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Personal branding intervista a Luigi Centenaro

Come rimanere competitivi nel mondo del lavoro grazie al Personal Branding, intervista a Luigi Centenaro

Reel, Stories, dirette su ogni piattaforma social. Il mondo tecnologico in cui viviamo ci spinge a una comunicazione rapida, rapidissima. È un fenomeno che riguarda tutti, ma mai come prima le aziende e i lavoratori sono chiamati alla sfida del cambiamento.
Trasformazione tecnologica e crisi pandemica stanno giocando un ruolo chiave nel definire il futuro dell’occupazione: le competenze invecchiano in un lampo, le professioni cambiano e con loro le mansioni quotidiane.
Di fronte a un mercato del lavoro che evolve in questa direzione, soprattutto per quanto riguarda le soft skill e le transferable skill, sarà quindi sempre più necessario lavorare sul proprio Personal Branding, l’immagine professionale, per poter mettere in evidenzia i tratti migliori della nostra personalità e della nostra professionalità.

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Personal Branding nel mondo del lavoro: da dove partire

Digital You è il primo libro sul Personal Branding completamente dedicato a chi lavora in azienda o in ambito organizzativo e vuole valorizzarsi a livello digitale anche partendo da zero.

Ed è qui che Digital You viene in soccorso di chi cerca un’occupazione. Si tratta di un volume utile per dipendenti, manager, collaboratori fissi, executive, venditori e agenti, affinché possano mettere a sistema tutte le caratteristiche della propria identità personale e professionale presentandosi al meglio al potenziale datore di lavoro. Il testo offre anche soluzioni operative scaricabili gratuitamente: quali profili social attivare, come scegliere video, foto e infografiche, che tipo di strategie di networking e che piano di contenuti adottare.

Abbiamo fatto qualche domanda a Luigi Centenaro, docente di Personal Branding e primo Personal Branding Strategist in Italia. Luigi è anche co-autore dell’edizione italiana di Digital You di William Arruda, autore dell’edizione americana e fonte inesauribile di ispirazione sul Personal Branding in tutto il mondo; di fatto, è considerato uno dei principali pionieri e innovatori della materia.

luigi centenaro digital you personal branding

Nel nuovo libro descrivete come il mercato del lavoro sia destinato a cambiare profondamente. Come può il Personal Branding aiutarci a rimanere competitivi?

Destinato a cambiare? Sta cambiando. Anzi, è già cambiato molto…

Megatrend quali il Covid19, il remote working (speriamo diventi anche smart in futuro), la trasformazione digitale, l’intelligenza artificiale e le altre tecnologie esponenziali ci stanno portando ad un contesto professionale e un mercato lavorativo sempre più complessi e incerti.

Sta cambiando il concetto stesso di carriera che è sempre meno un’entità lineare, ad esempio essere impiegato di banca per  30 anni. Oggi occorre ragionare in termini di progetto: una sequenza di progetti professionali e non per forza nella stessa azienda, settore o contesto.

Una inedita pressione a cambiare costantemente posizionamento, rendersi credibili, autorevoli e attrattivi, soprattutto da remoto, in digitale. Come recita il proverbio? Lontano dagli occhi lontano dal cuore? Come fare a valorizzarsi con qualcuno che non incontriamo dal vivo per mesi? 

Il Personal Branding serve proprio a fare tutto ciò con efficienza. È una nuova importante competenza professionale e serve durante tutta la propria vita lavorativa.

Quali sono le leggi fondamentali del Personal Branding?

Il Personal Branding ci aiuta ad attrarre opportunità, tipicamente lavoro, progetti o clienti.

Nelle aziende, è una parte importante dell’essere promossi, aumentare il successo di un business, e ottenere più soddisfazione personale. Ma avere un’immagine professionale chiara e coerente ci aiuta anche a fare meglio il proprio lavoro in quanto ha a che fare con l’influenza: cambiare, migliorare, elevare l’opinione che qualcuno ha di noi e del nostro lavoro.

Non a caso, la maggior parte delle multinazionali ha creato dei programmi appositi per aiutare collaboratori e leader a sviluppare il proprio brand, aumentando così fiducia, coinvolgimento, rendimento e soddisfazione.

In questo senso vi sono delle leggi fondamentali che valgono per tutti:

  1. Tutti hanno il potenziale per sviluppare un brand forte e appetibile. 
  2. Il tuo brand si basa sull’autenticità – chi sei veramente. Non vorrai promuovere qualcun altro o attrarre le opportunità sbagliate?
  3. Pur basandosi sull’autenticità, il tuo brand deve essere a prova di futuro.
  4. Il pensiero degli altri conta altro che “non curarti di cosa pensano gli altri”: il tuo brand vive nel cuore e nella mente di chi ti sta intorno.
  5. Il Personal Branding si basa sul dare valore, non solamente ottener lo. Non si tratta di egocentrismo o vantarsi. Del resto chi ama coloro che si vantano?
  6. Il Personal Branding non si fa una volta sola. Tu cambi, lo scenario cambia. Tutto intorno a te cambia. Il tuo brand deve evolversi per restare rilevante.

personal branding digital you

Il traguardo finale è non comunicarsi come un bene indifferenziato, un commodity.

Esattamente come il rame o il granoturco! Significa non proporsi come “social media manager” o “project manager” e basta. Portare il proprio Personal Brand da Indifferenziato a Distinto e poi Richiesto (i tre livelli di successo, i principali risultati che si ottengono facendo o meno personal branding che abbiamo spiegato anche nel libro, vedi l’immagine qui sotto).

Che differenza c’è tra fare Personal Branding nel mondo reale e nel mondo digitale?

Il Personal Branding è cambiato profondamente da quando è diventato digitale.

Gli strumenti messi a disposizione dal digitale ci danno l’opportunità di “uscire fuori” e raggiungere in anticipo chi dovrà prendere decisioni su di noi, di dimostrare le nostre competenze, il nostro valore. Guai a trattare i canali digitali come dei curricula!

LinkedIn ad esempio è un vero e proprio robot, che ci disintermedia, lavora per noi: è il nostro ufficio marketing, il nostro dipartimento formazione, ufficio risorse umane, tutto in outsourcing! La vera sfida però è, come spesso ripete William Arruda, farsi percepire in modalità 3D (cioè la nostra persona reale) in un mondo 2D (dietro lo schermo). Lo stesso concetto si trova nel nostro libro.

La sfida è essere capace di tradurre la nostra persona reale (Real You) per il mondo virtuale, trasformandola quindi in Digital You allineato con i nostri obiettivi.

william aruda digital you

Parlaci dello strumento contenuto nel libro, il Digital You Canvas. A cosa serve e come si usa?

Il Digital You Canvas è uno strumento di pensiero visuale molto potente per avere una visione d’insieme della propria strategia. L’abbiamo sviluppato integrando alcuni altri nostri strumenti visuali e con l’approccio e il metodo di William sul Personal Branding.

L’idea è quella di mappare in una sola pagina, suddivisa in blocchi logici ben relazionati tra di loro, tutti gli elementi chiave della nostra strategia. Ciò favorendo la chiarezza e generazione di nuove idee e mettendo in evidenza eventuali aspetti da sviluppare e priorità. Di fatto una mappa per garantire che tutto quello che farai per sviluppare il tuo Personal Brand online sarà coerente con la tua autenticità e con i tuoi obiettivi.

Il libro contiene una versione stampata e cartacea, che fa strano in un mondo digitale!

Ma sul nostro sito si può scaricare gratuitamente anche la versione digitale del Canvas.

Ciascun blocco ha una sua funzione e le domande guida per compilarlo. Noi consigliamo di riportare i concetti chiave su dei post-it (digitali o cartacei), comodi da usare perché si possono sempre spostare o modificare (è normale cambiare idea in un processo così complesso). Il tutto diventa ancora più facile se seguiamo le istruzioni contenute nel libro.

digital canvas you

Quale pensi sia il futuro del Personal Branding?

Il futuro del Personal Branding è già adesso e si concretizza in due concetti fondamentali: remotizzazione e robot.

1) Tutti sono sempre più connessi, e abbiamo l’opportunità di avere più successo imparando a gestire la nostra immagine professionale online.

Mentre quando incontriamo qualcuno di persona abbiamo una presenza fisica che possiamo utilizzare come strumento, negli incontri virtuali lo schermo stesso diluisce questo nostro “potere”. Chi sarà in grado di comunicare realmente il suo brand anche a distanza avrà più successo degli altri.

Questo implica avere un criterio e un obiettivo preciso per tutto quello che facciamo, non possiamo più essere approssimativi. Dobbiamo pensare a come essere più efficaci, a come connetterci a livello emozionale anche se siamo a distanza. Più le persone riescono a farsi ricordare e, quindi, promuovere dagli altri, più il Personal Branding diventa efficace e funzionale a posizionarci realmente, facendoci diventare prima un brand “differenziato” e poi “richiesto”.

2) L’interazione con le Intelligenze Artificiali, i robot moderni.

Come agire quando è una macchina intelligente a scegliere al posto del nostro cliente, manager, collega o datore di lavoro? In alcuni casi, persino quando neppure loro sapranno che è avvenuta la scelta, perché avranno fatto tutto le macchine, senza l’intervento di esseri umani? Fino a qualche anno fa dovevamo essere noi a capire i computer, studiando i loro linguaggi e interfacce. Oggi sono i computer a imparare come capire noi e il mondo che ci circonda: potremmo dovere anche noi… piacere ai computer.

Le capacità dell’intelligenza artificiale moderna la portano a comprendere meglio cosa tu offri veramente e perché scegliere te come migliore opzione per un cliente, con meno opportunità di manipolazione dell’algoritmo (l’IA impara dal passato), maggior ampiezza di scopo (l’IA si occupa di cose che prima non sapeva presidiare), e forti capacità predittive.

La sfida per chi fa Personal Branding in questo contesto è da un lato sviluppare storie, contenuti o profili rilevanti per le persone, dall’altro ottimizzarne la visibilità sui robot: write for humans, design for robots (l’algoritmo appunto).

L’esempio più lampante? Ancora LinkedIn!

glossario degli nft

Glossario degli NFT: le parole chiave da conoscere

La popolarità degli NFT continua a crescere e la loro diffusione aumenterà con l’evoluzione delle tecnologie blockchain. Sapere cosa siano, non è sufficiente: è importante trovarsi a proprio agio con la terminologia utilizzata da chi li negozia quotidianamente.

Glossario minimo degli NFT

Asset

Uno dei termini con il quale viene identificato un oggetto digitale da collezione.

Bitcoin

È la ben nota criptovaluta utilizzata anche quando si comprano o vendono NFT.

Blockchain

Per semplificare, è una sorta di foglio di calcolo aperto e decentralizzato a cui tutti nel mondo delle criptovalute hanno accesso, che registra ogni modifica o transazione.

Bridge

Si tratta di un canale di transazione cross-chain trustless per spostare i token da una blockchain all’altra in cambio di una fee.

BTC

L’abbreviazione di Bitcoin.

Burning

È un procedimento grazie al quale è possibile ridurre la quantità di criptovaluta circolante.

Buyers

Sono le persone che comprano oggetti digitali da collezione al fine di rivenderli ad un prezzo più alto. Corrisponde al trading nel mondo reale.

CAT

È l’abbreviazione di CryptoKitties e sta per Cryptocollectible Asset Token. È uno degli NFT più popolari su Ethereum.

Collectible

Sono NFT collezionabili che hanno un valore in base alla loro rarità, come il corrispettivo digitale di figurine o sneakers in edizione speciale.

Crowdsales

Si tratta di una prevendita di NFT per l’acquisto di nuovi token. I token acquistati vanno agli investitori e agli early adopters.

Crypto

Un altro nome per identificare le criptovalute.

Cryptocollectibles

Beni digitali su blockchain non fungibili perché rappresentano oggetti digitali unici.

Cryptocurrency

Una valuta digitale, come Bitcoin, che utilizza la crittografia per garantire le transazioni finanziarie e controllare la creazione di nuove monete.

DAO

Sta per Decentralized Autonomous Organization. È un’organizzazione governata da codice e programmi informatici e ha la capacità di funzionare in modo autonomo, senza bisogno di un’autorità centrale.

Dapps

Applicazioni che girano su reti decentralizzate (e non solo Ethereum, ma qualsiasi piattaforma).

Decentralized Exchanges (DEX)

Sono exchange che permettono transazioni peer-to-peer senza passare attraverso una terza parte.

DeFi

Un acronimo per finanza decentralizzata.

Drop

Un NFT drop è il rilascio di un nuovo token digitale per la vendita.

ETH

Abbreviazione di Ethereum.

Ether

Un’altcoin con una propria blockchain, come Bitcoin ha con BTC. Ether gira sulla blockchain di Ethereum.

Ethereum

Il nome di una criptovaluta, conosciuta anche come ETH. Supporta Dapps e smart contracts.

Etherscan

Etherscan è un blockchain explorer per la rete Ethereum. Il sito web consente di cercare transazioni, blocchi, indirizzi di wallet, smart contract e altri dati on-chain.

Exchange

È una piattaforma che consente di scambiare cryptovalute. Una delle più famose è Binance.

Farm

Invece di comprare NFT con i soldi, puoi “farmarli” usando la tua GPU per estrarre i token. Il tuo computer si unirà ad altri computer sulla blockchain facendo mining.

Fiat

È il termine per le valute come USD, Euro e GBP. Sono le monete inconvertibili dichiarate a corso legale dallo stato che la emette.

Fungible Tokens (FT)

Sono token intercambiabili e negoziabili, come ETH e BTC.

Gas

Una commissione richiesta per eseguire transazioni in criptovaluta sulla blockchain. Ogni volta che si acquista un asset, si inviano ETH o si imposta uno smart contract, il gas deve essere pagato per eseguire la transazione.

GPU

Si tratta di un’unità di elaborazione grafica, che è necessaria per estrarre alcuni tipi di criptovalute, come Ethereum.

Hashrate

Una misura della velocità con cui la GPU può estrarre i token delle criptovalute.

ICO (Initial Coin Offering)

Una “Initial Coin Offering” è un tipo di finanziamento delle criptovalute vendute sotto forma di token a speculatori o investitori in cambio di denaro tradizionale o di altre criptovalute come Bitcoin o Ethereum.

KYC

È un processo che le istituzioni finanziarie devono rispettare per condurre affari legalmente. È anche conosciuto come Know Your Customer.

Miner

Una persona che usa la sua GPU per estrarre token su una rete blockchain.

Mining

Il processo di risoluzione dei problemi crittografici. Il primo che lo risolve aggiunge il blocco corrente alla blockchain e riceve come ricompensa i token appena coniati.

Minting

Per mint si intende il processo di coniazione che permette ai dati di un NFT di essere inseriti in modo irremovibile e pubblico su una blockchain.

NFT

Acronimo per Non-Fungible Token. È un bene digitale unico e irripetibile che viene memorizzato su una blockchain. Nessun altro token o criptovaluta può sostituirlo.

Non Custodial Wallet

Un wallet non custodial è un portafoglio in cui solo il titolare possiede e controlla le chiavi private.

Noob

Un utente estraneo ai meccanismi della blockchain e che non ne comprende il funzionamento.

Peer To Peer (P2P)

Se hai bisogno di fare una transazione senza passare attraverso un exchange puoi utilizzare il trading P2P. È uno scambio diretto o da persona a persona.

Permanent Records

La blockchain di Ethereum memorizza permanentemente gli oggetti digitali da collezione, quindi i tuoi oggetti cripto non scompariranno mai a meno che tu non li rimuova dal libro mastro.

Private Key

Una password separata dai nomi utente o dagli indirizzi e-mail. Dà accesso alle informazioni o alle proprietà digitali sulle blockchain ed è necessaria per accedere a portafogli o beni memorizzati sulla blockchain.

Proof of Stake (PoS)

Un modo in cui i progetti di criptovalute verificano le transazioni: il possessore del bene digitale viene ricompensato con dei token se li conserva per un certo periodo. Come il mining, anche questo processo richiede una certa potenza di calcolo e l’utilizzo di elettricità.

Proof of Work (PoW)

Un altro modo di verificare le transazioni attraverso la risoluzione di problemi di hashing.

Public Key

Simile alle chiavi private, è una chiave crittografica che permette alle persone di accedere al tuo portafoglio o agli NFT. Non ha bisogno di essere tenuta segreta: viene pubblicata in spazi condivisi in modo che la blockchain sappia chi sei e cosa puoi fare con i tuoi token.

QR Code

Se si utilizza un wallet che supporta la scansione dei codici QR, è il modo più semplice per inviare NFT o Ethereum. Sarà sufficiente scansionare un codice e confermare  prima di premere “invia”.

Quantity

Un termine che indentifica quante unità di un certo bene digitale sono disponibili.

Rarities

Gli oggetti con diverse rarità vengono assegnati con un certo numero sulla blockchain di Ethereum. Avranno ID e metadati unici e saranno etichettati come “Leggendari” o “Mitici”.

Ring Signature

La Ring Signature rappresenta un algoritmo di firma elettronica. Indica che un messaggio è stato firmato da uno qualsiasi dei membri di una lista firmataria, un elenco contenente un determinato numero di persone.

Satoshi

È la più piccola unità di Bitcoin (0,00000001 BTC) che prende il nome da Satoshi Nakamoto, accreditato come creatore anonimo di Bitcoin e primo sviluppatore di blockchain.

Seed Hash

Un valore casuale di 32 byte che permette di rigenerare le chiavi pubbliche e private.

Smart Contract

Un contratto che viene eseguito automaticamente tra due o più parti a determinate condizioni. Sono applicati sulla rete blockchain, irreversibili e non soggetti a modifiche.

Solidity

Un linguaggio di programmazione per smart contract basati su cripto token Ethereum. Sta per “Secure Interoperable Datamarketplace” ed è ciò che viene creato quando le persone progettano qualsiasi nuovo NFT sulla blockchain, includese illustrazioni e modelli 3D. Esprime la storia unica di ogni asset.

Staking

Il processo di bloccare i token in un portafoglio per una certa quantità di tempo. Più ne blocchi, più possibilità hai di guadagnare, a patto che anche altri stakers vi prendano parte. Di solito la pratica ha luogo sulle blockchain PoS dove gli utenti puntano i loro token e vengono ricompensati ogni pochi secondi o dopo aver elaborato un certo numero di blocchi.

Tokenomics

Il ramo dell’economia che si occupa della progettazione, dell’emissione, del commercio e dei regolamenti dei token cripto.

Token

Sono beni digitali che permettono alle persone di raccogliere denaro attraverso protocolli di crowdfunding/ICO, come i token ERC-20.

Wallet

È il portafoglio dove i si trovano i token quando non vengono utilizzati.

free speech sputnik

Free speech: perché censurare i media russi non è utile a nessuno

The return of history“: il Time ha definito così, con una delle sue copertine iconiche, la guerra in Ucraina.

L’immagine del carro armato sulla strada, con i giovani militari sopra, è un immediato richiamo ai grandi conflitti del passato.

C’è una generazione, la Z, che un tank non lo ha mai visto, nemmeno in TV. Nati dopo la guerra nei Balcani, troppo piccoli per l’Iraq e la Cecenia, hanno vissuto l’evacuazione di Kabul come un episodio lontano, difficilmente collocabile in un ricordo.

Cresciuti con l’idea della pace come elemento acquisito, il risveglio nel mezzo alla storia è stato brusco.

Time Magazine, copertina, 24 febbraio 2022

Quando la comunicazione diventa propaganda

La propaganda in tempo di guerra viaggia parallelamente al binario della censura e anche questo conflitto non si sottrae a questa logica.

Era il 23 aprile 1999 quando, in piena Europa, un missile NATO sfondava il palazzo RTS, sede della Radio e della TV di Belgrado; lo scheletro dell’edificio è ancora là, integrato con i palazzi più moderni, come un drammatico monumento alla memoria.

Belgrado, particolare del palazzo della TV oggi. Foto: David Mazzerelli

Nella guerra in Ucraina uno dei primi obiettivi russi è stata la torre della televisione di Kiev, il più alto traliccio al mondo.

Ma se la propaganda serba con le bombe NATO ebbe una battuta d’arresto, nel 2022 è difficile fermare il flusso della comunicazione in una guerra in cui ogni smartphone documenta l’avanzata dei soldati e le scene di violenza.

Eppure la propaganda russa è stata fermata, almeno all’interno dei paesi occidentali, grazie ad una vasta offensiva di censura partita dall’Unione Europea e accolta dalle Big Tech: Apple (App Store), Alphabet (con YouTube, Google News e Play Store) e Meta (Facebook, Instagram e le app di messaggistica) hanno interdetto i media russi (specialmente Russia Today e Sputnik) dalle loro piattaforme. Anche Tik Tok e Reddit hanno silenziato i canali di Mosca all’interno della UE.

Lo stesso trattamento, se ricordate, venne riservato per l’ex presidente Trump all’indomani dell’episodio dell’assalto al Campidoglio.

Tutti contro Sputnik Italia: chi ha paura delle voci alternative?

Abbiamo raggiunto e intervistato una giornalista di madrelingua italo-russa che lavora per Sputnik Italia. Ci ha chiesto di rimanere anonima, in quanto teme per la sua incolumità.

Un timore comprensibile se pensiamo al clima di crescente ostilità che sta montando in Occidente nei confronti delle persone di nazionalità russa o vicine a Mosca.

logo sputnik

Da quando lavori a Sputnik Italia e di cosa ti occupi?
Lavoro per Sputnik Italia dalla sua fondazione nel 2013. Sono di nazionalità italiana e russa, laureata in interpretariato all’università di Mosca.

Per tutta la vita mi sono sentita appartenere sia all’Italia che alla Russia e ho voluto portare avanti con grande passione e orgoglio una sorta di «missione»: avvicinare le mie due culture, le mie due patrie.

È proprio nel giornalismo che ho trovato un modo per parlare dei rapporti fra i miei due Paesi a un pubblico più vasto. Per Sputnik Italia ho seguito e seguo i rapporti italo-russi e molti temi che vanno dall’economia alla cultura, fino alla geopolitica.

Come lavora Sputnik, avete una redazione in Italia o siete tanti collaboratori? Come decidete quale notizie divulgare e come le preparate? 
La sede centrale di Sputnik si trova a Mosca, ma abbiamo diverse decine di centri redazionali in giro per il mondo.

La redazione italiana si trova anch’essa Mosca, in Italia non c’è una redazione fisica.

Abbiamo però diversi collaboratori in Italia, si tratta di una decina di persone a Mosca e di sei autori in Italia. Diverse redazioni di Sputnik in altre lingue hanno anche degli hub nei paesi europei, alcune redazioni hanno trasmissioni radio.

Per quanto riguarda le notizie scegliamo le più pertinenti per l’Italia e sui rapporti fra i nostri due Paesi. Le interviste e gli approfondimenti riguardano questioni di attualità.

Free Speech

Immagine in copertina: l’incontro tra truppe russe e milizia popolare del Donbass vicino a Novoaidar.
Fonte: Milinfolive (Telegram)

Come state vivendo in redazione la censura nei vostri confronti? Sappiamo che la richiesta di oscurare i vostri canali è partita dall’Unione Europea e le principali piattaforme si sono adeguate. 
Ovviamente stiamo vivendo male questa situazione. Posso parlare personalmente per me.

La notizia della censura dei nostri canali d’informazione da parte dell’Unione Europea mi è piombata addosso e la cosa più dolorosa è che dopo 10 anni (cioè un terzo della mia vita) che ho dedicato a questo mestiere mi vedo bloccata e impossibilitata a svolgere il mio lavoro, che amo profondamente.

Da un giorno all’altro ci siamo trovati con il canale Facebook e YouTube bloccati. L’unico social che rimaneva accessibile era Telegram, che fra l’altro è un servizio di messaggistica russo, e anche lì purtroppo, non so come, l’Europa ha bloccato il nostro canale rendendolo inaccessibile dai Paesi europei. Non abbiamo ricevuto pressioni, semplicemente hanno bloccato i nostri canali rendendo inaccessibili i nostri contenuti ai lettori europei. Per il momento il nostro sito è visitabile sul web anche dall’Italia, ma forse è solo una questione di ore.

Ursula Von Der Leyen definisce “tossica e dannosa” la “macchina mediatica del Cremlino”.

Putin ha firmato una nuova legge che impedisce alle testate giornalistiche russe di riferire sulla sua guerra all’Ucraina. In risposta, molti governi (ma non quello ucraino, stranamente) stanno facendo pressioni sui media e sulle società Internet come Starlink per vietare i notiziari russi come propaganda.

Di diverso avviso Elon Musk che ha scritto su Twitter: “Mi dispiace ma sono un assolutista della libertà di opinione“, rimandando al mittente ogni ingerenza dei governi che lo spingevano alla censura.

Elon Musk recentemente ha difeso i valori del free speech. Perché il vostro messaggio è ritenuto così pericoloso e, soprattutto, secondo te esiste una comunicazione giornalistica “tossica” che le persone non dovrebbero mai fruire?
Il nostro media dava fastidio già da parecchio tempo, ancora prima di questa attuale crisi.

Vorrei ricordare che nel 2016 l’Unione Europea aveva approvato una risoluzione presentata dalla polacca Fotyga che accostava sullo stesso piano l’ISIS e le notizie fornite dai media russi Sputnik e RT.

Noi da sempre siamo stati visti di cattivo occhio dall’Occidente perché davamo spazio a punti di vista alternativi rispetto alla narrazione dominante nei Paesi europei sostenuta dagli Stati Uniti. Un conto sono delle risoluzioni, seppure assurde, promosse dagli euro deputati polacchi, che hanno posizioni molto ostili nei confronti della Russia, un altro conto è un blocco totale dei nostri canali, un atto di vera e propria censura.

Il nostro messaggio non può essere ritenuto pericoloso, non abbiamo mai imposto niente a nessuno. I lettori dovrebbero essere liberi di consultare le fonti che preferiscono, è un loro diritto, che oggi l’Ue ha negato.

L’unico aspetto «pericoloso» del nostro media è che proponeva una visione alternativa dei fatti geopolitici, ma ripeto, i lettori hanno il diritto di ricorrere alle informazioni e alle fonti che vogliono per avere più strumenti possibili e giungere alle proprie conclusioni.

A mio avviso non esiste una comunicazione “tossica”. Esiste il giornalismo responsabile, quello che controlla le fonti e che svolge il proprio mestiere con rispetto nei confronti dei lettori. È quello che io e miei colleghi abbiamo sempre cercato di fare.

L’Unione Europea, da anni in prima linea nella battaglia contro i nostri media, ha voluto istituire un «Ministero della verità», atteggiamento pericoloso per la libertà d’espressione. Non può esistere una commissione che decide cosa va letto e cosa meno, ciò che è giusto e cosa non lo è.

Quali rischi possiamo intravedere in prospettiva in Occidente e quale sarà il futuro di Sputnik?
L’oscuramento dei nostri media può essere solo l’inizio di una serie di altri provvedimenti preoccupanti anche nei confronti di colleghi europei e italiani.

Già oggi vediamo come i professori, gli analisti e i giornalisti italiani che esprimono il proprio pensiero senza allinearsi al politicamente corretto e all’informazione «giusta» – per esempio quando criticano oggettivamente la politica espansionistica della NATO – vengono attaccati dagli ambienti universitari, allontanati o bollati come «filo-putiniani».

Il pericolo che corriamo oggi è che non si possa fare dei ragionamenti critici liberi senza essere barbaramente etichettati. Il mainstream vuole che tutti si schierino da una parte o dall’altra senza fare troppi ragionamenti.

Dietro ogni tema, ogni problema e ogni conflitto ci sono diversi punti di vista. Oggi confrontarsi, analizzare civilmente le questioni ha perso di valore, oggi prevalgono le tifoserie da calcio e le censure.

Per quanto riguarda il futuro di Sputnik posso dire che la redazione continua a lavorare, perché è il nostro mestiere, noi andiamo avanti. Devo dire che sono stata inondata di messaggi e lettere di solidarietà da parte dei nostri lettori, che vogliono continuare a leggerci. Questo fa molto piacere.

Il dilemma della propaganda

Se siamo consapevoli in anticipo della faziosità di certi media, qual è il problema nella loro diffusione? Non sarebbe per noi più utile sapere cosa stanno dicendo, anche quando quelle informazioni risultassero per noi sgradevoli?

I cittadini europei sono attrezzati per verificare le fonti, fruire delle notizie da vari media differenti e farsi una propria opinione su ogni tema: non si dovrebbe avere timore di questo, anzi si dovrebbe andare della direzione di incoraggiare la libertà e la pluralità delle fonti.

Una società forte e libera non dovrebbe avere paura di nessuna voce dissonante per quanto fastidiosa, o perfino ripugnante, possa apparire per la propria sensibilità. Recentemente un magazine serbo ha dato addirittura spazio a un editoriale sulla guerra in Ucraina a firma di Radovan Karadzic, criminale di guerra tuttora all’ergastolo per le responsabilità nel conflitto in Bosnia dei primi anni ’90.

La censura politica si intreccia con il problema dei social media e delle grandi piattaforme che, invece di ospitare ogni voce, recitano il ruolo di editori; un tema che torna prepotentemente attuale dopo i fatti delle elezioni americane 2020.

Utilizzare delle circostanze di emergenza come pretesto per bandire alcune voci dalla pubblica piazza ci trascina verso un crinale inquietante e pericoloso per la libertà di opinione.

Reels su Facebook

I Reels arrivano anche su Facebook

A chi non è mai capitato di ritrovarsi inaspettatamente a guardare un Reel su Instagram, e poi un altro e un altro ancora e scoprire nuove tendenze di cui non aveva la minima idea?

C’è chi scopre gli ultimi trend così, in modo semplice e veloce, a partire dal makeup fino alle serie TV più amate del momento. I Reels sono video che durano pochissimo ma che hanno un potenziale enorme se usati nel modo giusto.

Ed ecco che la notizia di poche ore fa non dovrebbe quindi stupirci perché da oggi saranno disponibili i Reels anche su Facebook sia per iOS che per Android in tutto il mondo.

Reels Facebook

Meta lancia Reels su Facebook a livello globale: le funzioni

Gli utenti di Facebook Reels potranno “remixare” i video degli altri, duettare e caricare clip della durata massima di 60 secondi, proprio come con Instagram Reels. Saranno anche in grado di salvare le bozze e, nei prossimi mesi Meta aggiungerà nuovi strumenti di ritaglio video che renderanno più facile per i creators, che pubblicano video live o di lunga durata, testare diversi formati.

Queste funzionalità sono perfette per tutti i content creator, sia che hanno appena iniziato o che abbiano già un ampio seguito, per esprimersi sempre più in modi differenti e far crescere le loro community o comunque raggiungere più persone possibili. Oltre che guadagnarci. 

I Reels su Facebook possono essere animati da musica, audio, effetti e tanto altro. Puoi trovarli nel feed delle notizie o nei gruppi. Quando visualizzi un Reels, puoi facilmente seguire il creator direttamente dal video, mettere mi piace e commentarlo o condividerlo con i tuoi amici.

Più funzionalità per l’editing video

Chi vuole cimentarsi con i Reels di Facebook sarà in grado di accedere a:

  • Remix: crea il tuo reel accanto a un reel esistente e condiviso pubblicamente su Facebook. Quando crei un Remix, puoi creare un reel che include tutto o una parte del reel di un altro creator.
  • Reel di 60 secondi: realizza reel della durata massima di 60 secondi.
  • Bozze: presto sarai in grado di creare un reel e scegliere di “Salvarlo in bozza” sotto al pulsante Salva.
  • Video Clipping: nei prossimi mesi, ci sarà il lancio di strumenti di video clipping che renderanno più facile ai creators che pubblicano video dal vivo o di lunga durata o registrati di testare i diversi formati.

Più modi per guadagnare dai Reels di Facebook

Oltre ad ampliare l’accesso a Reels, Meta sta aggiungendo nuove funzionalità di modifica a Facebook e ampliando le opzioni pubblicitarie. La maggior parte di queste funzionalità è già disponibile su Facebook Reels e su Instagram Reels negli Stati Uniti e in più di 50 Paesi. E infatti Meta sta portando avanti dei test di nuove inserzioni in overlay, come banner e inserzioni con adesivi.

Dal lancio negli Stati Uniti, abbiamo visto creator come Kurt Tocci e il suo gatto Zeus, condividere situazioni comiche, l’autrice e scrittrice Andrea Gibson offrire una lettura delle sue poesie, la coppia nigeriano-americana Ling e Lamb provare nuovi cibi o ancora la ballerina e creator Niana Guerrero lanciare balli di tendenza, come la #ZooChallenge.

La piattaforma sta provando a creare una serie di opportunità per i creators di guadagnare grazie ai Reels. Il programma bonus Reels Play, un investimento di 1 miliardo di dollari, offre ai creators idonei fino a 35.000$ al mese in base alle visualizzazioni dei loro Reels. Questi bonus hanno aiutato creator come Jason the Great a finanziare la creazione di Reels e capire meglio quali tipi di contenuti funzionano su Facebook.

LEGGI ANCHE: È vero che Facebook e Instagram lasceranno l’Europa? Assolutamente no

Nuove funzionalità in arrivo

Sulla base di una lunga esperienza nell’aiutare i creators a guadagnare un reddito significativo grazie a questi servizi di monetizzazione, come le inserzioni in-stream e le Stelle, Meta sta anche testando opzioni di monetizzazione diretta per Facebook Reels in revenue sharing provenienti da inserzioni pubblicitarie e dal supporto dei fan. La società sta espandendo i test delle inserzioni overlay per Facebook Reels a tutti i creator negli Stati Uniti, Canada e Messico, e in altri Paesi a partire dalle prossime settimane.

Inizierà con 2 formati:

  • banner pubblicitari che appaiono come overlay semi-trasparenti nella parte inferiore di Facebook Reel;
  • inserzioni con adesivi, ossia un’immagine statica che sarà posizionata dal creator in qualsiasi punto del suo reel.

Queste inserzioni senza interruzioni permetteranno ai creators di guadagnare una parte delle loro entrate. Entro metà marzo, questi test saranno estesi anche agli utenti di quasi tutti i Paesi dove le inserzioni in-stream sono disponibili.

E ancora…

Un’altra funzione working in progress riguarda i sistemi di controllo dell’idoneità per i brand, tra questi “Liste degli editori”, “Liste degli elementi bloccati”, “Filtri dei contenuti” e “Report di pubblicazione” per inserzioni banner e con adesivi su Facebook Reels. Questo darà agli inserzionisti un maggiore controllo se ritengono che le loro inserzioni compaiano in luoghi che non considerano adatti al loro brand o alla campagna di un creator.

Inoltre, da ottobre dello scorso anno, Meta sta testando inserzioni a tutto schermo e immersive che compaiono tra un Reel e l’altro e che verranno estese ovunque. Le persone potranno commentarle, mettere “mi piace”, visualizzarle, salvarle, condividerle o saltarle.

In conclusione

Sebbene Meta abbia avuto un enorme successo nel clonare le funzionalità di alcuni suoi rivali, come copiare la funzione Storie di Snapchat su Instagram, saprà tener testa a TikTok nel mondo dei video in formato breve?

Lo scopriremo molto presto!

Unicef - la sfida di fare Lead Generation e Growth Hacking per il non profit

Unicef: la sfida di fare Lead Generation e Growth Hacking per il non profit

Qual è oggi l’apporto del Digital al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione non profit? Lo abbiamo chiesto a Simon Fedrigo, Head of Individual Giving Marketing e Raccolta Fondi del Comitato Italiano per l’Unicef – Fondazione Onlus.

Unicef Italia è stata una delle organizzazioni protagoniste dell’edizione 2021 della Digital Factory del Master Online in Digital Marketing di Ninja Academy. Il focus del brief, in particolare, è stato su Lead Generation & Growth Hacking. Vediamo insieme come queste attività concorrono alla doppia finalità del Comitato: raccogliere fondi per sostenere i programmi a difesa dei bambini e delle donne e promuovere quanto stabilito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.

Simon Fedrigo Unicef

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Cosa rappresenta la lead generation per un’organizzazione non profit?

La lead generation nel profit è una delle tecniche fondamentali per avvicinare il prospect alla vendita dei prodotti.

Nella Raccolta Fondi per il non profit e in particolar modo in organizzazioni come la nostra che hanno a disposizione competenze per gestire una molteplicità di canali, una brand awareness rilevante e database consistenti, tradizionalmente si è lavorato di più ad un approccio one-step, tramite appelli diretti alla donazione.

Semplificando, la comunicazione da manuale è sempre stata la richiesta di un contributo per risolvere un problema urgente, veicolata in modo semplice e sintetico, mostrando la soluzione e un impatto misurabile.

Tuttavia, valutando l’efficienza, la logica del two-step è una strada sempre più percorribile grazie ai canali digitali. Petizioni, value exchange, quiz sono strumenti legati alla mission dell’organizzazione, tecniche che consentono di ottenere buoni cost per lead, consentendoci di avviare un percorso di comunicazione con i potenziali donatori che costruisca un percorso di approfondimento, in modo da coinvolgere gradualmente anche le persone più estranee alla causa, le più lontane da noi.

La lead generation ci aiuta a comunicare tematiche, avvicinando le persone alla mission senza chiedere subito una donazione, ma avviandole in un percorso di creazione di valore.

La lead generation è inoltre un potente strumento per raffinare le informazioni di marketing e sviluppare nuove strategie. Profilazione, selezione dei pubblici:  attraverso di essa possiamo raccogliere informazioni utili a definire meglio le caratteristiche delle nostre campagne, raccogliendo pubblico qualificato da convertire in donazioni e attirando e coltivando per il futuro le giovani generazioni che, soprattutto in Italia, oggi hanno una capacità economica inferiore.

unicef screenshot homepage

Source: unicef.it

In che modo si sostanzia il concetto di lead generation in UNICEF Italia, quali sono gli strumenti a cui fate ricorso?

Come già accennato, petizioni, value echange, quiz legati alla mission dell’organizzazione e alle sue iniziative sono tutti ottimi strumenti che consentono di ottenere buoni Cost per lead (CPL) e buoni costi di trasformazione finale dei donatori.

Le petizioni in particolare ci consentono di assolvere non solo alla funzione di raccolta fondi, raccogliendo contatti da convertire in donazioni, ma anche di esporre al pubblico tematiche di interesse sociale, nazionale e internazionale.

Oltre alle petizioni, mirate alla consegna all’istituzione di un certo numero di sottoscrizioni di sostegno ad una richiesta, la nostra esperienza di lead generation si basa su campagne con value exchange e quiz. I lead raccolti attraverso queste diverse tipologie di azioni mostrano differenti livelli di engagement verso il passo finale verso la donazione.

Nel caso dei quiz, ad esempio, abbiamo la forbice più grande tra efficienza nella generazione (alta) ed efficienza nella conversione (bassa, ma dipende), nel caso delle petizioni tendenzialmente avviene il contrario.

A livello di meccaniche utilizziamo molto le Facebook e Instagram Lead Ads, abbiamo anche testato i moduli di Google e LinkedIn. Altra meccanica di lead generation che usiamo molto è l’instant call back, form presente in genere su landing page di donazione con il quale il potenziale donatore, se non convinto dal voler effettuare una donazione online, può chiedere di essere ricontattato telefonicamente per avere informazioni su come aiutarci.

Possiamo gestire questi ricontatti praticamente in tempo reale. I lead che raccogliamo, opportunamente divisi per tipologia di iniziativa e generazione, sono fondamentali per il targeting delle nostre azioni di raccolta dirette con obiettivo di acquisizione dei donatori. E ci permettono di far crescere la nostra house list per il direct mail, canale fondamentale durante le emergenze umanitarie e che riusciamo ad attivare in modo estremamente rapido 7 giorni su 7. Facciamo tantissimo testing su questo canale da molti anni e i frutti cominciano a vedersi.

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Qualche esempio di campagna di lead generation riuscita?

Tra i casi di successo, una petizione che ha chiesto il rinnovo del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne, lanciata in occasione dell’8 marzo scorso e prolungata anche oltre, con la raccolta di oltre 42 mila firme presentata al Ministro delle Pari Opportunità.

Tipico esempio di una campagna di advocacy e lead generation. Abbiamo sempre lanciato campagne per l’8 marzo, ma è la prima volta che abbiamo una esplosione di risultati di questo tipo. Da un punto di vista di marketing, questo tipo di iniziative ci aiutano a coinvolgere anche personalità del mondo dello spettacolo, il magico mondo degli influencer, oltre ai nostri tradizionali testimonial e ambasciatori vip (in questo caso ci hanno fornito un aiuto davvero prezioso Serena Rossi, i Pozzolis, Stefano De Martino e Alessia Marcuzzi).

Da parte nostra c’è interesse ad amplificare la reach: noi non investiamo in influencer marketing, coinvolgiamo persone in una causa ed è importantissimo amplificare la visibilità in termini di pro bono. Nell’ultimo anno abbiamo costruito un piano intorno agli influencer, collegandoli alle campagne e cercando di trovare le persone giuste per le cause giuste, che potessero rappresentarle efficacemente.

Stiamo trovando sempre più attenzione e interesse, perché riusciamo a coltivare queste relazioni, sia attraverso l’area Social che Corporate. 

Come si inserisce il Growth Hacking nella vostra strategia di marketing? E come si conciliano gli obiettivi di scaling con il codice etico di una organizzazione senza scopo di lucro?

Stiamo lavorando molto sull’approccio del Growth Hacking, non solo sul digital ma per quanto possibile su tutti i canali, è un approccio vincente. Da 4 anni a questa parte abbiamo progressivamente inserito nel team Digital marketing nuovo personale specializzato per gestire la strategia, il delivery e l’analisi dei dati delle campagne online, persone giovani, ma con già tanta esperienza e voglia di fare la differenza per come professionisti nell’ambito del no profit e per l’UNICEF.

Complessivamente abbiamo rifondato la strategia per i nostri principali prodotti di donazione: donazione regolare, donazione singola, lasciti e 5×1000, assumendo sempre più un approccio di campagna always on, avviando processi di miglioramento iterativo, testing continuo, di ottimizzazione del contenuto per i diversi pubblici. Abbiamo ancora molto da lavorare per affinare il processo e integrarlo perfettamente nel nostro planning.

Il Growth Hacking risponde come metodo non solo all’esigenza di avere risultati migliori, ma credo anche in modo specifico al principio che dobbiamo usare con estrema attenzione quella parte di fondi raccolti che possiamo reinvestire nei programmi di raccolta fondi. Ottenere efficienza ed efficacia nella raccolta fondi attraverso un giudizioso utilizzo degli investimenti e garantire uno scaling sostenibile. 

unicef campagna

Cosa significa comunicare i valori di una organizzazione internazionale come Unicef?

La struttura internazionale ha sempre fornito ai Comitati Nazionali linee guida per la comunicazione e sempre di più negli ultimi anni anche contenuti di campagna più strutturati, compresi gli specifici formati creativi.

Le linee guida sono molto precise e mirate alla costruzione di messaggi orientati a preservare la grande storia e il prestigio dell’Agenzia delle Nazioni Unite, una storia basata su credibilità, trasparenza ed efficacia: il tono di voce è positivo e determinato a creare con coraggio cambiamenti concreti per le realtà in cui opera, mirando a costruire un’immagine empatica dell’organizzazione.

L’UNICEF è un’agenzia delle Nazioni Unite e spesso al mondo ONU vengono associati connotati diametralmente opposti rispetto alla piccola organizzazione che sviluppa piccoli progetti a livello locale e che non ha una rete di partnership articolata.

Il nostro lavoro consiste nel conferire un carattere di forte umanità ad un’organizzazione che lavora a livello mondiale, che ha uno staff ampio e dislocato e che ha accumulato una grande esperienza basata sulla precisione dei processi che gestisce globalmente, come logistica, organizzazione finanziaria, delivery degli aiuti nelle situazioni più difficili, dai teatri di guerra alle emergenze umanitarie alle calamità naturali.

Noi dobbiamo tradurre questo lavoro estremamente complesso in messaggi efficaci, semplici e richieste precise, affinché possa essere comprensibile al maggior numero di persone possibile.

Com’è si inserisce l’approccio comunicativo di Unicef Italia nel solco dell’organizzazione internazionale?

Le linee guida internazionali ci lasciano una certa libertà di declinare i contenuti per meglio rispondere al nostro contesto specifico. La mission del Comitato Italiano è la raccolta fondi e la promozione dei diritti dell’infanzia e lo fa attraverso campagne internazionali ma anche campagne che esistono solo in Italia, come ad esempio la campagna per il 5×1000. Possiamo anche decidere se affidarci a contenuti creativi nazionali o a contenuti provenienti dall’head quarter se pensiamo possa funzionare meglio.

Non c’è in UNICEF dal punto di vista della raccolta fondi un approccio così fortemente top down come in altre realtà e questo è un bell’aspetto del nostro lavoro. Non siamo declinatori: possiamo essere creativi, definire la strategia. Svolgiamo periodicamente ricerche di mercato per comprendere i nostri pubblici di riferimento e declinare le nostre comunicazioni in base ai sistemi di valore e alle abitudini di consumo.

Ciò che è sempre più vero è che il nostro lavoro si concentra sul preservare il tono di voce dell’Unicef ma cercare di differenziare il modo di comunicare in base alle audience di riferimento. Rispetto al passato, siamo sempre più attenti, in particolare con il Digital, a offrire un’esperienza diversificata rispetto ai canali di raccolta fondi tradizionali, nel tentativo di attrarre anche audience più giovani rispetto ai Baby Boomer o la GenX, che sono il core della nostra base donatori.

Per ogni prodotto di donazione cerchiamo di usare uno stile adatto all’interlocutore, che sarà diverso se promuoviamo un regalo solidale per San Valentino o il programma sui lasciti testamentari. Altro stile ancora è quello durante le emergenze umanitarie, che è ancora più diretto e orientato a veicolare chiaramente il bisogno e l’urgenza. 

Qual è oggi l’incidenza del Digital nella strategia Unicef Italia? E quanto ha inciso la pandemia sulla modalità delle campagne?

Fino a pochi anni fa molte campagne di raccolta fondi esistevano soltanto mediante affissioni, stampa cartacea, un po’ di TV, direct mail e un piccolo investimento nell’online; oggi molte esistono prevalentemente o esclusivamente online.

Nel giro di pochi anni per noi l’apporto del Digital è passato da poco meno del 5% al 15% in termini di raccolta fondi, con punte 20% nel 2020.

Un anno particolare, perché abbiamo dovuto stoppare alcune campagne field, per noi molto importanti e prioritarie, per esempio il face to face, i dialogatori, che per noi sono uno strumento di raccolta fondi centrale che offre un’ottima profittabilità: nel 2020 ci sono stati due mesi in cui non abbiamo proprio potuto farlo.

Abbiamo fatto degli spostamenti di budget su TV e Digital con ottimi risultati.

Nel 2020 abbiamo più che raddoppiato il risultato del Digital rispetto al 2019 e abbiamo visto che le persone volevano continuare a donare anche in una situazione di emergenza e offrendo loro più stimoli in un canale adatto a farlo la risposta è stata forte.

Abbiamo fatto una campagna per la consegna dei materiali sanitari per la risposta al Covid-19 in Italia, che è andata molto bene, dimostrando al contempo che UNICEF non aiuta solo i paesi a basso e medio reddito, ma è attenta anche ove necessario alle emergenze anche in paesi più ricchi, che normalmente non hanno bisogno dell’intervento di un’organizzazione come la nostra.

Diciamo che il 2020 è stato un outlier nel marketing mix, ma allo stesso tempo ha velocizzato come per molti altri processi già in atto di sviluppo e incremento del canale Digital, che lo confermano al centro delle strategie di crescita per il futuro.

Il Digital oggi è un protagonista del nostro marketing mix e il canale con il più grande potenziale di crescita.

campagna unicef

Quanto conta la presenza sui Social Media nella riuscita delle campagne?

Il Social media marketing per noi è molto importante nell’ambito dei diversi canali a disposizione nel Digital marketing. Google, Facebook e Instagram fanno la parte dei leoni. Tutte le campagne pianificate hanno una componente Social paid, con rare eccezioni, come le emergenze umanitarie di medio livello e purtroppo spesso non grandissimo eco mediatico, dove in genere inviamo solo azioni di direct email ai nostri donatori e lead.

Nell’ambito social utilizziamo soprattutto Facebook e Instagram, ogni tanto anche Twitter e LinkedIn. Parliamo sempre di sponsorizzate, in quanto oggi l’organico come sappiamo ha poco impatto. Abbiamo campagne molto strutturate, che stanno facendo lavorare l’algoritmo da anni, quindi riusciamo ad avere nel tempo efficienze considerevoli.

Quello che è cambiato nel tempo è il fatto di saper dosare attese sui risultati immediati di una campagna con una logica di ottimizzazione nel lungo periodo, prendendo un prodotto di donazione, come ad esempio la donazione regolare o le informazioni sui lasciti testamentari, e far lavorare la campagna con refresh di contenuti e lavoro nel tempo sulle audience. Questo ci ha aiutato ad aumentare l’efficienza, potendo di conseguenza aumentare gradualmente gli investimenti.

Lavoriamo sui pubblici tradizionali: su custom audience, lookalike audiences (LAL) che possano essere alimentate da segmenti sempre più mirati e facciamo continuo scouting di nuove audience.

Ci sono audience collaudate che funzionano molto bene per il no profit, quelle legati ai temi sociali (solidarietà, volontariato, beneficenza, cause internazionali) e altre che usiamo solo per determinate campagne in base al collegamento tra interessi e tematiche specifiche promosse. C’è un lavoro continuo di raffinamento.

Come integrate gli strumenti online e offline?

Il Digital per noi corre a stretto contatto con altri canali, in particolare con la TV. La chiamiamo la “combo”: TV e Digital si rinforzano a vicenda, si pensi alle campagne di Direct Response Television (DRTV) o al nostro show televisivo “Prodigi”, in onda dal 2016 su Rai 1 nel mese di novembre.

Dal punto di vista marketing sono sfide che si giocano sul filo della progettazione minuziosa senza possibilità di errore: lo show televisivo in particolare dura solo circa tre ore e il Digital deve apportare tutto quello che può attraverso il second screen. Deve essere tutto perfetto, dalla journey e la gestione del traffico sul sito al fatto che le campagne di Search Ads abbiamo il budget giusto e portino nel luogo giusto per arrivare alla conversione della CTA televisiva.

Un altro canale molto collegato al Digital è il telemarketing, che serve da punto nodale di gestione di tutti i nostri processi di interazione programmata con i nostri sostenitori e di donor care, nonché da canale d’elezione per la conversione delle lead generate online.

Quali le principali sfide future di Unicef Italia nel Digital?

La sfida principale è quella tecnologica: garantire qualità e integrazione dei dati tra CRM e piattaforme di marketing automation in maniera più funzionale alle strategie digitali, la tracciabilità, le possibilità di analisi e di implementazione di modelli, la personalizzazione delle customer journey collegate alle diverse audience, l’efficientamento delle transazioni digitali e l’allargamento delle opzioni di donazione.

Recentemente abbiamo adottato, grazie ad un finanziamento internazionale, la Google Marketing Platform: una sfida molto interessante che ci consentirà ad esempio di gestire meglio le audience con Analytics 360 e rendere più agevoli i processi di testing con Optimize. 

Quali consigli dareste ai giovani che si avvicinano al Digital Marketing per il terzo settore per farne una professione?

La raccolta fondi è una professione molto particolare perché acquisisce le tecniche del marketing ma come elemento fondativo ha nel suo DNA le relazioni interpersonali. È una professione basata per vocazione sulla customer/donor centricity: mettere al centro i donatori è determinante per costruire la fiducia su progetti che spesso essi non possono vedere direttamente e non sono prodotti che hanno per il consumatore un valore diretto tangibile. Ma il contributo che possiamo dare a beneficio di tutti nei grandi temi, la cultura, l’ambiente, la sanità, nel migliorare le condizioni di vita delle persone più svantaggiate, nel nostro caso i bambini, è una motivazione professionale che per noi fundraiser non ha pari.

Il fundraiser contribuisce allo sviluppo di una nuova economia basata sulla circolazione della solidarietà e l’investimento per cause diverse dal profitto. Proprio per questo, l’efficienza è un dovere morale, reinvestire al meglio parte dei fondi raccolti in ogni operazione di marketing spinge ad un approccio data-driven con una passione che va oltre ogni descrizione.

L’efficienza sta al cuore del nostro lavoro e c’è tanto bisogno di nuovi professionisti del Digital Marketing per supportare la crescita del terzo settore in un momento in cui la competizione del mercato si fa sempre più accesa. Non è semplice oggi emergere, soprattutto nelle piccole organizzazioni, gli stipendi non sono al livello del settore profit, ma di contro c’è una ricchezza nell’accumulo di esperienze emozionanti.

Si arriva forse spesso in ambienti meno strutturati, ma questo comporta che c’è più possibilità di costruire le cose e dare vita ai propri progetti, per migliorare la propria organizzazione e il ruolo del Digital nel settore. Il terzo settore è una realtà molto viva e collaborativa e ciò rende questo lavoro pieno di stimoli e potenziale per la crescita professionale.

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SEO trend 2022 copertina

SEO Trend 2022: 6 tendenze che non puoi non conoscere quest’anno

Chi si occupa di SEO lo sa bene: gli aggiornamenti che Google apporta al suo algoritmo possono cambiare i fattori di ranking e addirittura vanificare mesi di lavoro svolto per il posizionamento del proprio sito web. Ecco perché essere sempre aggiornati sui SEO Trend 2022 e tutte le novità introdotte in materia di ottimizzazione per i motori di ricerca, è qualcosa di cui ogni SEO specialist non può fare a meno.

Vediamo quali sono le novità che Google ha in serbo per noi nel 2022.

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Trend #1 – Addio BERT, benvenuto MUM

Nel 2019 Google annuncia ufficialmente il rilascio di BERT (Bidirectional Encoder Representations from Transformers), un modello di linguaggio basato su Transformer, l’architettura neurale di Google.

Si tratta di una tecnologia basata su un sistema di machine learning, progettata per apprendere le relazioni contestuali tra le parole. In altre parole, i modelli BERT permettono all’algoritmo di Google di elaborare le parole in relazione a tutte le altre parole di una frase, considerando il contesto in cui la parola è inserita, piuttosto che prendendo in esame le parole nell’ordine in cui sono digitate.

L’introduzione di BERT ha rappresentato un nuovo approccio finalizzato soprattutto all’implementazione degli assistenti vocali: si tratta di un grande passo avanti per la comprensione del linguaggio naturale da parte dell’algoritmo di Google.

Ma BERT era solo l’inizio. Nel 2022 assisteremo ad un ulteriore passo in tal direzione, come annunciato dall’azienda di Montain View in occasione della conferenza Google I/O 2021, durante la quale è stato presentato un nuovo modello per l’interpretazione e l’assistenza ai propri utenti, chiamato Multitask United Model o MUM.

In parole povere, MUM è un modello di intelligenza artificiale in grado di comprendere le intenzioni dell’utente su un piano più profondo e semplificare tutte quelle ricerche complesse, che normalmente richiederebbero l’inserimento di più query di ricerca, prima che venga restituito un risultato pertinente.

Secondo Pandu Nayak, Google Fellow e vicepresidente:

I motori di ricerca di oggi non sono abbastanza sofisticati per rispondere come farebbe un esperto. Ma con una nuova tecnologia chiamata Multitask Unified Model, o MUM, ci stiamo avvicinando per aiutarti con questo tipo di esigenze complesse. Quindi in futuro avrai bisogno di meno ricerche per fare le cose. 

MUM non solo comprende il linguaggio, ma lo genera. È programmato in 75 lingue diverse, per svolgere più task contemporaneamente ed è in grado di sviluppare una comprensione più completa delle informazioni rispetto ai modelli precedenti. 

 

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Si tratta, inoltre, di un modello multimodale, ovvero in grado di elaborare informazioni attraverso testo e immagini; in futuro, le intenzioni di google sarebbero quelle di espandersi anche a modalità come audio e video.

Questo significa che in futuro potremmo fotografare un paio di scarpe a trekking e chidere a Google “ Posso usarle per fare un’escursione sul Monte Fuji?”

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Ad agosto del 2021, MUM era ancora in fase di test; a partire da quest’anno inizierà a funzionare sui motori di ricerca, influenzando i risultati, presumibilmente con un’enfasi ancora più marcata sui segnali di autorità (EAT) e un approccio al contenuto orientato alla risposta.

LEGGI ANCHE: Cos’è Google E-A-T e cosa significa per i tuoi contenuti di qualità 

Trend #2 – LaMDA: ora puoi parlare con Google

Negli ultimi anni, ha assunto sempre maggior rilevanza sul piano SEO, l’ottimizzazione per la ricerca vocale; ora Google compie un ulteriore passo in avanti con una nuova tecnologia orientata al dialogo con l’utente.

In occasione di Google I/O 2021, è stato presentato anche LaMDA (Language Model for Dialogue Applications), che a differenza degli altri modelli linguistici basati su Trasformer, è orientato a cogliere delle sfumature che distinguono la conversazione aperta da altre forme di linguaggio.

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Se MUM è incentrato sull’interpretazione delle intenzioni delle persone dietro le query di ricerca, con LaMDA si vuole instaurare un dialogo con l’utente, restituendo un’esperienza quanto più vicina al linguaggio naturale.

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Oltre alla specificità e alla sensibilità delle risposte di LaMDA, uno degli aspetti su cui si stanno concentrando le attenzioni degli esperti di Google, riguarda la responsabilità sociale, ovvero tutto ciò che di “pericoloso” il sistema è in grado di apprendere.

Come dichiarato da Eli Collins e Zoubin Ghahramani di Google, 

Il linguaggio è uno dei più grandi strumenti dell’umanità, ma come tutti gli strumenti può essere utilizzato in modo improprio. I modelli addestrati sul linguaggio possono propagare tale uso improprio, ad esempio interiorizzando pregiudizi, rispecchiando discorsi di odio o replicando informazioni fuorvianti. E anche quando il linguaggio su cui è stato addestrato viene attentamente controllato, il modello stesso può comunque essere mal utilizzato. La nostra massima priorità, quando creiamo tecnologie come LaMDA, è lavorare per ridurre al minimo tali rischi.

Trend #3: – Shopping Graph: Google lancia nuove funzionalità dedicate all’e-commerce

Durante i periodi di lockdown, lo shopping online è stato l’unica opzione per i consumatori, al punto che alla fine del 2020 i risultati finanziari di Amazon e Shopify siano stati un successo oltre le aspettative.

Davanti a un cambiamento così radicale delle abitudini di acquisto online, anche Google sembra voler dedicare un effort maggiore per implementare il suo motore di ricerca dedicato allo shopping.

Di recente è stato annunciato il lancio di Google Shopping Graph, “un modello dinamico potenziato dall’intelligenza artificiale che comprende un insieme in continua evoluzione di prodotti, venditori, marchi, recensioni e, soprattutto, le informazioni sui prodotti e i dati di inventario che riceviamo direttamente da marchi e rivenditori, nonché come tali attributi relazionarsi tra loro.”

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Parallelamente, Google ha ampliato la sua partnership con Shopify, consentendo ai suoi 1,7 milioni di venditori di includere i loro prodotti nell’ecosistema di Google.

Lo scopo è quello di rendere più smart l’esperienza d’acquisto di milioni di utenti che ogni giorno fanno shopping su Google, attraverso i dati raccolti durante le sessioni, e aiutare le persone a trovare facilmente i prodotti che amano, che provengano dallo store online di un grande marchio o dall’e-commerce di un piccolo brand.

A tal proposito, Google ha introdotto nuove funzionalità, come ad esempio la tab Open Cart su Google Chrome, grazie alla quale ora è possibile visualizzare tutti i carrelli lasciati in sospeso in un’unica tab, ogni volta che viene aperta una nuova pagina nel browser.

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Gli utenti avranno anche la possibilità di collegare i propri programmi fedeltà di brand come Sephora al loro account Google, per vedere sempre le migliori opzioni di acquisto su Google​​.

 

 

Trend #4: – Passage Ranking: indicizzare un passaggio e non l’intera pagina

L’arrivo di Passage Ranking è stato annunciato alla fine del 2020 e rilasciato a febbraio 2021, un aggiornamento che permette al motore di ricerca di indicizzare un passaggio preciso del contenuto di una pagina web, anziché l’intera pagina.

Quando le ricerche sono molto specifiche, l’informazione che l’utente sta cercando potrebbe essere difficile da reperire, magari perché inserita all’interno di una pagina web dove l’argomento è trattato in modo più ampio.

Prabhakar Raghavan ha dichiarato: “Di recente abbiamo fatto un passo avanti nella classifica e ora siamo in grado di comprendere meglio la pertinenza di passaggi specifici. Comprendendo i passaggi oltre alla pertinenza della  pagina generale, possiamo trovare le informazioni ago in un pagliaio che stai cercando. Questa tecnologia migliorerà del 7% le query di ricerca in tutte le lingue man mano che verrà implementata a livello globale.”

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Secondo quanto affermato da Prabhakar Raghavan, l’indicizzazione dei passaggi all’interno del testo, una volta implementata in tutte le lingue, arriverà a influenzare circa il 7% delle query di ricerca su scala globale.

Al momento non abbiamo informazioni sufficienti per poter stabilire quali siano le tecniche migliori a livello SEO per l’indicizzazione dei passaggi, dal momento che si tratta di estratti di contenuto estremamente legati al contesto, dunque lontani dalla logica di indicizzazione delle keyword. Gli esperti di Google consigliano di concentrarsi sugli elementi “tradizionali”, vale a dire title e metatag.

Trend #5 – YouTube: ottimizzare i video creando momenti chiave

I contenuti video hanno assunto un ruolo di sempre maggior rilievo all’interno della content strategy, per l’acquisizione di traffico e lead.

Negli ultimi anni, precisamente da quando Google ha incluso i video di Youtube tra i risultati di ricerca restituiti in SERP, i video hanno assunto un’ulteriore rilevanza anche per la SEO.

In occasione di Google I/O, John Mueller di Google ha presentato due nuove tipologie di dati strutturati da utilizzare per far risaltare i video tra i risultati di ricerca Google e farli apparire nella sezione “Video consigliati”: si tratta di Clip Markup e Seek Markup.

CLIP MARKUP

Con la funzione di “marcatura della clip” è possibile indicare manualmente il timestamp per isolare dei momenti chiave all’interno del video e attribuire loro delle etichette.

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SEEK MARKUP

La funzione Seek Markup, non ancora attiva ma presto in arrivo, serve per comunicare a Google la struttura dell’URL in modo che possa automaticamente identificare i momenti chiave all’interno del video. 

Trend #6 – Core Web Vitals: SEO e UX continuano a viaggiare in tandem

Nonostante l’ottimizzazione dei contenuti per parole chiave e la strategia di backlink siano ancora componenti fondamentali di una SEO strategy che si rispetti, oramai non sono più i soli elementi che contano per il posizionamento, ma ci sono altri fattori altrettanto rilevanti.

Con arrivo di Page Experience, l’esperienza di navigazione dell’utente assume una grande importanza agli occhi del motore di ricerca, valutata da Google con delle metriche specifiche conosciute come Core Web Vitals.

LEGGI ANCHE: Nuova versione di Pagespeed Insights e Google Page Experience arriva su desktop

Secondo la definizione data dagli esperti di Google, si tratta di “un insieme di metriche reali basate sull’utente che quantificano gli aspetti chiave dell’esperienza utente. Misurano dimensioni dell’usabilità del Web, come il tempo di caricamento, l’interattività e la stabilità dei contenuti durante il caricamento (in modo da evitare di toccare accidentalmente determinati pulsanti quando vi passano sotto il dito: sappiamo quanto sia fastidioso).”

Gli indicatori dell’esperienza utente sono 3:

Largest Contentful Paint (LCP): valuta le prestazioni del sito in termini di tempi di caricamento delle pagine. Il valore ottimale non dovrebbe superare i 2,5 secondi dall’inizio del caricamento.

First Input Delay (FID): misura le prestazioni in termini di interattività, ovvero di tempi di risposta agli input dati dall’utente, come ad esempio il clic su un link o un pulsante. Il valore ottimale dovrebbe essere inferiore a 100 millisecondi

Cumulative Layout Shift (CLS): misura la stabilità visiva degli elementi della pagina durante il caricamento. Google consiglia un valore inferiore a 0,1.

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I “vitali del web” vengono combinati da Google insieme ad altri fattori, tra cui l’ottimizzazione mobile-first del sito e l’utilizzo del protocollo HTTPS per la navigazione sicura, per determinare il punteggio del sito in termini di “usabilità” e, di conseguenza, il posizionamento.

L’attenzione di Google per l’esperienza utente sarà sempre più preponderante nel 2022 (nonché per gli anni a venire), dunque, per una corretta ottimizzazione del tuo sito web, sarà indispensabile soddisfare i criteri introdotti con i Core Web Vitals.

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ENEL DIGITALIZZAZIONE

Enel: “La nostra sfida? Abilitare un progresso sostenibile con il digitale”

Dalla liberalizzazione del mercato energetico alle tecnologie orientate alla sostenibilità, con Ivan LupelliChapter Unit Leader | Data Management Market Analysis & Segmentazione e Maria Vittoria DestefanisHead of Commercial Communications Planning, esploriamo le principali sfide del Gruppo Enel e la loro declinazione nel Digital Advertising.

Enel è stata partner dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy e, dopo il successo della collaborazione, la ritroveremo anche nella nuova Factory.

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Quali i principali canali e attività su cui si sviluppa il Digital Advertising di Enel?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Maria Vittoria Destefanis, Head of Commercial Communications Planning Enel

I canali attraverso i quali i clienti possono entrare in contatto con noi sono molteplici, sia offline che online. Poiché ogni occasione di contatto, dal punto di vista marketing, si traduce in un’occasione di vendita (ma anche in una occasione di fidelizzazione/caring e riduzione del churn), dobbiamo fare in modo di valorizzare al meglio ogni momento di contatto, assicurando al cliente la migliore experience, che deve essere il più possibile continua e fluida. E questo è ancora più vero per tutto ciò che è digitale, dove è veramente possibile sfruttare appieno le potenzialità del mezzo per gestire il cliente in modo trasversale, affiancandolo in tutti i suoi touch point, su tutti i device e in tutti i punti del funnel, dall’awareness alla conversion al post acquisition.

Pertanto il Digital Advertising in Enel ormai è pervasivo e ha l’obiettivo di affiancare il cliente, assecondando le sue esigenze a seconda del ciclo di vita nel quale si trova e delle ricerche che svolge. Questo offrendo informazioni relative al brand e offerte nella fase di awareness e consideration (video, formati impattanti, social, drive to store, etc); sfruttando il retargeting per massimizzare le performance nella fase di decisione dell’acquisto (banner display, search) e il cross selling/ upselling/ retention nel post acquisition (dem, sms).

Tutto questo si traduce poi in una ottimizzazione, non solo nella gestione della relazione con i clienti ma anche di budget: mostrare determinati contenuti a coloro che potenzialmente ed effettivamente sono più interessati agli stessi garantisce una minore dispersione di budget e una conseguente ottimizzazione dei costi, ritorno degli investimenti ma soprattutto una maggiore soddisfazione del cliente online che trova le risposte alle sue esigenze.

Come si inseriscono i dati e come vengono utilizzati nella vostra strategia di Advertising?

(Risponde Ivan Lupelli)

Ivan Lupelli, Chapter Unit Leader | Data Management Market Analysis & Segmentazione enel

Abbiamo cominciato a utilizzare i dati proprietari di Enel nel Digital Adv, i cosiddetti first-party data, a fine 2019, da quando abbiamo consolidato il nostro stack tecnologico con l’internalizzazione della Data Management Platform. Questa piattaforma ha rappresentato il vero e proprio abilitatore tecnologico per raggiungere il nostro obiettivo di avere una segmentazione digitale centralizzata e azionabile sui diversi canali (video social display e search) e supportare le attività di Digital Advertising e di personalizzazione della Customer Experience sul nostro portale eCommerce.

Questo anche per garantire coerenza tra quello che il cliente/prospect vede in termini di creatività e il messaggio lato paid media e lato owned media come sito e landing. Come primo passo, abbiamo reso disponibili in piattaforma i dati proprietari provenienti da varie fonti come CRM e Data-Lake, dati provenienti dai canali offline come i negozi fisici, chiamate customer care, preferenze di privacy sino ovviamente ai dati relativi ai comportamenti sulle nostre digital properties per creare una descrizione unica del cliente. Successivamente, abbiamo creato in DMP le varie audience usate nelle campagne digitali always-on di Enel Energia, che quotidianamente sottoponiamo a continui test & learn all’interno della Room Digital ADV & DMP.

Il dato di prima parte è stato fondamentale per raffinare le audience utilizzate per la conversion (segmentazione per remarketing su display/social e persino sulla SEA), ma anche per razionalizzare il prospecting ed evitare di “sparare i nostri messaggi nel mucchio” come si dice. Questo lavorando molto sulla ricerca sul web di audience qualitative ma senza over-segmentare: persone che cercano attivamente contratti di commodity luce/gas o fibra, informate, digitali & tech, ad alto valore potenziale e “fedeli” in prospettiva perché in sintonia con i nostri valori e con la nostra user experience. Il dato di prima parte ha ovviamente supportato le logiche di up-selling cross-selling sui nostri clienti più digitali, mitigando il rischio di esporli a messaggi non interessanti e vantaggiosi per loro.

Le piattaforme di Advertising sanno parecchio sui target, ma ne sanno molto meno di noi sui clienti del settore energia. In sostanza, il dato di prima parte ci ha permesso di ottimizzare media mix, budget spending e ovviamente performance come nessuna piattaforma o algoritmo avrebbe potuto fare in autonomia. Stiamo andando verso uno scenario post cookie di terza parte in cui il dato proprietario per i brand sarà ancor più centrale. Ci stiamo attrezzando sia dal punto di vista tecnologico che strategico all’interno della Room in modo che questa transizione sia una opportunità per fare ancora meglio rispetto a quanto fatto fino ad ora.

Enel si muove sul doppio binario B2C e B2B: quali i principali elementi di differenziazione del messaggio pubblicitario?

(Risponde Ivan Lupelli)

Per il segmento consumer il web è altamente competitivo, una vetrina utilizzata dai trader per spingere le loro offerte di punta con focus su prezzo aggressivo e proposition a sconto. All’interno di questo contesto la nostra strategia B2C sul web è quella di comunicare la facilità della convenienza dell’offerta del nostro prodotto flessibile spinto anche in campagna ATL: una proposition che parla di sconto differenziato in base al mercato di provenienza, con particolare attenzione ai clienti ancora serviti in Maggior Tutela. A questo affianchiamo poi i nostri prodotti innovativi, che sfruttano le potenzialità dei nuovi Smart Meters e si rivolgono alla clientela più esigente e smart, proponendo soluzioni altamente differenzianti: ad esempio con la possibilità di scegliere ogni giorno 3 ore di componente energia gratuita.

Sul web, per il segmento Business, vogliamo essere delle calamite che attraggono con contenuti personalizzati e sorprendenti gli imprenditori e le aziende con bisogni più digitali. Alle piccole e medie imprese comunichiamo in modo semplice e trasparente un abbonamento mensile che permette al cliente di pagare l’energia come la paga Enel. Sul business la parola d’ordine è essere “open” e quindi “aprire” nuove possibilità, nuove modalità per accedere all’energia. Abbiamo voluto veramente centrare realmente e non sulla carta il famoso obiettivo di “mostrare sul web il messaggio giusto al pubblico giusto al momento giusto“ aggiungendo anche “rispettando il cliente/prospect” e “raggiungere i nostri obiettivi di business”.  Questo è stato possibile lavorando su dati e piattaforme in maniera sinergica con le Tribe Consumer e Business del Marketing guidate da Alessio Pasqui e Luca Rainero.

Il green rappresenta oggi un focus centrale nella promozione del brand: quanto fa la differenza?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

La sostenibilità, oggi, per le aziende, è sicuramente una conditio sine qua non fondamentale per restare nel mercato. La crisi sanitaria ha accelerato un processo di cambiamento già in atto, modificando ulteriormente l’attenzione e la sensibilità delle persone verso i temi ambientali e sociali. Oggi i consumatori sono sempre più disposti ad acquistare prodotti e servizi, anche a un prezzo leggermente più alto, da quelle aziende impegnate nella sostenibilità. Ma si aspettano che queste utilizzino processi a basso impatto ambientale e che lavorino con il sistema sociale complessivo per uno sviluppo sostenibile. Promuovere il green non è più un elemento differenziante della proposta commerciale di un brand come poteva essere qualche anno fa.

Oggi più che mai, la comunicazione legata alla sostenibilità, e non solo nel settore delle utilities, è un’area sovraffollata. Per essere efficaci e fare in modo che la sostenibilità possa essere comunicata in modo coerente e credibile occorre prima di tutto che questa sia radicata, abbracciata e adottata nei comportamenti aziendali. Ecco perché la sostenibilità è un fattore chiave non solo del nostro posizionamento commerciale ma, in senso più ampio, del nostro Purpose di gruppo: Open Power for a brighter future. We empower sustainable progress.

Il nostro piano è Purpose driven: guidato da uno scopo, che è quello di abilitare un progresso sostenibile. Tutto questo rafforza la percezione dei consumatori rispetto al brand. Non a caso, secondo il Ranking BrandZ di Kantar, che considera la sostenibilità come uno dei driver centrali per la valutazione, Enel si classifica al secondo posto tra i brand italiani di maggior valore e primo tra le utilities.

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Quali aspetti del mondo Energia sono più difficili da comunicare e riscontrano maggiori criticità nella ricezione?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Il settore nel quale operiamo è molto complesso e fortemente regolamentato. Ciò implica che le nostre comunicazioni non possano mai prescindere dal prevedere sempre anche una parte informativa ed educativa (oltre che adeguata e compliant con la normativa in vigore), questo anche per andare incontro ai nostri valori di vicinanza e trasparenza verso i clienti. Cosa che però spesso contrasta con il desiderata di avere messaggi corti e immediati che siano allo stesso tempo esplicativi e commercialmente accattivanti. La stessa distinzione tra operatori del mercato libero e del servizio di maggiore tutela non sempre è chiara ai consumatori, come anche le voci che compongono la fattura o determinati processi di acquisizione o di switch.Per questo motivo, abbiamo creato una serie di tool finalizzati proprio a rispondere alle domande più frequenti dei consumatori.

Oltre alla classica sezione delle FAQ nel nostro sito, abbiamo ideato “lo Spazio delle risposte”: uno spazio virtuale che risponde a tutte le domande più frequenti sul mondo dell’energia. Nasce attraverso un’analisi SEO dettagliata (più ricerche di mercato) riguardante tutte le tematiche più cercate sui motori di ricerca su: bolletta, mercato libero e servizio di maggior tutela, contratto, servizi Vas (a valore aggiunto) e offerte.

Anche sui nostri canali social abbiamo uno stream dedicato, “Help”, che comprende diverse rubriche e che funge da aiuto ai clienti su diverse tematiche: abbiamo ad esempio le energy word, una sorta di glossario dell’energia (cosa è il POD/PDR, cosa significa kWh, il PUN etc), le green word, a tema sostenibilità, etc. Quest’anno abbiamo un obiettivo in più: cominciare a veicolare il servizio di Enel non più come commodity ma come fattore abilitante alla transizione sostenibile, come guida del cambiamento.

L’estate scorsa avete lanciato una grande campagna online e offline sulla ripartenza con Saatchi e Saatchi. Che cambiamenti ha portato l’emergenza Covid nella vostra strategia di Advertising e che risposta avete avuto?

(Risponde Maria Vittoria Destefanis)

Da quando è iniziato il periodo dalla pandemia, abbiamo deciso da subito di non bloccare le nostre comunicazioni. Anzi, abbiamo affrontato le diverse fasi, del lockdown prima e della ripartenza poi, con comunicazioni mirate e in linea con il periodo che si stava vivendo. Nel periodo più difficile, abbiamo affrontato una fase di comunicazione in “emergenza”. Era stata istituita una task force, che ha lavorato per mettere in evidenza e comunicare tutte le iniziative concrete che come azienda avevamo messo a disposizione dei clienti. E in TV siamo andati on air ad aprile, durante il picco della crisi, con una campagna che aveva l’obiettivo principale di trasmettere la solidarietà e la vicinanza dell’azienda al paese.

Durante l’estate, abbiamo poi fronteggiato la fase di restart, spostando la comunicazione su temi di positività che i clienti manifestavano e ricercavano, con contenuti focalizzati sulla ripartenza, rilevanti e che proponevano vantaggi concreti. La campagna sulla ripartenza aveva dunque un duplice obiettivo: rendere concreto il supporto dell’azienda con un’offerta che potesse contribuire alla ripartenza del Paese (volutamente indirizzata sia al Consumer che allo Small Business), mettendo a disposizione tre mesi di componente energetica gratuita ed evidenziare come questo supporto avesse anche un valore sostenibile: a livello ambientale ma soprattutto sociale.

La campagna, pur lavorando in coerenza con il posizionamento dell’azienda, voleva raccontare di una nuova energia. Per questo motivo aveva un tono di voce tutto in positivo, senza fare riferimento alle difficoltà vissute. Ci si è focalizzati sul momento in cui tutti ricominciavano a fare quello che facevano sempre, raccontando i piccoli gesti cui eravamo abituati, sia dal punto di vista della “famiglia” che delle imprese. In generale l’emergenza Covid ha determinato una attenzione e un supporto crescente verso il territorio. Abbiamo circa 1.200 negozi su tutto il territorio nazionale e i nostri imprenditori sono quelli che più di tutti hanno sofferto delle restrizioni dettate dall’emergenza. Per questo motivo, nella strategia di Advertising (offline e online) di quest’anno, tutte le campagne che metteremo in piedi quest’anno avranno una declinazione locale.

Quali i principali obiettivi di Digital Advertising per il futuro prossimo e quali canali e attività intendete implementare?

(Risponde Ivan Lupelli)

Come obiettivi abbiamo dei target molto sfidanti in termini di adesioni e cpa sia sul segmento consumer che sul business. Per quanto riguarda canali e attività, il nostro mantra è mantenere un media mix efficiente e performante che ci permetta di raggiungere audience che “risuonino con il nostro brand”. Continueremo sicuramente a sperimentare in maniera continua con approccio few-in few-out riguardo a canali e piattaforme per le campagne always-on, ma non vogliamo neanche provare tutto per la paura di perdere opportunità o perché “ci dobbiamo essere” con il rischio di frammentare messaggi e budget senza impatto significativo sulle performance.

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spotify intervista ester gazzano

Spotify: “Così abbiamo cambiato il marketing musicale”

Dal 2008, Spotify ha rivoluzionato per sempre il modo di ascoltare la musica. La sua mission è quella di liberare il potenziale della creatività umana, dando a un milione di artisti creativi l’opportunità di vivere della loro arte e a miliardi di fan quella di divertirsi e di essere ispirati dai loro idoli.

Oggi è il servizio di abbonamento di streaming più popolare al mondo, con una comunità di oltre 381 milioni di utenti su 178 paesi complessivi. Ora l’obiettivo è diventare punto di riferimento per l’audio a 360°, dalla musica ai podcast.

Spotify è stata una delle organizzazioni partner dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy. Scopriamo insieme a Ester GazzanoHead of Consumer Marketing Southern & Eastern Europe, le nuove sfide e i segreti di una delle strategie di marketing più riuscite degli ultimi anni.

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Spotify Esther Gazzano

Oggi mirate ad ampliare la tradizionale associazione Spotify-musica all’universo dei podcast. Come cambia la strategia?

Il nostro obiettivo è quello di confermarci leader nella industry audio a 360°: crediamo che il futuro dell’audio sia senza limiti e i podcast rappresentano per noi una tipologia di contenuto su cui continuare a puntare, avendo rilevato una crescita dell’interesse tuttora in fortissima espansione. Basti pensare che oggi ospitiamo 2,6 milioni di titoli, +160% rispetto all’inizio del 2020.

Vogliamo offrire ai nostri utenti anche nel mondo podcast ciò che ci ha permesso di rivoluzionare l’industria musicale.

Mi riferisco ad esempio a pillars quali la discovery e la personalization, che offrono la possibilità agli utenti di vivere un’esperienza di scoperta sempre più allineata ai propri gusti e al proprio modo di fruire la piattaforma, ma anche all’ubiquity, ovvero la possibilità di fruizione su più device contemporaneamente, passando dall’uno all’altro senza soluzione di continuità.

Con la nostra strategia di marketing cerchiamo di offrire ai nostri listener veri e propri “mondi audio” a 360°.

Si pensi a Sanremo 2021: abbiamo puntato a offrire sulla nostra piattaforma l’esperienza di vivere l’edizione più social e digitale di sempre, creando un hub editoriale dedicato contenente 6 playlist diverse e un podcast, il primo original Spotify in Italia peraltro, “Tutto Sanremo ma dura meno” realizzato in collaborazione con i the Jackal. Il podcast è stato il più ascoltato in Italia per un mese e la playlist con le canzoni in gara la terza più ascoltata al mondo durante la settimana del festival.

Le vostre campagne prevedono una stretta integrazione di online e offline: quali gli strumenti e che incidenza ha il Digital?

Il Digital è da sempre la nostra leva principale. A seconda delle campagne, possiamo dire che pesa dal 50% al 100% degli investimenti. La user experience in-app è un elemento chiave.

La nostra campagna annuale Wrapped è appunto un esempio virtuoso di come un’experience in-app è in grado di generare advocacy da parte di una community molto forte come quella dei nostri utenti e degli artisti. Il resto della campagna media si aggiunge solo come un potente amplificatore.

Crediamo però molto anche nell’integrazione fra on e offline: è importante infatti far vivere il brand nel mondo reale; per questo, attivazioni online e out of home rientrano comunque nel nostro mix. A seconda poi del targeting e della campagna, ci piace anche fare incursioni nel panorama media più classico come in TV e Radio, e ci piace farlo a la Spotify, creando link molto forti con tutto quello che succede in app, sia lato Content che lato Experience dedicate ai nostri listener.

Ad esempio, abbiamo lanciato la nostra campagna TV legata a “Only you”. Abbiamo scelto un posizionamento estremamente qualitativo, durante le partite degli Europei sia su RAI che su Sky, con il primo spot lanciato proprio in occasione della prima partita della nazionale, l’11 giugno.

Lo spot mirava ad ampliare il nostro target di riferimento puntando sulle emozioni uniche che la musica è in grado di regalarci, soprattutto quando legata a momenti importanti della nostra vita. Lo spot ha avuto come colonna sonora “Un’estate italiana” per evidenziare quanto alcune canzoni siano in grado di accendere istantaneamente emozioni e ricordi, ma anche celebrare la nostra passione per il calcio. I nostri utenti hanno trovato in app una nuovissima Playlist, chiamata “Notti Magiche”, che ci aiuterà ad entrare in clima partita.

Parlando di spot TV, un altro caso che ci piace citare è lo spot che abbiamo creato per Sanremo 2021. In quel caso abbiamo optato per una soluzione molto unconventional: nessuno shooting, nessun attore, solo uno schermo nero, un font verde inconfondibile (il nostro) e un messaggio chiaro: “Dopo averlo guardato, inizia ad ascoltarlo”.

Tutti amiamo il Festival di Sanremo nella sua interezza, il costume, i presentatori, i fiori (“fiori, tanti fiori”), le foto (“foto foto foto”) ma se vogliamo davvero ascoltare le canzoni, lo possiamo fare su Spotify.

spotify graziebalconi

Come e quanto ha inciso la pandemia nelle vostre scelte di marketing e che risultati avete ottenuto?

La pandemia ci ha portato a  sospendere il grosso delle nostre iniziative marketing durante il primo lockdown. Dall’altra parte, abbiamo osservato un aumento importante di engagement sulla piattaforma proprio nel 2020 e siamo felici di pensare di aver tenuto compagnia ai nostri ascoltatori a casa durante un periodo così complesso per la nostra storia recente.

Il 2020 ha accelerato dei trend che erano già comunque in embrione: uno di questi è sicuramente quello della crescita dei podcast, con l’audio che si è rivelato essere una forma di conforto e sostegno nei momenti più duri del primo lockdown, con persone che si sono rifugiate su contenuti legati alla religione, alla spiritualità e al self improvement.

Interessante rilevare che, comunque, anche nel ritorno alla normalità non c’è stata alcuna perdita di interesse verso questo fenomeno: oggi il 25% dei nostri ascoltatori ascolta i podcast, parliamo di più di 89 milioni di persone, con ore dedicate all’ascolto che sono state più che raddoppiate nel solo 2020.

La nostra campagna di fine anno, Wrapped, che viene lanciata a dicembre, è stata interamente dedicata a ringraziare la nostra community, di artisti e fan. Fra le varie attività di Wrapped, abbiamo lanciato #graziebalconi, una campagna per la quale abbiamo scelto di recapitare a sorpresa degli striscioni di ringraziamento proprio sotto quei balconi e quelle finestre teatro di alcune delle performance più indimenticabili ed emozionanti del periodo del lockdown.

Lato consumer, invece, abbiamo aggiunto anche delle experience direttamente sull’app, con quiz in-app, badge legati al proprio stato di consumatore e playlist personalizzate sulla base degli ascolti dell’anno.

Tra i segreti di Spotify c’è la personalizzazione della fruizione: in che modo la Marketing Automation viene in suo supporto?

Per Spotify, “listening is everything”, e ci piace pensare quindi di saper ascoltare anche gusti ed esigenze dei nostri ascoltatori per poter proporre loro i contenuti più in linea con i loro interessi.

Principalmente i nostri sistemi di automation si occupano di questo e sono content based. Mirano quindi a offrire un prodotto il più personalizzato possibile a ogni utente, sia in termini di contenuto, ad esempio con le Playlist personalizzate, ma anche in termini di comunicazione, con messaggi rilevanti e personalizzati per ogni utente.

Il nostro CRM è in grado di allertare i fan di un determinato artista ogni volta che quell’artista pubblica qualcosa di nuovo sulla piattaforma e lo comunica nel modo più efficace per l’utente nello specifico, scegliendo tra push notification, messaggi in app o email ad esempio.

La campagna “Solo tu” celebra appunto l’unicità di ognuno degli utenti attraverso storie che evidenziano i gusti e gli interessi diversi della nostra community globale. Che si inizi la giornata ascoltando un episodio di “Essential” o che si passino le serate ascoltando “Demoni Urbani”, il modo in cui ascoltiamo riflette un po’ chi siamo, e alla fine non importa come e cosa ascoltano i nostri listener, importa che Spotify sia il posto in cui possano sentirsi a casa e trovare una risposta ai loro bisogni.

Noi guardiamo ai nostri utenti come a una community: come tale tutti i Social sono un territorio ideale per dialogare con loro e per connettere tra di loro gli artisti e i fan.

Ad oggi, quindi, spaziamo da Instagram a TikTok, passando per Twitch e Twitter, ma usiamo molto anche la nostra piattaforma stessa, ad esempio per generare awareness sui nostri utenti intorno a tutto quello che è il mondo podcast.

In generale ci piace molto innovare e, a livello nazionale, cerchiamo di avere un approccio hyperlocal: nelle nostre campagne global non esiste un copy da tradurre, ma solo framework, e la parte dell’emozionalità, insieme alla tipica ironia, caratterizza il messaggio italiano. In questo Spagna e Italia sono i paesi che più si assomigliano!

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nft marketing

NFT Marketing: casi di studio per la strategia del tuo brand

A sperimentare le potenzialità del NFT marketing sono stati già molti brand del settore moda, food e beverage: poco dopo la prima diffusione degli NFT, verso la fine del 2019, avevano coniato i loro NFT, deciso i loro obiettivi e sviluppato una strategia. 

Tra i primi ad accogliere e utilizzare questa innovativa forma di marketing, ci sono stati brand del calibro di Gucci, Adidas, Coca Cola Mc Donald’s, Ray-Ban o Mattel, solo per citarne alcuni.

Attraverso piani di NFT marketing questi brand hanno intrapreso iniziative importanti realizzate per scopi diversi, ma tutte accomunate dai grandi risultati raggiunti in termini di profitto e di branding, attestando così il valore che le strategie di NFT marketing sono in grado di apportare ai brand.

Gli NFT rappresentano una tendenza in continua crescita già dal 2021, come viene mostrato anche dal grafico di Google Trends sottostante. Quali sono i motivi principali alla base di questa crescita costante?

Volendo riassumere le motivazioni che potrebbero spiegare il successo degli NFT, possiamo elencare tre motivi principali:

    1. la tecnologia alla base degli NFT (blockchain);
    2. il supporto degli NFT ricevuto da alcuni dei marchi più grandi e innovativi del mondo;
    3. il legame degli NFT al bisogno inconscio comune negli esseri umani di appartenere e far parte di una comunità esprimendo la propria persona attraverso i propri beni, fisici o digitali.

NFT GOOGLE TREND

Cosa sono gli NFT

Gli NFT (o token non fungibili) sono certificati di proprietà rilasciati su opere digitali, dei veri e propri smart contract quindi, che si caratterizzano per la propria unicità e la cui creazione e i cui successivi passaggi di proprietà vengono gestiti e registrati tramite la tecnologia blockchain.

Ed è proprio la blockchain a fare da garanzia rispetto alla loro unicità, non replicabilità e autenticità.

Tali caratteristiche fanno dunque in modo che gli NFT si prestino in maniera ottimale a incapsulare contenuti come opere d’arti digitali, oggetti digitali collezionabili, brani musicali, insomma, praticamente qualunque asset digitale.

Chiarito il loro potenziale utilizzo grazie alla blockchain, possiamo occuparci di definire cosa si intende con l’espressione “token non fungibile” attribuita loro al fine di capire esattamente cosa sono gli NFT. Con  token non fungibile si vuole intendere che un oggetto è unico in quanto non può essere sostituito da qualcos’altro.

Per spiegare questo concetto è possibile portare ad esempio un’opera d’arte, che è unica nel suo genere e quindi non fungibile, poiché se fosse scambiata con un’altra opera d’arte, si avrebbe in mano qualcosa di completamente diverso anche se dello stesso valore.

Una banconota da un dollaro invece rappresenta un esempio opposto e può essere quindi ritenuta fungibile, poiché scambiandola con un’altra banconota sempre da un dollaro, si otterrà la stessa identica cosa, intercambiabile e dello stesso valore.

Questa caratteristica di non fungibilità rappresenta il più grande valore dei non-fungible token. Basti pensare a quanto sia difficile verificare l’autenticità di un oggetto nei beni di lusso. In questo caso, un NFT rappresenta una valida verifica che un acquisto sia davvero autentico, che si tratti di oggetto, bene o esperienza.

Possiamo quindi immaginare come nei prossimi anni tutto ciò che verrà acquistato sarà fornito con un gettone come ricevuta che darà modo di  verificare l’acquisto fatto come reale, registrato per sempre nella blockchain.

NFT e Metaverso

Il Metaverso rappresenta una novità nel modo di interfacciarsi al mondo e tale novità porta con sé una moltitudine di esperienze ora possibili che possono collegarsi a diversi settori quali ad esempio moda e gaming.

NFT e Metaverso sono collegati perché oggi ogni persona ha modo di creare un proprio avatar 3D e, ad esempio, procedere ad esempio all’acquisto di capi o accessori (ma anche di porzioni di territorio virtuale o accessi a community esclusive) tramite NFT.

Questa possibile esperienza si traduce in due differenti vantaggi per l’utente e per il brand rispettivamente riassumibili nei seguenti punti:

  • l’utente ha la possibilità di acquistare o provare “nella vita virtuale”  un capo o un prodotto, che potrebbe essere fuori dalle proprie possibilità economiche o di altro tipo nella vita reale;
  • l’azienda acquisisce invece la possibilità di aumentare i propri profitti attraverso la vendita di prodotti e vestiti virtuali ad un pubblico sempre più vasto.

Come esempio della commistione tra moda e gaming nel Metaverso possiamo fare riferimento alla collaborazione instaurata tra Balenciaga, brand di moda molto noto a livello internazionale ed Epic Games, sviluppatore di Fornite, uno dei big del gaming.

Grazie a questa collaborazione, gli utenti durante il gioco hanno avuto la possibilità di comperare all’interno dei negozi virtuali Balenciaga degli autentici look realizzati appositamente per Fortnite.

Unicità ed esclusività rappresentano dunque i punti cardine di questa collaborazione tra i big del gaming e della moda.

Gli scenari futuri del Metaverso prevedono diversi sviluppi di quest’ultimo, che punta ad ottenere un’interazione “materiale” attraverso:

  • i device;
  • la domotica;
  • il lavoro;
  • l’intrattenimento;
  • le interazioni con i social media;
  • le possibilità offerte dalla realtà aumentata.

Come gli NFT creano valore per i brand

Il valore che un piano di NFT Marketing può apportare al brand è valutabile sotto diversi punti di vista; per capire dunque come gli NFT creano valore per i brand è indicativo individuare le opportunità che questi offrono loro.

Gli NFT infatti sono in grado di:

  • permettere una connessione diretta con la propria fanbase;
  • consentire al brand  di non limitarsi all’offerta di prodotti o servizi solo fisici, ma spaziare anche nei prodotti virtuali;
  • permettere la vendita ad un pubblico sempre più vasto;
  • eliminare diversi problemi quali spedizione, difetti del prodotto, costi di stoccaggio e altri, che non riguardano i prodotti virtuali ma rappresentano una criticità solo per le attività commerciali;
  • consentire un aumento dei profitti;
  • offrire opportunità di branding.

Gli NFT nelle strategie di Marketing

Utilizzare gli NFT nelle strategie di marketing è fondamentale per approfittare del valore che questi sono in grado di offrire ai brand, ma per utilizzarli in maniera ottimale è bene tenere conto della correlazione con diverse discipline, attività e strumenti, tra cui:

  • Search Engine Optimization (SEO)
  • Influencer Marketing
  • Community Management
  • Invio Notifiche Push Web E Mobile
  • Email Marketing
  • Raccolta dei Feedback
  • Azioni di co-marketing
  • Campagne social

Search Engine Optimization (SEO) 

Impostare una SEO strategy è essenziale in questo contesto perché conoscere le parole chiave giuste per l’ottimizzazione dei motori di ricerca rappresenta un aiuto fondamentale affinché il pubblico di destinazione raggiunga rapidamente e facilmente i mercati NFT del brand.

Influencer Marketing

L’influencer Marketing è in forte crescita e rimane uno strumento indispensabile per raggiungere alcuni obiettivi. Resta particolarmente importante la scelta dell’influencer più adatto, che deve essere in linea con il proprio pubblico target, e che può diventare un ottimo punto di partenza per la propria strategia di NFT marketing.

Community Management

Creare una community online è necessario per fidelizzare i consumatori ed è l’azione basilare  per creare una connessione a lungo termine con il proprio pubblico.

Attraverso una community sarà infatti possibile per il marchio avviare un processo di educazione verso i propri clienti agli NFT e aggiornarli sulle tendenze del mercato.

Invio di notifiche push Web e mobile

Le notifiche push sono messaggi pop-up cliccabili che compaiono sui browser degli utenti e rappresentano una tecnica in grado di consentire alle aziende la trasmissione di messaggi, offerte o altre informazioni a chi si è  abbonato  alle notifiche push. Va da sé che possiamo considerarli anche un buon sistema per la promozione delle nostre strategie riguardo ai token non fungibili.

Email Marketing

L’email nell’NFT Marketing è un altro degli elementi molto utili da utilizzare in un piano strategico di successo, perché attraverso le email il brand ha l’opportunità di:

  • condividere informazioni sul rilascio di un nuovo prodotto;
  • ricevere feedback da parte loro sui nuovi prodotti;
  • individuare i momenti migliori per i lanci di prodotto.

Raccolta dei Feedback

Alla base del successo di qualsiasi progetto c’è l’ascolto dell’utenza. Sono i feedback grazie ai quali il brand ha modo di venire a conoscenza delle esigenze e dei desideri dei propri clienti e di quelli potenziali.

I feedback rappresentano quella comunicazione bidirezionale da instaurare con i propri clienti che è di fondamentale importanza per l’eventuale miglioramento della strategia intrapresa.

Azioni di co-marketing

Questa strategia di è un altro ottimo modo per commercializzare i propri servizi NFT. Fondersi con diversi settori in base al bisogno rappresenterà infatti un buon modo per ottenere maggiore visibilità e traffico.

Campagne social

Sono necessarie per inserire una strategia di PR nel mercato di prodotti e servizi. Le piattaforme social come Facebook, Twitter, Instagram e LinkedIn sono quindi da tenere in forte considerazione per le campagne, perché sono ottimi strumenti attraverso cui comprendere desideri ed aspettative del proprio pubblico di riferimento.

Brand e NFT

I progetti NFT vengono attualmente lanciati e supportati da alcuni dei marchi più grandi e innovativi del mondo che, attraverso gli NFT, stanno ottenendo numerosi successi in termini di apprezzamento ed incasso.

Chiunque infatti può coniare un NFT e renderlo disponibile per l’acquisto. Tra i brand molto noti che hanno coniato i propri NFT troviamo già:

  • Adidas
  • Budweiser
  • Taco Bell
  • Asics
  • Clinique
  • Mattel
  • McDonald’s 
  • Ray-Ban
  • Original Penguin
  • Gucci
  • Pepsi-Cola
  • Dolce & Gabbana

Adidas

Adidas, la nota multinazionale di abbigliamento, scarpe e accessori sportivi, ha avviato un progetto denominato “Into the Metaverse”, attraverso cui ha ottenuto un successo incredibile vendendo una collezione di 30.000 token digitali ad un prezzo di 0.2 Ether ciascuno (pari a circa 700 euro) per un incasso di 23,5 milioni di dollari.

Ma oltre all’incasso a destare attenzione è un altro risultato, ovvero le voci legate all’iniziativa che hanno di certo contribuito alla brand equity di Adidas.

In questo caso, quindi, grazie al NFT marketing il valore ottenuto dal brand è stato un rafforzamento del brand e un immediato profitto.

adidas nft

Coca-Cola

Coca-Cola, già nel luglio 2021 per celebrare la Giornata Internazionale dell’Amicizia, aveva lanciato un’asta con 4 NFT avvenuta sul marketplace per NFT, Opensea che ha ottenuto un incasso complessivo pari a 575.000 dollari in sole 72 ore.

L’incasso  è stato devoluto a Special Olympics, la più grande organizzazione mondiale per lo sport per persone con disabilità.

coca cola nft

Budweiser

Lo scorso anno Budweiser, la nota azienda americana di birra Anheuser-Busch ha lanciato una collezione di NFT, composta da 1.936 diverse illustrazioni artistiche ispirate all’iconica lattina della birra Budweiser con NFT venduti tra i 500 e i 1.000 dollari, realizzando per l’azienda un incasso pari a un milione.

Anche in questo caso è bene evidenziare come non sia solo il guadagno a dover saltare all’occhio, bensì l’efficacia e l’innovatività in riferimento al branding.

budweiser nft

Taco Bell

Già nel marzo 2021 Taco Bell aveva realizzato e venduto 25 NFT.

Pioniere nell’uso del nuovo strumento, il brand li ha venduti ad una cifra simbolica inferiore ai 2 dollari, ottenendo quindi un incasso non di rilievo ma confermando la riuscita del test.

Infatti, già dopo poche ore dall’acquisto degli NFT, questi venivano rivenduti raggiungendo in certi casi anche 20.000 dollari.

taco bell nft

Asics

Anche Asics già a luglio era uno dei primi brand ad utilizzare gli NFT per la vendita della collezione Sunrise Red di Asics che includeva sneakers digitali in edizione limitata. 

Questa iniziativa è stata descritta dal marchio sportivo come una “celebrazione dello sport e un primo passo nella costruzione di un futuro in cui i beni digitali ispirano l’attività fisica“.

I proventi dell’offerta NFT di Asics vengono reinvestiti nel loro programma Artist-in-Residence tra content creator digitali permettendo uno scambio culturale tra diversi paesi.

 asics nft

Clinique

Il famoso marchio di prodotti di bellezza a ottobre, ha presentato MetaOptimist, la sua prima serie in edizione limitata di NFT.

Clinique ha indetto un concorso per regalare tre NFT ai membri del suo programma Smart Rewards che condividono storie di ottimismo e speranza per il futuro sui social media con gli hashtag #MetaOptimist #Clinique #Concorso. 

I vincitori del concorso hanno anche ricevuto prodotti gratuiti in omaggio. 

 clinique nft

Mattel

Mattel, uno dei principali produttori di giocattoli al mondo, ha lanciato gli NFT nel suo marchio Hot Wheels, rilasciando a novembre 40 diversi design NFT Hot Wheels con un prezzo iniziale di 15 dollari ciascuno.

Mattel definisce i suoi NFT come un modo per coniugare arte e innovazione nel settore dei giocattoli, nonché una strada per essere sempre al passo coi tempi e rendere senza tempo le sue creazioni.

 mattel nft

McDonald’s

A novembre 2021 McDonald’s ha lanciato la sua prima promozione NFT in assoluto emettendo un numero limitato di NFT (soprannominati MCNFT) come parte di una collezione d’arte virtuale da collezione. 

Obiettivo di questa iniziativa è stato quello di  creare entusiasmo per il ritorno temporaneo del prodotto McRib nel menu del fast food. La strategia di marketing utilizzata dal marchio prevedeva che  la raccolta di 10 singoli McRib NFT fosse disponibile solo per coloro che avevano ritwittato l’invito del marchio.

Più di 21.000 persone hanno raccolto e condiviso l’invito.

 

mcdonald nft

Ray-Ban

Nell’ottobre del 2021 il marchio di occhiali è entrato nello spazio NFT con il suo primo e unico NFT, gli iconici occhiali da sole Aviator, creato dall’artista tedesco Oliver Latta e messo all’asta su OpenSea. Il ricavato delle vendite è andato all’Italian Art Trust. 

RayBan NFT

Original Penguin

Lo storico marchio americano di abbigliamento sportivo Original Penguin, a differenza degli altri brand che sono saliti sul treno in corsa degli NFT, si è distinto per una strategia che lo ha visto essere il primo brand di moda a commissionare a influencer la realizzazione di video di TikTok come risorsa NFT.

Original Penguin ha infatti collaborato con artisti influencer di TikTok nella creazione e consegna della sua prima asta NFT, che si è tenuta a novembre. 

I proventi dell’asta sono stati devoluti a Free Arts NYC, un’organizzazione no-profit che aiuta i giovani attraverso programmi di arte e tutoraggio. 

Original Penguin nft

Gucci

Il noto brand di moda italiano a giugno ha messo all’asta il suo primo NFT denominato “Aria”, un’opera ispirata dal fashion film Gucci Aria co-diretto da Alessandro Michele in un’asta online con un prezzo di partenza di 20.000 dollari.

Anche in questo caso il ricavato viene donato dal brand all’UNICEF USA al fine di sostenere l’iniziativa COVAX dell’organizzazione no-profit volta a garantire un equo accesso ai vaccini anti Covid-19.

GUCCI nft

Pepsi-Cola

Pepsi-Cola ha lanciato una collezione di 1.893 NFT unici, ispirati a oggetti iconici del mondo della musica, per rendere omaggio alla storia leggendaria del marchio nella musica. L’elemento principale tra palchi e accessori è il microfono.

Ogni NFT mostra infatti un microfono vintage con caratteristiche differenti.

pepsi nft

Nike

Nel 2019 il brand di abbigliamento sportivo aveva lanciato CryptoKicks, una linea di sneakers, dove ogni paio di scarpe è abbinato ad un NFT attraverso cui ne viene dimostrato il possesso e l’autenticità. 

Con questa strategia Nike è artefice di un primo esempio di tokenizzazione di un prodotto consumer.

Solo il primo questo, di altri che vedremo di certo in futuro. Nike ha infatti  annunciato l’acquisizione di RTFKT Studios, una startup innovativa nata per creare “oggetti da collezione di prossima generazione capaci di unire cultura e gioco“ e ha aperto un suo spazio virtuale in Roblox.

Nike nft

Dolce & Gabbana

Il noto brand di moda Dolce & Gabbana, nel settembre 2021, ha venduto all’asta una collezione digitale dal nome “Genesi” composta da nove creazioni di NFT ottenendo un profitto di  circa 5.7 milioni di dollari e aggiudicandosi il titolo di collezione più costosa nel settore digitale. 

Dolce&Gabbana nft

Questi sono solo alcuni dei brand che stanno già esplorando le potenzialità e le opportunità di business e branding collegate al NFT marketing, ma la lista di brand è destinata a crescere molto velocemente nel corso del 2022. 

Come utilizzare gli NFT nella tua strategia di marketing

Per capire come utilizzare gli NFT nella tua strategia di marketing è considerare una serie di casi d’uso esemplari che mostrano come alcuni dei marchi più noti, sia storicamente all’avanguardia sia considerati “più tradizionali” li abbiano utilizzati nel marketing attraverso lo sviluppo di strategie diverse e per ottenere scopi differenti.

Ed è proprio dall’analisi degli scopi perseguiti dai brand, prima di parlare della strategia adottata per ottenerli, che è necessario partire per capire bene l’uso che è possibile fare del NFT marketing e per trovare fonte di ispirazione per la propria strategia.

Alcuni degli obiettivi perseguiti da questi brand fino ad ora possono essere riassunti in:

  • generare nuovi flussi di entrate;
  • fidelizzare il marchio;
  • raccogliere fondi per una buona causa;
  • aumentare la propria immagine;
  • raccontare una storia;
  • raggiungere un nuovo pubblico;
  • utilizzare gli NFT come biglietteria per eventi dal vivo.

In base agli obiettivi più in linea con il proprio brand è quindi possibile costruire una strategia adatta agli scopi prefissati, fermo restando però che per sviluppare una strategia di NFT marketing di successo è essenziale prestare attenzione a tre elementi alla base dell’utilizzo ottimale degli NFT:

  • formazione;
  • accessibilità;
  • longevità.

Formazione

L’istruzione deve essere una componente essenziale di qualsiasi campagna. Il pubblico di destinazione deve avere un livello di familiarità e comfort con gli NFT per acquisire una risorsa. 

È quindi essenziale creare materiale utile a spiegare:

  • cos’è un NFT;
  • perché la risorsa che stai offrendo è un NFT;
  • come utilizzare gli NFT.

Infine, è bene delineare anche eventuali restrizioni o aspettative sulla condivisione o sulla eventuale promozione dell’attività NFT.

Accessibilità

L’accessibilità degli NFT è invece legata ad alcune decisioni quali:

  • determinare il numero di copie da coniare;
  • il tipo di mercato da utilizzare;
  • il tipo di portafoglio NFT da utilizzare o da consigliare agli acquirenti. 

Longevità

In riferimento alla longevità, pensare a lungo termine e valutare gli ecosistemi blockchain può essere invece una buona scelta per evitare un contratto frettoloso che può limitare significativamente le capacità di conio.

Infine, tra le considerazioni importanti da fare quando si definisce un programma NFT duraturo troviamo la mappatura:

  • dei diritti di proprietà;
  • delle royalty;
  • dell’ubicazione;
  • della durata dell’hosting.

Una campagna NFT di successo richiede una buona pianificazione. La fluidità del mercato NFT crea opportunità e sfide, ma entrambe sono gestibili seguendo le migliori pratiche.

Le principali piattaforme per gli NFT

Sono diverse le principali piattaforme per gli NFT utilizzate dai brand e dove è possibile creare aste online e vendere i diversi tipi di prodotti virtuali.

Alcuni di queste sono:

Coinbase

Coinbase NFT funziona principalmente come marketplace, ma anche come luogo per “promuovere le connessioni” fra creatori, investitori e professionisti, come dichiarato dalla società.

Caratteristiche di valore di questa piattaforma sono:

  • la quantità di scambi di volume;
  • la sua solida esperienza utente (UX);
  • il design dell’interfaccia utente (UI) semplificato e intuitivo.

OpenSea

OpenSea servendo più come aggregatore NFT che come galleria  è stata la piattaforma decentralizzata dominante per gli utenti che desiderano coniare, acquistare, vendere e scambiare token non fungibili (NFT). 

Crypto.com

Crypto.com è presente nell’ecosistema delle criptovalute dal 2016 ed è diventato uno degli Exchange crypto e delle piattaforme di pagamento crittografiche più popolari dove è possibile creare, visualizzare, acquistare e vendere nuovi NFT.

Binance NFT Marketplace

Binance NFT Marketplace è una piattaforma in cui gli utenti possono creare, acquistare e vendere NFT.

La possibilità di acquisto NFT offerta da Binance avviene in 2 modi: tramite asta o prezzo fisso.

Conclusioni

Oggi il marketing è uno dei fattori importanti per il successo di qualsiasi attività commerciale. Adeguare le proprie strategie in base ai cambiamenti e ai nuovi trend è quindi essenziale per una crescita a lungo termine.

In riferimento ai nuovi trend, gli NFT rappresentano certamente quello a cui prestare in questo momento maggiore attenzione vista la crescita costante registrata nell’ultimo anno.

A riprova di ciò ci sono anche i grandi brand di spicco del settore food e beverage o moda che stanno cavalcando l’onda ottenendo sempre grandi risultati. Di conseguenza considerare un piano di NFT Marketing per ogni azienda è certamente raccomandabile e non soltanto per i possibili profitti che è possibile ottenere, ma anche per un progetto di branding i cui risultati sono visibili a breve e lungo termine.

Riguardo invece alle strategie migliori da usare per  i marketer nell’ottica di un NFT Marketing ottimale, si ha l’opportunità di osservare iniziative e successi portati a termine da grandi brand da cui prendere spunto, ma la strada migliore è sempre sperimentare qualcosa di innovativo, proprio come innovativo è questo nuovo trend. 

Gli obiettivi finali alla base del NFT marketing dovranno comunque essere quelli di creare esperienze di marca uniche, aumentare la consapevolezza del marchio e incoraggiare l’interazione.

meta lascia l'europa anzi no

È vero che Facebook e Instagram lasceranno l’Europa? Assolutamente no 

Come un fulmine a ciel sereno una notizia inaspettata, alquanto surreale, ha completamento stravolto e monopolizzato la giornata di ieri. Meta avrebbe dichiarato che ha intenzione di non fornire più alcuni dei suoi servizi in Europa. Di cosa si tratta? Sono servizi che tutti noi utilizziamo minimo più di una volta al giorno: stiamo parlando di Facebook e Instagram.

La nostra prima reazione è stato un sonoro e incredulo “cosaaa?!?”, ma prima di precipitarci a darvi questa notizia, abbiamo preferito aspettare.

Abbiamo respirato un attimo, ci siamo informati per bene evitando di scrivere la blasonata e fuorviante notizia acchiappa click.

Oggi con calma, siamo qui per confermarvi che non è assolutamente vero che Meta vuole chiudere Facebook e Instagram in Europa.

Cerchiamo però di capire insieme cosa è successo in questi turbolenti giorni.

Meta ha minacciato di ritirare Facebook e Instagram dall’Europa: sta bluffando?

Facebook Instagram

Meta, la società statunitense che controlla i social media Facebook e Instagram, ha minacciato di ritirare alcuni dei suoi più grandi servizi dall’Europa.

Il motivo? La solita disputa sulla condivisione dei dati. In un rapporto annuale presentato giovedì scorso alla Securities and Exchange Commission, Meta ha ammesso che probabilmente non sarà in grado di offrire alcuni dei prodotti e servizi più significativi, inclusi Facebook e Instagram, in tutta Europa se le sue piattaforme non saranno in grado di trasferire i dati dall’Europa agli Stati Uniti.

Lo sentite il panico?

Addio Facebook e Instagram in Europa. Le prime reazioni

Quello che abbiamo potuto notare è che tantissime persone si sono sentite quasi sollevate. Diversi i commenti a caldo di chi non vede l’ora di un blackout totale dei social media, e chi invece non ha creduto minimamente alla notizia, pensando addirittura a una bufala. Fatto sta che il succoso scoop è rimbalzato ovunque, e non solo sui social interessati.

Le autorità di regolamentazione dell’Unione Europea sono bloccate da mesi nei negoziati con gli Stati Uniti per sostituire un patto di trasferimento dei dati su cui facevano affidamento migliaia di aziende, ma che è stato cancellato dalla Corte di giustizia dell’UE nel 2020 per paura che i dati dei cittadini non fossero al sicuro una volta inviati negli Stati Uniti.

Il punto di vista di Meta: uno stallo alla messicana

Secondo Meta la capacità di elaborare i dati degli utenti tra i Paesi è fondamentale per la sua attività sia operativamente che per il targeting degli annunci. Le leggi europee volte a proteggere la privacy degli utenti, mantenendone i dati all’interno della giurisdizione dell’UE, hanno invalidato i sistemi precedenti.

Quindi, poiché l’UE e gli Stati Uniti non sono stati in grado di raggiungere nuovi accordi sulla condivisione dei dati, Meta sta pensando che potrebbe dover abbandonare il continente europeo. Questa frase però è stata in un certo senso estrapolata da un intero comunicato è lanciata come una bomba scatenando un putiferio mediatico. 

Facebook Instagram

Cosa ne pensa l’Europa 

Sebbene questa situazione possa comportare alcuni rischi per la società, l’idea che Meta potrebbe effettivamente chiudere Facebook e Instagram in Europa è un tantino esagerata. Gli europei costituiscono circa il 15% della base dei suoi utenti, e quindi rappresentano circa un quarto delle entrate dell’azienda.

E se molti hanno scritto che ormai l’irreparabile rottura è avvenuta, nemmeno 24 ore fa Meta ci ripensa, o meglio smentisce le voci e chiarisce la sua posizione su quella dichiarazione.

Lasciare l’Europa danneggerebbe enormemente la sua attività e sarebbe probabilmente l’ultima risorsa per l’azienda. Ha infatti affermato di non avere alcun desiderio e nessun piano di ritirarsi dall’Europa, ma che, come molte altre aziende, organizzazioni e servizi, anch’essa fa affidamento sui trasferimenti di dati tra l’UE e gli Stati Uniti in per operare in servizi globali.

In conclusione: pace fatta?

Come se non bastasse tutto questo trambusto non ha beneficiato agli affari. Giovedì scorso Meta ha subito un calo del 26% a causa dei timori sulle prospettive di Facebook, che hanno prodotto la più grande perdita di valore nella storia del mercato azionario. Lunedì poi le azioni sono scese fino al 4,5%.

La Commissione Europea ha affermato che i negoziati sul trasferimento dei dati con Washington si sono intensificati, ma richiedono tempo data anche la complessità delle questioni discusse e la necessità di trovare un equilibrio tra privacy e sicurezza nazionale.

E voi cosa fareste se i social media che tanto amiamo e odiamo sparissero davvero?