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Creator Economy: statistiche per i marketer

La Creator Economy è definita anche economia della monetizzazione individuale: è una naturale evoluzione degli UGC (User Generated Content), che diventano monetizzabili attraverso le iniziative delle piattaforme. Il fenomeno Include anche le aziende che si affidano ai creator per dare maggiore visibilità ai propri contenuti.

Perché ci interessa la Creator Economy

Gli utenti dei social media si fidano più facilmente dei loro creator preferiti che dei brand. Di conseguenza, l’impatto di un annuncio realizzato in collaborazione con un creator o di un influencer può essere molto maggiore rispetto ai canali tradizionali.

La creator economy è tuttavia ancora in crescita, per cui vale la pena di monitorare il fenomeno anche sulla base di una serie di utili statistiche.

Cosa dobbiamo sapere sulla Creator Economy

creator economy statistiche

Statistiche generali

  • Il 30% dei 18-24enni e il 40% dei 25-35enni si definisce creatori di contenuti. (Blog HubSpot)
  • I creator hanno maggiori probabilità di essere giovani (63% Gen Z) e donne (48%). (Global Web Index)
  • Il 46,7% dei creator lo sono a tempo pieno. (ConvertKit)
  • I principali tipi di creator sono educatori, blogger, coach, scrittori e artisti. (ConvertKit)
  • Il 37% dei creatori di nicchia si è impegnato almeno una volta in una collaborazione con un marchio. (Linktree)
  • I creator a tempo pieno utilizzano in media 3/4 canali per coinvolgere il pubblico. (ConvertKit)
  • Il tempo medio dedicato alla creazione di contenuti ogni settimana è di 1-5 ore. (Linktree)
  • I creatori di contenuti affermano che la loro sfida principale è quella di farsi trovare dai propri follower (The Tilt)
  • Il 61% dei creatori di contenuti afferma di pubblicare contenuti per divertimento, il 34% per passione e il 31% per esplorare un nuovo potenziale hobby. (Global Web Index)
  • La piattaforma di lancio più comune per i creatori nel 2021 è stata Instagram. (ConvertKit)
  • Il 58% dei creatori produce 2-4 tipi di contenuti. (Linktree)
  • Il più delle volte i creatori a tempo pieno creano post sui social media, e-mail/newsletter e articoli/blog. (ConvertKit)
  • Il 52% dei marketer si affida ai creator per rafforzare la propria community e il 41% dichiara di voler lavorare con i creatori di contenuti per promuovere i valori del proprio marchio. (Sprout Social)
  • I tipi di contenuti più comuni che i marketer assumono dai creatori sono i contenuti educativi, gli unboxing o le recensioni. (Sprout Social)
  • Le tipologie di creatori che guadagnano di più sono i creatori educativi, i coach, i podcaster, gli influencer e i marketer. (ConvertKit)
  • La maggior parte dei creatori di contenuti condivide tra 1 e 10 post sponsorizzati all’anno. (Influencer Marketing Hub)

Statistiche sui ricavi

  • Sono oltre 300 le startup impegnate nel settore. (Influencers Club)
  • Le dimensioni del mercato della creator economy sono attualmente stimate in 104,2 miliardi di dollari. (Influencers Club)
  • La valutazione totale delle startup della creator economy era di 5 miliardi di dollari nel 2021. (Influencers Club)
  • La maggior parte dei creatori di contenuti dichiara che la fonte di guadagno maggiore è rappresentata dagli accordi con i brand. (Influencer Marketing Hub)
  • I creatori di contenuti impiegano in media sei mesi e mezzo per guadagnare il loro primo dollaro. (The Tilt)
  • I creatori di contenuti preferiscono monetizzare i loro contenuti su Instagram e TikTok. (Influencer Marketing Hub)
  • I creator a tempo pieno sfruttano in media 2,7 flussi di reddito. (ConvertKit)
  • Il 59% dei creatori principianti non ha ancora monetizzato i propri contenuti. (Linktree)

Ninja Upshot

Lavorando con creatori di contenuti che godono della fiducia dei loro fan, le aziende possono sfruttare l’opportunità di raggiungere un pubblico fidelizzato.

I micro-influencer sono particolarmente interessanti per le piccole imprese perché riducono al minimo il costo pubblicitario per azione di una campagna, pur ampliando la portata del marchio.

Se un tempo il numero di follower era il parametro principale utilizzato dalle aziende per selezionare gli influencer, oggi i marchi utilizzano criteri di valutazione più sofisticati per capire il pubblico di un influencer e come coinvolgerlo.

Inoltre, il fatto che i creatori stiano creando nuovi modelli di monetizzazione, anziché dipendere dalle piattaforme, contribuirà a rendere la creator economy più sostenibile.

Elon Musk

Twitter è libero: la spallata di Musk al mondo polarizzato

The bird is freed“: se solo qualche anno fa ci avessero chiesto se il sistema delle Big Tech fosse scardinabile, o almeno scalabile, avremmo risposto che sarebbe stato più facile sbarcare su Marte. Eppure Elon Musk, abituato a stupire e sorprendere, ha vinto la sua ennesima battaglia, comprando Twitter dopo una breve querelle legale.

L’uomo più ricco del mondo è entrato con un lavandino in mano nella sede dell’azienda di San Francisco (twittando un gioco di parole con “let that sink in!”, tradotto: “lascia che affondi”, ma sink sta anche per “lavandino”) e si è fatto poi ritrarre nella caffetteria in mezzo ai nuovi “colleghi”.

Musk ha comprato Twitter

La sua prima decisione è stata subito una bomba: il licenziamento del CEO Parag Agrawal, del CFO Ned Segal, del consigliere generale Sean Edgett e di Vijaya Gadde, la Chief Legal Officer, una delle principali responsabili della controversa decisione di allontanare Donald Trump dalla piattaforma.

Stratosferiche le buonuscite per i dirigenti: dai 38,7 milioni per Agrawal fino ai 12,5 per la Gadde.

LEGGI ANCHE: Il brand activism al capolinea: nel futuro più dialogo e meno polarizzazione

Una breccia nella polarizzazione

La crociata di Musk per il free speech fa breccia nel mondo dei social media, piattaforme nate per garantire a tutti il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni e poi diventate, col passare degli anni, dei veri e propri editori.

Il passaggio cruciale si è avuto quando i board di queste società hanno deciso, a più riprese, chi avesse facoltà di parola e chi no, sulla base di una discrezionalità assolutamente legittima ma tipica, appunto, di un media tradizionale o di una casa editrice.

L’idea dell’esistenza stessa di social media aperti, inclusivi e rispettosi della libertà di parola di tutti sembrava caduta nel dimenticatoio prima della crociata di Musk che ha pubblicato un interessante e significativo messaggio destinato agli inserzionisti: “La ragione per cui ho acquisito Twitter”, si legge “è perché è importante per il futuro della civiltà avere una piazza digitale comune dove un grande ventaglio di opinioni differenti possono essere dibattute in sicurezza e senza violenza“.

Musk prosegue indicando nella polarizzazione estrema-destra VS estrema-sinistra la vera causa dell’emergere di enormi “echo chambers” autoreferenziali, all’origine del degrado del dibattito pubblico e mediatico. L’accusa ai media tradizionali è netta: avere incentivato questa polarizzazione, sperando in maggiori introiti. “Non l’ho fatto perché è facile“, continua Musk riecheggiando la celebre frase di Kennedy sul progetto del primo allunaggio, “ma per aiutare l’umanità che amo“.

Musk rompe l’asse della polarizzazione dei social e promette agli inserzionisti un luogo sicuro ma libero, dove proporre i propri annunci a un pubblico realmente interessato, pacificato e dialogante.

Al di là delle buone intenzioni, la probabilità di fallimento è concreta: la gran parte dei media mainstream restano polarizzati e le Big Tech confermano la loro vera natura di editori.

Proprio in questi giorni sta girando su Meta l’annuncio delle sospensioni delle comunicazioni politiche in vista delle elezioni di Mid Term: a costo di perdere inserzionisti si preferisce la censura.

La seconda incognita sono proprio i brand: abituati alla polarizzazione, e poco flessibili ai cambiamenti, quando comprenderanno la rivoluzione in atto? Al posto del brand activism al capolinea, della censura e della tribalizzazione dei cittadini-consumatori, può tornare di moda il dialogo e il confronto.

Musk ha tracciato la strada e il mondo che ci attende, ben diverso da quello del 2019, è pronto per una svolta culturale di questo tipo.

professionisti certificati CEPAS

Ecco chi sono i primi tre Digital Marketing e Social Media Manager certificati in Italia

Venerdì 21 ottobre si è tenuta la prima sessione d’esame che ha certificato i primi tre professionisti italiani operanti in ambito Digital Marketing, Social Media Marketing ed eCommerce Management. Si tratta di un momento “storico” per i tutti i professionisti del digitale, un passo importante verso il riconoscimento di professioni fondamentali in un mondo e in una economia sempre più basati sulle tecnologie e su skill digitali avanzate.

Il basso livello generale di digitalizzazione in Italia rispetto agli altri paesi europei richiede un adeguamento rapido per colmare il gap professionale tra le figure richieste dalle aziende e l’offerta di professionisti qualificati e specializzati. In questo senso, un riconoscimento oggettivo delle competenze professionali acquisite attraverso percorsi formativi mirati ed esperienza reale conseguita sul campo, garantisce un miglior posizionamento nel contesto lavorativo. Posizionamento per il professionista e garanzia di competenze per le aziende in cerca di manager qualificati.

Hanno ben inteso le grandi potenzialità della certificazione i primi 3 professionisti del digitale certificati da Cepas attraverso il primo organismo di valutazione abilitato e qualificato Ninja Academy: Francesca Daniele, certificata come Digital Marketing Manager, Sacha Tellini, copywriter content creator e giornalista e oggi Social Media Manager certificato, e Federica Piccoli, digital strategist freelance e Digital Marketing Specialist.

Le voci dei protagonisti

Essere tra le primissime persone ad aver preso parte a questo esame in Italia e la prima Digital Marketing Specialist certificata, avverto anche una certa responsabilità”, ha chiosato Federica al termine dell’esame di certificazione.

Le fa eco Francesca:Un’esperienza personale e professionale di grande valore e di grande soddisfazione. Un tassello in più che si aggiunge a un percorso iniziato diverso tempo fa”.

Lo schema di certificazione approvato è stato realizzato da Cepas con la collaborazione di Ninja Academy e prevede la certificazione di 6 profili professionali, suddivisi in Manager o Specialist in base all’esperienza e al bagaglio formativo del candidato in Digital Marketing, Social Media Marketing ed eCommerce Management.

Certificare le proprie competenze digitali significa uscire dalla propria autoreferenzialità e ricevere un’attestazione di Terza Parte, a garanzia di affidabilità, trasparenza e aggiornamento continuo. I professionisti che hanno superato l’esame scritto e orale vengono automaticamente iscritti al Registro Pubblico CEPAS come professionisti certificati.

Anche Sacha ha ritenuto importante sottolineare questo aspetto: “Ringrazio Ninja e Cepas per questa bella opportunità di formazione e certificazione che reputo particolarmente importante: quello del digitale e, in particolar modo, quello del social media marketing è un mondo in cui le persone entrano senza avere un percorso consolidato e dimostrato alle spalle. Motivo per cui, certificare le proprie competenze ha davvero un valore distintivo”.

Cepas, Società del Gruppo Bureau Veritas Italia dedicata alla Certificazione di Competenze ha realizzato uno Schema di Certificazione per la valorizzazione delle professioni in ambito Digital Marketing. Le sessioni di esame hanno previsto il coinvolgimento di Ninja Academy, digital business school che ha contribuito attivamente alla progettazione dello schema presentato a maggio e che è ufficialmente il primo Organismo di Valutazione ufficiale accreditato per l’assessment dei candidati.

La certificazione Cepas è un riconoscimento oggettivo delle competenze professionali, che garantisce una marcia in più per fare carriera nelle professioni digitali in ambito nazionale e internazionale.

Siamo molto orgogliosi di avere fortemente contribuito come Ninja Academy alla realizzazione del primo schema di certificazione delle competenze dei Digital Marketing Manager, Social Media Manager ed eCommerce Manager, tre professioni oggi fondamentali e che necessitano di essere sempre più riconosciute, apprezzate e valorizzate nel mercato. Questo schema e la relativa certificazione saranno una base solida per permettere alle aziende di scegliere professionisti qualificati“, ha detto Mirko Pallera, CEO & Founder di Ninja Academy e primo commissario d’esame qualificato in Italia insieme ad Adele Savarese.

Maggiori informazioni su come intraprendere il percorso di certificazione sono disponibili qui.

whatsapp non funziona

WhatsApp non funziona e su Twitter si scatena l’ironia

WhatsApp non funziona: la popolare app di messaggistica registra segnalazioni di problemi di utilizzo in tutto il territorio nazionale.

Sembra che fuori dall’Italia la situazione sia invece regolare, mente all’inizio di ottobre si erano registrati alcuni problemi negli USA.

WhatsApp non funziona: i disservizi

Non è al momento possibile scambiare messaggi con i propri contatti dall’app di messaggistica di casa Zuckerberg: sebbene sia possibile aprire l’applicazione e leggere le chat delle conversazioni, il sistema rimane perennemente “in connessione” impedendo quindi di visualizzare gli status e bloccando l’invio di testi e immagini.

Inutile provare a riavviare i dispositivi o a disinstallare e reinstallare l’app (sì, qualcuno proprio non è riuscito a resistere): gli account registrano disservizi diversi, dalla scomparsa delle spunte blu di ricezione all’impossibilità di avviare nuove conversazioni.

LEGGI ANCHE: Netflix torna a crescere: 2,4 milioni di abbonati in più nel terzo trimestre

WhatsApp non funziona neanche da desktop

whatsapp non funziona neanche da desktop

Le problematiche non riguardano però soltanto l’app di Meta: neppure nella funzionalità desktop è possibile collegarsi alle chat e, in più, non è nemmeno possibile accedere ai propri messaggi e visualizzare file e conversazioni.

Va in tendenza #whatsappdown

Tutti su Twitter a commentare la débâcle dell’app di messaggistica di Facebook: l’hashtag #whatsappdown sale subito in tendenza registrando, al momento in cui scriviamo, circa 115 mila tweet sull’argomento.

Naturalmente, l’occasione è giusta per dare sfogo a creatività e ironia.

Qualcuno ricorda che esistono le email per continuare a comunicare, altri ringraziano Twitter, che si conferma il social media “ancora” dei momenti difficili di WhatsApp, altri ancora spingono sul suggerimento a passare a Telegram, che sembra immune a questo genere di disservizi.

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Decathlon, i numeri di Netflix, il Meta Quest PRO e le altre notizie della settimana

Il consumo è uno dei temi principali e più discussi di questo periodo: persone comuni e aziende si affannano alla ricerca di soluzioni più sostenibili (qualche tempo fa abbiamo parlato in questo articolo di IKEA e del suo impianto fotovoltaico fai da te).

Di conseguenza, i brand tengono sempre più a mente quanto la sostenibilità sia importante per la Gen Z: un sondaggio di Google che abbiamo riportato qui ci aveva mostrato che ben il 31% delle persone pensa che, nello shopping, il fattore sostenibilità sia da preferire al design e allo stile.

Su questa scia Decathlon ha lanciato una spassosa (ma significativa) iniziativa, arrivando addirittura a cambiare nome per promuovere il riutilizzo dei beni usati. Un vero successo: degli oltre 40.000 articoli sportivi di seconda mano che la catena propone nei suoi negozi dall’inizio di quest’anno, circa l’80% sono stati venduti.

Tra le buone notizie c’è che cresce anche il consumo culturale, che si fa sempre più digitale, come evidenzia SWG in questa ricerca presentata al Forum di Impresa Cultura Italia – Confcommercio.

Puoi ascoltare le notizie del weekly recap e le altre notizie per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

Weekly Recap: Decathlon cambia nome in Nolhtaced

Ha colto tutti di sorpresa cambiando temporaneamente la sua insegna. È successo in Belgio, dove il nome “Nohltaced” (“Decathlon” al contrario) è apparso sul sito web, sui social media e sopra gli ingressi di tre store.

decathlon

L’obiettivo è nobilissimo: promuovere il concetto di “reverse shopping”, consentendo ai clienti di rivendere a Decathlon articoli sportivi vecchi o non utilizzati. Ne abbiamo parlato in questa analisi.

La Gen Z ama i video ASMR

La pandemia ha fatto emergere la tendenza slow living. In questo contesto, le tecnologie entrano in scena diventando alleati preziosi per il benessere psichico.

notizie ninja - weekly recap ninja

Dai dati dello YouTube Culture & Trends Report 2022 emerge l’importanza di valutare l’inserimento dei video ASMR nella propria strategia di marketing, come hanno già fatto KFC, IKEA e Lush.

Netflix torna a crescere dopo il declino

L’azienda ha dichiarato di aver aggiunto più di 2,4 milioni di abbonati nel terzo trimestre, interrompendo una serie di calo di di clienti che quest’anno ha creato disagio tra gli investitori e interrogativi sulle prospettive di crescita. Trovi qui tutti i numeri.

Il consumo culturale diventa più digitale

Il web si consolida come principale porta di accesso al mondo dell’informazione. È il quadro fotografato da un’indagine SWG, presentata al Forum Impresa Cultura Italia -Confcommercio sui consumi culturali post Covid.

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In autunno la spesa media mensile per famiglia sarà di circa 46 euro: in calo rispetto ai 58 euro di settembre. Leggi tutti i numeri sul magazine e ascolta nel podcast Carlo Fontana, presidente di Impresa Cultura Italia, e Riccardo Grassi, responsabile della ricerca SWG.

Le altre notizie da leggere nel Weekly Recap Ninja

La pelle artificiale per toccare il Metaverso

Una vera rivoluzione targata Samsung. E-Skin: la ‘pelle’ progettata dalla Pohang University of Science and Technology della Corea del Sud. Scopri di più leggendo qui.

Meta lancia Quest PRO: prezzo e caratteristiche

Standing ovation per Meta Quest Pro, protagonista assoluto del Meta Connect 2022. Tutto quello che c’è da sapere è in questo articolo.

Guida alle piattaforme eCommerce

Identificare la piattaforma più adatta a noi può essere più semplice se utilizziamo come metro di misura i casi esemplari di uso di ciascuna di esse. Leggi qui la guida aggiornata al 2022.

Le pubblicità vintage di Mondadori

Mondadori lancia l’iniziativa editoriale “Poster, le grandi aziende italiane”, una collezione di dieci pubblicità, dal grande valore artistico, prodotte tra gli anni ’30 e ’90.

pubblicità

L’obiettivo è quello di riportare alla luce le illustrazioni e le campagne di una volta e celebrare la pubblicità nella sua forma più classica.

Puoi guardare tutti i poster in questo articolo.

Weekly Recap: la mostra di Galbani per i 140 anni

Compie 140 anni e celebra l’anniversario con una mostra dedicata alla sua storia.

galbani archivio storico

Per la prima volta, immagini e documenti dell’Archivio Storico Galbani celebrano la nascita e l’evoluzione di una delle più longeve realtà del panorama economico italiano. Qui trovi tutte le immagini.

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Galbani compie 140 anni e celebra l’evento con una mostra del suo archivio storico

Galbani compie 140 anni e festeggia il suo compleanno con una mostra speciale che racconta la sua storia. Immagini e documenti inediti direttamente dall’Archivio Storico Galbani per celebrare la nascita e lo sviluppo di una delle più longeve realtà del panorama economico italiano.

galbani

Un percorso di successo reso possibile grazie alle persone che dalla fine dell’Ottocento hanno messo al servizio del gruppo alimentare intelligenza, capacità ed energie.

certosino galbani

Proprio alle persone è dedicata la prima delle quattro sezioni in cui si sviluppa la mostra “Galbani, insieme da 140 anni” – che in totale espone 110 pezzi dell’archivio – mentre le altre tre ospitano foto e materiali dedicati agli stabilimenti, ai prodotti e alla comunicazione che hanno permesso all’azienda e al suo marchio di evolversi e rinnovarsi senza mai tradire le origini.

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La famosa flotta Galbani e la presenza capillare dei depositi sul territorio hanno rappresentato sin dagli anni ’20 uno dei punti di forza dell’azienda.

 

L’Archivio Storico Galbani, messo oggi in sicurezza all’interno della biblioteca “Vittorio Sereni” del Comune di Melzo vicino Milano, è uno specchio fedele della società e della cultura italiana da fine ‘800 a oggi.

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1932. Pubblicità del formaggio Bel Paese, con cameriere di spalle che serve ad una dama la forma del famoso formaggio. R. F. Quillio o Piquillo (oggi attribuito a Carlo Pandolfi, sotto uno dei suoi numerosi pseudonimi).

 

Una collezione importante di materiali di diverse tipologie: oltre 2.000 fotografie; più di 1.000 negativi e diapositive; più di 1.000 unità archivistiche tra documenti amministrativi, inserti pubblicitari, manifesti, etichette, materiale relativo ai prodotti.

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Oltre 200 unità di materiale a stampa; circa 200 filmati e spot pubblicitari e circa 100 tra oggetti, quadri, cartelloni pubblicitari.

LEGGI ANCHE: Mondadori pubblica 10 poster pubblicitari per celebrare le grandi aziende italiane

La mostra è allestita presso lo stabilimento di Corteolona (Pv), uno dei 5 da cui oggi escono i prodotti destinati alle tavole di 140 Paesi nei 5 continenti.

“Poter celebrare questo importante anniversario è motivo di grande orgoglio per tutta l’azienda e per le persone che ci lavorano ogni giorno con passione”, ha dichiarato Mauro Frantellizzi, Direttore Marketing Galbani Formaggi .

Melzo (anni ’30 del Novecento). Sulla destra il presidente Achille Invernizzi con il vicepresidente Bernardino Nogara nel giardino dello stabilimento di Melzo, sede degli Uffici direttivi della Galbani fino al 1960.

 

Corteolona, anni ’50 del Novecento. La suggestiva sala di stagionatura del grana detta “la cattedrale”. Serie Aragozzini.

 

“Abbiamo scelto di farlo – continua – attraverso una mostra che permette di valorizzare l’immenso patrimonio di immagini e documenti custoditi nel nostro Archivio storico, dopo un lungo lavoro di archiviazione e messa in sicurezza dei reperti storici, durato diversi anni”.

La mostra rappresenta la quarta e ultima tappa di un percorso celebrativo iniziato ad aprile con una mostra realizzata in collaborazione con il Comune di Melzo (MI) e dedicata proprio alla città che ha dato il via alla storia industriale di Galbani.

La seconda tappa si è svolta a giugno, in occasione della Design Week di Milano, con un progetto sviluppato con il food art con Diego Cusano, artista eclettico e apprezzato a livello internazionale per la sua capacità di abbinare oggetti di uso quotidiano e immagini della sua fantasia.

L’opera da lui creata, raffigurante l’iconico Formaggio Bel Paese Galbani, è stata esposta presso gli spazi del Bistrot del Mudec – Museo delle Culture di Milano.

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Una teca della Sezione “La Comunicazione”

 

Il terzo momento di celebrazioni si è svolto presso lo stabilimento di Casale Cremasco (CR) dove a settembre è stata organizzata una giornata speciale di intrattenimento per i dipendenti e le loro famiglie, con l’intento di omaggiare la passione con cui ogni giorno le persone di Galbani realizzano i prodotti che tutti gli italiani – e non solo – apprezzano sulle loro tavole.

LEGGI ANCHE: 5 pubblicità storiche per celebrare i 90 anni di LEGO

weekly recap notizie ninja

Nutella, podcast e Spotify: le notizie Ninja della settimana

Il mondo sembra diventare sempre più piccolo: guardiamo serie TV coreane e ascoltiamo musica di artisti di ogni parte del globo.

Allo stesso modo, per i nostri business diventa importantissimo raggiungere clienti in ogni parte del pianeta. Pensa che solo su Shopify, ben il 39% dei merchant italiani vende all’estero (abbiamo approfondito un po’ di numeri in questa intervista al Country Manager).

La digitalizzazione fortemente spinta dagli avvenimenti degli ultimi anni non si ferma qui: sono le stesse grandi piattaforme (come sta facendo TikTok con le PMI), che forniscono tutorial e strumenti per aiutare le imprese a raggiungere pubblico e clienti; il 51% delle persone che ha visualizzato contenuti di PMI su TikTok li ha condivisi con parenti o amici e il 36% ha fatto un acquisto.

E anche i nuovi canali, come i podcast, diventano veicolo privilegiato dei brand che vogliono avvicinarsi sempre più alle persone, costruendo delle relazioni.

Un mondo più “vicino e piccolo”, con tantissime nuove strade da percorrere.

Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

Shopify: i numeri dei merchant italiani

Nel 2021, più di 11 milioni di consumatori nel mondo hanno acquistato da un negozio italiano su Shopify, per un totale di oltre il 28% del traffico verso gli store Shopify tricolore proveniente, in media, da 5 mercati internazionali, con Stati Uniti in pole position, seguiti da Germania e Francia.

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Altri dati e opportunità per i merchant di espandersi in nuovi mercati e far crescere gli affari a livello internazionale, nella chiacchierata con Paolo Picazio, Country Manager Italia di Shopify.

Le notizie Ninja: il programma di TikTok per le PMI

Gli utenti italiani di TikTok sono molto interessati ai contenuti delle piccole e medie imprese e sulla piattaforma ne scoprono sempre di nuovi e trasversali.

notizie - tiktok-pmi

Il 51% di chi si è imbattuto in contenuti di PMI li ha condivisi con parenti o amici e il 36% ha fatto un acquisto.

“Seguimi” è il progetto educativo multicanale pensato per supportare le PMI a promuovere il proprio business su TikTok

Spotify prende Casa a Milano

L’11 ottobre abbiamo partecipato all’inaugurazione dei suoi uffici nel financial district cittadino in via Joe Colombo 4, che offrono una nuova Casa a più di 100 dipendenti di oltre 10 diverse nazionalità.

 

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Hanno preso parte anche all’evento anche la cantautrice e creator Francesca Michielin e Sans Soucis.

Gli italiani amano i podcast

Gli ascoltatori di podcast raggiungono nel 2022 quota 36% (circa 11,1 milioni di utenti tra i 16-60enni, cioè ben 1,8 milioni in più rispetto ad un anno fa), con una crescita significativa rispetto al 31% registrato nel 2021.

podcast dati

Puoi leggere qui i trend e il reportage della settima edizione del Festival del Podcasting che ha coinvolto complessivamente quasi 900 partecipanti tra podcaster alle prime armi, professionisti del mondo digital audio, editori e rappresentanti delle piattaforme.

Le altre notizie da leggere su Ninja

La Creator Week 2022 di Meta

Si terrà nella prima metà di novembre di quest’anno.

L’evento è stato pensato per aiutare i creatori a capire meglio come utilizzare gli strumenti di Facebook e Instagram per costruire una presenza online e monetizzare il proprio lavoro.

INFLUENCE DAY: sconto per i Ninja

Un evento per approfondire il mondo dell’influencer marketing attraverso gli occhi e le voci dei protagonisti del settore. Puoi partecipare con uno sconto dedicato alla nostra community.

La Limited Edition di Nutella

Nutella compie 59 anni e presenta 59 nuovi vasetti in edizione limitata.

Il brand, famoso in tutto il mondo per la sua inconfondibile crema al cacao e nocciole, da sempre ispira le persone a vivere il lato bello della vita. È proprio da questo insight che nasce la Limited Edition “Nutella Con Te”.

nutella

Una collezione speciale che racconta piccoli e grandi fatti accaduti nel mondo dal 1964 – anno di nascita del marchio – ad oggi. Cambiamenti storici che hanno arricchito le nostre vite, aneddoti per rievocare emozioni e forti ricordi.

Nuovo logo e identità per Coppertone

Coppertone è stato il primo marchio di prodotti solari lanciato nel mercato statunitense.

Qualche giorno fa, il gigante della crema solare ha introdotto un nuovo logo, insieme ad una brand identity e un packaging aggiornati, che portano la firma di Pearlfisher.

notizie ninja rebranding coppertone

Appuntamenti

Formazione, capitale umano, trasformazione digitale e innovazione: saranno le parole chiave indispensabili per le aziende nel 2023.

Ne parleremo mercoledì 19 ottobre alle ore 13:00 durante il primo appuntamento del nuovo ciclo di tavole rotonde dedicate al mondo Corporate, pensato per aiutare Head of People & Culture e Responsabili Formazione a rendere le aziende a prova di futuro.

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Gli Executive collocano il benessere dei dipendenti tra le loro massime priorità.

World’s Best Workplace: ecco le 25 migliori aziende per cui lavorare nel 2022

Benessere, flessibilità ed equità: sono questi i fattori chiave che contraddistinguono le 25 migliori aziende al mondo per le quali lavorare.

Great Place to Work, azienda leader nello studio e nell’analisi del clima aziendale, della trasformazione organizzativa e dell’employer branding, ha stilato la classifica World’s Best Workplaces 2022, in cui emergono le 25 multinazionali a livello globale per cui i dipendenti sono più felici di lavorare.

LEGGI ANCHE: Cos’è il Quiet Quitting, la nuova fase delle Grandi Dimissioni

Queste aziende sono state scelte da 4,5 milioni di collaboratori in rappresentanza di 14,8 milioni di persone impiegate in oltre 8.500 imprese attive in 146 paesi del mondo.

Per poter entrare in questo speciale ranking le aziende devono essere state inserite in almeno 5 classifiche Best Workplaces nazionali in Asia, Europa, America Latina, Africa, Nord America o Australia durante il 2021 oppure all’inizio del 2022.

Inoltre, l’altra condizione da rispettare per poter essere valutati in qualità di World’s Best Workplaces è legata alla necessità di avere almeno 5mila collaboratori in tutto il mondo e, di questi, almeno il 40% devono lavorare al di fuori del Paese in cui si trova l’headquarter aziendale.

La ricerca completa è consultabile a questo link.

World’s Best Workplace: le migliori aziende del 2022

Il ranking ha visto le migliori organizzazioni globali ottenere, in media, un dato superiore di 6 punti percentuali (86%) rispetto agli altri ambienti di lavoro riconosciuti come eccellenti dalle indagini di Great Place to Work (80%); un risultato ancora più importante se confrontato con quello fatto registrare dalla media della forza lavoro globale (55%, +31%).

best places to work 2022


Il podio del ranking vede al primo posto DHL,azienda specializzata nel settore dei trasporti e della logistica, davanti a Hilton (ospitalità) e Cisco.

Facendo invece un focus sull’Italia, il nostro Paese chiude la top ten mondiale delle nazioni più rappresentate in classifica ed è il 3° paese europeo, dopo Regno Unito (15) e Francia (11), per numero di filiali premiate (10).

I risultati della classifica dei World’s Best Workplaces 2022 sono sempre più incoraggianti e ci fanno ben sperare per il futuro poiché le imprese stanno investendo sempre di più sul benessere dei propri collaboratori.

In questo scenario, poter supportare le aziende nell’analisi della propria people experience è per noi fondamentale e ci garantisce uno sguardo privilegiato sul mondo del lavoro poiché siamo in prima linea nell’aiutare il management e la proprietà nel comprendere le esigenze delle proprie persone per iniziare il processo di trasformazione culturale che sta influenzando il panorama globale”, afferma Beniamino Bedusa, Presidente e Partner di Great Place to Work Italia.

beniamino bedusa best places to work 2022

Dai nostri studi e analisi emerge infatti che la differenza tra un’azienda eccellente, dove i collaboratori stanno bene e si sentono valorizzati, sta tanto nei cosiddetti aspetti “hard” (quali ad esempio profit sharing, opportunità di sviluppo, formazione e crescita, strumenti e risorse…) quanto in quelli “soft”, come l’apprezzamento per un lavoro ben svolto, la possibilità di essere se stessi in azienda, la ricerca di suggerimenti e idee, il coinvolgimento nelle decisioni e l’incoraggiamento a trovare un equilibrio fra lavoro e vita privata.

Da ultimo, vedere che l’Italia è il terzo Paese europeo più rappresentato per numero di filiali italiane premiate nella classifica World’s Best Workplaces 2022 ci riempie di orgoglio, a dimostrazione del fatto che le nostre imprese stanno investendo sempre di più sul benessere dei propri collaboratori e che sono assolutamente competitive rispetto alle migliori aziende a livello globale” sostiene Bedusa.

LEGGI ANCHE: Come far innamorare di nuovo le persone delle aziende

World’s Best Workplace: la fiducia come indicatore principale

Il principale indicatore preso in considerazione nell’analisi del ranking delle migliori aziende attive è il Trust Index, l’indice di “fiducia” che raggruppa tematiche quali credibilità, rispetto, equità, spirito di squadra e orgoglio.

Qui i World’s Best Workplaces 2022 hanno mostrato in media, nel confronto con le aziende premiate nelle varie classifiche nazionali dei Great Workplaces, risultati migliori in termini di credibilità e rispetto (+6%), equità, spirito di squadra e orgoglio (+5%).

Ma quali sono gli altri indicatori che caratterizzano i World’s Best Workplaces?

Un primo aspetto riguarda il benessere dei collaboratori garantito attraverso il riconoscimento di benefit unici e speciali, rispetto al quale c’è una differenza di ben 12 punti percentuali nel confronto con gli altri eccellenti luoghi di lavoro.

C’è poi la flessibilità, la quale, durante la pandemia, è diventata fondamentale per i collaboratori.

A questo proposito il numero medio di dipendenti delle aziende in classifica che hanno registrato un rapido cambiamento da parte dell’organizzazione di appartenenza è stato superiore di ben 7 punti rispetto ad altri ottimi luoghi di lavoro. Infine, ecco l’equità che si collega alla retribuzione del proprio lavoro (75%, +9%) e alle promozioni professionali (+7%).

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Reportage e nuovi trend dal Festival del Podcasting 2022

  • +1,8 milioni di persone ascoltano podcast in controtendenza con la news avoidance del mondo mediale
  • I content creator indipendenti dell’audio sono i nuovi microinfluencer del digitale
  • Il futuro del podcasting è tra rinascita dell’oralità, cryptovalute e digital marketing

Il Festival del Podcasting 2022

Il Festival del Podcasting 2022, in 6 giorni, con oltre 35 ore di streaming no stop e più di 300 partecipanti nella giornata dal vivo il Festival del Podcasting 2022 ha celebrato ancora una volta per la sua settima edizione lo strumento di content creation che negli ultimi anni ha dimostrato più vigore e capacità di sviluppo.

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Il più grande evento per chi ama i podcast in italia è nato con lo scopo di far incontrare centinaia di persone che hanno in comune l’amore per il podcasting per conoscersi, scambiare idee e creare collaborazioni, e la settima edizione del Festival del Podcasting, che si è svolta dal 3 all’8 Ottobre, online e in presenza a Roma e a Milano, ha coinvolto complessivamente quasi 900 partecipanti tra podcaster alle prime armi, professionisti del mondo digital audio, editori e rappresentanti delle piattaforme.

115 speaker hanno animato 16 tavole rotonde, 10 workshop, 22 interventi di approfondimento “FocusOn”, 4 talk ispirazionali, 3 podcast live, 2 presentazioni di libri e 13 interventi “Storie di podcaster”.

Avendo seguito le precedenti edizioni, vale la pena scoprire quali novità e quali tendenze sono diventate rilevanti in quest’ultimo anno.

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I numeri e i trend

Tra i numerosi interventi, il Festival è stata la cornice per presentare da parte di Nora Schmitz gli ultimi dati della Ipsos Digital Audio Survey – Il podcast nel 2022: la qualità come strada per crescere.

E abbiamo scoperto che gli ascoltatori di podcast hanno raggiunto nel 2022 circa 11,1 milioni di utenti tra i 16 e i 60 anni, con un aumento di ben 1,8 milioni rispetto all’anno precedente.

festival del podcasting

Una crescita molto significativa che testimonia la capacità del podcast di attrarre e interessare il pubblico, ottenendo una sua collocazione sempre più rilevante nelle abitudini di fruizione mediatica. Ascoltatori soddisfatti di questo strumento mediale tanto da dedicare circa 35 minuti al giorno ai podcast (il tempo che una volta si dedicava alla lettura del quotidiano).

Un pubblico che rimane prevalentemente giovane (quasi la metà è under 35) e socio-culturalmente elevato (il titolo di studio è ancora più elevato rispetto al 2021) e fatto in buona parte da professionisti e da “early adopter”.

Sono ascoltatori che decidono di fruire di un podcast a partire da un argomento di interesse (34%); il driver di scelta più forte è proprio l’argomento del podcast (57%), mentre è in calo il peso relativo degli host (28%), che rimangono ancora una leva da valorizzare sul mercato.

Ci sono ricerche, infatti, che dimostrano che le voci narranti portano con sé un capitale di fiducia che non solo può fare da traino alla scelta dei podcast, ma al contempo orienta di ascoltatori e può rappresentare una valida argomentazione commerciale per il riverbero positivo possono dare su tutti i contenuti (compresi quelli pubblicitari: 7 ascoltatori su 10 ricordano messaggi pubblicitari abbinati ai podcast).

Riflettendo sul più ampio contesto mediale in cui podcast giocano la loro partita, si tratta di un momento in cui la trasformazione del settore media e intrattenimento vive una forte accelerazione e finalmente anche l’Italia sta provando a colmare alcuni divari.

La pandemia ha sicuramente contribuito a questa accelerazione ma allo stesso tempo mentre si fa sempre più serrata, ed affollata, la competizione per una quota dell’attenzione; ma anche le aspettative, i comportamenti e le attitudini del pubblico stanno dando il segno di evolvere.

La parola d’ordine di quest’anno nel mondo mediatico è stata news avoidance (o selected news user avoidance), cioè la tendenza delle persone a limitare la propria esposizione alle notizie o a determinati tipi di notizie dalla tendenza negativa. In un contesto dove nell’audiovisivo si sta iniziando anche a ripensare il concetto di gratificazione istantanea e del binge watching, si osservano i comportamenti di fruizione dei più giovani che richiedono ai media approcci più innovativi della comunicazione tradizionale e l’attenzione per i podcast e il digital audio in genere rappresenta una bella controtendenza.

E infatti, secondo alcune indagini di Reuters, l’80% degli operatori editoriali ha collocato i podcast e l’audio digitale tra le attività a cui dedicare più risorse in questo ultimo periodo.

Dai dati emerge con grande forza ancora quanto sia alto il livello di engagement già sorto negli ultimi anni, con oltre la metà degli utenti che dichiara di ascoltare podcast per l’intera durata, così come cresce in maniera significativa l’ascolto per intero delle serie di podcast. Un tema cruciale è proprio quello della capacità di fidelizzazione dei podcast, specialmente per un format dalla logica pull.

I temi

Che il podcasting sia variegato ed eterogeneo non è una novità.

Da molti anni abbiamo assistito alla creazione di serie orizzontali o verticali su temi e ambiti davvero multiformi. Non solo per quanto riguarda le categorie (Storie, True Crime, News, Commedia, Sport, Cultura e Società, Formazione, Business, Tecnologia, Arte, Famiglia, etc.) ma soprattutto perché la possibilità di accesso da parte di tanti permette la creazione di contenuti tematici che afferiscono a tante categorie professionali e alle loro community di riferimento.

La forza del podcast è sempre stata quella di creare engagement con comunità di interesse e di pratica, di awareness professionale attraverso l’intimità dell’ascolto e della profondità a cui può arrivare la riflessione o la chiacchierata a più voci su un determinato tema.

La kermesse del Festival ha permesso di comprendere quanto alcune categorie professionali o determinati temi sociali siano molto rilevanti per far generare un “trigger” di interesse che diventa continuativo nel tempo: dalla sessualità, alla genitorialità, al food, ma anche la stand-up comedy, la psicologia, lo sport e il true crime continuano ad avere successo e a generare nuovi talenti del podcasting.

Estremamente significativa, poi, la trasformazione che tante realtà media tradizionali e di brand journalism stanno dando all’informazione attraverso lo sviluppo del filone del podcasting per l’aggiornamento e il newsmaking, ma soprattutto dell’approfondimento giornalistico da parte di una “firma” che diventa a tutti gli effetti una “voce”, creando ancora più intimità e fidelizzazione con il lettore/ascoltatore.

Piccola nota a margine per il mondo People&Culture aziendale: in questo Festival si sono iniziati anche a vedere progetti di HR Podcasting che hanno permesso il coinvolgimento diretto di lavoratori e collaboratori all’interno dell’organizzazione per raccontare le storie di apprendimento in azienda, per engagement su valori e contenuti di employer branding interno ed esterno, o per migliorare significativamente la comunicazione interna.

Con tutta la potenza dell’audio che si fonde con una community già esistente unita dal lavoro per un brand che può animare e coinvolgere anche tutti gli stakeholder che ruotano attorno al microcosmo aziendale.

Ma forse, dall’osservazione dei contenuti emersi nel Festival del Podcasting, la vera grande peculiarità di questo strumento, oltre alle sue caratteristiche di intimità, di profondità del contenuto, di ascolto in mobilità, di digital wellbeing e di autenticità, sta in due capisaldi importanti: la democraticità del mezzo, accessibile veramente a tutti (molto più che il videomaking) e l’incredibile capacità di generare community, sotto-community e network di appassionati che ruotano intorno ad un tema specifico e di nicchia.

Osservare dal vivo la comunità dei podcaster che si incontra, scambia idee e attiva sinergie fa immaginare quanto l’engagement basato sulle passioni comuni, sulle comunità di pratica e professionali che possono fare knowledge sharing e sull’amore per l’emozione che possono generare le voci sia davvero potente.

Il futuro del podcasting

Il 2022 è stato anche l’anno in cui in maniera sempre più chiara si sono affermate le major del mondo della distribuzione, ma anche e soprattutto sono nate e cresciute in maniera importante le realtà di produzione audio, soprattutto attraverso i modelli del branded podcast e della monetizzazione attraverso la sponsorizzazione di serie o host di successo.

Ma non per questo l’attenzione verso il podcasting indipendente ha perso la sua presa.

Per certi versi è come se negli ultimi anni avessimo assistito a ciò che accadeva intorno al 2008/2009 quando incominciarono a nascere i primi youtuber (tra i primi youtuber italiani ricordiamo Willwoosh, Clio MakeUp, Frank Matano e Yotobi), giovani ragazzi e ragazze che caricavano video con serialità, spinti soltanto dalla passione di fare video e dalla curiosità scaturita da questo nuovo mezzo di comunicazione.

Oggi la concorrenza inizia a farsi sentire e la difficoltà nella “discovery” di contenuti nuovi e originali è limitata anche dal fatto che le piattaforme di ascolto sono tante e diversificate, al contrario della piattaforma di Mountain View.

Stiamo osservando anche i primi tentativi di rendere i podcast dei “vodcast”, cercando di unire il contenuto audio a quello video, con una sorta di catch-up al contrario, quando invece in molti semplicemente riversavano i contenuti YouTube su Spotify e Apple Podcast.

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Le sperimentazioni del Podcast Index, una directory aperta di podcast a cui chiunque può inviare il proprio feed RSS e che qualsiasi app può ricercare, stanno andando avanti per permettere al podcasting indipendente di sopravvivere al potere delle major che fagocitano i più piccoli ed effettuano un controllo editoriale sugli episodi uploadati.

Nato dall’idea di Adam Curry, il “primo podcaster della storia”, propone ai podcaster di intraprendere il “Value for Value” model, che attraverso servizi “custodial”, permette di monetizzare autonomamente l’ascolto dei podcast prodotti attraverso le cryptovalute.

E allora il futuro del podcasting sta veramente nei content creator dell’audio, che possono continuare ad alimentare una sottocultura indipendente, al di là delle logiche del digital marketing più mainstream, oltre le logiche editoriali ma anche insieme ad esse. Nell’unione sinergica di questi universi e con una competizione sana si possono disegnare i tratti di una nuova capacità di comunicare nel mondo BANI (Brittle/Fragile, Ansioso, Non lineare, Incomprensibile).

Il podcasting, inoltre, può essere considerato uno strumento del futuro, in quanto riesce a generare un nuovo spazio di comunicazione, perché permette di non subire la dittatura dell’immagine. Anticamente la frattura che abbiamo osservato nella filosofia dei media era tra oralità e scrittura.

festival del podcasting

Oggi esiste un’altra “frattura” che si configura tra scrittura e immagine. E per abitare bene questa “crepa”, questo spazio di navigazione, bisogna utilizzare delle “barche” che sappiano reinventare in fondo il podcast: che oggi non è che una “nave di Teseo” che rimane sé stessa anche se mutano nel percorso i suoi componenti e si frammenta in tante realtà identitarie.

Una delle critiche che viene fatta spesso al mondo del podcast è che “di podcast ce ne sono troppi” e che vengono ascoltati da poche persone.

Ma per quanto possano essere poche, compongono un ambiente, anche circoscritto, in cui è possibile sperimentare e imparare delle cose nuove. Perché davvero facendo podcast e ascoltando podcast, si impara moltissimo e si impara molto di sé.

Si tratta di scoprire (o riscoprire) la propria voce, ma anche mettersi a disposizione degli altri, un po’ come avviene con le idee secondo il celebre aforisma di G.B. Shaw: “se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee”.

Attraverso il podcasting, fatto di oralità e di voce, si riesce ad andare oltre ciò che siamo: è quella parte del corpo che non è nel corpo – è l’invisibile del corpo – con la quale riusciamo a “toccare” qualcuno senza spostarsi, parlandogli e facendo vibrare qualcosa che condividiamo, passando dalle orecchie e arrivando direttamente alla mente e al cuore.

shopify le nuove funzionalità

Identikit degli italiani che vendono all’estero: i numeri di Shopify

Nel 2021, più di 11 milioni di consumatori nel mondo hanno acquistato da un negozio italiano su Shopify, per un totale di oltre il 28% del traffico verso gli store Shopify tricolore proveniente, in media, da 5 mercati internazionali, con Stati Uniti in pole position, seguiti da Germania e Francia.

In Italia, il 39% dei merchant Shopify vende all’estero, per un totale del 27% delle vendite generate fuori dal nostro Paese. A dirlo è una recente indagine interna condotta da Shopify che rivela, ancora una volta, quanto sia amato all’estero il Made in Italy.

Per comprendere meglio le opportunità per i merchant di espandersi in nuovi mercati e far crescere gli affari a livello internazionale, abbiamo fatto una chiacchierata con Paolo Picazio, Country Manager Italia di Shopify. Ecco cosa ci ha detto.

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paolo picazio - country manager shopify italia

L’export è uno dei temi più importanti per i merchant italiani. Shopify Markets prima e Translate and Adapt adesso, sono prodotti che Shopify ha rilasciato a livello globale, ma che hanno un impatto specifico e molto forte su quei mercati che hanno una vocazione molto alta nei confronti dell’export“.

L’Italia nel 2021 ha esportato merci e servizi per più di 500 miliardi di euro, un impatto fortissimo sul PIL. 

Questa vocazione si può esprimere soprattutto grazie all’eCommerce, strumento attraverso il quale le aziende possono vendere con facilità all’estero, raggiungendo il pubblico oltre i propri confini.

Shopify opera in oltre 175 Paesi: questa capillarità consente di tastare il polso dei mercati e individuare con buona approssimazione dove l’interesse per l’export è più alto“.

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La vocazione all’export del Made in Italy

Per comprendere con più concretezza la vocazione all’export del Made in Italy, Paolo mi ha fornito alcuni numeri: nel 2021, il fatturato complessivo dei merchant Shopify nel mondo è stato di 175 miliardi di dollari nel mondo, di cui ben 25 miliardi sono rappresentati dall’export; più del 14%.

In Italia, questa percentuale è doppia: nel 2021, gli export dei merchant Shopify, tra cui ad esempio Velasca, Alessi, Pittarosso, e Olivieri 1882, è stato del 27%, quasi il doppio della media globale.

intervista a paolo picazio di shopify - screenshot del sito

Siamo estremamente fortunati come “sistema Italia”: il valore del Made in Italy non è una “storiella” che ci raccontiamo fra noi. I settori delle “3 F”, Food, Fashion e Furniture, a cui mi sento di aggiungere il settore della Cosmetica, sono settori che hanno un appeal altissimo nei confronti degli stranieri, perché sono associati a valori intrinsechi come alta qualità, creatività, bellezza, fascino. 

Molti merchant italiani fanno leva su questo “brand condiviso” e questo si riflette sui numeri: il 39% dei brand italiani presente su Shopify vende all’estero, ma stiamo facendo tanti investimenti per semplificare questo canale di vendita“.

Vendere all’estero non è “semplicemente” prendere un pacco e spedirlo (anche questa operazione ha una sua complessità) ma è riuscire ad attirare le persone verso il proprio sito, fare in modo che questo sia comprensibile ma anche localizzato correttamente, con le giuste valute e sistemi di pagamento differenti.

Ogni mercato ha le sue specificità: se ho un prodotto che ha un ticket medio molto alto, per esempio, e voglio vendere negli USA, avrò bisogno di integrare un sistema di buy now pay later diffuso in quel contesto. Di contro, i merchant stranieri che vogliono vendere in Italia deve conoscere i metodi di pagamento utilizzati in Italia. Quello che fa Shopify Markets è proprio mettere a disposizione i metodi di pagamento nei diversi Paesi. Nel momento in cui sul sito di un merchant italiano arriva tanto traffico dagli USA, Shopify consiglia di aprire uno store in lingua inglese e quali sono i pagamenti da integrare“.

Un supporto quindi non solo di tipo tecnologico ma anche di insight sui singoli mercati con il chiaro obiettivo della semplificazione delle operazioni.

Chi sono i merchant italiani su Shopify

Il merchant tipico italiano si sta evolvendo negli ultimi anni: all’inizio della pandemia, molti degli imprenditori che hanno iniziato a usare Shopify non avevano mai venduto online ma hanno colto l’opportunità per digitalizzarsi.

Attualmente, la piattaforma viene percepita come uno strumento che aiuta i piccoli ma permette anche i grandi di scalare il business. Anche aziende consolidate, come K-Way, Superga e Sebago, puntano alla semplificazione rispetto alle piattaforme proprietarie, che faticano a stare al passo con i cambiamenti continui che avvengono a livello tecnologico“.

La semplificazione appare il punto centrale: aziende come Pittarosso, che ha un business molto complesso con moltissimi negozi offline da coordinare con quanto accade online; oppure Alessi, che è un’azienda con 100 anni di storia e che proprio durante la pandemia ha effettuato il replatforming su Shopify. Ora vende in 30 Paesi.

I merchant e i brand presenti sulla piattaforma, sono quindi uno specchio abbastanza fedele di quella che è l’economia italiana. Uno dei limiti della crescita all’estero di queste aziende può essere rappresentato dall’approccio alle lingue: non è più solo l’inglese lo scoglio per chi si propone a un mercato internazionale che non comprende soltanto Paesi anglofoni.

I nostri dati interni ci dicono con chiarezza che quando un sito è ben tradotto e ben localizzato, l’impatto sul G&B aumenta del 13% circa. Ovviamente, per merchant di tutte le fasce, l’impatto è enorme“.

Translate and Adapt garantisce questo margine di miglioramento semplicemente presentandosi ai potenziali clienti esattamente come si aspettano di trovare lo shop. Pensiamo infatti alle differenze che consideriamo minime, come quelle che ci sono tra l’inglese UK e quello americano o il francese della Francia e quello canadese. Queste differenze linguistiche permettono a chi compra di “sentirsi a casa”.

Proprio per questo, Translate and Adapt potrà avere un impatto ancora maggiore sul risultato di quei Paesi che hanno un basso indice di digitalizzazione e una scarsa conoscenza media dell’inglese (proprio come l’Italia).

Oggi, con buona probabilità, chi inizia con l’eCommerce si affida a Shopify evitando i costi di una piattaforma proprietaria e l’impegno che in continuo aggiornamento delle integrazioni in-house comporta“.

Aspetto che risulta ancora più importante considerando che su Shopify le integrazioni sono implementate in tandem con le altre piattaforme, come Meta e TikTok, ad esempio, senza che i merchant debbano occuparsene. Le soluzioni ready to go permetteranno di essere pronti anche alle novità che riguardano il web3 e gli NFT.

Le novità per il mercato italiano

Una delle novità più interessanti per il mercato italiano è POS: è stato lanciato a ridosso dell’estate e chiude il cerchio dell’omnicanalità.

Si tratta di un vero e proprio POS fisico che permette di gestire le vendite nel negozio fisico e ricondurle alle attività online. Shopify diventa così un sistema operativo per il retail, di cui l’eCommerce è una parte fondamentale“.

Siamo abituati a parlare di omnicanalità quando parliamo di grandi brand e grandi aziende, ma questa soluzione, che contribuisce ad abbattere il già flebile confine tra retail fisico e commercio online, consentirà anche ai piccoli merchant di essere presente su ogni canale.

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