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Tutto il Marketing che Verrà

Tutto il Marketing che verrà

  • Nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano
  • Nella società dei consumi la percezione dell’essere consumatori è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità
  • La sfida che si apre ai professionisti di Marketing non è sul what, ma sull’how

 

Buone notizie da Covid-19

Se questo fosse stato un blog post, avresti avuto tutte le migliori ragioni per criticare il titolo che ho dato al paragrafo, troppo simile all’esca del click baiting usata ancora da tanti (sedicenti) giornalisti e writer. In effetti, Covid-19 non porta quasi mai buone notizie, anzi. Piuttosto, porta notizie meno negative.

Se c’è una cosa che la storia delle pandemie e delle crisi insegna, e che gli analisti (in primis, finanziari) ci stanno ripetendo in continuazione dagli inizi, è che anche lo stress di Covid-19 finirà. Questa è in realtà una prima buona notizia, e dobbiamo prepararci a quello, dopo ben più di 40 giorni chiusi in casa o comunque molto limitati nella nostra quotidianità. Dobbiamo prepararci come persone, ma anche come professionisti. Se poi lavoriamo nel marketing, questa preparazione non è solo importante ma essenziale.

E qui, sta una seconda buona notizia: nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano, stanno probabilmente vivendo un periodo di maggiori ristrettezze economiche, vivono una giornata diversa che richiede nuovi punti e modalità di contatto.

A proposito, ti consiglio l’ottimo e ricco osservatorio globale di McKinsey con dati legati a cosa stanno provando e a come si stanno comportando i consumatori. Anche perché nella società dei consumi dove in Italia viviamo da tempo, proprio la percezione dell’essere consumatori e consumatrici è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità. Consumo dunque sono, ci avrebbe ricordato il grande Zygmunt Bauman. Immaginiamo le attuali economie a maggior tasso di crescita, come quelle asiatiche: appena i consumatori cinesi hanno potuto uscire nuovamente di casa, hanno dato vita al fenomeno del revenge spending, ovvero della spesa rabbiosa e senza sosta, dopo settimane di forzature e ristrettezze imposte. Per la felicità di brand del luxury come Hermès, che nella sola boutique di Canton e nel solo giorno di riapertura dopo il lockdown ha fatturato la bellezza di 2.7 milioni di dollari (che in euro, sono 2.5 milioni).

Dunque, Covid-19 finirà e i consumatori esistono ancora. Già queste mi sembrano due belle notizie, in mezzo a tante difficoltà. La sfida che si apre ai professionisti di marketing non è dunque sul what, ma sull’how: come leggere il mondo che verrà?

La marketing personas di Covid-19

Da professionisti, un esercizio utile che possiamo fare (e che personalmente ho fatto più volte) per dare forma e sembianze al Covid-19 è antropomorfizzarlo.

L’antropomorfismo è l’attribuzione di caratteristiche e qualità umane ad esseri animati o inanimati o a fenomeni naturali o soprannaturali.

Antropomorfizzare, nel marketing, è un fenomeno comune e con una lunga storia di ricerche e progetti alle spalle: lo si fa, per esempio, per dare ai brand maggiore concretezza e poterne comunicare meglio l’identità. I ricordi personali più vividi riportano alla memoria personaggi come Bibendum (l’Omino Michelin) o le forme umane (anche se comunque idealizzate) dei profumi La Femme e Le Male dello stilista Jean-Paul Gaultier.

Tutto il Marketing che verrà

Ecco, proviamo adesso a fare lo stesso esercizio con il Coronavirus e chiediamoci: se fosse una persona, come sarebbe a livello di tratti, personalità, fisico?

E allora, Covid-19…

  1. è straniero (Cinese)
  2. viene da zone periferiche, di mercati e mercanteggiamenti
  3. è solitario
  4. è magrolino e snello
  5. [in modo contro-intuitivo rispetto al punto 4] è molto forte
  6. non solo è forte. Ha una forza esplosiva e contagiosa
  7. è dunque e in qualche modo irresistibile
  8. è infido, sempre pronto a colpire (fatalmente) alle spalle
  9. [per tutti i motivi sopra] è totalmente inaffidabile

Come ben segnalato dall’amico, collega e co-autore Joseph Sassoon nell’articolo “Fighting the Unknown: The Powerful Symbolism of the Coronavirus Crisis”, un’ulteriore caratteristica di Covid-19 deve fare riflettere: il nome. Riporto testualmente il suo pensiero:

When magnified, with its ‘corona’ (crown) it appears at the same time beautiful and horrific.

Coronavirus’, in effetti, è un nome esplosivo e altisonante. Regale e killer allo stesso tempo.

Brand new world

Quando ero studente in business school, mi aveva affascinato molto il titolo di un libro: si chiamava e si chiama ancora Brand New World, lo ha scritto Nello Barile nel 2009 per l’editore Lupetti. Un gioco di parole chiaro su come già allora il modo di pensare e progettare i brand stesse cambiando, rinforzato da un’altra riflessione più recente pubblicata su Advertising Week dall’ex docente di Harvard e imprenditore Erich Joachimsthaler: “It’s a Brand-New World When It Comes to Building Brands”.

Oggi più che mai, dobbiamo ripensare il nostro marketing tenendo conto di tale nuova personas appena discussa. Una personas che in tanti dicono rimarrà nella nostra testa e nelle nostre abitudini, anche dopo questi mesi difficili.

Come possiamo rispondere? Vincenzo Cosenza ha prodotto una matrice del marketing emergenziale utile per iniziare a posizionare il comportamento dei business al tempo del virus in funzione dello stato psicologico del management e dell’approccio al marketing.

Tutto il Marketing che verrà

Più nel concreto, servirà una trasformazione del marketing e del business: personalmente, parlo proprio di marketing transformation. Anche perché nel 2003 era la Sars, nel 2008 la crisi finanziaria e nel 2020 Covid-19: dobbiamo diventare resilienti e innovativi by design: quel mondo VUCA (volatile, uncertain, complesso, ambiguo) su cui ci hanno tanto stressato nel tempo, è arrivato ed è qui per restare. Da dove puoi e possiamo partire?

A mio avviso, sono tre i principali paradigmi trasformativi su cui come Marketing Expert dobbiamo iniziare a lavorare.

1. Dal journey delle persone, al journey per le persone

Customer journey dinamici, social, digital, consumer decision journey: tante parole scritti da tanti (a memoria, McKinsey, Altimeter, Jeremiah Owyang, Brian Solis, …) che indicano una profonda e crescente difficoltà nel tempo da parte delle aziende di mappare e disegnare percorsi di marca e di interazione con le audience davvero efficaci. Troppo touchpoint, troppa volatilità nelle preferenze, troppa poca fedeltà alla marca o al prodotto.

D’altronde, con un semplice gioco di lettere il futurologo Brian Solis su Instagram mostra come, aggiungendo una ‘s’ possessiva alla parola customer journey, passiamo a un sorprendente customer’s journey. Appunto, a un journey quasi posseduto dalle persone, senza possibilità alcuna per le aziende di governarlo o almeno orientarlo. Covid-19 sta digitalizzando la società e l’economia, e alla base del digitale sta il dato.

Non abbiamo più scuse: la relazione tra marketing, data management e tecnologia è ormai molto forte. Gianluigi Zarantonello ne ha scritto anche un libro per la collana che dirigo in FrancoAngeli: si chiama Marketing Technologist. Dobbiamo rinforzarla e rinforzare le competenze su tutti e tre i domini, perché solo grazie al dato e alla corretta strategia tecnologica a suo fondamento possiamo tornare in possesso del customer journey, e possibilmente anticiparlo per deliziare i clienti. Clienti che proprio oggi stanno facendo ampio utilizzo di Amazon, delle piattaforme di food delivery e di altri player densi di tecnologia, i quali applicano a dovere questo triage sin dalla loro nascita. Non pensare che, dopo due mesi abbondanti passati così e il mondo nuovo che sta nascendo, accetteranno ancora di fare la fila alle poste.

2. Dall’omnicanale, al policanale

L’idea del policanale non è mia, per sfortuna. L’ha proposta l’evangelist italiano Ivan Ortenzi in un talk online che puoi ritrovare su YouTube, ed è molto interessante: semplicemente, nel dopo Covid-19 e per un po’ di tempo possiamo scordarci l’omnicanalità, perché alcuni canali non li vorremo vedere o faremo fatica a farlo. Pensa a tutto il mondo del retail fisico e degli store, quanta fatica farà. Si parla di distanze minime di 2 metri, di sterilizzazione dei capi di abbigliamento una volta che vengono provati dai potenziali clienti, di chiusura prolungata dei luoghi più a rischio diffusione del virus come le palestre e i cinema. Hai visto gli spoiler billboard, l’idea proposta da due studenti della Miami Ad School di Amburgo di tappezzare le città di manifesti con spoiler eclatanti delle più popolari serie Netflix per far desistere le persone dall’uscire e contribuire alla prevenzione del Coronavirus? Ecco: trovo renda molto bene l’idea. Omnicanalità, adieu.

Al contrario, i touchpoint dovranno essere attentamente identificati e selezionati, il budget ottimizzato e gestito sempre più in tempo reale, e nuovi modi di contatto ora futuristici per certi mercati – penso ad AR, VR, AI Assistant, tecnologie olografiche – diventeranno la realtà. A proposito, ti consiglio il report prodotto da Futurum e SAS sulla customer experience 2030, ricco di suggestioni che stanno per arrivare a partire da una ricerca globale su un campione di più di 4.000 rispondenti equamente suddivisi tra brand e consumatori.

3. Dai touch point, ai trust point

Quando parliamo di canali e touch point, parliamo di contesto: conoscerlo è di grande valore, ma bisogna prestare molta, molta attenzione alle insidie legate alla privacy e alla tutela del dato che lo abilita. Soprattutto sui mercati europei protetti da GDPR.

L’edizione 2020 del Trust Barometer, il report che l’agenzia di relazioni pubbliche Edelman dedica annualmente alla misurazione della fiducia, riporta alcuni risultati per me impressionanti. Su tutti, l’attesa da parte dei consumatori che i brand agiscano e prendano posizione rispetto ai grandi temi sociali, economici, etici.

Tutto il Marketing che verrà

Una novità bellissima, nonché una grande opportunità per le aziende e i business in un momento dove la reputazione di politica e istituzioni è ai minimi di sempre. Allo stesso tempo, come mi ha recentemente fatto notare il CIO di illimity Filipe Teixeira in un webinar che ci ha visto coinvolti, una sfida di digital trust e cybersecurity impressionante. Se la metà delle persone coinvolte nella survey Futurum / SAS che ho citato sopra sono disponibili a condividere i propri dati in cambio di valore, attraverso la tecnologia questi dati devono restare in buone mani, ed essere utilizzati per renderle ancora più consapevoli del valore che stanno ottenendo.

Già nel secondo punto ho ricordato come, quando parliamo di customer experience, le interazioni avvengano principalmente tramite i diversi punti di contatto che l’azienda ha progettato e gestisce nei confronti dell’ecosistema connesso. Il problema dei touch point, sta proprio nella credibilità. Amplificati dal digitale, fake news, gossip, storytelling negativi mettono sempre più a dura prova la percezione di affidabilità che abbiamo dei diversi canali. Con il rischio che i touch point si trasformino in terreno di contro-narrazioni – a volte di vere e proprie battaglie conversazionali – tra persone e aziende. Nel mondo digitalizzato di oggi è difficile giudicare ciò che è autentico, da dove viene l’informazione e chi l’ha eventualmente modificata.

La soluzione a questo problema sta probabilmente nel passaggio da touch point come il discusso Facebook (ricordi lo scandalo Cambridge Analytica?) a trust point come la blockchain o altri ‘luoghi’ abilitati dalla tecnologia dove la fiducia può essere co-creata e approfondita. Un discorso valido soprattutto nei settori che soffrono maggiormente a livello reputazionale.

Allora, ho trattato tre punti impegnativi vero?

Da parte mia non ho ancora soluzioni a proposito, ma ho la consapevolezza che su questi si giocherà tanto del marketing di domani.

email marketing

L’eCommerce ai tempi del Coronavirus: numeri, trend, scenari e strategie

Casaleggio Associati è al lavoro sulla nuova ricerca E-commerce in Italia 2020 – Vendere online ai tempi del Coronavirus. Giunta alla XIV edizione la ricerca verrà presentata il 19 maggio alle ore 15.00 durante un evento digitale trasmesso in streaming.

Come ogni anno, la ricercaE-commerce in Italia” di Casaleggio Associati farà il punto su numeri, trend e strategie adottate dai principali operatori del mercato.

Lo studio mette in luce l’andamento del commercio online al dettaglio nel Mondo, in Europa e nel nostro Paese, in crescita a doppia cifra anche nel 2019. Non mancheranno dettagli sui principali trend, che fanno emergere sempre di più l’importanza della digitalizzazione e delle tecnologie esponenziali per l’evoluzione e l’innovazione delle aziende italiane dei vari settori.

eCommerce coronavirus

Il focus sull’eCommerce nella fase dell’emergenza

Un focus, in particolare, verrà dedicato all’eCommerce ai tempi del Coronavirus. Se da una parte, infatti, gli acquisti online stanno garantendo grandi performance alle aziende impegnate ad esempio nei settori merceologici dell’alimentare, molti altri settori sono fortemente in crisi e solo un’adeguata strategia può permettere un rilancio. La pandemia e il lockdown stanno cambiando ancora più velocemente le dinamiche di acquisto e i mercati, anche quelli online.

La ricerca di quest’anno punta anche ad evidenziare quali sono le strategie che le aziende stanno applicando e che possono applicare per far fronte alla situazione, ed eventualmente, accelerare la ripresa.

Nel rapporto verranno raccontati casi aziendali nazionali di successo, che potranno essere d’ispirazione per tutte quelle piccole e medie imprese che ancora non hanno saputo cogliere il vantaggio della vendita online.

LEGGI ANCHE: Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

Per partecipare allo streaming

La partecipazione è riservata ai merchant eCommerce: imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, responsabili marketing, responsabili e-commerce e responsabili Internet.

Per iscriversi alla presentazione e ricevere gratuitamente il report basta registrarsi sulla pagina dedicata all’evento: https://www.casaleggio.it/e-commerce/

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10 serie TV da guardare (o da ripassare) durante la quarantena

  • Durante questi ultimi giorni di quarantena abbiamo sempre la possibilità di pianificare la nostra permanenza in casa;
  • Nella miriade di proposte Netflix, Now, Amazon e delle altre piattaforme on demand, abbiamo selezionato alcune serie TV (anche un po’ imrpobabili) da guardare per tenerci occupati.

 

Manca ancora tempo per tornare a una vaga forma di normalità e poter godere appieno dei profumi e dei colori di questa primavera. La quarantena mette a dura prova la stabilità emotiva di molti, ma per fortuna abbiamo sempre la possibilità di pianificare la nostra permanenza in casa.

Nella miriade di proposte Netflix, Now, Amazon e delle altre piattaforme on demand, ci ritroviamo a passare la maggior parte del tempo nella ricerca di qualche serie interessante da vedere. Per questo, con la preziosa collaborazione del nostro divano ormai sformato, abbiamo selezionato alcune serie TV da guardare per tener occupata qualche altra settimana.

Summertime – Drammi e ribellioni da adolescenti

In uscita a fine aprile, la serie Summertime, tutta italiana, è ispirata al romanzo di Federico Moccia “Tre metri sopra il cielo”. Il leggero teen drama di Netflix racconta la storia d’amore tra due ragazzi provenienti da realtà abbastanza diverse. A far da sfondo ci sono gli amici, l’estate e le feste sulla riviera romagnola; un viaggio tra emozioni, introspezioni, incertezze e desiderio di evolvere individualmente anche attraverso l’altro. Del resto, dopo l’estate, niente è come prima.

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Self-made: la vita di Madam C.J. Walker – Emancipazione in prima linea

Ancora da Netflix, una miniserie che ci fa conoscere la vera storia della prima donna afroamericana riuscita a creare da zero un impero milionario, all’inizio del ‘900 negli Stati Uniti. Sarah Breedlove è stata infatti la prima imprenditrice nel settore della cura e della bellezza dei capelli.

Il successo creato dal suo brand ha dato voce all’emancipazione femminile, oltre che all’inclusività razziale. La prima donna ad aver dato dignità alle donne di colore, dimostrando come la tenacia e la determinazione si siano affermati in uno scenario sociale annebbiato dallo schiavismo.

The Midnight Gospel – La serie animata psichedelico-filosofica

Dall’ideatore di Adventure TimePendleton Ward, ecco una nuova serie animata da vedere su Netflix. Clancy è lo strano protagonista che attraverso un congegno dalla dubbia forma riesce a esplorare universi sconosciuti.

Dai suoi viaggi e dagli incontri scaturiscono scene psichedeliche e coloratissime con personaggi buffi e surreali che lasceranno al protagonista tutto il tempo per elucubrazioni mentali, riflessioni filosofiche e domande esistenziali. Un po’ come sta succedendo a noi in questo particolare momento, anche senza esplorare mondi paralleli.

LEGGI ANCHE: È davvero crisi per Netflix o il pioniere dello streaming ha ancora delle carte da giocare?

Zero Zero Zero – La serie sull’impero mondiale della criminalità

Il viaggio di un carico di cocaina dal Messico fino alla Calabria. Cinque nazioni, famiglie, diverse culture e problematiche coinvolte. Dopo Gomorra, Suburra e Romanzo Criminale, un altro lavoro diretto da Sollima, tratto dall’omonimo romanzo di Saviano, in streaming su Sky Atlantic e Now.

I clan, il sistema criminale e l’illegalità rimangono i protagonisti di questa serie anche se lasciano molto più spazio alle evoluzioni e ai drammi personali. Le famiglie infatti sono narrate attraverso i loro meccanismi psicologici, le loro debolezze, la loro umanità. Zero zero zero è sviluppata su due binari: da un lato c’è la malavita descritta secondo i diversi sistemi-‘Ndrangheta e Narcotraffico– dall’altro c’è il punto di vista umano, personale, non molto distante dalla legale normalità.

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The Knick – Tra chirurgia e tossicodipendenza

Il Knickerbocker è un ospedale della New York del 1900. Il dottor Thack è alla guida dell’istituto dopo che il suo mentore si è tolto la vita. Il personaggio si ispira a William Halsted, un riconosciuto chirurgo di quel periodo e, come lui, Thack, è un eccellente medico, nonostante la dipendenza dalla cocaina e il carattere schivo e scontroso.

La storia è ambientata in un’America incatenata ai retaggi sociali e culturali dell’epoca, razzismo primo su tutti. Insediamento di popolazioni europee, corruzione di funzionari pubblici e mercato nero dei cadaveri come oggetto di studi ed esercitazioni, delineano ancor di più la società di quel tempo. La serie racconta però anche il periodo di evoluzione scientifica in cui si avviano nuove sperimentazioni per la cura di diverse malattie. Da vedere, su Now.

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LEGGI ANCHE: I servizi imperdibili per chi non sa più quale serie TV guardare (e cerca consigli da parte degli altri utenti)

His Dark Materials – L’incontro tra fantasy e scienza

La serie fantasy trasmessa su Now, è tratta dalla trilogia omonima di Philip Pullman. Lyra è una ragazzina inglese e vive in una dimensione parallela dove per ogni anima è assegnato un daimon, un alter ego sotto forma animale. La sua tranquillità è sconvolta dalla scomparsa di alcuni coetanei, tra cui il suo migliore amico, usati in esperimenti per comprendere uno strano fenomeno proveniente dal cielo, chiamato Polvere.

Inizia così la sua ricerca attraverso mondi misteriosi, andando incontro a subdole insidie e a strani personaggi come streghe, Gyziani e orsi corazzati. Magia, fisica quantistica, religione e scienza si fondono e accompagnano il viaggio di questa serie.

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Scrubs – La più divertente medical serie

Su Amazon Prime, nove stagioni per questa esilarante serie che con ironia racconta il quotidiano dei personaggi che popolano l’ospedale del Sacro Cuore. Vicende, vissuti, storie mediche che si abbracciano a diversi intrecci emotivi ed interpersonali, vengono narrati in un equilibrio tra commedia e drammaticità. Il protagonista J.D. riesce ad entrare nel cuore di colleghi, superiori, antagonisti e soprattutto dello spettatore che tiene ancorato grazie alla sue mille divertenti sfaccettature.

Uno staff medico prima di tutto umano, fatto di debolezze, scorrette ambizioni, follia, allegria e traumi personali. Scrubs è una delle serie più divertenti in ambito medical tv, un cult mai staccato dall’attualità anche a distanza di 20 anni dalla sua nascita.

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Bates Motel – Dietro la mente disturbata di una famiglia

La vita di Norma Bates e di suo figlio Norman nella serie prequel del conosciutissimo Psycho. Come è nato il rapporto morboso del giovane con sua madre? Quali sono stati gli accadimenti che hanno inciso sulla sua personalità disturbata?

La serie thriller, ambientata negli anni ‘60 mostra la vita adolescente di uno dei più violenti serial killer. Cinque stagioni per indagare nella mente e nei comportamenti della famiglia Bates, su Amazon Prime.

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LEGGI ANCHE: le serie tv da non perdere quest’estate (2019): il binge watching senza sensi di colpa

Il Trio: I Promessi Sposi – La serie poco seria di un capolavoro letterario

Sulle teche Raiplay troviamo uno dei successi indiscussi della Rai, del 1990. Il romanzo de I Promessi Sposi in chiave comica, firmato dal trio Marchesini-Solenghi-Lopez. La GenZ di sicuro non conoscerà questa parodia ma moltissimi Millennial la ricorderà con un grande sorriso. Dando per scontato che il romanzo sia conosciuto da tutti, in questa versione troviamo l’amore, i soprusi dei potenti e la grande pestilenza con un punto di vista grottesco, a volte surreale e totalmente fuori dall’epoca originale.

Molti sono infatti i richiami ai primi anni ‘90– come Renzo che tiene sottobraccio lo stereo della macchina- ai personaggi del momento- come Pippo Baudo, Wanna Marchi e il calciatore Gullit. Una miniserie strepitosa e divertente che fa venire quasi voglia di ripassare il romanzo originale. Manzoni, ringrazia e ride sotto i baffi.

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Luisa Spagnoli – Tra cioccolato e moda

Un’altra miniserie riproposta da Raiplay. La storia, è quella di una grande donna vissuta agli inizi del ‘900: Luisa Spagnoli. Conosciuta per il suo grande marchio di moda, ha un passato ancora più glorioso. In una vecchia Perugia, Luisa e suo marito Annibale Spagnoli rilevano una piccola pasticceria, con l’intento di produrre confetti.

Dall’incontro professionale con Giovanni Buitoni (sì, quello della pasta) nasce la celeberrima Perugina. Dall’incontro sentimentale sempre con il signor Buitoni nascono i Baci, i cioccolatini più famosi.

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Un piacevole racconto di una donna di grande intraprendenza: fondatrice di due aziende e con il merito di aver introdotto le donne, da sempre all’ultimo posto nella società, nella vita lavorativa. Quella di Luisa Spagnoli è una biografia piacevole, con memorie storiche di due grandi realtà italiane.

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5 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation

  • A causa della pandemia, le persone sono meno inclini a toccare con mano i contanti e a digitare i tasti di un touchpad;
  • Sta anche spopolando la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi spostamenti diffondendo il virus negli ospedali;
  • Più in generale ci sono settori nei quali la Digital Transformation ha subito una decisa accelerazione, complici tecnologie già testate.

 

L’emergenza Coronavirus ha messo l’acceleratore sul progresso tecnologico. In molti ambiti i cambiamenti che si sarebbero verificati nel corso dei prossimi anni hanno preso vita nel giro di qualche settimana.

In che senso la digital transformation ha subito una accelerazione e quali sono le principali trasformazioni in atto? Le abbiamo analizzate una per una.

LEGGI ANCHE: Il Coronavirus ci obbliga ad accelerare e così la digital transformation diventa virale

#1 eCommerce e pagamenti digitali

Più spazio ai pagamenti digitali: considerando che attualmente la maggior parte degli acquisti vengono effettuati online la moneta elettronica prende piede a livello globale. Basti pesare agli  Stati Uniti dove, nel corso dell’ultimo decennio, il mondo del retail non si è lasciato coinvolgere dalla diffusione delle nuove tecnologie di pagamento che si sono diffuse in Europa e in Asia.

Con il COVID-19 si nota un inversione di tendenza, le persone per paura del contagio non sono molto propense a maneggiare contanti e a toccare i tasti di un touchpad. I sistemi che consentono di effettuare le transazioni mediante il proprio dispositivo mobile sembrano avere la meglio. Catene alimentari come Publix stanno accelerando sul lancio di terminali in cui non è necessario il contatto e l’introduzione di servizi come Apple Pay e Google Pay.

#2 Telemedicina

La pandemia globale in corso ha costretto le istituzioni sanitarie e gli organismi di regolamentazione a ricorrere a metodi alternativi per offrire assistenza sanitaria limitando il contagio del virus.

È così entrata in gioco la telemedicina, una valida possibilità per limitare gli spostamenti dei pazienti.

Le soluzioni di telemedicina possono essere descritte come prodotti e servizi progettati per migliorare e coordinare l’assistenza ai pazienti mediante la tecnologia. Gli strumenti e le soluzioni emerse negli ultimi anni sono state sviluppate e concepite per migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria, per consentire ai pazienti di essere monitorati da remoto e per facilitare l’accesso alle informazioni sanitarie elettroniche.

Nell’attuale scenario mondiale, così come le aziende e persino le scuole adottano la soluzione dello smart working, i robot aiutano a monitorare i pazienti infetti per limitare il contatto con il personale medico e anche la telemedicina gioca la sua parte, acquisendo una nuova luce. La consultazione medica a distanza diventa un’opzione sempre più attraente.

La tele-health si rivela essere un valido strumento nella lotta al virus, che sta colmando il gap tra persone, medici e sistemi sanitari, consentendo a tutti, soprattutto ai pazienti sintomatici, di rimanere a casa e comunicare con i medici attraverso canali virtuali, contribuendo a ridurre il contagio. Non solo, grazie alla consulenza medica a distanza è possibile addirittura filtrare i potenziali casi COVID-19 da remoto.

La telemedicina sta incontrando l’interesse sia delle istituzioni che dei pazienti.

Anche l’OMS sta sostenendo la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi che con gli spostamenti diffondano il virus negli ospedali.

Il numero di persone che si affida alle consulenze mediche virtuali è sempre più alto.

Nel 2018 la Commissione europea aveva stimato che il mercato globale della telemedicina avrebbe raggiunto i 37 miliardi di euro entro il 2021, con un tasso di crescita annuale del 14%. Questi numeri possono essere decisamente superati in quanto con la diffusione della pandemia la domanda è nettamente in crescita.

La pandemia COVID-19 è un banco di prova impegnativo per tutte le aziende che offrono soluzioni di telemedicina. Oltre a dover dimostrare affidabilità, una delle sfide più grandi è la scalabilità dei sistemi. L’opportunità di aumentare il numero di utenti in poche ore è il requisito principale e le soluzioni basate su cloud hanno meno problemi in questo senso. Con così tanti nuovi pazienti interessati, le soluzioni proposte dovrebbero essere uno strumento di facile utilizzo ed essere disponibili attraverso i dispositivi degli utenti stessi come computer, smartphone, notebook e tablet.

Il punto di forza della telemedicina sta nella sua capacità di riunire diverse organizzazioni mediche in un’unica rete virtuale, guidata da un’unità centrale. Questa rete può includere diverse località fisiche: cliniche centrali e remote, cliniche statali e private, centri di riabilitazione e centri di prevenzione, studi privati dei medici e tutti i pazienti registrati all’interno delle loro sedi. Le funzionalità prioritarie dei sistemi di Telehealth devono essere: audio / videoconferenza, messaggistica sicura, programmazione elettronica, analisi e report, fatturazione e pagamento online, upload di immagini e file, prescrizioni digitali. Un aspetto cruciale per i sistemi di telemedicina è legato alla protezione e alla sicurezza relativa allo scambio e alla conservazione dei dati.

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#3 Gli eventi digitali rappresentano la nuova normalità

webinar coronavirus

La diffusione del COVID-19 ha causato la chiusura di frontiere e affari, nonché la cancellazione di eventi a livello globale. È qui che arriva ancora una volta in aiuto la tecnologia. Con l’ausilio di tool digitali e del web, gli eventi diventano virtuali.

Webinar, live, sono ormai entrati appieno nel mondo degli eventi coinvolgendo il popolo della rete.

Seppur vero che molti aspetti degli eventi di persona non possono essere replicati in forma digitale, organizzare un evento virtuale può avere anche i suoi lati positivi, in primo luogo si abbattono le distanze e si può coinvolgere un pubblico più ampio, si eliminano i costi relativi alla realizzazione dell’evento stesso e quelli legati agli spostamenti e ai viaggi.

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#4 Al delivery ci pensano i droni

droni walmart coronavirus

Oggi, una delle sfide più grandi per l’industria dell’eCommerce è limitare il contatto umano legato alle consegne. Quale soluzione adottare per far fronte a questa criticità? La risposta per molte aziende è stata quella di effettuare consegne mediante i droni.

C’è già chi ha iniziato a testare questa strada, parliamo di Amazon, Walmart, UPS e Domino’s Pizza che hanno avviato un servizio di delivery via droni per recapitare generi di prima necessità, medicine e cibo, offrendo così un servizio sicuro e al tempo stesso riducendo i costi di consegna.
Operando con i droni, le persone vulnerabili che sono in quarantena o malate possono ricevere tutti i beni essenziali di cui hanno bisogno senza rischi per l’operatore che dovrebbe recapitare la merce.

Secondo eMarketer, nel corso del 2020 assisteremo ad un aumento di 24.900 spedizioni effettuate mediante droni per il retail, con una proiezione di 122.000 entro il 2023.

La consegna automatizzata al momento risponde ad una delle preoccupazioni maggiormente diffuse ossia limitare i contatti.

Ci sono buone probabilità che, finita la pandemia, l’utilizzo dei droni potrebbe affermasi come un’opzione valida e vantaggiosa. I brand che decideranno di continuare ad adottare questa soluzione per il delivery potranno da un lato risparmiare denaro e dall’altro ottimizzare l’organizzazione dei dipendenti reindirizzando gli addetti alle consegne verso altre aree e mansioni.

#5 Il mondo del fitness diventa social

È evidente come palestre e centri fitness hanno subito un impatto negativo relativo alle restrizioni imposte che prevedono la chiusura di queste attività.

Tuttavia il fitness è un ambito che sorprendentemente si è adatto abbastanza bene alla trasformazione digitale. Molti business operanti in questo campo si sono reinventati aprendo le porte al pubblico mediante i social network. Diverse palestre e aziende che vendono attrezzature sportive hanno messo a disposizione degli utenti che desiderano mantenersi in forma da casa  lezioni online.

Un caso di successo che vale la pena citare è quello della catena americana Planet fitness, che vista la situazione ha subito modificato la propria strategia di comunicazione sui canali social adattandola alle esigenze attuali. Il brand sin dall’inizio del lockdown ha ospitato lezioni di allenamento gratuito tramite Facebook live, iniziativa che ha subito riscosso un enorme successo tra le persone bloccate a casa.

L’azienda ha inoltre collaborato con il giocatore di football Julian Edelman trasmettendo live una sua lezione di 20 minuti. Risultato? Più di 2000 persone coinvolte in un solo giorno. 

Jeremy Tucker, CMO di Planet Fitness, ha dichiarato in un’intervista a USA Today: 

Le lezioni di fitness virtuali offrono strumenti per combattere lo stress, fornendo al contempo motivazione e ispirazione per farci stare fisicamente e mentalmente in forma.

Startup innovative in Italia: i numeri, ma anche il contesto geografico per capirne l’evoluzione

  • Al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente;
  • Con il termine ”scale up” si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura;
  • Tre filosofie distinte in Italia, secondo i dati del report: mettere radici a Milano, investire in altre grandi città italiane oppure creare il proprio rifugio in centri geograficamente più piccoli;

 

Alcuni mesi fa, prima dello scoppio dell’emergenza mondiale da COVID-19, sono stati analizzati la situazione e l’andamento delle startup innovative in Italia durante l’ultimo trimestre del 2019.

Il primo giorno di gennaio 2020 è stato pubblicato dal Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico, il “Report con dati strutturali Startup innovative – 4° trimestre 2019”: osservando i dati pubblicati, è interessante constatare che al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente.

+2,6% vuol dire 272 nuove startup innovative: questo dato significa che, nel trimestre che è andato da ottobre a dicembre 2019, ben 272 idee hanno avuto la possibilità di concretizzarsi, con una media aritmetica di 13,6 nuove imprese a regione italiana.

I numeri del report

Di queste startup innovative, il 73,7% ha lo scopo di fornire servizi alle imprese come la produzione di software e la consulenza informatica, 2.153 o il 19,8% sono a prevalenza giovanile (under 35) e il 13,5% del totale (numericamente 1.468) è a prevalenza femminile, vale a dire startup in cui le quote e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne.

Il dato più interessante, e su cui ci si può soffermare, è quello inerente alla distribuzione geografica del fenomeno, in quanto analizzandolo emerge un vero e proprio leader di questa speciale classifica: considerando che la Lombardia è la Regione da cui partono più di un quarto di tutte le startup italiane (26,9%), è da sottolineare che solo la Provincia di Milano, con 2.075 società (il 19,1%) ospita quasi un quinto delle startup innovative italiane, superando i numeri di qualsiasi regione d’Italia.

A seguire, in questa classifica territoriale, Roma con 1.110 startup innovative e al terzo posto Napoli con 423. Scorrendo qualche posizione nella classifica territoriale è facile notare come si siano concentrati dei poli innovativi anche in città con meno abitanti come Padova, Bergamo e Salerno, tutte e tre in “top ten”.

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La distribuzione geografica delle startup

Scegliere il contesto territoriale giusto per fondare una startup innovativa è uno dei momenti critici ed essenziali di un business plan. Per quanto si tenda maggiormente all’offerta di servizi e quindi in maniera inevitabile all’utilizzo degli strumenti digitali, che “internazionalizzano in rete” una startup, è pur vero che il contesto di inserimento geografico di quest’ultima può essere determinante nella sua trasformazione in una scale-up.

Per una definizione internazionale, con scale-up si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: insomma una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura.

La scelta dello scenario territoriale per fondare una startup non è governata da una regola. Tuttavia, in base ai dati del Report, è forse possibile interpretare tre filosofie distinte in Italia:

  • Mettere radici a Milano– Questa città merita un capitolo a parte! Se quasi 1/5 degli startupper innovativi italiani ha deciso di partire dalla città meneghina per piantare il seme della propria idea, allora vi saranno tanti validi motivi. Milano rappresenta un formidabile ed enorme incubatore di startup: partendo da questa città, si può sfruttare lo scenario internazionale, l’efficienza e la potenza delle infrastrutture e dei trasporti, l’esposizione mediatica, il network a disposizione e i collegamenti che possono nascere anche durante un semplice aperitivo a Corso Sempione (appena sarà possibile!).
  • Investire in grandi città italiane – Investire, con la propria idea, in città metropolitane come Roma, Napoli, Torino e Bologna: grandi scenari con altrettanto grandi tradizioni storiche dove è davvero facile farsi ispirare ed affascinare da turismo, territorio e popolazione. Si tratta di grandi compromessi fra modernità e tradizione. C’è tanto spazio per il turismo ma allo stesso tempo una grande varietà di risorse umane, c’è cultura gastronomica ma anche tanta ricerca di trend e novità. Queste città rappresentano dei punti di riferimento per tutti i territori limitrofi.
  • Creare il proprio rifugio – Per alcuni startupper è sempre valido il detto che recita: “Nella botte piccola c’è il vino buono”. Scegliere come base città geograficamente più piccole o con meno abitanti, sia del Nord che del Sud Italia, sembra essere apprezzato: la conoscenza diretta di eventuali partner, collaboratori e delle usanze di un territorio può rappresentare un vantaggio non indifferente per chi decide di fare impresa. Puntare sul cosiddetto “fattore umano” può rivelarsi davvero vincente quando si opera in un territorio più circoscritto. Per esempio Bergamo e Salerno sono entrambe città con meno di 150mila abitanti ma con rispettivamente 209 e 193 startup innovative all’attivo.

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Italia, culla di creatività

Non va dimenticato che l’Italia è storicamente un paese di creativi e di straordinari ideatori, che man mano si sta approcciando sempre di più ai metodi digitali, sfruttandone le potenzialità: lo dimostra la diffusione dello smartworking, l’interesse incalzante verso gli strumenti digitali o verso le ultime tendenze di marketing. La storia insegna che con strumenti, impegno e coraggio si possono compiere delle opere straordinarie e colmare gap anche profondi.

È importante trasmettere dati e andamenti positivi, anche se relativi ad un periodo (leggermente) precedente all’emergenza da Coronavirus, che ha fortemente scosso l’economia italiana e mondiale. Mai come in questo periodo è estremamente importante utilizzare tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione al fine di riprendere, al più presto, il percorso di crescita tecnologica nazionale e far sì che delle semplici ma efficaci idee possano trasformarsi in grandi startup innovative.

marketing automation

Qualche consiglio per usare meglio gli strumenti di Online Marketing (anche durante l’emergenza)

Le persone sono alla base di ogni attività commerciale, sia che questa si svolga offline sia che si svolga online, come avviene sempre più spesso in questo periodo di emergenza a causa delle misure di distanziamento sociale. Per questo motivo, oggi più che mai, è fondamentale restare in contatto con loro e grazie a Internet (e a qualche utile strumento) possiamo continuare a farlo.

Email, landing page, marketing automation e webinar possono aiutare le aziende soprattutto in una situazione commerciale difficile come quella attuale. Per trasferire la tua attività online e restare nella mente del tuo pubblico, puoi cominciare dall’eBook preparato da GetResponse:  “Come mantenersi in contatto con i tuoi clienti”.

marketing automation

Perché continuare a usare le email (qualche numero)

Probabilmente avrai sentito dire che l’email marketing è morto. In realtà l’email marketing è ancora uno strumento essenziale per attirare e fidelizzare i clienti.

Con un potenziale ritorno sull’investimento fino al 4400%, infatti, questo strumento rimane tra quelli con il miglior ROI. Ecco perché ogni anno vengono inviate 102,6 trilioni di email. E i numeri continuano a salire, con 126,7 trilioni che dovrebbero essere inviate entro il 2022.

Dal lato degli utenti, poi, tutti noi controllano la propria email ogni giorno, anche fino a 20 volte al giorno. Con l’aumento dell’uso del mobile, infatti, controllare la posta elettronica è diventato più facile e immediato.

In media le email raggiungono circa l’85% delle persone a cui vengono inviate, ma grazie a uno strumento come GetResponse la deliverability è del 99%.

Anche nel B2B l’email marketing resta uno strumento essenziale, secondo il 91% dei marketer, stando allo studio del Content Marketing Institute.

I consumatori tuttavia tendono a sbarazzarsi facilmente delle email irrilevanti che ingombrano le loro caselle di posta, per questo oltre a personalizzare in modo intelligente il contenuto, è essenziale collegare le email con landing page che portino i potenziali clienti verso la parte bassa del funnel di vendita.

landing page

Come collegare le email a landing page personalizzate

Una landing page è una pagina web il cui scopo è proprio quello di spostare i potenziali clienti verso il bottom of funnel. È progettata e ottimizzata, cioè, per convertire i potenziali clienti interessati in acquirenti. Uno dei modi migliori per far arrivare i visitatori a una landing page è proprio via email.

Data la sua importanza nel processo di vendita, è fondamentale che il cliente sia spinto a visitarla attraverso un’email efficace, che inviti chiaramente all’azione con una CTA esplicita.

Quando un utente clicca su un’offerta in un’email o su un invito a un webinar e viene portato su una landing page, si concentra su un solo compito. Ciò aumenta la probabilità che segua l’azione, arrivando alla conversione.

Ecco perché tra email e landing dovrebbe esserci una continuità di comunicazione oltre che visiva: email e landing dovrebbero avere un testo e un design simili. Questo ispirerà fiducia nel potenziale cliente, che non avrà dubbi che le due cose siano collegate. Questo approccio semplificato facilita l’azione.

Infine nell’email quanto nella landing, non è necessario usare tanto testo o molte immagini: basta comunicare in modo semplice, incoraggiando ad esempio all’iscrizione per una prova gratuita, o mostrando la foto del prodotto.

webinar automation

Dall’email al webinar

I webinar sono oggi uno degli strumenti online interattivi più efficaci per comunicare, condividere conoscenze e costruire relazioni con il pubblico e i colleghi.

Sia che si tratti di una lezione o di una presentazione online, i webinar sono la soluzione ideale, per far partecipare tutti comodamente da casa, in qualsiasi parte del mondo.

Innanzitutto è bene sapere che un webinar può essere:

  • in diretta
  • pre-registrato
  • basato sulla condivisione dello schermo

A seconda delle esigenze potrai scegliere quello più adatto a te. Ciò che ti servirà per organizzarlo sarà un microfono, una webcam, una buona connessione a internet e ovviamente contenuti di qualità. Grazie a un semplice software potrai creare la stanza per il tuo webinar online.

Dovrai quindi inviare il link di registrazione ai partecipanti tramite una email di invito. Per creare il tuo pubblico potrebbe esserti di aiuto anche una apposita landing page.

Puoi pensare, infine, di aggiungere una sessione di domande e risposte, per comunicare a partner e clienti anche i tuoi piani futuri e permettere a tutti di fare domande tramite chat.

webinar automation

Che cos’è la Marketing Automation

Secondo Econsultancy, solo il 22% delle aziende si dichiara soddisfatto dei tassi di conversione delle proprie email.

In genere, questi contenuti puntano a stimolare i destinatari all’azione: vorremmo tutti che la nostra newsletter portasse più iscrizioni al webinar, o che facesse aumentare il numero di download del white paper, o che più semplicemente portasse gli iscritti a cliccare su una determinata offerta.

Per aumentare il conversion rate, tuttavia, è molto utile integrare le email con un processo complessivo di marketing automation a cui collegare anche una landing page.

In parole semplici, la marketing automation è quel processo nel quale si automatizzano una serie di attività di marketing e di engagement dei clienti attraverso l’uso di un software, che consegna email e crea workflow su misura per una gestione automatica delle lead, affiancando al tool anche un Customer Support in lingua italiana.

L’automazione del marketing permette, ad esempio, di:

  • costruire automaticamente liste di utenti utilizzando landing page che offrono contenuti per profilare gli abbonati.
  • Accogliere automaticamente i potenziali clienti con messaggi di posta elettronica pertinenti, personalizzati in base alle caratteristiche del singolo.
  • Esaminare automaticamente le interazioni con le e-mail e i contenuti per inviare annunci o offerte sulla base di queste informazioni.

La marketing automation consente quindi di rendere più semplici e rapide attività che in passato avrebbero richiesto lunghissime giornate di elaborazione, o che non sarebbero state affatto attuabili.

marketing email

Email, landing, marketing automation e webinar: la combinazione perfetta per restare in contatto

#StayHome è la parola chiave del momento. Ma questo non significa perdere i contatti, soprattutto con i propri clienti, anzi, per le imprese questo hashtag deve trasformarsi in uno Stay in Touch, grazie al digitale.

Per saperne di più GetResponse ha messo a disposizione alcune risorse. Ad esempio, qui puoi scoprire “Come funzionano i webinars”.

Per trasformare l’emergenza in una opportunità è necessario partire dagli strumenti: abbinare l’email marketing alla creazione di specifiche landing page o di webinar, con l’aiuto di software di automation, ti aiuterà ad aumentare l’efficacia delle campagne digitali e restare in contatto con il tuo pubblico.

contact tracing app immuni privacy

Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

  • La discussione sui rischi legati alla privacy delle contact tracing app potrebbe essere una “distrazione” da ciò che è davvero importante;
  • Il funzionamento dell’app ha già preso in considerazione i rischi per la privacy ed è conforme alle normative;
  • Ci sono problematiche diverse che rischiano di rendere l’app poco efficace, specialmente se non si riesce a coinvolgere davvero il cittadino.

 

Sì, la cosa si fa sempre più simile a un film di fantascienza. Se qualcuno avesse avuto, solo qualche mese fa, l’idea di scrivere una sceneggiatura su una società in cui le persone sono obbligate a restare a casa o a utilizzare i propri dispositivi tecnologici per verificare i propri contatti, sarebbe entrato di diritto nella lista dei grandi autori a fianco di Orwell con 1984.

Ma si sa, la vita è molto più creativa del più creativo degli esseri umani, e a volerla guardare esclusivamente dal punto di vista tecnologico il Coronavirus ha reso realtà i film fantascientifici che ci dilettavamo a guardare su Netflix.

L’ultima evoluzione è quella che, con scelta altrettanto hollywoodiana, è stata definita “Fase 2”. Ebbene sì, una delle soluzioni che ci aiuteranno ad attuarla, ormai è ufficiale, è la contact tracing app sui nostri smartphone: Immuni, dell’azienda tecnologica italiana Bending Spoons.

Chiaramente, come era più che prevedibile, ancora prima che l’annuncio fosse ufficiale, l’app ha attirato più critiche e teorie complottiste che proseliti. Si sono susseguite teorie di tutti i tipi, sia sugli usi che potrebbe farne il governo, sia sulla legittimità dell’azienda scelta.

Da una parte è lecito che sia così: si tratta di una soluzione talmente ampia e inedita che non possiamo semplicemente accettarla passivamente. Soprattutto visto che siamo tra i Paesi con più leggi a tutela della privacy, e che come UE abbiamo sottoscritto solo due anni fa il famoso GDPR.

Dall’altra, come al solito, pare che il dibattito si concentri più su temi politici che su quelli di reale importanza, e quindi per l’appunto la discussione sulla privacy è l’unica (o quasi) che sembra aver monopolizzato le prime pagine dei giornali.

Ma è davvero questo il punto? O si tratta, come spesso capita, di una “distrazione” da temi ben più sensibili? Proprio quelli che possono davvero mettere a rischio il successo o meno non solo dell’app, ma dell’intera Fase 2?

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contact tracing app immuni privacy

La privacy come “distrazione” dai veri problemi dell’app

A suggerirlo è qualcuno che di privacy, sorveglianza tecnologica e simili temi ne sa qualcosa: Zak Doffman, CEO di Digital Barriers, azienda internazionale che sviluppa soluzioni avanzate di sorveglianza per la difesa, la sicurezza nazionale e l’anti-terrorismo.

In un lungo articolo apparso su Forbes, Doffman esplora proprio la risposta a questa domanda: dobbiamo davvero preoccuparci della privacy con queste app, o è appunto una “distrazione” dai veri problemi che potrebbero renderle inefficaci? È possibile che qualcuno o qualcosa le utilizzi per spiarci, in uno scenario orwelliano?

“C’è un vecchio adagio nel settore della sorveglianza: se hai troppe informazioni, non ne hai abbastanza“, spiega nell’articolo. “L’idea che le contact tracing app siano il sogno di qualche spia è insensata. Se lo Stato volesse controllarvi, avrebbe metodi molto più pratici già a portata di mano. Qualcosa come un cellulare, che ha un sistema di accensione e spegnimento, non sarebbe efficace. Qualunque ‘persona di interesse’ potrebbe semplicemente disattivarlo, è inutile”.

Inoltre, aggiungo io, se qualche organizzazione malintenzionata volesse approfittarsi della situazione per ottenere i nostri dati, presumibilmente non lo farebbe in questo contesto: la contact tracing app di Stato sarà probabilmente la cosa più controllata (e criticata) a cui si possa pensare. E dove ci sono i riflettori di tutti puntati, solitamente non c’è abbastanza ombra per operare inosservati.

Infine, consideriamo che quello della privacy è spesso un “falso problema”, che vediamo come terribile nel futuro ma a cui siamo ciechi nel presente. Se siamo preoccupati dei dati di tracciamento che qualche azienda potrebbe avere su di noi, proviamo a dare un’occhiata a quelli che Google Maps raccoglie sui nostri spostamenti, a meno che non si siano rimossi i relativi permessi.

Quindi, posto che la privacy non è un problema di cui dovremmo preoccuparci quando parliamo di app ufficiali per il tracciamento per contrastare il Coronavirus, di cosa dovremmo preoccuparci?

problemi app di tracciamento

Come funzionerà (e ci tutelerà) la contact tracing app nostrana

Per fortuna (almeno sotto certi punti di vista), al contrario che in altri Paesi, in Italia e in Europa ci si sta orientando verso soluzioni tecnologicamente più rispettose della privacy.

E forse il fatto che giganti come Google e Apple abbiano deciso non solo di intervenire, ma anche di unire le forze, potrebbe rendere il tutto paradossalmente più sicuro: cane e gatto non potranno che controllarsi a vicenda.

In Cina (e in misura diversa in altri Paesi, come la Corea del Sud e Singapore) la contact tracing app designata è stata introdotta e utilizzata in maniera estremamente pervasiva, non solo per notificare ai diretti interessati un possibile contatto con un contagiato, ma anche per verificare l’isolamento e le attività svolte.

Qui la grande differenza tra Oriente e Occidente, per quanto riguarda la lotta “tecnologica” al Coronavirus. E paradossalmente uno dei motivi per cui noi arriviamo a parlare solo adesso di un’app di tracciamento, quando è realtà da diverse settimane nei sopra elencati Paesi.

contact tracing app italia

Ecco alcuni degli elementi che, in Italia in particolare con Immuni, verranno messi in campo per garantire la sicurezza della privacy e la libertà dei cittadini:

  • L’adesione all’app sarà su base totalmente volontaria, anche se si stanno valutando diversi tipi di incentivi
  • Si è scelto di utilizzare unicamente la tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE), che non contiene informazioni di localizzazione ma solo di prossimità (si saprà che due dispositivi sono stati vicini, ma non dove né per quanto tempo)
  • Per aumentare la privacy, la sicurezza dei dati e andare incontro alle indicazioni di GoogleApple, si segue il progetto Decentralised Privacy-Preserving Proximity Tracing (DP-3T) che si è separato da Pepp-Pt perseguendo un modello più decentralizzato (e quindi più sicuro)
  • Quando due cellulari si avvicinano a una determinata distanza e per un tempo definito, si scambiano il proprio codice anonimo generato localmente e crittografato (quindi un numero casuale senza alcun dato sensibile sulla persona a cui è associato)
  • I codici degli altri device con cui si entra in contatto verranno conservati nella memoria del dispositivo
  • Qualora uno dei soggetti che ha scaricato l’app risulti positivo al virus, gli operatori sanitari gli forniscono un codice di autorizzazione con il quale l’utente può scaricare su un server ministeriale il proprio codice anonimo
  • Se l’app riconosce tra i codici anonimi resi noti uno di quelli con cui è entrata in contatto, invia una notifica all’utente (quindi senza possibilità di sapere chi/come/quando era il contagiato) – sarà poi sua responsabilità auto-isolarsi di conseguenza
  • Il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione si impegna a rendere il codice dell’applicazione open source, quindi non solo utilizzabile da altri governi nella lotta contro il virus, ma anche verificabile e revisionabile (ma NON modificabile) da chiunque vi abbia interesse

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contact tracing app immuni privacy

Per tutelare la privacy, mettiamo a rischio la Fase 2 in altri modi

Quindi, messa da parte la preoccupazione legata alla privacy, siamo a posto, giusto? Quest’app ci permetterà di tornare praticamente alla vita di prima?

Purtroppo non è così facile, in parte proprio perché, per riuscire a rendere l’app il più rispettosa della privacy, abbiamo almeno parzialmente dovuto compromettere la sua efficacia, in vari modi.

Il primo scoglio sarà l’adozione da parte della popolazione, essendo totalmente libera e volontaria. Che non significa solo scaricarla, ma accettare tutte le impostazioni sulla privacy, non disattivare le notifiche, continuare a utilizzarla, etc. Consideriamo che, a detta degli esperti, per essere davvero efficace il sistema dovrebbe essere utilizzato almeno dal 60-70% della popolazione. In Italia nel 2019 si collegava almeno una volta al mese da mobile il 66.6% degli italiani, quindi dovrebbe utilizzare l’app praticamente la totalità dei possessori di smartphone. Già così è complicato.

Poi c’è un tema di funzionamento: non avendo finalità di controllo, l’efficacia del sistema si baserà quasi totalmente sul senso di responsabilità del singolo, che dovrà auto-isolarsi quando notificato. Bastano pochi falsi-positivi o problemi simili per compromettere l’intero sistema, facendo perdere agli utenti fiducia nel processo e quindi vanificando il senso di responsabilità civica necessario perché il tutto funzioni.

Inoltre, il sistema basato sul Bluetooth non è così sensibile nel calcolare l’esatta distanza tra due dispositivi (saranno essenziali i contributi di Apple e Google per ridurre questo problema quanto possibile). Un sistema misto (blended), che comprenda sia Bluetooth che dati GPS, sarebbe più accurato in questo senso perché permetterebbe di avere informazioni aggiuntive oltre alla semplice vicinanza; ma, come dicevamo, per maggiore privacy non sarà possibile usare il GPS e quindi identificare informazioni quali la durata del contatto o la località – rendendo praticamente identico il livello di rischio di uno sconosciuto incrociato per strada e di un collega di lavoro con cui si condivide l’ufficio.

contact tracing app immuni privacy

Infine, come ha reso chiaro il successo nel contenimento dell’epidemia in Corea del Sud, la soluzione tecnologica può avere successo solo se associata agli altri due elementi dell’ormai ben noto paradigma delle “tre T”: Testing, Tracing, Treating. L’app potrà funzionare, quindi, solo se il sistema complessivo sarà in grado di effettuare tamponi a tappeto per individuare i positivi, trattare i malati e isolare i meno gravi, implementando anche un’assistenza sanitaria quanto più possibile a distanza. E su questi ulteriori due punti, complice anche l’acceso dibattito che è divampato sui temi della privacy, il governo non ha ancora fatto chiarezza.

Insomma, le scelte fatte finora, più politiche che tecnologiche, hanno dato priorità alla sicurezza dei nostri dati; e questa linea, pur essendo comprensibile e anche eticamente giusta, rischia di compromettere almeno in parte il successo dell’app, del sistema e quindi, per estensione, dell’intera Fase 2.

Specialmente se la disinformazione e il “panico da privacy” contribuiranno a ridurre l’adozione dell’app da parte della popolazione.

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smart watch

Quindi sarà davvero utile l’app di tracciamento?

Nessuno può rispondere a questa domanda, ma è chiaro che difficilmente sarà “la soluzione a tutti i nostri mali”, come in certi ambiti si vorrebbe far passare.

Servirà un grande impegno da parte del governo, delle imprese, della cooperazione internazionale, e specialmente dei cittadini.

In ogni caso, pur con un’efficacia ridotta, l’importanza di questo tipo di app sarà massima nel prossimo futuro, per riuscire non solo come Paese ma come ecosistema globale a riprendere una parvenza di normalità, nell’attesa di soluzioni permanenti come un vaccino.

E per riprendere le parole di Luca Ferrari, l’amministratore delegato di Bending Spoons, l’app potrà essere davvero utile per aiutare a limitare la diffusione del Covid-19 e tornare a vivere una vita la più normale possibile, ma serve l’aiuto di tutti. Spero sia un motivo valido per unirci con spirito di solidarietà e anche un po’ di sano orgoglio nazionale, che talvolta ci è mancato. Mi piace l’idea di viverla come una gara e far vedere che la diffusione dell’app in Italia supererà quella di tutti gli altri Paesi. Noi ce la stiamo mettendo tutta, poi starà a ognuno fare la sua parte.

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Gli italiani si scoprono podcaster durante il lockdown

È ormai chiaro che gli italiani hanno ‘scoperto’ l’universo dei podcast: basti pensare che nel nostro Paese la media mensile di ascolti di podcast su Spreaker è aumentata, tra dicembre 2019 e marzo 2020, del 50%.

Inoltre, durante il lockdown da emergenza sanitaria, l’interesse di ascolto degli italiani è passato dallo Sport – argomento sul quale per ovvi motivi al momento scarseggiano alcune informazioni – a categorie più ‘immateriali’, come la Religione e in genere la Spiritualità e i podcast relativi al miglioramento ed evoluzione dell’individuo (Self-Improvement).

Il dato che stupisce, in questa ‘podcast revolution’ tricolore, è che gli italiani stiano passando dall’essere prevalentemente ascoltatori di podcast a diventare creatori di podcast.

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Crescono i contenuti in podcast durante la quarantena

Con la necessità di #restareacasa, tanti concittadini si sono scoperti molto più curiosi e attenti di quanto si potesse immaginare: su Spreaker è stato registrato un aumento vertiginoso nella creazione di podcast, proprio nel periodo della quarantena.

Se a inizio febbraio 2020 la creazione di nuovi podcast (intesi come interi show completi di episodi) su Spreaker registrava un andamento in crescita costante, nel mese di marzo 2020, in particolare dopo il 3 marzo e con un picco interessante attorno alla metà del mese (quando ormai l’intero Paese era in lockdown) si è avuto un aumento di nuovi podcast di oltre il 700% nella categoria Tempo Libero e di oltre il 600% in quella Educazione, complice l’obbligo di seguire le lezioni da casa.

Una crescita simile, anche se su numeri inferiori, l’hanno avuta anche la categoria Società e Cultura (quasi 600%), Arte (500%) e Libri (ovvero, show su letture, consigli, commenti ecc.) che arriva ad una crescita di oltre il 400% rispetto al mese di febbraio.

Tutti segnali che concorrono a misurare il termometro di un Paese che, in un momento storico difficile come questo, non smette di ricercare stimoli e nutrimento per la mente.

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Nuovi podcast significa nuovi podcaster?

La domanda non è affatto scontata, visto che spesso alcuni podcaster intraprendono più di un progetto di podcast. In questo caso, però, lo scenario è diverso e, sull’onda dell’’effetto quarantena’, Voxnest ha rilevato che su Spreaker in Italia già nella prima settimana del lockdown, in tanti si sono scoperti creatori di contenuti podcast.

C’è stata infatti una decisa impennata nell’iscrizione di podcaster durante la quarantena: sono stati oltre il 500% rispetto a febbraio, che comunque registrava già un trend in crescita.

Segno che gli italiani hanno scoperto il mondo dei podcast non solo come fruitori, ma anche come produttori di contenuto.

“L’obbligo di restare a casa ha evidentemente prodotto alcuni effetti nel mondo digitale e di conseguenza nel mondo del podcasting, dando agli italiani l’opportunità di scoprire nuovi mezzi di produzione e fruizione di contenuti – racconta Tonia Maffeo, Head of Marketing Voxnest – Il podcast, per la sua modalità diretta e la sua capacità di creare una relazione informale e intima con chi ascolta, si presta particolarmente ad essere lo strumento di comunicazione più ‘studiato’ durante queste settimane di lockdown”.

L’andamento in Europa è molto simile: rispetto al mese di febbraio, la creazione di podcast, in particolare relativi alla categoria Società e Cultura, ha visto un significativo aumento di oltre il doppio nella prima settimana di lockdown, per poi salire vigorosamente nella settimana del 23 marzo, con un incremento di oltre 200%.

Negli USA, al contrario, nello stesso periodo si è registrato un lieve calo sia nell’ascolto che nella produzione di podcast, ma forse si tratta di un comportamento differente rispetto allo strumento: mediamente infatti negli Stati Uniti i podcast vengono ascoltati nel tragitto casa-lavoro, quindi sui mezzi, durante i viaggi, e, in un momento come questo, venendo meno l’occasione, è naturale che ci sia una breve battuta d’arresto.

seo covid-19

Perchè non dovresti smettere di fare SEO durante l’emergenza COVID-19

  • Parlare di SEO e Digital Marketing durante l’emergenza da Covid-19 potrebbe sembrare superfluo, eppure sono proprio queste attività a sostenere il business adesso;
  • Anche in ottica di riapertura, bisognerà farsi trovare pronti e adottare strategie (anche di contenuto) coerenti con le nuove ricerche degli utenti. 
  • Un errore da non commettere? La chiusura o l’oscuramento del proprio sito internet. Meglio adottare altre strategie.

 

L’Italia e il mondo stanno affrontando l’emergenza legata al COVID-19. Per le aziende è un momento molto delicato e sappiamo bene che attualmente ci sono priorità che lasciano poco spazio ad argomenti come SEO e Digital Marketing: c’è da riorganizzare il lavoro per renderlo flessibile, capire come riaprire le aziende in sicurezza, trovare le modalità per garantire lo stipendio a fornitori e dipendenti, consegnare i prodotti in tempo.

Tuttavia, sono proprio la SEO e le altre attività di marketing a sostenere il business di molte aziende, rendendo visibili i prodotti e i servizi offerti sul web. Per questo motivo bisognerebbe assolutamente continuare l’attività di posizionamento, anche durante questo periodo di sacrifici. Questo consentirà di avvantaggiarsi rispetto ai competitor, in vista del momento in cui si tornerà ad una nuova normalità.

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lavoro remoto coronavirus

Cosa fare e cosa non fare in ottica SEO con Covid-19

Se la vostra azienda fa parte dei cosiddetti “business essenziali“, potrebbe non aver visto variazioni negative nella ricerca, ed anzi, ci potrebbe essere stato un boom nell’aumento del traffico organico. Dal momento in cui le persone sono in lockdown, infatti, cercano molto di più le informazioni online ed è aumentato il tasso di vendita degli e-commerce, in particolare di quelli che vendono beni di prima necessità.

Il problema sussiste principalmente per tutti coloro che, invece, hanno dovuto sospendere la vendita dei propri prodotti o dei propri servizi a causa della pandemia. In questo ci viene in aiuto il blog di Google Webmasters, che ha pubblicato un articolo di John Mueller per spiegare “come mettere in pausa un’attività online nella Ricerca Google”, per evitare di chiudere definitivamente il sito e perdere tutti i risultati finora ottenuti.

Con la crescita degli effetti del coronavirus, infatti, Mueller ha visto moltissime aziende cercare di stoppare le proprie attività online, magari oscurando totalmente il proprio sito dal web.

Disabilitare il sito è un grave errore, che potrebbe avrebbe effetti significativi sulla ricerca:

  • i clienti non saranno aggiornati riguardo a cosa sta succedendo all’attività;
  • gli utenti non potranno trovare informazioni riguardo ai prodotti e servizi offerti;
  • il knowledge panel potrebbe perdere le informazioni acquisite nel tempo;
  • non avremo più accesso ai dati acquisiti (es. Search Console, Analytics);
  • recuperare posizioni e traffico sarà molto più difficile rispetto a prima.

marketing covid-19

Quali sono le modifiche da fare sul sito

Nell’articolo che stiamo utilizzando come fonte sono offerti dei consigli per mettere in pausa il sito, riducendo al minimo le conseguenze sul posizionamento, con la prospettiva di tornare ad essere presenti per i propri clienti, nel più breve tempo possibile. Per un eCommerce che non riesce a proseguire la propria attività, ad esempio, è consigliato contrassegnare gli articoli come esauriti o limitare la possibilità di effettuare la transazione, magari consentendo al cliente di aggiungere il prodotto alla lista dei desideri, per poterlo acquistare in un secondo momento.

In questo modo le persone potranno ancora trovare informazioni riguardo alle caratteristiche e ai prezzi dei nostri prodotti, articoli del blog che spiegano come usarli, ma anche leggere le recensioni degli altri utenti. È anche possibile bloccare temporaneamente solo gli acquisti di tutti i prodotti non essenziali, limitando la funzionalità del sito solo ai generi di prima necessità, come ha fatto Amazon a partire dal 14 Marzo 2020.

Esistono anche altre “buone pratiche” che andrebbero attuate sul sito:

  • creare un banner o una pagina specifica per il COVID-19, contenente informazioni riguardo allo status dell’azienda (apertura, chiusura, smart working), alle spedizioni (ad esempio tempi previsti, eventuali ritardi, comuni dove non è garantita la spedizione, etc.), alle precauzioni prese per garantire la sicurezza degli alimenti consegnati a domicilio. Ad esempio Amazon ha creato una pagina dedicata allo status degli ordini, una pagina per le FAQ ed una pagina dedicata alle iniziative intraprese dall’azienda. Anche Nike, eBay, Tannico, Esselunga, Iper, e molti altri siti hanno creato una pagina di aggiornamento COVID-19;
  • usare Google My Business (oltre ai profili social, come Facebook, Linkedin ed Instagram) per indicare chiusure temporanee, comunicare nuovi orari, aggiornare i clienti riguardo allo status dell’attività. In particolare, tramite i post ed i nuovi attributi è possibile comunicare informazioni tempestive e dettagliate riguardo ad iniziative, offerte speciali o aggiornamenti dell’inventario;
  • usare i nuovi dati strutturati, rilasciati da schema.org in occasione del COVID-19 (come “SpecialAnnouncement”, “eventAttendanceMode” e CovidTestingFacility”). ll primo tipo schema serve a segnalare gli “annunci speciali”, come la chiusura di scuole, il blocco di mezzi pubblici, le linee guida per la quarantena, le informazioni su come sottoporsi ai test/tamponi per verificare il contagio al COVID-19, il secondo schema serve per segnalare se un evento sarà cancellato, rinviato, posticipato o trasmesso in live streaming (script eventStatus e vitualLocation), mentre il terzo serve per indicare le cliniche dove sono disponibili i tamponi per il test del coronavirus. Anche se si possiede un negozio fisico, sarebbe il caso di aggiornare i dati strutturati delle attività locali con le nuove disposizioni attuate;
  • chiedere a Google di ripetere la scansione di un numero limitato di pagine (ad esempio, solo quelle relative ai beni di prima necessità acquistabili sul sito) tramite la Sitemap.xml e la Search Console;
  • restare in contatto con la propria audience, per offrire rassicurazioni, connessione sociale e assistenza tangibile durante tutto il periodo di emergenza. Innanzitutto, si potrebbe pensare di impostare un risponditore automatico, o una chatbot, per aiutare i clienti ad ottenere in modo rapido informazioni e risposte alle domande più frequenti. Si potrebbe pensare di proseguire la relazione instaurata tramite DEM, sui profili social, sui siti di recensione. Inoltre si potrebbero creare degli spazi live, come ad esempio un appuntamento fisso di diretta video, dove si potrebbe parlare dei trend del proprio settore, delle possibili azioni future in merito al prodotto o servizio;
  • creare nuovi contenuti informativi, in linea con le tendenze del momento, ma appropriati alla situazione che stiamo vivendo: nel caso voi facciate parte di tutte quelle aziende che sono definite “non essenziali”, questo non dovrebbe essere il momento per fare business, ma per continuare ad offrire valore ai propri utenti. Oltre all’utilità del contenuto, che dovrà rispettare le misure di sicurezza ed i cambiamenti dello stile di vita delle persone, concentratevi sul tono del vostro messaggio, che dovrà mantenersi sempre positivo, empatico ed ispiratore. Scordatevi i principi di scarsità: le “occasioni da non perdere!” non fanno leva in tempi di Coronavirus.

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seo covid-19

Come definire la strategia di contenuti se l’intento di ricerca cambia così velocemente?

Il comportamento della ricerca è completamente cambiato a seguito dell’emergenza sanitaria e probabilmente continuerà a farlo nei prossimi mesi.

Dato che le persone sono costrette a rimanere a casa, il consumismo ha visto uno spostamento della domanda da acquisti basati sul desiderio, a quelli basati sui bisogni essenziali (in particolare cibo e farmaci). Di conseguenza sono cambiate anche le intenzioni di ricerca: nell’ambito dell’estetica, ad esempio, se prima si cercavano centri estetici vicino a casa, ora si tenta di trovare prodotti per la bellezza online, tutorial per effettuare la manicure, per tagliarsi i capelli e farsi la tinta in casa in casa, oppure per farsi la ceretta in autonomia.

Ora, avere contenuti in linea con le ricerche degli utenti, potrebbe fare la differenza. Come si può definire una strategia di contenuti, quando gli intenti di ricerca cambiano così velocemente e gli strumenti di ricerca delle parole chiave non sono aggiornati?

1# Consultare Google Trends per fare SEO durante Covid-19

Google Trends è il primo strumento da consultare nel caso si vogliano comprendere i cambiamenti nel comportamento di ricerca e capire quali argomenti sfruttare per la creazione di contenuti, in quanto è in grado di raccogliere dati in tempo reale.

Per identificare le tendenze emergenti, è necessario pensare alla propria attività e quali potrebbero essere le parole chiave essenziali in grado di darle visibilità. Ad esempio, chi possiede un ristorante, ed in questo momento sta effettuando consegne a domicilio, dovrà spostare l’attenzione da parole chiave come “ristorante + città”, “ristorante vicino a me”, a keywords quali “consegna domicilio + città”.

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2# Monitorare Search Console e la ricerca interna del sito

Altri due strumenti da monitorare per comprendere le ricerche dei propri utenti sono il rendimento della Google Search Console e i risultati della ricerca interna del sito.

Nei momenti in cui la domanda cambia fortemente, infatti, si possono notare dei cambiamenti sulle singole query effettuate. Integrando questi dati, con quelli rilevati da Google Analytics è anche possibile identificare quali pagine hanno registrato un maggior numero di visite e quali, invece, hanno avuto un tasso di rimbalzo più alto. In quest’ultimo caso potrebbe essere necessario rivedere la strategia SEO implementata

3# Testare l’usabilità del sito

Altri strumenti utili possono essere Hotjar, Google Tag Manager e Google Optimize. Se è stato impostato il tracciamento delle mappe di calore, si possono ricavare informazioni utili riguardo al comportamento dell’utente sul sito e possono essere messi in evidenza potenziali problemi legati all’usabilità.

Questo è il momento migliore per identificare i punti di attrito nel processo di conversione, fare dei test e intervenire per risolverli! Nel momento in cui la ricerca dei consumatori è spostato sul web è fondamentale garantire che l’esperienza complessiva dell’utente sia positiva. Non si può rischiare di trovarsi su un sito che non è usabile a causa del sovraccarico di utenti, come la piattaforma di spesa online di Carrefour all’inizio della pandemia. 

4# Analizzare la concorrenza per migliorare la SEO

In questi anni, a causa di mancanza di tempo, siete rimasti concentrati principalmente sul vostro business, piuttosto che sui siti della concorrenza? Questo può essere un buon momento per fermarsi a fare un’analisi dei propri competitor. 

L’ideale sarebbe individuare da 3 a 5 competitors che si performano meglio di noi nella ricerca organica ed individuare: quali sono le parole chiave principali per le quali si posizionano? come sono stati costruiti i contenuti principali? Quali sono i siti da cui ricevono backlink di valore? Hanno attuato delle strategie particolari per contrastare il problema del Coronavirus? Annotare tutti questi feedback potrà essere utile per valutare se ci sono delle migliorie che possono essere applicate subito al proprio contesto, e porre le basi per le prossime eventuali strategie di digital marketing.

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contenuti covid-19

E per chi decide di disattivare definitivamente il sito?

Per chi decide di proseguire comunque con la scelta di disattivare completamente il sito, Google dà qualche piccolo suggerimento per cercare di limitare i danni a livello di SEO:

  • se si ha bisogno di disattivare urgentemente il sito per 1 o 2 giorni, si dovrebbe restituire una pagina di errore HTTP 503, invece di tutti i contenuti (in questo caso fare attenzione a non restituire un codice 503 per il robots.txt);
  • se si deve disattivare il sito per un periodo di tempo più lungo, sarebbe ideale fornire come risultato una home page indicizzabile con codice di stato HTTP 200, a cui fare redirect 302 temporanei, per mantenere frizzato il posizionamento acquisito;
  • se si ha bisogno di rimuovere rapidamente tutto il sito dalla ricerca, invece, è possibile bloccare temporaneamente le URL nella Google Search Console (attenzione: questa interruzione ha una durata di circa 6 mesi).

Ovviamente, come già detto in precedenza, questa soluzione è altamente sconsigliata.

Stay Home

#StayHome: ecco come i brand ci hanno invitati a restare a casa durante la pandemia

  • La comunicazione dei brand è cambiata per forza di cose in questo momento particolare, segnata da un motto su tutti: “Stay Home”;
  • Ecco come i marchi hanno saputo cogliere l’occasione per restare in contatto con il pubblico, comunicando l’invito a rimanere a casa

 

In tempo di pandemia anche la comunicazione dei vari brand è cambiata. Mai come in questo momento è importante stare vicino ai propri clienti, coloro che fanno parte della nostra community, in modo autentico e coerente con i nostri valori di marca.

Molti marchi hanno risposto in modo differente all’invito a restare a casa, facendosi portavoce di questo messaggio per la salute di tutti.

Facciamo insieme una carrellata per vedere i diversi esempi tra alcuni brand globali e altri italiani.

Nike

Ai marketer non è sicuramente sfuggita la campagna del colosso Nike, che anche questa volta ha dimostrato come fare la differenza. Ha deciso di sensibilizzare il proprio pubblico sull’importanza singole azioni per la comunità.

Nike invita a fare la propria parte in maniera attiva, e fa leva sulle emozioni che ognuno di noi prova quando compete in uno sport: “Se hai sempre voluto giocare per milioni di persone, ora hai la tua possibilità! Gioca in casa, gioca per il mondo”.

Un messaggio sicuramente riuscito, coerente con i valori del brand, in cui la community di sportivi si è potuta riconoscere al 100%.

La risposta dei brand alla pandemia e gli inviti a restare a casa

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Lo Stay Home di Audi

Audi ha deciso di proporre una comunicazione innovativa e diversa dal solito, arrivando a modificare il proprio marchio e a lanciare il messaggio: “Keep your distance. Stay together.

Questa volta non si parla di restare a casa, ma vogliamo comunque inserire questo esempio di comunicazione in tempi di pandemia e di come un marchio abbia usato il proprio simbolo, gli anelli che costituiscono il proprio logo, per lanciare un messaggio forte e invitare le persone ha rispettare le regole per la salvaguardia di tutti.

Da questo motto lanciato, è partita anche una sfida per coinvolgere tutti gli utenti a condividere idee creative e fantasiose di come si possa stare distanti, ma uniti: la #FourRingsChallenge

McDonald’s, manteniamo la distanza

La famosa catena di fast food McDonald’s lancia anch’essa in modo chiaro il suo messaggio in tempi di Coronavirus e divide i due archi d’oro che compongono il proprio logo. L’importanza della distanza sociale raffigurata con un azione forte e d’impatto visivo.

Ma non solo, il brand ha anche lanciato una campagna con cui offre pasti gratuiti agli operatori sanitari, i “Thank you Meals”.

La risposta dei brand alla pandemia e gli inviti a restare a casa

Ceres, ognuno deve fare la sua parte

Passiamo ad un marchio danese che spesso portiamo ad esempio e che a livello di comunicazione sui social media, sa coinvolgere la propria community e spesso insegna.

Ceres mantiene il suo tono di voce irriverente e parla il linguaggio del proprio pubblico per invitarlo a stare a casa e seguire quello che più gli interessa comodamente dal divano con una birretta in mano.

La risposta dei brand alla pandemia e gli inviti a restare a casa

Peroni, restiamo a casa insieme

Il marchio italiano Peroni si rivolge ad un pubblico diverso con un tono di voce ed un linguaggio differenti, per questa birra che entra nelle case degli italiani dal 1846.

Fa leva sulle emozioni ricordando i momenti importanti in cui a birra Peroni è sempre stata con noi, e ancora una volta ci ricorda che lo sarà.

La risposta dei brand alla pandemia e gli inviti a restare a casa

Superare insieme la prova con Levissima

Da Levissima arriva un incoraggiamento a stare a casa che utilizza una metafora legata alla fatica che proviamo nell’impresa sportiva: quella che stiamo affrontando è una prova faticosa proprio come scalare una montagna e raggiungere una cima insieme.

Rinvia al sito del Ministero della Salute dove conoscere i comportamenti corretti da adottare.

La risposta dei brand alla pandemia e gli inviti a restare a casa

Bianchi, la sfida più importante

Un altro storico marchio italiano si avvicina ai propri utenti che condividono i valori del ciclismo, uno di questi è sicuramente lo spirito di squadra.

Questa volta viene chiesto di pedalare a casa, ma ancora una volta di pedalare tutti insieme per una sfida comune, la più importante.

OVS: insieme si vince, restando a casa

Passiamo ad un marchio di abbigliamento sempre italiano, insieme all’invito a rimanere a casa, arriva anche una digital challenge  “Insieme si vince. Restando a casa.

OVS lancia una campagna social per farci sentire più vicini e coinvolge personaggi famosi che fanno da testimonial come la campionessa di sci Federica Brignone e altri. Chiede di inviare volti e messaggi ottimisti con l’hashtag #insiemesivince per contribuire a infondere speranza e fiducia nella forza che possiamo trovare l’un l’altro.

Tanti altri potrebbero essere gli esempi di come i brand hanno risposto all’invito di restare a casa, passiamo la palla a voi, per menzionarne altri interessanti.