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Come fare onboarding di nuova generazione ed evitare i costi aziendali di un’esperienza negativa

  • Un quarto dei neoassunti in media non rimane più di un anno in azienda
  • Onboarding digitale, reale o ibrido? Le scelte strategiche per assicurare la retention di giovani e adulti
  • L’incontro cruciale tra generazioni e cultura del lavoro è proprio alla porta di ingresso in azienda

Il modo in cui le persone accedono o cambiano lavoro sta subendo grandi trasformazioni, così come le loro aspettative sui loro futuri luoghi e datori di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni. Dalle opportunità di sviluppo professionale e di crescita personale chiare e continuative, a un forte senso di scopo, i desiderata dei lavoratori del prossimo futuro sono sempre più incisivi, ma possono stimolare concretamente anche il cambiamento culturale dei modelli di lavoro in azienda.

Nel ciclo di vita aziendale, spesso si tende a sottovalutare un momento cruciale di incontro tra generazioni differenti: l’onboarding.

Il lavoro è oggi sempre di più il touchpoint reale in cui generazioni distanti hanno non solo modo di entrare in contatto (come avviene in maniera distante o addirittura facinorosa nelle discussioni sui social network), ma addirittura di collaborare insieme, molto più che nelle dinamiche di relazione familiare.

Oggi l’approccio all’onboarding in molte aziende non è molto strutturato. La maggior parte delle organizzazioni utilizza un approccio da “check list”, con una serie di pendenze organizzative da smarcare, informazioni da trasmettere, policy da dettagliare. Ma l’onboarding è molto più di un pacchetto informativo, di un manuale della qualità o di un programma introduttivo standard. Fare un onboarding destrutturato è estremamente negativo per le aziende, e negativo per le persone, soprattutto in questo momento storico così delicato, dove il contrasto culturale tra aspettative di generazioni diverse di lavoratori e datori di lavoro tende a emergere con estrema nitidezza.

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Employee e newbie si aspettano sempre di più dalle aziende e, se non si sentono connessi e coinvolti, facilmente potrebbero intraprendere nuove strade professionali, anche dopo pochi mesi di vita aziendale.

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L’impatto economico diretto e indiretto che un cattivo onboarding ha per l’azienda è molto elevato: ai costi del recruiting si sommano infatti quelli di formazione e upskilling dei neoassunti e tutti i costi amministrativi dei periodi di ingresso in azienda, insieme al tempo investito nel training e quello dedicato dai colleghi per il “percorso iniziatico” all’interno del contesto organizzativo.

Le criticità che un’esperienza negativa di onboarding può attivare sono molteplici, anche perché banalmente significa dover spendere nuove energie per un’attività che non si immaginava di dover sostenere ricominciando da capo il processo di selezione. Perdere un/una dipendente troppo presto è un problema reale (giovane o adulto che sia).

D’altro canto, se implementato con successo, l’onboarding può garantire un maggiore coinvolgimento, una prontezza organizzativa e una vera fidelizzazione tra azienda e neoassunti, minimizzando i livelli di stress e ovviamente migliorando performance, profitti e benessere generale.

Tuttavia, pochissime aziende adottano un approccio di onboarding ben disegnato e sfruttano solo una parte del pieno potenziale di questa fase cruciale dell’employee experience.

L’Onboarding del futuro (e del presente)

Secondo gli studi di Christian Harpelund:

  • il 25% dei nuovi assunti lascia l’azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si è dimesso entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per i nuovi assunti;
  • il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio;
  • l’average tenure, ovvero la media di tempo di permanenza in azienda per le nuove generazioni è inferiore ai 2 anni e le aziende con processi di onboarding strutturati e ben progettati riescono ad ottenere una produttività superiore del 54% dai loro nuovi assunti  contemporaneamente a un doppio livello di engagement.

Dalle sue ricerche emerge in maniera piuttosto costante che il costo di assunzione di un nuovo lavoratore arriva ad un break-even point dopo 6 mesi e se 1 su 4 “abbandona l’“aereo aziendale lanciandosi con il paracadute” in meno di 12 mesi, è facilmente comprensibile che il contributo che può dare al valore netto per l’organizzazione è davvero esiguo.

I dati si riferiscono a indagini sul mercato americano, pre-pandemia e prima delle dinamiche attivate dalla great resignation, ma già guardando a quei numeri è piuttosto tragico verificare che tra i giovani dimissionari si riscontra che un 20% prende questa decisione entro i primi 45 giorni e un 4% dopo il primo giorno di lavoro.

Nel mio riscontro personale ho avuto modo di sapere di alcuni casi di giovani che hanno addirittura stralciato la lettera di intenti già firmata per grandi realtà aziendali.

Secondo Headway, una società di consulenza per le risorse umane di Barcellona, il 75% dei nuovi dipendenti che decide di lasciare dopo 45 giorni confessa di non essersi sentito a proprio agio nella fase d’inserimento in azienda e il 67% afferma che la realtà aziendale non aveva molto a che fare con ciò che era stato spiegato loro prima di iniziare il proprio lavoro.

Harpelund insieme ai suoi collaboratori, in uno dei volumi più completi sul tema, “Onboarding: Getting New Hires off to a Flying Start” (2015), descrive un modello a 6 dimensioni che intreccia cultura, regole, rete, collaborazione, competenze e prestazioni per disegnare accuratamente il processo di ingresso dei nuovi assunti in azienda.

Tra le dinamiche osservate è interessante citare l’effetto “Honeymoon” che rappresenta una “curva emozionale” dei nuovi assunti che iniziano un nuovo lavoro, che percorre un tracciato prevedibile che va dall’alto al basso e poi di nuovo in alto durante il periodo di onboarding.

Quello che mostra questo effetto “luna di miele” è che i nuovi assunti iniziano sempre con molte aspettative e generalmente sperimentano un’energia e delle emozioni positive al principio del percorso, che però perde intensità entro i primi 3 mesi. Al di là delle diverse interpretazioni, è piuttosto ovvio che in questi primi mesi i nuovi assunti iniziano a conoscere la complessità del lavoro e del loro ruolo, creando un senso di attrito, che erode parte della spinta con cui avevano iniziato, ma ci spiega anche che ci vuole fisiologicamente del tempo per ristabilire l’energia e l’elevata esperienza emotiva.

Misurare questo effetto offre a un’organizzazione diversi vantaggi. In primo luogo, si può capire quando e dove incidere nel processo di supporto ai nuovi assunti. In secondo luogo, se si inizia riconoscere quando arriva la “pendenza” della curva, è possibile migliorare la definizione delle aspettative.

In altri ambiti internazionali, come ad esempio suggerisce SHRM, si tende a modellizzare gli aspetti chiave per un onboarding efficace attraverso le dimensioni della Compliance (ovvero il meccanismo con cui i dipendenti si conformano alle linee guida legali e organizzative all’azienda), della Clarification (quando l’azienda spiega ai dipendenti il lavoro e le aspettative sul ruolo), della Culture (che riguarda anche iter e prassi non scritte di tipo informale) e della Connection (ovvero la facilitazione delle connessioni e del networking interno al contesto organizzativo).

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Ma oltre all’allineamento con la missione, la strategia e le pratiche organizzative, vi sono degli aspetti cruciali che sono emersi distintamente nell’ultimo periodo che non possono più essere prescindibili: l’utilizzo della tecnologia per rendere più scorrevole e semplice l’inserimento dei nuovi collaboratori e proprio la configurazione di programmi che facilitino la creazione di reti all’interno dell’organizzazione; per aiutare i neo-assunti a superare le preoccupazioni personali e professionali all’inizio di un nuovo lavoro.

Favorire le dinamiche di socializzazione (all’interno o all’esterno del posto di lavoro) e l’innesco di dinamiche peer-to-peer o di buddy sono elementi importanti per costruire le reti, andando oltre i tradizionali perimetri gerarchici o di funzione.

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Molte di queste situazioni di solito si sviluppano in maniera naturale e non è sempre necessario assegnare un “buddy” in maniera forzata, ma può essere importante, ad esempio, mappare competenze e conoscenze di chi è a bordo per poterle offrire e metterle a disposizione dei nuovi arrivati, affinché le “reclute” possano orientarsi sul know who e sapere a chi fare riferimento per i diversi momenti del proprio percorso di inserimento.

Digitale o reale? Tra Remote Onboarding e Onboarding Bootcamp

Forse più che in altri esercizi di riprogettazione dei processi aziendali, l’onboarding può diventare un’ottima palestra di riconoscimento dei segnali distonici che l’organizzazione trasmette tra comunicazione esterna ed interna, di focus sulla cura della reputazione e dell’attenzione ai valori e ai significati del lavoro (che abbiamo visto anche in altre occasioni non sono più un “nice to have”), di capacità di distinguere nei contenuti di un processo quelli che possono essere pre-registrati e digitalizzati, da quelli che inevitabilmente avranno bisogno dello “human touch” e probabilmente della presenza fisica.

Sono tantissimi i neoassunti che nel periodo della pandemia hanno lamentato la difficoltà di integrarsi ed entrare nella sintonia aziendale solo esclusivamente attraverso il “full remote” e il lavoro a distanza. Ma è altrettanto vero che il remote onboarding può essere mantenuto in parte per permettere ai nuovi arrivati di “studiare” e informarsi su tutti quei contenuti di carattere pratico, sulle policy, sugli organigrammi, sui progetti ma anche sulle storie delle persone e sugli aneddoti aziendali.

Detto questo anche l’onboarding, come le altre pratiche aziendali per provare a direzionarsi verso un futuro trasformativo, non può che essere centrato sul people caring, sul wellbeing e sulla work-life integration, perché per cogliere le nuove sfide con i nuovi arrivati, ogni azienda deve mettersi (e metterli) nelle condizioni di poter dialogare in modo inclusivo.

Non a caso, tra  le best practice di onboarding che solitamente vengono segnalate c’è quella di Facebook (Meta), che con un vero e proprio Bootcamp di 6 settimane ha l’obiettivo di portare la cultura aziendale ai nuovi assunti e dove, durante il processo, i dipendenti hanno la possibilità di connettersi alla missione dell’azienda e coltivarne i principi per iniziare a essere da subito produttivi e armonizzati con il contesto di riferimento.

C’è un passaggio fondamentale che andrebbe sottolineato in questo frangente. La cultura è complessa perché può essere invisibile: se un nuovo dipendente deve essere ben inserito in una cultura organizzativa, è necessario che l’organizzazione se ne curi attivamente e si sforzi di renderla visibile, chiara e senza fraintendimenti di linguaggio e azioni.

Senza scomodare troppo i modelli di Edgar Schein sugli “strati” della cultura organizzativa, è palese che l’onboarding non può riguardare solo gli “Artefatti” culturali visibili e (dove si riesce a rappresentarli efficacemente) i Valori aziendali.

Sono proprio gli “Assunti” sotto la superficie culturale della piramide ribaltata di Schein su cui oggi si gioca la partita della retention, ma anche dell’attraction di nuove leve: poiché l’unicità di certe dinamiche culturali può davvero caratterizzare in maniera distintiva un’azienda al posto di un’altra, e può essere il motivo per comunicare autenticamente alle nuove generazioni in maniera vincente, oltre che ad assottigliare le possibilità di disillusione e di gap che abbiamo descritto in principio.

Forse serve davvero l’antropologo o l’etnografo cultura in azienda, poiché la cultura è complessa e perché può essere inconscia. È l’ironia delle norme di cui spesso siamo inconsapevoli finché gli altri non le seguono: improvvisamente diventano visibili a tutti e si formano proprio a partire da quei comportamenti che spesso non sono osservati ed esplicitati.

Spesso, queste distonie tra regole e comportamenti formali e informali, emergono con forza proprio al momento dell’onboarding e dell’avvicendamento di culture “esterne” che subentrano nell’organismo organizzativo. E sia le “norme” che abbiamo come organizzazione, sia le “norme” che il nostro nuovo assunto porta con sé, hanno a che fare con l’inclusione culturale e… generazionale.

Intergenerazionalità e storytelling nelle nuove strategie di onboarding

Pensateci per un secondo. Ogni volta che si parla di “ricambio generazionale” in azienda o di importanza di trasmettere la cultura organizzativa dei “senatori” aziendali c’è alla base il momento cruciale dell’onboarding.

Fino a qualche tempo fa era consueto anche sentir parlare di “aziendalizzazione” dei nuovi assunti, un termine infelice ma che rappresentava significativamente che per fare un percorso evoluto di carriera in un contesto organizzativo di una certa rilevanza in termini numerici, era necessario acquisire un mindset allineato ad una determinata cultura organizzativa, poiché il mondo aziendale sa essere,se vuole, un mondo a sé stante e anche piuttosto scollato dalle altre realtà del lavoro.

Come abbiamo visto il paradigma ha però bisogno di cambiare per evitare una fuga prematura dei nuovi assunti, in un contesto di mercato così fluido ma anche fragile. Abbiamo visto quanto sia rilevante indagare gli assunti organizzativi più profondi e le dinamiche etnografiche per raccontarle e trasmetterle con autenticità ed efficacia alle nuove generazioni.

Ma proprio perché di conflitto generazionale si tratta, tra una cultura del lavoro che ha dei valori maturati in decine di anni di azienda, a volte tramandate direttamente dai fondatori o dai padri dei fondatori con quelle nuove, acerbe, ma inevitabilmente più vicine al presente e alla realtà, il lavoro da compiere è proprio quello di mettere in contatto queste anime culturali dell’azienda per poter disegnare un onboarding che tenga conto dei principi e dei valori da tramandare, delle buone pratiche e dei rituali di successo, ma anche dello stile giusto per poter raggiungere al meglio il cuore e la mente di chi inizia un percorso in un nuovo contesto ambientale.

Come nei trasferimenti all’estero è fondamentale la relazione con i nativi e le loro storie, anche nell’onboarding diventa imprescindibile lo storytelling come strumento di inclusione culturale.

Raccontare gli aneddoti, le vicissitudini, le imprese che team di lavoro o intere funzioni sono riuscite ad affrontare dalla viva voce dei protagonisti è una ricchezza immensa. Avere una “mediateca” di queste storie da far fruire ai neofiti, giovani o adulti che siano, può essere una leva strategica non indifferente. Magari attraverso il potere dell’ascolto e del podcasting, oppure attraverso momenti di buddy time dedicati alle narrazioni, o anche solo attraverso la possibilità di sviluppare un networking sociale strutturato all’interno dell’organizzazione.

Ma permettiamo in azienda di far disegnare tutto questo a senior e junior insieme. Giovani che hanno appena vissuto la candidate experience e possono segnalare tutti i touchpoint di miglioramento del processo, del linguaggio e degli stili da rendere meno “cringe”, insieme ad adulti di lungo corso aziendale o opinion leader informali di tutte le generazioni che possano veicolare appieno la ricchezza dell’esperienza lavorativa e del micro-universo di ogni realtà.

Ogni azienda può essere è un vero e proprio romanzo da suggerire a chi la vuole studiare in profondità.

intervista a kevin roberts al wobi 2021

Intervista a Kevin Roberts: per abbracciare il cambiamento devi perdere il controllo

Quella che stai per leggere è una di quelle interviste che rimangono nel cassetto per un po’ di tempo, in attesa di trovare il momento giusto per essere pubblicate, o di avere il giusto spazio nella frenetica programmazione redazionale. Eppure le parole che Kevin Roberts, storico CEO di Saatchi & Saatchi e ora leader dell’agenzia di consulenza Red Rose Consulting, sono di quelle che andrebbero lette e rilette, quasi come un classico della letteratura, perché dentro è possibile scoprirci sempre qualcosa di nuovo.

Kevin Roberts è colui che ha inventato l’idea di lovemarks, ossia di quei marchi a cui siamo legati da una relazione affettiva, da un rapporto che coinvolge tutti i nostri sensi, e che sono capaci di instaurare un senso di lealtà, in grado di attrarci al di là di ogni forma di razionalità, economica o pratica. Parliamo quindi di puro marketing.

Quando lo abbiamo incontrato, durante l’edizione 2021 del WOBI, le gambe un po’ tremavano, ma come tutti i Grandi ci ha messo subito a nostro agio, con una battuta e i suoi modi gentili. Contestualizzare con questo grado di dettaglio ci serve a sottolineare che questo è uno di quei casi in cui forma e sostanza sono un tutt’uno e in quest’ottica andrebbero lette le parole che seguono, le indicazioni, i concetti e i pensieri che questo guru del marketing ci ha regalato.

intervista a kevin roberts - wobi

Cambiamento e creatività per coinvolgere le persone

Come possiamo creare una cultura delle idee e come possiamo identificare una grande idea tra centinaia di idee non significative?

«Viviamo nell’era delle idee, ma negli ultimi due anni è stato piuttosto difficile per noi andare avanti. Non possiamo tornare a una nuova normalità, come in tanti avevano annunciato dopo la prima fase della pandemia. Siamo tutti cambiati, abbiamo tutti nuove storie e l’unico modo per andare avanti è il cambiamento.

Ci sono tre tipi di cambiamento:

  • incrementale, cioè un miglioramento continuo come il kaizen giapponese;
  • trasformazionale;
  • dirompente.

Dobbiamo sapere quale di questi tipi di cambiamento adottare. La cosa più importante per tutti noi, in ogni caso, è la creatività.

Ma che cos’è la creatività esattamente?  È la capacità di guardare qualcosa, la stessa cosa che guardano tutti, ma pensare qualcosa di diverso.

Pensare qualcosa di diverso inizia con una regola: come aziende dobbiamo imparare a fallire velocemente, imparare velocemente e risolvere velocemente, quindi dobbiamo avere il coraggio di fallire e imparare bene.

Solo in questo modo le idee possono fiorire. Si tratta, in fondo, di tornare un po’ bambini, a quando eravamo molto creativi perché ognuno vedeva le cose a modo proprio, in modo diverso. Solo dopo, a scuola, nelle università, nelle aziende, siamo stati addestrati. Quando avevi cinque anni eri molto creativo perché vedevi le cose e le vedevi in modo diverso, ma poi sei stato addestrato a vedere le cose nello stesso modo di tutti gli altri.

Oggi, abbiamo bisogno di creare una cultura in cui vada bene anche fallire. Solo fallendo, si impara e si diventa capaci di aggiustare il tiro, si capisce quando si ha una buona idea, una grande idea o una pessima idea.

Alla fine si tratta di ascoltare l’istinto, ascoltate il cuore. Sì, possiamo avere tonnellate di dati; sì, possiamo fare i test; ma non è questa la fonte magica. Il segreto è avere fiducia nel proprio istinto per sentire il mercato, per sentire il cliente, per sentire il consumatore.

Quindi bisogna essere là fuori e si deve ascoltare. Non parlare, ma ascoltare e guardare bene. Non si può fare tutto sullo schermo, non si può fare tutto a distanza. Bisogna vivere lo stesso mondo dei nostri consumatori e dei nostri clienti».

Quanto è importante la creatività nel business?

«È la singola caratteristica che definisce un business. La creatività ha un potere irragionevole.

Non c’è niente di più importante della magia di arrivare prima al futuro ed eseguirlo con eccellenza. È l’unica cosa che differenzierà l’idea.

Guardiamo, ad esempio, il valore delle idee di Elon Musk. La sua compagnia vale più di Toyota e General Motors messe insieme e questo è il potere di un’idea».

LEGGI ANCHE: Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Il ruolo dei leader di oggi secondo Kevin Roberts

intervista a kevin roberts - wobi - fabio casciabanca - kevin roberts

Come si fa a passare dallo storytelling allo storysharing?

«Rolf Jensen ha detto che i leader del 21° secolo sarebbero stati degli “story tellers”, ma si sbagliava. Sono degli “story sharers”. Oggi infatti vogliamo essere coinvolti, nel personaggio e nella storia. Ci buttano così tanta roba addosso che stiamo affogando nelle informazioni e più ne sai di qualcosa, meno interessante questa cosa diventerà.

Pensa al matrimonio, pensa a qualsiasi relazione, tutti noi abbiamo bisogno di mistero, abbiamo bisogno di sensualità, abbiamo bisogno di intimità. Tutti oggi abbiamo una voce, sia su Twitter, che su Instagram, o su qualsiasi altro social. Ma tutti vogliamo essere coinvolti nella storia. Io ho sei figli e nove nipoti, quando parlo con loro mi rendo conto che non posso più semplicemente raccontare loro una storia. Vogliono essere nella storia, vogliono agire, vogliono essere parte di essa.

Dal punto di vista del business questo significa che dobbiamo rinunciare al controllo del marchio e dare quel controllo al consumatore».

Come può il marketing creare un movimento che la gente vuole condividere?

«Sì, penso che questo sia il ruolo del Marketing Manager. Non è più quello di creare un marchio, ma di creare un movimento. Ognuno di noi vuole essere parte di qualcosa di più grande di se stesso. Per questo se scegli Nike contro adidas o adidas contro Nike, non stai scegliendo semplicemente delle sneakers invece di altre sneakers. Stai scegliendo ciò che ti rappresenta, stai scegliendo se vuoi essere come Nike o vuoi essere come un fantastico giocatore del Manchester City o vuoi essere parte di qualcosa di più grande di te.

Per questo dico che il ruolo del Brand Manager è cambiato: non gestisce più il marchio, ne cede il controllo e ispira tutti a vedere cosa c’è dietro il marchio. Si tratta di avere uno scopo.

Quindi devi pensare molto più in grande se sei nel marketing. Questo è il momento migliore nella storia dell’umanità per essere un marketer, perché non si tratta più di gestione del marchio, ma di creare un movimento. Qualcosa di molto eccitante, quindi».

Kevin Roberts e il futuro del business

Quanto è complicato essere creativi in un momento fortemente influenzato dal politacally correct?

«Io sono politicamente scorretto e orgoglioso di questo, perché penso che la politica sia assolutamente terribile. Parlo ovviamente di quella politica che resta solo un’idea, che non si può mettere in pratica.

La politica che il mondo sta seguendo oggi è una politica di estremismo e una politica di tensione. Per questo dico di essere politicamente scorretto. Perché abbiamo bisogno che i creativi abbiano piena fiducia che il loro ruolo è quello di ispirare pace, amore e armonia.

Il ruolo del business non dovrebbe essere quello di creare valore per gli azionisti, né di creare un cliente, ma dovrebbe essere quello di creare un mondo migliore per tutti. Il futuro dovrebbe essere quello del capitalismo inclusivo. Nessun altro -ismo funziona, infatti: oggi abbiamo bisogno di includere, non di continuare ad escludere e il problema con l’attuale “correttezza politica” è che è molto esclusiva e molto giudicante rispetto alla minoranza. Quindi non sono assolutamente a favore di questa idea come persona creativa, perché questo limita la creatività».

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Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Oggi quando si parla di assunzioni e mercato del lavoro, ci troviamo davanti a un cambiamento significativo. Le aziende si trovano davanti a una grande sfida: attrarre talenti capaci di potenziare il valore economico e umano del brand.

Quello che una volta era un compito strettamente legato al dipartimento Risorse Umane è ora una funzione centrale per qualsiasi tipo di organizzazione che crede nello sviluppo del business attraverso le persone.

Perché parliamo di Talent Acquisition

Le aziende sono dinanzi a un’enorme carenza di talenti. Fenomeni conosciuti a livello globale come “Le Grandi Dimissioni” stanno investendo il mondo del lavoro con una forza inaspettata.

In un recente sondaggio condotto da Manpower Group, nel 2021 oltre due terzi delle aziende di vari settori hanno riscontrato la mancanza del giusto talento per specifici ruoli e condizioni sempre più complesse per la loro assunzione.

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Mentre il mondo cerca di riprendersi dagli impatti a lungo termine della pandemia, il mercato del lavoro affronta una carenza di talenti di dimensioni storiche.

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Secondo la ricerca, questo è il tasso di difficoltà di assunzione più alto mai conosciuto da oltre 15 anni.

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Perché è importante per noi

Se il recruiting è semplicemente quel processo di ricerca e selezione dei candidati ideali per i colloqui di un’organizzazione, la Talent Acquisition va decisamente oltre. È un cambiamento paradigmatico in quanto la ricerca di nuovi collaboratori non è semplicemente legata alle direttive strategiche del management.

Si tratta di un assetto organizzativo olistico, in totale sintonia con la mission e la vision aziendali che coincide con la cultura e i tratti caratteristici del brand. Ciò consente di attirare l’attenzione di persone che desiderano lavorare in un determinato contesto perché in sintonia con quello che il brand rappresenta per loro.

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Cosa c’è da sapere

Attirare il personale migliore per la propria azienda grazie alla Talent Acquisition non è qualcosa che si attiva con un semplice interruttore.

Sebbene il recruiting resti un’attività importante per colmare i posti vacanti nell’immediato, l’acquisizione di talenti è una strategia a lungo termine che rende le assunzioni più efficienti e più produttive.

Un nuovo ingresso che rispetta le caratteristiche della Talent Acquisition è da considerare come un driver di successo e prosperità per l’organizzazione perché la persona si sente esattamente lì dove desidera trovarsi a livello lavorativo.

Ninja Upshot

L’evoluzione della Talent Acquisition porta le aziende a ripensare i propri schemi di placement: esigenze di dipendenti specifici richiedono soluzioni di acquisizione di talenti differenti e particolari.

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Ciò significa che anche i responsabili del reparto Risorse Umane dovranno comportarsi meno come rappresentanti commerciali (che sono lì per promuovere la propria azienda) e più come strategist aziendali.

Marketer alla scrivania che lavora al computer per impostare le LinkedIn Ads

Linkedin Ads: come funzionano le campagne a pagamento

Linkedin rappresenta una piattaforma molto interessante per il settore B2B e per i professionisti alla ricerca Lead qualificate o contatti verticali.

Per usare Linkedin ads come canale di promozione però, è fondamentale avere prima di tutto ben chiaro in mente, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e la strategia da seguire per ottenerli, così da creare le campagne più adatte allo scopo.

Nella creazione delle campagne a pagamento su Linkedin è infatti essenziale fare riferimento ad una  strategia di Digital Marketing ben elaborata in cui vi siano tutti gli obiettivi prefissati e le modalità scelte per perseguirli.

È su questa strategia infatti, che deve necessariamente fondarsi la creazione della campagna.

La strategia di Digital Marketing permette infatti di:

  • decidere gli obiettivi di business
  • capire come incentrare le azioni rispetto ai risultati desiderati
  • scegliere le risorse adeguate agli scopi
  • facilitare il lavoro creando un piano d’azione ben studiato
  • arrivare agli scopi prefissati

Guida all’impostazione alle campagne a pagamento su Linkedin nel 2022

Capire come funziona LinkedIn Ads e impostare la tua prima campagna pubblicitaria con successo è quindi uno step che arriva solo in un secondo momento ed in questo articolo spiegheremo bene come farlo nel modo corretto.

Attraverso una chiara e pratica guida all’impostazione alle campagne a pagamento su Linkedin nel 2022, spiegheremo il funzionamento generale di LinkedIn Ads e le motivazioni per cui scegliere questa piattaforma per le proprie campagne pubblicitarie.

Ma partiamo quindi prima di tutto dagli obiettivi. Quando si crea una campagna su Linkedin è bene innanzitutto iniziare ponendosi alcune domande:

  • quali sono gli obiettivi che voglio raggiungere?
  • quali sono i risultati che voglio ottenere  dalla campagna?
  • perché usare Linkedin ads potrebbe essere la scelta migliore?

Una volta che si risponde a queste domande si saprà quindi già da dove iniziare nella scelta della campagna e nel budget che si vuole investire. Vediamo allora punto per punto come fare per scegliere le campagne e il budget su Linkedin ads per finire con la comprensione dei risultati e dei metodi per misurarli.

Come scegliere le campagne

Innanzi tutto è bene sapere che al momento della creazione della campagna su Linkedin ads, è possibile scegliere per ogni campagna gli obiettivi principali. In tal modo l’algoritmo di Linkedin sarà in grado di ottimizzare le campagne a seconda dell’azione prescelta.

La scelta si basa su 3 macro obiettivi che possono essere classificabili come: 

  • Awareness
  • Consideration
  • Conversions

Le campagne create con un obiettivo Awareness vengono sviluppate per una fase TOFU (top of funnel), ovvero la parte alta del percorso che porta un utente qualsiasi a diventare un cliente, con l’obiettivo di accrescere la brand awareness e vengono realizzate per la massimizzazione delle impressioni.

Le campagne create con un obiettivo Consideration invece, possono svilupparsi in 3 micro obiettivi:

  • Engagement
  • Visite al sito web
  • Visualizzazioni Video

Le campagne sviluppate con il macro obiettivo di Conversions infine, si basano su 3 micro obiettivi:

  • Lead Generation
  • Conversioni sul sito web
  • Job Applicants
obiettivi campagne linkedin ads

Immagine presa da Linkedin

L’obiettivo Lead generation può essere raggiunto usando form precompilati con i dati del profilo di chi riceve l’ad, mentre per ottenere conversioni sul sito web viene utilizzato il conversion tracking di Linkedin.

La selezione dell’obiettivo della campagna è uno step molto importante come vedremo più avanti, poiché è questo a determinare la possibilità di usare ulteriori impostazioni e funzionalità su Linkedin ads, quali:

  • i formati dell’annuncio
  • la strategia dell’offerta
  • gli obiettivi di ottimizzazione

Ma come possono questi obiettivi tradursi in risultati? Affinché questo avvenga è essenziale scegliere la campagna più adatta in base all’obiettivo. In questo modo si avrà la possibilità di ottenere risultati specifici come:

  • la trasmissione di informazione in merito ai prodotti o servizi che un’azienda offre
  • la creazione di traffico indirizzato al sito web o alla landing page
  • la generazione di interazioni utili a far crescere la pagina
  • la visualizzazione dei contenuti video al maggior numero di utenti
  • la raccolta dei dati degli utenti
  • l’ottenimento di azioni di valore compiute sul sito web (vendite, downloads di materiali)
  • la promozione delle opportunità lavorative presso l’azienda

 Analizzati gli obiettivi e compresi i risultati ottenibili in base a questo, non rimane che creare le campagne su Linkedin ads e per farlo è possibile avvalersi di alcune tattiche e strumenti utili a facilitare il perseguimento degli obiettivi prefissati.

Tra le cose a cui prestare particolare  attenzione nella creazione di una campagna su Linkedin ads dunque, troviamo:

  • la scelta della località a cui mostrare il contenuto della campagna;
  • la decisione rispetto alla lingua del profilo LinkedIn dell’utente a cui mostrare il contenuto;
  • la creazione dell’audience a cui si vuole mostrare la campagna filtrando per età, azienda, job title, industry, skills etc;
  • lo sfruttamento delle Matched Audiences, ovvero il remarketing su LinkedIn;
  • l’uso dell’ Audience Expansion, strumento utile nel caso in cui si voglia raggiungere un pubblico più ampio ma sempre pertinente;
  • la scelta del formato dell’annuncio (con testo, video, immagine, modulo, messaggio in mail)
  • l’impostazione, se lo si sceglie, del LinkedIn Audience Network per la pubblicazione degli annunci su app e siti Web mobili esterni

Le audience su Linkedin ads

Tra tutti gli elementi fino ad ora elencati, la scelta dell’audience a cui si vuole mostrare la campagna rappresenta forse lo step più  importante, infatti è bene sapere che su Linkedin ads, la scelta dei pubblici a cui la campagna verrà mostrata può essere fatta per le singole campagne e tali pubblici possono essere suddivisi in tre gruppi:

  • Audience salvate
  • Pubblici template
  • Pubblici Matched Audience

Le audience salvate possono essere personalizzate usando diversi parametri tra cui:

  • parametri aziendali (categoria merceologica, connessioni di primo grado che lavorano in un’azienda, follower di un’azienda, tasso di crescita, nome dell’azienda, dimensione aziendale)
  • percorso scolastico
  • esperienza lavorativa con ruolo, anzianità, titolo e member skills
  • i gruppi a cui l’audience appartiene indicativi dei suoi interessi

I pubblici template sono invece pubblici preimpostati di Linkedin utilizzati per individuare figure che sono solitamente obiettivo di campagne pubblicitarie.

I pubblici Matched Audience infine possono essere generati con i dati in possesso della tua azienda e vengono utilizzati con il retargeting al fine di fare:

  • website retargeting, ovvero re-ingaggiare gli utenti che hanno già visitato il tuo sito web
  • contact targeting, coltivando i prospect dei quali si hanno già i dati
  • creare campagne account based, un esempio sono gli elenchi di aziende

Il retargeting su Linkedin ads

Il retargeting su Linkedin ads rappresenta una funzionalità molto importante di cui avvalersi nella creazione delle campagne, poiché attraverso questo strumento è possibile intercettare alcune categorie di pubblici, tra cui:

  • le persone che hanno cliccato «partecipo» su un tuo evento
  • le persone che hanno interagito con un tuo form di generazione contatti aprendolo e inviandolo o solo aprendolo
  • le persone che hanno visto una percentuale specifica dei tuoi video
  • le persone che hanno visitato o cliccato sulla CTA della tua pagina Linkedin in un dato periodo di tempo

Le scelte relative ad audience e retargeting sono fondamentali perché permettono di targettizzare sempre di più le tue campagne mostrandole ad un pubblico molto specifico e quindi ottimizzando ai massimi livelli la tua campagna.

Durante la fase della scelta dell’audience però, è bene tenere in considerazione il fatto che una campagna troppo targettizzata, potrebbe avere un successo conseguentemente inferiore.

Per questo motivo, in linea generale è solitamente consigliabile scegliere un numero di attributi, ovvero di informazioni che i membri includono nei loro profili, che varia dai 3 ai 5, così da non esagerare in eccesso o in difetto nella targettizzazione della campagna.

Il formato delle Linkedin ads

Nell’impostazione della campagna la scelta del formato delle Linkedin ads può essere fatta tra:

  • contenuti sponsorizzati (usato dalle aziende per promuovere un contenuto presente sulla pagina aziendale così da ampliare la fascia di pubblico raggiungibile ed in linea con le proprie preferenza)
  • messaggi sponsorizzati (LinkedIn Messenger permette di inviare dei messaggi pubblicitari diretti attraverso la casella mail nativa della piattaforma)
  • ads testuali (composte da testo, un’immagine e un titolo sono il formato più semplice ed economico tra gli annunci pubblicitari su LinkedIn)
  • carosello (ideali per creare brand awareness, raccontando la tua azienda attraverso un massimo di dieci cards) 
  • dynamic ads (ideali per aumentare il traffico di visitatori verso la propria pagina aziendale)
  • annunci Display (suggerita specialmente per promuovere contenuti appetibili come video e immagini)
formato linkedin ads

Immagine estratta da Linkedin

Ciascuno di questi formati si differenzia dagli altri in base a:

  • luogo in cui viene pubblicato il formato (homepage, casella dei messaggi, profilo, tra i risultati di ricerca dei profili)
  • la possibilità di raccogliere direttamente il lead se si usa l’obiettivo lead generation
  • CPC (costo per click), CPM (costo per mille), CPV (costo per visualizzazione) e CTR del formato (Click Through Rate)
  • la percentuale di testo e immagini utilizzabile
  • la possibilità di usare immagini, caroselli o video ad
  • la possibilità di usare dati presi dal profilo del ricevente
  • la possibilità di inviare link o usare bot nel caso dei messaggi

Come scegliere il budget

Una volta impostati tutti gli elementi principali fin qui elencati per la creazione di una campagna su Linkedin ads in linea con gli obiettivi, è il momento di impostare il budget.

L’importo del budget deciso in fase strategica può essere impostato su Linkedin secondo due diverse modalità,  è infatti possibile selezionare un budget che può essere giornaliero oppure un budget giornaliero e totale.

È importante però sapere che ogni obiettivo scelto per la campagna ha un evento fatturabile diverso, infatti LinkedIn stabilisce i prezzi in base all’obiettivo scelto.

Quindi il prezzo che andrai a pagare dipenderà dall’obiettivo che avrai scelto per la tua campagna, in fase strategica.

Per esempio, in base all’obiettivo scelto potrai pagare:

  • le visualizzazioni 
  • le visualizzazioni video
  • i click di interazione
  • i click alla pagina di destinazione

Fatte queste scelte si potrà partecipare alle aste di Linkedin secondo quattro differenti modalità:

  • Automated bidding, la modalità secondo la quale si va a spendere l’intero budget giornaliero il più velocemente possibile. Questa modalità, suggerita là dove si ha come obiettivo di ottenere la  massima visibilità possibile, è disponibile solo con lo sponsored content
  • Target cost, ovvero i cpc, cpm e cpv citati precedentemente. Questa modalità risulta particolarmente utile per ottenere un controllo dei costi superiore
  • Maximum cost, modalità attraverso la quale è possibile definire il massimo importo che sei disposto a pagare
  • Enhanced CPC, modalità ideale per creare conversioni e lead, è usata nelle campagne website visits, lead generation e website conversions e si basa sull’aumento del cpc impostato quando è possibile che sia probabile una conversione
budget linkedin ads

Immagine estratta da Linkedin

 

Scelti gli obiettivi della campagna si può passare quindi a scegliere la strategia di offerta in base ai relativi vantaggi, visibili nell’immagine di seguito.

 

strategia offerta linkedin ads

Immagine estratta da Linkedin

Nel caso in cui si sta iniziando ora ad avere a che fare con le campagne su Linkedin ads, la scelta migliore è quella di lasciare selezionata “offerta automatica” al momento dell’impostazione del budget, poiché per le altre opzioni disponibili è meglio avere maggiore esperienza.

Una volta impostato il budget, si può procedere all’impostazione delle date di inizio e fine della campagna, in caso contrario la campagna partirà in automatico nella stessa giornata.

Rispetto al budget però ci sono delle precisazioni da fare, poichè Linkedin ads risulta essere particolarmente costoso come canale di pubblicizzazione, rispetto agli altri canali promozionali, basti infatti sapere che il budget minimo spendibile per ogni campagna è pari a 10 €.

Tuttavia rispetto agli altri canali promozionali si differenzia per alcuni vantaggi riassumibili nella possibilità di:

  • avere a disposizione un pubblico molto attivo (più del 50% si collega almeno una volta al mese più del 40% degli utenti attivi mensili accede ogni giorno)
  • raggiungere un pubblico la cui qualità è una delle più alte tra i social network (più del 20% sono influencer e decision maker di alto livello)
  • poter targettizzare molto il pubblico di riferimento delle proprie ads
  • intercettare i decision maker di alto profilo delle aziende
  • ottenere un maggior tasso di conversione
  • avere poca concorrenza da parte dei concorrenti (nella maggior parte dei casi per le PMI)

In linea generale, in merito al budget, Linkedin offre agli utenti alcuni suggerimenti legati alle impostazioni delle campagne come:

  • l’inserimento di un budget pari a 100 € al giorno per 2-4 settimane 
  • l’investimento del 70% del budget sulle campagne di conversione in fondo al funnel
  • l’investimento del  restante 30% sulle campagne che generano awareness o engagement e le alimentano
  • l’utilizzo di un budget più alto possibile nella fase iniziale della campagna per poi diminuirlo dopo la fase di test

Come misurare i risultati

Fatti tutti i passaggi di impostazione della campagna in linea con la strategia preventivamente impostata, per accertarsi che la campagna dia i risultati desiderati sarà necessario misurarne ogni dato importante per la propria strategia.

Per farlo bisogna Impostare il tracking delle conversioni, avvalersi del LinkedIn Insight Tag, un codice JavaScript che va inserito nel sito web di cui si vuole tracciare le conversioni (ad esempio si vuole tenere traccia dei lead raccolti, si dovrà inserire l’URL alla Thank You Page).

Questo  meccanismo presente nel Campaign Manager di LinkedIn permette di misurare le azioni che un utente intraprende una volta che atterra sul sito Web attraverso un annuncio.

Questa opzione facoltativa presente su Linkedin è un ottimo modo per monitorare i risultati raggiunti grazie all’annuncio ma al di fuori della piattaforma di Linkedin.

Quando scegliere le campagne a pagamento su Linkedin

Scegliere le campagne a pagamento su Linkedin permette come abbiamo appena visto di avere una serie di funzionalità attraverso cui poter monitorare molteplici aspetti legati a dati utili per verificare la buona riuscita della campagna.

Capire se la campagna su Linkedin ads funziona rispetto agli obiettivi prefissati, è infatti un aspetto fondamentale per decidere se la piattaforma di Linkedin può essere il giusto canale da utilizzare per la pubblicazione di campagne pubblicitarie.

Ma chiarite quali sono le funzionalità di linkedin e quindi le sue potenzialità e compreso come monitorare ed avere un risultato concreto dei vantaggi che la campagna ha apportato o meno all’azienda, è necessario in primo luogo sapere quando le campagne a pagamento su Linkedin rappresentano la scelta più sensata o meno in base ai propri KPI.

LinkedIn è il social network più diffuso in ambito business con i suoi 774 milioni di utenti presenti sulla piattaforma in più di 200 Paesi e rappresenta la rete professionale più grande al mondo in cui professionisti in settori diversi stringono relazioni con altri utenti.

Unitamente a questi numeri molto interessanti, troviamo la possibilità di targetizzazione che la piattaforma offre, nella creazione delle campagne.

Le aziende B2B trovano quindi su Linkedin, un ambiente ideale attraverso cui far passare i loro messaggi avendo potenzialmente a disposizione un pubblico adatto e ulteriormente targettizzabile, grazie alle funzionalità che la piattaforma di Linkedin mette a disposizione delle aziende.

Gli annunci a pagamento su LinkedIn infatti, possono essere molto targettizzati, definendo molteplici aspetti, quali:

  • la località, definendo il pubblico per provenienza geografica
  • la formazione, definendo il percorso di studi
  • il luogo di residenza
  • la tipologia di profilo professionale
  • le skill dichiarate

La possibilità di targettizzare così a fondo il pubblico al quale si vuole mostrare i propri annunci rappresenta una funzionalità molto interessante per il settore B2B e per i professionisti che possono usare questo canale promozionale per raggiungere un pubblico estremamente delineato ed ottenere:

  • l’acquisizione di nuovi clienti
  • una promozione efficace del tuo brand
  • l’aumento del tasso di conversione
  • la possibilità di contattare le persone con ruoli decisionali in azienda
  • l’aumento della visibilità del tuo marchio
  • lo sviluppo di campagne promozionali mirate ad un preciso pubblico e limitate per un dato periodo
  • la raccolta di iscritti per un evento
  • l’aumento delle conversioni rispetto ai post organici

Rispetto a Meta o a Google inoltre, i lead creati da Linkedin risultano avere un tasso di acquisto 12 volte superiore, un dato questo, motivato dalla possibilità che Linkedin offre, di raggiungere in modo diretto i decisori B2B aziendali con un margine di errore veramente basso.

A queste motivazioni, si aggiunge poi un ulteriore ma fondamentale elemento, molto importante da tenere in considerazione, ovvero le finalità per cui la piattaforma viene utilizzata.

A differenza di Meta ad esempio, in cui gli utenti sono presenti specialmente per mantenere i rapporti con i propri conoscenti, Linkedin si distingue per avere al suo interno una tipologia di utenti presenti per creare rapporti professionali e vendere o acquistare prodotti o servizi, quindi già maggiormente motivati ad eseguire le conversioni sperate nell’ambito del B2B.

Tutte queste caratteristiche e le funzionalità fin qui esposte permettono quindi di capire bene quando scegliere le campagne a pagamento su Linkedin può rappresentare la scelta migliore.

Come formarsi

Su Linkedin ci sono tante utili guide per iniziare a capire come funziona Linkedin ads e conoscere tutti i diversi aspetti e funzionalità offerti dalla piattaforma, tuttavia esercitarsi nella pratica rimane sempre la scelta migliore per entrare meglio nel mondo delle campagne su Linkedin ads.

Unitamente alla pratica però,  essendo diverse le funzionalità da conoscere e le tattiche che è possibile usare per ottimizzare al meglio le proprie campagne,  seguire un corso Linkedin approfondito rappresenta sicuramente la scelta migliore per non avventurarsi sulla piattaforma senza avere una panoramica chiara degli strumenti, delle funzionalità e delle diverse possibilità che Linkedin ads offre.

Conclusioni

Questo articolo vuole essere quindi una guida utile per chi intende affacciarsi al mondo di Linkedin ads offrendo una panoramica generale delle impostazioni, funzionalità e caratteristiche di questo canale di promozione.

Allo stesso tempo vuole evidenziare come la scelta di Linkedin ads possa essere la scelta sicuramente migliore per il settore B2B, che attraverso questa piattaforma ha la possibilità di entrare in contatto con un pubblico interessato, di alta qualità ed estremamente profilabile.

Tutti vantaggi traducibili in una percentuale più alta di conversione, nella maggior parte dei casi, se si è disposti ad accettare una spesa pubblicitaria più alta rispetto ad altri canali.

Gli obiettivi raggiungibili grazie a Linkedin ads però, possono essere veramente tanti e ottenibili grazie anche alle funzionalità più avanzate messe a disposizione da Linkedin.

Per questo motivo, unitamente all’importanza di usare Linkedin ads nelle tue strategie di marketing per il B2B, è allo stesso modo essenziale avere una formazione specifica su Linkedin ads, attraverso cui poter essere in grado di conoscere, comprendere e sfruttare a pieno le funzionalità più avanzate di Linkedin per ottenere i migliori risultati possibili.

B2B Rocks, il programma della prima giornata

Entro il 2022, il mercato globale del software B2B avrà un valore di 670 miliardi di dollari, di cui 190 miliardi rappresentati dal Software as a Service. Nello specifico, il SaaS ha registrato una crescita a due cifre negli ultimi 10 anni e impiega già mezzo milione di persone in tutto il mondo.

Se gli Stati Uniti sono stati pionieri in questo campo, è in Europa che si sono verificate le raccolte fondi di maggior successo. Per questo motivo (ma non solo), B2B Rocks è un evento imperdibile: una due giorni che riunisce le rock star del settore dell’editoria software, incarnando i valori dell’innovazione, ma anche dell’inclusione.

Tavole rotonde, keynote e tanti speaker nel programma del festival mondiale, che il team e la redazione di Ninja seguiranno in diretta sui canali social e sul sito.

E per non perderti neanche un panel, scopriamo subito il programma della prima giornata.

LEGGI ANCHE: B2B Rocks: sta per partire l’evento mondiale dedicato all’innovazione e al software SaaS

Agenda 9 giugno

Tra panel, keynote e tavole rotonde gli appuntamenti nel programma sono davvero moltissimi. Ne abbiamo selezionati alcuni tra i più significativi, ma puoi sempre guardare il programma completo qui.

  • 09:00 – 09:20 – Keynote di benvenuto. 2022: lo stato del SaaS
    con Steve Lurie
  • 09:30 – 10:10 – Come accelerare la crescita con un team multi-fuso orario
    con  Gilles Bertaux, Tim Brewer, Andrei Sochala, Gregory Gazagne, Cloe Dana
  • 09:30 – 10:10 – Come scalare un team di vendita
    con Frederic Kingue, Johnson Gaëtan, Gachet Nicolas, Bakala Shri Pau, Alain Mevellec
  • 10:00 – 10:20 – Ridurre l’impronta di carbonio digitale: soluzioni per un domani più verde
    con Zénon Vasselin
  • 10:20 – 11:00 – Fate un buon onboarding dei clienti e non li lascerete mai più.
    con Aaron Krall, Emilia D’Anzica, Alex Delivet, Ana Soliven, Jeremy Block
  • 11:10 – 11:50 – Costruire una cultura forte con i team remoti per aumentare l’impegno e l’innovazione
    con  Gilles Bertaux, Pontus Noren, Antonin Gury-Coupier, Charles de Fréminville
  • 11:30 – 12:10  – RevOps: scatenare la rivoluzione della prossima generazione
    con Pascal Ruby Andrei Sochala Alex Delivet Alexis Valentin
  • 12:00 – 12:40 – Salite subito sul treno del metaverso prima che sia troppo tardi
    con  Charlotte Philippe Frederic Cavazza Victor Jolly William Muskus Louis Cacciuttolo
  • 12:00 – 12:40 – Climate Tech: cos’è e come trasformerà lo spazio B2B?
    con Renaud Visage, Lukky Ahmed, Martin Daniel, Shilpika Gautam
  • 12:20 – 01:00 – Automazione dei test: il segreto per la consegna e la qualità
    con  Jean-Baptiste Marcé, Claude Cauquil, David Petrella, Hubert Gregoire, Daniel Wesley
  • 02:00 PM – 02:20 PM – Migliorare il funnel allineando i KPI di vendita e di marketing
    con  Tricia Miller
  • 03:20 PM – 03:40 PM – Come battere la concorrenza con un marchio migliore
    con Liam Boogar-Azoulay
  • 04:20 PM – 04:40 PM – Successo del cliente: cos’è e perché è importante per il vostro business
    con Antoinet Van Dalen
  • 16:50 – 17:10 – Misurare i KPI dei social media per sbloccare i ricavi basati sui social
    con Emeric Ernoult

Con Ninja al B2B Rocks

Solo per la community Ninja, a disposizione i biglietti gratuiti per B2B Rocks, il festival mondiale dedicato all’innovazione, al digitale e al software SaaS, a Montpellier dal 9 all’11 giugno.

Utilizza il codice promozionale XVX!RH!J per ottenere un numero illimitato di posti gratuiti al momento della prenotazione. E ricorda di seguire “How to hire & build marketing teams at different growth stages?“, la tavola rotonda del 10 giugno alle 9.30 moderata da Mirko Pallera, CEO e Founder di Ninja Marketing e Ninja Academy.

>>Non perdere l’occasione di partecipare a B2B Rocks! Iscriviti subito<<

inquinamento decentralizzazione

Decentralizzazione e industria tradizionale: perché l’inquinamento tra le due non può essere paragonato

Crypto, NFT, blockchain, metaverso, smart contract, DeFi e DAO sono tutti prodotti della nuova filosofia alla base della decentralizzazione, che rompe definitivamente gli schemi del vecchio web a favore del web3.

Queste nuove tecnologie fanno già parte del nostro quotidiano e nel prossimo futuro si integreranno sempre più nella nostra società e nella nostra vita, ponendosi in parte in forte contrasto con un problema a cui tutti oggi siamo molto sensibili come la tutela dell’ambiente.

Vediamo quali punti di contatto può avere la decentralizzazione con la green economy e come in un breve futuro riuscirà ad evolversi riducendo il più possibile il suo impatto ambientale ed essere quindi sempre più sostenibile.

Perché ne parliamo

Numerosi sono i dibattiti riguardanti l’impatto ambientale dei sistemi basati sulla decentralizzazione rispetto a quelli tradizionali, per l’appunto centralizzati, ma per poter effettuare un confronto analitico ed oggettivo che riguardi ad esempio gli scambi effettuati in criptovalute e quelli con moneta FIAT, dobbiamo chiamare in causa la teoria sui costi di transazione.

Quando parliamo di costi di transazione facciamo riferimento a tutti quei costi che sono legati all’organizzazione di una specifica attività.

Questi costi si dividono in due differenti entità di costo che sono: i costi ex ante, che vengono sostenuti prima della transazione e i costi ex post, che invece sono sostenuti dopo la transazione.

I costi di transazione sono i costi che devono essere sostenuti per realizzare uno scambio, un contratto o una transazione economica in genere; questi rappresentano i costi d’uso del mercato.

Costa più una transazione in Bitcoin o Ethereum o una transazione in Euro

Se pensiamo a quanto costa produrre ad esempio un mouse per computer, immaginiamo al costo di stampa del suo involucro, ai costi dei componenti elettronici ed ai costi per il suo assemblaggio, all’energia necessaria per la produzione del bene.

Questi costi in economia si definiscono costi marginali, ossia il costo dell’ultima unità prodotta, per farla molto semplice.

Come vediamo non sono stati presi in considerazione tutti quei costi, definiti fissi, che sono stati necessari per rendere possibile la produzione dei mouse.

Grazie a questo esempio ci rendiamo conto che se prendiamo in considerazione i soli costi energetici marginali non effettuiamo una valutazione corretta e oggettiva per confrontare i costi connessi alla finanza centralizzata rispetto quella legata all’ecosistema decentralizzato.

Il mondo decentralizzato di cui abbiamo parlato all’inizio richiede dei costi in sicurezza e replica per rendere la blockchain affidabile. Viene da sé che è richiesta molta energia a livello di transazione e l’attività di mining richiede energia che viene distribuita su tutte le transazioni.

L’energia richiesta per una singola transazione rappresenta solo una piccola parte rispetto alla totalità dei costi.

Entriamo nel dettaglio delle differenze tra i costi della centralizzazione rispetto alla decentralizzazione. Partiamo dal presupposto che le odierne infrastrutture centralizzate tramite “l’economia di scala” riescono a ridurre i costi di transazione, sulla base del presupposto che maggiore è la dimensione produttiva, maggiori sono i volumi produttivi, minori sono i costi di produzione.

Per la finanza centralizzata tutto ciò si traduce in:

  • costruire uffici finanziari e filiali locali dalle quali operare;
  • gestione e leasing dei datacenter e di tutta la struttura informatica;
  • manutenzione e protezione delle strutture fisiche;
  • impiego di personale (interno ed esterno) per tutte le attività a tutti i livelli;
  • reti di intermediari su scala globale;
  • mantenimento di riserve auree e di asset vari;
  • riunioni, meeting, spostamenti fisici di personale, ecc.

Ovviamente, è impossibile catalogare tutte le aree di costo in un semplice articolo, ma di sicuro non possiamo dire che una transazione su un circuito finanziario come quello VISA possa nella sua essenza avere un costo basso.

In media, il costo effettivo di una transazione tramite carta di credito si aggira tra il 2% e il 3% sul valore della transazione effettuata presso il commerciante.

Ovviamente le carte di credito rappresentano solo una parte della finanza centralizzata, se a queste aggiungiamo le transazioni sui mercati azionari, obbligazionari e di qualsiasi altra entità, le transazioni mobiliari e immobiliari, quelle assicurative, compensazioni nazionali ed internazionali e chi più ne ha più ne metta, sono richiesti trilioni di dollari per sostenere quell’esercito permanente che tiene in vita la finanza centralizzata (al pari dei miner che tengono in vita la blockchain).

ARK Investment Management LLC, società di gestione degli investimenti con sede negli Stati Uniti, ha di recente pubblicato una ricerca dove mette a confronto i costi energetici connessi al processo di mining (estrazione) di Bitcoin (fondamentale per il mantenimento della finanza decentralizzata DeFi), con l’estrazione dell’oro e con la finanza centralizzata.

Costi energetici Finanza centralizzata e decentralizzata - decentralizzazione

Perché è importante comprendere la questione

L’evoluzione della DeFi  vedrà proprio nell’anno corrente una crescita decisiva dovuta in particolare all’evoluzione e introduzione nella blockchain degli smart contract.

L’importanza della decentralizzazione, garantita da un numero sempre più crescente di utenti, è legata ad una serie di vantaggi rispetto alla finanza tradizionale quali: poche barriere all’ingresso, garanzia dell’anonimato, maggiore rapidità di esecuzione dei contratti, riduzione dei costi di transazione, estrema varietà delle applicazioni disponibili.

Il grafico che segue, fornito da DefiLlama, rappresenta la crescita negli ultimi anni del valore di tutte le attività che sono attualmente oggetto di partecipazione in un protocollo specifico.

Attenzione, il valore rappresentato non è il numero di prestiti in essere, ma l’importo totale dell’offerta sottostante che viene garantita da un specifica applicazione.

Questo parametro, molto importante è detto Total Value Locked (TVL).

Andamento Total Value Locked (TVL) - decentralizzazione

Negli ultimi due anni i ritmi di crescita sono stati a dir poco impressionanti come evidenziato dal successo riscosso dai Total Value Locked i quali esprimono il valore totale degli assets depositati nei protocolli della DeFi che dal 2020 a oggi sono passati da meno di 1 miliardo di dollari a circa 230 miliardi di dollari.

Total Value Locked (TVL)

A seguito di questa crescita, gli esperti prevedono che la domanda di compensazioni di carbonio aumenterà di un valore compreso fra gli 1,1 miliardi e 3,6 miliardi di tonnellate all’anno entro il 2050. Non poco, se pensiamo che la domanda cumulativa dal 2005 al 2021 è stata di poco superiore a 1,7 miliardi di tonnellate.

Decentralizzazione: a che punto siamo

L’evoluzione della tecnologia legata al mondo della decentralizzazione diventa sempre più efficiente con il passare del tempo.

Fino a qualche anno fa le piccole transazioni in Bitcoin venivano eseguite singolarmente al pari delle altre, mentre oggi si tende a raggrupparle, rendendo più smart ed efficiente il loro processo di esecuzione.

Ancora, la blockchain di Ethereum sta migrando verso soluzioni basate sul Proof of Stake che richiedono molta meno energia (si stima solo 1% di energia) rispetto a Proof of Work e sempre in proof of stake sono oggi gestiti gli NFT e lo stesso metaverso, come WAX, Flow oppure Immutable X.

DEFINIZIONI

Proof of Work (PoW) e Proof of Stake (PoS) sono due algoritmi utilizzati per ottenere il consenso distribuito, gestire e validare le transazioni da parte di tutti i nodi della blockchain.

L’algoritmo PoW i blocchi vengono estratti mediante una pratica definita mining che richiede molta energia ed è utilizzata da Bitcoin. Ethereum, con il nuovo aggiornamento denominato Casper, utilizzerà la PoS dove i blocchi non vengono estratti ma coniati e questo abbatte i costi energetici.

Di conseguenza, tramite la PoS, i soggetti che possiedono una partecipazione significativa vengono selezionati su base pseudo casuale per coniare i blocchi e aggiungerli alla blockchain.

Oltre ai due algoritmi di consenso sopra citati va aggiunto anche il Proof of Authority (PoA) il quale si basa sul fatto che i nodi necessari per certificare le informazioni siano dei nodi fidati. In questo modo, per certificare le azioni quindi non serviranno più enormi calcoli, ma solo la fiducia di questi nodi riconoscibili tramite nome e cognome, che hanno l’autorità di creare i blocchi validandone le transazioni.

Tra le blockchain che oggi garantiscono un consumo minimo di energia va annoverata la rete Polygon, mentre tra le criptovalute più green vanno citate Cardano, Stellar, Solana, Algorand e altre.

Stellar Lumens fa uso del PoS con consumo energetico stimato per transazione a 0,00003 KWh, ma il vero campione delle cripto eco sostenibili è dato da Algorand che oltre a sfruttare a pieno la PoS garantisce un consumo energetico stimato per transazione a 0,000008 KWh.

È utile sapere che Algorand nasce da un idea di un italiano, Silvio Micali matematico, crittografo e informatico italiano, professore d’informatica presso il Laboratorio d’Informatica e Intelligenza Artificiale del MIT di Boston.

Algorand ha ottenuto lo status di Carbon Neutral nell’aprile 2021 grazie a una partnership con ClimateTrade, che tiene traccia delle emissioni di carbonio.

Prospettive a breve e a lungo termine sulla decentralizzazione

Possiamo dedurre che per ridurre le emissioni di CO2 create dalle criptovalute basterebbe cambiare il protocollo di funzionamento e gli  algoritmi di consenso.

Cosa molto facile a dirsi, ma molto difficile da attuare tanto che la rete Ethereum, per dirne una, ci sta provando da tempo, ma il progetto è slittato più volte.

Altro problema, molto più rilevante e di natura economica è data dal fatto che abolendo la Proof of Work i minatori che negli anni hanno sostenuto forti investimenti per componenti hardware si troverebbero da un momento all’altro con una grande quantità di capacità produttiva inutilizzata, difficilmente vendibile anche nel mercato dell’usato, essendo processori dedicati solo al mining.

Proprio per risolvere questo problema molti governi iniziano a prendere in considerazioni soluzioni come la carbon tax che resta lo strumento principe per contenere le “esternalità negative ambientali”.

L’idea è quella di tassare chi svolge attività professionale di mining oppure tassare le transazioni di criptovalute che operano direttamente o indirettamente tramite la Proof of Work.

Ad oggi, considerando lo stato dell’evoluzione del sistema finanziario decentralizzato rispetto quello centralizzato, possiamo dire con certezza che il costo energetico marginale del decentramento è probabilmente più alto per transazione rispetto ai costi energetici marginali di quello centralizzato, ma sotto il profilo dei costi totali (costi variabili + costi fissi), quelli legati alla decentralizzazione sono probabilmente già molto più bassi, e senza ombra di dubbio è probabile che i miglioramenti tecnologici che ci attendono nel breve periodo consentiranno di ridurre anche i costi marginali.

lead generation - intervista ad armando biondi

Individuare i lead più qualificati tra i prospect: intervista ad Armando Biondi

Il contesto macroeconomico spinge le aziende a rendere più efficienti tutti i processi. Gran parte dell’attenzione va rivolta all’individuazione dei lead più interessanti e sui quali conviene puntare subito, sulla base dei criteri di frequency e recency.

Ne abbiamo parlato con Armando Biondi, CEO e Co-Founder di BreadcrumbsIO, company americana con sede a San Francisco che si occupa di Lead Scoring e permette alle aziende di “fotografare” l’istante in cui un prospect è particolarmente interessante per la conversione in cliente.

Armando sarà anche tra gli speaker di B2B Rocks, un evento di nuova generazione che riunisce le Rock Star della tecnologia e del SaaS. Nel 2022, il valore cumulativo del mercato del software B2B non sarà inferiore a 670 miliardi di dollari, di cui il SaaS rappresenterà 190 miliardi: ha infatti registrato una crescita a due cifre negli ultimi dieci anni e dà lavoro a più di mezzo milione di persone.

B2B rocks montpellier

Il Keynote di Armando Biondi, dal titolo “Revenue 101: the playbook for startup growth“, è programmato per giovedì 9 giugno e conterrà preziosissimi insight e consigli per aziende e startup racconti nella sua lunga esperienza in AdEspresso prima, in Hootsuite poi e in Breadcrumb.IO adesso.

Dal 9 all’11 giugno, il rinomato “Domaine de Biar” accoglierà i migliori decision-maker internazionali nel settore del software B2B: un evento pensato per i fondatori di startup, dirigenti di scale-up, venture capitalist e decisori strategici. Il focus del 2022 sarà la crescita internazionale, l’audacia e l’inclusività. Questo evento di nuova generazione, sostenuto dalla French Tech, si allontana dai formati tradizionali con un formato ibrido online/offline e contributi simulcast dal vivo dai cinque continenti.

LEGGI ANCHE: Game Changing, People Centered e cosmopolita: pronta a partire la decima edizione di B2B Rocks

Quali sono i vantaggi pratici di individuare i lead più qualificati tra i diversi prospect e quanto è importante per le aziende oggi?

È fondamentale, particolarmente in un contesto di efficienza di business. Le company e le organizzazioni sono sempre molto focalizzate all’acquisizione, ma acquisire clienti è sempre molto costoso e progressivamente competitivo Per cui, avere un meccanismo che ti consente non solo di acquisire nuovi clienti ma anche  di massimizzare ed estrarre il potenziale non solo dei clienti futuri, ma anche di quelli presenti e passati diventa un’opportunità di crescita estremamente importante.

Un altro aspetto è quello dell’efficienza: ogni business in qualunque momento della sua vita si trova davanti a competing priorities, più priorità di quelle che si possono gestire e soddisfare. Da un punto di vista “sales vs marketing”, tu magari hai un marketing engine che sta generando, centinaia, migliaia, decine di migliaia di bit al mese e dall’altra parte hai un team marketing che deve prioritizzare a cosa fare attenzione, quando e su quale potenziale cliente. Per cui il tema diventa fondamentale in questo senso.

Sui costi di acquisizione diventa importantissimo: è in realtà un macrotrend che esiste da molti anni ed è destinato a durare. Infatti oggi è esacerbato dal contesto macro economico a causa dei costi di acquisizione in crescita costante, della competizione con gli altri business e da inflazione e stock market.

In questo nuovo playground vincono le company che riescono ad acquisire clienti in maniera efficiente ed estrarre il massimo valore possibile dal punto di vista della lead generation.

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In che modo la marketing automation può alimentare il team sales

In maniera un po’ controintuitiva, il tema non è necessariamente abbassare i costi di acquisizione ma riuscire a permettersi il costo di acquisizione più alto, che implica un’efficienza interna di business nei processi, un price point di un certo tipo e la capacità di competere su segmenti di mercato che sono ad alto valore. Più puoi fare questo, più puoi tenere il costo di acquisizione alto.

Detto questo, il tema marketing automation è senza dubbio uno degli elementi chiave: mentre 10 o 15 anni fa si aveva a disposizione un tool che fungeva da source of truth per la company, che era il CRM, oggi i diversi dipartimenti hanno vari tool come source of truth ed è necessario farli funzionare insieme. Questo crea la necessità di un tessuto connettivo tra questi tool esistenti in grado di risolvere tutta una nuova categoria di problemi che si presentano oggi agli operatori moderni. Questo è proprio uno dei motivi per i quali abbiamo creato Breadcrumbs.IO.

breadcrumbs armando biondi - individuare i lead più qualificati

Quali sono i dati utili e necessari per un’attività di lead scoring efficace?

Quello che raccomandiamo e che vediamo fare agli operatori più sofisticati è mettere insieme i dati che si hanno a disposizioni su diverse repository e organizzarli sulla base di due dimensioni più una.

La prima dimensione è il concetto di fit o ICP (ideal customer profile), cioè le caratteristiche del cliente, del buyer, dello user dal punto di vista di profilo e di company. Ad esempio, una company con un certo fatturato o basato su una certa geografia; oppure un ruolo che ha un certo livello di seniority o che appartiene a un determinato departimento.

La seconda dimensione è il concetto di activity: cosa le persone stanno facendo nelle tue online properties. Per esempio qualcuno che visita la tua pagina di pricing, un’altra persona che converte da trial a pagante, una terza persona che attiva una nuova trial, tutte della stessa company e sono tutte interazioni che avvengono nello stesso mese, hai a disposizione tutta una serie di touchpoint che questo prospect sta facendo con te, che se fatti emergere in maniera organizzata ti dà un idea di potenziale di upsell expansion. Senza un tessuto connettivo diventa molto più complicato.

Come si attribuisce un punteggio dinamico a un prospect

Questa è proprio la terza dimensione: è il tema timeliness e della short life. Qualunque operatore sa che fare follow up a un prospect oggi rispetto a farlo tra tre settimane fa molta differenza. Per cui, il concetto di dinamicità legato alla recency and frequency, non è ancora del tutto integrato negli attuali standard, mentre invece qualunque operatore dovrebbe avere interesse a seguirlo.

Per questo intendiamo lo score dinamico come un punteggio che cambia sulla base del tempo e sulla base della frequenza delle interazioni, che possono influenzare la conversazione a nostro favore in quel dato momento.

Insieme al concetto di fit, quello di activity crea un diagramma che ci permette di individuare i prospect più interessanti in quel momento, escludendo i cluster a basso valore.

individuare i lead più qualificati

Puoi anticiparci qualcosa del tuo intervento al B2BRocks?

armando biondi

Il tema sarà Secret Playbook to Revenue Acceleration, ci saranno tutta una serie di insight che abbiamo messo insieme in questi anni. Come team ci occupiamo di questo da molti anni e ci siamo trovati a fare le stesse attività in company diverse, cosa che ci ha portato a pensare che ci fosse un prodotto che poteva essere pensato e automatizzato. Gli insight che ci hanno permesso di arrivare a questo prodotto sono ciò di cui parleremo; sono cose che si possono mettere in pratica senza la necessità di essere operatori sofisticati nel pensare a come accelerare la crescita.

b2b rocks copertina-dell'evento

Il tema generale è che il mondo i cui viviamo oggi è molto più complesso, veloce e dinamico rispetto a 10 anni fa e nuovi problemi richiedono nuove soluzioni e nuovi framework. Data la crescita esponenziale dei Big Data, serve mettere insieme questi dati in un modo che abbia senso e che permetta di crescere più velocemente.

Anche Ninja al B2B Rocks

Un evento prestigioso di respiro internazionale con speaker, tavole rotonde e keynote sui temi della tecnologia e del Saas. Il team e la redazione di Ninja non potevano mancare ad un appuntamento del genere: seguiremo passo passo le due giornate dell’evento raccontandovelo sul Magazine e sui nostri canali social, mentre venerdì 10 giugno alle 9.30, il CEO e Founder di Ninja Marketing e Ninja Academy, Mirko Pallera avrà un ruolo da protagonista moderando una tavola rotonda dal titolo “How to hire & build marketing teams at different growth stages?

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crollo terra luna

Crollo dell’ecosistema Terra-Luna: cosa è successo

Le giornate del 10 e 11 maggio 2022 passeranno alla storia come le più disastrose per il mondo delle monete virtuali (sia stablecoin che cripto). A farne le spese è stata, in particolare, TerraUSD, che in 24 ore ha perso il 65% del proprio valore arrivando a 0,3 dollari e perdendo quindi l’ancoraggio al dollaro USA. 

Peggiore sorte ha subito la sua collegata Luna, che nello stesso lasso di tempo ha perso il 95% del proprio valore passando dai 119 dollari del 05/04/22 agli attuali 4,77 dollari.

 

Perché ne parliamo

La notizia ha fatto il giro del mondo e tutti ne parlano, dai consumatori alle istituzioni, associando l’ecosistema Terra-Luna alla Lehman Brothers. Ovviamente, il lato peggiore di questa situazione coinvolge le persone che hanno perso i propri risparmi, che sono migliaia e in gran parte piccoli risparmiatori senza alcuna tutela o protezione.

Cerchiamo di capire cosa sia successo e in che modo tutelare i piccoli risparmiatori per il futuro.

Caratteristica di ogni stablecoin è quella di essere sostenute da un bene di riserva come l’oro oppure il dollaro USA, come nel caso delle più importanti quali Tether e USDC.

 

 

Nel caso di Terra e Luna la stabilità e il rapporto 1:1 con il dollaro USA non è dato dall’accantonamento di riserve, ma viene gestito tramite la sua collegata Luna, definita anche come  token di governance.

In poche parole, per creare più TerraUST si devono bruciare token Luna, e viceversa, il tutto  gestito da un algoritmo (da qui la definizione di stablecoin algoritmiche) che solo fino a pochi giorni fa era tra le 10 maggiori criptovalute per capitalizzazione di mercato.

Queste stablecoin algoritmiche, ricordiamo, rappresentano un connubio tra matematica e algoritmi informatici per creare una valuta digitale che simula il comportamento del dollaro con un valore e rapporto 1:1 con il dollaro americano a cui dovrebbe essere ancorato.

Cosa ha portato al crollo del sistema Terra-Luna

Tra le cause di questo crollo, oltre ai deludenti risultati finanziari di Coinbase, principale piattaforma di scambio in USA, un bug nell’ algoritmo che gestisce il rapporto tra TerraUsd e Luna; in particolare, questo presunto malfunzionamento sarebbe in quella parte dell’algoritmo che decide di  attivare la copertura di TerraUSD , quando necessario, attraverso l’utilizzo del token Luna, posseduto da una fondazione, la Luna Foundation.

Qualche giorno prima la fondazione aveva comunicato di garantire il rapporto 1:1 tra TerraUSD e dollaro USA tramite una serie di prestiti del valore complessivo di 0,7 miliardi di dollari a società di trading OTC (over the counter) e altri 0,7 miliardi di dollari in Bitcoin.

A questo si aggiunge l’azione della società Anchor, azionista di Terra-Luna che ha raccolto più di 14 miliardi di dollari offrendo interessi al tasso del 20% a coloro che effettuavano investimenti nei prestiti a TerraUSD.  

Tutto ciò ha generato un ribasso del valore di TerraUSD e l’algoritmo ha spinto eccessivamente sulla vendita del token Luna per recuperarne il valore. Le vendite di Luna sono aumentate vertiginosamente fino a deprezzarla dai 119 dollari di una settimana fa a poco più di zero. 

Le contromisure finanziarie poste in essere da Do Kwon, creatore di Terra-Luna, e dal suo staff tecnico hanno portato alla decisione di sostenere il “peg” di TerraUSD con le loro riserve di Bitcoin. In breve, sono stati usati dei Bitcoin per riacquistare TerraUSD, il risultato, disastroso, ha portato alla svalutazione di Bitcoin (-8,7%) riducendo il suo valore al di sotto dei 29.000 dollari trascinando nel crollo anche altre criptovalute.

 

La reazione della Securities and Exchange Commission

Quanto successo pone l’attenzione di tutti sulla necessità di una regolamentazione delle criptovalute in generale, dato che come ribadito in questi giorni dalla Securities and Exchange Commission (SEC) tramite un comunicato ufficiale, ”gli utenti di cripto asset non hanno protezioni in caso di bancarotta”.

Un’affermazione del genere, in un momento storico come questo, non può non scatenare il panico e in effetti nella maggior parte delle giurisdizioni non vi è una specifica normativa primaria o regolamentare che sia in grado di disciplinare l’esistenza e gli effetti delle criptovalute.

Conclusioni e prospettive a breve termine

Concludendo, un passo in avanti lo sta facendo proprio l’ Europa con l’approvazione del MiCA (Market in Crypto Asset Regulation) del 14 marzo. Il MiCA, ha il compito di disciplinare solamente tematiche fiscali e regolatorie delle crypto mentre la tematica ambientale correlata al mining sarà lasciata ad un’altra commissione.

Negli USA, il Presidente Joe Biden punta alla regolamentazione del settore in 6 punti fondamentali:

  • protezione dei consumatori e degli investitori;
  • stabilità finanziaria;
  • perseguimento degli illeciti finanziari;
  • leadership USA nel sistema finanziario globale e competitività economica;
  • inclusione finanziaria;
  • innovazione responsabile.

L’Italia presenta un certo ritardo rispetto agli USA e all’UE, con normative di riferimento poco chiare e la mancanza di qualsiasi disposizione di carattere fiscale dedicata agli asset crittografici, e ovviamente, alle criptovalute in primis.

L’assenza di un pacchetto normativo ad hoc, rischia di farci mancare l’opportunità di inserimento e di sviluppo in un settore che vede un giro d’affari stimato in circa 3 mila miliardi verso la fine del 2022, per le sole criptovalute. E questo, senza considerare il mercato in crescita costante di altri asset, come gli NFT.

In particolare l’ interesse primario in Italia è legato esclusivamente alla regolamentazione fiscale delle criptovalute, ma non alla tutela e protezione dei consumatori e degli investitori.

KPI cosa sono immagine 02

KPI: cosa sono e come usarli al meglio nel Digital Marketing

I Key Performance Indicator sono metriche significative che indicano il successo nel raggiungimento di un tuo obiettivo, personale o professionale che sia. Il monitoraggio dei KPI ti aiuta a capire a diversi livelli se la tua attuale strategia sta funzionando.

Cosa sono i KPI nel marketing?

I KPI non sono “solo” metriche. Facendo un esempio di digital marketing, se il tuo obiettivo strategico è convertire gli utenti in clienti paganti, utilizzerai il tasso di conversione come KPI, mentre impressioni e clic possono essere considerati come semplici metriche.

La selezione dei KPI giusti consente ai manager di prendere decisioni aziendali intelligenti e informate sui passaggi successivi, ma non solo.

LEGGI ANCHE: 5 strumenti per massimizzare l’approccio Customer Centric dei brand

Perché sono importanti

Perché dedicare del tempo a determinare i KPI per la tua attività? Ecco 4 ottime ragioni.

Definire il successo

Molto probabilmente hai bene in mente quali siano gli obiettivi di digital marketing per il prossimo trimestre o il prossimo anno. Ecco, il processo di identificazione e misurazione dei KPI ti porta ad andare oltre e guardare quali azioni e comportamenti specifici guideranno te, il tuo team o la tua azienda verso tali obiettivi.

Ad esempio, se il tuo obiettivo è aumentare del 20% i lead acquisiti, dovrai identificare con il tuo team quali fattori intervengono su questo valore e stabilire alcuni passaggi specifici e attuabili per raggiungere questo risultato.

Anche a seconda dei canali digitali utilizzati, esistono molti modi per migliorare la lead generation, ma concentrarsi sui KPI della tua azienda può aiutarti a sviluppare una road map unica verosimile e su misura.

Ciò che viene misurato viene gestito

Sebbene ci siano molti fattori che determinano il successo di un team, è difficile sapere quali fattori sono i più critici a meno che non vengano monitorati.

Se non stai guardando qualcosa, non puoi sapere se migliora o peggiora: un’affermazione mai troppo banale, soprattutto nella frenetica vita di agenzia dove spesso l’operatività fagocita monitoraggio e reportistica, precludendo le possibilità di crescita. Determinare i fattori trainanti delle campagne digital (SEO, social, adv, DEM…) e monitorare i loro progressi contribuirà a mantenere il focus sul percorso tracciato.

Incoraggiare la responsabilità utilizzando i KPI

I numeri non mentono! È facile rispondere alle domande relative all’aggiornamento dello stato quando i KPI sono chiari e rilevanti, non limitati da parametri di riferimento irrilevanti come le ore di lavoro o il numero di e-mail inviate al giorno. I KPI consentono ai membri del team di assumersi la responsabilità del proprio tempo sul lavoro e di assicurarsi di allineare gli sforzi con gli obiettivi.

Inoltre, ritenere i membri del team responsabili del miglioramento dei KPI sotto il loro controllo fornisce a loro (e agli head) un metro per misurare le loro prestazioni. Non solo: in questo modo ognuno ha un modo per quantificare il modo in cui ha contribuito, mentre i responsabili possono vedere quali dipendenti stanno contribuendo maggiormente al raggiungimento degli obiettivi.

Fare squadra

I KPI di un team digital non devono necessariamente essere i classici indicatori di performance: ROI, CAC, CMPo, CTR, CPC, open rate,… Invece, possono concentrarsi sull’efficienza operativa dei singoli dipartimenti dell’agenzia/azienda, dando un risultato ponderato di come l’output di tali parti influisca sull’insieme.

Sviluppare e monitorare dei KPI dipartimentali significa evidenziare come i dipartimenti lavorano insieme per raggiungere gli obiettivi globali o, se più granulari, come contribuiscono le persone all’interno di ciascun team. Indirizzare tutti verso gli stessi obiettivi, presentandoli in modo chiaro e condiviso, fornirà unità di intenti e motivazione.

KPI cosa sono

Come scegliere i KPI giusti

Quindi, quali KPI di digital marketing dovresti monitorare? Esiste un numero apparentemente infinito di KPI e può essere facile cadere nella tentazione di tracciare molti elementi secondari senza imparare nulla. Prima di tutto, non è mai troppo banale ricordare che alcuni fattori da misurare, altri no.

Come misurare i KPI

  • KPI che coinvolgono tutta l’organizzazione, cioè metriche quantificabili in linea con gli obiettivi dell’agenzia/azienda. Questi saranno spesso vendite, lead, o più in generale conversioni. Di contro, un KPI potrebbe anche prevedere la verticalizzazione su uno specifico ambito.
  • KPI che riguardano un singolo canale di comunicazione devono essere riconducibili esclusivamente a quell’ambito e non vanno valutati in relazione ad altri, pensando al loro valore in quanto metriche trasversali (es. CTR).
  • Leading indicator. Come nell’economia, anche nel digital marketing monitorare un indicatore “anticipatore” serve per cercare di capire trend di prossima realizzazione. Ad esempio, potresti misurare quante persone hanno trascorso più di 2 minuti sul tuo sito anche se non hanno compilato il modulo di contatto. Questi dati possono mostrare che il tuo tempo e i tuoi sforzi stanno iniziando ad avere un impatto anche se non hanno ancora avuto risultati significativi.

Cosa non misurare

  • Eventi su cui non puoi intervenire. Se non puoi cambiarlo, non ha senso che sia un KPI.
  • Metriche di vanità. Tutti hanno avuto (hanno) qual cliente o quel quadro direttivo che vuole essere in cima a Google per una parola chiave che non fornisce traffico e conversioni.

Domande da porsi

Per identificare i KPI significativi è utile porsi alcune domande.

  • Qual è il tuo risultato desiderato?
  • Perché questo risultato è importante?
  • È correlato a un obiettivo aziendale specifico?
  • Come misurerai i progressi?
  • A quali altri fattori potrebbe riferirsi questa misura?
  • Come puoi influenzare il risultato?
  • Chi è responsabile del risultato?
  • Come saprai di aver raggiunto il tuo risultato?
  • Con quale frequenza esaminerai i progressi verso il risultato?

Come misurare i KPI: sii S.M.A.R.T.

George T. Doran, nel 1981, ha scritto un articolo intitolato:  “C’è un modo SMART per scrivere gli obiettivi e gli obiettivi del management”.

Negli anni, l’approccio SMART ha subito trovato ampia diffusione e applicazione, soprattutto in ambito gestionale, ed è il perfetto metro di giudizio per i tuoi KPI di digital marketing. Ogni Index deve quindi essere: Specifico, Misurabile, rAggiungibile (achiveable), Rilevante, Temporalmente limitato. In altre parole:

  • Il tuo obiettivo è specifico?
  • Riesci a misurare i progressi verso il tuo obiettivo?
  • L’obiettivo è realisticamente raggiungibile?
  • Quanto è rilevante l’obiettivo per la tua organizzazione?
  • Quali sono i tempi per raggiungere questo obiettivo?

Rispondere a queste cinque domande aiuta a fare chiarezza non solo in fase decisionale, ma anche in quella di condivisione. Non dovresti mai presumere che i tuoi collaboratori vedano i KPI nello stesso modo in cui li vedi tu.

Ad esempio, “raddoppiare le conversioni” lascia spazio a una molteplicità di interpretazioni, fugate invece dalla formulazione più SMART: “Ho bisogno che tu raggiunga un aumento del 100% delle conversioni qualificate su base annua entro la fine del terzo trimestre”.

LEGGI ANCHE: Digital Strategy: cosa serve per far letteralmente esplodere il Brand

Come misurarli: 7 errori da evitare

1. Non metterli in relazione

Una cosa da tenere a mente con i KPI è che non contano tutti, e questo è particolarmente vero con le metriche tradizionali nel mondo digitale.

Ad esempio, le statistiche sul traffico del sito in un giorno in cui si verifica uno specifico evento di marketing, hanno senso solo se messe in relazione alle conversioni di quel giorno rispetto ad altri giorni, ad esempio, sarebbe un modo per applicare questi numeri per informare direttamente la strategia per la tua prossima campagna

Inizia con solo alcune metriche chiave che sai essere forti indicatori dello stato di salute della tua attività, quindi scopri se disponi o meno di uno strumento di analisi per gestire le metriche o se devi calcolarle da solo. Assicurati di concentrarti sui clienti e sul business, non sul “traffico” del sito Web di per sé.

2. Poca chiarezza nella suddivisione tra i canali

I diversi canali, come pubblicità, SEO e social media, sono stati attivati per soddisfare scopi diversi. Non genereranno tutti direttamente entrate o avranno lo stesso obiettivo principale, quindi i loro KPI primari sono diversi. Inoltre, è qui che vengono testate le tue capacità decisionali poiché dovrai allocare KPI specifici a canali specifici e assicurarti di scegliere correttamente in modo da trarne il massimo.

3. Trascurare il processo per i risultati

Spesso le aziende dimenticano lo scopo principale del tracciamento dei KPI concentrandosi sul processo piuttosto che sul risultato stesso.

Viceversa, i KPI sono metriche che mostrano il successo della tua azienda nel raggiungere gli obiettivi strategici. Pertanto, è fondamentale che ti aiutino a mantenerti motivato e a concentrarti sul raggiungimento degli obiettivi strategici definiti. Più specifico imposti questo obiettivo e il relativo KPI, più efficace sarà il tuo team nel raggiungerlo.

Tracciando i KPI che non sono focalizzati su risultati concreti, rischi di avere prestazioni scadenti.

4. Fermarsi alle vanity metric

Le metriche di vanità sono quelle che misurano le attività piuttosto che i risultati. Puntano sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Ad esempio, misurare il numero di Mi piace o clic su un post sui social media può essere una parte molto utile dei tuoi KPI, ma senza contesto, questi numeri non significano nulla per la gestione.

I tuoi KPI dovrebbero comunicare l’impatto delle tue attività di marketing in un modo che la direzione possa facilmente comprendere. È facile per gli esperti di marketing comprendere e misurare metriche flessibili come tassi di apertura, impressioni e clic da un canale di marketing.

Ma la direzione comprende metriche difficili come entrate, previsioni di vendita e profitti/perdite. È necessario misurare e spiegare in che modo i dati influiscono sulle metriche hard.

In che modo le classifiche di ricerca organica si allineano con gli obiettivi aziendali?

Inoltre, aiuta a tradurre il gergo di marketing in termini familiari ai decision maker.

5. Stabilire KPI che dipendono fortemente da fattori esterni

La recente pandemia ci ha ricordato quanto possa essere imprevedibile e inaspettato l’ambiente esterno. Infatti, i fattori esterni hanno una grande influenza sulle condizioni in cui opera l’azienda. Dal momento che non possiamo controllare questi fattori esterni, non possiamo fare affidamento solo su quei KPI che dipendono estremamente da essi.

Il monitoraggio dei KPI che dipendono completamente da circostanze esterne rende la tua strategia più debole.

Quindi, assicurati che nel tuo set di KPI disponga di KPI in grado di misurare le tue prestazioni indipendentemente da fattori esterni.

6. Come usare i KPI per premiare e punire

Se i KPI di digital marketing diventano la base per impostare una retribuzione a cottimo soffocano la spinta alla crescita e all’innovazione. La necessità di misurare non deve trasformarsi in un’ossessione di controllo eccessivamente granulare e quindi inutile.

Viceversa, la cultura del lavoro si è evoluta per generare motivazione, affinità e crescita professionale dei talenti per alimentare l’evoluzione del business. Questo è particolarmente vero nel digital marketing, dove è fondamentale seguire i trend di settore e avvalersi degli strumenti più avanzati.

7. Creare report senza agire

Un altro problema forse sorprendente sui KPI è che le aziende spesso non agiscono su nessuno dei problemi che trovano. Ciò è spesso dovuto all’essere troppo occupati o alla mancanza di risorse.

Ma è uno spreco incredibile stabilire un processo per tenere traccia dei risultati, ottenere informazioni, ma ignorare o dimenticare i risultati. Le metriche diventano fini a sé stesse, un esercizio di stile, una serie di report ben fatti che si fermano all’analisi delle prestazioni senza indicare la via per un miglioramento.

La risposta a questo è di ridimensionare i tuoi KPI in modo da avere un set gestibile di report che supportano le tue attività principali.

cosa sono i Key Performance Indicator

19 esempi di KPI di digital marketing, divisi per canali

KPI di digital marketing

Customer Lifetime Value (CLV): il valore della vita di un cliente è la quantità di entrate che un cliente tipico genera nel tempo. Potrebbe trattarsi di giorni, settimane, mesi o anni, a seconda del tasso di conservazione tipico e delle offerte di prodotti o servizi di back-end.

Costo di acquisizione del cliente: il costo di acquisizione è quanto devi spendere per ottenere un nuovo cliente. Ciò potrebbe includere pubblicità, chiamate o visite di vendita e qualsiasi altra cosa che entri nel processo di prospezione e conversione.

Ritorno sull’investimento (ROI): il ROI è una funzione dei due KPI precedenti. Ti dice quanto profitto generi quando confronti il ​​costo di acquisizione dei clienti con le entrate generate.

Tasso di conversione: il tasso di conversione è la percentuale di visitatori che si trasforma in lead e i lead in clienti. Questo è un KPI di marketing generale, ma può essere applicato anche a qualsiasi altra categoria se desideri monitorare ciascun canale separatamente.

KPI dei social media

Mi piace, commenti e condivisioni: sono tutti indicatori di coinvolgimento, che equivale a tassi di conversione più elevati, una crescita del pubblico più stabile e relazioni più solide nel tempo.

Nuove impressioni: questo KPI dei social media dimostra la copertura, che dovresti mirare ad aumentare nel tempo attraverso annunci a pagamento, un migliore coinvolgimento e più follower.

Numero di follow rispetto al numero di unfollow: idealmente avrai più follower che non follower, ma questo KPI mostra se i tuoi contenuti sono rivolti o meno al pubblico corretto ed è abbastanza interessante da mantenere la loro attenzione.

KPI della Search Engine Optimization

Posizione degli annunci nelle pagine dei risultati (SERP): quanto si posiziona in alto il tuo sito Web nei risultati di ricerca per le keyword più significative? Il tuo obiettivo dovrebbe essere quello di essere in prima pagina su Google (o altri motori di ricerca) in modo che più persone trovino e facciano clic sul tuo sito web.

Traffico organico:  alti tassi di traffico organico significano che più persone trovano i tuoi prodotti e servizi semplicemente cercando domande o parole correlate, il che indica che la tua strategia SEO sta funzionando.

Click Through Rate (CTR) dei link: la frequenza con cui le persone fanno clic su annunci di ricerca a pagamento o pagine Web che appaiono organicamente nei risultati di ricerca indica l’efficacia dei copy. Stai puntando sulle leve giuste? Risulti interessante per il tuo pubblico? Rispondi in modo pertinente alle loro domande (query di ricerca)?

KPI Pay Per Click

Tasso di clic (CTR): come per la SEO, anche per gli annunci a pagamento la percentuale di persone che vedono il tuo annuncio nei motori di ricerca e fanno clic su di esso indica l’efficacia del copy o di contenuti visuali.

Tasso di conversione delle vendite: questo numero mostra se l’offerta promessa nell’annuncio è ancora rilevante per il pubblico a cui viene mostrato l’annuncio e se è sufficientemente in linea con le loro aspettative da convincerli ad acquistare.

Costo per acquisizione (CPA): l’importo che paghi per ogni nuovo cliente che hai ottenuto tramite un annuncio a pagamento mostra esattamente dove sta andando il tuo budget e se vale la pena re-investire o meno la tua campagna.

KPI dell’email marketing

Numero di e-mail consegnate / aperte / a cui si è risposto: queste informazioni indicano agli esperti di marketing se i loro messaggi stanno arrivando alle caselle di posta. Dimostrano anche se l’oggetto è sufficientemente persuasivo e se la campagna promuove un ulteriore coinvolgimento.

Percentuali di clic sui link e sui pulsanti CTA: mostrano l’efficacia delle tue offerte o inviti all’azione.

Azioni social e forward: la condivisione è una forma di coinvolgimento di alto valore che mette i tuoi post di fronte a più persone, il che è ottimo per aumentare le impressioni ed espandere il tuo pubblico.

KPI del marketing dei contenuti

Visite uniche: documentano il volume di traffico nel tempo, utile per vendere prodotti e servizi. Tuttavia, alcune visite uniche potrebbero provenire da bot, motivo per cui è fondamentale monitorare contemporaneamente anche il coinvolgimento e le conversioni.

Tempo medio a pagina: il tuo obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare il tempo medio sulla pagina perché probabilmente porterà a un migliore tasso di conversione delle vendite. Inoltre mostra che i tuoi contenuti sono rilevanti per il tuo pubblico.

Percentuali di clic sui pulsanti: la maggior parte dei link e dei pulsanti dei siti Web sono legati alle vendite o all’acquisizione di dati importanti come le newsletter via e-mail. Avere un alto tasso di successo significa che le tue offerte e il tuo pubblico sono allineati.

Come tracciare i KPI

Potresti pensare che c’è un tool perfetto per misurare ogni KPI legato al digital marketing, e probabilmente è vero. Anzi, per alcuni canali ci sono più opzioni valide, mentre altri strumenti permettono di mettere in relazione dati provenienti da fonti eterogenee. Quello che nessun tool potrà fare, invece, è interpretare i dati in ragione dei KPI e degli obiettivi aziendali.

Con questa premessa, vediamo ora quali sono i tool più utili.

Software di Customer Relationship Management. Il tuo CRM tiene traccia di tutti i punti di contatto con i partner, quindi assicurati di utilizzare un CRM che copra l’intera attività, non solo la comunicazione con i clienti. Classifica le interazioni in base a gruppi come lead, opportunità, clienti paganti, MQL, SQL, per consentire confronti che informeranno le future decisioni di marketing e ti aiuteranno a definire meglio i tuoi KPI di marketing.

Google Analytics. Lo strumento di monitoraggio più utilizzato al mondo, Google Analytics, è gratuito e fornisce una visione chiara di tutte le principali metriche da un’unica dashboard. Prevede inoltre diverse forme di reportistica, oltre a essere predisposto ad essere collegato con Google Data Studio per offrire una personalizzazione ancora maggiore. EXTRA: la filosofia alla base dell’ultima versione, GA4, è uno specchio di come la raccolta dei dati si configuri sempre più non come una raccolta di informazioni sugli utenti, ma sui comportamenti (interazioni).

Facebook Insights. Con Insights della pagina Facebook, puoi vedere come sta andando la tua pagina aziendale e impostare i tuoi KPI di marketing per ottimizzare i risultati di Facebook. Scopri quante persone vedono i tuoi post, con quali post le persone interagiscono di più, il rendimento di ogni post, quali azioni vengono intraprese sulla tua pagina e altro ancora.

Youtube Analytics. La piattaforma offre uno strumento molto curato per fare luce sui principali KPI di marketing dei video, inclusi tempo di visualizzazione, sorgenti di traffico, dati demografici del pubblico, posizioni di riproduzione e altre metriche di coinvolgimento, il tutto in tempo reale.

Strumenti di email marketing.  MailChimp, SendinBlue, HubSpot, MailerLite, e altri servizi ugualmente validi forniscono ottimi servizi di email marketing, facendo anche luce sul rendimento delle tue campagne di email marketing attraverso i tuoi KPI di marketing predefiniti. Quando scegli il tuo, il consiglio è di verificare quanto lo strumento è generalista o specializzato in una nicchia, come e-commerce, PMI, lead generation,… Due elementi spesso cruciali sono la facilità di creazione delle automation e le possibilità di gamification (anche con estensioni ad hoc).

Strumenti di social media marketing. È necessario utilizzare strumenti per misurare i dati di marketing da ciascuno dei tuoi canali social. Anche se molte piattaforme forniscono toll di analisi interni, puoi usare strumenti in grado di misurare le menzioni del tuo marchio, misurare il coinvolgimento del pubblico e il traffico proveniente da ciascuna piattaforma di social media, creare report di marketing e offrire dashboard di analisi incrociate. Alcuni esempi sono: SproutSocial, HubSpot, BuzzSumo, HootSuite.

Strumenti di content marketing. Il ROI del marketing dei contenuti è notoriamente difficile da misurare. Un buon marketer di contenuti utilizza una varietà di SEO, CRO e strumenti di distribuzione dei contenuti per misurare quali contenuti hanno generato lead e quali devono essere migliorati. Strumenti come Ahrefs e Semrush misurano la quantità di link in entrata e mostrano le tue classifiche di ricerca. Strumenti come Google Analytics possono aiutarti a misurare le frequenze di rimbalzo, il traffico da ciascun canale e l’esperienza utente complessiva sul tuo sito. Google Search Console è un altro ottimo strumento per aiutarti a ottimizzare le prestazioni del tuo sito e dei tuoi contenuti.

Strumenti pubblicitari. Ogni marketer digitale ha bisogno degli strumenti giusti per misurare il traffico proveniente dagli annunci. Questi potrebbero includere strumenti di reporting come Google Data Studio che aggrega tutti i dati da ciascun canale di marketing (annunci di Google, annunci di Facebook, Amazon Advertising, banner pubblicitari, ecc.). Hai bisogno di uno strumento solido che analizzi tutte le tue campagne, le scomponga in base all’URL della campagna, aiuti a misurare i tuoi test AB e aiuti a implementare le modifiche per migliorare il tuo ROI.

cosa sono i KPI

Come farne uno strumento di crescita

I KPI di digital marketing indicano una rotta da seguire, ma perché essa abbia significato nel tempo e sia un veicolo di crescita, è necessario procedere con metodo, per guidare effettivamente l’organizzazione verso degli obiettivi chiari e condivisi senza deviazioni.

Ecco 3 aspetti essenziali per rendere i KPI degli strumenti di crescita.

Gerarchia

Inizia decidendo cosa devi monitorare. Assicurati che i tuoi KPI riflettano la tua strategia aziendale e misurino i progressi della tua azienda verso gli obiettivi strategici.

Per il monitoraggio dei progressi, di solito vengono scelti KPI che assumono la forma di somme, percentuali, rapporti e medie.

Naturalmente, questa non è una regola universale, ma questo approccio aiuta ad andare sul sicuro ed evitare le cosiddette metriche di vanità quando le aziende gestiscono numeri di grande crescita anche se non ci sono reali progressi dietro di essi.

È importante che i KPI siano frutto di un confronto, una visione comune tra tutti gli stakeholder, ma che una sola persona sia il referente per il raggiungimento dell’obiettivo e abbia l’autorità per effettuare interventi correttivi.

Azioni e risultati

Sai come cambiano i dati nel tempo, ma sai cosa guida il cambiamento? Allineando le attività con i risultati, non solo misuri lo stato di salute della tua organizzazione, ma puoi prevedere quali passaggi portano ai risultati giusti. Inoltre, puoi identificare quali attività intraprendi “perché abbiamo sempre fatto così”.

Queste attività non determinano risultati e dovrebbero essere eliminate al più presto.

La combinazione della comprensione dell’impatto sui risultati e della riduzione dell’inefficienza può portare la tua organizzazione a un livello superiore.

Reportistica e comunicazione

Un argomento già toccato, ma da ribadire in ottica growth-driven. Trascurare di aggiornare il proprio team e farlo in modo superficiale vanifica i traguardi raggiunti. Implementare un sistema di monitoraggio dei KPI è un’operazione trasversale.

Una dashboard di KPI progettata in modo improprio, con informazioni incomplete, fuorvianti o non significative porta i dipendenti a vedere i momenti di confronto come tempo sprecato. Durante una riunione, il team dovrebbe comprendere a colpo d’occhio la metrica chiave di ogni tabella e grafico.

Alla fine del brief, ciascuno dovrebbe avere ben chiaro l’andamento dei KPI e quale è il proprio focus per il periodo successivo.

Come formarsi e rimanere aggiornati

I Key Performance Index sono per loro natura strettamente legati agli ambiti di applicazione. Nell’ambito di digital marketing questi spaziano dalla Strategia a contesti più specifici come Content Marketing, Ecommerce, Performance Marketing, Social Media Marketing, Digital e Search Engine Marketing.

Per ciascuno di questi è possibile intraprendere un percorso di crescita dedicato, imparando a identificare e raggiungere i KPI più significativi per visualizzare l’efficacia di una strategia.

terna digital transformation

Transizione Energetica e Digital Transformation: Terna investe 1,2 miliardi per la decarbonizzazione

In che modo il digitale sta trasformando il settore energetico?

Una cosa è certa. Le innovazioni tecnologiche stanno ridefinendo il settore.

E non è più una novità da qualche anno ormai. La vera novità sono le innovazioni sul mercato che giorno dopo giorno promuovono un uso sempre più sostenibile dell’energia.

La digitalizzazione sta accelerando la trasformazione dell’Energy Industry, con un nuovo approccio orientato a fonti sempre più pulite, decentralizzate e sostenibili.

Se i segni più evidenti di questo cambiamento possono quindi essere percepiti attraverso i progressi compiuti dalle tecnologie impiegate nella generazione e massimizzazione dell’energia rinnovabile – come eolico e solare – dietro le quinte del settore si lavora per creare una nuova spina dorsale digitale.

Una struttura che permette alle turbine eoliche, ai pannelli solari e alle batterie di produrre e immagazzinare energia per lavorare in modo molto più efficace. Queste nuove tecnologie stanno rivoluzionando i servizi di pubblica utilità che forniscono energia, consentendo a nuovi player – e ai mercati affini – di offrire nuovi servizi alle persone.

Energia, Digitale e Digital Economy: “certi amori fanno giri immensi e poi ritornano

E dire che il settore energetico è stato uno dei primi ad adottare le tecnologie digitali.

Negli anni ’70, le società di servizi energetici globali erano pionieri del digitale: utilizzavano tecnologie emergenti per facilitare la gestione e il funzionamento delle reti.

Le compagnie petrolifere e del gas utilizzano da tempo le tecnologie digitali per migliorare il processo decisionale per le attività di esplorazione, estrazione e produzione, sia per giacimenti che per oleodotti.

Il settore industriale utilizza da decenni controlli di processo e automazione, in particolare nell’industria pesante, per massimizzare la qualità e la resa del prodotto, riducendo al minimo il consumo energetico. I sistemi di trasporto intelligente utilizzano le tecnologie digitali per migliorare la sicurezza, l’affidabilità e l’efficienza nello spostamento, nella spedizione e nella logistica delle merci.

Oggi il ritmo della digitalizzazione dell’energia è in aumento.

Gli investimenti nelle tecnologie digitali da parte delle società energetiche sono aumentati notevolmente negli ultimi anni.

Ad esempio, gli investimenti globali in infrastrutture e software per l’elettricità digitale sono cresciuti di oltre il 20% all’anno dal 2014, raggiungendo 47 miliardi di dollari nel 2016. Questo investimento digitale nel 2016 è stato quasi il 40% superiore agli investimenti nella produzione di energia elettrica a gas in tutto il mondo (34 dollari miliardi) e quasi pari all’investimento totale nel settore elettrico indiano (55 miliardi di dollari).

Transizione energetica e Digital Transformation Terna Ninja Marketing

Oggi il settore energetico potrebbe essere arrivato alla Digital Economy un po’ più tardi rispetto ad altre industry. Ma sta recuperando rapidamente terreno e questo è ciò che conta.

Digitalizzazione: la Quarta Rivoluzione Industriale

La “spina dorsale digitale” a cui punta l’industria energetica, molto spesso definita come la Quarta Rivoluzione Industriale, sarà la componente cruciale della rete intelligente del futuro. Con la conseguente capacità di integrare nella rete progetti di energia rinnovabile.

Si aprono nuovi scenari all’orizzonte, come la possibilità di vendere una produzione energetica alle utility locali o ai clienti aziendali tramite un PPA (Power Purchase Agreement).

La digitalizzazione può aiutare a integrare le energie rinnovabili variabili consentendo alle reti di far corrispondere meglio la domanda di energia nei momenti in cui il sole splende e il vento soffia.

Nella sola Unione Europea, l’aumento dello storage e della gestione della domanda attraverso canali digitali, potrebbero portare alla riduzione del consumo di solare fotovoltaico e dell’energia eolica dal 7% all’1,6% entro il 2040. Evitando 30 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica.

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L’introduzione dei Sensori Intelligenti

Una delle innovazioni più importanti degli ultimi anni è stata l’implementazione di sensori intelligenti praticamente su ogni apparecchiatura che utilizza o produce energia.

Questi sensori caricano informazioni, generando quello che ormai tutti conosciamo come “Internet of Things” (IoT). Un sistema integrato di dati, trasmissioni e relazioni digitali che consente agli operatori di vedere come funzionano ed evolvono particolari progetti o apparecchiature.

Quando necessitano di manutenzione, i sensori richiamano l’intervento per la risoluzione di problematiche ancor prima che si verifichino. E anticipare il malfunzionamento prima che si verifichi.

Questo è il futuro e lo stiamo vivendo oggi.

Transizione energetica - Terna e Internet of Things

L’impatto del Digital ad ampio raggio

Su scala più ampia, i gestori di rete possono anche ottimizzare le prestazioni del sistema e integrare un’energia meglio distribuita e più decentralizzata. Un maggiore controllo sul dettaglio – reso possibile proprio dalla grande quantità di dati a nostra disposizione e generati dall’ IoT – è il vantaggio conquistato con la Quarta Rivoluzione Industriale.

Ad esempio, l’eolico e il solare hanno il potenziale per essere utilizzati in modo più efficace se associati ai progressi nelle tecnologie di accumulo di energia.

Fino a poco tempo fa, gran parte di questi dati non sarebbero stati analizzati perché non avevamo gli strumenti per farlo. Ma l’avvento delle tecniche di analisi dei big data, che utilizzano l’Intelligenza Artificiale e l’apprendimento automatico, consente a tali informazioni di aumentare l’efficienza in tutto, dai singoli dispositivi all’intera rete.

Blockchain, Digitale ed Energia

Cosa ha a che fare l’informatica quando si parla di ottimizzazione energetica, decarbonizzazione e di energie rinnovabili?

Perché viviamo nell’era dell’Internet of Things.

Numerosi dispositivi di uso quotidiano sono collegati a internet e scambiano informazioni per migliorare la loro efficienza, essere controllati da remoto oppure monitorare le proprie prestazioni.

Anche la distribuzione dell’energia funziona seguendo queste logiche e qui entra in gioco la blockchain: i prosumer fotovoltaici (i consumatori energetici che diventano a loro volta produttori) possono essere considerati come centri nevralgici di una rete che invia energia da loro prodotta per ridistribuirla nel mercato. La blockchain permette di monitorare e validare questi scambi.

Questa tecnologia, combinata con sistemi di accumulo fotovoltaico, permette anche di risolvere il problema della non programmabilità delle energie rinnovabili. In una configurazione tradizionale, se gli impianti si trovano in una condizione di sovrapproduzione vengono esclusi dalla rete perché essa è incapace di gestire il picco.

Grazie alla blockchain, invece, è possibile suddividere il surplus energetico in pacchetti di energia. Questi vengono temporaneamente immagazzinati nei sistemi di accumulo e, per mezzo di sistemi di validazione, è possibile tenerne traccia e reimmetterli nella rete quando sono necessari.

Questo sistema permette alla rete di gestire efficacemente i picchi di produzione ed essere più stabile. Se uno o più nodi hanno un malfunzionamento non ci sono ripercussioni sugli altri, poiché l’infrastruttura non dipende da un singolo punto di produzione, stoccaggio e distribuzione.

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Innovazione e Digitalizzazione: gli investimenti di Terna per una rete elettrica ancor più efficiente e sostenibile

Nei prossimi anni l’innovazione, le nuove tecnologie e la digitalizzazione continueranno ad avere un ruolo chiave. Se possibile ancor più centrale e decisivo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione della transizione energetica a beneficio dell’intero sistema elettrico.

Per rispondere alla crescente complessità del sistema, Terna – la società che gestisce la rete elettrica nazionale – ha previsto ulteriori investimenti in innovazione e digitalizzazione. Nell’aggiornamento del Piano Industriale 2021-2025 ‘Driving Energy’, l’azienda, infatti, ha aumentato gli investimenti in digitalizzazione e innovazione da 900 milioni a circa 1,2 miliardi di euro (dei 10 miliardi di euro complessivi del Piano).

La società concentrerà il suo impegno su soluzioni tecnologicamente avanzate per proseguire con le attività di installazione di sensori, sistemi di monitoraggio e diagnostica predittiva, al fine di migliorare la sicurezza, l’affidabilità e la resilienza delle reti elettriche.

Terna ha circa 70 progetti di innovazione attivi, il 70% dei quali dedicato al core business. Ovvero lo sviluppo e la manutenzione della rete nazionale e le attività di dispacciamento attraverso l’uso di robot, droni, realtà virtuale e realtà aumentata.

transizione energetica - terna analisi predittive

Tutte le nuove iniziative previste dal Piano Industriale dell’azienda sono declinate nei 4 cluster tecnologici che Terna ha definito come proprio punto fermo per lo sviluppo di nuove soluzioni:

  1. Digital, soluzioni intelligenti per la gestione dell’energia e della potenza;
  2. Energy Tech, soluzioni innovative che utilizzano tecnologie più efficienti e green;
  3. Advanced Materials, attività di ricerca e sviluppo per l’utilizzo di materiali eco-compatibili a ridotto impatto sull’ambiente;
  4. Robotics, per l’automazione dei processi.

Terna si conferma ancora una volta attenta alle dinamiche economiche, politiche e sociali del pianeta.

La clusterizzazione delle tecnologie per il Piano Industriale è stata infatti elaborata tenendo in considerazione i trend tecnologici globali. Come le peculiarità del settore elettrico, la sfida della transizione energetica, la crescente attenzione per la digitalizzazione e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu dell’Agenda 2030.