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Le nuove abitudini di acquisto degli Italiani al tempo del Coronavirus

  • Il Coronavirus ha mutato le nostre abitudini di acquisto e di intrattenimento, spostando l’asse verso il canale di accesso più semplice, internet
  • Sia nel suo aspetto ludico che informativo, quello dei contenuti multimediali è un trend oggi ancora più in crescita

 

Chiamarle “abitudini di acquisto” suona di sconfitta, tuttavia la parola corretta è proprio questa. La quarantena – spesso, ahinoi – è per alcuni una forma di vero e proprio auto-isolamento che ha mutato anche le convenzioni di approvvigionamento e di intrattenimento, spostando l’asse (già ben rodato e utilizzato) attraverso il canale di accesso più semplice e immateriale: internet e i suoi molteplici touchpoint.

Secondo l’Agenda Digitale gli operatori della filiera del commercio elettronico hanno registrato una crescita imprevista della domanda a seguito dei diversi decreti sul Coronavirus, anche da parte di consumatori non abituali, solitamente restii all’acquisto e ai pagamenti online, aumentando così il livello di difficoltà e organizzazione dell’intero sistema di logistica e consegne.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa sta cambiando.

Una ricerca di GFK fa registrare una preoccupazione crescente, soprattutto da parte delle donne. A fronte di una ovvia e necessaria riduzione della mobilità, il consumo di contenuti è cresciuto a dismisura.

La ricerca mostra inoltre che cresce l’attenzione per la cura personale e l’alimentazione intesa come strumento di benessere. Resiste la voglia di vacanze, nonostante le preoccupazioni del Coronavirus; gli italiani, infatti, continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà.

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Coronavirus e nuove abitudini di acquisto

Veniamo adesso ai dati dei dei singoli punti sopra citati, allo scopo di tirare le somme alla fine di questo approfondimento e capire come i brand dovranno agire per posizionarsi strategicamente rispetto alle nuove abitudini di acquisto.

Le donne sono più preoccupate degli uomini: se in generale gli italiani sembrano ancora preoccuparsi soprattutto per la situazione economica e per la futura difficoltà – del tutto verosimile – di uscire da questa fase difficile, il 47% delle donne intervistate dichiara di essere molto preoccupata per il diffondersi di nuove malattie (il 17% in più rispetto agli uomini).

Le donne sembrano essersi rese conto per prime della gravità della situazione, tanto da aver modificato le proprie abitudini di consumo prima dell’entrata in vigore delle misure restrittive alla circolazione, riducendo o in molti casi smettendo di frequentare centri commerciali e negozi.

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Mobilità privata

Cresce la percentuale di persone che a causa delle restrizione utilizza la propria auto privata a discapito dei mezzi di trasporto pubblico. La ricerca fa notare come tale cambiamento rischi di ripercuotersi sui futuri comportamenti e abitudini di acquisto degli italiani; infatti i mezzi di trasporto privati potrebbero essere difficili da abbandonare anche al termine dell’emergenza COVID-19.

Ciò che di conseguenza rischia di cambiare è la sensibilità degli italiani in materia di sostenibilità ambientale. Un tema che si è – fortunatamente – fatto strada negli ultimi anni, ma che a causa dell’emergenza rischia di fare diversi passi indietro.

Voglia di contenuti multimediali

Chi non ha assistito ad almeno una diretta o non ha guardato un video del proprio beniamino di turno, scagli la prima pietra. Questa frase sarebbe in grado di riassumere da sola ciò che sta succedendo sui principali social network: da Tit Tok a Instagram, i nostri profili social sono inondati di contenuti più o meno validi da masticare e deglutire tra una siesta e la preparazione di una torta. Oltre all’aspetto ludico dei contenuti multimediali va aggiunto quello dell’informazione, legato chiaramente alle notizie relative al Coronavirus, come questa che state leggendo.

Altro dato scontato è quello relativo alla crescita di iscrizione a questo o quel servizio di streaming a pagamento: Netflix, Prime Video, Disney Plus, su tutti.

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Salute e benessere

Cresce la paura e cresce in maniera quasi proporzionale la necessità di una vita all’insegna della salute e del benessere, anche in cucina: in questo periodo gli italiani stanno di più in casa e dedicano più tempo del solito all’igiene personale e alla pulizia/sanificazione della casa e dei vestiti.

Cresce anche l’attenzione all’alimentazione, intesa come strumento per stare bene, in salute – e non tanto come una concessione o una compensazione.

Vacanze

Il passaggio della pasquetta senza la tipica gita fuori porta con annesso pic-nic, ha aggiunto ulteriore valore a questo punto e incrementato la voglia di vacanze, la quale resiste alle preoccupazioni del Coronavirus. Gli italiani continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà. Una prospettiva importante, anche dal punto di vista psicologico. Il dato andrà monitorato nelle prossime settimane, ma sembra indicare che – qualora la situazione dovesse migliorare – gli italiani sono pronti a rimettersi in movimento.

Questi i punti più centrali della ricerca fatta da GFK sulle abitudini di acquisto, ma quali sono le principali categorie merceologiche che sono uscite quasi incolumi dal tornado COVID-19? Intendiamoci, molte lo sono state per forza di cose. La risposta è pressoché scontata: chi possiede un touchpoint di vendita online (leggi eCommerce).

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Le principali categorie merceologiche in crescita

Il settore Food è senza dubbio quello che ha più ha beneficiato in questo momento di difficoltà. Infatti si registra un vero e proprio boom di vendite online. Il trend è iniziato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni più colpite dal virus.

Con l’arrivo del decreto del 10 marzo – quello sul quale si indicava che tutta l’Italia sarebbe stata obbligata a restare a casa – l’impennata dell’eCommerce di beni di prima necessità ha raggiunto tutto il paese, partendo dai generi alimentari, passando per i farmaci e terminando con i prodotti per la cura della persona.

dirigente preoccupato lavoro remoto

La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti

  • Il lavoro da remoto in quarantena è una sfida per i tanti dirigenti che non erano preparati o interessati allo smart working (56%)
  • In un contesto in cui questa modalità di lavoro sembra essere qui per restare, è essenziale un cambio di paradigma, anche in ottica post-Coronavirus

 

Chi ha ruoli manageriali in azienda di questo periodo non ha certamente vita facile.

Stiamo vivendo uno dei momenti di massima incertezza che probabilmente non ha paragoni in questo secolo, con aziende fino a prima della crisi del Coronavirus in perfetta salute che ora annaspano in cerca di aria. E lo smart working “obbligato” che tutto il Paese sta affrontando, senza la giusta preparazione e pianificazione, non aiuta.

È una grande sfida per tutti, ma soprattutto per chi riveste ruoli dirigenziali. Si parla molto delle difficoltà per i dipendenti, per chi d’improvviso si ritrova a lavorare da casa e a fare i conti con i lati negativi di questa modalità (dato che quelli positivi, a causa della quarantena, è difficile percepirli). E così il web si è riempito di consigli su come sedersi in maniera corretta, come ottimizzare il tempo, come coltivare i rapporti con i colleghi anche a distanza.

Ma per i capi azienda? Soprattutto per quelli che lo smart working non è che fossero proprio in procinto di introdurlo, prima che diventasse l’unico modo per lavorare?

LEGGI ANCHE: Non chiamatelo smart working: come affrontare il lavoro in quarantena

Chi ha detto “smart” working?

In fondo le statistiche parlano chiaro: nel tessuto aziendale fatto di PMI del nostro Paese, prima di questa crisi, erano ancora pochi i responsabili aziendali interessati ad applicare lo smart working.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico, nel 2019 in questa categoria erano ben il 51% le aziende non interessate (con un 4% in più addirittura ignaro del fenomeno). Il motivo? Nel 23% dei casi, mancanza d’interesse e resistenza da parte dei capi.

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Sarà interessante vedere, nella prossima edizione di questo report, come saranno cambiati i dati in seguito all’introduzione del Decreto Cura Italia e a tutte le sue conseguenze.

Ma per ora i dati parlano chiaro: questa situazione è “capitata” in maniera passiva, ricadendo nella maggior parte dei casi su aziende in cui lo smart working non era minimamente nei piani; anzi era spesso considerato come qualcosa di negativo, un grosso rischio di perdita di produttività, da evitare quanto più possibile.

Come confermava Methodos, società di consulenza specializzata proprio in questo campo, nell’intervista a Ninja Marketing raccolta in questo articolo, l’introduzione dello smart working richiede tempo e sforzi deliberati, ascolto e analisi, ma soprattuto volontà di farlo con successo.

Tutti elementi che sono mancati in questo frangente, e che pare ovvio ora portino molti dipendenti che lavorano da casa a lamentare, più ancora dei mal di schiena e degli altri “disturbi” da quarantena, la mancanza di comprensione e supporto da parte dei capi.

manager lavoro remoto

Che tipo di manager vuoi essere?

Il fatto è che, volontà o meno, interesse o meno, adesso l’opinione personale sullo smart working non conta più.

Non si tratta di poche settimane, visto che la durata del lockdown è stata già raddoppiata. Né di pochi mesi, presumibilmente, visto che è già stato chiaramente spiegato che la chiave per il successo della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus si baserà anche sullo smart working.

Adesso non si tratta di fare buon viso a cattivo gioco, ma di imparare a sfruttare questa situazione per migliorare la propria azienda e per migliorarsi come manager. Tutto dipende dalla risposta a una domanda: “che tipo di dirigente vuoi essere?“.

Credo che nessuno che si trovi in posizione di responsabilità pensi a se stesso come a un carceriere, eppure è quello che più spesso finisce per risultare come opinione tra i dipendenti, specialmente per quei dirigenti che basano sul “controllo” la propria idea di successo.

Come ha spiegato Maria Vittoria Mazzarini: La chiave del successo per lo smart working è la fiducia: avere un rapporto di fiducia con i responsabili, con i team, con i dipendenti, etc. È quella la leva che fa funzionare tutto, ed è una moneta che qualcuno deve giocare per primo”. 

Il dipendente, lavorando da casa, si deve impegnare a portare a termine i compiti che gli sono assegnati e a renderne conto ai propri dirigenti. Ma dall’altra parte? Qual è l’impegno del capo nei confronti delle risorse che dirige?

Deve essere una presa di posizione basata in primis sulla volontà, su un cambio di paradigma: chi lavora non lo fa perché controllato dall’alto come in una prigione, ma perché si sente valorizzato e motivato a farlo. È chiaro che l’approccio deve essere completamente diverso, con responsabili che credono nella buona fede dei dipendenti e dei colleghi e non il contrario.

Ma non si tratta solo di “fiducia incondizionata”: ci sono metodi e strumenti che si possono, anzi, si dovrebbero utilizzare per tenere traccia del lavoro svolto e della produttività personale, anche a distanza. Non sono strumenti “coercitivi” o di controllo remoto, come quello di registrare lo schermo del computer a distanza, ma tool e approcci di project management che sono stati definiti e implementati appositamente per questo.

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lavoro remoto coronavirus

Gli strumenti della fiducia nel lavoro da remoto

Una gestione dei compiti e delle attività ben definita, basata sulla verifica del raggiungimento degli obiettivi e non sul numero di ore di lavoro (che tra l’altro finiscono spesso per essere di più, quando si lavora in smart working e gli orari d’ufficio sfumano).

Utilizzare strumenti come Trello o Asana per tenere traccia delle attività poteva sembrare un simpatico escamotage all’inizio della quarantena, ma in un’ottica di mantenimento di lungo termine di questa modalità di lavoro e della produttività necessaria, diventa indispensabile.

Ed è il capo il primo a doversi fare paladino di questa modalità di lavoro, perché essa possa aver successo. Incoraggiare l’uso di questi strumenti, provandoli e mettendoli in pratica, perché è appunto lui/lei che ha la vision necessaria per sceglierli.

Allo stesso tempo, il rischio dello smart working, soprattutto se il management non lo sposa completamente, è quello di creare un senso di distanza sociale incolmabile, che finisce per rendere meno efficaci le comunicazioni e forzate le interazioni.

Compito dei dirigenti invece, anche qui, è riuscire a ricreare le dinamiche sociali dell’ufficio al di fuori di esso, grazie agli strumenti di comunicazione remota quali le videochiamate. Dinamiche che faccia a faccia possono essere spontanee, come le chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè da cui spesso nascono le migliori idee, ora dovrebbero essere introdotte volontariamente.

Non solo riunioni “produttive”, quindi. Pranzi o pause caffè social davanti alla webcam, canali di interazione libera su Slack dove si incoraggi la condivisione della vita quotidiana, comunicazioni leggere e “off-topic” sono linfa vitale per il senso di appartenenza e di partecipazione in azienda, quando queste diventano interamente dipendenti da un computer.

Esistono (quasi) più strumenti che necessità quando si parla di smart working, e se la parte difficile è trovare quelli che più si addicono alla singola realtà aziendale, la buona notizia è che sicuramente esistono. E probabilmente in questo periodo, grazie alla piattaforma Solidarietà Digitale, possono anche essere gratuiti o comunque fortemente scontati.

strumenti lavoro remoto

La vera sfida dello smart working è il post-Coronavirus

Quel che è certo è che le aziende dovranno ragionare su come rendere lo smart working uno strumento davvero efficace, e non ‘di riserva’, per non trovarsi impreparati di fronte a probabili altri periodi di isolamento, che secondo gli esperti seguiranno anche in futuro.

Per farlo, è necessario creare un’organizzazione e una cultura aziendale che non “capita”, ma che anzi si deve implementare volontariamente e consapevolmente con cambiamenti e sforzi specifici.

“La sfida futura per le aziendesecondo Simone Colombo, HR fractional ed esperto di direzione del personale in outsourcing – sarà quella di riuscire ad avere un sistema di gestione che definisca gli obiettivi per ogni area di lavoro e riesca a misurarli, ora che nella misurazione manca la variabile tempo e spazio e soprattutto non è possibile indire riunioni o verifiche quando si vuole, lasciando il lavoratore libero (ma al contempo solo) di autodeterminare la propria attività”.

È una sfida per i dipendenti, che dovranno imparare ad essere molto più autonomi e focalizzati, ricreando a casa le condizioni lavorative che li rendono efficaci in ufficio, con orari, abitudini e attività specifiche.

Ma è una sfida soprattutto per i manager e i responsabili, che si trovano praticamente costretti a rivedere il proprio stile di leadership. Continuare a fare muro contribuirà solo alla creazione di una cultura del lavoro sbagliata e controproducente, che nel lungo termine farà più danno che altro a qualsiasi organizzazione.

La chiave di volta, in questa situazione, è una sola: abbracciare il cambiamento invece di opporvisi, e trasformare questo periodo di crisi in una grande opportunità, una vera e propria scuola di management e leadership.

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Lovie Awards: la selezione per la decima edizione si chiude il 24 aprile

L’Accademia Internazionale delle Arti e delle Scienze Digitali (IADAS) – l’organismo che presenta i Webby Awards internazionali e il suo programma gemello The Lovie Awards – ha annunciato  l’apertura ufficiale del 10° Bando annuale dei Lovie Awards. I creatori di tutta Europa possono presentare i loro lavori su siti web, pubblicità, video, app, mobile e voce, podcast e social su lovieawards.eu fino al 24 aprile.

Lovie Awards è l’unica organizzazione di premi paneuropea ad onorare l’eccellenza dell’Internet europeo. I finalisti saranno annunciati a settembre 2020 e i vincitori a ottobre 2020, seguiti da una celebrazione a novembre 2020 a Londra.

Tra i partner e sponsor dell’evento Google, WP Engine, Social Media Week, The Dots, CreativePool, Dutch Digital Design e Ninja Marketing.

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Cosa significa partecipare ai Lovie Awards

I partecipanti ai Lovie Awards non competono solo per vincere un Lovie Award e il People’s Lovie Award (preferito dai fan), ma anche per consegnare il loro discorso e seguire le orme dei vincitori dello scorso anno.

Il 10° Bando annuale introduce una serie di nuove categorie che mirano a riconoscere il lavoro in tutto lo spettro digitale, includendo:

  • Una nuovissima suite per i Podcast con categorie ampliate come Documentario, Business, Intervista/Talk Show, Arte e Spettacolo e altro ancora.
  • Nuove categorie in Pubblicità, come Campagna per il Miglior Uso dei Media
  • Categorie dedicate alla diversità e all’inclusione tra i vari tipi di media

L’elenco completo è disponibile su lovieawards.eu.

Tutti i lavori sono giudicati da più di 500 membri dell’Accademia che rappresentano le migliori e più brillanti menti d’Europa per il digitale, tra cui il musicista Imogen Heap, l’attore e scrittore Stephen Fry, il “Padre del Wi-Fi” Vic Hayes, Anna Rafferty (VP, The LEGO Group) e tanti altri.

Il termine ultimo per l’iscrizione anticipata è il 24 aprile 2020.

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Come i ristoranti possono assistere meglio i clienti nei momenti di incertezza

Questo articolo è stato scritto da Ryan OlohanManaging Director, Food, Beverage & Restaurants at Google

 

I ristoranti sono il cuore di molte comunità. Sono il luogo in cui le coppie si godono un appuntamento, le famiglie festeggiano i compleanni, i team di lavoro si riuniscono per il pranzo dopo un successo. E mentre il mondo è alle prese con il COVID-19, sia le catene che i ristoranti indipendenti si stanno rapidamente attrezzando per trovare nuovi modi di servire le loro comunità.

Ryan Olohan, Managing Director, Food, Beverage & Restaurants di Google, racconta la sua esperienza come ristoratore che sta vivendo personalmente questa crisi: “Mia moglie ed io abbiamo aperto Seven Scoops & Sips nel 2019, e doniamo una parte dei nostri guadagni a cause meritevoli. Prima di COVID-19, il negozio era pieno ogni sera perché la gente sapeva che l’acquisto di un gelato, o di un caffè aiutava a finanziare le scuole locali e i programmi sportivi, le vittime del cancro, i giovani senzatetto, i bambini bisognosi di Harlem, i villaggi del Kenya e altre cause locali e globali. La crisi è particolarmente dura perché ora tutti i finanziamenti sono stati messi in attesa fino a quando gli affari non potranno riprendere”, ha spiegato in un post su Think with Google.

La pandemia presenta sfide uniche per l’intera industry. E mentre la strada da percorrere dipende da molte variabili, ecco alcune strategie che i ristoranti stanno adottando per supportare i loro clienti in questo momento senza precedenti.

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Aiutare i clienti a pianificare

Quando l’incertezza è al primo posto, la gente cerca informazioni di cui può fidarsi. Questo è ancora più evidente quando si tratta di opzioni alimentari accessibili e disponibili nelle vicinanze. L’interesse per la ricerca “Take away” è aumentato del 285% dall’inizio di marzo. Essere lì per aiutare le persone a vivere in questa nuova normalità con informazioni aggiornate e pertinenti può fare la differenza.

Comunicare in modo proattivo i cambiamenti che riguardano il proprio ristorante attraverso i canali a contatto con i clienti è fondamentale per aiutare le persone a pianificare e a prepararsi. Aggiornare il profilo aziendale su Google è un modo per farlo. Gli aggiornamenti sul profilo e sulla posizione, come le modifiche degli orari del ristorante, comprese le chiusure temporanee o gli orari modificati, appariranno anche su Google Search e Google Maps. E, in un momento in cui le persone stanno valutando ciò che meglio si adatta alle loro esigenze, fornire informazioni puntuali (ad esempio se si sta offrendo servizio da asporto o la consegna a domicilio) è un modo per aiutare gli utenti a decidere cosa è giusto per loro.

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Comunicare efficacemente le soluzioni di asporto e consegna a domicilio

Negli ultimi cinque anni, le attività che troviamo nella ricerca“ristoranti vicino a me” sono stati costantemente classificati come la ricerca “vicino a me” più popolare. Ma il comportamento dei consumatori è cambiato. L’attenzione si è spostata su soluzioni alternative per i pasti. Nelle ultime tre settimane è stato registrato un aumento dell’interesse dei consumatori per la “consegna” come risultato delle campagne di distanziamento sociale; l’interesse della ricerca per le domande relative alla “consegna del cibo” è aumentato del 100%.

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Fonte: Google Trends, Stati Uniti, 1 marzo 2020-24 marzo 2020

Informare le persone sulle alternative a loro disposizione per i pasti aiuta i clienti e i dipendenti a rimanere al sicuro durante i periodi di lockdown. E soluzioni come le campagne locali possono aiutare a personalizzare la comunicazione del ristorante in modo da includere solo le località in cui si offrono le opzioni di consegna a domicilio.

Rassicurare sulla sicurezza dei ristoranti e sulle misure igienico-sanitarie

Oggi più che mai, quando si sceglie dove e cosa mangiare, la sicurezza è fondamentale. Infatti, l’interesse per la ricerca di “è sicura la consegna degli alimenti” è aumentato del 650% negli Stati Uniti dall’inizio di marzo. Rassicurare i clienti che capiscono le preoccupazioni per la sicurezza e che stanno prendendo misure importanti per affrontare la situazione attuale è fondamentale.

ristoranti covid-19Queste azioni includono la condivisione degli aggiornamenti sulle nuove implementazioni, come ad esempio l’istituzione di un team dedicato per concentrarsi sulla sicurezza alimentare. Altri esempi possono includere l’applicazione di procedure di pulizia più rigorose, l’aumento della frequenza del lavaggio delle mani tra il personale e l’aggiornamento dei materiali di formazione per i dipendenti.

Inoltre, comunicare la propria politica di congedo per malattia dei dipendenti o affrontare il problema delle assenze per malattia è un altro modo per mostrare come si sta riducendo al minimo la possibilità di mettere a rischio i lavoratori e i clienti.

In questo periodo difficile, l’ultima cosa di cui la gente vuole preoccuparsi sono le opzioni per i pasti. Alleviando queste preoccupazioni con comunicazioni pertinenti e scelte sicure e convenienti, si fornisce una forma di assistenza che tutti ricorderanno e apprezzeranno.

generazione z

3 caratteristiche da considerare per intercettare il target più ricercato del momento

  • I giovani della Generazione Z trascorrano una media di almeno 5 ore online;
  • I ragazzi di oggi vogliono fare domande e ricevere delle risposte, non gli piace essere ingannati ma desiderano che tutto quello che gli viene proposto e mostrato sia reale;
  • Velocità, creatività e valori: sono questi i tre ingredienti per costruire una strategia di brand che punta ad essere top of mind per la generazione Z.

 

C’erano un tempo i millennial. Ora è arrivato il tempo della Generazione Z, questa sconosciuta. I consumatori del domani sono il target obiettivo dei brand, in ogni settore. Ma cosa si nasconde dietro questa definizione?

Da un punto di vista demografico il termine Generazione Z si riferisce a tutti i nati nella seconda metà degli anni ’90, nell’era di internet. Rete e connessioni  che hanno influenzato profondamente il loro modo di vivere la vita quotidiana e fruire contenuti e prodotti.

È stimato che i giovani della Generazione Z trascorrano una media di almeno 5 ore online, per buona parte sui social e su applicazioni come WhatsApp o TikTok. In linea di massima possiedono inoltre un più profondo valore della comunità, intesa come modo di aggregazione e condivisione.

Tutto ciò li porta ad essere molto connessi, ma contemporaneamente molto più soli rispetto a tutte le generazioni precedenti.

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I brand e lo sport hanno contribuito a colmare questo gap: basti pensare alle comunità sportive che cercano di unire persone con uno stesso obiettivo, e oggi si rivolgono a una generazione che percepisce maggiormente la solitudine ma che ricerca dei valori in cui credere.

Qual è il ruolo dei brand e quali sono le azioni da compiere per diventare davvero rilevanti per questa generazione?

#1 Essere veloci ma indimenticabili

L’esposizione a contenuti, social, chat per più di cinque ore al giorno sta diventando un fattore molto rilevante per chi vuole approcciare questo tipo di consumatore; la Generazione Z è infatti insaziabile, e molto difficile da accontentare.

Cercano sempre video, campagne, modi di comunicare che colpiscano nel minore tempo possibile.

Il motivo? Il primo perché hanno un’attenzione molto più bassa dei millennial, dovuta al fatto che sono più abituati alla velocità di creazione di video o immagini. Il secondo è che sono sempre più alla ricerca di contenuti e modi di comunicare creativi. Un’immagine statica non li attira, anzi, fa percepire un contenuto noioso e vecchio.

Un video caricato su TikTok, una campagna pensata prima per il digital e poi (forse) per l’advertising tradizionale, può essere il primo passo verso il successo.

#2 Credere in un valore

I nuovi nativi digitali, per il modo diverso di intendere il concetto di community, cercano brand e acquistano prodotti non con un messaggio commerciale, ma con un valore reale. Le strategie purpose-led, sono quelli ad oggi più efficaci se si sceglie di puntare sulla generazione Z.

Ma non basta dichiarare di credere in un valore, bisogna anche dimostrare di lavorare attivamente per includerlo all’interno della propria strategia a breve e medio termine.

Gli argomenti più sensibili per i ragazzi di questa generazione sono ad esempio il cambiamento climatico, la diversity and inclusion e, online, non cercano solo il prodotto che soddisfi maggiormente i loro gusti, ma soprattutto un brand e una filosofia quanto più vicina agli ideali per cui sono disposti a lottare.

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#3 Creare partecipazione per conquistare la Generazione Z

Un esempio utile per spiegare questo punto può essere Glossier, tra i brand preferiti dalla Generazione Z e il motivo è semplice. Comunica verità. Attraverso i contenuti, pensati prima e solo come contenuti digitali, fa in modo di avere un contatto diretto con i propri consumatori, scegliendo come canale principale Instagram e modelli veri e vicini a chi ogni giorno segue e partecipa sul proprio canale.

Avere un valore sì, ma creare e comunicare con il proprio consumatore è la vera arma vincente. Questa è una generazione che non vuole sentirsi distante dai brand che acquista, ma cerca una continua interazione e partecipazione, con l’obiettivo di creare insieme.

Vuole fare domande e ricevere delle risposte; non gli piace essere ingannato ma desidera che tutto quello che gli viene proposto e mostrato sia reale, il più possibile vicino a lui.

generazione covid

Generazione Covid: cosa cambierà domani per i ragazzi di oggi

  • La Generazione Z potrebbe essere la più colpita e trasformata dagli effetti dell’emergenza;
  • Sarà la variabile tempo a determinare se l’emergenza riuscirà a segnare un’intera generazione, ma parlare di generazione Covid significa immaginare che questo fenomeno si prolunghi;
  • Per il momento, l’uso dei social ha consentito ai nativi digitali di adattarsi più facilmente di altri all’isolamento sociale.

 

Ci sono eventi che segnano intere generazioni. Senza andare troppo a ritroso, si potrebbero citare la Guerra in Vietnam, una delle cause a originare il movimento del Sessantotto, o ancora per i millennial l’11 settembre con le immagini del crollo delle Torri Gemelle e insieme delle certezze di una generazione.

E poi, per tornare ai tempi nostri, c’è il Covid-19, con la Generazione Z che potrebbe essere la più colpita e trasformata dagli effetti dell’emergenza.

A tal proposito ha senso parlare di “Generazione Covid”? E come è destinato a cambiare la percezione del mondo per i ragazzi? Per rispondere a questi interrogativi, abbiamo rivolto qualche domanda a Duala Grassini, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale.

generazione covid

Millennial vs Generazione Z, chi è più vittima dell’isolamento?

Sarà la variabile tempo a determinare se l’emergenza riuscirà a segnare un’intera generazione. Come è prevedibile, gli effetti potrebbero essere diversi se i tempi per un ritorno alla “normalità” si prolungassero di tanto. Ciò premesso ci sono già dei fenomeni che si stanno manifestando tra i ragazzi:

«Un adolescente ha il compito di svincolarsi dal nucleo familiare di origine e vive, per questo, un periodo di ribellione e fuga dalla famiglia, per avvicinarsi al sistema dei pari, nel quale attraverso il confronto sviluppa e delinea la propria identità».

In questi mesi di isolamento forzato, i ragazzi condividono per più tempo la quotidianità con la loro famiglia. In virtù di questo, ci si aspetterebbe che siano i più colpiti dalle norme dei decreti per contrastare la diffusione del virus. Eppure, sorprendentemente non è così:

«Io che immaginavo gli adolescenti nel chiuso delle loro stanze, in preda all’acuirsi del conflitto generazionale ho trovato, al contrario, ragazzi che, più degli adulti, dei bambini e degli anziani, continuano a nutrirsi delle loro relazioni quotidiane attraverso strumenti come i social. Gli stessi che erano stati spesso, a buon dire, demonizzati da genitori ed esperti perché, laddove gli adolescenti manifestavano tratti di personalità schizoide, ritiro sociale, divenivano l’unica modalità per mettersi in relazione con gli altri».

Se da una parte, l’isolamento ha senza dubbio acuito alcuni fenomeni di ritiro, come per esempio gli Hikikomori (termine che definisce chi fa dell’isolamento sociale e dell’uso dei social media, l’unica modalità per stare al mondo), dall’altra l’uso dei social ha consentito “ai nativi digitali di adattarsi più facilmente di altri all’isolamento sociale”.

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Imparare da remoto, opportunità e rischi

Gli adolescenti sono quindi i più pronti a una vita da remoto: hanno imparato a digitalizzare le loro relazioni, ad acquistare corsi di formazione a distanza. L’emergenza Covid-19 ha, insomma, solo accelerato questo processo ed incrementato canali come l’eCommerce e l’eLearning:

«L’uso esclusivo di questi strumenti, tuttavia, mette a rischio la dimensione più funzionale della relazione, che non può prescindere dal rapporto umano. Una relazione si compone di aspetti non verbali e prosodici, che si stanno sempre più perdendo all’interno della comunicazione. Questo può portare a fraintendimenti e a sviluppare relazioni sempre più superficiali».

Riflettiamo, a tal proposito, sull’impatto che possono avere le lezioni a distanza. Su quanto possa essere distaccato un apprendimento che prescinde dalla relazione emotiva tra allievo e docente. D’altronde, gli insegnamenti che più ci sono rimasti impressi sono quelli di docenti che mettevano grande passione nel loro lavoro.

Come può tutto questi riprodursi online, soprattutto quando si parla di strumenti nuovi per la maggior parte degli insegnanti e degli studenti? Diventa allora un grande interrogativo nella ipotesi malaugurata che la scuola sia costretta ancora a interrompere il normale svolgimento delle lezioni nei prossimi mesi per il sopraggiungere di una nuova emergenza.

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L’esame di maturità: la perdita di un rito di passaggio

L’ultimo anno alle scuole superiori, il viaggio e la festa di fine anno, l’esame di maturità, sono tutte esperienze che con ogni probabilità saranno negate ai diciottenni di oggi. Che effetti potranno avere sulla loro vita?

Si può immaginare che molti si esaltino all’idea di non dover provare l’ansia di affrontare una commissione, vis à vis, per esporre ciò che ha imparato e “giocarsi tutto” con la prestazione del momento:

«Quello che alcuni giovani forse non hanno ancora gli strumenti per comprendere, è che rischiano di perdere uno dei riti che sanciscono il passaggio ad una fase evolutiva successiva. La mancanza di riti di passaggio nell’esistenza di un uomo non favorisce le elaborazioni delle fasi della vita. Così come, per esempio, l’assenza di un rito funebre rende più complicata l’accettazione della morte. Un altro fenomeno a cui stiamo assistendo in questi mesi».

La mancanza di un esame di maturità tradizionale significherebbe anche la mancata condivisione di emozioni, momenti di commozione, abbracci, aneddoti da raccontare, pianti, ringraziamenti ecc. La mancanza di tutto questo “potrebbe creare un sospeso con cui prima o poi si dovrà fare i conti”.

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Generazione Z: gestire ansia e stress con creatività

Grassini ci offre consigli anche su come gestire le emozioni aiutando gli adolescenti, e noi tutti, a non farsi schiacciare da ansie e paure:

«Gestire gli aspetti emotivi significa impiegare risorse cognitive e comportamentali. Per esempio, utilizzare i canali giusti di informazione per comprendere quello che sta accadendo, senza incappare in notizie sensazionalistiche che creano allarmismi. E adottare delle buone pratiche, come impegnarsi in attività manuali e creative che sono in grado di dialogare con il nostro “io bambino” e farci vivere il più possibile “il qui ed ora”».

Per quanto riguarda la gestione dello stress, la psicoterapeuta ci aiuta a fare un distinguo, tra chi riuscirà a risolvere attraverso strumenti emotivi e cognitivi, come descritto sopra. Unendo a questi, la voglia di raccontare e condividere questa esperienza con gli altri. Diverso è il caso di personalità che soffrono già di tratti ipocondriaci, paranoici o tendenze depressive:

«Se vi è un passato di traumi legati alla malattia o all’isolamento, la gravità della situazione verrà avvertita maggiormente fino a poter determinare un DPDS (disturbo post-traumatico da stress)».

Rinsaldare i legami familiari e migliorare come persone

Come ogni crisi, anche questa nasconde pericoli e opportunità, e secondo la nostra esperta, non va vissuta dai ragazzi necessariamente nell’accezione negativa del termine.

Per dimostrarlo, ci cita il caso di un suo paziente, un 25enne, che continuava ad essere in protesta con i suoi genitori, pretendendo che “ricoprissero l’immagine idealizzata che si era fatta di loro quando era bambino”. Questa forzata convivenza ha costituito per lui un acceleratore di crescita perché ha avuto modo, accanto alla guida psicologica, di affrontare, comprendere, fino quasi a risolvere, la propria conflittualità familiare ponendo le basi per l’ingresso all’età adulta.

«Ci hanno insegnato che gli eventi e l’ambiente ci plasmano dai primi istanti di vita e ancor prima, ma come ad ogni essere umano. Come i giovani decideranno di utilizzare questa “crisi” ancora una volta dipenderà da loro. Mi piace pensare che la utilizzeranno per rivalutare l’importanza di un abbraccio, di avere ancora un genitore, di poter godere della natura rispettandola e di amare la vita sempre».

Generazione Covid: speriamo di no!

Tornando alla domanda con cui abbiamo aperto l’articolo, ha senso parlare oggi di Generazione Covid? Secondo l’esperta ancora no.

«Parlare di generazione Covid mi fa un po’ effetto, significa immaginare che questo fenomeno si prolunghi fino a segnare in maniera indelebile una intera generazione. Ancora possiamo sperare che non sia così», conclude.

contenuti dannosi facebook

Come dovrebbero essere regolati i contenuti sui social, secondo Facebook

  • In materia di contenuti dannosi, Facebook si è recentemente espressa con un white paper che definisce come dovrebbero essere regolati i contenuti su social e web
  • Facebook punta a mentenere il suo ruolo di partner costruttivo per i governi, con approcci più praticabili per gestire i contenuti online

 

In materia di “contenuti dannosi”, Facebook si esprime pubblicando un nuovo white paper per la regolamentazione universale sui social e sul web.

Sulla scia dello scandalo Cambridge Analytica e delle proposte avanzate sul tema privacy, propaganda politica online e portabilità dei dati, arriva una nuova regolamentazione universale dei contenuti dannosi che coinvolge Facebook, legislatori, aziende private, società e utenti.

Dopo Cambridge Analytica, lo stato dell’arte

È il 2018, quando Mark Zuckerberg viene chiamato a testimoniare davanti al Congresso degli Stati Uniti sulla violazione delle informazioni appartenenti a milioni di utenti registrati al suo social network e usate impropriamente dalla Cambridge Analytica.

L’uso che la società di consulenza britannica ne avrebbe fatto coincide con la profilazione diretta di utenti, amici e simili da intercettare per scopi politici a carattere elettorale, attraverso la pubblicità digitale.

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Da allora, la questione sulla regolamentazione dei contenuti dannosi su Facebook, i social e nel web è sul tavolo del dibattito come un nervo scoperto in cerca di una linea universale da implementare e delle responsabilità da conferire.

Nel 2019, arriva un primo significativo cambiamento: Facebook passa con decisione dal “non vogliamo più interferenze da parte del governo” a abbiamo bisogno di una supervisione del governo per implementare controlli di sicurezza universali e garantire parità di condizioni per tutte le piattaforme che lavorano per sorvegliare i contenuti web”.

Di fronte alle varie sfide legali e politiche, oggi Facebook mira a favorire un approccio più standardizzato delle policy: “È impossibile rimuovere tutti i contenuti dannosi da Internet” dichiara Zuckerberg in un recente editoriale, “ma quando le persone utilizzano decine di servizi di condivisione diversi – tutti con la loro politica e i loro processi – abbiamo bisogno di un approccio più standardizzato”, conclude.

Una posizione con cui il CEO del social network s’impegna a delineare un quadro strategico entro cui implementare la regolamentazione universale dei contenuti dannosi sui social e sul web.

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Come cambiano le regole per i contenuti dannosi?

Il white paper pubblicato lo scorso febbraio dal gruppo Facebook, mira a rispondere a quattro domande chiave che l’azienda sostiene debbano essere formulate nell’ottica di un dibattito più ampio.

L’azienda sottolinea:

  • In che modo la regolamentazione dei contenuti può raggiungere l’obiettivo di ridurre il linguaggio dannoso preservando la libera espressione?
  • In che modo le normative possono migliorare la responsabilità delle piattaforme Internet?
  • La regolamentazione dovrebbe imporre alle società di Internet di raggiungere determinati obiettivi prestazionali?
  • La regolamentazione dovrebbe definire quali “contenuti dannosi” dovrebbero essere vietati su Internet?

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Secondo Facebook, i problemi sorgono quando le persone non comprendono o si sentono impotenti di fronte a decisioni che limitano il loro linguaggio, il loro comportamento e più in generale la loro esperienza online.

Per mantenere un adeguato bilanciamento tra sicurezza, libertà di espressione e altri valori, bisognerebbe attivare sistemi di canali intuitivi per la segnalazione di contenuti o la supervisione esterna di politiche o decisioni di applicazione, attraverso procedure come la periodica segnalazione pubblica dei dati di applicazione.

Una regolamentazione che potrebbe fornire a governi e individui le informazioni di cui hanno bisogno per giudicare accuratamente gli sforzi fatti dalle società di social media.

Le autorità di regolamentazione potrebbero prendere in considerazione determinati requisiti per le aziende, come la pubblicazione dei loro standard di contenuto, la consulenza con le parti interessate-quando apportano modifiche significative agli standard-o la creazione di un canale affinché gli utenti possano presentare ricorso contro una decisione di rimozione o non rimozione di un’azienda.

In questo modo, le normative migliorerebbero la responsabilità delle piattaforme.

È evidente come in quest’ottica le aziende potrebbero essere incentivate a raggiungere obiettivi specifici come mantenere la prevalenza dei contenuti in violazione al di sotto di una soglia concordata.

Ciò significa che la regolamentazione dovrebbe definire quali “contenuti dannosi” dovrebbero essere vietati su Internet?

Nel documento, viene specificato che le leggi che limitano la parola sono generalmente applicate dalle forze dell’ordine e dai tribunali. La moderazione dei contenuti su Internet è sostanzialmente diversa.

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Pertanto, i governi dovrebbero creare regole per affrontare questa complessità – che riconoscono le preferenze dell’utente e la variazione tra i servizi Internet, possono essere applicati su larga scala e consentire flessibilità in tutte le lingue, tendenze e contesto.

La situazione odierna con milioni di contenuti pubblicati e diffusi sui social sul Coronavirus e sull’emergenza, resta un banco di prova per tutte le piattaforme.

Il ruolo di Facebook nel nuovo quadro strategico

In sostanza, Facebook sta dicendo che esistono disposizioni sui contenuti in vigore per tutte le altre forme di media e simili e dovrebbero essere attuate per il web; il che ridurrebbe l’onere sull’azienda e su altre piattaforme, a favore di una decisione più autonoma su cosa è e cosa non è accettabile, pur istituendo una misura di base su tutti i social network ed entità.

In tal senso, continuerebbe a mantenere il suo ruolo di partner costruttivo per i governi mentre pesano approcci più efficaci, democratici e praticabili per gestire i contenuti online.

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Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19

  • Il COVID-19 sta già cambiando la nostra vita e condizionerà anche le scelte di marketing
  • La forma di advertising più colpita è evidentemente l’outdoor, segue subito dopo il mercato delle sponsorizzazioni
  • Gli influencer hanno un ruolo positivo attivo, coinvolgendo i follower con le dirette da casa

 

Cosa accadrà al mondo del marketing post Covid-19? 

Abbiamo provato ad analizzare, partendo da alcuni dati, come il mondo del marketing potrà essere influenzato dal lockdown mondiale.

Alcune considerazioni, sono forse banali, ma vanno necessariamente sottolineate oggi: se le strade sono deserte, internet è in sovraffollamento; i social media sono diventati il luogo in cui rifugiarsi per ritrovare un senso di comunità e le piattaforme di video conference sono diventati i nuovi bar virtuali in cui incontrare amici e parenti.

Tutto il mondo si sta interrogando su domande da milioni di dollari: quanto durerà? Come sarà influenzata la mia vita e il mio lavoro? Noi queste risposte ovviamente non le abbiamo, ma abbiamo provato a capire come il Coronavirus influenzerà le scelte di marketing nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

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Il mondo marketing tradizionale

Mentre siamo chiusi nelle nostre case, il mondo intorno a noi sta cambiando. La comunicazione in TV è stata rivoluzionata nel giro di poche settimane, i programmi televisivi si sono adattati alle nuove disposizioni sanitarie e i brand più reattivi sono andati in onda con spot pubblicitari girati in case, mostrando un messaggio di vicinanza al pubblico.

Ma proprio dal mercato del marketing tradizionale arriva il primo grande paradosso: gli ascolti della TV esplodono ma i brand fanno retro-front sugli investimenti pubblicitari.

Secondo uno studio svolto in queste settimane recente studio, la penetrazione degli ascolti TV aumenta ogni giorno, mediamente un italiano su tre guarda la tv, la chiusura delle scuole aggiunge una bella fetta di bambini, che tuttavia rimane inferiore a quella degli adulti. Il picco di ascolto è alle 9 di sera con quasi la metà degli italiani davanti alla televisione, mentre il day time ha beneficiato maggiormente della situazione con un incremento del 17%.

Lo stesso dato di crescita, tra TV tradizional e streaming si registra inoltre in tutto il mondo, come mostrato da Statista.

statista crescita ascolti tv e streming coronavirus

Ma nonostante ciò, in Italia si stima una riduzione degli investimenti in acquisto di spazi televisivi. Un vero e proprio paradosso, spinto dall’ondata di crisi economica verso cui stiamo andando incontro.

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L’Out of Home potrebbe essere la forma di advertising più colpita. Ha ancora senso la pubblicità per strada? Nei prossimi mesi sarà sempre meno frequente camminare per strada, spostarsi da casa a ufficio, raggiungere da qualche parte un amico. E allora quanto saranno utili i cartelloni pubblicitari? Quale sarà l’effettivo ritorno dell’awareness di una pubblicità sugli un autobus, o in una stazione della metropolitana? C’è tuttavia da considerare che una buona fetta della spesa pubblicitaria in questo settore sia allocata alla fine dell’anno, per le festività natalizie.

Infine, anche il mercato delle sponsorizzazione ne risentirà: i grandi eventi sportivi, come il campionato di calcio e perfino le olimpiadi, sono sospesi e alcuni brand tenderanno a tagliare gli accordi di sponsorizzazione.

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coronavirus corporate social responsibility

La strada del Digital Marketing

A differenza delle forme di pubblicità tradizionali, gli investimenti in digital marketing potrebbero aumentare.

Da una ricerca di Dentsu Aegis Network, su 155 brand intervistati, il 14% ha dichiarato di spostare budget online, da media offline.

Nei prossimi mesi potremmo vedere un netto aumento della spesa pubblicitaria digitale poiché i consumatori trascorreranno naturalmente più tempo online, scegliendo di fare acquisti online anziché uscire di casa.

La ricerca di Global Web Index ha rilevato che stiamo assistendo a un netto aumento delle persone che accedono ai social media in tutte le fasce di età. Il 27% tra la Gen Z, il 30% tra i Millennials, il 29% tra la Gen X e il 15% tra i Boomer.

La spesa pubblicitaria sui social media è quindi destinata ad aumentare. Si ritiene che gli investimenti in social advertising potrebbero aumentare del 20%.

Sarà però fondamentale fare attenzione alla scelta del contenuto, capire e scegliere le parole e le immagini giuste per comunicare in questo momento di crisi. Come content creator, abbiamo la responsabilità di scegliere con consapevolezza i contenuti che pubblichiamo in questo momento. Le persone hanno bisogno del supporto dei brand che amano e i social media forniscono un ottimo veicolo per farlo.

Stiamo assistendo poi ad un enorme aumento dell’influencer marketing, con un recente studio che ha riscontrato un aumento del 76% dei Mi piace accumulati quotidianamente sui post #ad di Instagram nelle ultime due settimane. Le dirette Instagram sono all’ordine del giorno fra gli influencer che fanno compagnia agli italiani dalle loro case. Chiara Ferragni e Fedez sono un chiaro esempio di come gli influencer possano avere un ruolo da protagonisti positivi: la loro iniziativa di solidarietà, sfonda i 3 milioni di euro in meno di 48 ore.

Nulla sarà più come prima? Probabilmente sì, cambierà anche il mondo del marketing. Solo chi avrà la capacità di cambiare velocemente le sue strategie, dotandosi di strumenti e competenze adeguate, potrà evitare la crisi o almeno superarla indenne.

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Post-covid: l’emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro

  • Nel post-covid ci sarà un sistema che cambierà per non morire, così come questa emergenza ha generato milioni di lavori flessibili.
  • Alla contrazione della domanda di servizi si contrapporrà, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

 

“Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare” sono le parole che ruberei a Fiorella Mannoia per descrivere il presente che si trasforma. Non solo nella testa o nel cuore. C’è un sistema che cambierà per non morire, dalla necessità all’abitudine. Così come questa emergenza Covid ha generato, sta generando e genererà milioni di lavori flessibili.

Oggi 9 su 10 freelancer su un campione esteso intervistato dalla piattaforma di business data Statista, dichiara aspettative crescenti di riduzione delle attività.

freelance lavoro post-covid
Una contrazione della domanda di servizi a cui si contrapporrà nel post-covid, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

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Come è cambiato il nostro quotidiano (e cosa ci porteremo nel post-covid)

È bastato questo periodo di vacanze pasquali per i nostri ragazzi a farci scoprire quanto sia difficile lo smart working con un figlio completamente libero dalle call di Zoom della scuola e farci rimpiangere la colf appena licenziata e le babysitter last minute che popolano le rubriche telefoniche di tutte le mamme.

Due giorni fa un caro amico mi ha chiesto come sopperire ai mancati ricavi della sua attività ora che i clienti non entrano più in negozio per provare la vista e comprare un paio di occhiali. Nella stessa giornata, in una chat di scuola, alcuni genitori si lamentavano perché temono che il figlio ricomincerà a prendere brutti voti, non potendo più frequentare le ripetizioni . E per finire immagino, dal taglio improbabile di capelli che ho inflitto a me stesso e ho visto nelle video call di questi giorni, come sia in difficoltà il gentil sesso che non può accedere al proprio parrucchiere per un taglio e una piega.

In questi giorni ho provato ad aiutare queste persone e son partito da tre considerazioni prima di dar loro un consiglio.

emergenza covid

Prima considerazione

Le abitudini in questo momento sono alterate dallo stravolgimento di un’emergenza planetaria che ha imposto un regime di quarantena. Aziende e lavoratori non erano preparati e devono da oggi prendere in seria considerazione di sviluppare un “gruppo di continuità” a protezione della capacità di sostentamento in casi di emergenza (al di là di ammortizzatori sociali).

Al mio amico ottico, che aveva un cospicuo seguito nei social ho consigliato di dare un occhiata ad uno dei tanti sistemi di dropshipping che mettono a disposizione i prodotti più disparati da vendere alla propria community senza possedere in magazzino le merci. Magari dando un occhio ai prodotti da mettere in vetrina del suo eCommerce in questo periodo prima di aprirlo. E quando riaprirà la sua ottica, perché non continuare a vendere anche la nuova linea di prodotti scelti in queste settimane!

Non sarà diverso per chi vende servizi, per loro i portali non mancano, nati da tempo grazie al fenomeno noto come Nomadismo digitale ed ora meta di iscrizione anche da parte di freelancer rimasti a bocca asciutta.

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Seconda Considerazione

Quando la marea si ritrarrà rimarranno sulla spiaggia abitudini, bisogni e professioni nuove con una trasformazione dei vecchi modelli che mixeranno le soluzioni tampone adottate in tempo di Covid a quelle più tradizionali a cui la natura umana è più propensa.

In ogni caso se saremo costretti, o sceglieremo di lavorare in regime di smart working da casa, con figli piccoli da gestire, sarà utile sapere che ora le babysitter operano pure a distanza ed organizzano challenge digitali per i più piccoli. O se un figlio doveva scegliere tra gli allenamenti o le ripetizioni di matematica perché i trasferimenti dal docente al campo da gioco non consentivano di incastrare i due appuntamenti nello stesso pomeriggio, non è più necessario. Stanno letteralmente decollando i docenti a distanza, sono più di 23.000 e funzionano alla grande stando ai commenti degli utenti.

post covid emergenza

Terza considerazione

Da ultimo, se non si può velocemente passare a vendere on-line per qualsiasi motivo, forse si riesce almeno a prendersi cura dei clienti distribuendo forme di customer loyalty o coupon che accelerino il graduale ritorno alla normalità senza lasciare sul terreno i vecchi clienti attratti, sotto quarantena, dal vicino di saracinesca.

Sicuramente al fianco di forme di aggregazione che spingono frotte di signore a ritrovarsi in un salone di bellezza si svilupperà<strong> il servizio a domicilio. Sarà il lascito di questa pandemia, un’abitudine con cui le persone stanno prendendo confidenza con le provviste alimentari del bottegaio di fiducia. Fioriranno quindi portali come quello a cui ho consigliato la mia enoteca di fiducia di iscriversi.

Mentre ad un ristoratore dei vicoli di Genova ho fatto scoprire promettoditornare.it, il portale che aiuta i locali – settore particolarmente colpito da questa serrata – consentendogli di vendere dei coupon da riscattare appena la reclusione finirà. Un modo intelligente per ripartire e per chiamare a raccolta i tuoi clienti più cari.

Sempre che non possa accedere alle cucine del suo locale per cui il neonato RistoaCasa è portale ottimo e gratuito, al di fuori del circuito dei blasonati delivery, per servire piatti a domicilio.

Come sarà il post-Covid?

Nessuno può dirlo ma di una cosa sono certo, nel post-covid il livello di alfabetizzazione digitale del Paese sarà migliorato di molto aprendo le porte all’intraprendenza di molte professionalità che hanno scoperto nuovi lavori e un nuovo modo di vivere lavorando.

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Come reinventare una strategia di Content Marketing durante la quarantena

  • Secondo un recente studio di OCM e NetLine, solo il 12% dei marketer è soddisfatto della propria strategia di comunicazione
  • La chiusura temporanea di molte attività rende il Content Marketing l’unico mezzo per mantenere un legame con il pubblico
  • Sunglass Hut, Cookist, Delish ci offrono esempi di contenuti user centered per migliorare la digital strategy

 

Ebbene sì, l’88% degli eBuyer fa acquisti sulla base di contenuti online. Eppure, poco più di un marketer su dieci ritiene che la propria strategia di Content Marketing funzioni realmente e solo due lavorano attivamente con il dipartimento vendite per implementarla.

È quanto emerge dallo studio di OCM e NetLine “Trasformare il Content Marketing”.

Content Marketing: un’occasione mancata?

Sviluppare e misurare un piano di digital marketing avendo come riferimento la domanda degli utenti significa avere la capacità influenzare le loro scelte d’acquisto attraverso dei contenuti editoriali.

Se invece, come rilevato dalla ricerca, il processo di Content Marketing non tiene conto degli interessi del pubblico, ecco che siamo di fronte a una colossale occasione mancata.

L’occasione di farsi conoscere e riconoscere come azienda.

L’occasione di generare engagement ed entrare in sintonia con i bisogni e le abitudini delle persone, quella di acquisire credibilità e guidare le scelte d’acquisto del pubblico.

Una grande occasione mancata, ma anche una sfida che rimane ancora aperta per i professionisti del marketing.

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coronavirus

Il Content Marketing ai tempi del COVID-19

Il COVID-19 ha trasformato radicalmente il modo in cui i brand comunicano e agiscono sul mercato, evidenziando la loro resilienza e la capacità di prendere decisioni d’impatto in maniera rapida.

Come è ovvio, le aziende stanno dando la priorità alla salute dei loro dipendenti e clienti. Per questo, molte attività sono temporaneamente sospese, così come le fiere e gli eventi di settore annullati.

Mai come ora, il Content Marketing rimane un asset fondamentale per connettersi con le persone e manifestare la propria vicinanza in un momento così critico.

Così, i marketer hanno l’opportunità/dovere di sviluppare un piano editoriale che sia davvero incentrato sui bisogni del pubblico.

Come fare? Niente di meglio che seguire le brillanti iniziative di alcuni brand.

Scopriamole insieme.

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Sunglass Hut: #TheSunWithin

“Quando il cielo è pieno di nuvole, guardati dentro, è lì il sole più splendente”. Con la campagna #TheSunWithin, Sunglass Hut invita i propri follower a condividere piccoli momenti di quotidianità.

L’intero piano editoriale del brand costruisce una narrazione all’insegna dell’ironia e della leggerezza: è un richiamo a stare uniti, ad affrontare i momenti difficili con positività e a prendersi cura di se stessi, ritagliandosi piccole oasi di felicità.

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Seppur non incentrato sul core business di Sunglass Hut – e forse proprio per questo- #TheSunWithin funziona perché è costruito intorno alle necessità di “evasione” degli utenti e riesce a trasmettere la vicinanza del brand in un presente incerto.

Cookist: #iorestoincucina

Mai come in questo periodo di isolamento forzato, abbiamo liberato la nostra fantasia in cucina e ci siamo ritrovati, mani in pasta, a creare le ricette più sfiziose o a riscoprire il piacere delle tradizioni di una volta, come il pane o la pizza fatti in casa.

Al nostro viaggio alla ricerca del “nuovo gusto di stare in casa”, Cookist dedica un’intera sezione del suo sito: #iorestoincucina.

content marketing cookist

Si tratta di uno spazio riservato alle notizie, ai racconti e agli approfondimenti sull’emergenza.

Ma anche di una finestra sulla condizione di isolamento che stiamo vivendo, con tutorial, idee e iniziative per sfruttare al meglio questo periodo.

Imparando, ad esempio, a cucinare tutte quelle ricette che avremmo sempre voluto sperimentare e a cui non ci siamo mai potuti dedicare.

Delish: come organizzare un virtual party

Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici.

Tuttavia, le recenti direttive per praticare il distanziamento sociale hanno reso questo piacere un po’ più difficile da raggiungere, ma non impossibile.

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Delish ha infatti creato una guida completa per organizzare e condividere cene, happy hour e feste di compleanno utilizzando il WiFi come “un nuovo grande tavolo”.

Sono i Virtual Dinner Party, luoghi virtuali per divertirsi “separatamente ma insieme”.

Dai consigli sulle piattaforme di video calling, a quelli sulle decorazioni per creare la giusta atmosfera, fino alle ricette e alle attività per intrattenersi a distanza con gli amici, Delish offre agli utenti tutti i dettagli su come organizzare un perfetto party virtuale.