche, Tesla. Non più a capo di Tesla, ma a questo nome ancora legato è anche il fondatore di SpaceX, il brand che vuol rivoluzionare i viaggi nello spazio.

Il terzo posto è ricoperto dal giovane Zuckerberg. Il fondatore e CEO di Facebook si attesta su un reddito netto superiore a quello di Musk, ma i recenti scandali legati alla privacy e commercializzazione dei dati dei suoi utenti gli hanno fatto perdere popolarità.

Potremmo analizzarli tutti, da Tim Cook a Larry Page o al CEO di Netflix, ma andiamo direttamente al 75esimo posto, l’unico in rosa: Barbara Rentler, CEO di Ross Stores.
L’unica leader inclusa nella lista è l’esempio di donna che ha fatto carriera all’interno dell’azienda, partendo da fine anni 90 come parte del team arrivando nel 2014 a prendere il posto di CEO di Ross Store, la catena di grandi magazzini americani delle vendite sottocosto.

Gender Gap, siamo ancora molto lontani dal traguardo, ma di chi è la colpa?

LEGGI ANCHE:La leadership femminile nel business cresce, ma salari e investimenti ancora non aiutano

Non credo che sia di Forbes la colpa o l’errore di non aver analizzato troppo bene il parterre di leader USA disponibili, credo più che questo sia, ancora una volta, il segnale per il quale il numero di leader innovative donne sia di gran lunga inferiore a quello maschile ed il motivo è semplice: ancora poche donne possono aspirare ad una carriera direzionale nel 2020.

L’analisi condotta da Forbes ha registrato il numero di leader al femminile come il 5% del totale delle private company con una percentuale di donne all’interno dei board direttivi delle FTSE 100 che, a fine 2018, si attestava sul 21% con una crescita dal 2011 del solo 7%.
Il problema quindi, è ancora in forte gender gap tra uomini e donne nell’ambito delle loro possibilità di crescita lavorative.

Alcuni, per ovviare al problema, parlano di intrapreneurship, ossia la possibilità che venga assegnato ad un membro del team, anche donna, un progetto particolare su cui fare focus in modo responsabile e coordinando un team ad hoc, come un’azienda nell’azienda. Questo metodo permette a chi sta ai piani alti di scovare i propri talenti aziendali e ai collaboratori di sperimentare e sperimentarsi.

Sicuramente il tema di genere è ancora molto forte e sentito con una stima temporale per il raggiungimento dell’uguaglianza che si attesta sui 100 anni, nonostante il continuo mantenimento delle differenze porti a perdite economiche di miliardi di euro, ma finché le donne non potranno essere quello che sono, madri ed emotive comprese, sul loro posto di lavoro verranno considerate inferiori e l’anello debole della catena imprenditoriale, con uno stipendio minore e minori possibilità di fare carriera.

Ma non è giusto guardare solo lo scenario apocalittico, secondo Forbes, infatti, nell’ultimo decennio alcuni passi avanti sono stati fatti ed in particolare:

  • 170 Paesi al mondo hanno raggiunto la parità di educazione, o quasi, tra uomini e donne
  • La disparità uomo-donna è diventata uno dei temi inseriti nella Global agenda
  • La presenza di donne al governo è aumentata del 40%
  • Le barriere tra quote blu e quote rosa si sono fatte meno solide in quelli che sono i campi lavorativi e di possibilità di autoaffermazione, grazie a movimenti indipendenti, a Big Company che si sono fatte esempio e portavoce della parità di trattamento (Google, Facebook, Microsoft tra tutte), alle nuove generazioni in cui essere uomo o donna al lavoro non è più così discriminante
  • Gli uomini stessi chiedono un cambiamento, come la possibilità di avere un sussidio di paternità per stare con i propri figli o il desiderio di stare a casa a pensare alla famiglia lasciando la donna ad occuparsi del sostegno economico

Quindi che fare? Sicuramente c’è ancora molto in cui impegnarsi. Un buon punto di partenza sarebbe quello di diminuire quei 100 anni che ci separano dall’uguaglianza.

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Bloomberg: una campagna da mezzo miliardo di dollari per vincere alle Isole Samoa

  • Il Super Tuesday per Mike Bloomberg si rivela una grande lezione di comunicazione e di business
  • “Mini Mike” concentra tutte le sue risorse spendendo mezzo miliardo di dollari in soli tre mesi

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Cosa faresti con mezzo miliardo di dollari di budget a disposizione? Il sogno proibito di ogni pubblicitario del mondo è probabilmente avere un cliente come Mike Bloomberg, il nono uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di oltre 55 miliardi di dollari; molto più di Donald Trump, i cui risparmi non raggiungono i quattro miliardi.

La storia va così: l’ex sindaco di New York, eletto con il Partito Repubblicano e poi passato ai Dem, ha un unico grande obiettivo in mente per il 2020: vincere le primarie democratiche e poi battere Donald Trump a novembre. Ci mette un po’ per decidere di scendere in campo, salta la tornate elettorali in Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina (primo grande errore!) e decide di concentrare tutte le sue risorse sul Super Tuesday, la giornata in cui vanno al voto il maggior numero di stati e in cui – di fatto – diventa chiaro chi sarà il frontrunner del Partito e il possibile sfidante del presidente in carica.

Per realizzare il suo progetto Bloomberg mette in campo una macchina elettorale mai vista finora, con una massiccia programmazione di ads TV e social in tutti gli stati coinvolti. Il conto è salatissimo: mezzo miliardo di dollari in soli tre mesi.

Tuttavia, durante questo bombardamento di spot e annunci sponsorizzati, il vento per il vecchio Joe Biden inizia a girare nel verso giusto, e lo si capisce già con la vittoria nel South Carolina, che scatena una reazione a catena che porta l’ex vicepresidente di Obama a raccogliere l’endorsement di tre candidati alle primarie dem, dopo il loro ritiro: Pete Buttigieg, Amy Klobuchar e Beto O’Rourke.

Arriva finalmente il tanto agognato Super Martedì e “Mini Mike”, come nel frattempo lo ha ribattezzato il presidente Trump, è certo che la sua strategia avrà successo: un diluvio di spot avrebbe persuaso gli elettori a dargli la preferenza. Qualcosa però va storto: i dati che iniziano ad arrivare sono sconfortanti.

A notte fonda l’amaro esito: 500 milioni per vincere unicamente nelle American Samoa, un piccolo arcipelago del Pacifico la cui capitale, scherzo del destino, si chiama Pago Pago.

LEGGI ANCHE: Elezioni USA 2020 e comunicazione aziendale: quale sarà la strategia vincente?

mike bloomberg comunicazione politica

Il cliente (non) ha sempre ragione

Torniamo all’inizio: fate finta di essere il famoso consulente (che ha nome e cognome e si chiama Tim O’Brien) a cui Bloomberg consegna 500 milioni di budget per il piano mezzi (una torta divisa fra tanti media, non ultimo Facebook); il magnate newyorchese ha in testa un’idea precisa di America e un’idea precisa di comunicazione da portare avanti.

Voi sapete che l’elettorato democratico ha altre preferenze, che le contingenze di queste elezioni sono molto particolari, che il vostro candidato non è così forte come pensa di essere, ma lo accontentate lo stesso.

Invece di usare il budget per messaggi che i democratici moderati avrebbero voluto sentire: annunci anti-Trump basati su dati fattuali, messaggi anti-Sanders e contro le derive estremiste o socialiste, il team della campagna elettorale di Bloomberg spende centinaia di milioni di dollari puntando su nicchie di voto inutili al fine del risultato finale.

Tutti gli errori, in due spot:

  • Errore 1: pensare che la propria visione del mondo e le proprie antipatie/simpatie personali possano trovare appeal nell’elettorato

Mike immagina un target elettorale liberal piuttosto naif, pronto a sposare la causa di un ex repubblicano diventato ultra-liberal che lotta per i temi sociali. Non solo immagina l’esistenza di questo target ma spende centinaia di milioni indirizzando ads verso un pubblico, di fatto, estremamente minoritario nel paese reale.

“Mini Mike” ha ignorato le ricerche di mercato o ha avuto consulenti che gli hanno mostrato soltanto quello che voleva vedere?
Lo spot andato in onda in occasione del Super Bowl ne è un esempio: la NFL ha un target medio di spettatori di circa 50 anni, per lo più conservatori. Le statistiche ci dicono invece che appena il 28% dei giovani va a votare, giovani che sarebbero invece più sensibili a certe tematiche liberal. Concentrare la visibilità su uno spot sul Gun Control risulta quindi piuttosto azzardato.

  • Errore 2: posizionarsi su una nicchia di mercato satura

Il magnate dei media che, grazie alle proprie risorse illimitate, lancia una vera e propria OPA sul Partito Democratico e diffonde messaggi sociali, non può essere credibile: la base democratica aveva già trovato in Bernie Sanders il paladino delle politiche socialiste e in Joe Biden l’uomo della continuità obamiana.

Commentiamo con Mirko Pallera, direttore di Ninja, i risultati del Super Martedì e la riflessione è proprio questa: «Fare sempre quello che dice il cliente non è un bene per lui ma nemmeno per il consulente. Il risultato che ne verrà fuori parlerà anche di chi ha dato la consulenza. Quindi meglio essere onesti intellettualmente e restare professionali. Il bene del cliente si fa a volte anche dicendogli di no».

La prossima volta che vi diranno che le elezioni le vincono i ricchi…

Rispondetegli che semplicemente non è vero. Alessandro Tapparini, opinionista ed esperto di politica americana ci confida: «In una campagna elettorale ovviamente i soldi contano eccome; ma anche in una campagna elettorale, come in molte altre cose, non conta solo quanti soldi si spendono. Conta moltissimo anche come li si spende. Un fiume di soldi speso male sfocia comunque nello scarico del water».

Questo Super Martedì passerà alla storia anche come una grande lezione di comunicazione e di business: sfatiamo il mito che in politica “bastano i soldi per vincere” e allo stesso tempo aggiorniamo i manuali di marketing politico con una case history che ha del surreale.

Insomma, tutti i professionisti della comunicazione dovrebbero imparare la lezione: «La prossima volta che vi verranno a dire che nella politica americana vince sempre quello che ha più soldi in tasca, ricordategli di quella volta che Mike Bloomberg spese mezzo miliardo per vincere alle Isole Samoa».