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tassazione e contabilità dei Bitcoin nell'impresa

Tassazione e contabilità dei Bitcoin nella tua impresa: ecco come non correre rischi

Accettare pagamenti in bitcoin. Oppure comprare cripto a nome dell’azienda. Ma anche detenerli a titolo personale.

Sono pratiche sempre più diffuse tra gli imprenditori, anche italiani, nell’anno in cui la Regina delle cripto ha raggiunto il massimo storico di sempre. Inevitabilmente questo comporta nuovi obblighi in termini di pianificazione fiscale e contabilità che non tutti (o meglio quasi nessuno) è in grado oggi di ottemperare. Anche perché la materia che dovrebbe disciplinare questi aspetti è a dir poco fumosa.

Le aziende che accettano pagamenti in bitcoin

Prima di analizzarla, vogliamo inquadrare il fenomeno.

Era il 22 maggio del 2010 quando il programmatore Laszlo Hanyecz dalla Florida inviò un pagamento di diecimila bitcoin (circa 30 dollari) per acquistare due pizze.

Un aneddoto divertente ma anche una data storica – per il pizzaiolo, se ha trattenuto quei 10mila coin che al cambio attuale varrebbero circa mezzo miliardo di dollari – ma anche per il mondo dei pagamenti.

Perché da quel momento è stata di fatto aperta la possibilità di pagare prodotti e servizi in bitcoin. Una possibilità che in Usa è stata sfruttata, fin dal 2014, dal retailer di elettronica Overstock.com; da Expedia, che li accetta in pagamento (negli Usa) per la sezione hotel; da PayPal. Sono solo degli esempi, che dimostrano quanto il mondo corporate si stia aprendo a quello cripto.

Secondo Glassnode , da inizio 2021 le transazioni in bitcoin hanno toccato un valore che è pari al 70% del Pil Usa, 15,8 trilioni di dollari.

bitcoin volume transfer

E in Italia? Anche da queste parti qualcosa si muove.

A marzo un volo privato per un valore di 500mila euro è stato pagato in bitcoin alla società di noleggio veronese Fast Private Jet. Ed è del 2017 la notizia che un’azienda di abiti sartoriali aveva accettato pagamenti in bitcoin dai clienti internazionali dell’eCommerce. Anche in questo caso sono solo esempi che spiegano un fenomeno sempre più mainstream.

Come trattare i bitcoin nella dichiarazione dei redditi (a seconda del modo e del prezzo a cui vengono acquisiti)

Come trattare dunque gli asset in bitcoin?

La materia è complessa stante da un lato in Italia un vuoto normativo, almeno per quanto attiene alla detenzione a titolo privato; mentre è più chiaro cosa fare quando la cripto è di pertinenza dell’azienda. Ma andiamo con ordine.

Per quanto riguarda la detenzione di bitcoin da parte di privati, bisogna distinguere tra due aspetti, quello del monitoraggio e quello impositivo. Nelle nostre linee guida suggeriamo di dichiarare il possesso nel riquadro Rw della dichiarazione dei redditi. Si sceglie insieme al cliente con quale modalità fare la dichiarazione, tra 5 diverse, in base al suo caso specifico che considera quando ha effettuato l’acquisto e a che prezzo e che tipo di giustificativi ha per tracciare la transazione.

L’aspetto impositivo è altro: sposiamo la tesi per cui non sia attualmente da pagare imposte, in quanto non esiste una legge che lo disciplini.

Di fatto, l’unico documento su cui si baserebbe la prassi di pagare un’aliquota del 26% sulle plusvalenze da bitcoin è una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (la numero 72 del 2 settembre 2016) arrivata in risposta a un interpello sull’inquadramento fiscale dello strumento.

Bitcoin price history

In estrema sintesi, la Risoluzione conclude che le operazioni a pronti (la compravendita di valuta) non produce reddito e dunque non è tassabile. Ma, avendo equiparato la cripto a valuta estera, molti commercialisti hanno ritenuto di dover far pagare la tassa sulla plusvalenza nel caso in cui si fossero detenuti più di 50mila euro per più di sette giorni.

Noi invece riteniamo di non dover assoggettare le plusvalenze a imposizioni fiscale, avvalendoci del principio del legittimo affidamento in base a cui se non c’è norma non c’è evasione fiscale. Nel momento in cui sarà varata una legge che disporrà diversamente e quand’anche la disposizione fosse retroattiva, si potrà fare un ravvedimento operoso e si sanerà la situazione (senza pagare multe).

Per i privati rileva anche la nazionalità dell’exchange o del wallet: per evitare il rischio di chiusura del conto da parte di banche italiane, consigliamo di effettuare le operazioni in bitcoin su piattaforma italiane, da YoungPlatform a The Rock a Conio.

… e come iscriverli a bilancio se sono asset dell’impresa

Per le imprese la situazione è meno controversa e le indicazioni su come trattare i bitcoin a bilancio sono reperibili nei principi contabili Ias/Ifrs della Commissione europea.

Per il legislatore europeo dunque, in contrasto con la nostra Agenzia delle Entrate, le criptovalute non sono moneta e dunque non possono essere contabilizzate tra le disponibilità liquide o tra gli strumenti finanziari ma vanno qualificate come rimanenze (in base allo Ias 2), se detenute per finalità di trading nell’ambito dell’attività ordinaria di impresa, oppure – diversamente – come attività immateriali in base allo Ias 38, perché posseggono delle attività immateriali tutte le caratteristiche (ovvero sono attività identificabili che possono generare benefici economici nel futuro e non sono accessibili da terzi).

Commercialista e algoritmi alleati fondamentali

L’iscrizione a bilancio delle transazioni in criptovalute non è semplice dal punto di vista pratico e sono ancora pochissimi i commercialisti esperti in questo campo nel nostro Paese.

Il Bitcoin, però, continuerà a essere sempre più mainstream, nonostante le recenti notizie del bando cinese, che probabilmente seguirà la stessa sorte da annunci simili fatti dal paese in passato.

Per questo, diventa fondamentale per le aziende dotarsi degli strumenti tecnologici adeguati, con funzionalità in grado di leggere e riconciliare le transazioni in cripto, in modo da fornire un dato comprensibile e immediatamente iscrivibile a bilancio. Sarà un’esigenza, questa, sempre più sentita ed è importante muoversi in anticipo.

Perché se ora le transazioni in bitcoin sono ancora poche, nel momento in cui diventeranno diverse centinaia e queste poste potranno finire nella tesoreria o investire in Defi, andranno riconciliate e rendicontate.

Bitcoin circulation

Non solo. Proprio questa occasione potrebbe rivelarsi un’opportunità per i commercialisti, che, secondo i dati ufficiali,  stanno vivendo una vera e propria crisi di vocazione tra i giovani (al primo gennaio 2020, i tirocinanti sono il 10% in meno sul 2019).

Questa fuga dalla professione, infatti, dipende in larga parte dai margini di guadagno sempre più risicati, come conseguenza del fatto che le mansioni contabili classiche sono sempre più automatiche ed eseguibili da algoritmi. Chi resisterà sarà il professionista in grado di offrire valore.

È già nelle cose: presentare la dichiarazione dei redditi è un’attività sempre più meccanica e fai da te, mentre la domanda di pianificazione fiscale è in forte ascesa. Rendere evidente il valore aggiunto della consulenza fiscale rispetto ai nuovi scenari potrebbe dunque essere anche un modo per riavvicinare alla professione i giovani. Nella nostra realtà, che è ormai prossima alla quotazione in borsa, sono già cinque i commercialisti specializzati in questo settore e la previsione è di una crescita fino a raddoppiare il numero di esperti entro il 2022.

diversità e inclusione in azienda

Come diversità e inclusione possono migliorare il fatturato aziendale

Diversità e inclusione sono due fattori molto importanti da considerare nelle logiche aziendali. Infatti sviluppare una cultura orientata alla diversità e all’inclusione all’interno delle aziende, non è solo etico ma, secondo diverse ricerche, anche redditizio nel lungo termine.

Ma come possono questi elementi, avere un impatto positivo sostanziale sulle imprese a breve e a lungo termine?

Per comprenderlo è possibile raccogliere in 8 punti essenziali le motivazioni e le modalità attraverso cui diversità e inclusione sono in grado di determinare una crescita  positiva per le imprese.

La valorizzazione della diversità e la promozione dell’inclusione rappresentano per le aziende un’opportunità per innovarsi ed acquisire molteplici vantaggi che possono tradursi in 8 benefici sostanziali:

  • Maggiore creatività
  • Competenze diversificate
  • Maggiore appeal aziendale
  • La soddisfazione dei collaboratori
  • Maggiore produttività
  • Comprensione dei clienti
  • Maggiore scelta di talenti
  • Maggior fatturato

Ma vediamo insieme punto per punto in che modo questi vantaggi si sviluppano all’interno delle imprese e come si traducono in vantaggi competitivi in grado di incrementare il fatturato aziendale.

Maggiore creatività

Maggiore innovazione e creatività sono elementi facilmente ottenibili quando la diversità aziendale è coltivata attraverso la diversificazione dei collaboratori.

La diversità dei collaboratori all’interno dei team delle aziende permetterà infatti di ottenere una maggiore creatività, a differenza di quanto avviene in aziende costituite da una maggiore omologazione di persone e di conseguenza di idee.

Questa creatività si tradurrà in innovazione, permettendo all’azienda di spiccare dalla massa concorrenziale di imprese, ottenendo in tal modo una crescita del business a lungo termine.

Competenze diversificate

La diversificazione dei collaboratori in termini di provenienza, si traduce in un aumento delle diverse competenze portate all’interno dell’azienda ed una diversificazione delle competenze significa una consequenziale crescita per l’azienda.

Le diverse provenienze dei collaboratori infatti, possono tradursi per l’impresa nella possibilità di avvalersi delle diverse prospettive che questi possono mettere in campo a favore dell’azienda.

Un ambiente inclusivo e diversificato favorisce la presenza di professionisti con competenze, idee, visioni ed esperienze diverse in grado di offrire sempre del valore aggiunto all’azienda.

Maggiore appeal aziendale

Un ambiente di lavoro in cui diversità e inclusione sono coltivati e valorizzati avrà più appeal agli occhi delle persone alla ricerca di lavoro.

Per questo, un’azienda che pone questi elementi alla base del suo modus operandi otterrà un beneficio fondamentale per ogni impresa che punti alla crescita a lungo termine, ovvero la possibilità di attirare il maggior numero di professionisti che grazie alle loro competenze e al loro bagaglio esperienziale saranno parte essenziale di uno sviluppo aziendale a lungo termine.

La soddisfazione dei collaboratori

Sono i collaboratori felici a decretare il successo e la crescita delle aziende.

Sentendosi soddisfatti di trovarsi in un ambiente di lavoro che promuove diversità e inclusione, i collaboratori saranno più felici di lavorare per l’azienda e questa emozione si tradurrà in una maggiore qualità del lavoro svolto.

La qualità del lavoro svolto da collaboratori felici delle loro condizioni lavorative e dell’ambiente di lavoro in cui operano non potrà che tradursi in una crescita professionale per il collaboratore ed una crescita in termini di risultati per l’azienda.

Maggiore produttività

La cooperazione è da sempre un elemento essenziale che garantisce un buon risultato in termini di qualità del lavoro svolto.

Se però la collaborazione avviene tra persone molto diverse, questa è in grado di aumentare le sue potenzialità in termini di benefici per l’impresa.

Come è facile intuire, il tempo gioca un ruolo essenziale per le aziende che si trovano a dover prendere importanti decisioni anticipando i loro concorrenti. 

In questi casi, il potenziamento della produttività dei collaboratori gioca un ruolo cruciale, ed è qui che la diversità dei collaboratori potrà tradursi in grande vantaggio competitivo per le aziende, che saranno così in grado di misurarsi con i competitor mettendo in campo una vastità di competenze ed esperienze grazie a figure molto diverse accomunate da un unico obiettivo: la crescita dell’azienda di appartenenza.

La comprensione dei clienti

La comprensione dei clienti rappresenta un elemento importante per la crescita di ogni azienda, poiché è proprio sulla base della soddisfazione del cliente che si basa il successo e la sopravvivenza di ogni business.

Ecco allora che il vantaggio ottenuto internamente per ogni processo aziendale grazie ad un team diversificato e inclusivo, si allarga includendo anche una maggiore capacità di comprensione del cliente.

Questo avviene perché sarà più semplice commercializzare un’attività verso persone provenienti da ambienti diversi, ma che riflettono quelli dei collaboratori che lavorano all’interno dell’azienda.

Maggiore scelta di talenti

Un’azienda che incoraggia diversità e inclusione, attirerà un numero maggiore di professionisti che sarebbero così invogliati a lavorare in un ambiente di lavoro privo discriminazioni.

Questo aspetto diventa decisivo quindi, quando ci si trova a dover ricercare nuove figure da inserire in azienda, perché i recruiter avranno di conseguenza la possibilità di scegliere la figura ideale tra un maggior numero di professionisti talentuosi.

Maggior fatturato

È facile intuire come maggiore creatività, competenze e soddisfazione dei collaboratori che lavorano a proprio agio in un ambiente inclusivo possano facilmente tradursi in una maggiore produttività, la cui ovvia conseguenza sarà una crescita in termini di fatturato per l’azienda.

Diversità e Inclusione: i dati delle ricerche

A conferma dei diversi benefici ottenibili dalle aziende che mettono questi elementi in primo piano ci sono anche diversi studi tra cui:

  • il documento di McKinsey dal titolo “Delivering through Diversity” (2018) secondo cui il successo delle aziende può essere maggiore se queste si differenziano per una composizione etnica mista o realizzano iniziative in favore della diversità di genere (con una differenza del 15% e del 35%)
  • il rapporto realizzato da Accenture nel 2018 “The Disability Inclusion Advantage”, secondo cui le aziende possono ricavare in media ricavi superiori del 28% rispetto alle altre concorrenti eccellendo nell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità
infografica diversità

Immagine estratta dal documento Delivering through Diversity su mckinsey.com

 

Ad avvalorare ulteriormente il pensiero secondo cui diversità e inclusione siano elementi fondamentali in grado di determinare sempre più il successo aziendale ci sono anche i dati ancora più recenti estrapolati dalle ricerche di Diversity Brand Summit che attestano ad esempio come:

  • l’88% della popolazione è maggiormente propensa verso i brand più inclusivi (vs. 63% nel 2019,51% nel 2018 e 52% nel 2017)
  • durante il COVID-19 arriva la nuova categoria “tribali” (16,4%), composta da persone prima distanti dall’inclusione che ora si sentono vicine alle forme di diversità
  • un forte aumento dei consapevoli (15,7%dal 4,2%2020), persone attente all’inclusione, ma non direttamente coinvolte.

Le infografiche sottostanti del Diversity Brand Index 2021 mostrano invece nello specifico:

  • quali siano i brand percepiti come più inclusivi
  • le scelte d’acquisto dei consumatori condizionate positivamente rispetto ai brand più inclusivi
  • la differenza in percentuale rispetto alla crescita dei ricavi per i brand inclusivi
INFOGRAFICA I BRAND PIÙ INCLUSIVI

Infografica estratta da diversitybrandsummit.it

 

INFOGRAFICA LE SCELTE D’ACQUISTO

Infografica estratta da diversitybrandsummit.it

 

INFOGRAFICA L'INCLUSIONE ACCELERA LA CRESCITA

Infografica estratta da diversitybrandsummit.it

 

Diversità e inclusione: esempi nelle aziende italiane

La valorizzazione di diversità e inclusione rappresentano un’opportunità per creare valore, ed a pensarla così, ci sono tante grandi aziende italiane che eccellono per questi elementi, tra cui:

  • Enel che si impegna alla sensibilizzazione di tutti i contesti organizzativi, con l’aiuto del management aziendale ed ogni anno organizza un evento speciale chiamato Diversity & Inclusion Days
  • Barilla che sostiene diversità e inclusione, come si legge nel “Barilla Lighthouse”, il documento di strategia dell’azienda, presenta la diversità come un obiettivo aziendale fondamentale e a prova dell’impegno a tale riguardo l’azienda ha anche istituito un Chief Diversity Officer. L’importanza di questi fattori per Barilla è inoltre ben sottolineata dalle parole di Claudio Colzani, AD di Barilla Group, leggibili sul sito dell’azienda che afferma: “In Barilla il nostro percorso verso la diversità e inclusione inizia con il riconoscere che il supportare diversità e inclusione è la cosa giusta da fare ed è anche la cosa giusta per il business.”
  • Eni che si impegna a favorire l’inclusione di tutte le diversità a sostegno dell’engagement interno e dell’innovazione aziendale e lo fa attraverso il percorso formativo e di comunicazione interna D&I Matters avviato nel 2019, volto a contribuire allo sviluppo di una sensibilità diffusa su questi temi e attraverso cui Eni, contrasta le discriminazioni e offre formazione

Conclusioni

Il maggior vantaggio competitivo che un’azienda può avere risiede nell’azienda stessa, ovvero nelle persone che la compongono e che sono in grado di decretarne più di ogni altro fattore il successo.

Per questo motivo è essenziale che la forza lavoro sia prima di tutto soddisfatta a felice di collaborare con un’impresa di cui condivide i valori e in cui possa sentirsi di conseguenza  più produttiva, così come è importante che possa rispecchiare sempre di più le persone reali della società odierna verso cui le imprese si rivolgono. 

A tale scopo la diversità gioca un ruolo cruciale, avere infatti una forza lavoro diversificata che possa attraverso le proprie differenze in termini di provenienza, esperienze o competenze creare valore aggiunto per l’impresa rappresenterà un beneficio che si svilupperà in modi diversi e nel lungo termine sempre più da non sottovalutare come i dati delle ricerche ci dimostrano.

FACEBOOK DOWN

Instagram, Facebook e WhatsApp non funzionano, blackout totale del Zuckerverse

Instagram, Facebook e WhatsApp non funzionano più.

I malfunzionamenti sono iniziati alle 17.30, fino a rendere inaccessibili le piattaforme di Facebook, WhatsApp e Instagram.

Il fenomeno ha coinvolto Paesi di tutto il mondo e ha costretto l’azienda alle scuse.

Trionfa invece Twitter, dove gli utenti di tutto il mondo si sono riversati in massa scatenando l’ironia da meme, tipica dei feed del social.

facebook down

Intanto, Twitter gongola e saluta tutti “i nuovi arrivati” orfani delle piattaforme di Mark Zuckerberg.

Sotto il tweet dell’account ufficiale dell’azienda fondata da Jack Dorsey, hanno risposto moltissimi grandi brand, dando un cinque virtuale all’unico vero social funzionante. Tra i tanti. anche, McDonald’s, Burger King, Reddit, Warner Bros, Alexa, OnlyFans, Tumblr, KFC e non sono mancati all’appello anche gli account proprio di WhatsApp e Instagram.

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Quasi centomila commenti al saluto di Twitter e più di mezzo milione di retweet, più un milione e mezzo di cuoricini a incoronare l’indiscusso re dei social.

Festeggia anche Telegram che, in ogni occasione in cui WhatsApp ha alzato bandiera bianca, ha guadagnato milioni di iscritti in tutto il mondo.

E a un certo punto, alle 21.30 circa, ora italiana, è saltato anche Twitter, forse per la congestione causata dall’afflusso enorme di utenti sulla piattaforma.

twitter down

Le misteriose ragioni del blocco

Secondo Reuters, Facebook risulta inaccessibile perché gli utenti non vengono indirizzati nel posto giusto dal Domain Name System.

Gli esperti della sicurezza che seguono la situazione hanno dichiarato che l’interruzione è stata probabilmente innescata da un errore di configurazione che ha lasciato le indicazioni per i server di Facebook non disponibili. Potrebbe quindi essere il risultato di un errore interno, anche se il sabotaggio da parte di un insider sarebbe teoricamente possibile.

Facebook intanto non ha fornito alcuna specifica sulla natura del problema o quanti utenti sarebbero stati colpiti dall’interruzione, ma l’ipotesi della cancellazione dai registri DNS è stata confermata anche da Brian Krebs, un esperto di sicurezza informatica.

Aumentare la quota di mercato con le inserzioni

Come far crescere le tue quote di mercato tutelando la privacy delle persone

Mentre l’Europa inizia a riaprire, dobbiamo ancora comprendere appieno quali cambiamenti sociali verranno dall’era Covid.

È però chiaro che il mondo è cambiato rapidamente, con l’uso della tecnologia che ha fatto un balzo in avanti di cinque o dieci anni in altrettanti mesi.
L’industria pubblicitaria sta affrontando un periodo unico nella sua storia. Ora più che mai, le persone prestano grande attenzione alla propria privacy e le norme che la regolano stanno cambiando.

Per anni, il settore pubblicitario ha dato per scontato che le persone fossero disposte a fornire i propri dati personali in cambio dell’accesso senza costi a contenuti di qualità e della possibilità di poter mostrare loro annunci pertinenti.

Ora le persone vogliono essere certe che questo scambio vada a loro vantaggio e richiedono un maggiore controllo su come i loro dati personali vengono utilizzati online.

Method of data collection

Per far fronte a questa nuova sfida, l’intero ecosistema è chiamato a dover ripensare al futuro del marketing digitale.

La tutela della privacy online è diventata essenziale e la disponibilità delle persone a condividere i loro dati va di pari passo con la condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e quali vantaggi può portare loro.

Se senza privacy il futuro per la pubblicità digitale è a rischio, in che modo gli attori in campo possono quindi soddisfare le aspettative delle persone e guadagnare la loro fiducia?

L’approccio delle 3 M

Il consiglio che diamo agli inserzionisti è di adottare il cosiddetto approccio delle tre M: rendere la condivisione dei dati “meaningful“, “memorable” e “manageable“. Per renderla meaningful, significativa, è necessario rendere chiaro alle persone che la condivisione dei propri dati permette di restituire loro annunci pubblicitari pertinenti e vicini a ciò che è di loro interesse mentre navigano online, così come quali sono gli ulteriori benefici nella fruizione di un sito o di un servizio online.

Per renderla memorable, memorabile, le persone devono ricordare di aver condiviso i dati su cui sono basati i contenuti di marketing che vedono. È necessario conoscere le modalità e i motivi della raccolta dei dati e spiegarli alle persone in modo chiaro ed esplicito, con un linguaggio semplice.

Infine, per renderla manageable, gestibile, è necessario assicurarsi che gli utenti comprendano come avviene la condivisione dei loro dati e offrire loro strumenti di controllo adeguati, semplici da usare e facili da trovare.

Utilizzando l’approccio delle tre M si crea un ambiente sostenibile per la realizzazione e la misurazione dei contenuti di marketing, senza compromettere la privacy delle persone. L’adozione di questo approccio apre la strada a un tipo di marketing incentrato sul rispetto della privacy e in grado di infondere maggiore fiducia negli utenti, con conseguenti risultati finali migliori.

Parlando di approccio e risultati, abbiamo recentemente presentato due nuovi studi di riferimento, commissionati da Google e realizzati in collaborazione con Ipsos e Boston Consulting Group (BCG).

Queste ricerche hanno fornito approfondimenti inediti sugli atteggiamenti spesso complessi e contraddittori che i consumatori hanno nei confronti della privacy online, e sulle opportunità a disposizione dei brand per riconciliare queste tendenze contrapposte.

Le ricerche hanno anche mostrato come i professionisti di marketing più esperti dal punto di vista digitale siano più pronti nel rispondere a queste dinamiche mutevoli del consumatore: hanno il doppio delle probabilità di far crescere la loro quota di mercato in un periodo di 12 mesi rispetto a chi presenta una minore esperienza in questo campo.

Questi studi rappresentano un modello per le aziende che vogliono soddisfare il crescente desiderio di tutela della privacy del pubblico e, a loro volta, costruire relazioni più profonde e significative con i loro clienti.

Google - Upfit in brand equity

Gli atteggiamenti degli utenti nei confronti della privacy online, spesso complessi e contraddittori, non sono una novità: secondo una ricerca condotta lo scorso anno da Google insieme a Euroconsumers, più di due terzi degli utenti europei online ritiene che la quantità di dati personali raccolti renda difficile proteggere la privacy.

Solo un utente su cinque sente di avere il controllo sui dati personali che vengono raccolti.

google euroconsumer research

Allo stesso tempo, la nuova ricerca realizzata in collaborazione con Ipsos ci rivela oggi dati interessanti. In particolare, le persone dichiarano di essere favorevoli a condividere alcuni dati, a patto che possano capire e controllare le modalità di utilizzo e abbiano vantaggi evidenti nel farlo.

In questo caso, la ricerca afferma che vi è il triplo di probabilità in più che gli utenti reagiscano positivamente alla pubblicità e che, nel doppio dei casi, la trovino pertinente.

Il vecchio approccio di pubblicare annunci basandosi su cookie di terze parti sta per scomparire.

Questo cambiamento non è banale, richiede una profonda modifica nel modo in cui le aziende si avvicinano al marketing online, ma è comunque possibile. Ed è un cammino che intendiamo affrontare al fianco del settore pubblicitario, ascoltandone le richieste.

L’anno scorso abbiamo annunciato che in futuro Chrome non avrebbe più supportato i cookie di terze parti. Molti attori dell’industria digitale ci hanno comunicato
che avevano bisogno di più tempo per prepararsi al cambiamento, così Chrome ha esteso la scadenza fino al 2023.

Ci è stata inoltre richiesta una maggiore trasparenza nella pianificazione così Chrome ha iniziato a condividere mensilmente (su privacysandbox.com) una timeline aggiornata con lo stato di sviluppo delle diverse proposte tecnologiche contenute all’interno di Privacy Sandbox, un’iniziativa aperta e collaborativa che vede coinvolti esperti del web e di computer science, insieme ad aziende, associazioni di categoria, publisher e autorità di regolamentazione, con l’obiettivo di definire nuovi
standard comuni per il web e per la pubblicità digitale.

Focalizzando insieme l’attenzione sulla protezione di ciò che conta per le persone con strumenti appositamente creati per generare più opportunità per il domani, possiamo creare un web che tuteli la privacy di tutti, dove le persone sono informate e detengono il controllo dei propri dati personali, e dove gli inserzionisti possono finanziare contenuti di qualità che poggiano su un rapporto di fedeltà e fiducia con il pubblico, ottenendo risultati ottimali con la precisione e la responsabilizzazione adeguate.

La tecnologia digitale ci offre una grande opportunità aiutandoci nella ripresa e nella crescita e rendendoci più inclusivi, più veloci e migliori di prima grazie a strumenti aperti e convenienti.

Coloro che plasmano il mondo digitale devono collaborare per mettere al primo posto la privacy. Siamo qui per lavorare insieme proprio per raggiungere questo scopo.

campagne da cui prendere ispirazione

7 campagne digital di successo per trovare la giusta ispirazione

I brand nel tempo hanno acquisito una comunicazione di livello superiore con il proprio pubblico.

Il flusso comunicativo non è più solo unidirezionale: l’introduzione dei social e di diverse tecnologie hanno portano le aziende ad interfacciarsi con utenti che sentono la necessità di interagire direttamente con i brand. Esprimere preferenze, abbracciare valori condivisi, compiere azioni in prima persona.

Per un’azienda, comunicare a livello digital, è dunque fondamentale per poter raggiungere in modo più diretto il suo pubblico. Le campagne digital ottengono facilmente risultati migliori rispetto a quelle tradizionali perché il pubblico è dinamico: parla con il brand, interagisce e condivide contenuti, instaurando relazioni durature.

Ecco 7 campagne digital di successo che dovremmo ricordare.

Durex – My Sex My Way

Essere LGBTQ+ è molto più del semplice sesso. Ma in che modo l’intimità fisica può influire sulla sicurezza della propria identità? Se lo chiede Durex che nel Regno Unito ha avviato un sondaggio sul sesso rivolto esclusivamente alla comunità LGBTQ+.

Nella sua campagna di sensibilizzazione #MySexMyWay il brand intende raccogliere storie, pensieri, frustrazioni e testimonianze per realizzare la sua missione di promuovere nel Paese l’accettazione di ogni diverso sé sessuale. Educazione sessuale, salute, appuntamenti, espressione della propria sessualità sono i temi e le sfide che Durex affronta insieme alla comunità per infondere maggiore fiducia e superare i limiti personali e sociali.

La campagna, tutta digital e ideata da Havas London, è in partnership con le app di incontri Her e Grindr, comparendo prevalentemente negli spazi LGBTQ+.

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Rolling Stone – Rockin’ Mamas

“Ecco l’unica vera rockstar dell’anno”. Per la festa della mamma Rolling Stone ha regalato un’anima da rockstar a tutte le madri. Sostenere infatti ritmi incessanti e frenetici è difficile e in questi due ultimi anni, causa pandemia, lo è stato ancora di più.

Reale ma anche ironica, la campagna firmata dall’agenzia VMLY&R Italy è stata lanciata sui canali social, mettendo in risalto la forza delle mamme. Il brand pone l’accento sulla necessità di equità dei ruoli in famiglia, invitando a riconoscere alla donna i suoi spazi, tra privato e professionale.

Infatti, sebbene queste vengano viste dalla società come entità dai superpoteri, sarebbe più giusto mostrarle come icone rock sempre pronte a salire sul palco (delle responsabilità).

Zurich – Stop Cat Calling

Forse non se ne parla ancora abbastanza ma l’84% delle donne subisce il cat-calling: fischi, avances e commenti sessuali da parte degli uomini, come per strada così sui social. In Italia non esiste ancora una legge capace di tutelare le donne da queste offese.

Zurich, nella sua campagna digital per la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne si è fatto avanti, attivando la prima difesa cross-nazionale contro le molestie verbali. L’agenzia DDB Group Italy ha creato per l’occasione un falso profilo social, intercettando i commenti negativi attraverso l’invito a cliccare su un link esca.

I molestatori, una volta atterrati su un sito registrato in Francia, hanno realizzato come i loro comportamenti fossero perseguibili penalmente. Ma eliminare i commenti volgari non basta: a sostegno della campagna è stata infatti aperta una raccolta firme per far sì che il cat-calling sia identificato come un reato anche in Italia.

Zurich Connect – Cat Calling from Gruppo DDB Italia on Vimeo.

Kraft Heinz – Heinz on Film

In occasione della notte degli Oscar del 2020, Heinz Tomato Ketchup ha lanciato una campagna al fine di ottenere ufficialmente i crediti per le sue apparizioni in moltissimi film, tra cui Harry ti presento Sally e Pulp Fiction. Il brand ha creato così sul sito open source IMDb, dedicato ai database dei film, un suo profilo personale.

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IMDb non contento di questa improvvisazione di Heinz, ha rimosso il suo profilo. Il brand, in collaborazione con l’agenzia Rethink si è così rivolto agli utenti social, chiedendo loro di pubblicare clip video in cui chiaramente la bottiglia Heinz compariva come comparsa.

In cambio, ketchup gratis. La campagna digital è stata un successo ed Heinz non solo ha aumentato la sua awareness ma ha ottenuto i riconoscimenti desiderati attraverso la creazione di una filmografia social realizzata dagli utenti.

LEGGI ANCHE: KFC, De Standaard e Lion Heart: i migliori annunci stampa di giugno

Unga Lukas – Orc Therapy

La salute mentale degli adolescenti è un argomento che desta preoccupazione in ogni parte del mondo, particolarmente in Svezia. Aiutare i giovani in questo disagio non è facile. Per cercare di risolvere questo problema, l’organizzazione no-profit Unga Lukas si mette in gioco, letteralmente.

In collaborazione con l’agenzia BBDO Nordics, la campagna promuove il supporto psicologico nelle piazze online più frequentate dagli adolescenti, come quella di World of Warcraft.

Gli psicologi (nonché giocatori esperti) si trasformano in orchi e offrono supporto emotivo, invitando i giovani a raccontarsi in anonimo. Ogni giocatore può scegliere sul sito l’orco (e relativa indole) con cui vorrebbe relazionarsi durante il gioco.

 

Burger King – Smoke Trails

È possibile seguire dallo smartphone le tracce del profumo dei whopper?

Agenzia BBH London

Barilla – Playlist Timer

Vincitrice insieme a Publicis Italy di 4 bronzi nell’ultima edizione dei Cannes Lions, questa campagna si rivolge a chi ha difficoltà a monitorare il tempo di cottura della pasta. Dopo le divertenti provocazioni di pasta Garofalo con i suoi pack in cui il soggetto principale è il tempo di cottura (per alcuni introvabile), Barilla risolve il problema a ritmo di musica.

In collaborazione con Spotify, ha ideato 8 diverse playlist lunghe quanto il tempo di cottura di ogni diverso formato.

LEGGI ANCHE: Cannes Lions 2021: i vincitori e le campagne più coinvolgenti

 

AdWorlds Experience

Cookieless: sfide e opportunità raccontate dai protagonisti di ADworld Experience 2021

Il mondo del Digital Advertising è in continuo aggiornamento e ciò che era valido fino a ieri, oggi probabilmente non lo è più. Primo fra tutti, il più grande cambiamento che attende i marketer dietro l’angolo è la famosa “rivoluzione cookieless”. E questo sarà anche uno degli argomenti dell’ADWorld Experience 2021, l’evento PPC & CRO più grande d’Europa.

La deprecazione completa dei cookie di terze parti si avvicina di giorno in giorno, e con essa arriva la confusione sul futuro dell’addressability degli annunci online. Come faremo a conoscere i potenziali clienti e a indirizzare correttamente i nostri annunci? Questa confusione sembra aver paralizzato alcune organizzazioni, e il rumore di fondo su un argomento che offre ogni giorno notizie e spunti di riflessione ha reso più difficile capire quali passi dovrebbero essere fatti ora per rimanere in vetta, mentre ci si adegua ai nuovi e imminenti regolamenti.

Quindi, cosa significherà l’addio ai cookie di terze parti per le aziende? E in che modo sarà possibile trasformare questa nuova sfida in una grande opportunità? Ma anche cosa sta cambiando nell’universo del Pay Per Click?

Lo abbiamo chiesto ad alcuni degli ospiti dell’ADWorld Experience, che tornerà a informarci e aggiornarci su tutte le novità del mondo SEO&SEM dal 14 al 15 ottobre.

>>> Iscriviti subito, puoi partecipare dal vivo a Bologna, o da casa e dall’ufficio seguendo la diretta streaming.

3 super esperti dell’Advertising Online analizzano ciò che è già accaduto e ciò che ci attende

1. Bisogna “essere marketer” per rispondere alle nuove sfide

Susan Wenograd, consulente di paid media ossessionata dai risultati e dalle relazioni, con 17 anni di esperienza nel DTC/ecommerce, ha insegnato, condiviso e tenuto conferenze in tutti gli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa su Google Ads, Microsoft Ads e Facebook/Instagram Ads, dopo essere stata reporter del Search Engine Journal.

ADworld Experience 2021

A Ninja ha spiegato innanzitutto quali sono i KPI più importanti che i brand stanno ancora trascurando nel SEM&SMM nel 2021.

«Per molto tempo, la ricerca riguardava le parole chiave. Non c’era molta attenzione o riflessione sulla demografia di quelle ricerche. Dovevamo mantenere uno stretto controllo sulle parole chiave per essere il più rilevanti possibile, perché l’algoritmo di Google non era ancora molto avanzato.

Ora, l’algoritmo di Google può capire molto grazie ai termini di ricerca. I tipi di corrispondenza come la corrispondenza a frase (Phrase Match) e la corrispondenza esatta (Exact Match) sembrano oramai più linee guida che regole.

Questo può essere frustrante per molti marketer, perché dimenticano ciò che richiede davvero, vale a dire “essere marketer”.

Sono sorpresa da quanti account di Google Ads non aggiungano segmenti di pubblico con l’impostazione ‘Observation’. Si impara molto sui segmenti di mercato con cui si sta facendo bene, e si possono applicare queste audience agli sforzi su YouTube e sul display. La prima lezione è che si può usare ciò che si impara sulle persone che già fanno ricerche, per trovare utenti che potrebbero non essere ancora alla ricerca!».

Susan, che sarà speaker durante la due giorni di ADworld Experience 2021, ci ha detto la sua anche riguardo alle opportunità e alle sfide della rivoluzione cookieless di Google:

«In un certo senso, il mondo senza cookie livellerà di più il campo di gioco. Sottolinea ulteriormente la necessità di pensare come un marketer, ed essere meno ossessionati dai dati granulari. Sembra che Google ci abbia già spinto a pensare in questo modo (in relazione alle mie considerazioni precedenti), quindi per i marketer che prestano attenzione, questo non dovrebbe essere uno shock enorme».

LEGGI ANCHE: Cookieless: possibili soluzioni per evitare la catastrofe

2. Gli esseri umani possono integrare le macchine con la loro intuizione e creatività

Frederick Vallaeys, imprenditore della Silicon Valley, autore e influencer di primo piano nel marketing di ricerca pay-per-click, è stato uno dei primi 500 dipendenti di Google e si è rapidamente guadagnato la reputazione di pioniere nel marketing PPC come primo evangelist AdWords dell’azienda. Oggi è co-fondatore e CEO di Optmyzr, un sistema software di gestione PPC. Ci ha spiegato il suo punto di vista sul cambiamento delle regole per i dati di terze parti.

ADworld Experience 2021

«Quando i cookie di terze parti saranno ritirati alla fine del 2022, non cambierà molto per il marketer medio perché le grandi piattaforme pubblicitarie saranno ancora in grado di permettere agli inserzionisti di indirizzare gli utenti in base ai loro interessi. Mentre i cookie sono stati utili, le recenti prove di FLoC (Federated Learning of Cohorts) hanno già mostrato il 95% di efficienza nel raggiungere gli stessi risultati.

Sono entusiasta però del fatto che la sostituzione dei cookie di terze parti sarà probabilmente basata su progetti open source, e quindi sarà più trasparente e accessibile agli inserzionisti esperti di tecnologia.

Per esempio, qualsiasi inserzionista può richiedere la coorte FLoC di chiunque visiti il suo sito usando un browser Chrome. Potrebbero osservare quanto bene i visitatori in diverse coorti convertono e poi usare queste informazioni per far partire una campagna pubblicitaria mirata ad altri nella stessa coorte. Ciò che è nuovo qui è che gli inserzionisti possono prendere decisioni guidate dai dati prima di spendere qualcosa negli annunci e questa è una grande vittoria».

Frederick ha anche spiegato a Ninja quali sono le competenze chiave che un professionista PPC dovrebbe avere nel 2021 e oltre.

«I professionisti del PPC hanno accesso a più automazioni che mai. Credo che sia fondamentale che imparino a completare questi strumenti piuttosto che competere contro di loro. Gli esseri umani possono integrare le macchine con la loro intuizione, creatività e strategia di marketing.

Per esempio, uno stratega PPC cercherà ciò che rende unica un’azienda e poi troverà un modo per portare questa intuizione alle automazioni che gestiscono le offerte e il targeting. Lavorerà anche su messaggi convincenti e pagine di destinazione che aiutano a trasformare l’interesse in vendite. Quindi un moderno professionista PPC è più marketer e meno button pusher.

Lasciatemi fare un esempio di uomo e macchina che lavorano insieme perfettamente: un negozio di forniture per auto potrebbe sapere di vendere più batterie per auto il giorno dopo che le temperature vanno sotto lo zero. La loro agenzia PPC può usare gli aggiustamenti delle offerte stagionali o altri controlli di Google per manipolare il sistema di gestione delle offerte per offrire di più in base alle previsioni del tempo in modo da poter catturare più vendite possibili quando inizia a gelare».

3. Il gioco si è fatto più difficile ma più eccitante, perché il numero di consumatori online è aumentato

Gianluca Binelli, fondatore di Booster Box, agenzia di performance marketing scientifico, oggi sta usando il suo amore per i numeri e il PPC per costruire la “Silicon Tuscany”. Con lui abbiamo parlato di Advertising e pandemia.

ADworld Experience 2021

«La pandemia ha accelerato il mutamento del paradigma in cui l’investimento passa da mezzi principalmente offline a mezzi principalmente online. La pandemia ha accelerato massivamente questo percorso, portando molti più consumatori online e conseguentemente spingendo molte più aziende, prima reticenti al magico mondo dell’online, a non poterne più fare a meno.

Questo si è tradotto in un’accelerazione del meccanismo inflattivo del CPC e fondamentalmente di un surriscaldamento dello scenario competitivo. Diventa quindi ancora più difficile fare con successo advertising online, per cui è ancora più centrale avere delle competenze iper-specializzate: il gioco si è fatto più difficile ma più eccitante, perché il numero di consumatori online è aumentato».

Anche a Gianluca, ospite del prossimo ADworld Experience 2021, abbiamo chiesto il suo punto di vista sulla la rivoluzione cookieless messa in campo da Google.

«La risposta è una sola: le aziende devono passare all’utilizzo dei dati di prima parte. Qualunque sia la soluzione tecnologica in sostituzione dei cookie che i nostri amici di Google, Facebook, Amazon e Apple faranno nel futuro, siamo abbastanza fiduciosi del fatto che l’advertising sarà al centro della monetizzazione.

Occorrerà per le aziende utilizzare sempre di più dati di prima parte e spostare il focus su questi dati e su come condividere queste informazioni con le piattaforme pubblicitarie. Di conseguenza, l’intelligenza che oggi è seduta in una penna USB, o un CRM, o una mailchimp all’interno di un’azienda deve essere estrinsecata, elaborata, e messa a fattor comune con le piattaforme pubblicitarie».

ADworld Experience

Come fare per essere aggiornati sulle novità di PPC & CRO?

Quelle di cui abbiamo appena parlato con i super esperti sono solo alcune delle osservazioni e delle novità dal mondo degli annunci digitali e il modo migliore per comprenderne tutte le evoluzioni è avere l’opportunità di confrontarsi con casi reali.

Per avere accesso alle risorse di questo mondo in continuo aggiornamento, anche quest’anno ADworld Experience mette a disposizione di tutti i partecipanti una serie di testimonianze e analisi su casi reali di campagne e su tutto ciò che ruota intorno a Pay Per Clic & Conversion Rate Optimization, presentati da alcuni tra i migliori specialisti e dalle più note SEM agency mondiali.

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carlo bagnoli - umanesimo digitale

Il ruolo fondamentale degli umanisti all’interno dell’Impresa significante

Nelle scorse settimane abbiamo introdotto il concetto di “Impresa significante”. Ora è importante capire quali sono i valori che caratterizzano questo tipo di impresa. L’impresa ‘significante’, infatti, riconosce l’importanza di supportare un umanesimo digitale.

Siamo ormai entrati nella quarta rivoluzione industriale, che comporterà una profonda e irreversibile trasformazione digitale del sistema non solo produttivo, accelerando ulteriormente i fenomeni di crescita esponenziale.

Ancor prima dell’avvento di tale rivoluzione, similmente a quanto avvenuto durante il Rinascimento italiano, si è avvertita la necessità di rimettere al centro l’uomo, stavolta per sottrarsi a una sua visione di mero ingranaggio di una macchina. Si è avvertita la necessità di rivalutare l’importanza dei valori affermatisi nella cultura umanistica.

Al paradigma dello scientific management, sorto durante la seconda rivoluzione industriale, si è infatti contrapposto lo humanistic management, che enfatizza la responsabilità sociale dell’impresa nel suo complesso e la valorizzazione di tutte le potenzialità dei membri dell’organizzazione.

umanesimo digitale 01 - prof carlo bagnoli

Craig Nathanson, HLM – Humanistic Leadership Model (2017)

La proposta è di abbandonare la standardizzazione dei processi produttivi, la specializzazione del lavoro, la chiusura dei confini organizzativi e la linearità/sequenzialità del processo decisionale per servire un mercato di massa attraverso prodotti seriali, a favore della velocità e flessibilità operativa, della collaborazione tra i membri dell’organizzazione, del coinvolgimento anche di attori esterni quali clienti e fornitori, della socialità nel processo decisionale e nei rapporti per supportare la creazione diffusa e partecipativa della conoscenza.

Humanistic management e impatto sulla società

Lo humanistic management non vuole rigettare i progressi scientifico-tecnologici, ma includerli in una visione interdisciplinare più ampia capace di ricomporre e portare a sintesi gli opposti. Una proposta che può essere fatta propria in primis dalle aziende italiane, e che l’avvento della quarta rivoluzione industriale rende ancora più interessante.

Rispetto a quelle precedenti, l’attuale avrà infatti un impatto uguale o addirittura più profondo anche sul sistema sociale, già provato dalle crisi finanziaria ed economica che hanno portato a ridurre l’accesso al credito sia per le imprese che per i privati e, quindi, l’occupazione, deprimendo le capacità di consumo di larga parte della popolazione.

Questo, a sua volta, ha portato le persone a salutare con gioia l’affermarsi di business e profit model fondati sul free o quasi, quali, in primis, quelli di Google e della controllata YouTube, di Facebook e delle controllate WhatsApp e Instagram, senza problematizzare le esternalità che essi nascondono.

L’impresa ‘significante’ è una società di persone prima che di capitali, in quanto finalizzata a soddisfare i bisogni delle persone attraverso lo sviluppo di un’attività economica che si manifesta prioritariamente nel lavoro di persone per gli altri e con gli altri, riconoscendo la dignità delle persone e il valore dei loro contributi creativi. Riconoscere nell’‘umanesimo digitale’ il proprio valore significa considerare complementari, e non contrapposte, la cultura tecnologica e quella umanistica, l’intelligenza artificiale e quella umana.

La filosofia in primis sembra fondamentale per guidare e dare un senso compiuto ai dati analizzati e, soprattutto, per promuovere il pensiero critico al fine di riflettere sulle frontiere etiche che la scienza non deve oltrepassare. Gli umanisti e i tecnici si distinguono pure per il linguaggio usato: narrativo ed evocativo quello degli umanisti, eseguibile quello dei tecnici.

Il primo serve a descrivere o a immaginare un fenomeno, il secondo lo fa accadere.

Nondimeno, il ruolo degli umanisti è fondamentale nel processo d’innovazione radicale, perché essi sono gli unici in grado di tenere in considerazione l’etica nella scrittura dell’algoritmo e il contesto in quella del codice, e di proporre criteri di valutazione degli investimenti che travalichino quelli basati sulla produttività.

Criteri etici, quali il rispetto della dignità umana e l’aderenza ai valori aziendali, ed economici, quali il significato che assume una nuova tecnologia per i clienti e quindi il loro possibile interesse ad acquistarla.

L’ibridazione delle competenze

Ne deriva l’importanza dell’interdisciplinarietà per ibridare, questa volta, competenze digitali e umanistiche.

La trasformazione digitale in corso porta infatti a considerare gli individui non come persone uniche, ma come ingranaggi indistinti di una grande macchina dell’informazione. L’essere umano è invece l’unica fonte e, nel contempo, anche l’unico destinatario dell’informazione. È anche l’unico possibile produttore di significato dei risultati prodotti dalla macchina, dati o oggetti che siano, e persino del significato della macchina stessa.

La stampante 3D, ad esempio, rivoluziona la produzione fisica, ma non quella di significati. Il significato all’oggetto realizzato, ma anche alla stampante 3D, può essere dato solo dal maker che progetta il primo ed eleva la seconda a totem di un diverso life & work style.

La produzione di significati, e non la produzione fisica, sarà sempre più la vera sfida anche per le imprese. I significati sono il risultato della capacità creativa dell’essere umano, che è direttamente collegata alla sua capacità di avere: emozioni, sentimenti ed empatia; immaginazione e fantasia per poter astrarre; aspirazione alla conoscenza e duttilità nel metterla in opera; ed è questo che rende le persone speciali e non equiparabili a macchine algoritmiche.

Queste non sono in grado di creare cose nuove, ma solo di rimescolare partendo da ciò che esiste già. Gli algoritmi non riflettono emozioni o sentimenti, ma solo statistiche e correlazioni tra dati osservando i comportamenti umani.

L’impresa ‘significante’ quindi deve portare a rivalutare come fondamentale e positivo il suo ruolo nella società e il ruolo di chi è chiamato a guidarla (imprenditore o manager) nel momento in cui esercita le virtù cardinali della creatività, della capacità di creare comunità e della concretezza.

umanesimo digitale - prof carlo bagnoli

Human dignity-centered framework, in W. Mea & R. Sims, Human Dignity-Centered Business Ethics: A Conceptual Framework for Business Leaders. «Journal of Business Ethics», 2019, 160.

Questo impianto valoriale guida e dà forma allo scopo dell’impresa ‘significante’, ovvero il perseguimento della trasformazione sostenibile. Lo scopo è il motivo profondo per cui l’impresa esiste: per potersi definire ‘significante’, non può che porsi come guida per esperienze trasformative all’insegna della sostenibilità.

Solo così, oltrepassando il produrre e distribuire beni e/o servizi, potrà sfuggire alla commoditisation che caratterizza i mercati di massa. In questo nuovo mercato, la materia prima da trasformare è la persona (fisica e giuridica) aiutandola ad autorealizzarsi.

La trasformazione digitale irrompe infatti prepotentemente nella vita di tutti i giorni, pervade gli ambiti ludici e lavorativi, privati e pubblici, rischiando di “disumanizzare” il sistema delle relazioni sociali: diventa ancora più cruciale ribadire l’importanza di rimettere al centro la persona in quanto io sociale. Le società stanno perdendo i loro valori più profondi a causa di un esasperato individualismo e una maggior rilevanza attribuita ai beni materiali.

D’altro canto, e forse come naturale reazione a quanto sta avvenendo, sempre più individui desiderano prodotti di consumo dall’alto valore simbolico legato a significati personali, ma anche sociali innescati dai grandi problemi dell’umanità.

A maggior ragione, dunque, le imprese che aspirano a essere significanti dovranno ispirarsi alla centralità dell’essere umano, modellando il proprio scopo trasformativo sulla base di una visione e una leadership umanistiche

ome è cambiata la comunicazione dall'11 settembre 2001 a oggi

Venti anni dopo l’11 settembre: come è cambiata la comunicazione di talebani e USA

Sono già passati vent’anni dall’11 settembre 2001 e qualcuno in più da quando, una sera di agosto, mia madre mi accompagnò sulla cima delle Torri Gemelle a guardare le luci di New York.

Il 16 agosto del 1998 avevo 16 anni e un ridicolo marsupio, come usava allora. Al World Trade Center faceva così caldo fuori e così freddo dentro che all’entrata le enormi vetrate, dalla indimenticabile forma ad albero, erano tutte appannate. Per anni ho tenuto nel portafoglio il bigliettino di ingresso, adesso è in una cornice insieme a una foto, scattata da Ellis Island, qualche giorno dopo.

Erano le 8:20 PM, così dice quel foglietto, e nella hall del World Trade Center c’era ancora molta fila. Ricordo che due cose toglievano il respiro: la velocità dell’ascensore e l’oscillazione che avvertivi in cima all’Observation Deck, un suggestivo percorso all’aria aperta nella Torre Sud, con ringhiere bianche e parecchio vento.

Dagli articoli di Oriana Fallaci alle storie Instagram dei reporter da Kabul nell’estate della riconquista talebana: dopo vent’anni si torna al punto narrativo di partenza, come se la storia si fosse ripiegata su se stessa in una spirale dove il mezzo si arrende a non essere più il messaggio.

Gli anni ’90 tornano nelle nostre vite con tutto il loro carico di ricordi e ce li ritroviamo improvvisamente nell’epoca della pandemia, come in uno di quei film sui viaggi nel tempo.

Ci sono infinite domande a cui nessuno di noi sa ancora rispondere, ma ce n’è una di cui tutti abbiamo sempre conservato la certezza: dove eravamo l’11 settembre del 2001.

I biglietti di ingresso alla Torre Sud del World Trade Center e all’Observation Deck “Top Of The World”.

LEGGI ANCHE: L’America a un bivio: tra Trump e Biden è guerra di spot

Come cambia la narrazione dei protagonisti: i talebani 2.0

Quando nel 1996 i talebani presero il potere in Afghanistan vietarono ogni forma di intrattenimento, compresa la televisione e la nascente rete internet che, a loro parere, era portatrice di contenuti volgari, immorali e anti-islamici.

Oggi, il loro portavoce Zabihullah Mujahid, comunica su Twitter, vanta 400 mila follower e come foto profilo ha un microfono stile Elvis. Così come Suhail Shaheen (quasi mezzo milione di follower, ma foto profilo canonica), portavoce per i media internazionali che però i suoi tweet li scrive solo in inglese.

Per i comunicati ufficiali del nuovo governo il portavoce sta utilizzano https://justpaste.it/, un editor online molto semplice, registrato in Polonia, diventato celebre con l’utilizzo che ne faceva l’ISIS.

Il dominio .it in questo caso non è utilizzato per il riferimento all’Italia ma per il significato dell’acronimo: Information Technology.

QUI il comunicato dei telebani riguardo alla posizione sugli accordi di Doha, e sulla black list americana che secondo loro violerebbe quegli stessi accordi.

È quella che Politico chiama la “Extreme Makeover” dei talebani, prendendo a prestito il titolo di un fortunato reality show.

In questi venti anni, internet si è diffuso in Afghanistan (ci sono circa 23 milioni di cellulari e 10 milioni di accessi internet) con l’89% degli afgani che ha un qualche accesso alle telecomunicazioni. Percentuali inimmaginabili prima della lunga opera di nation building americana e internazionale.

In un simile contesto mediatizzato, i talebani 2.0 hanno pensato che essere parte del sistema fosse decisamente più vantaggioso che imporre divieti. Tuttavia, il loro utilizzo dei new media, non è cosa recente: già nel settembre del 2015 i militanti barbuti si facevano selfie a Kunduz, dopo la prima vera e propria battaglia vittoriosa dal 2001.

Ma cosa significa nel 2021 che la comunicazione dovrà “soddisfare la legge islamica?”. Un bell’interrogativo per tutte le aziende tech che vorranno continuare ad operare nel Paese.

A una precisa domanda sulla libertà di parola, Zabihullah Mujahid ha risposto di chiedere a Facebook: «Questa domanda dovrebbe essere posta a loro». I nuovi talebani dimostrano di aver studiato bene il dibattito che si sta consumando in Occidente intorno alla censura sui social media, che si fanno sempre più editori. (Ne abbiamo già parlato su Ninja: QUI).

I talebani hanno imparato anche a rispondere a chi prova a trollarli: “Qual è il tuo formaggio preferito?”, chiede Joe. Ecco la risposta:

I talebani non violano i celebri “standard della community”? Per Facebook e Instagram la risposta è affermativa: la presenza di “hate organizations” non è consentita nelle piattaforme di Zuckerberg.

Anche TikTok ha bollato i talebani come organizzazione terroristica e continua a rimuovere i loro contenuti. Su Twitter, però, è un’altra storia: qui ai talebani è permesso di mantenere gli account attivi, mentre – come molti hanno notato – l’ex presidente Trump è stato bannato a vita. Interrogato sul perché, Twitter ha glissato non rispondendo alle sollecitazioni aggiungendo solo che avrebbe «continuato a far rispettare in modo proattivo» le sue regole che vietano la «glorificazione della violenza, la manipolazione della piattaforma e lo spam».

Cosa c’è poi di meglio che parlare di cambiamento climatico per essere internazionalmente accettati?

Succede così che Abdul Qahar Balkhi, membro della “Commissione Culturale” dei talebani, in una intervista a Newsweek citi la lotta al cambiamento climatico come una delle grandi sfide per il futuro. Abduld si dice anche preoccupato per la “sicurezza mondiale”, sicurezza di cui proprio i talebani erano finora una delle principali minacce, assieme alle organizzazioni terroristiche da loro ospitate e protette.

Come cambia la narrazione dei protagonisti: da George W. Bush a Joe Biden

“Steady Leadership In Times of Change”: quando nel 2004 George W. Bush viene rieletto alla Casa Bianca con questo claim, la sicurezza e la lotta al terrorismo sono i temi che più stanno a cuore agli americani.

Le macerie delle Torri Gemelle sono ancora calde, così come il ricordo del presidente a Ground Zero che abbraccia un vigile del fuoco, pronunciando dal megafono il celebre “Bullhorn speech”: «I Can hear you, the rest of the world hears you. And the people who knocked these buildings down will hear all of us soon».

La controversa guerra in Iraq del 2003 aveva in patria un’approvazione intorno al 72%, quasi quanto il gradimento personale del presidente in carica. La guerra all’Afghanistan del 2001 aveva un consenso perfino maggiore, praticamente plebiscitario.

Vent’anni dopo la metà degli intervistati sostiene che quell’intervento sia stato un errore, come dimostrano le rilevazione di Gallup. Perfino nell’elettorato repubblicano si manifesta una grandissima percentuale di scontenti.

L‘umore dell’opinione pubblica è stato alla base delle scelte di Trump e di Biden riguardo al disimpegno militare. La crisi economica devastante del 2008 e la pandemia hanno segnato due decadi difficili. Una cosa è certa: la sicurezza internazionale e il terrorismo non sono più in cima alla lista dei temi da cavalcare per vincere un’elezione negli Stati Uniti.

Il parere dei cittadini americani sul coinvolgimento militare in Afghanistan dal 2001 al 2021. Fonte: Gallup

Il parere secondo l’appartenenza politica – Fonte: Gallup

Tra le dichiarazioni maggiormente condivise sui social nell’estate 2021, c’è sicuramente quella presidente Biden che, durante una conferenza stampa, afferma che nessuno sarebbe stato portato via dai tetti dell’ambasciata di Kabul come successo a Saigon nel 1975.

L’immagine, diventata presto un meme, di Biden che controlla per ben tre volte l’orologio durante la cerimonia di rimpatrio delle salme dei caduti, ha scatenato invece reazioni durissime dell’opposizione e anche delle genitori dei caduti, come Shana Chappell, madre di un marine di 20 anni morto a Kabul, che ha manifestato il suo sdegno in un post di Facebook diventato virale.

Lo stesso Instagram è stato costretto a scusarsi per un blocco operato nei confronti della signora nei giorni successivi all’attentato.

Lanciato dalla piattaforma Save America PAC e andato in onda sulle TV via cavo (con un budget molto modesto), lo spot “Failure” è stato veicolato soprattutto online e sui canali Telegram legati all’ex presidente Trump. Un video che per Fox News rappresenta il primo spot della campagna elettorale 2024. Crudo e angosciante, rappresenta un concentrato di tecniche dei migliori negative ads.

La font utilizzata ha le singole lettere tagliate, come per richiamare il concetto di catastrofe (crollo?), le immagini sono disturbate come in una vecchia TV, i volti dei bambini terrorizzati fanno leva sui sentimenti più profondi dell’audience.

“People are  being left behind”, recita il messaggio, mentre scorrono le tragiche sequenze dei neonati passati ai soldati al di là del muro dell’aeroporto. Nella conclusione dello spot, il podio della conferenza stampa rimane vuoto, come se il ruolo di presidente risultasse vacante. A chiudere frettolosamente la porta (in faccia al pubblico/agli americani, come in una ritirata) è una ragazza dello staff che indossa una mascherina.

I supermercati ancora vuoti, 20 anni dopo

Quando nel marzo del 2020 venne annunciato il primo lockdown, nel tentativo di contenere l’epidemia da Covid-19, gli scaffali dei supermercati si svuotarono improvvisamente di frutta, verdura, pasta, carne, conserve e molto altro. Sembrava passato un ciclone ma era solo l’isteria alimentata da una narrazione mediatica allarmista.

Chi non era troppo giovane per andare al supermercato da solo, si ricorderà gli scaffali il 12 settembre 2001: le stesse scene, lo stesso panico, gli stessi pensieri da fine del mondo.
L’11 settembre ha sancito la fine di quell’ottimismo figlio degli anni ’80 e ’90, dove la crescita sembrava infinita, i problemi pochi, i soldi molti.

Dopo la sconfitta dell’Unione Sovietica, per dirla con Nesi, si viveva “un’estate infinita” dove il domani sarebbe stato sempre migliore dell’oggi: almeno fino a quella mattina a Manhattan.

Gli anni ’90 che tornano trovano un mondo molto differente e complesso, in cui spesso la soluzione delle grandi questioni passa per il modo in cui le si raccontano. Un racconto in cui il finale però non è mai scritto, a differenza di molte delle epopee politico e sociali novecentesche. Come diceva Keynes: «Ciò che accade in fin dei conti, non è l’inevitabile, ma l’imprevedibile».

spotify Alberto Mazzieri

La fotografia di Millennial e Gen Z secondo Spotify: differenze e sovrapposizioni

Spotify ha pubblicato la terza edizione del suo report annuale globale sulle tendenze che definiscono la Generazione Z e i Millennial. Nel 2021 la sfida comune è ricostruire la cultura dalle fondamenta. In questo contesto, l’audio digitale gioca un ruolo di primo piano.

È stato un anno piuttosto lungo per la Gen Z, una generazione che attualmente è sull’orlo di una ritrovata indipendenza: laurea), la Gen Z non vede l’ora di lasciarsi alle spalle gli eventi virtuali e tornare alle esperienze della vita reale.

I Millennial, nel frattempo, hanno dovuto affrontare vari problemi: la pandemia ha scombussolato le loro aspettative di equilibrio tra lavoro e vita privata di questa generazione, impegnata a fare carriera e a crearsi una famiglia.

Abbiamo fatto qualche domanda ad Alberto Mazzieri, Director of Sales di Spotify per comprendere più a fondo quali siano differenze e punti di contatto fra questi due generazioni e come le diverse prospettive (e inevitabili sovrapposizioni) dei Millennial e della Gen Z stiano plasmando il panorama dell’audio.

Alberto mazzieri spotify

LEGGI ANCHE: Diversity, inclusion, equality: Spotify contro la discriminazione di genere

Millennial e Gen Z: aspettative diverse ma comportamenti simili

Millennial e Gen Z sono target molto diversi, a partire dalla fascia di età: vivono esperienze e vite diverse. I Millennials sono più focalizzati sulla carriera e sul percorso professionale, mentre le priorità dei ragazzi della Gen Z sono soprattutto quelle di costruire una community, stabilire dei contatti e dedicarsi alle proprie passioni e cercare di tirare fuori il massimo da queste.

<<Da queste due descrizioni abbastanza generalizzate si può naturalmente tirare fuori molto di più. Hanno infatti anche modalità diverse nella fruizione dei mezzi, in generale, e dell’audio in particolare>>, ci spiega Alberto.

<<Sono entrambe generazioni molto rilevanti: gli under 35 rappresentano infatti il 70% della nostra audience free, quindi di quelli su cui lavoriamo quando collaboriamo con le aziende e sono esposti ai messaggi pubblicitari. Conoscere queste tipologie di pubblico, per Spotify, è davvero importante.

Ciò che accomuna queste fasce di età è che l’audio sta occupando una parte sempre maggiore della loro vita e ha un ruolo sempre più importante e significativo rispetto al passato. Questo è testimoniato dai dati che abbiamo a disposizione: il numero di utenti, il tempo trascorso sulla piattaforma e la tipologia dei contenuti disponibili>>.

Dal report Culture Next di Spotify emerge infatti che i dati sono tutti in crescita e questo testimonia la volontà dei Gen Z a essere partecipi in prima persona dei contenuti che poi si vogliono anche ascoltare, di interagire con gli artisti e i creator che gli permette di avere un ruolo attivo nella curation, cioè nella definizione di come i contenuti vengono ascoltati.

report spotify

<<Pensiamo alle playlist: spesso e volentieri si ascoltano playlist già proposte da Spotify, magari sulla base degli ascolti precedenti. Soprattutto per i più giovani, la cura della propria playlist o dei podcast esprime la loro personalità: non è solo ciò che si ascolta ma anche come lo si ascolta, mixato tra i vari artisti e i vari generi musicali.

L’audio, per entrambe le generazioni, è visto come una via di fuga: è un ottimo strumento per rilassarsi e focalizzarsi su una sorta di salute mentale e ridurre i livelli di stress, per quanto riguarda i Millennial, ed entrare in contatto con le community di persone che riteniamo vicine a noi, per i Gen Z.

Un altro aspetto che accomuna entrambe le generazioni è il fatto che l’audio sia pervasivo in tutti i momenti della giornata attraverso tutti i device: c’è il desktop, c’è l’auto, ci sono le console e gli smart speaker, tutti aumentati in termini di consumo, anche a causa della pandemia>>.

L’autodefinizione dei Gen Z attraverso la musica

Sebbene non ci siano grandi differenze nel modo in cui Gen Z e Millennial fruiscono dei contenuti per tempo trascorso sulla piattaforma o per device utilizzato, la Generazione Zeta punta molto di più ad autodefinirsi attraverso quello che ascolta, entrando in contatto con le community di persone che condividono gli stessi gusti e interessi.

Spotify Gen Z

<<La partecipazione attiva è presente in entrambe le fasce ma l’aspettativa di incidere sui contenuti nativamente è molto più forte nei Gen Z, che sono nati nell’era dei social prima ancora che nell’era digitale e vedono nella condivisione dei contenuti, nello scambio di opinioni e nella raccolta dei feedback qualcosa di assolutamente naturale, cosa che è “meno naturale” per i Millennial, per i quali i social sono nati quando avevano un’età già abbastanza matura>>.

Dai forum ai podcast

Anche se il trend dell’audio era un fenomeno già in crescita nel periodo pre-pandemia, l’affermazione definitiva è avvenuta proprio quando le persone hanno trascorso un tempo maggiore in casa. Ecco che l’audio ha allora preso quel posto di aggregatore che, in passato, era stato assunto dai forum, prima, e dai social, poi. Adesso, questi contenuti consentono di creare community in cui le persone si rispecchiano e si ritrovano.

<<La musica, da sempre, è una modalità per esprimere il proprio interesse. Ora questo avviene anche per i podcast: quello che succede nella società, che sia l’impegno verso la sostenibilità ambientale, l’impegno verso la diffusione dei trend di vaccinazione, qualunque fenomeno culturale e sociale si riflette poi in quello che le persone ascoltano.

Il movimento Black Lives Matter, per esempio, ha comportato un avvicinamento verso la musica Black, anche forse per una sorta di solidarietà verso chi stava vivendo un momento difficile e un proliferare enorme di playlist dedicate a quel tema.

Poi, le community si creano interagendo con gli artisti e questo avviene su vari canali, ma su Spotify si riflette nell’ascolto e negli stream dei contenuti che vengono creati e nei trend di crescita di alcuni artisti che più di altri sanno comunicare attraverso i loro fan, e questo ancora una volta lo vediamo ancora più marcato nei Gen Z>>.

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E, in questo contesto, è facile chiedersi se la progressiva diminuzione delle restrizioni e il percorso verso l’uscita dalla crisi sanitaria non possa comportare, in qualche modo, una contrazione del mercato quando le persone saranno in grado di muoversi liberamente e trascorreranno meno tempo in casa. Secondo Alberto, i trend ormai consolidati non retrocederanno a favore delle precedenti modalità di consumo dell’intrattenimento.

<<Sicuramente ci saranno degli assestamenti: per esempio, l’audio in car è già ritornato ai livelli pre-pandemia, ma con un trend sempre in crescita, che la pandemia ha solo accelerato.

Diverso è il discorso per le nuove modalità di fruizione dell’audio, come da smart speaker e console: c’era già un trend accelerato dalla pandemia, ma sono abitudini ormai consolidate. Chi ha iniziato a usare questi dispositivi in casa, continuerà a utilizzarlo per il tempo trascorso in casa.

A livello globale, il tempo speso sull’audio continua ad aumentare, perché viene visto anche come un aggregatore nelle dinamiche familiari. L’esposizione ai video e agli schermi ha avuto un aumento importante negli ultimi anni, probabilmente arrivando a un picco; ora le persone cercano modalità diverse di interagire ed essere esposti ai contenuti, anche senza schermo e, in questo, l’audio può avere un ruolo importante.

Per le aziende è un’opportunità gigantesca, perché permette di entrare in contatto con l’audience che vogliono raggiungere, con le stesse capacità di profilazione che fino a poco fa erano offerte solo in modalità video, presidiando però momenti che non hanno bisogno dello schermo, a complemento di una strategia video e in una modalità di comunicazione molto efficace e immersiva come l’audio.

Gli utenti che ascoltano Spotify con il mobile, nella grande maggioranza dei casi, lo fanno indossando le cuffie rendendo l’esperienza ancora più immersiva e questo aumenta la pre-call e l’efficacia dei messaggi, se sono costruiti utilizzando i dati a disposizione>>.

Curator e creator a confronto

Tutte le big di internet ma tante, tantissime aziende più piccole stanno pubblicando annunci e offerte di lavoro per ruoli adatti ai creatori di contenuti. Il creator è diventato una figura importante per un mercato del lavoro in cui si è delineato un nuovo sottoinsieme trasversale ai settori pubblicità, intrattenimento e informazione.

Una figura altrettanto importante, non solo su Spotify, è quella del curator che, se per alcuni versi si sovrappone al creator, propone un approccio diverso alla produzione e aggregazione dei contenuti.

<<Il confine è abbastanza sottile>> spiega Alberto <<diciamo che oggi c’è la propensione a creare contenuti in prima persona per condividere le proprie esperienze e le proprie passioni. Questo era già vero in ambito musicale ed è sempre più vero per i podcast, che hanno allargato i terreni di azione in qualunque ambito, come sport, intrattenimento, news o finanza.

Lì ognuno si mette in gioco e ha la possibilità di condividere ed essere rilevanti per persone che sono interessate ai suoi messaggi creando dei contenuti.

i curator di Spotify

I curatori hanno forse un aspetto qualitativo in più, quello di attingere da contenuti che già esistono e metterli a disposizione sfruttando quello che già c’è rendendolo fruibile con un messaggio>>.

Il rapporto dei creator con i brand

Anche per la produzione di contenuti audio, individuare le collaborazioni giuste con creator e influencer rimane una delle attività più complesse per i brand. Prima ancora, però, è necessario partire dai giusti presupposti per la creazione di una strategia in grado di raggiungere efficacemente il proprio target.

<<L’affinità di target finale è l’aspetto principale. è importante non lasciarsi ingolosire da reach e possibilità di copertura giganti ma rimanere focalizzati su quali sono effettivamente le persone che si vogliono raggiungere.

L’altro aspetto è sicuramente instaurare un rapporto che sia credibile per i valori del brand e per i messaggi che vengono veicolati agli utenti.

Sappiamo quanto le persone abbiano una propensione e condividere e ascoltare messaggi pubblicitari in cambio della fruizione gratuita della piattaforma, ma sappiamo bene anche che alla condivisione dei propri dati per essere tracciati e profilati corrisponde un’aspettativa altissima sulla rilevanza dei contenuti a cui sono esposte.

Questa è una responsabilità per i brand che devono partire dalla credibilità nel deliverare un messaggio. Su questo, noi di Spotify siamo a disposizione per supportare le aziende nella ricerca dei contenuti migliori e dei creator più adatti a cui affidarsi, ma credibilità e rilevanza sono sicuramente gli aspetti fondamentali da cui partire per definire una strategia e raggiungere questi target che sono, più di altri, esigenti in termini di messaggi a cui vengono esposti>>.