Il Digital Services Act (DSA) dell’Unione Europea è ufficialmente entrato in vigore.
A partire dal 25 agosto 2023, i giganti tecnologici come Google, Facebook, Amazon e altri devono conformarsi a una legislazione di ampio respiro che ritiene le piattaforme online legalmente responsabili dei contenuti pubblicati su di esse.
Anche se questa nuova legge è stata approvata nell’Unione Europea, è probabile che si verifichino effetti di vasta portata a livello globale, man mano che le aziende adegueranno le loro politiche per conformarsi.
Ecco quali sono le regole contenute nel DSA e come l’UE intende farle rispettare.
L’obiettivo generale della DSA è quello di promuovere ambienti online più sicuri. In base alle nuove norme, le piattaforme online devono implementare modalità per prevenire e rimuovere i post contenenti beni, servizi o contenuti illegali, fornendo al contempo agli utenti i mezzi per segnalare questo tipo di contenuti.
We’re bringing our European values into the digital world.
With strict rules on transparency and accountability, our Digital Services Act aims to protect our children, societies and democracies.
As of today, very large online platforms must apply the new law.
Inoltre, il DSA vieta la pubblicità mirata basata sull’orientamento sessuale, la religione, l’etnia o le convinzioni politiche di una persona e pone delle limitazioni alla pubblicità mirata ai bambini.
In più, richiede alle piattaforme online di fornire maggiore trasparenza sul funzionamento dei loro algoritmi.
Cosa significa il Digital Services Act per le Big del Tech
Il DSA stabilisce regole aggiuntive per quelle che considera “piattaforme online molto grandi”, obbligandole a dare agli utenti il diritto di rinunciare ai sistemi di raccomandazione e di profilazione, a condividere i dati chiave con i ricercatori e le autorità, a cooperare con i requisiti di risposta alle crisi e a eseguire revisioni esterne e indipendenti.
Sebbene l’UE non richieda ancora alle aziende più piccole di conformarsi al DSA, ha chiesto alle piattaforme online di grandi dimensioni di conformarsi quattro mesi dopo la loro designazione come tali, avvenuta in aprile.
Quali piattaforme sono sottoposte al Digital Services Act
L’UE considera piattaforme online molto grandi (o motori di ricerca online molto grandi) quelle con oltre 45 milioni di utenti mensili nell’UE.
Finora, l’UE ha individuato 19 piattaforme e motori di ricerca che rientrano in questa categoria, tra cui i seguenti:
Alibaba AliExpress
Amazon Store
Apple App Store
Booking.com
Facebook
Google Play
Google Maps
Google Shopping
Instagram
LinkedIn
Pinterest
Snapchat
TikTok
Twitter
Wikipedia
YouTube
Zalando
Bing
Google Search
L’UE richiederà a ciascuna di queste piattaforme di aggiornare il numero di utenti almeno ogni sei mesi. Se una piattaforma avrà meno di 45 milioni di utenti mensili per un intero anno, verrà rimossa dall’elenco.
Cosa stanno facendo le piattaforme online per adeguarsi
Molte di queste aziende hanno già illustrato i modi in cui si conformeranno al DSA. Ecco una breve panoramica delle più importanti.
Google
Sebbene Google affermi di essere già conforme ad alcune delle politiche previste dal DSA, tra cui la possibilità per i creatori di YouTube di appellarsi alle rimozioni e alle restrizioni dei video, Google ha annunciato che sta ampliando il suo Ads Transparency Center per soddisfare i requisiti delineati dalla legislazione.
L’azienda si è inoltre impegnata ad ampliare l’accesso ai dati da parte dei ricercatori per fornire maggiori informazioni su “come Google Search, YouTube, Google Maps, Google Play e Shopping funzionano nella pratica”.
Inoltre, migliorerà le sue relazioni sulla trasparenza e analizzerà i potenziali “rischi di diffusione di contenuti illegali, o i rischi per i diritti fondamentali, la salute pubblica o il discorso civico”.
Meta
Meta, la società madre di Facebook e Instagram, sta lavorando per espandere la sua Ad Library, che attualmente raccoglie gli annunci pubblicitari mostrati sulle sue piattaforme.
L’azienda inizierà presto a visualizzare e archiviare tutti gli annunci che hanno come target gli utenti dell’UE, includendo anche i parametri utilizzati per indirizzare gli annunci, nonché chi ha ricevuto l’annuncio.
Meta inizierà inoltre a consentire agli utenti europei di visualizzare i contenuti in ordine cronologico su Reels, Stories e Search sia su Facebook che su Instagram, senza essere soggetti al suo motore di personalizzazione.
TikTok
Analogamente alle misure che Meta sta adottando, anche TikTok ha annunciato che renderà il suo algoritmo opzionale per gli utenti dell’UE.
Quando l’algoritmo sarà disattivato, gli utenti vedranno nei loro feed For You e Live video provenienti “sia dai luoghi in cui vivono sia da tutto il mondo”, anziché video basati sugli interessi personali.
Inoltre, gli utenti potranno visualizzare i contenuti in ordine cronologico nei feed Following e Friends.
TikTok sta anche apportando alcune modifiche anche alle sue politiche pubblicitarie. Per gli utenti europei di età compresa tra i 13 e i 17 anni, TikTok smetterà di mostrare annunci personalizzati in base alla loro attività nell’app.
Snap
Anche Snapchat darà agli utenti dell’UE la possibilità di scegliere di non ricevere feed personalizzati sulle pagine Discover e Spotlight e ha anche pubblicato dei report su come classifica i post in questi feed.
L’azienda si è impegnata a fornire agli utenti maggiori informazioni sul motivo per cui i loro post o account sono stati rimossi e darà loro gli strumenti necessari per impugnare la decisione.
Inoltre, Snapchat non servirà più annunci personalizzati agli utenti europei di Snapchat di età compresa tra i 13 e i 17 anni. Creerà anche un archivio delle pubblicità mirate che mostra nell’UE e darà agli utenti europei di Snapchat di età superiore ai 18 anni un maggiore controllo sulle pubblicità che vedono.
Cosa succederà alle piattaforme che non rispettano il DSA
Le piattaforme online che non rispettano le regole della DSA potrebbero incorrere in multe fino al 6% del loro fatturato globale.
Secondo la Commissione europea, il Coordinatore dei servizi digitali e la Commissione avranno il potere di “richiedere azioni immediate, ove necessario, per affrontare danni molto gravi”. Una piattaforma che si rifiuta continuamente di conformarsi potrebbe essere sospesa temporaneamente nell’UE.
L’UE sta già assistendo a una reazione da parte di alcune aziende nei confronti della DSA.
A luglio, Amazon ha presentato una petizione per chiedere all’UE di rivalutare la sua classificazione come piattaforma online di grandi dimensioni, sostenendo di essere stata “ingiustamente individuata”.
Anche il rivenditore tedesco Zalando ha intentato una causa contro la Commissione UE, sostenendo di non rientrare nella definizione di piattaforma online di grandi dimensioni.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/08/Digital-Services-Act-in-Unione-Europea.jpg6901050Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-08-29 10:44:172023-08-30 10:15:59Entra in vigore il Digital Services Act, cos'è e cosa significa per Meta e le altre Big del Tech
Sei pronto alla più spettacolare Graduation Ninja mai realizzata?
Si terrà il 30 giugno 2023 a Trentinara, in provincia di Salerno, un evento in grado di riempire di emozione e di adrenalina pura: a conclusione del percorso di studi con l’Executive Master Ninja – IUSVE, gli studenti in attesa di ricevere il Certificato, potranno toccare con mano la pergamena dopo aver volato tra le montagne del Cilento.
La possibilità di partecipare è aperta anche a tutti gli studenti che hanno partecipato ad una Graduation negli anni scorsi: avranno così l’occasione di provare l’emozione del volo sulla zipline, ma anche di partecipare ad uno speciale Retreat formativo con il team Ninja e con docenti speciali.
La Graduation più emozionante di sempre
Fin dal 2004, Ninja ha fatto del marketing non-convenzionale il proprio marchio di fabbrica.
Nostalgici dei tempi andati, ma consapevoli di quanto siano ancora attuali e vivi, abbiamo maturato il desiderio di tornare alle origini, riabbracciando quei valori di non convenzionalità a noi sempre cari.
Per questo motivo quest’anno abbiamo deciso di stravolgere il format della Graduation e di renderlo Unconventional.
Superare le proprie paure e andare oltre i limiti, nella vita ma anche nel lavoro. Questo è l’obiettivo che ci poniamo con un evento assolutamente non convenzionale: seguire l’istinto d’avventura lanciandosi tra le montagne con una spettacolare vista sul mare di Paestum.
Sarà una delle esperienze più incredibili della tua vita.
Cos’è il Ninja Elite Retreat
In questo appuntamento così singolare non c’è spazio solo per gli studenti in attesa della certificazione del percorso di studi con l’Executive Master Ninja – IUSVE: è previsto anche un ritiro esperienziale, un’esperienza di co-living a numero chiuso dedicata ai Ninja più ambiziosi, autentica e a stretto contatto con la natura per aiutare a raggiungere i massimi livelli di Pensiero, Energia, Azione e realizzare una vita professionale che fa la storia.
I contenuti del Retreat
Sail Thinking
Allena il tuo pensiero con le soft skill dei velisti: adattabilità, perseveranza, equilibrio e focus.
Neuro Marketing
Acquisisci le fondamenta della psicologia del consumo e dell’analisi dei comportamenti digitali.
Archetipal Living
Riconosci gli archetipi che incontri nella tua vita e supera con consapevolezza ogni sfida.
Etica & Empatia
Impara le soft skills fondamentali per affrontare le sfide della nuova era della human-machine interaction.
Life Management
Scopri come avverare il mito del work life balance apprendendo i segreti di un VP internazionale.
Pitch Framing
Inquadra problemi, presentazioni ed interlocutori e porta la tua capacità persuasiva ai massimi livelli.
Dove
Il Ninja Elite Retreat si terrà in una stupenda Country House a Giungano, nel Cilento in provincia di Salerno e sarà l’occasione per immergersi in un’esperienza unica all’insegna della filosofia Ninja.
Con il titolo “Think, Live, Work like a Ninja“, il retreat offrirà ai partecipanti la possibilità di scoprire e imparare come applicare i principi e le strategie dei Ninja al proprio stile di vita e al lavoro.
L’accomodation è prevista in stanze condivise in appartamenti da 3-5 posti letto che presentano un’area salotto, una cucina con frigorifero e piano cottura, un bagno privato e, in alcuni casi, una terrazza e/o un balcone con vista sulle montagne o sulla piscina.
La Country House ospita un giardino, una piscina all’aperto e un bar.
Perché partecipare al Ninja Elite Retret
Eccoti tre buoni motivi per non mancare all’appuntamento:
Networking
Incontra professionisti di successo nel digital in un’ambiente informale di co-living.
Autorealizzazione
Cogli l’opportunità di sviluppare le tue soft skill e superare i tuoi limiti.
Relax
Rilassati e rigenerati in un luogo antico, affascinante e circondato dalla natura.
Il programma del Ninja Elite Retreat
Sono previsti i Commencement Speech, gli interventi ispirazionali di grandi Top Manager con i loro preziosi consigli di vita e carriera. E come sempre, sceglieremo alcuni di voi come Valedictorian: potresti avere l’onore di rappresentare l’intera classe Executive Master e dedicare un tuo speech ispirazionale ai compagni di corso.
Ecco il programma:
29 giugno arrivo
30 giugno mattina Graduation in Volo
30 giugno sera Party a tema
1 luglio Elite Retreat
2 luglio partenze
Come partecipare al Ninja Elite Retreat
Sono rimasti davvero pochissimi posti nei cinque appartamenti: se non vuoi perdere l’occasione di entrare in contatto con il mondo Ninja, compila il form a questo link dove trovi anche tutte le informazioni.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/06/Ninja-Retreat-Trentinara-Graduation-zipline-copertina-2.jpg6941046Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-06-13 13:05:482023-06-16 13:03:01La Graduation più Unconventional di sempre: partecipa al Retreat e vola con i Ninja
In un mondo del lavoro post-pandemico dove il concetto di ricerca del benessere ha invaso la cultura organizzativa, sempre di più stiamo notando un’evoluzione del mercato del lavoro che denota confini sempre più fluidi tra vita privata e lavorativa.
Dai workplace, alle funzioni e ai ruoli organizzativi e, contemporaneamente, a una accelerazione ancora maggiore del senso di responsabilità sociale che le imprese introducono per contribuire al concetto di welfare state che, a livello istituzionale, sembra essere, di anno in anno, sempre più carente.
Per approcciare il tema del benessere al lavoro è necessario uno sguardo olistico e sempre più sistemico, poiché la sfida HR degli ultimi anni è proprio quella di guardare all’essere umano nella sua interezza e contemporaneamente alla sua interconnessione con il contesto che lo circonda nel ciclo di vita lavorativo.
La storia degli approcci al benessere e al sostegno degli individui nella sfera privata da parte dei datori di lavoro, in Italia ha una storia abbastanza lunga, a partire da Carlo di Borbone, sovrano del Regno di Napoli e di Sicilia, che intuì il vantaggio di assegnare ai dipendenti di una seteria un’abitazione all’interno della Real Colonia di San Leucio e l’istruzione gratuita per i loro figli.
Con la rivoluzione industriale nell’Ottocento divenne consuetudine intervenire sull’aiuto e il benessere dei dipendenti per favorire i trasferimenti dalle campagne alla città, mettendo a disposizione case, scuole, chiese e luoghi di svago (vedi il villaggio di Crespi D’Adda).
I celebri esempi italiani del Novecento di Adriano Olivetti, di Enrico Mattei e di Aldo Fascetti e hanno poi contribuito a considerare sempre di più a considerare e organizzare l’assistenza ai dipendenti per tutti gli aspetti della vita, fino alla diffusione negli ultimi trent’anni di programmi di assistenza e previdenza costruiti dalle aziende, forme di retribuzione indiretta (stock options, auto aziendali, etc.) fino agli ultimi sviluppi del sistema welfare di Luxottica nell’ultima crisi economica del 2009, con borse di studio, orientamento professionale, partnership con supermercati e negozi, convenzioni sanitarie, assistenza sociale, etc.
Oggi si va verso un’individualizzazione e una specializzazione sempre più raffinata dei benefit e del contributo che l’azienda può dare in termini di impatto sociale attraverso il sostegno al benessere dei propri dipendenti.
Wellbeing, Wellness, Welfare: definizione e significato
Può capitare, però, che i termini wellness, wellbeing e welfare siano utilizzati come sinonimi. Si tratta di tre concetti legati all’idea di benessere, ma è giusto riconoscerne le distinzioni.
La definizione “formale” di wellness, fornita dal Global Wellness Institute, lo identifica come “il processo di ricerca attiva di attività, stili e scelte di vita che conducano ad una condizione di salute olistica”, dove dobbiamo considerare che questo tipo di benessere può superare il singolo concetto di salute fisica, ma anche verso le altre dimensioni di tipo psichico e sociale.
Il wellbeing, invece, fa riferimento ad uno stato d’essere, ad una condizione di equilibrio che si può definire di “buona salute”, sebbene sia più corretto fare riferimento in particolar modo alla salute mentale e alla sfera emozionale. Lo studio del livello di wellbeing di una popolazione aziendale può tornare utile nella misurazione dell’efficacia di determinate politiche di welfare.
Quando si parla di wellbeing e felicità, spesso si tende a interpretare queste parole a modo proprio e la definizione odierna di wellbeing è molto eterogenea.
Possiamo inquadrare il wellbeing come l’intersezione di più dimensioni: benessere fisico, mentale, emozionale, sociale, lavorativo e sociale, a cui possiamo aggiungere, giustamente, anche il benessere finanziario.
Ci sono quindi varie dimensioni che possiamo integrare nel variegato termine “wellbeing”, che dobbiamo considerare anche come l’occuparsi di se stessi e del proprio stato benefico prima di arrivare ad una crisi, cercare di star bene giorno dopo giorno, e costruire in maniera incrementale la propria serenità, senza considerarlo un punto di arrivo.
Non raggiungeremo mai necessariamente un punto di benessere finale (o di “felicità”) in nessuna di queste dimensioni.
Quando parliamo invece di welfare, stiamo invece considerando tutte quelle prestazioni attivate all’interno di una società a tutela della persona e del cittadino.
Non si tratta solo di iniziative statali (il cosiddetto “primo welfare”), ma anche di quei benefit e prestazioni che le aziende erogano a favore dei propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa (welfare secondario o privato).
Le politiche aziendali volte a garantire il benessere dei collaboratori, li supportano nelle diverse fasi della vita privata basandosi su alcuni pilastri entro cui l’organizzazione si impegna a supportare il collaboratore, tra cui famiglia, benessere, previdenza e salute.
Il Rapporto Welfare Index PMI da sempre censisce che le imprese che hanno inserito il welfare nella strategia aziendale ha registrato ritorni positivi sulla produttività. Il lavoratore, sentendosi seguito e apprezzato, tende a impegnarsi di più sul lavoro, e questo comporta, oltre a una maggiore produttività, minori richieste di dimissioni, o anche maggiore attrattività occupazione verso le nuove generazioni di dipendenti.
Si tratta inoltre di correlazioni che non vanno intese in senso semplicistico, perché indicano una connessione reciproca tra le variabili esaminate: le imprese più competitive comprendono l’importanza dei fattori sociali e investono più delle altre nel welfare aziendale, e il welfare aziendale a sua volta contribuisce al miglioramento dei risultati.
Migliorare l’impatto sociale dell’azienda, occupandosi del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie e in taluni casi aprendo i servizi alla comunità esterna, per molte imprese è divenuto un impegno programmatico non separato dagli obiettivi e dalla gestione del business.
Tornando al concetto di wellbeing come espressione dello stato di salute delle politiche di welfare aziendale, il mondo organizzativo sta riscoprendo sempre di più le diverse aree del benessere di una persona che possono essere rappresentate nell’ambito lavorativo, col fine ulteriore di rinforzare i legami di fiducia con le altre persone e con la comunità organizzativa.
In particolare, sono rilevanti le azioni che contribuiscono significativamente a creare la relazione di fiducia tra persona e azienda; se le persone sono soddisfatte di carriera e socialità, tenderanno ad essere più soddisfatte anche nella loro vita personale
Secondo Gallup sono cinque gli aspetti che aiutano una persona a vivere “the best possible life”:
career wellbeing: strettamente legato all’ambito lavorativo, riguarda la percezione del lavoro in linea con competenze e aspettative; si parla di career wellbeing quando consideriamo se ci piace cosa facciamo sul lavoro. Si realizza quando i datori di lavoro fanno fare alle persone un lavoro in linea con le proprie aspettative, competenze e interessi, guidandoli nel mettere a fuoco il loro purpose, crescendo come professionisti.
social wellbeing: riguarda la necessità di avere legami di fiducia e rispetto, in un certo senso relazioni significative nella propria vita; si realizza quando le aziende riescono ad organizzare momenti di incontro informali tra le persone per creare le condizioni affinché si creino relazioni di fiducia attraverso in network professionale.
financial wellbeing: evidenzia la possibilità di gestire al meglio le proprie finanze; si estrinseca quando nelle organizzazioni viene predisposta formazione sulla gestione finanziaria e vengono messi a disposizione professionisti del settore per supportare le persone, contribuendo a ridurre lo stress quotidiano e ad aumentare la percezione di sicurezza finanziaria a lungo termine.
physical wellbeing: è legato al corpo e alla salute in generale e in genere alle giuste energie per la vita professionale; si mette in pratica attraverso la formazione su alimentazione e sport, o attraverso le convenzioni con palestre, centri wellness, nutrizionisti e psicologi.
community wellbeing: riguarda la possibilità di sentirsi a proprio agio nella comunità in cui si vive e alla partecipazione attiva; gli interventi aziendali sono efficaci se fanno sentire le persone in un luogo in cui si sentono sicure e a proprio agio, e permettono di donare parte del tempo o delle competenze per momenti di volontariato o attività che abbiano un impatto sul territorio e verso gli stakeholder in cui le persone vivono.
Proviamo allora ad approfondire le diverse anime del benessere organizzativo per coglierne gli aspetti cruciali che sono all’attenzione crescente in un mondo del lavoro in piena trasformazione.
Benessere Psico-fisico e digitale: cos’è il Burnout
Il “burnout” non è solo un problema delle persone, dei collaboratori, del team. È un problema organizzativo, quando la cultura di un’impresa ha un impatto diretto sulla salute e il benessere dei lavoratori.
Come lo ha definito Maslach negli anni ’80, è considerabile come la “sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione, di ridotta realizzazione, che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente”.
Più in generale, il burnout è uno stato di esaurimento fisico ed emotivo.
Può verificarsi quando si subisce uno stress a lungo termine nel proprio lavoro o quando si lavora in un ruolo fisicamente o ad alto impatto emotivo per molto tempo e che comporta alcuni sintomi rilevanti come: il sentirsi stanchi o “svuotati”, impotenti, intrappolati, sopraffatti, distaccati, avere un atteggiamento cinico o polemico, ma anche la tendenza a procrastinare e mettere in dubbio le proprie identità.
Sempre più membri della Generazione Z si stanno affacciando sul mondo del lavoro e l’attenzione crescente verso la salute mentale e il benessere soprattutto psichico sembra stia nascendo anche grazie al loro avvento nelle organizzazioni.
Secondo le statistiche, infatti, la Gen Z concepisce il lavoro in modo diverso rispetto alle precedenti generazioni: i giovani lavoratori, oggi, non sono più disposti ad accettare organizzazioni autoritarie, orari di lavoro troppo pesanti o mancanza di flessibilità all’interno di un’organizzazione.
Inoltre, dopo essere stati isolati negli anni della pandemia, una delle maggiori difficoltà per la nuova generazione di professionisti è rappresentata dalla gestione dei legami interpersonali e dalle relazioni sul posto di lavoro.
Per i datori di lavoro, accogliere queste esigenze può diventare sempre più importante: i giovani lavoratori, infatti, hanno sempre più necessità che un’organizzazione li comprenda come individui più ancora che come semplice forza lavoro.
Perseguire gli obiettivi del benessere psico-fisico, però, non significa porre attenzione solo sugli aspetti di prevenzione della salute mentale, della gestione dello stress ma, in maniera più olistica ed “ergonomica” considerare i temi del benessere familiare, della personalizzazione del workplace e delle forme equilibrate ed ibride di smartworking.
Un errore comune può essere quello di fare del benessere una forma di lavoro in più per i propri lavoratori.
Ospitare sessioni di yoga o all’ora di pranzo o di mindfulness dopo il lavoro, che si aggiungono alle già traboccanti to do list non risolve di certo il problema, anzi lo amplifica e può rendere tutto anche più frustrante.
Avere una cultura del benessere nell’organizzazione significa soprattutto cercare modi di rendere le attività lavorative quotidiane più incentrate sul wellbeing, magari costruendo una cultura delle riunioni più sana, gestendo meglio gli aspetti della comunicazione asincrona e così via.
La “sicurezza psicologica”, inoltre, è un paradigma che non può essere dimenticato in quest’ottica e che riguarda trasversalmente tutte le generazioni.
Si tratta della percezione condivisa dai membri di un team secondo cui una persona non viene punita o umiliata per aver parlato esprimendo idee, domande, preoccupazioni o errori. Non nasce spontaneamente, è una condizione che deve essere costruita con azioni consapevoli e il primo passo è creare un senso di belonging: le persone devono sentirsi accettate per essere in grado di contribuire pienamente al miglioramento dell’organizzazione in cui lavorano.
Questo significa sentirsi liberi di essere sé stessi ed essere accettati così per come siamo; avere la possibilità di apprendere e crescere facendo domande, dando e ricevendo feedback, sperimentando e facendo errori; mettere a frutto realmente le proprie competenze per dare il proprio contributo; poter parlare e sfidare lo status quo quando c’è opportunità di crescita e miglioramento.
Accanto a questi aspetti non va dimenticato tutto ciò che concerne la salvaguardia del benessere digitale.
Una nuova mentalità, improntata alla crescita e allo sviluppo di sane abitudini digitali, dovrebbe infatti abbracciare il lavoro ibrido, adattandolo con trasparenza e coerenza con i valori e lo scopo dell’organizzazione.
Anche gli impatti negativi dei burnout si possono ridurre incorporando e abbracciando i principi del benessere digitale, creando la giusta cultura digitale modellata sulle necessità di ogni singola realtà aziendale.
Il digital wellbeing è quindi una strategia: il benessere al lavoro può e deve essere raggiunto anche nel mondo del digitale.
È il modo per far sì che l’inevitabile transizione verso un mondo sempre più digitale sia chiara, trasparente, rivolta alla comprensione e all’equilibrio. Il digital wellbeing è anche una competenza. Come sottolinea Alessio Carciofi, si può intendere il digital wellbeing come l’insieme delle pratiche, dei comportamenti e delle decisioni che riguardano i propri collaboratori e l’uso che essi fanno della tecnologia. Non riguarda semplicemente il “digital detox”, ovvero evitare la tecnologia o scollegarsi dal digitale per determinati periodi di tempo.
Si tratta di un modo olistico di pensare a come, quando, dove e perché si sta interagendo con la tecnologia e quali potrebbero essere gli effetti di tali scelte su altri aspetti della salute.
La relazione tra wellbeing ed engagement dei dipendenti
Nel raggiungimento del benessere al lavoro, esiste una relazione stretta tra wellbeing ed engagement, poiché il coinvolgimento è un grande trigger per il career wellbeing, ma abbiamo visto come un’azienda non può occuparsi di come far crescere l’engagement senza tenere in considerazione tutti gli aspetti del wellbeing delle proprie persone.
In assenza di un buon lavoro e di una carriera soddisfacente, non c’è wellbeing e quando le organizzazioni metto in pratica azioni e programmi volti ad aumentare sia il wellbeing sia l’engagement, gli effetti si moltiplicano e sono reciprocamente vantaggiosi sia per i dipendenti, sia per i risultati aziendali.
Tutto ciò che riguarda il benessere psico-fisico e digitale è strettamente connesso ai temi della vitalità al lavoro, poiché comprendono gli aspetti dell’energia, del vigore e della salute della persona. Ma per sviluppare appieno il wellbeing degli individui è fondamentale fare riferimento a quelle dimensioni che Martin Seligman racchiude nel suo modello PERMA di “psicologia positiva” come la capacità di sperimentare emozioni positive, di coinvolgimento verso gli obiettivi, di percepire la sensazione di crescita e di progresso, così come la costruzione di relazioni autentiche, di senso di comunità e la chiarezza verso il senso e lo scopo che sono relative agli aspetti valoriali sul lavoro.
In questa esplorazione del benessere al lavoro non possono sfuggire alcuni aspetti fondamentali, come ad esempio il benessere sotto il profilo finanziario.
Gli ultimi anni hanno visto sfide globali senza precedenti sotto forma della pandemia, seguite da una “grande rassegnazione” e prezzi in forte aumento, spinti dai problemi della catena di approvvigionamento globale e dalla guerra in Ucraina.
L’impatto ha colpito le famiglie di tutto il mondo. Una ricerca del CIPD ha rilevato che in UK oltre un quarto dei dipendenti afferma che le preoccupazioni legate al denaro influiscono sulla loro capacità di svolgere il proprio lavoro.
Questo sale a quasi un terzo che afferma che le preoccupazioni finanziarie sul costo della vita hanno avuto un impatto negativo sulla loro produttività. Mentre sempre più datori di lavoro stanno diventando consapevoli e stanno riconoscendo che il benessere finanziario è molto più che pagare i dipendenti e fornire alcuni vantaggi, è ancora l’area meno comune inclusa nelle strategie di benessere delle risorse umane.
Sostenere programmi di educazione finanziaria, per tutte le età della popolazione aziendale è una buona scelta per rendere più sereni e più consapevoli le persone che lavorano nell’organizzazione, magari strizzando l’occhio alle strategie di new longevity economy che permettono di gestire i cicli di vita delle persone al lavoro in maniera innovativa e più consapevole degli effetti che l’aumento dell’aspettativa di vita e la demografia stanno creando nel mercato del lavoro.
Il benessere al lavoro rispetto alle età
Come innescare meccanismi di inclusione generazionale nelle strategie di wellbeing e quali sono le modalità con cui renderlo effettivo nello scenario culturale dell’organizzazione?
Può essere interessante partire dalle strategie di engagement familiare e alle politiche aziendali di conciliazione lavoro-famiglia per immaginare un paragone più pratico.
Ad esempio, le imprese che erogano un congedo parentale retribuito, ottengono quasi un raddoppio degli utili, dal momento in cui forniscono ai dipendenti-genitori le risorse necessarie per conciliare lavoro e vita privata. Si tratta di risultati supportati dalla Social Exchange Theory, che suggerisce che i lavoratori si sentano in un certo senso “obbligati” a restituire il favore ai datori di lavoro in termini di impegno e dedizione quando vengono ricompensati con benefici aggiuntivi come, ad esempio, il sostegno alla genitorialità.
Come il modello work-life fit tiene conto delle diverse esigenze culturali della famiglia, può essere presa in considerazione, in maniera più estesa, tale cura del benefit individuale ponendo attenzione a pesi specifici intergenerazionali, in particolare nelle politiche di welfare e people care.
Pe quanto riguarda le nuove generazioni, ad esempio, sempre secondo il Rapporto Welfare Index PMI del 2022, la presenza di giovani con meno di 30 anni, mediamente del 20%, è correlata al livello di welfare: da una quota del 18% nelle aziende a livello di welfare iniziale ad una del 22,1% in quelle con livello molto alto.
Molte aziende italiane (quasi il 30%), non hanno alcun giovane tra i propri collaboratori, ma questa quota scende al 18% tra le imprese con un livello elevato di welfare aziendale.
Più che la composizione demografica per fasce di età, ciò che conta maggiormente è l’impatto del welfare aziendale sull’accesso dei giovani al lavoro.
Le imprese con livello di welfare elevato mostrano una propensione molto più alta della media all’assunzione di stagisti e alla trasformazione degli stage in lavoro stabile. Le aziende con livello di welfare molto alto hanno una quota di stagisti pari al 4,1% degli addetti (il doppio di quelle a livello iniziale), e una quota di assunzioni del 40,7%, contro il 19,6% delle aziende a livello di welfare iniziale.
Non solo le imprese con elevato livello di welfare contribuiscono molto più della media alla crescita dell’occupazione, perché i motivi che spingono le organizzazioni (di grandi dimensioni ma non solo) ad attuare iniziative di welfare, come è facile immaginare, sono volti principalmente a migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il clima aziendale ma allo stesso tempo a incentivare la produttività del lavoro
Il “marketing mix” di una strategia di welfare & people care rivolta ai clienti interni dell’organizzazione rappresenta allora una prima fotografia chiara di come siano contemplate le politiche di inclusione generazionale, a partire da quanto i benefit siano ben disegnati sui profili di popolazione aziendale presente (e futura), ma soprattutto comunicati efficacemente all’interno ma anche all’esterno del perimetro aziendale.
Far sapere ai propri dipendenti quali sono le prospettive di benefit anche per le altre popolazioni, può innescare delle percezioni virtuose in termini di aspettativa: “quando sarò genitore o quando sarò senior l’azienda avrà cura di me attraverso questi strumenti” e di fidelizzazione verso il brand.
Ripensare la “welfare & wellness strategy” significa anche ridisegnare e rimescolare l’insieme dei benefit accessori (come i fringe benefit) solitamente aggiunti alla retribuzione ordinaria, con la retribuzione complementare (i “flexible benefit”), magari provando a coinvolgere nell’analisi e nel design thinking, gruppi intergenerazionali di senior e junior che possano cogliere efficacemente le leve di coinvolgimento più attuali e le necessità precipue che hanno a che fare con un benessere concreto dei dipendenti.
Strategie di corporate wellbeing: verso il management dell’eudaimonìa e del benessere al lavoro
Quando parliamo di corporate wellbeing dobbiamo immaginare non solo aiutare le persone a cambiare le loro azioni o abitudini, ma a cambiare completamente il modo in cui si approcciano alla loro realtà di riferimento. Bisogna imparare a osservare con occhi diversi il mondo del lavoro e gli input di cui disponiamo per migliorare il contesto lavorativo.
Quali sono gli elementi da considerare nel disegno di una strategia di corporate wellbeing?
Virtualmente tantissimi, e questo può rendere tutto più dispersivo, poiché ci si ritrova spesso con un bouquet frammentato di iniziative singolarmente molto interessanti ma a volte poco percepite e incapaci di portare un reale impatto complessivo.
Esistono già da anni sperimentazioni che vedono affiorare le figure dei Chief Happiness Officer che puntano ad occuparsi della “gestione della felicità” in azienda in maniera più completa, con l’obiettivo di migliorare i risultati aziendali (secondo Forbes e Harvard Business Review il costo di un dipendente infelice è stimato a circa 16k euro all’anno tra minore produttività e spese sanitarie), ridurre gli episodi di malattia e gli indici di turnover, far sì che le persone si relazionino positivamente, si sentano felici e ottengano risultati individuali e collettivi che superino le aspettative di budget.
Ma anche alimentare una cultura positiva e valori di rispetto, inclusività e coerenza, non solo a favore dei dipendenti, ma anche dei clienti e degli altri stakeholder.
Quello che lascia sbigottiti in questo momento storico è il campanello di allarme intergenerazionale che sottolinea quanto ogni individuo veda sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, così come il senso di appartenenza che viene sempre di più a mancare.
Minando inevitabilmente la “felicità” professionale.
Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale, e in questa situazione tutte le generazioni sono concordi nel dimostrare che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non stia funzionando.
Persino un Baby Boomer su 4 (24,1%) a un passo dalla pensione, dimostra di voler cambiare il proprio impiego per gli ultimi anni professionali (era il 17,9% nel 2022), come segnala l’Osservatorio BenEssere Felicità.
Per questo è sempre più importante considerare una strategia organica affiancata ad una lente dell’age inclusion nella predisposizione e nello sviluppo delle strategie di corporate wellbeing.
Solitamente ci si chiede se sia corretto parlare di felicità, piuttosto che di serenità al lavoro. Si tratta di due costrutti che caratterizzano uno stato dell’essere, ma forse dobbiamo chiederci se l’obiettivo organizzativo è quello della gioia, dello stato di calma o del benessere personale in senso più stretto.
C’è senz’altro bisogno di lasciare più spazio a sentimenti, emozioni, azioni e diversità di pensiero, partecipazione attiva, spirito di comunità e senso di leadership. C’è bisogno di ridare senso e fiducia al lavoro, cosicché i bisogni primari di tipo economico e di salute possano essere garantiti in egual misura con quelli di autorealizzazione
L’eudemonia (o, più fedelmente al greco, εὐδαιμονία – eudaimonìa) non è la semplice felicità.
È la felicità intesa come scopo della vita, e come fondamento dell’etica. In altri termini è una felicità a cui viene dato un ruolo preciso nell’indirizzare la propria condotta, senza rimanere una condizione così contingente che cambia repentinamente nel tempo. Ritroviamo sempre una certa tensione, nel bene e nel male, nell’eudemonia: dopotutto, il senso più bello di questa parola risiede nella sua etimologia: l’eudemonia è l’essere posseduti dal “buon demone”.
Riformulare il benessere al lavoro come scopo di vita e benessere costante diventa allora la chiave per immaginare le organizzazioni del presente e del futuro.
E la ricetta non è tanto nel dualismo work/life ma nell’equilibrio tra serenità e felicità, tra benessere e fattibilità. Come scrisse Schopenhauer in una raccolta di pensieri sulla felicità (che comunque riteneva un “eufemismo”):
“Viviamo il presente. Il meglio che il mondo ci può offrire è un presente quieto e senza dolore. Non guastiamo questo con la ricerca di un futuro sempre incerto che per quanto lottiamo rimarrà sempre nelle mani del destino.
Il possesso e il suo desiderio determinano l’infelicità. La ricchezza assomiglia all’acqua di mare; quanta più se ne beve, tanto più si ha sete.
Fondamentale, infine, la differenza fra ‘ciò che si è’ e ‘ciò che si ha’, perché è il primo che determina il secondo e non viceversa.
Non viviamo come vogliamo ma come possiamo.
La giusta proporzione è la saggezza per vivere quieti per questo dobbiamo vivere in modo giusto tanto il presente quanto il futuro…e attenzione che vive troppo il presente è uno sconsiderato e chi troppo il futuro non avrà più solo un istante tranquillo”
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/06/benessere-al-lavoro-impiegato-felice-alla-scrivania.jpg653992Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2023-06-07 13:00:052023-06-09 11:33:35Benessere al lavoro: perché è sempre più centrale per le strategie di people&culture
Una reunion per incontrarsi in modo informale e scambiarsi spunti e opinioni su uno dei temi più caldi del momento. Il Ninja Meetup Sanremo, in questa occasione, sarà un evento dedicato alla “AI Revolution: il futuro dell’Intelligenza Artificiale“.
Ninja Meetup Sanremo: dove e quando
Questo appuntamento speciale avrà luogo il 31 maggio presso il Forte Santa Tecla a Sanremo, e sarà organizzato in collaborazione con Andrea Ventura, Ninja Ambassador, digital strategist e CEO di RebelDigital Agency.
L’Intelligenza Artificiale sta cambiando il mondo in cui viviamo e lavoriamo, con un impatto che si fa sentire in ogni settore dell’industria e della società. Questo incontro rappresenta un’opportunità unica per discutere insieme del futuro di questa rivoluzione tecnologica e digitale.
La scaletta dell’evento
L’evento inizierà alle 18:00 con un momento di networking. Questa sarà un’occasione ideale per presentarsi, condividere idee e esperienze, e connettersi con altri appassionati di digitale.
La serata proseguirà con un focus sull’AI, durante il quale avremo l’opportunità di condividere pensieri e visioni sul suo impatto e sulle sue potenzialità.
La parte centrale dell’evento sarà l’aperitivo, un momento conviviale durante il quale scambiare idee e approfondire i temi affrontati.
Il Ninja MeetupSanremo è un evento Free Entry, ma ti invitiamo a prenotare il tuo posto inviando un’email a andrea@rebeldigital.it.
Questo ci permetterà di organizzare al meglio la serata.
Siamo ansiosi di accoglierti a Sanremo per questa serata speciale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/05/gruppo-ninja.jpg535990Andrea Venturahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAndrea Ventura2023-05-29 11:30:482023-05-30 09:54:01I Ninja si incontrano a Sanremo per parlare di Intelligenza Artificiale
Il 70% degli italiani si collega con regolarità a Internet. Secondo l’ultima fotografia di Audiweb la total digital audience nel mese di gennaio 2023 è rappresentata da quasi 44 milioni di utenti pari al 75% della popolazione dai due anni in su, online per 68 ore e 38 minuti per persona, pari a due giorni e 20 ore complessivi.
Nel giorno medio del primo mese dell’anno sono stati rilevati 36,4 milioni di individui, pari al 62% della popolazione dai due anni in su, che hanno navigato in media per 2 ore e 40 minuti per persona.
È semplice dedurre perché per un sito è importante posizionarsi su Google e quanto può servire la SEO per raggiungere questo obiettivo.
Come sappiamo aumentare e migliorare le metriche di un sito è un impresa ardua.
Ma con una checklist sempre a portata di mano il gioco si fa interessante.
Dalle nozioni di base della SEO agli elementi che devi tenere presente quando analizzi i tuoi segnali off-page, usa questa lista di controllo come punto di riferimento per assicurarti che il tuo sito aderisca alle migliori pratiche di visibilità.
In questo articolo scopriamo da cosa è composta una checklist SEO di successo.
Checklist SEO di successo. La prima tappa è la Keyword Research
Prima di presentarvi la checklist SEO di successo facciamo un po’ di chiarezza sulla SEO e le sue molteplici declinazioni.
Con l’acronomio SEO – Search Engine Optimization – si intendono tutte quelle attività volte a migliorare la scansione, l’indicizzazione ed il posizionamento di un’informazione o contenuto presente all’interno di un sito web, da parte dei crawler o bot, dei motori di ricerca e, in particolare, di Google, al fine di mantenere e migliorare il posizionamento nella pagina dei risultati del motore di ricerca: la SERP.
Pertanto possiamo parlare di un’attività olistica che richiede un elevato livello di attenzione su vari elementi.
Prima fra tutte la keyword research.
Si tratta, infatti, del primo step di ogni strategia SEO ed è essenziale per capire quali e quanti contenuti ha senso creare, per cercare di posizionare un sito puntando su argomenti di maggior interesse per gli utenti del web.
Sì, perché prima di lavorare sui contenuti del sito web bisogna scoprire quali termini di ricerca vengono utilizzati maggiormente dal pubblico. Solo in questo modo si possono creare e pubblicare contenuti utili e di alta qualità.
Un altro aspetto importante da considerare è riferito alle Money Keyword. È necessario verificare le keyword che porteranno lead, vendite e conversioni al sito.
Non meno importanti sono le keyword longtail che permettono di intercettare il più ampio interesse di ricerca grazie a parole chiave più specifiche che hanno maggiori probabilità di produrre conversioni.
Per ottenere un ampio elenco di keyword utili a posizionare il sito web è necessario esplorare e conoscere il proprio pubblico di riferimento. Quest’ultimo infatti utilizza i motori di ricerca.
Gli utenti usano termini specifici per cercare prodotti, servizi, attività e argomenti specifici.
Al SEO writer spetta il compito di capire cosa i clienti si aspettano di trovare, quali sono i momenti in cui un prodotto o servizio sono maggiormente ricercati e come si comportano i competitor del nostro stesso settore.
La ricerca di parole chiave specifiche per il proprio pubblico è un’attività importante per evitare di scrivere contenuti inefficaci.
SEO On page e SEO Off page
Google, infatti, premia contenuti che ritiene particolarmente utili per il proprio pubblico. Per fare questo Big G deve analizzare il contenuto sotto vari aspetti.
Innanzitutto l’aspetto del significato.
Per fornire risultati pertinenti, infatti, deva capire cosa stanno cercando gli utenti e, quindi, il loro search intent. Per questo Google ha sviluppato modelli linguistici per cercare di comprendere in che modo le poche parole che hai inserito nella casella di ricerca corrispondono ai contenuti più utili a disposizione.
Il secondo criterio è la rilevanzadeicontenuti e, dunque, la pertinenza rispetto all’intento di ricerca. Oltre alle parole chiave, i sistemi del motore di ricerca analizzano anche se i contenuti sono pertinenti per una query in altri modi.
Vengono utilizzati, poi, dati aggregati e anonimi sulle interazioni per valutare quali risultati di ricerca sono pertinenti rispetto alle ricerche.
Trasformiamo tali dati in indicatori che aiutano i nostri sistemi di machine learning a valutare meglio la pertinenza.
La qualità è un altro parametro attraverso cui il motore di ricerca attribuisce priorità ai contenuti più utili che presentano autorevolezza e affidabilità.
Tra gli altri, poi, Google adotta criteri di usabilità e, quindi, valuta l’esperienza dell’utente nella visualizzazione delle pagine di contenuto e il contesto entro cui si esegue una ricerca.
La SEO off page, invece, include quelle tattiche che riguardano le attività svolte fuori dal tuo sito Web.
La link building è spesso considerata la principale tattica off-page, ma ci sono anche altre attività che si possono portare avanti, come il content marketing, i social media, la comparsa sui podcast, le recensioni, le citazioni locali e altro ancora.
Nell’ambito della propria strategia online è necessario conoscere le prestazioni del proprio sito web oltre a un’ampia mole di dati che si possono utilizzare per aumentare la visibilità e il traffico organico delle pagine.
Google Search Console è lo strumento che ci offre un valido aiuto in tal senso ed è possibile imparare ad usarlo grazie alle risorse gratuite messe a disposizione da Google Support.
Google Analytics è uno strumento di analisi gratuito che consente di visualizzare dati e approfondimenti su quante persone stanno visitando il tuo sito, chi sono e come interagiscono con esso. Anche in questo caso Google mette a disposizione risorse gratuite per imparare ad usarlo nel modo più corretto.
Lo scopo di una sitemap è aiutare i motori di ricerca a decidere quali pagine devono essere sottoposte a scansione e quale è la versione canonica di ciascuna.
La sitemap è composta da un elenco di URL che specificano il contenuto principale del sito per assicurarsi che venga sottoposto a scansione e indicizzato.
Google supporta diversi formati di sitemap, ma XML è il più usato. In genere, troverai la sitemap del tuo sito su https://www.dominio.com/sitemap.xml.
Dopo aver creato la sitemap è necessario assicurarsi che sia stata inviata ai motori di ricerca.
Se si sta realizzando un sito in WordPress, come nella maggior parte dei casi, è necessario installare un plugin SEO per gestire tutte le aree di miglioramento che il tool ci propone.
In questo modo si possono tenere sotto controllo i principali parametri della nostra strategia di ottimizzazione e, in particolare, la nostra keyword, la meta description, il SEO Title, attributi alt delle immagini, link interni e link esterni nonché la presenza della keyword nel contenuto e la sua frequenza di distribuzione.
Questi plugin sono molteplici e, ognuno, prevede piani gratuiti e a pagamento a seconda delle funzioni che si desidera utilizzare per implementare la propria strategia SEO. Come ad esempio creare o modificare File Robots.txt.
File Robots.txt e Crawlability
Molto semplicemente, il file robots.txt del sito comunica ai crawler dei motori di ricerca le pagine e i file che i crawler web possono o non possono richiedere al tuo sito.
Si utilizzano i File Robots.txt per impedire la scansione di alcune sezioni del sito impedendone la visualizzazione su Google. Per sapere se su un sito è attivo basta utilizzare la stringa https://www.dominio.com/robots.txt.
La Crawlability, invece, descrive la capacità del motore di ricerca di accedere ad un sito ed eseguire la scansione del contenuto di una pagina. Se un sito non presenta problemi di scansione, allora i web crawler possono accedere a tutti i suoi contenuti facilmente, seguendo i collegamenti tra le pagine.
Utili consigli per una checklist SEO di successo
La SEO tecnica è quell’area di attività che attiene, appunto, agli elementi tecnici di un sito. La prima cosa da fare è assicurarsi che si stanno utilizzando certificati di sicurezza come gli HTTPS, individuato come fattore di ranking dal 2014. Bisogna poi verificare che non vi siano pagine duplicate come https://www.dominio.com, https://dominio.com, http://www.dominio.como https://dominio.com.
La versione più comune è la prima. Tutte le altre devono avere un redirect 301 che rimandino al principale. La velocità del sito è fondamentale: è qui che si gioca una partita importante. Un sito lento scoraggia gli utenti che progressivamente abbandoneranno il sito facendo aumentare vertiginosamente il bounce rate del sito. Uno strumento come questo può essere utile per valutare le performance del sito.
L’ultimo consiglio della nostra checklist SEO di successo? Rendere il sito particolarmente dinamico anche sotto il profilo dei contenuti e, quindi, sempre aggiornato. Occhio, ovviamente, a evitare fenomeni di content inflation puntando a contenuti efficaci e di qualità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/SEO-Pillar-Post-Art-.png6281200Luca Arlottohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Arlotto2023-04-28 15:00:122023-05-02 10:26:54I segreti per una checklist SEO di successo
La Brand Advocacy è il sostegno incondizionato che i clienti offrono al brand e rappresenta oggi un fattore più importante che mai per la crescita a lungo termine di ogni business ed è raggiungibile attraverso una efficace strategia di Brand Loyalty.
Sono infatti già molti i brand manager e i CEO di tutta Europa a ritenere fondamentale per il business guadagnare e mantenere la fedeltà dei consumatori.
Per sottolinearne l’importanza, Territory Influence ha raccolto alcuni dati da vari brand manager di diversi settori in tutta Europa che mostrano il loro punto di vista su:
cosa la Brand Loyalty significhi per loro e per i loro brand;
ruolo dell’esperienza nel promuovere la fedeltà;
come gli influencer abbiano aiutato i loro brand ad aumentare la fedeltà delle persone.
Dai dati raccolti risulta che:
il 75% dei consumatori è leale ad almeno un brand;
il 60% dei consumatori consiglierebbe i brand a cui è fedele ad amici e parenti.
Ma quando parliamo di brand loyalty cosa intendiamo esattamente? Cosa comporta e come si acquisisce? Vediamolo insieme punto per punto.
Possiamo definire la Brand Loyalty come la tendenza di alcune persone a continuare ad acquistare la stessa marca di prodotti invece che da marchi concorrenti.
I clienti che possono essere ritenuti fedeli al marchio si distinguono poiché ritengono che un determinato marchio rappresenti una qualità e un servizio superiore rispetto a qualsiasi concorrente a dispetto di quale potrebbe essere il prezzo, fattore che perde di importanza alla luce di una acquisita fedeltà al brand.
Per misurare la Brand Loyalty possiamo usare tre elementi o metodologie:
la fidelizzazione del cliente;
il valore della vita del cliente;
sondaggi sulla soddisfazione del cliente.
Ma quali sono gli elementi imprescindibili per fidelizzare i nostri clienti? Vediamolo insieme.
Come si crea una Brand Loyalty strategy efficace
Sono tante le metodologie utili che possono essere impiegate per la creazione della Brand Loyalty.
In questo articolo abbiamo raccolto alcune delle strategie più utilizzate.
Punta sulla qualità
La qualità è la caratteristica principale che un prodotto o servizio deve avere per puntare a creare una brand loyalty.
Potenzia il servizio clienti
Garantire che i clienti ricevano sempre un servizio di assistenza ottimale è un investimento che aumenta il livello di fedeltà al marchio.
Utilizza Brand ambassador
Un ambasciatore del marchio è fondamentale per facilitare il processo di brand loyalty ed è possibile se questo ha una conoscenza approfondita del prodotto o servizio di cui si fa portavoce oltre che una community in target fidelizzata. Si parla in questi casi di influencer.
Crea una community
Creare una comunità online è utile per la promozione dellabrand loyalty e questo vale in qualunque settore.
Perché la Brand Loyalty è importante e quali sono i vantaggi
Il motivo principale per cui la Brand Loyalty è considerata così importante è semplice ed è legato alla redditività del business.
Infatti i dati mostrano come:
il 65% delle entrate nella maggior parte delle aziende proviene da rapporti commerciali ripetuti con i clienti già acquisiti;
i clienti esistenti fedeli ai marchi acquistano il 90% più frequentemente rispetto ai nuovi clienti.
Inoltre un fattore aggiuntivo per cui la brand loyalty è conveniente per il business consiste nel fatto che mantenere il cliente fedele al marchio è un’operazione molto meno costosa rispetto alle strategie di marketing da seguire per attirare nuovi clienti.
Riguardo invece ai vantaggi che si possono avere nell’investire nella brand loyalty possono tradursi in particolar modo in due fattori:
maggiori numero di acquisti ripetuti dagli stessi clienti che percepiscono la marca come migliore rispetto alla concorrenza;
crescita dei ricavi ottenuti dal brand;
ogni consumatore fedele parlerà bene del brand promuovendolo in prima persona;
Come aumentare la Brand Loyalty con l’Influencer Marketing
L’influencer marketing permette più di ogni altra cosa di promuovere un brand costruendo la Brand Loyalty grazie ad una persona che si fa portavoce del brand trasmettendo caratteristiche del servizio o prodotto, ma anche valori dell’azienda e lo fa alla sua community, ovvero un numero significativo di persone che la seguono per un rapporto di fiducia creato.
Per questo motivo è essenziale che il portavoce abbia caratteristiche precise e adatte alla promozione del brand.
Le principali caratteristiche quindi, a cui porre attenzione nella creazione di una influencer marketing strategy possono essere riassunte nella scelta dell’influencer più adatto che dovrebbe avere:
una community fidelizzata;
un target di followers in linea con il brand da promuovere;
una conoscenza o competenza specifica nel prodotto o servizio di cui si fa portavoce.
A poter contare su queste caratteristiche non sono solo i macro influencer, ma anche quelli definiti come nano e micro influencer, ovvero persone seguite sui loro profili social da un numero inferiore di utenti purché questi siano in target con gli argomenti trattati dall’influencer e da quanto offerto dall’azienda di cui questo si fa portavoce.
Questi sono alcuni ma non tutti gli elementi da considerare per la costruzione di una strategia di Influencer Marketing che porti alla costruzione della brand loyalty e conoscere tutti gli elementi è un fattore essenziale per creare una strategia in linea con le aspettative desiderate.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/brand-loyalty-territory-influence.jpg436964Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2023-04-26 14:49:282023-04-26 14:49:28Come guadagnare e mantenere la fedeltà dei clienti sul lungo periodo
In questa settimana di aprile che ha ospitato il terzo appuntamento del Ninja Wrap Up, abbiamo provato a riportare gli individui al centro e a enfatizzare il loro bisogno di sentirsi parte di un gruppo e diventare una community, grazie alla partecipazione di Bernard Cova, sociologo e marketer di grande spessore.
Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.
Secondo Cova, grazie al Marketing Tribale ci si distacca dalla visione economicaper avvicinarsi a quella antropologica, dove al centro sono posti gli individui ed il bisogno di riconoscimento e autodeterminazione all’interno della comunità.
“I brand forti sono quelli che possono contare su una community“, ha detto. “L’argomento centrale non è più creare delle comunità, ma come monetizzare le comunità che esistono“. Ascolta qui un breve estratto del suo intervento.
Tra gli ospiti dell’appuntamento, anche Carlotta Calegari, WeRoad Community & Marketing Specialist, Ignazio Morici, Marketing Manager Power2Cloud e Gianluca Perrelli, CEO Buzzoole. Iscriviti qui per rivedere il Wrap Up.
Notizie da Twitter: licenziati 6500 dipendenti
Da quando Twitter è stata acquisita da Musk a fine ottobre 2022, sono stati licenziati circa 6.500 dipendenti. Quasi i tre quarti dello staff. A riferirlo è lo stesso patron di Tesla, in un’intervista alla Bbc, in cui Musk, ha difeso le sue scelte: “Twitter sarebbe andato in bancarotta se non avesse tagliato i costi immediatamente. Non è una situazione indifferente: perché se l’intera nave affonda, allora nessuno avrà un lavoro“.
Notizie della settimana: Open AI, fino a 20 mila dollari per scovare bug
Una volta appurato il bug, l’organizzazione si impegna a pagare premi fino a 20 mila dollari in caso di vulnerabilità importanti.
Le aziende vogliono dipendenti influencer
L’influencer professionista potrebbe presto diventare un lavoro per il quale è possibile candidarsi presso alcune aziende. Lo riporta Forbes citando alcuni esempi illustri:
Cisco sta offrendo una formazione a tutti i suoi 83.000 dipendenti affinché agiscano come influencer di talento, e permette persino ai lavoratori di occuparsi dei social aziendali per un giorno.
United Airlines ha un team di 50 influencer interni, che vanno dagli assistenti di volo agli addetti ai bagagli.
Ericsson forma i dipendenti su come ottenere più follower e come realizzare video.
Un fenomeno da non sottovalutare se si pensa che il 57% delle persone in cerca di lavoro utilizza i social media per scoprire le aziende.
Una città virtuale popolata con l’intelligenza artificiale
I ricercatori di Google e della Stanford University hanno spiegato in un documento del 7 aprile di aver costruito una città virtuale popolata da “agenti generativi” addestrati da ChatGPT. Lo scopo dello studio – che deve ancora essere sottoposto a revisione – era quello di creare una piccola società interattiva di robot AI ispirati a giochi di simulazione di vita come The Sims.
La società di 25 robot di intelligenza artificiale è stata osservata mentre si svegliava, cucinava la colazione, andava al lavoro, a pranzo con gli amici e organizzava persino una festa.
Alibaba lancia nuova alternativa a ChatGpt
Si chiama Tongyi Qianwen, che letteralmente significa “verità da mille domande”, ed è un software LLM (cioè Large Language Model) pensato come assistente personale che può redigere lettere, pianificare itinerari di viaggio e consigliare sugli acquisti.
Inizialmente sarà integrato in DingTalk, l’app di messaggistica utilizzata dai dipendenti di Alibaba. e potrà operare in lingua cinese e inglese.
I dati europei a rischio su TikTok
Chi usa TikTok può essere vittima di spionaggio di dati? Secondo molti (inclusa la UE) sembra di sì. Sul tema, abbiamo intervistato Lorenzo Castellani, politologo e professore di Storia delle Istituzioni Politiche all’università LUISS Guido Carli.
Secondo quanto riportato recentemente da Reuters, alcuni lavoratori dell’azienda avrebbero condiviso immagini sensibili registrate dalle auto dei clienti. Le registrazioni private delle telecamere, catturate dalle auto, sarebbero state condivise nelle chat room interne.
Ma l’azienda si difende: “Le telecamere sui veicoli hanno il solo scopo di assistere la guida e sono progettate da zero per proteggere la privacy. Tutte le registrazioni effettuate rimangono anonime”.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/griglia-immagine-di-copertina.jpg427854Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-17 12:09:442023-04-19 09:39:39Bernard Cova, i licenziamenti di Twitter, i video rubati di Tesla e le altre notizie della settimana
Il marketing tribale fa parte di quelle pratiche unconventional che hanno coinvolto le più innovative strategie rispetto agli approcci convenzionali.
Uno dei padri di questo filone è il sociologo Bernard Cova, professore di marketing presso la Kedge Business School di Marsiglia e già professore dell’Università Bocconi di Milano che insieme a Mirko Pallera e Alex Giordano, è autore del libro “Marketing Non Convenzionale. Viral, Guerrilla, Tribal e i 10 principi fondamentali del marketing postmoderno.”
Nel libro, Cova, Pallera e Giordano ci parlano di uno Sturm und Drang che rivoluziona i vecchi schemi di marketing kotleriani e si apre ad una nuova era creativa in cui le strategie si fondano su tecniche non convenzionali come quelle virali, le azioni guerrilla e tribali.
Bernard Cova è un marketer di grande spessore, considerato uno dei pionieri nel settore del consumo collettivo dagli anni ’90 che ha spianato la strada ad un diverso approccio al marketing basato più sul tribal e sul societing rispetto al tradizionale marketing di stampo anglosassone.
Ed il societing offre una nuova visione del consumatore che non è più percepito come il “target” da scovare e colpire, ma come una parte del dualismo cliente-brand che collabora in modo attivo nel processo dell’esperienza d’acquisto.
Bernard Cova al Ninja Wrap UP #3
Bernard Cova, uno dei papà del Marketing Tribale, terrà una Masterclass gratuita in esclusiva per la Ninja Tribe.
Il tema di questo nuovo appuntamento è: Da Brand Tribe a Subscription: trasformare una community in abbonati.
Mercoledì 12 aprile ti spiegheremo come valorizzare le relazioni tra gli individui e convertire una community in membership grazie al marketing tribale.
Partecipare è semplicissimo: basta registrarsi a questo link per essere tra i primi ad approfondire e sperimentare le più recenti novità del mondo digital.
Cos’è il Marketing Tribale di Cova
Siamo nel campo dell’unconventional e la strategia di marketing si propone di creare una comunità intorno al prodotto o al servizio che intende pubblicizzare.
Questo tipo di approccio è definito dai vari esponenti, tra cui il principale teorico del tribalismo è proprio Bernard Cova, come mediterraneo, in rottura rispetto al tipico approccio nord-americano.
Il focus nel marketing tribale si sposta dallo stabilire un legame biunivoco con il consumatore al conservare il legame tra i consumatori in cui l’importanza è attribuita al sentimento comunitario e alla necessità di stabilire relazioni sociali arcaiche che rimandano al concetto di tribù, supportandone la crescita e l’autoidentificazione.
La tribù è formata da un complesso trasversale di individui che pur mantenendo le proprie caratteristiche socio-demografiche, condividono emozioni ed interessi che girano attorno al concetto e agli ideali, distaccandosi dal materialismo vero e proprio del prodotto.
Ed in questo senso, il brand attraverso la sua espressione costruisce e potenzia i legami tra gli individui.
Questo approccio nell’ultimo decennio sta prendendo sempre più piede tra le aziende ed i brand si fanno portavoce di esigenze individuali e sociali in cui gli individui trovano la propria identità e la propria capacità di espressione.
La Fedeltà di Marca secondo Bernard Cova
Per Cova il punto centrale è la fidelizzazione al brand il cui ruolo è, dunque, quello di fungere da aggregatore di valori e stili di vita che rispecchiano l’unicità di ogni individuo.
Il tempo del prodotto al centro è terminato: la funzionalità, le caratteristiche di beneficio e differenziazione materiale lasciano il posto alle emozioni, all’espressione del sé e all’unicità del senso di appartenenza dell’individuo post-moderno.
Il prodotto acquistato non è più la risultante delle sue caratteristiche vantaggiose ma della rappresentazione di un insieme valoriale in cui il novo consumatore si rispecchia.
Un esempio è dato dall’acquisto di un oggetto che abbraccia una scelta di vita o una buona causa: non stiamo comprando il prodotto di per sé ma implicitamente acquistiamo un valore, un ideale, rappresentato dall’oggetto.
I braccialetti di plastica riciclata racconta dagli oceani e proposta dal brand 4ocean ne sono la prova.
Secondo Cova, grazie al marketing tribale ci si distacca dalla visione economicaper avvicinarsi a quella antropologica dove al centro sono posti gli individui ed il bisogno di riconoscimento e autodeterminazione all’interno della comunità.
In questo senso la scelta di acquisto di un prodotto raggiunge il grado più alto di fedeltà alla marca. Il legame costruito tra brand e individuo si dimostra solido e viene rafforzato (o demolito) dalla potenza relazionale della tribù.
Bernard Cova afferma inoltre che il marketing tradizionale one-to-one è individualistico ed in quanto tale è limitato poiché cerca una relazione con il consumatore senza tener conto della parte emozionale che non viene condivisa dai due lati.
Sempre più individui necessitano infatti di relazioni personalizzate incentrate sulle emozioni che vanno al di là della semplice vicinanza ed a cui il marketing tribale risponde creando e supportando relazioni tra più consumatori.
E qui il marketer ci fa notare le fondamentali differenze tra il marketing classico-individualistico e quello tribale: il primo lavora sulla relazione brand-cliente e sulla costruzione di una fedeltà cognitiva; il secondo invece lavora sulla relazione cliente-cliente e sulla costruzione da parte del brand di collegamenti a supporto dei clienti per creare una fedeltà affettiva.
Il Potere dei Collegamenti Social
In una strategia tribal, i social network hanno un ruolo importante: rappresentano una piazza virtuale in cui gli individui vengono coinvolti dal brand nella creazione di confronti e discussioni sul prodotto. Una comunità di individui che ha poteri fortissimi: può infatti trascinare nuovi individui nel flusso emotivo e quindi nella fidelizzazione al brand; allo stesso tempo può abbandonare il brand, come per l’effetto domino, se questo si dimostra incoerente con i valori espressi. Un lavoro molto duro per i brand che ancora di più oggi devono essere capaci di trasmettere trasparenza, coerenza e continui stimoli emotivi positivi.
Ma non solo: devono essere attenti al mood delle interazioni tra gli individui e attenti a supportare le azioni che le tribù intraprendono nei confronti dell’azienda.
I consumatori online difatti risultano più attivi, comunitari, partecipativi ed anche oppositivi.
La passione che li accomuna ad un brand si tramuta in uno scambio di competenze tali da trasformare le tribù in una forza capace di veicolare azioni di marketing, quasi più dell’azienda. Le tribù si autoproclamano garanti dell’autenticità del brand anche grazie alla condivisione delle proprie esperienze e sperimentazioni. Basti pensare alla nicchia degli Harley-Davidson lover o ai fanatici di Star Wars.
Questi ultimi, ad esempio, producono e si scambiano film amatoriali ispirati alla serie; l’azienda Lucasfilm invece di opporsi, premia la loro passione fornendo online contenuti video e audio da inserire nei film “fatti in casa”.
Relazioni emotive, condivisione di valori, intenti e supporto alla passione delle comunità: una rivoluzione che penetra affettivamente nell’anima dei consumatori, anzi delle tribù.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/Bernard-Cova-tribal-marketing.jpeg6001200Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2023-04-11 17:05:572023-04-13 10:57:12Il marketing tribale secondo Bernard Cova: cos'è e come si fa
Il Ninja Wrap Up nasce per mettere insieme la potenza informativa e di Intelligence Ninja con la profondità dell’Alta Formazione. Si parte infatti da un condensato delle principali notizie Digital del mese – tra quelle selezionate ogni giorno dalla Redazione dalle più autorevoli fonti internazionali – per poi commentarle con i migliori esperti del settore e renderle applicabili concretamente.
Se ti impegni costantemente per restare al passo con le novità che impattano sulla tua professione, ma vorresti andare oltre il livello superficiale della notizia e affidarti a chi ne sa qualcosa per esperienza diretta, il Ninja Wrap Up è l’appuntamento mensile di cui ha bisogno per unire tutti i punti e imparare ad applicare nelle tue attività quotidiane nuovi trend e funzionalità, tool e best practice del Digital.
Si parte infatti da un condensato delle principali notizie Digital del mese, tra quelle selezionate ogni giorno dalla Redazione dalle più autorevoli fonti internazionali, per poi commentarle con i migliori esperti del settore e renderle applicabili concretamente.
Ninja Wrap Up #3: temi e ospiti
Il tema di questo nuovo appuntamento è: Da Brand Tribe a Subscription: trasformare una community in abbonati.
Mercoledì 12 aprile ti spiegheremo come valorizzare le relazioni tra gli individui e convertire una community in membership grazie al marketing tribale.
Bernard Cova, l’inventore del Marketing Tribale, terrà una Masterclass gratuita in esclusiva per la Ninja Tribe.
Cova è tra i professori di marketing più importanti del mondo e tra i più grandi esperti di Brand Tribes. Oggi Professore di Sociologia del Consumo e Marketing presso la Kedge Business School in Francia e Visiting Professor all’Università Bocconi di Milano, ha il merito di aver applicato per la prima volta la teoria delle tribù del sociologo Michel Maffesoli al marketing, ideando il concetto di community unita intorno a una marca.
Il programma e gli ospiti
Ecco cosa troverai nel Ninja Wrap Up #3:
ore 12:30 – 13:00
I take away dei marketer per il mese di marzo – Ninja Team
ore 13:00 – 13:30
Il ruolo delle brand community nella toolbox dei marketer – Bernard Cova
ore 13:30 – 14:00
Da Ninja Marketing a Ninja: evoluzione di una brand tribe – Mirko Pallera
ore 14:00 – 14:30
Convertire una nicchia di interessi in micro-community .- Gianluca Perrelli
ore 14:30 – 15:00
Dietro le quinte di un modello di business in subscription – Ignazio Morici
ore 15:00 – 15:30
I fattori di successo del Community Management – Carlotta Calegari
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/Bernard-Cova.jpg607850Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-06 10:59:422023-04-07 09:55:36Ninja Wrap Up #3: come si trasforma una community in abbonati
Salesforce ha annunciato i risultati finanziari dell’anno fiscale da poco concluso che hanno visto il fatturato globale crescere su base annua del 18% raggiungendo così i 31,4 miliardi di dollari con un margine operativo del 22,5%.
A questa crescita ha contribuito significativamente anche l’Italia, che si conferma al quarto posto in EMEA e all’Ottavo nel mondo per volume d’affari.
“In un momento di mercato estremamente difficile, le aziende devono concentrarsi sempre di più sulla conoscenza dei propri clienti in modo da alzare il livello della relazione. Oggi abbiamo a disposizione le tecnologie per riuscire ad anticipare i bisogni dei consumatori che è esattamente quello che le persone stanno chiedendo – ha commentato Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce per l’Italia. – In questo modo ogni azienda può diventare una Customer Company e mantenere alta la fiducia del cliente. È quello che in Salesforce facciamo da sempre con il fondamentale contributo di tutto l’ecosistema”.
Anche in questo anno appena trascorso i partner sono aumentati sia in numero sia in qualità con un numero di certificazioni (4700) che mette l’ecosistema Italiano al secondo posto in EMEA per numero di certificazioni.
Un ecosistema che lo scorso anno ha visto la nascita della figura dei Cloud Reseller. Sono già 10 le aziende Italiane che hanno deciso di investire in risorse e competenze per creare dei team dedicati alla rivendita di soluzioni Salesforce sul mercato italiano.
Ma per Salesforce ecosistema va ben oltre al concetto di partnership commerciale e tecnica.
“Il nostro ecosistema sta crescendo costantemente, sono ormai 6000 le persone certificate all’interno dei nostri clienti e partner – ha spiegato Solimene. – Sul mercato vediamo sorgere opportunità che solo aziende lungimiranti possono cogliere. Non a caso tocchiamo con mano situazioni in cui i ruoli sono sempre più liquidi: molti partner sono gia’ clienti, ma spesso le aziende clienti lanciano attraverso la nostra piattaforma dei nuovi business e diventano a loro volta rivenditori di Salesforce”.
Un elemento chiave che conferma che l’Italia nel mondo Salesforce sta acquisendo sempre più importanza, è l’investimento da parte dell’azienda su Trailhead, la piattaforma di eLearning gratuita su cui è possibile acquisire competenze digitali e più specifiche su Salesforce, e che da quest’anno è stata resa disponibile anche in lingua italiana.
Gli investimenti di Salesforce sull’acquisizione di competenze e sulla formazione hanno sempre assunto un ruolo fondamentale all’interno dell’azienda e acquistano dimensioni sempre più importanti. È infatti tra gli obiettivi dell’azienda quello di cercare di unificare lo scollamento tra le competenze di cui le aziende hanno bisogno e quelle attualmente utilizzate dalla forza lavoro.
“Per noi è importante sapere che ogni giorno possiamo apportare il nostro contributo per far sì che tutti possano acquisire le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro e costruire la propria carriera, anche da zero. Con Trailhead, da quest’anno disponibile anche in italiano, tutto questo è ancora più possibile” ha concluso Mauro Solimene.
Noi Ninja abbiamo partecipato all’incontro “Salesforce chiama Italia” e abbiamo fatto qualche domanda a Mauro Solimene.
Quanto è complesso integrare un valore importante come la sostenibilità in una organizzazione grande come Salesforce?
«In questo momento e soprattutto dopo la pandemia, che ha cambiato un pochino le nostre coscienze, la sensibilità del cliente è aumentata moltissimo rispetto a questi temi. La strategia di sostenibilità diventa fondamentale in ogni azienda. Noi, con i nostri sistemi CRM, aiutiamo le aziende a rendere edotto il cliente della strategia di sostenibilità e a diffonderne la conoscenza».
Sui dati si costruiscono relazioni e fiducia. Come sta cambiando la percezione dell’importanza di queste risorse all’interno delle organizzazioni?
«Sta cambiando su due fronti: da parte delle organizzazioni, che si rendono conto che raccogliere una quantità di dati, selezionarla e intepretarla significa poter customizzare e rendere un miglior servizio al cliente personalizzando l’interazione. Dal lato dei clienti, abbiamo un pochino sfatato il mito dei nostri dati persi chissà dove: siamo sicuramente molto attenti a cedere i dati del nostro ego digitiale e li cediamo solamente a soggetti dei quali ci fidiamo. Ma a questi soggetti li cediamo molto volentieri, perché sappiamo che li utilizzeranno per meglio servirci».
Entrare in contatto con i clienti è più difficile che mai. Come si diventa una Customer Company?
«Diventare una Customer Company è un lavoro scientifico. La Customer Company è un’azienda che ha un rapporto di lunga durata, basato sulla fiducia, a 360 gradi con i propri clienti. È un’azienda che mette il cliente al centro e che si configura, si immagina, si struttura in funzione del servizio che vuole rendere a quel cliente. Quasi come costruire un’azienda per il cliente».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/salesforce-chiama-italia.jpg5451000Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-05 10:40:382023-04-06 11:12:09Salesforce, l’ecosistema italiano cresce e aiuta le aziende a diventare Customer Company
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