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Ninja Awards di N-Conference: ecco le nomination per il Business Visionary Event

Manca ormai pochissimo a N-Conference, il primo grande evento Ninja dedicato al Business del futuro.

Grazie alla piattaforma Umans™, N-Conference vivrà in digitale e sarà possibile seguire gli interventi degli speaker, visitare i Virtual Stand dei Partner, fare Networking nella Lounge digitale, interagire con ospiti e partecipanti e personalizzare la propria esperienza di fruizione dell’evento.

Oltre 30 gli speaker tra esperti e professionisti del panorama economico digitale internazionale.

N-Conference, il Business Visionary Event di Ninja in programma il 27 e il 28 maggio 2021 in Digital Edition, in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, premierà simbolicamente talenti, professionisti e aziende che hanno saputo trasmettere alla collettività la filosofia Ninja.
E sarà il pubblico a decretare i vincitori tra coloro che si sono contraddistinti nella Digital Industry per tecnologia, approccio e valori: durante N-Conference 2021 si potrà votare in diretta le aziende, le persone e i progetti più meritevoli per ciascuna categoria.

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Scopriamo insieme le nomination dei Ninja Awards.

ninja awards logo

Ninja Celebrity

ninja celebrity

Un riconoscimento dedicato al personaggio pubblico che è stato capace di utilizzare il marketing e la comunicazione per creare autorevolezza e riconoscibilità promuovendo idee e approcci innovativi.

  • The Jackal
  • Estetista Cinica
  • The Ferragnez
  • Matteo Flora

Ninja Talent

ninja talent

Un riconoscimento dedicato al professionista che si è distinto, soprattutto nella Community Ninja, attraverso il proprio talento e la propria passione, creando un impatto concreto con le attività svolte.

  • Domenico Romano
  • Felicia Mammone
  • Filippo Giotto
  • Alberto Maestri

Ninja Marketer

ninja marketer

Un riconoscimento dedicato al Marketing Manager e al suo team che in azienda è riuscito a creare un progetto o un’attività volta a generare valore per il brand attraverso un approccio e una comunicazione distintivi.

  • Carlo Colpo – Lavazza Brand Home Director
  • Paolo Lorenzoni – Country Director of Marketing – NETFLIX
  • Gianluca Di Tondo – Group Chief Marketing Officer di Barilla
  • Julia Schwoerer  – Vice President Marketing Mulino Bianco

Ninja HR

Un riconoscimento dedicato all’HR Manager e all’azienda che nella gestione delle risorse umane si sono distinti per attività di people management e per una cultura aziendale innovativa.

ninja hr

  • Vittorio Maria Carparelli – Amex
  • Gianfranco Chimirri – Unilever Foods Solutions
  • Amelia Parente – Roche
  • Clemente Perrone – Sirti

Ninja Company

Un riconoscimento dedicato all’azienda che è riuscita a distinguersi per innovazione, approccio e valori, diventando un punto di riferimento nel proprio settore.

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  • Weroad
  • Pastificio Rummo
  • Ammagamma

Ninja Culture

ninja culture

Un riconoscimento dedicato alla personalità e alle idee che sono diventate di ispirazione e che portano avanti l’evoluzione sociale e spirituale della società

  • Michelangelo Tagliaferri – Accademia di Comunicazione
  • Bernard Cova – Kedge Business School
  • Guido Stratta – Direttore People & Organisation Gruppo Enel

Ninja Leader

Un riconoscimento all’imprenditore che ha saputo creare una filosofia innovativa nella propria azienda valorizzando le risorse umane e un approccio innovativo al business.

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  • Renzo Rosso – Presidente di OTB
  • Brunello Cucinelli – Fondatore di Brunello Cucinelli
  • Niccolò Branca – Presidente e Amministratore Delegato della Holding del Gruppo Branca International S.p.A
  • Norma Rossetti – General Manager MySecretCase

Ninja Media

Un riconoscimento alla realtà editoriale che è riuscita a creare una trasformazione concreta e positiva in ambito media e intrattenimento digitale.

ninja media

  • Will Media
  • Freeda
  • The Post Internazionale

Ninja Agency

Un riconoscimento all’agenzia più innovativa che è riuscita a integrare nel suo DNA la creatività con una forte componente tecnologica per supportare il business dei propri clienti.

ninja agency

  • Dude
  • Caffeina
  • Connexia

Ninja Benefit

Un riconoscimento all’organizzazione no profit (o alla società benefit) che è riuscita a creare un impatto significativo dedicandosi alla salvaguardia dell’ambiente o all’inclusione sociale.

  • Fondazione Mediolanum
  • Lifegate
  • Little Genius

Come votare i tuoi preferiti

Sono dieci le categorie per l’assegnazione dei premi: Ninja Marketer, Ninja Company, Ninja Celebrity, Ninja Benefit, Ninja HR, Ninja Media, Ninja Agency, Ninja Talent e Ninja Leader.

Le aziende, i talenti e le persone incluse nelle nomination per i Ninja Awards sono stai selezionati grazie alla community: sono infatti quelli che hanno ricevuto più segnalazioni e preferenze durante la fase di candidatura. Ora “si sfideranno virtualmente” durante l’evento per aggiudicarsi il titolo di “Unbreakable del business”.

La votazione avverrà in diretta durante l’evento: per partecipare, affrettati a prenotare il tuo posto cliccando qui.

Qualche dettaglio su N-Conference

L’evento ruoterà intorno a 3 vertical track:

    • Technology, per scoprire insieme le nuove opportunità dell’AI e del Machine Learning per il business, il Martech e l’Automazione dei processi di vendita e customer support e familiarizzare con parole chiave del futuro presente come Blockchain, Cryptocurrency, AR & VR, powered by TIM.
    • Culture, per esplorare come la tecnologia sta plasmando generazioni sempre più connesse e digitali, attente ai valori e alla sostenibilità e critiche verso le tradizionali regole del lavoro e modalità di consumo, powered by AW LAB.
    • Industry, per studiare le aziende e le industrie che guidano il cambiamento del mercato valorizzando il capitale umano, integrando le tecnologie e puntando a risolvere i problemi della società in modo innovativo, powered by Banca Sella.

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umanesimo digitale

Dal Made in Italy all’Originated in Italy: il percorso verso l’Umanesimo digitale

Come abbiamo accennato nella prima puntata di questo viaggio alla ricerca dell’impresa totale, l’impresa significante riconosce di operare in un contesto in cui il trend fondamentale è quello dell’accelerazione esponenziale.

Divenuta ormai una caratteristica permanente e pervasiva della vita umana, tale accelerazione è particolarmente avvertibile su due piani: lo sviluppo tecnologico e il cambiamento sociale.

Nel primo caso, assistiamo a un’inversione nella priorità tra tempo e spazio: storicamente parlando, l’uomo ha percepito come prioritario lo spazio, in quanto dimensione misurabile con strumenti “naturali”, laddove invece il tempo non è stato realmente misurabile prima dell’invenzione “artificiale” dell’orologio.

Ora, invece, lo spazio sembra aver perso il suo tradizionale significato di orientamento ed è il tempo a essere prioritario, concepito come sempre più compresso e “limitato”, come una risorsa sempre più rara.

Nel secondo caso, questo stesso senso di contrazione porta a sviluppare dei ritmi di vita sempre più frenetici, scanditi dalla paura di trovarsi “fuori dal tempo”.

La doppia accelerazione, tecnologica e sociale, comporta un aumento nella velocità con cui nascono nuovi bisogni da parte dei consumatori e, quindi, nuovi mercati e nuove normative atte a regolamentarli.

Questo impone alle imprese di aumentare la velocità nello sviluppo di nuovi prodotti, nuovi processi produttivi e distributivi, nuove relazioni con clienti e fornitori, ma anche di aumentare il livello di specializzazione. L’accelerazione comporta infatti anche una crescita esponenziale dell’intensità competitiva, dovuta alla comparsa di nuovi concorrenti.

L’unico modo per non maturare degli svantaggi sembra dunque essere quello di correre quanto o più del contesto competitivo; ma è evidente l’insostenibilità di un simile modello.

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La crescita esponenziale nei trend relativi al pianeta (tratto da The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration di Will Steffen et al., 2015).

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La crescita esponenziale nei trend socio-economici (tratto da The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration di Will Steffen et al., 2015).

Tanto è vero che, nel momento in cui la necessità di accelerare assume quasi lo status di legge economica, si assiste – paradossalmente – a importanti fenomeni di stasi o, addirittura, di decelerazione.

È possibile per le imprese italiane adottare una strategia di proposta basata sull’aumento non tanto della velocità, quanto della tempestività: tale slittamento concettuale consente lo sviluppo di un nuovo modello imprenditoriale, caratterizzato anche da forme e momenti di decelerazione per rispettare i limiti fisici delle risorse naturali e umane, e trascenderne invece quelli psicologici, morali, intellettuali e spirituali, rifuggendo così dall’alienazione di una corsa sfrenata contro il tempo.

L’importanza del coinvolgimento emotivo

Nel contesto così definito, acquisiscono importanza strategica i brand e i prodotti (in primis quelli culturali) che riescono a coinvolgere emotivamente le persone, permettendo loro di rielaborare le esperienze di consumo quotidiane per ispirare quelle future: proprio in questo sta la chiave di volta per le imprese del Made in Italy.

Alla crescita esponenziale si può contrapporre la crescita felice che le imprese italiane potrebbero alimentare adottando una strategia di proposta fondata sul genius loci italiano, valorizzando oltre alla dimensione geo-spaziale anche quella storico-temporale.

È il passaggio dal Made in Italy all’Originated in Italy: prodotti originali – nel senso di distintivi – perché originati in Italia.

La proposta tempestiva prende la forma, allora, di quella capacità di sfruttare l’intuizione più genuinamente italiana per offrire un prodotto ingegnoso, su misura e di qualità, al momento giusto, in un luogo autentico, magari dopo averci pensato a lungo.

È una capacità riconducibile all’intuizione visionaria dell’imprenditore, preoccupato di formulare una strategia di lungo periodo per garantire la perdurabilità dell’impresa, più che al pensiero razionale del manager, preoccupato di formulare una tattica di breve periodo per raggiungere gli obiettivi di budget.

Tale proposta deve fondarsi sulla varietà e variabilità esclusiva che l’Italia riesce a originare attingendo al proprio senso del gusto e del bello, all’innata maestria tecno-artistica, con l’obiettivo di passare dalla vendita di prodotti (dai significati condivisi), a quella di significati (incorporati in prodotti).

L’impresa ‘significante’ può e deve ritagliarsi un ruolo da protagonista, non competendo in un mercato di massa, e, quindi, esponendosi agli effetti negativi della globalizzazione intesa come fine, ma in una massa di mercati, sfruttando le potenzialità della globalizzazione intesa come mezzo per irradiare il mondo con la propria eccellenza.

Per farlo, l’impresa che voglia essere significante deve rimettere al centro l’uomo, attraverso quello che viene definito Humanistic management, che enfatizza la responsabilità sociale dell’impresa nel suo complesso e la valorizzazione di tutte le potenzialità dei membri dell’organizzazione.

Abbracciare velocità e flessibilità operative

La proposta è di abbandonare la standardizzazione dei processi produttivi, la specializzazione del lavoro, la chiusura dei confini organizzativi e la sequenzialità lineare del processo decisionale che serve un mercato di massa attraverso prodotti seriali per abbracciare invece la velocità e la flessibilità operative, la collaborazione tra i membri dell’organizzazione, il coinvolgimento anche di attori esterni quali clienti e fornitori, la socialità nel processo decisionale e nei rapporti per supportare la creazione diffusa e partecipativa della conoscenza.

Questa proposta, come già affermato, può essere fatta propria in primis dalle aziende italiane: quale concetto, infatti, è più Originated in Italy dell’Umanesimo stesso? La centralità dello Humanistic Management è diventata ancora più pressante con l’avvento della quarta rivoluzione industriale e con la crisi pandemica tuttora in corso.

Nelle sue derive più estremiste, la trasformazione digitale può infatti indurre a considerare gli individui non come persone uniche, ma come ingranaggi indistinti di una grande macchina dell’informazione. L’essere umano è invece l’unica fonte e, nel contempo, anche l’unico destinatario dell’informazione.

È anche l’unico possibile produttore di significato dei risultati prodotti dalla macchina, dati o oggetti che siano, e persino del significato della macchina stessa: ed è proprio sulla produzione di significati che si sta spostando sempre più il vero banco di prova delle imprese.

I significati sono il risultato della capacità creativa dell’essere umano, che è direttamente collegata alla sua capacità di avere emozioni, sentimenti ed empatia; immaginazione e fantasia per poter astrarre; aspirazione alla conoscenza e duttilità nel metterla in opera.

Questo è ciò che rende tali le persone, mai equiparabili a (o sostituibili da) macchine algoritmiche che, per quanto potenti, non sono in grado di creare qualcosa di totalmente nuovo, ma solo di ricombinare ciò che esiste già.

La rivoluzione digitale, dunque, deve mettere in discussione tutte le strategie di business, ma non può mettere in discussione la centralità della persona e dei legami tra le persone, per poter perseguire una prosperità equa e diffusa.

La tecnologia è sempre un mezzo e non il fine. In questo senso e non in altri, il paradigma dello humanistic management deve contrapporsi a quello che si può definire dell’Algorithmic managament: non per rigettare i progressi scientifico-tecnologici, ma per includerli in una visione interdisciplinare più ampia capace di ricomporre e portare a sintesi gli opposti a vantaggio dell’uomo.

L’impresa significante è dunque una società di persone prima che di capitali, finalizzata a soddisfare i bisogni delle persone attraverso lo sviluppo di un’attività economica che si manifesta prioritariamente nel lavoro di persone per gli altri e con gli altri, riconoscendo la dignità delle persone e il valore dei loro contributi creativi.

Accogliere l’umanesimo digitale come paradigma, significa considerare complementari, e non contrapposte, la cultura tecnologica e quella umanistica, l’intelligenza artificiale e quella umana, per esercitare le virtù della concretezza e della creatività: così facendo, l’impresa significante potrà anche offrire un’alternativa all’accelerazione fine a se stessa e far rivalutare come fondamentale e positivo il suo ruolo nella società (e quello di chi è chiamato a guidarla).

ByteDance, perché Zhang Yiming si dimette da CEO?

Un annuncio a sorpresa ai dipendenti in cui Zhang Yiming dichiara che entro l’anno lascerà la carica di CEO di ByteDance, società di proprietà di TikTok. “I’m not very social”, scrive nella lunga lettera, evidenziando il suo non essere predisposto all’essere social come una delle motivazioni determinanti per la sua decisione.

Una spiegazione che non reggerebbe, secondo gli analisti degli scenari geopolitici. Perché Zhang Yiming, fondatore del colosso cinese della Big economy, valutata in 300 miliardi di dollari nelle ultime contrattazioni e con un patrimonio personale di circa 44,5 miliardi di dollari, avrebbe deciso di lasciare il suo incarico?

Sullo sfondo le pressioni dell’Antitrust, l’autorità di regolamentazione cinese

All’origine potrebbe esserci l’autorità di regolamentazione cinese che negli ultimi mesi è intervenuta con multe fortissime per decentrare il potere delle grandi big tech, oltre ai rapporti tra Cina ed Usa e i dibattiti sulla privacy legata all’app Tik Tok che spopola tra i Millennial di tutto il mondo. La vicenda di Zhang Yiming presenta similitudini molti forti con Jack Ma, fondatore di Alibaba, entrato in dissenso con il governo e scomparso dalla vita pubblica cinese, decidendo all’apice della sua carriera di cambiare vita e di dedicarsi all’insegnamento.

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La lettera di Zhang

Le sfide quotidiane di un CEO vengono rappresentate come un ostacolo alla ricerca e all’innovazione: “Sono più interessato ad analizzare i principi organizzativi e di mercato e sfruttare queste teorie per ridurre ulteriormente il lavoro di gestione, piuttosto che gestire effettivamente le persone” – scrive Zhang Yiming, che continuerà nel suo ruolo di presidente – “Non sono molto socievole, preferisco attività solitarie all’essere online, come leggere, ascoltare musica e contemplare ciò che può essere possibile”. Un ruolo, quello da CEO, che rappresenta “una grande sfida con molta pressione”, aggiunge, evidenziando che il cambiamento gli consentirà di “avere un impatto maggiore sulle iniziative a lungo termine”, spostandosi in una posizione “strategia chiave”.

A succedergli il suo compagno di stanza al college, Liang Rubo, attuale capo delle risorse umane di ByteDance, che avrà l’arduo compito di traghettare la società nel mare magnum dei regolamenti Big Tech, definito da Zhang “un partner inestimabile” con “punti di forza nella gestione, organizzazione e impegno sociale”.

ByteDance, che impiega oltre 100.000 persone in tutto il mondo, si stava preparando all’IPO molto attesa quest’anno, interrotta poi ad aprile.

“Penso che sia possibile che Zhang sia preoccupato perché, dopo l’IPO, vedrebbe aumentare la sua ricchezza e ricevere molta attenzione dai media. È difficile essere una persona ricca in Cina. Non si ottiene così tanto riconoscimento”, sottolinea l’analista tecnologico di Pechino Li Chengdong.

Nella lettera, infatti, Zhang ribadisce l’intenzione di devolvere parte dei profitti ad attività di beneficienza: “Credo che restituire alla società sia importante e abbiamo già fatto progressi, sperimentando nuove iniziative per l’educazione, nella ricerca sulle patologie cerebrali e digitalizzando libri antichi. Essendo coinvolto direttamente in alcuni di questi progetti, spero di poter contribuire ulteriormente con mie idee e aiutando a sviluppare nuove soluzioni”.

Tensioni Usa-Cina

Zhang è l’ultimo di un piccolo gruppo di fondatori di aziende tecnologiche cinesi ad abbandonare la gestione quotidiana. TikTok ha cercato di prendere le distanze da Pechino dopo che gli Stati Uniti hanno sollevato preoccupazioni per la sicurezza nazionale per i dati personali che gestisce.

L’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cercato di costringere ByteDance a cedere il controllo dell’app TikTok. Un piano degli Stati Uniti per vendere le attività americane di TikTok a un consorzio che includeva Oracle Corp (ORCL.N) e Walmart Inc (WMT.N), fallito, dopo che ByteDance lanciò sfide legali di successo.

Il tentativo dell’Authority cinese per frenare il potere tecnocratico delle fintech

Una decisione inaspettata che arriva mentre le autorità di regolamentazione cinesi stanno aumentando il controllo delle più grandi aziende tecnologiche del paese. Ad aprile, hanno multato il gigante dell’e-commerce Alibaba Group Holding Ltd per 2,8 miliardi di dollari per pratiche anticoncorrenziali e lo scorso anno ha sospeso l’offerta pubblica iniziale (IPO) dell’affiliata fintech Ant Group.

Le autorità di regolamentazione antitrust hanno anche detto a Tencent Holdings Ltd che si stanno preparando a multare il gigante del gioco fino a 1,55 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Reuters il mese scorso.

ByteDance è la terza società tra le piattaforme di pagamento cinesi che tenta di dissolvere il duopolio Alibaba-Tencent, sulla spinta anche del governo cinese per ridurre lo strapotere di Ant financial di Alibaba e WeChat pay di Tencent. La big tech cinese dovrà però affrontare lo stesso piano di riforme previsto per Alibaba&co.

L’autorità cinese però ha imposto numerose riforme a cui adeguarsi, tra cui la revisione della forma giuridica, l’eliminazione dei prodotti finanziari dagli scaffali virtuali, l’adeguamento alla normativa antitrust che sta per entrare in vigore sui colossi tech. A ciò si aggiunge tutta la nuova sensibilità sulla privacy e la sua difficoltà di gestione che coinvolge tutto il mondo, ed in particolare l’App TikTok.

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Clubhouse per Android arriva da oggi anche in Italia

Da giorni circolavano rumors, ma finalmente da oggi l’esclusiva App ad inviti, fondata sulla voce, è attiva anche in Italia per gli utenti Android. 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la novità del lancio della versione Android di Clubhouse, disponibile sui Play Store a livello globale. In un tweet, la proprietà del social network aveva svelato la data di lancio dell’App, prevista per venerdì 21 maggio, giorno in cui la versione del sistema operativo di Google avrebbe raggiunto gli utenti in tutto il mondo, Italia compresa.

LEGGI ANCHE: Avvertenze per brand su Clubhouse: come usare il nuovo canale senza lasciarsi travolgere

Alcuni Paesi, come Giappone, Russia o Brasile avrebbero avuto a disposizione l’app già da ieri. La redazione di Ninja Marketing, però, ha deciso di testare l’applicazione sul campo, confermando quindi che è attiva.

Le schermate per l’accesso all’app e la configurazione dell’account sono, nella sostanza, identiche a quelle per sistemi IOS.

Ecco il messaggio di benvenuto agli utenti Android

A seguire la richiesta del numero, codice, inserimento foto profilo.

La selezione degli interessi per arrivare alle room in linea con i propri interessi e aspirazioni

 

Con l’apertura al mercato globale, il social network, con chat audio e ad invito lanciato nel 2020 dalla Alpha Exploration Co. e creato da Paul Davison e Rohan Seth, spera di frenare il brusco calo di download delle scorse settimane, complice anche la concorrenza degli altri social media, come Twitter, che ha sviluppato modalità similari di interazione audio, come Twitter Spaces.

A dicembre Clubhouse 2020 è stato valutato quasi $ 100 milioni. Il 21 gennaio 2021 la valutazione ha raggiunto il miliardo di dollari.

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davide bertozzi - immagini vs parole, recensione

Immagini vs Parole, la recensione del primo libro di Davide Bertozzi

Immagini vs Parole è il primo libro scritto da Davide Bertozzi, arricchito dalla prefazione di Valentina Falcinelli e dagli approfondimenti di Elisabetta Alicino, Roberto Saponi e Gianluca Di Santo.

Copywriter, direttore creativo e formatore, Bertozzi ha curato la comunicazione per tantissimi brand e dato vita a messaggi pubblicitari di svariate tipologie. La sua creatività ha avuto modo di confrontarsi con il mondo dei motori a due ruote e progettare campagne per marchi del circuito MotoGp come, RedBull, Ducati, Estrella Galicia.

Immagini vs Parole si inserisce perfettamente in quel percorso di trasformazione digitale che oggi fa domandare alla maggior parte delle persone che si occupano di comunicazione In che direzione sta andando il linguaggio pubblicitario?.

Il pubblico tende di più verso le immagini? Non riusciamo a saziare la nostra irrefrenabile voglia di fotografie, video e intrattenimento da display? Oppure non possiamo proprio fare a meno di accostare a una certa visione, un accompagnamento testuale?

Le parole sono ancora il punto di partenza di un messaggio pubblicitario?

bertozzi libri

Source: Twitter

Il percorso comunicativo secondo Davide Bertozzi

Immagini e parole sono indubbiamente due armi fondamentali ed imprescindibili quando si parla di comunicare per vendere.

Ma oggi in quanti hanno compreso il loro uso equilibrato e strategico? Soprattutto un uso che porta il consumatore a prendere coscienza di ciò che legge o guarda e interagire con il messaggio?

Bertozzi prova a rispondere al quesito ancestrale tracciando un percorso logico molto semplice. Si parte dagli strumenti basilari che il professionista della comunicazione ha in suo possesso. Le parole e le immagini, appunto – da lì non si scappa.

Bertozzi prosegue esplorando tutte le possibili sfaccettature che il mondo delle parole e delle immagini propone quando ci si mette a giocare con loro. Esattamente come un bambino che, completamente immerso dal suo lavoro con i mattoncini Lego, esce fuori dagli schemi predefiniti del libretto di istruzioni, e da vita e qualcosa di innovativo.

Precisamente di nuovo e utile, come direbbero Henrie Poincaré e Annamaria Testa.

E sì perché anche Davide Bertozzi non si sottrae alla sua personale interpretazione di “creatività”. Che cos’è la creatività? E come si raggiunge attraverso l’uso di parole e immagini?

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Immagini vs Parole: che cos’è la creatività secondo Davide Bertozzi

La creatività è qualcosa di irrinunciabile per chi si trova a lavorare con immagini e parole.
Prima di tutto, in un messaggio pubblicitario, c’è qualcosa che viene ancor prima della creatività.

“Tutta la nostra maestria nello scrivere e progettare non serve a nulla se poi non ci sono reputazione, credibilità, etica, sicurezza, conoscenza. Se dietro un annuncio c’è qualcuno pronto a metterci la faccia e a spiegare perché fa quello che fa”.

In secondo luogo, la creatività è quel processo che riesce a portare l’anomalia comunicativa, all’interno di un certo binario di senso. La creatività è eccezione e difformità. Ma non buttate a casaccio.

La maestria del copywriter o del creativo, è quella di innescare un pensiero o un’emozione, attraverso un evento improvviso, una piccola scossa elettrica, che ci strappa un sorriso, ci riporta in luoghi e sensazioni a cui siamo affezionati, ci fa riflettere.

“Un testo dovrebbe essere scritto per le persone, non per esaltare il nostro ego”.

Ok ma quindi, per far funzionare un messaggio pubblicitario, qual è la strada da intraprendere? Immagini o parole? La metafora che scioglie definitivamente il dilemma colpisce nel segno.

Il rapporto tra visual e copy è identico a quello tra Batman e Robin: il primo è il protagonista indiscusso, il secondo è il suo aiutante.

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Un piccolo manuale pronto all’uso per una corretto messaggio pubblicitario

Immagini vs Parole è a tutti gli effetti un piccolo manuale pronto all’uso per chi si accinge a mettere le mani nella pasta della comunicazione pubblicitaria.

Un compendio in cui si esplora la materia dal punto di vista tecnico (la scelta della fotografia, del font del testo, il peso delle parole, il design tra mezzo stampa e social, lo storytelling) e intellettuale (vale a dire immergersi nel sacro momento del brainstorming, dove qualsiasi pensiero a ruota libera è concesso).

Fino a raggiungere gli estremi confini della combinazione tra immagini e parole: il word hacking. La dimostrazione che, a tutti gli effetti, possiamo trasformare le parole in immagini con semplici accorgimenti che animano quelle che per chiunque fino a poco prima erano semplici lettere.

ragazza legge un libro

Lungo il percorso tracciato da Bertozzi, sempre spiegato in maniera estremamente semplice, troviamo un unico leitmotiv ricorrente: tutte le tecniche di comunicazione d’impresa che è possibile apprendere, che ci siano state tramandate dalla storia del copywriting o che vengano studiate nell’era digitale, hanno un unico scopo finale:

“Il messaggio creativo è quello che funziona”.

Grammatica, gestione degli spazi visivi, equilibrio delle parole. Così come il tono di voce, i valori e l’identità del brand che parla. Tutto va bilanciato per trovare il corretto messaggio da veicolare alla nostra platea. Spoiler: non ci sono trucchetti. Il percorso creativo richiede spesso pazienza e stimolazione. Il lampo di genio è piuttosto una rarità.

Come sottolinea anche Gianluca Di Santo nell’approfondimento all’interno di Immagini vs Parole, se c’è qualcosa di tanto divertente quanto veritiero nel mondo della comunicazione creativa, è che nessuno potrà mai dire di un lavoro pubblicitario – che sia una campagna, un testo o un logo – che è l’unico veramente “perfetto”.

La verità è che il giudice finale è sempre il nostro pubblico: sarà lui a decretare se un messaggio, un’immagine o una parole, funziona o meno.

Dietro il rapido percorso delineato da Davide Bertozzi attraverso la  scrittura e progettazione di un messaggio pubblicitario, si cela un happy ending rassicurante. Non saremo mai costretti a dover scegliere tra immagini o parole. Solo testo o solo visual.

“La prossima volta che qualcuno ci dirà che le immagini valgono di più delle parole, sapremo cosa rispondere”.

Da Cristiano Ronaldo a Barak Obama: i 50 Top influencer al mondo

Chi sono i 50 principali influencer al mondo? A quantificare la capacità di ispirare e di indirizzare i contesti economici e di pensiero, interviene il Generational Power Index (GPI) 2021, il report elaborato da Visual Capitalist, con un’analisi  trasversale alle diverse generazioni e fasce d’età

Economia, politica e cultura sono i 3 indicatori utilizzati per monitorare il potere generazionale di Baby Boomer, GenX, Millennial e GenZ.

L’indice, infatti, classifica le generazioni statunitensi in base alla loro influenza economica, politica e culturale, sommando i numeri totali di follower attraverso le diverse piattaforme di social network, in primis Twitter e Instagram, e a seguire Facebook, YouTube, TikTok.

“Nel moderno mondo digitale, la portata dell’impatto dei social media è potere – commenta a margine dell’analisi Visual Capitalist, impegnata nella narrazione visiva dei dati per rendere immediatamente accessibili le informazioni – Le persone con il maggior numero di follower su Twitter dispongono di una piattaforma enorme per diffondere i loro messaggi, mentre quelle con grandi numeri di coinvolgimento su Instagram sono il partner sponsor dei sogni di un inserzionista”.

La Top 50: atleti, musicisti, politici

A dominare la classifica della Top 50, che include atleti, musicisti, politici e altre personalità, è la superstar del calcio Cristiano Ronaldo, il più seguito sui social media con oltre 517 milioni di follower totali, sia Instagram che Facebook.

Anche la politica entra di diritto nel ranking con personaggi influenti, tra cui l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama con 221 milioni totali, di cui gran parte derivanti da Twitter. Più di 175 milioni di follower sulle diverse piattaforme social anche il primo ministro indiano Narendra Modi. Sarebbe rientrato in classifica, anche l’ex presidente Donald Trump (con oltre 140 milioni di follower) prima di essere sospeso da Facebook, Twitter ed Instagram lo scorso 8 gennaio 2021 in occasione dell’assalto al Congresso Americano.

Altro fattore trainante la musica, oltre a numerosi attori dello star system (tra cui  Dwayne Johnson e Will Smith) che occupano circa il 50% delle posizioni del ranking.

Secondo in Usa Justin Bieber, con 455milioni di follower totali, mentre lo scalino più basso del podio è occupato da Ariana Grande con 429 milioni.

Oltre ai tanti campioni dello sport, come Lionel Messi, Neymer e LeBron James, notevole è anche la forza trainante di Instagram, che è la piattaforma principale per il 67% dei 50 principali influencer dei social media, con l’inclusione di celebrità difficili da classificare come Kim Kardashian e Kylie Jenners, che hanno trasformato la fama dei reality TV e dei social in imperi economici, tra business e media.

Non solo celebrità, ma anche giovani personalità che hanno rafforzato le proprie community virtuali su Twitter, TikTok e YouTube: la star più seguita di TikTok è Charli D’Amelio, mentre tra gli YouTuber si confermano Germán Garmendia, Felix “PewDiePie” Kjellberg e Whindersson Nunes Batista.

In realtà i social media possono configurarsi anche come “un equalizzatore di potere”, secondo gli analisti, consentendo non solo alle celebrità, ma anche a singoli sconosciuti di trasformare la fama di YouTube o TikTok in un vero potere e influenza.

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Il numero di follower coincide la capacità di influenzare ed ispirare?

“Le generazioni più anziane hanno dovuto adattarsi alle piattaforme social media, generazioni più giovani sono cresciute insieme a loro, contribuendo a dare a Gen X, Millennials e Gen Z un raro vantaggio sulle generazioni più anziane”, sottolinea Visual Capitalist.

I millennial, infatti, occupano il 50 % della graduatoria, con un’età media Top 50 che oscilla intorno ai 37 anni. Fondamentale è anche la capacità di engagement ed interazione con la propria audience, oltre ai numeri. Alcuni influencer, con numeri ristretti hanno coinvolgimenti più elevati, tali da determinare partnership pubblicitarie significative. Altro aspetto che incide sulla percezione, è il numero di profili falsi o di bot che aumentano il numero di follower di celebrità e politici, rendendoli però poco attrattivi per gli inserzionisti e per il pubblico che si rivolge ai social media per notizie, consigli e intrattenimento.

I Baby Boomer sono la generazione che ha maggiore potere di influenza

Dal report emerge che i Baby Boomer (nati nel 1946-1964) sono la generazione più ricca e influente d’America. Si avvicenda, però, il passaggio di testimone, per cui chi subentrerà?

Il Generational Power Index (GPI) 2021 parte dalla suddivisione di ogni generazione in fasce di età e anni di nascita, sulla base di criteri utilizzati dal Pew Research Center e dalla Federal Reserve: la Silent Generation (over 76 dal 1928-1945); i Baby Boomer (57-75 anni, dal 1946-1964); Gen X (tra i 41-56 anni, tra il 1965-1980); Millennial (tra i 25-40 anni, dal1981-1996); Gen Z (9-24 anni, dal 1997-2012); Gen Alpha (8 anni circa o meno, dal 2013 ad oggi).

Analizzando le 3 categorie principali (potere economico, politico e culturale), i baby boomer, che detengono il 53% della ricchezza Usa, dominano con il 38,6% (sebbene rappresentino solo il 21,8% della popolazione totale degli Stati Uniti). La Gen X al secondo posto, catturando il 30,4% della potenza, mentre la Gen Z è ultima, con un mero 3,7%.

1. Potere generazionale: economia

Con il 43,4%, il GPI mostra che i Boomer detengono un’influenza economica maggiore, rappresentando la maggioranza degli imprenditori Usa e detenendo il 42% della ricchezza miliardaria in America, cresciuti nel post-seconda guerra mondiale, in un’economia relativamente stabile. Al contrario i Millennials hanno vissuto la grande recessione, con forte impatto sulla capacità di accumulare ricchezza.

2. Potere generazionale: politico

I boomer catturano anche il 47,4% dell’influenza politica. Questa generazione rappresenta il 32% di tutti gli elettori statunitensi e detiene la maggior parte delle cariche federali e statali. Ad esempio, il 68% dei senatori statunitensi sono Baby Boomer. Nei prossimi anni si stima che il potere di voto combinato di Millennial e Gen Z vedrà una crescita immensa, passando dal 32% degli elettori nel 2020 al 55% entro il 2036.

3. Cultural Power

In questa categoria, è la Gen X a guidare il gruppo, dominante sulla stampa e nei media: oltre la metà delle più grandi società di notizie americane ha una Gen Xer come CEO e la maggioranza delle personalità più influenti sono anche membri della Gen X.

Sulle piattaforme digitali, però, i Millennial dominano sia come numero di utenti che come creator di contenuti e anche la Gen Z ha un’influenza crescente.

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Amazon: stretching, meditazione e video tutorial

Si chiama “WorkingWell” ed è il nuovo piano di Amazon.com Inc. per ridurre gli infortuni sul lavoro e promuovere il benessere dei dipendenti all’interno del magazzino. L’idea si concentra su video per la sicurezza, esercizi di stretching sul luogo di lavoro e zone di meditazione dedicate al personale.

Un programma che arriva dopo le critiche fortissime sulle condizioni dei lavoratori nei vari depositi e i recenti scioperi mondiali indetti dai sindacati che hanno coinvolto l’intera filiera (dai magazzinieri ai corrieri), compresa  l’Italia (dove hanno scioperato in 40mila in presidio) per ribadire il diritto alla contrattazione salariale, con stipendi e carichi lavorativi adeguati.

La fase di test in 350 siti in Nord America ed Europa

La società, attraverso WorkingWell, mira a formare i suoi dipendenti su come evitare infortuni sul lavoro e migliorare la salute mentale in ambiente lavorativo, testando il programma in 350 siti in Nord America ed Europa, con la previsione di estenderlo a 1.000 strutture entro la fine dell’anno, secondo quanto affermato da Heather MacDougall, vicepresidente per la salute e la sicurezza sul lavoro a livello mondiale presso Amazon, come riporta il Wall Street Journal.

Amazon si propone, così, di dimezzare gli incidenti entro il 2025. Nel 2019, infatti, l’azienda ha registrato 5,6 infortuni ogni 100 lavoratori, contro la media nazionale di 4,8 per il settore dello stoccaggio, in base a quanto emerge dai dati federali, anche se Amazon replica di monitorare gli infortuni sul lavoro più da vicino rispetto ad altre società, il che potrebbe far aumentare il numero di segnalazioni.

Lo stesso Jeff Bezos, dopo la forte spinta dei sindacati nei magazzini dell’Alabama, aveva evidenziato la necessità di garantire condizioni di lavoro migliori.

Amazon impiega circa 950.000 dipendenti negli Stati Uniti: sulla spinta della frequenza di infortuni nel settore dello stoccaggio e della pandemia, che ha accresciuto la consapevolezza delle esigenze sanitarie, in un’intervista l’azienda si è dichiarata “particolarmente preoccupata per i disturbi muscoloscheletrici“, che rappresentano il 40% degli infortuni sul lavoro nelle strutture del rivenditore.

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Come funziona WorkingWell

Nell’ambito del programma WorkingWell, i dipendenti si riuniscono a rotazione per guardare video sulla prevenzione degli infortuni, una sorta di guida visiva su come sollevare correttamente gli oggetti. A seconda dei loro ruoli, ricevono anche suggerimenti orari per esercizi di stretching e respirazione. Amazon, che utilizza strumenti per monitorare la produttività dei lavoratori, ha affermato che le pause degli esercizi suggerite possono durare da 30 secondi a un minuto ciascuna.

L’azienda sta anche installando chioschi dove i dipendenti possono guardare video che mostrano meditazioni guidate, immagini e suoni rilassanti. Le nuove zone benessere offrono spazi dedicati per meditare. Inoltre Amazon starebbe valutando un’app mobile che consentirebbe ai dipendenti di visualizzare strumenti educativi simili a casa, oltre a programmi di gestione interna del lavoro che prevedono la rotazione tra lavori che utilizzano diversi gruppi muscolari per ridurre gli infortuni da stress ripetitivo.

Promozione del benessere, ma nessuna riduzione di carichi lavorativi

Nessuna diminuzione, però dei carichi lavorativi, che hanno provocato proteste e scioperi. Ritmi lavorativi imposti su parametri di riferimento realizzabili, secondo MacDougall: “Quando stabiliamo le tariffe, queste si basano sulla considerazione di una serie di fattori che garantiranno ai nostri dipendenti di svolgere il lavoro in sicurezza”.

La riduzione di strumenti educativi nei luoghi di lavoro non sarebbe però sufficiente a ridurre gli infortuni, secondo Jack Dennerlein, professore presso la Northeastern University, sottolineando l’impatto maggiore di strumentazioni tecnologiche e ascensori meccanici negli ambienti lavorativi. “Si dovrebbe adattare il lavoro all’umano, non l’umano al lavoro“, evidenzia il professore.

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Gli scioperi e le recenti mobilitazioni per condizioni di lavoro più dignitose

Amazon ha dichiarato di aver investito più di 300 milioni di dollari in progetti di sicurezza nel 2021. In  molti Paesi i dipendenti hanno scioperato contro quelle che sono state definite condizioni di lavoro non sicure contro la diffusione del Covid, come è accaduto in Amazzonia.

Mobilitazioni, scioperi, ma anche votazioni per la creazione di un sindacato nel magazzino dell’Alabama. Nelle scorse settimane, in Italia, ha raggiunto un’adesione del 75%, con punte del 90% secondo i sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti lo sciopero Amazon in Italia.

Di recente, inoltre, dopo aver sempre negato, l’azienda ha dovuto ammettere che i dipendenti fossero costretti a fare pipì nelle bottiglie per non ritardare le consegne. Una “pratica” che aveva puntato i media su Amazon, e, secondo i dipendenti, ben nota ai dirigenti.

“Sappiamo che i nostri autisti possono avere e hanno problemi a trovare i bagni a causa del traffico o perché percorrono strade fuorimano – aveva sottolineato la società – questo è stato particolarmente frequente durante la pandemia di Covid, quando molti bagni pubblici erano chiusi”.

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Google, partnership con SpaceX per l’internet satellitare Starlink

SpaceX, società di Elon Musk, annuncia la partnership con Google, per portare servizi cloud e connessioni internet alle imprese anche nelle zone più remote del pianeta attraverso i satelliti Starlink.

Un’alleanza strategica, destinata a cambiare gli equilibri del mondo informatico e le posizioni di potere tra le big tech, in particolare per Google che aspira a guadagnare quote rispetto ad Amazon e Microsoft nel mercato in rapida crescita del cloud computing. Addirittura, alcuni analisti, si interrogano sulla possibilità che possa configurarsi come un’alternativa all’internet terrestre.

Starlink si affiderà, così, alla rete in fibra ottica privata di Google, per stabilire rapidamente connessioni ai servizi cloud, in base all’accordo che secondo i rumors vicini alle due società, potrebbe durare sette anni.

Google Cloud potrà disporre del servizio internet satellitare senza passare per le infrastrutture terrestri: a sua volta metterà a disposizione il suo servizio cloud e i suoi data center per aiutare SpaceX a portare i servizi internet in tutto il mondo attraverso i suoi satelliti Starlink.

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Come funzionerà in termini operativi la partnership?

SpaceX installerà delle stazioni a terra, nei data center di Google (inizialmente negli Stati Uniti, ma con l’obiettivo di espandersi a livello internazionale), che si connetteranno ai satelliti Starlink per trasmettere dati, servizi cloud e applicazioni ai clienti, sfruttando la capacità di Starlink di fornire Internet a banda larga ad alta velocità e bassissima latenza in tutto il mondo e nell’infrastruttura di Google Cloud. A sua volta, Google potrà fornire ai suoi clienti il servizio internet satellitare di SpaceX, che potrebbe essere attivo già nella seconda metà del 2021

Gli investitori contano sul nascente business cloud di Google per stimolare la crescita nel caso in cui la sua attività pubblicitaria rallenti. Sebbene il business cloud di Google abbia prodotto solo il 7% dei ricavi totali della società madre Alphabet nel primo trimestre, è cresciuto di quasi il 46% anno su anno, rispetto all’aumento del 32% per i servizi pubblicitari di Google.

“Siamo fieri di lavorare con Google per fornire questo accesso alle imprese, alle organizzazioni del settore pubblico e ad altri gruppi nel mondo. Offriremo alle organizzazioni del mondo intero una connessione sicura e rapida”, ha dichiarato Gwynne Shotwell, presidente di SpaceX.

Urs Holzle, vice presidente di Google Cloud, ha evidenziato che la collaborazione permetterà di garantire alle organizzazioni che utilizzeranno la rete “un accesso fluido, sicuro e rapido”.

 

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SpaceX e la recente valutazione di 74 miliardi di dollari

SpaceX è una delle start-up private più preziose al mondo, avendo raccolto fondi per una valutazione di 74 miliardi di dollari a febbraio, ha riferito la CNBC. Google ha investito 900 milioni di dollari in SpaceX nel 2015. SpaceX ha lanciato in orbita oltre 1.500 satelliti Starlink e la scorsa settimana la società ha affermato che più di 500.000 persone hanno ordinato o effettuato un deposito per il servizio internet.

Google nel fiorente business del cloud insegue con una quota di solo il 5% giganti come Microsoft e Amazon che controllano il mercato enterprise. Nello spazio non se la giocherà da solo, perché Amazon attraverso il progetto Kuiper prevede di lanciare 3.500 satelliti.

Un accordo unico nel suo genere

“Non credo che qualcosa di simile sia stato fatto prima“, sottolinea Bikash Koley, responsabile del networking globale di Google. “Il vero potenziale di questa tecnologia è diventato molto evidente. Il potere di combinare il cloud con la connettività sicura universale, è una combinazione molto potente “.

Il potenziale del cloud computing

Amazon ha reso popolare il business del cloud pubblico con il lancio nel 2006 di strumenti di elaborazione e archiviazione generici dalla sua divisione Amazon Web Services. Google ha introdotto il proprio servizio di elaborazione nel 2012 e negli ultimi due decenni, ha investito per assemblare una rete in fibra ottica privata per collegare i suoi data center. Sebbene gran parte della crescita del cloud di Google sia derivata dalla cura delle esigenze di elaborazione e archiviazione per clienti come Goldman Sachs e Snap, l’accordo SpaceX si baserà in gran parte sulle capacità di rete di Google.

I fornitori di servizi cloud si sono sempre più concentrati sul settore delle telecomunicazioni, in particolare con l’ascesa della connettività 5G.

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Dietrofront Elon Musk, no Bitcoin e la criptovaluta crolla

Un crollo radicale in borsa dopo l’annuncio, attraverso Twitter, in cui Elon Musk afferma che Tesla non accetterà più pagamenti in Bitcoin.

Uno shock per la criptovaluta, alla cui affermazione lo stesso Musk aveva contribuito con un forte endorsment negli scorsi mesi. Una retromarcia determinata dalle preoccupazioni relative all’ambiente per l’utilizzo di carboni fossili nella produzione di Bitcoin.

In base a quanto riportato da Cnbc, il valore del mercato delle criptovalute era pari a 2.430 miliardi di dollari al momento del tweet. Tre ore dopo era a 2.060 miliardi di dollari, ovvero 365 miliardi in meno.

“Siamo preoccupati per il rapido aumento dell’uso di combustibili fossili per l’estrazione e le transazioni di Bitcoin, in particolare di carbone, che ha le peggiori emissioni di qualsiasi combustibile”, scrive il CEO di Tesla Elon Musk, che chiarisce che non venderà però i Bitcoin in proprio possesso.

Il gruppo Tesla preferirà altre eventuali criptovalute che generano minore inquinamento.

“La criptovaluta è una buona idea a molti livelli e crediamo che abbia un futuro promettente, ma questo non può avere un costo per l’ambiente”, aggiunge Musk.

Il Chief Financial Officer di Tesla, Zach Kirkhorn, ha affermato che la società ha scelto di investire in Bitcoin quando era alla ricerca di un luogo in cui conservare denaro di cui non aveva immediatamente bisogno, come modo per preservare la liquidità e allo stesso tempo guadagnare un rendimento.

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L’endorsment degli scorsi mesi al Bitcoin

Ad inizio 2021 lo stesso Musk aveva annunciato la possibilità di accettare pagamenti in Bitcoin, scommettendo sulle criptovalute e acquistandone 1,5 miliardi nel primo trimestre. Il solo inserimento della parola “bitcoin” in un tweet di Musk, aveva provocato un’oscillazione al rialzo della valuta digitale.

Gli interrogativi sull’impronta ambientale del Bitcoin sono in gran parte legati al modo in cui viene creata la criptovaluta. Il processo di generazione prevede la risoluzione di calcoli estremamente complessi che richiedono reti di computer molto potenti collegati, ma indipendenti che elaborano transazioni in cambio di bitcoin appena coniati, e processori ad alte prestazioni (con sistemi di raffreddamento molto efficienti per evitare il surriscaldamento). Il ‘mining’ del Bitcoin, letteralmente l’estrazione della criptovaluta, nasce da competizione ad alta intensità energetica per risolvere un puzzle matematico casuale e vincere Bitcoin. Più computer sono in rete, più difficile sarà il puzzle, maggiore sarà l’energia necessaria per battere gli altri computer, con un consumo superiore di elettricità.

Quanto costa in termini energetici il mining del Bitcoin, ovvero al sua estrazione?

L’estrazione di bitcoin consuma circa 148 terawattora di energia all’anno, secondo le stime del Cambridge Centre for Alternative Finance. È più di quanto la Svezia usa in un anno. Tuttavia, il centro afferma anche che l’energia utilizzata da bitcoin è pari a circa 1 anno e mezzo di energia sprecata negli Stati Uniti solo dai dispositivi lasciati collegati alle prese.

E se la società sta esaminando altre criptovalute, che consumano meno energia, non è detto che in futuro non possa riprendere ad utilizzare la criptovaluta per le transazioni, ovviamente “non appena il mining passerà a un’energia più sostenibile”.

Migliaia i commenti e le condivisioni, sebbene alcuni sostenitori del bitcoin contestino l’elevato spreco di energia come evidenziato dai suoi critici e dal tweet di Musk.

La volatilità di Bitcoin ha limitato la sua adozione per i pagamenti, spingendo alcuni imprenditori a creare stablecoin: criptovalute ancorate ad asset come il dollaro USA. Il recente insediamento di una sonda nella stablecoin più popolare, tether, mostra però la necessità di trasparenza in un settore in crescita.

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Google, maxi multa da 100 milioni di euro dall’Antitrust

“Abuso di posizione dominante”: è la sanzione prevista dall’Antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per un importo di 102 milioni di euro, imposta alle società Alphabet Inc., Google LLC e Google Italy per violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Secondo l’Authority, il colosso big tech non avrebbe “consentito l’interoperabilità dell’app JuicePass di Enel X con Android Auto”.

JuicePass è una specifica funzionalità del sistema operativo Android Auto che permette di utilizzare le app quando l’utente è alla guida, nel rispetto dei requisiti di sicurezza e di riduzione della distrazione. L’applicazione consente, inoltre, un’ampia gamma di servizi funzionali alla ricarica dei veicoli elettrici, che vanno dalla ricerca di una colonnina di ricarica alla gestione della sessione ricarica passando per la prenotazione di una colonnina; quest’ultima funzione garantisce l’effettiva disponibilità dell’infrastruttura una volta che l’utente l’abbia raggiunta.

Attraverso il sistema operativo Android e l’app store Google Play, secondo l’Antitrust che Google detiene una posizione dominante che le consente di controllare l’accesso degli sviluppatori di app agli utenti finali. In questo caso, danneggiando altre aziende per favorire la sua Google Maps (che prevede funzioni molto vicine a quelle di JuicePass, in particolare per la ricerca di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici e la navigazione, ma che in futuro potrebbe integrare altre funzionalità, come ad esempio la prenotazione e il pagamento).

La reazione di Google Italy alla sanzione dell’Authority

Non si è fatta attendere la replica dell’azienda di Mountain View, che si dischiara “rispettosamente in disaccordo con la decisione dell’AGCM”.

“Esamineremo la documentazione e valuteremo i prossimi passi”,

afferma il portavoce di Google commentando la multa”. E aggiunge: “La priorità di Android Auto è garantire che le app possano essere usate in modo sicuro durante la guida. Per questo abbiamo linee guida stringenti sulle tipologie di app supportate, sulla base degli standard regolamentari del settore e di test sulla distrazione al volante. Le applicazioni compatibili con Android Auto sono migliaia, e il nostro obiettivo è consentire ad ancora più sviluppatori di rendere le proprie app disponibili nel tempo. Per esempio, abbiamo introdotto modelli di riferimento per le app di navigazione, di ricarica per le auto elettriche e per il parcheggio, che sono aperti e a disposizione degli sviluppatori”.

Compromessa, secondo l’Antitrust, la possibilità di scelta per gli utenti

La discriminazione nei confronti dell’app di Enel X, che dura da circa 2 anni, per il Garante “potrebbe compromettere definitivamente la possibilità per Enel X Italia di costruire una solida base utenti”.

“Tre smartphone su 4 usano Android  In Italia”,

si legge nella nota stampa dell’Antitrust. “Google è un operatore di assoluto rilievo, a livello globale, nel contesto della cosiddetta economia digitale, dal momento che possiede una forza finanziaria rilevantissima”.

Effetto di tale condotta discriminatoria non solo la sanzione, ma anche l’imposizione per Google di rendere disponibile su Android Auto l’app di Enel X così come di altri sviluppatori di app, strumenti per la programmazione di app interoperabili con Android Auto. L’Antitrust vigilerà, inoltre, sull’effettiva e corretta attuazione degli obblighi imposti. Sull’attuazione vigilerà un esperto indipendente, cui Google dovrà garantire massima collaborazione e condivisione di informazioni.

L’effetto negativo sullo sviluppo della mobilità elettrica

In gioco secondo l’Authotity lo sviluppo della mobilità elettrica in una fase cruciale del suo avvio, in particolare per quanto riguarda il potenziamento di una rete di infrastrutture per la ricarica delle auto adeguata alla fase di crescita e di evoluzione della domanda di servizi di ricarica. Da qui le possibili ricadute negative sulla diffusione dei veicoli elettrici, sull’utilizzo dell’energia “pulita” e sulla transizione verso una mobilità più sostenibile in ottica ambientale”.

Una duplice ricaduta negativa, quindi: la limitazione di scelta degli utenti e il freno all’utilizzo di energie alternative, ostacolo quindi al progresso tecnologico.

Sulla vicenda interviene anche il Codacons, sottolineando come “lo strapotere di Google danneggi non solo competitor e operatori, ma soprattutto i consumatori finali, alterando il mercato, controllando e limitando l’accesso di altri operatori e riducendo la concorrenza”.

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