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natale facebook insights

L’attesa del Natale per i brand inizia adesso: ecco gli insight di Facebook per prepararsi

  • Per i brand il periodo natalizio implica la possibilità di aumentare vendite e fatturato, soprattutto quest’anno.
  • Facebook ha lanciato nelle ultime settimane un centro di ricerca e pianificazione che offre un’ampia gamma di risorse e statistiche per supportare i professionisti di marketing.

 

Mai come quest’anno le aziende di tutto il mondo e con molta probabilità anche noi utenti, non vediamo l’ora che arrivi dicembre, per varie motivazioni. La prima è perché finalmente si chiuderà l’anno definito da molti “horribilis”, la seconda perché arriverà il periodo natalizio e con esso la possibilità di aumentare vendite e introiti che quest’anno hanno subito gli effetti del Covid-19.

E allora anche se questo è il momento di pensare alle vacanze, diventa fondamentale iniziare a pianificare con anticipo la migliore strategia per massimizzare le opportunità di business.

Secondo quanto pubblicato in un recente sondaggio condotto da Pinterest le persone nel mondo non vedono l’ora che arrivi il periodo delle vacanze natalizie e si augurano, pandemia permettendo, di poterlo vivere accanto ai propri cari e amici.

È difficile fare previsioni ma abbiamo tutti bisogno di qualcosa per guardare al futuro con ottimismo e dicembre sembra un obiettivo realistico per tornare alla normalità.

Anche Facebook ha lanciato nelle ultime settimane un centro di ricerca e pianificazione che offre un’ampia gamma di risorse e statistiche per supportare i professionisti di marketing nella pianificazione di campagne natalizie di successo.

Il primo importantissimo strumento messo a disposizione da Facebook è una dashboard interattiva per approfondire i dati statici, che consente di avere numerose informazioni sulle principali tendenze stagionali relative alle fasi di scoperta, ricerca e acquisto degli utenti nei diversi mercati mondiali.

Dati che rappresentano un ottimo spunto per pianificare le strategie di comunicazione e vendita di cruciale periodo dell’anno.

natale marketing

Un Natale (su Facebook) tutto da scoprire

Ottimi spunti e interessanti studi statistici possono essere consultati da una dettagliatissima guida che Facebook ha messo a disposizione di tutti.

Ecco alcuni dei dati che le aziende dovrebbero tenere presente per pianificare le campagne di marketing per Natale 2020.

Maggiore fiducia nell’eCommerce

La pandemia scoppiata a inizio 2020 ha forse segnato il momento di svolta per le vendite online in particolare nel nostro paese. Abbiamo finalmente visto prendere confidenza con gli acquisti online anche generazioni di utenti over 60, che precedentemente non avevano mai acquistato online, per timori di sicurezza o limiti di conoscenza.

A causa del COVID-19 molti consumatori anche nei prossimi mesi preferiranno acquistare prodotti online piuttosto che recarsi fisicamente in un negozio e cercheranno servizi convenienti e contact less capaci di garantire esperienze di acquisto sicure.

Secondo quanto riportato dal report fornito da Facebook, circa il 56% degli intervistati  globali vorrebbe effettuare acquisti online con la funzione click-and-collect, ovvero la possibilità di acquistare un prodotto online e ritirarlo in un punto fisico.

natale estate

Incentivare gli acquisti emozionali

Durante le diverse crisi economiche vissute negli ultimi 20 anni nel mondo, quello che diversi studi hanno evidenziato è che le persone tendono a cercare gratificazione nei momenti difficili concedendosi piccole coccole a prezzi accessibili.

facebook christmas insight

Secondo una ricerca condotta da Euromonitor tra il 2008 e il 2011 a seguito della recessione, le vendite per smalti per unghie erano cresciute di circa il 30% negli Stati Uniti e del 10% in Europa Occidentale.

Un’idea proposta da Facebook soprattutto nel periodo natalizio, potrebbe essere quella di partire da una domanda: cosa in realtà può permettersi di acquistare il mio acquirente in questo momento?

È abbastanza probabile che la tendenza a concedersi un bene di lusso accessibile sia più alta in questo periodo, poiché gli utenti sono maggiormente predisposti a concedersi regali per sé e per gli altri.

Come possiamo guidare gli utenti in questa scelta?

Facebook offre diverse opportunità: dalle inserzioni dinamiche che permettono di far vedere all’utente giusto, il prodotto giusto attraverso la visualizzazione automatica di prodotti che hanno trovato interessanti sul nostro sito, sull’app o altrove online.

Oppure altra importate opportunità è data dalle inserzioni in realtà aumentata che consentono agli utenti di provare in anteprima un prodotto prima di acquistarlo.

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Pianificare promozioni anticipate

L’emergenza sanitaria del COVID-19 ha avuto nei mesi passati un forte impatto sulle aziende e sulla forza lavoro a livello globale. Una recessione economica che molto probabilmente potrà avere effetti che si prolungheranno anche nei prossimi mesi. Tuttavia non tutte le persone ne verranno influenzate allo stesso modo.

Secondo quanto evidenziato dal report di Facebook, circa il 53% delle persone che sono state intervistate in tutto il mondo afferma che il COVID-19 avrà poco o nessuno impatto sulle loro finanze, mentre il 43% si aspetta che l’impatto sarà forte o addirittura drammatico.

facebook christmas insight

Per questo diventa fondamentale sfruttare la forza delle promozioni commerciali.

Quasi 1 su 3 degli intervistati a livello globale ha affermato di voler aspettare che i prodotti siano scontati prima di effettuare un acquisto. Sarà importante pianificare questi mesi per avere la forza di sfruttare al meglio giornate come il Black Friday o il Cyber Monday, oppure proporre promozioni costruite attorno al nostro brand, prima del periodo natalizio.

Accessibilità, autenticità, azione

Sicuramente più di ogni altro anno gli utenti saranno attenti al prezzo, alle promozioni e alle offerte, anche se questi erano aspetti che già consideravano anche prima della pandemia globale.

Un aspetto importante a cui tutti i brand dovranno dare sempre più maggiore importanza saranno la responsabilità sociale e l’autenticità.

Le persone vogliono sentirsi vicini alle marche e sono sempre più attente alle azioni che queste intraprendono sia online che offline. Sono sempre più curiose a scoprire il lato umano e se i brand riusciranno a comprendere i loro bisogni e i loro principi, le persone saranno orgogliose di supportarli e sostenerli.

Secondo quanto evidenziato dall’analisi di Facebook, gli utenti considerano ugualmente importante ricevere promo e sconti quanto contenuti veri, autentici e informativi.

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Durante il COVID-19 diversi marchi hanno cambiato modo di comunicare, dialogare, coinvolgere i propri utenti, reagendo in maniera proattiva al momento di difficoltà.

Una media del 65% degli intervistati ha affermato che la risposta efficace di un marchio alla crisi, avrebbe sicuramente ripercussioni positive sulla possibilità di scegliere quel marchio in futuro.

Sicuramente il Natale 2020 sarà diverso rispetto alle precedenti vacanze natalizie, ma ci sarà sempre la stessa voglia di festeggiare, stare insieme e fare felici amici e familiari con acquisti e regali.

I brand però dovranno essere ancora più attenti a concentrarsi verso i valori che caratterizzano la loro marca, mostrando maggiore sensibilità verso i continui cambiamenti di questo periodo storico e riuscendo al tempo stesso attraverso nuove idee, nuovi formati e nuove forme di comunicazione ad ispirare le persone e a farle sentire vicino alla marca.

sales and marketing

Smarketing: l’allineamento tra marketing e sales nell’era del remoto

  • Smarketing è un processo trasversale e di allineamento tra Sales e Marketing all’interno dell’organizzazione. Ha come base obiettivi comuni ed è focalizzato sulla crescita del fatturato e il miglioramento della customer experience
  • L’allineamento tra sales e marketing prevede l’utilizzo di strumenti condivisi e processi data-driven
  • Il distanziamento sociale sta trasformando il lavoro del commerciale. Aumentano i canali digitali e il supporto del marketing anche nelle fasi finali di acquisto

Silos, disallineamenti, scarsa comunicazione, competizione. Sono elementi che ancora oggi caratterizzano il rapporto tra marketing e sales in molte aziende. Soprattutto in quelle organizzazioni dove prevalgono le gerarchie ai processi e dove il raggiungimento dell’obiettivo è confinato al reparto anziché all’organizzazione.

Questo scenario, di sales e marketing ognuno per la propria strada, già da qualche anno ha dimostrato tutta la sua inefficienza, soprattutto quando parliamo di concetti come customer experience, omnichannel e consumatore consapevole. La necessità di una collaborazione tra le due aree, emerge in particolare oggi che il distanziamento sociale sta modificando radicalmente il contesto di vendita in ottica digitale.

Hubspot definisce l’allineamento tra Sales e Marketing come Smarketing. Nei prossimi paragrafi ci addentreremo su questo tema con le best practice, strategie e  strumenti che facilitano e supportano la collaborazione tra le due aree. Ci concentreremo infine sull’evoluzione digitale delle vendite nei contesti B2B.

Smarketing

Smarketing = Sales + Marketing

Lo Smarketing è un processo di allineamento tra il team sales e marketing intorno a obiettivi comuni all’interno dell’organizzazione, focalizzato sul la crescita del fatturato e il miglioramento della customer experience. Si integra bene con l’approccio inbound marketing, che accompagna in varie fasi un utente che non conosce l’azienda, a diventare lead qualificato e andare verso l’acquisto e il referral.

Lo smarketing è particolarmente efficace per quei prodotti e servizi complessi e con un percorso di acquisto lungo, soprattutto in ambito B2B. Secondo Hubspot l’allineamento tra Sales e Marketing genera un 208% in più sui ricavi dagli sforzi del marketing.

Un esempio di Smarketing

Facciamo un esempio di percorso di acquisto per capire meglio il processo.

Siamo un’azienda Saas, che vende un’applicazione per supportare il project management con approccio agile in ambito B2B. Ho bisogno di far conoscere la mia applicazione e acquisire nuovi contatti. Decido di adottare l’approccio inbound.

Il reparto marketing struttura un sito web con contenuti seo oriented e posiziona il brand sui motori di ricerca per determinate parole chiave come “software project management”.

Inserisce quindi sul sito web dei lead magnet, per esempio una guida per i KPI nel project management, che può essere scaricata lasciando nome, cognome, email. Nel momento in cui l’utente scarica la guida, diventa un lead e inizia un percorso di nurturing, ossia di nutrimento per farlo passare da un lead meno interessato a molto interessato. Il nutrimento può avvenire con contenuti educativi alternati a contenuti commerciali. Nel momento in cui l’utente è qualificato (secondo parametri decisi precedentemente), perché ha interagito con i nostri contenuti e visitato pagine commerciali, passa al commerciale, che allineato dal marketing adotterà una strategia e comunicazione personalizzata.

Il marketing non scompare, ma viene allineato dal commerciale e continua a seguire il lead, fornendo supporto anche durante le fasi di vendita e post-vendita. Marketing e Sales collaborano sugli stessi contatti con metriche condivise e ognuno informa l’altro regolarmente sull’andamento.

Se non ci fosse questo allineamento, l’esperienza utente ne risentirebbe, ma anche l’efficienza. Per esempio se il marketing passasse al commerciale semplicemente la lista dei contatti, quest’ultimo potrebbe non sapere che la persona che sta contattando è molto informata sulla piattaforma, perché ha usufruito di tutti i contenuti di approfondimento pubblicati sul sito. Il commerciale quindi inizierebbe a rispiegare tutto daccapo al lead in modo generico e magari omettendo dei punti sui quali quest’ultimo si era soffermato maggiormente, come la gestione della privacy nel software. D’altra parte il marketing senza allineamento, potrebbe non sapere se il suo lavoro sta funzionando, se il lead è interessato all’offerta, quali punti ha bisogno di approfondire, quali perplessità riscontra, se conosceva l’azienda, ecc.

Il processo dovrebbe quindi essere unico e l’acquisto, diventare un goal comune.

Come allineare Sales e Marketing

Un processo smarketing porta notevoli benefici e aumenta l’efficienza in azienda e il fatturato. Come strutturarlo?

1. Obiettivi chiari e definiti

Sembra banale, ma avere in azienda obiettivi ben delineati e tradotti per l’area Sales e Marketing è l’elemento fondamentale per andare tutti insieme nella stessa direzione.

2. Processi

Anche questo può sembrare scontato, ma in molte organizzazioni i silos ostacolano i processi, chiudendo le collaborazioni all’interno del singolo reparto. Strutturare processi, significa stabilire per ogni fase del customer journey, quali sono le attività di ogni reparto, i contenuti, le metriche di riferimento. I processi sono orizzontali all’organizzazione e non dovrebbero essere contrastati dalle gerarchie.

3. Comunicazione

Nei processi è bene stabilire allineamenti periodici tra le due aree, per discutere e condividere: progressi con dati alla mano;  vittorie ottenute; eventuali cambi di strategie o novità rispetto al prodotto e servizio. Sarebbe bene anche far partecipare il marketing a delle call o incontri con il potenziale cliente, in modo che possa capire il valore di ogni singolo lead generato e comprendere anche meglio qual è il lead di qualità di cui il commerciale ha bisogno. Dall’altra parte sarebbe utile che almeno un rappresentante del team sales partecipasse alle riunioni di marketing, in cui si discutono nuove strategie e contenuti da proporre. Un comportamento di collaborazione e allineamento porta marketing e sales a combattere la stessa battaglia.

4. Dati

I processi data-driven non lasciano spazio alle opinioni personali e aiutano le due aree a sentirsi responsabili nel raggiungimento dell’obiettivo. Le metriche di riferimento è fondamentale stabilirle all’inizio, quando si struttura il processo, e discutere sui dati durante i meeting di allineamento.

5. Strumenti Condivisi

Ci sono strumenti che supportano la condivisione delle informazioni tra le due aree e il monitoraggio dei lead. Parliamo di software come CRM e Marketing Automation, che permettono all’area Sales di capire quali campagne sono state fatte e quali contenuti inviati e usufruiti dal lead, e dall’altra parte il marketing può monitorare le opportunità in corso, le call avvenute, e intervenire se necessario anche nella fase di vendita e post-vendita in accordo con il commerciale.

6. Service Level Agreement

Il Service Level Agreement è un contratto interno tra sales e marketing, che stabilisce quali risultati le due parti concordano di fornire l’una all’altra.  Si deve basare su obiettivi concreti e numerici. Il documento, di cui Hubspot fornisce un template gratuito, include: una overview, obiettivi di entrambe le aree; le caratteristiche di un lead qualificato; il lead scoring; le responsabilità sales e marketing; quali canali verranno utilizzati; quante riunioni effettuate e come verranno dati i feedback e quali report sono previsti.

7. Ricompensa

Se gli obiettivi sono comuni, perché non prevedere una ricompensa sia per sales, che per marketing sulle vittorie ottenute?

L’evoluzione del Sales nell’era della pandemia

Il distanziamento sociale, la riduzione degli spostamenti e il lavoro da remoto, stanno cambiando radicalmente anche l’area Sales. Se negli anni passati, il modello principale rimaneva la visita in presenza, con il commerciale che girava il mondo con la sua valigetta e le strette di mano, oggi l’interazione digitale sta sostituendo quella in presenza. L’allineamento con il marketing e il processo smarketing anche nella parte più bassa del funnel non è quindi più un plus, ma una necessità.

Davvero interessante su questo tema, la survey di McKinsey lanciata lo scorso Aprile per indagare il cambio di comportamenti nei decision-maker B2B. Le interazioni online sono oggi importanti più del doppio rispetto alle interazioni tradizionali. Quasi il 90% delle vendite è passato a un modello di vendita di videoconferenza, telefono, web e, sebbene rimanga un po ‘di scetticismo, più della metà ritiene che ciò sia uguale o più efficace dei modelli di vendita utilizzati prima del COVID-19.

Il dato interessante è che molti di questi cambiamenti digitali diventeranno probabilmente permanenti.

smarketing _ survey McKinsey

Self-service e canali digitali

Un altro dato interessante è l’aumento dei canali self-service rispetto a quelli diretti nel B2B. Nel 2019 vengono preferiti per oltre il 60% in tutte le fasi del processo decisionale di acquisto: ricerca, valutazione, ordine e riordine. Tra i canali self-service oltre il sito web, le app del fornitore, le community online, i social media.

smarketing mckinsey

Sempre secondo una survey McKinsey, i fornitori che creano esperienze digitali notevoli, hanno più del doppio delle possibilità di essere scelti come fornitore primario rispetto a coloro che non lo fanno.

Ad esempio, il 33% dei buyer intervistati ha valutato l’opzione di live chat, durante la fase di ricerca, come uno dei tre requisiti principali per un fornitore best-in-class. La live chat è un’opzione che offre velocità, trasparenza e competenza, che sono gli elementi che i clienti apprezzano di più.

La vendita da remoto

Self-service e interazioni digitali, non si traducono in una scomparsa del commerciale, ma sicuramente fanno riflettere su una sua possibile trasformazione. Il commerciale con la pandemia, ha sostituito gli incontri vis-a-vis con strumenti di videoconferenza, telefono, chat.

survey mckinsey

Pensiamo in questo contesto quanto sia importante parlare di smarketing. L’allineamento tra sales e marketing è determinante in tutte le fasi di acquisto. Per realizzare una presentazione online efficace, inviare email automatizzate di reminder a una videoconferenza, organizzare webinar eventi live, creare occasioni di incontro e fornire esperienze digitali rilevanti, interattive e personalizzate. La collaborazione tra sales e marketing può ridurre la distanza sociale e accompagnare le persone all’acquisto recuperando quel tocco umano, che la presenza fisica del commerciale forniva al cliente.

strumenti di google per giornalisti

Tool di Google per i giornalisti, nasce una nuova suite

  • Da un paio d’anni, la Google News Initiative mette a disposizione dei giornalisti tool gratuiti, partnership e programmi pensati ad hoc per loro.
  • All’interno di questa “iniziativa di collaborazione con il mondo dell’informazione”, in queste ultime settimane è nata una nuova suite di strumenti gratuiti per l’analisi e l’interpretazione dei dati di Google Analytics.

 

Google, si sa, ha posato i propri occhi sulle redazioni giornalistiche già un paio d’anni fa. Da allora, attraverso la Google News Initiative, “iniziativa di collaborazione con il mondo dell’informazione”, continua a proporre ai giornalisti di tutto il mondo tool e occasioni sempre nuove per “crescere nell’era digitale”.

Principalmente, la Google News Initiative è pensata su tre binari. Il primo è quello dedicato ai prodotti, ovvero i tool di Google per i giornalisti. Il secondo è quello delle partnership, strette “con chi si occupa di informazione per affrontare le sfide di settore e di business”. Infine i programmi, “per favorire l’innovazione nel mondo dell’informazione”.

Tra questi ultimi, ad esempio, il Google News Lab, la Google News Initiative Innovation Challenge, il Google News Initiative Cloud Program e il Digital News Innovation Fund. Ma anche occasioni di formazione come la Google News Initiative Fellowship e il centro di formazione online, con più di 40 lezioni dedicate ai prodotti e ai tool di Google per i giornalisti. Ma quali sono gli ultimi rilasciati?

Tool Google per giornalisti

I nuovi data tool di Google per i giornalisti

Negli ultimi due anni, la Google News Initiative ha “lavorato con migliaia di organizzazioni giornalistiche per aiutarle a trasformare i dati in informazioni commerciali concrete. News Consumer Insights e Realtime Content Insights hanno aiutato le aziende editoriali a fidelizzare i lettori e ad aumentare la redditività”.

Nelle ultime settimane, questi due tool pensati da Google per i giornalisti sono stati rilasciati nella loro versione 2.0, e ad essi si è aggiunta anche la News Tagging Guide. È nata così una vera e propria nuova suite di strumenti gratuiti “che aiuteranno le redazioni giornalistiche a semplificare e comprendere meglio i dati, per migliorare la strategia digitale”.

Tool Google per giornalisti

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News Tagging Guide

La News Tagging Guide (NGT) è un tool gratuito che aiuta i giornalisti a sfruttare al massimo il potenziale di Google Analytics, individuando le metriche di engagement che contano per l’audience e la crescita dei ricavi. Semplifica l’implementazione tecnica di Google Analytics attraverso tag pronti per essere copiati e incollati all’interno del proprio sito web e amplifica le raccomandazioni e gli insight ottenuti attraverso gli altri due tool.

strumenti di google per giornalisti

News Consumer Insights 2.0

Il tool News Consumer Insights 2.0 (NCI) identifica le opportunità di ottimizzazione del reader funnel per aumentare la redditività e costruire relazioni più strette con i propri lettori. Dà accesso ad approfondimenti personalizzati e a raccomandazioni attuabili sulla base dei propri dati di Google Analytics.

Tool Google per giornalisti

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Realtime Content Insights 2.0

Nel giornalismo soprattutto digitale, il tempismo, si sa, è tutto. Identificare in tempo reale quali sono gli articoli e i video più visualizzati dai lettori e quali sono gli argomenti in tendenza a livello nazionale è allora essenziale per riuscire a intercettare “in diretta” l’intesse della propria audience. Il tool Realtime Content Insights 2.0 (RCI), pensato per tutte le redazioni che utilizzano Google Analytics, risponde a queste esigenze. E la sua data visualization è semplice, adatta anche a chi coi dati non ha sempre un buon rapporto.

E voi avete già iniziato a utilizzare i tool di Google per i giornalisti? Cosa ne pensate?

fiducia sul luogo di lavoro

Perché un ambiente di lavoro basato sulla fiducia migliora il processo decisionale

  • La fiducia è una necessità e non una “soft skill” secondaria.
  • Il 55% dei CEO ritiene che la mancanza di fiducia sia una minaccia per la crescita della propria organizzazione.

 

Numerose ricerche hanno evidenziato che un solido e proficuo rapporto di fiducia tra direzione e impiegati è fondamentale per creare un ambiente di lavoro performante. Un luogo di lavoro a bassa fiducia può creare un ambiente altamente stressante e poco attrattivo per i lavoratori. Chi si trova in posizioni alte in gerarchia deve, infatti, prediligere comportamenti volti a favorire l’instaurarsi di un clima di fiducia, virtuoso, che si auto-alimenti e si rafforzi con il tempo.

Il tema della fiducia nei luoghi di lavoro è diventato uno degli argomenti più popolari dall’inizio dell’attuale pandemia Covid-19. Secondo il “Trust Barometer” di Edelman, la più importante indagine globale sul tema della fiducia realizzata dall’agenzia di comunicazione Edelman in 28 paesi su di un campione di 34.000 persone, una persona su tre non si fida del suo datore di lavoro. 

In Italia l’indice generale di fiducia è aumentato di 3 punti percentuali rispetto al 2019, l’Italia è seconda in Europa dopo l’Olanda. Il 61% degli italiani, tuttavia, crede che il capitalismo di oggi sia un fattore negativo su scala globale e l’87% teme di perdere il posto di lavoro. La ricerca, ha inoltre evidenziato che la fiducia diminuisce partendo dalle posizioni aziendali più alte a quelle più basse.

In altre parole, i dipendenti si fidano di più dei loro colleghi che degli amministratori delegati e dei dirigenti superiori in grado. Diventa quindi fondamentale costruire la fiducia nelle posizioni apicali e di leadership all’interno dell’azienda.

fiducia a lavoro

Perché oggi è fondamentale creare fiducia sul posto di lavoro

I dipendenti che lavorano in un luogo di lavoro contraddistinto da bassa fiducia non comunicano tra di loro, mantengono comportamenti sleali e si mostrano poco propositivi in relazione alle attività lavorative quotidiane. In un ambiente così ostile è difficile lavorare e ottenere performance ad elevata redditività.

I dipendenti delle organizzazione con bassa fiducia non esprimono al meglio le loro capacità, non mostrano i loro talenti, non danno sfogo alla loro creatività e sono meno propositivi.

L’azienda perde quindi produttività, innovazione e di conseguenza non riesce ad ottenere i corretti vantaggi competitivi che le consentono di contrastare la concorrenza.

fiducia

La fiducia migliora il lavoro di squadra e la collaborazione

La fiducia nei luoghi di lavoro ha un grande impatto sul modo in cui i dipendenti collaborano e lavorano insieme sugli stessi progetti.

In questo periodo di pandemia la maggior parte dei dipendenti continua a lavorare da casa e, non essendo fisicamente presenti in azienda, non sono sottoposti al controllo diretto/fisico del datore di lavoro, non hanno uno scambio “reale” con il loro gruppo di lavoro. Proprio durante questo periodo di “delocalizzazione” i datori di lavoro hanno iniziato a comprendere quanto sia importante creare un ambiente di lavoro basato sulla fiducia.

Il primo passo verso la creazione di luoghi di lavoro affidabili e collaborativi è quello di promuovere una comunicazione aperta e onesta. Una scarsa comunicazione genera inevitabilmente una scarsa collaborazione.

Nella maggior parte dei casi, la scarsa comunicazione dei dipendenti è il motivo primario che comporta una scarsa collaborazione. Secondo una ricerca di Accenture il 55% dei CEO ritiene che la mancanza di fiducia sia una minaccia per la crescita della propria organizzazione.

La fiducia e la condivisione contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi aziendali

Quando i dipendenti si fidano dei loro datori di lavoro, sono molto più propensi a collaborare per raggiungere gli obiettivi aziendali prefissati.

Non arrivare a questo elevato standard organizzativo, soprattutto quando ci si trova in un contesto di delocalizzazione, comporta una perdita di produttività e crea un ambiente di incertezza. Incertezza che è, in questo momento storico, alimentata ulteriormente dalla pandemia attualmente in corso.

Ecco perché le aziende devono fin da subito comunicare ai dipendenti, in modo chiaro, i valori, la missione, la vision aziendali e anche le decisioni prese in momenti di crisi economica.

fiducia sul luogo di lavoro 2

La fiducia migliora l’efficienza, l’impegno e la produttività

Secondo la sopra citata ricerca, il disengagement costa alle società statunitensi circa 450/550 miliardi di dollari l’anno ed è strettamente correlato con il concetto di fiducia sul posto di lavoro.

In effetti, il 96% dei dipendenti engaged si fida della gestione aziendale, mentre solo il 46% dei disengaged ha fiducia nella gestione da parte della proprietà. La ricerca dimostra, inoltre, che i luoghi di lavoro altamente affidabili godono di :

  • Una maggiore produttività dei dipendenti (superiore del 50%);
  • Più energia e determinazione sul lavoro (106% in più);
  • Meno giorni di malattia (13% in meno).

Le aziende con alti livelli di fiducia superano del 186% le aziende con bassi livelli di fiducia.

La fiducia migliora il processo decisionale

Altro punto a favore della creazione di un ambiente di lavoro basato sulla fiducia è il miglioramento del processo decisionale: se i dipendenti si fidano dei loro superiori e i manager si fidano del team si crea una sinergia forte, una maggiore condivisione e quindi un clima di fiducia.

LEGGI ANCHE: Mai come adesso c’è bisogno di persone in grado di cambiare

leadership fiducia

La fiducia riduce lo stress e il burnout sul posto di lavoro

Sempre secondo la ricerca di Edelman un clima di fiducia riduce notevolmente lo stress (meno 74%) e il burnout (meno 40%). Lo stress e il burnout sono due variabili da limitare nelle organizzazioni, poiché  impattano negativamente sulla motivazione e sulla produttività dei dipendenti. Per farlo, le organizzazioni devono creare un clima di lavoro collaborativo, trasparente, basato sulla comunicazione, ossia sulla fiducia.

È importante, quindi, che i dipendenti si sentano liberi di parlare di questioni lavorative, delle loro preoccupazioni e delle loro esigenze, senza che si sentano limitati in questa libertà.

La fiducia aumenta la lealtà e la fidelizzazione dei dipendenti

Un ambiente di lavoro che lascia spazio al burnout dei dipendenti è spesso seguito da un forte turnover degli stessi. I lavoratori che si trovano in queste situazioni hanno una probabilità 2,5 volte maggiore di lasciare il posto di lavoro.

La ricerca ha inoltre evidenziato che il 67% dei lavoratori statunitensi si sente frequentemente colpito da burnout, ciò comporta un aumento della probabilità (63%) che il lavoratore stesso acceda alla malattia, aumentando di fatto l’assenteismo.

listicle seo

La fiducia supera la resistenza al cambiamento

Durante la pandemia da Covid-19 molti datori di lavoro hanno dovuto cambiare radicalmente e velocemente il modello organizzativo e la gestione delle risorse umane, accelerando il processo di trasformazione digitale. Si tratta di un cambio culturale interno alle aziende, che passa attraverso un cambio tecnologico. Spesso le persone sono resistenti al cambiamento e attuano comportamenti volti a rallentare il processo, piuttosto che accelerarlo.

Mai come in questo momento storico difficile, la fiducia diventa l’ingrediente in più per agevolare questa evoluzione. Il consenso e la comunicazione interna delle aziende attivano un processo di trasparenza, che consente alle persone di adattarsi con velocità e nel modo migliore al cambiamento. Tuttavia, sempre secondo la ricerca, solo il 38% dei dipendenti, coinvolti nel processo di trasformazione digitale sul posto di lavoro, afferma di essere stato correttamente informato dal suo datore di lavoro.

LEGGI ANCHE: Coronavirus e Digital Transformation: spinte evolutive per la direzione HR

La fiducia migliora l’innovazione e la creatività

Quando le persone si sentono libere di comunicare, libere di esprimere il proprio pensiero e, soprattutto, quando si fidano dei propri datori di lavoro, sono anche più innovative. La ricerca in questione evidenzia, infatti, che i dipendenti in ambienti dove si è creato un clima fiduciario forte, aumentano del 23% la loro capacità di produrre nuove idee e creare nuove soluzioni. Un vantaggio competitivo elevato per le aziende.

Promuovere una cultura aziendale basata sulla fiducia incoraggia la collaborazione e contribuisce alla creazione di un ambiente di lavoro creativo.

I dipendenti che non percepiscono la fiducia tendono a non essere proattivi, a non prendere iniziative, a non produrre e condividere nuove idee, creando così un ambiente di lavoro che non innova. Se coltivata con cura, mettendo ogni singolo dipendente nella condizione di poter contare su chi gli sta accanto e su chi coordina il team di lavoro, diventa uno dei più importanti e proficui vantaggi competitivi aziendali.

listicle seo

Come scrivere un Listicle e creare una lista perfetta secondo tecniche SEO

Quanti tutorial e quanti consigli su come – fare –  cosa. Sono semplici, intuitivi e facili da creare. Sì, ma come si ottimizzano le liste in ottica SEO?  Come si crea un Listicle? E soprattutto come si fa a non annoiare il pubblico con questo tipo di contenuti?

Ogni anno vengono pubblicate migliaia di liste, la maggior parte delle quali non sono esattamente di alta qualità.

Le persone ormai vedono le liste e pensano subito al “clickbait”. In realtà si tratta di un formato molto flessibile e semplice da scrivere. Partendo da una scaletta chiara basterà creare cinque sottotitoli e una foto, un video o una GIF per ogni voce.

D’altra parte, i Listicle possono anche essere usati come un quadro di riferimento per rendere più facile la comprensione di un argomento complicato.

E infine, è possibile creare un Listicle su qualsiasi argomento, magari anche più articoli sullo stesso tema guardato da angolazioni diverse.

listicle seo

I pregi di un Listicle

Le liste (e i listicle) sono ottimi da leggere perché:

  • Il titolo ti dice cosa aspettarti
  • Sono facili da scorrere per ottenere informazioni importanti
  • Si sa sempre quanto resta ancora da leggere
  • Si può sempre interrompere la lettura e ricordarsi facilmente da dove ripartire
  • Possono scomporre argomenti complessi in più pezzi digeribili facilmente

Infine nei Listicle c’è anche un aspetto psicologico da non dimenticare: avere una lista di controllo o una lista di compiti da considerare porta con sè un senso intrinseco di progresso e di realizzazione, che incoraggia a terminare la lettura.

Dal punto di vista della scrittura, poi, i Listicle

  • Sono facili da pianificare e scrivere
  • Le liste sono ottime per individuare parole chiave fondamentali
  • Si possono creare Listicle più lunghi e più brevi per comprendere tutta la long tail di keyword in ottica SEO
  • Gli aggiornamenti di questi articoli sono più facili da fare
  • I testi sono più facili da pianificare e scrivere rispetto agli articoli tradizionali perché non devono preoccuparsi dell’ordine dei loro punti

Per completare i consigli, ecco due indicazioni pratiche e infallibili che riguardano l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

LEGGI ANCHE: Come fare SEO su Amazon (e ottimizzare le schede prodotto)

listicle seo

1. Titoli in H1

Qualsiasi post o articolo sul “come fare” ha sempre un titolo che riassume e semplifica il contenuto del paragrafo successivo. Un po’ come abbiamo fatto qui: saprai perfettamente quello di cui stiamo parlando. I titoli rappresentano una sorta di elenco e questo semplifica molto la lettura.

Quando si è di fronte a un elenco però non sempre è facile ottimizzare alla grande. Ecco perché è importante utilizzare un tag H1 per il titolo del post e tag H2 per ogni passaggio: l’industria SEO discute su quale sia la scelta migliore,  in realtà. Alcuni ne sottolineano l’importanza, altri la negano.

Una cosa è certa: importantissimo è usare sempre un approccio gerarchico. Aiuta sia i lettori che i motori di ricerca a scansionare il contenuto, il che è particolarmente utile specialmente per gli articoli long form.

Così, il contenuto ad elenco pubblicato su Google sarà pertinente e avrà una buona visibilità. Per esempio:

2. Elenco HTML

Per aiutare gli utenti a cercare e favorire la SEO, è importante aiutare il crawler di Google a identificare le aree principali dell’elenco. Per esempio, qualche consiglio a caso:

  • Usa sempre un’intestazione H1 per il titolo del post
  • Utilizza un’intestazione H2 per il titolo dell’elenco
  • Includi parole chiave correlate al titolo del tuo post.
  • Aggiungi alcune righe per descrivere l’elenco sotto il titolo H2
  • Includi le voci dell’elenco utilizzando l’elemento elenco HTML ( UL ).
  • Formatta le singole voci dell’elenco con un tag H3

Ecco lo snippet di Google per una ricerca di corsi di marketing digitale: il post contiene un elenco di corsi di marketing digitale.

In realtà, sul backend il post viene formattato così:

Come si può notare, il titolo dell’elenco è formattato come tag H2 e gli elementi dell’elenco sono racchiusi in <ul> <li> ; i titoli delle singole voci dell’elenco invece sono tag H3. Con questo metodo il crawler riesce a identificare gli elementi dell’elenco sebbene vi siano altri titoli nei tuoi contenuti. Riunendo le voci dell’elenco in un elemento <UL>, semplifica la scansione (e la lettura).

Per riassumere, se il tuo articolo include solo passaggi o elenca elementi, è opportuno optare per il primo suggerimento. Ma, se il post di istruzioni ha altre sezioni, è consigliabile invece utilizzare questa seconda opzione.

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Instagram Advertising: tutto quello che devi sapere per creare la tua prima campagna

  • 1,08 miliardi di persone in tutto il mondo utilizza ogni mese Instagram, che ha registrato una crescita impressionante nei mesi di lockdown.
  • Sapere come fare Instagram Advertising e come creare una campagna da zero è fondamentale per qualsiasi azienda, che si tratti di grandi brand o di piccole e medie imprese.

 

Secondo il report aggiornato a luglio 2020 e pubblicato recentemente da We Are Social, effettuato in collaborazione con Hootsuite, oltre la metà della popolazione totale del mondo utilizza i social media – ovvero 3,96 miliardi di persone.

Di questi quasi 4 miliardi di persone, 1,08 miliardi utilizza ogni mese Instagram, una piattaforma che ha registrato una crescita impressionante nelle ultime settimane, grazie anche al lockdown forzato a causa della pandemia di Covid19.

Che cosa vuol dire?

Che il numero di persone che i brand possono raggiungere attraverso la pubblicità su Instagram è davvero impressionante, ed è aumentata di un 11% rispetto al primo trimestre del 2020.

Per questo sapere come creare da zero una campagna su Instagram è fondamentale per qualsiasi azienda, che si tratti di grandi brand o di piccole e medie imprese. 

Grazie a questa semplice guida, vediamo insieme passo dopo passo come sponsorizzare un contenuto su Instagram.

LEGGI ANCHE: Tutte le Stories in un’unica pagina: è l’ultimo test di Instagram

Instagram Advertising step by step

1. Iniziamo aprendo Facebook AD Manager

Eh sì, proprio AD Manager: dal momento che Instagram è di proprietà di Facebook, possiamo impostare la nostra campagna direttamente nella pagina di gestione degli annunci di Facebook senza dover creare un nuovo account.

Nella home page del tool, clicca sul bottone “Crea annuncio” nell’angolo in alto a destra (nella vecchia interfaccia) e la prima cosa che Facebook ti chiederà è di definire il tuo obiettivo di marketing.

Vuoi aumentare le conversioni sul tuo sito web? Allora sceglierai l’opzione corrispondente, che ti consente di monitorare le conversioni attraverso l’interfaccia pubblicitaria di Facebook utilizzando un pixel JavaScript.

Se il tuo obiettivo invece è aumentare la Brand Awareness, puoi selezionare l’opzione “Visualizzazioni video” se il contenuto che vuoi promuovere è appunto un annuncio video. 

O ancora, se vuoi solo incrementare il traffico verso il tuo sito web (o per qualsiasi campagna pubblicitaria con monitoraggio delle conversioni di terze parti) puoi selezionare “Invia utenti al tuo sito Web”.

Noi per andare avanti abbiamo selezionato “Aumenta le conversioni sul tuo sito Web”, cosí possiamo accedere agli strumenti di monitoraggio delle conversioni di Facebook. Dopo aver selezionato il tuo obiettivo, inserisci il nome della tua campagna e fai clic su “Continua” per definire il target.

2. Quali sono le opzioni di targeting disponibili?

Per prima cosa, bisogna sapere che tutte le opzioni di targeting disponibili per le campagne Facebook sono disponibili anche per Instagram, visto che tutti i dati degli account vengono condivisi tra le due piattaforme.

I dati fondamentali sul target da inserire sono il Paese e la lingua, il genere e una fascia di età specifici. Per la nostra campagna di esempio, abbiamo selezionato uomini e donne, dai 25 ai 60 anni, che vivono negli USA:

Dopo di che, è consigliato affinare il pubblico obiettivo in modo da rivolgersi agli utenti che hanno maggiori probabilità di essere effettivamente interessati alla nostra comunicazione. Per la nostra campagna di esempio, pubblicheremo una promo per un’app di workout e nutrizione.

Nel nostro caso quindi il target è composto da persone interessate alla propria forma fisica, all’alimentazione e alla salute in generale. Utilizzando il targeting per interesse di Facebook, possiamo restringere il nostro targeting per parlare a persone a cui piacciono le pagine e i gruppi relativi al fitness.

Ciò restringe il nostro target da 125 milioni di persone a 64 milioni di utenti: potremmo filtrare ulteriormente il nostro pubblico aggiungendo altri criteri di selezione più specifici, ma è consigliato non restringere il potenziale a meno di 100.000 persone, per evitare di pregiudicare i risultati della campagna.

Se hai già a disposizione un excel completo con dei dati di remarketing sul tuo target (ad esempio una lista di visitatori del tuo sito Web o persone che hanno già acquistato i tuoi prodotti in precedenza) puoi utilizzare la funzione “Pubblico personalizzato” in Facebook Ads Manager per rivolgerti direttamente a questi utenti.

Ricorda però che il pubblico personalizzato funziona meglio quando supera le 5.000 persone: con una la scala ridotta e un’alta frequenza di una campagna Instagram può succedere che il target della tua campagna si stanchi di vedere sempre lo stesso annuncio in feed.

LEGGI ANCHE: 5 trend di Instagram che hanno dominato la prima metà del 2020

3. Attenzione alla Reach e alla Frequency per il tuo Instagram Advertising

Proprio per questo, è fondamentale prestare molta attenzione alla portata della tua campagna (il numero di persone che hanno visto i tuoi annunci) e alla frequenza (il numero medio di volte in cui ciascuno dei tuoi annunci è stato mostrato a ciascuna persona).

Può capitare che, se la frequenza media raggiunga un livello che va da 3 a 5, avvenga un calo del coinvolgimento. Se questo accade, è consigliabile cambiare la creatività per coinvolgere nuovamente il tuo pubblico con nuovi contenuti.

4. Impostiamo budget totale e durata della campagna

Il costo degli annunci su Instagram, come accade per quelli su Facebook, dipende dall’opzione di offerta scelta. Puoi scegliere tra costo per clic (CPC), costo per mille impressioni (CPM), costo per azione (CPA) o costo per like, oppure selezionare le offerte automatiche.

Il budget viene impostato giornalmente o per tutta la durata della campagna. Con il budget giornaliero decidi di dedicare il massimo a una giornata e una volta raggiunto il limite, Facebook non erogherà più annunci per il resto della giornata.

Per Instagram, i budget minimi sono calcolati come importo giornaliero e si applicano indipendentemente dall’opzione di budget che hai scelto.

Puoi anche scegliere in quali giorni della settimana e in quale momento della giornata mostrare il tuo annuncio, in base agli insight che già possiedi sull’attività online del tuo pubblico obiettivo.

4. Scegliamo Instagram tra i posizionamenti di campagna

Ovviamente nel nostro caso vogliamo pubblicare il nostro Advertising su Instagram, quindi selezioniamo la piattaforma tra i posizionamenti, togliendo tutti gli altri presenti nella lista.

Possiamo anche selezionare i dispositivi mobile specifici su cui si desideriamo targetizzare la nostra campagna, scelta utile se per esempio dobbiamo promuovere un’applicazione specifica per Android o iOS.

Piccolo trucchetto: se vuoi promuovere un prodotto di fascia alta e quindi raggiungere persone che (in teoria) hanno un reddito alto e hanno acquistato recentemente nuovi prodotti, puoi scegliere come target gli utenti che possiedono gli ultimi smartphone di fascia alta.

5. È il momento di sviluppare la creatività per il tuo Instagram Advertising

Seleziona una tra le seguenti opzioni (per la nostra campagna di esempio, abbiamo scelto una singola immagine):

Se hai una creatività personalizzata per il tuo brand che vuoi utilizzare puoi caricarla nell’Ad Manager di Facebook, in caso contrario puoi scegliere tra diverse migliaia di immagini nella libreria di foto d’archivio di Facebook.

Noi per esempio abbiamo selezionato un’immagine relativa al fitness e all’alimentazione dalla libreria di archivi fotografici.

Ricorda che la creatività che scegli per il tuo annuncio è il fattore più importante nel determinare se la tua campagna avrà successo o meno. Consigliamo di selezionare almeno 5 creatività diverse tra loro per la stessa campagna, in modo da poter effettuare un A/B test sulle diverse immagini e scoprire quale funziona meglio.

Per ultimo, collega il tuo account Instagram all’annuncio, oppure collegalo solo alla pagina Facebook della tua attività: il contenuto verrà comunque mostrato nel feed di Instagram.

Ricordati di aggiungere un bottone di Call To Action al tuo annuncio. La CTA è fondamentale per raggiungere l’obiettivo della tua campagna, quindi assicurati di scegliere quella più rilevante con rispetto alla tua offerta e al tuo target. Visto che la nostra campagna di esempio è per promuovere un’app mobile, selezioniamo “Download” come call to action.

Prima di concludere e pubblicare l’annuncio, Facebook ti mostra un’anteprima di come apparirà su Instagram.

LEGGI ANCHE: KPI e benchmark per comprendere le performance degli influencer

Cosa fare una volta che l’annuncio è online?

Può succedere che la tua campagna sia impostata in maniera impeccabile e abbia successo fin dal primo giorno, ma questo accade molto raramente. Proprio per questo monitorare quotidianamente il tuo Instagram Advertising è fondamentale per garantire il raggiungimento degli obiettivi.

Analizzare le performance del tuo annuncio ti aiuta a capire dove hai sbagliato o al contrario quali sono gli aspetti che funzionano, in modo da poter ottimizzare la campagna.

talkwalker

Talkwalker acquisisce Nielsen Social per offrire nuove funzionalità alle aziende

Talkwalker, società di social listening e analisi, oggi ha annunciato l’acquisizione di Nielsen Social, fornitore leader di misurazione social e software di approfondimento del pubblico.

La soluzione innovativa di Nielsen Social per la valutazione dei contenuti social permetterà di fornire ulteriori approfondimenti per l’intelligence conversazionale, abilitata dall’intelligenza artificiale della piattaforma di Talkwalker.

Negli ultimi anni Talkwalker ha visto la social analytics evolversi enormemente, sfruttando più fonti di dati per fornire informazioni fruibili in intere aziende. E ora sta guidando questo cambiamento, creando una potente soluzione aziendale per la conversational intelligence.

LEGGI ANCHE: Quali sono i KPI di marketing per misurare il tuo brand love

Cosa accadrà dopo l’acquisizione

Questa acquisizione fa parte di quel cambiamento, andando a rafforzare la leadership dell’azienda in termini di innovazione attraverso il software all’avanguardia di valutazioni dello stato dell’arte e analytics adverstising di Nielsen Social.

“La decisione di unire le forze con Nielsen Social sottolinea l’impegno di Talkwalker a fornire ai clienti aziendali le migliori soluzioni in tutta l’ampia gamma di casi d’uso”, ha affermato Robert Glaesener, CEO di Talkwalker. “Con l’aggiunta di Nielsen Social Content Ratings alla nostra piattaforma AI, siamo in grado di espandere la nostra offerta di approfondimenti su consumatori, categorie e pubblico e accelerare la nostra crescita globale”.

Questa acquisizione rappresenta un altro punto di successo per Talkwalker quest’anno. Con una nuova brand identity, una piattaforma recentemente aggiornata, l’introduzione di una nuova visualizzazione di dati innovativi.

“Siamo entusiasti di aver trovato un partner affiatato in Talkwalker, che condivide la nostra missione di fornire le migliori soluzioni di misurazione e analisi ai clienti a livello globale”, ha affermato Sean Casey, presidente di Nielsen Social. “La combinazione rafforzerà in modo significativo la nostra offerta e non vediamo l’ora di unirci alla piattaforma in rapida crescita di Talkwalker per promuovere insieme la nostra posizione il mercato globale”.

Nei prossimi mesi Nielsen Social sarà integrato nella piattaforma Talkwalker, aggiungendo ancora più funzionalità.

email marketing ecommerce covid

L’impatto del Covid-19 su email Marketing & eCommerce

La metamorfosi dell’eCommerce in seguito all’emergenza, da canale secondario a elemento indispensabile per la riprogettazione delle strategie di vendita e di interazione con i consumatori, genera degli effetti immediati sulla crescita del mercato.

Il valore degli acquisti online di prodotto dovrebbe nel 2020 sfiorare i 22,7 miliardi di euro in crescita del +26% rispetto al 2019.

L’incremento in valore assoluto è il più alto di sempre: oltre 4,6 miliardi in un solo anno. Questo risultato è frutto di dinamiche differenti nei comparti merceologici.

I settori più maturi crescono con un tasso sostenuto ma sotto alla media di mercato: nel 2020 Informatica ed elettronica di consumo vale 6 miliardi di euro (+18%), Abbigliamento 3,9 miliardi (+21%) ed Editoria 1,2 miliardi (+16%). I comparti emergenti registrano ottimi risultati con ritmi di crescita esponenziali: in particolare Food & Grocery genera 2,5 miliardi di euro (+56% rispetto al 2019), Arredamento e home living 2,3 miliardi (+30%) e Beauty 770 milioni di euro (+37%).

Rispetto al passato è maturata una definitiva consapevolezza sulla necessità di sviluppare un canale eCommerce completamente integrato con l’esperienza fisica.

Un cambiamento epocale, invocato dai consumatori, che chiama profonde revisioni di processo e di organizzazione, investimenti, capacità di ascolto (dei clienti) e molta creatività.

L’eCommerce sarà sempre più motore di crescita e di innovazione del Retail.

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L’email Marketing e l’eCommerce: i trend del 2020

MailUp e l’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano hanno condotto due ricerche in parallelo, con l’obiettivo di fotografare l’impatto che l’emergenza sanitaria, il lockdown e gli effetti conseguenti hanno avuto sul settore eCommerce.

Lo studio di MailUp ha cercato di individuare eventuali mutamenti nei trend delle campagne di email Marketing attribuibili all’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia tra febbraio e marzo. Per farlo ha esaminato le campagne di 1.092 aziende eCommerce inviate tra l’1 gennaio e il 7 giugno 2020 e le ha confrontate con le campagne inviate nello stesso periodo dell’anno precedente, in modo da riscontrare le possibili variazioni. I parametri presi in considerazione per questo confronto sono i volumi di invio delle email, il tasso di apertura e il tasso di clic.

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1. Volumi di invio

Le prime settimane del 2020 mostrano un netto incremento dei volumi di invio rispetto a quelli dell’anno precedente (+23,63%). Questo trend inverte la rotta a partire dalla prima settimana di lockdown nazionale (9 marzo), passando da 73 milioni a quasi 39 milioni di invii (-89,40%).

Dalla settimana successiva, tuttavia, assistiamo a un recupero sia in termini di quantità che di stabilità degli invii, che pareggiano i risultati ottenuti nell’anno precedente.

Il calo registrato è certamente attribuibile alla chiusura di molte delle aziende parte del campione esaminato e alle difficoltà iniziali nel riorganizzare le proprie attività in una fase di emergenza inedita.

Allo stesso modo, il riassestamento è certamente attribuibile alla preparazione della cosiddetta fase 2 e al ripristino delle attività lavorative. Se prendiamo in considerazione i volumi di invio, notiamo invece comportamenti discordanti tra newsletter e DEM.

Per queste ultime infatti, il calo nelle settimane di lockdown risulta meno accentuato (-1,38%); inoltre, nella fase 2 le DEM registrano volumi di invio addirittura superiori a quelli del 2019 (+6,37 di media).

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2. Aperture

Se le campagne email hanno risentito dell’emergenza sanitaria in termini di volumi di invio, è interessante notare come, al contrario, i tassi di apertura ne abbiano beneficiato.

Se confrontiamo infatti i valori medi dei periodi pre e post quarantena, osserviamo una crescita relativa di +19,60%.

Si passa infatti da un 9% di inizio anno (pari a un calo medio di -34,10% sul 2019), a un picco massimo di 12,50% durante il lockdown. Il periodo successivo, corrispondente più o meno all’inizio della fase 2, registra un assestamento intorno all’11,75%.

Differentemente da quanto visto per le newsletter, l’andamento delle DEM è caratterizzato da un decremento finale delle performance, dal 12,20% al 9,90%. Se ne potrebbe dedurre un calo di interesse del pubblico per le comunicazioni di natura commerciale determinato, come già detto a livello complessivo, dalla riapertura delle attività commerciali offline.

In generale, se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter.

3. Clic

Il secondo indicatore di performance considerato è il tasso di clic sulle aperture ovvero il tasso di reattività dei destinatari nei confronti del contenuto del messaggio.

Nel 2020 si assiste a un calo complessivo evidente, dal 14,90% al 9,80% (-34,23%). Nelle settimane di quarantena assistiamo a un aumento del tasso di clic (superiore anche ai valori del 2019); segno di un maggiore interesse da parte dei destinatari per i contenuti – informativi e commerciali – proposti dai brand e-commerce.

L’inizio della fase 2 porta a un nuovo calo delle performance, che scendono definitivamente sotto la soglia dell’11%: questo sensibile decremento può essere attribuito alla riapertura dei negozi fisici che ha comportato una riduzione degli acquisti online.

Se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter. Sebbene entrambe le curve siano discendenti e il divario tra loro si assottigli con il passare delle settimane, in termini di valori medi registriamo uno scarto di 2,31 punti percentuale tra il 12,60% delle DEM e il 10,29% delle newsletter.

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Conclusioni

Dai dati è dunque chiaro l’impatto che il Covid ha avuto sull’email Marketing: non sorprende riscontrare un rallentamento dell’attività, che si deduce dal calo dei volumi di invio, causato dalle restrizioni sociali e dall’imposizione forzata di una nuova routine in termini di fruizione delle comunicazioni, di consumi e di comportamenti d’acquisto.

Tuttavia, a questo rallentamento dei volumi non corrisponde un calo di interesse da parte dei destinatari. Al contrario, sia in termini di aperture che di clic, i destinatari delle campagne dimostrano un livello di reattività che evidenzia un buono stato di salute del canale email per il settore e-commerce.

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L’impatto del Covid-19 sull’eCommerce in Italia

L’Osservatorio eCommerce B2C della School of Management del Politecnico di Milano ha condotto un ulteriore studio che si basa su un’osservazione diretta dei principali operatori di prodotto dell’eCommerce B2C. L’obiettivo era analizzare l’evoluzione dell’e-commerce rispetto agli anni passati e misurare eventuali alterazioni dei trend attribuibili agli effetti che l’emergenza sanitaria ha
esercitato sulle abitudini dei consumatori e sull’adozione del digitale da parte delle aziende B2C.

1. Acquisti eCommerce di prodotto in termini assoluti

La ricerca parte dall’osservazione della crescita del settore rispetto agli anni precedenti in termini di valore degli acquisti di prodotto: il valore totale che si dovrebbe raggiungere a fine 2020 è pari a 22,7 miliardi di euro, con un incremento relativo sull’anno precedente del +26%.

Un tasso di crescita percentuale più alto rispetto agli anni precedenti: nel 2018 l’e-commerce di prodotto aveva registrato un +23% e nel 2019 un +21%.

2. Acquisti eCommerce per comparto di prodotto

Il primo elemento da evidenziare nel 2020 è l’andamento positivo di tutti i comparti.

Entrando nel dettaglio vediamo che i comparti Abbigliamento e Accessori, Editoria, Informatica ed Elettronica sono accomunati da tassi di crescita simili che si attestano tra il 16 e il 21%; mentre il comparto Arredamento e Home living riesce a staccare i precedenti di circa 10 punti, migliorando il proprio risultato del 2019 del 30%.

Menzione a parte per il comparto Food & Grocery, che passa da 1,6 miliardi di euro dell’anno scorso a 2,5 miliardi di quest’anno (+56%). Un salto certamente determinato dalle restrizioni imposte tra marzo e aprile (fase di lockdown), che hanno spinto, da un lato, molti consumatori ad acquistare online i beni di prima necessità e, dall’altro, molte catene di supermercati ad adeguare in corsa i propri processi di vendita e distribuzione.

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3. Distribuzione per comparto degli acquisti 2019 e 2020

Rispetto al 2019, Abbigliamento e Accessori perde il 4%, Editoria scende del 7% e Informatica ed Elettronica riduce il suo peso del 6%, ma continua a costituire più di un quarto del totale.

Sale lievemente Arredamento e Home living, con un +2%, ma ad aumentare in modo rilevante è di nuovo il comparto Food & Grocery che, questa volta con un +24%, passa dall’8,88% all’11%.

4.  Incidenza smartphone

I dati mostrano l’incidenza dell’utilizzo del mobile per gli acquisti sui volumi di acquisto totali: da un’incidenza del 50% del 2019 si è passati al 56%.

Se consideriamo invece il valore degli acquisti, l’eCommerce da smartphone è passato da circa 9 miliardi di euro del 2019 ai circa 12,8 miliardi del 2020 (+42%).

Se ne potrebbe desumere che sempre più persone prediligono per gli acquisti online l’utilizzo del proprio smartphone anche quando si trovano all’interno delle mura domestiche.

marketing automation

Conclusioni

L’emergenza sanitaria ha avuto sul settore eCommerce un doppio effetto. Da un lato ha certamente reso più difficili alcune operatività; dall’altro ne ha favorito l’espansione spingendo all’utilizzo dell’eCommerce anche segmenti di mercato fino a qualche mese fa abituati a effettuare i propri acquisti esclusivamente offline (un esempio su tutti: la crescita del comparto Food & Grocery).

Ciò che accadrà nei prossimi mesi – online e offline – e quale direzione prenderà il mondo eCommerce è ancora da vedere. È però ragionevole pensare che gli avvenimenti degli ultimi mesi abbiano innescato un’accelerazione dei processi di digitalizzazione del settore retail già in atto da diversi anni, sensibilizzando aziende tradizionali e intere fasce di mercato sulle opportunità offerte dagli store virtuali e dalla comunicazione via email.

linkedin algoritmo

Giù le mani da LinkedIn: perché non puoi escluderlo dalla strategia della tua azienda

  • I contenuti pubblicati ci identificano e ci trasformano in veri e propri punti di riferimento insieme alle interazioni con in nostri collegamenti e riguardo ai topic che ci interessano.
  • Lo dice la sua stessa definizione, LinkedIn è un Social Network e come tale serve per tessere relazioni ossia creare network. Sia con la creazione di gruppi veri e propri sia analizzando i nostri competitor.

 

Credo che LinkedIn sia come il cervello umano, si dice che solo una parte di noi lo usi e ne esplori tutte le sue parti, gli altri ne usano, invece, solo il 10%.
Le potenzialità di LinkedIn per la tua azienda o per te come professionista sono innumerevoli, ma non tutti sono preparati a utilizzarle o a includere a pieno questa piattaforme nella strategia social di brand: Facebook e Instagram sono di solito immancabili, ma LinkedIn?

Eppure le sue connessioni di 570 milioni di utenti mondiali con un grado di utenti attivi che si attesta su più di 260 milioni/mese non dovrebbe classificarlo tra i social meno importanti soprattutto se si parla di un’azienda che con queste connessioni è in grado di farsi pubblicità, trovare nuove risorse umane e creare le proprie community di interazione.

Cerchiamo di capire, allora, come posizionarci su LinkedIn al meglio. Una cosa è certa: alla base serve tanta costanza e dedizione per creare e tenere attiva la propria community.

Il meglio di LinkedIn per il tuo business, come fare per usarlo al meglio

Prima cosa: come usare al meglio la LinkedIn App.,

Chi ha detto che per sviluppare LinkedIn per il nostro business sia preferibile la versione desktop? L’app, infatti, propone delle funzionalità che su desktop non troviamo e questo perché sono aspetti legati alla possibilità di geolocalizzarsi o geolocalizzare e allacciare una relazione con chi ci sta intorno, ma non solo.

Partiamo dalla possibilità di aggiornamento del profilo tramite app. Scegliere, infatti, di modificare o aggiungere nuove informazioni via app, seppur possa sembrare scomodo per alcuni versi, offre, dall’altra parte, possibilità che la versione desktop non permette.

Uno su tutti il numero di caratteri della headline: da desktop limitato a 120 da mobile ampliato a 200, quindi se su entrambi i device questa risulta tagliata, da app c’è più margine per la fantasia.

Proseguiamo con il secondo step: la pubblicazione di contenuti. La app non ti permetterà di pubblicare ancora long-form o individuare errori grammaticali sarà più scomodo (salvo aver attivato il correttore automatico su cellulare), ma sicuramente fornisce all’utente la possibilità di allegare file multimediali e inserire hashtag, debitamente suggeriti all’inizio della digitazione.

Terzo step: fare rete. LinkedIn va usato per creare ed animare una propria community e questo vuol dire partire dalla creazione di un numero di follower interessante per poi iniziare ad essere interessante anche tu per loro.
A tal proposito, forse, le funzionalità a disposizione da mobile sono davvero le più fornite e, in particolare, la possibilità di trovare connessioni durante meeting o eventi di settore.

Infatti il primo compito, è quello di connettersi agli altri e mandare loro messaggi privati di presentazione e richiesta di connessione. Farlo attraverso mobile app da la possibilità di scattare foto o includere audio in tempo reale, come un sistema di chat di ben più noti Facebook e Instagram, oltre che “taggare” un altro utente nella conversazione.

È sempre consigliabile personalizzare il proprio messaggio di richiesta di collegamento a seconda della persona a cui mi sto rivolgendo, soprattutto se sono un altro professionista questo mi darà la possibilità di attirare l’attenzione del mio interlocutore o ricordargli perché ci farebbe piacere averlo tra i nostri collegamenti.

Ecco poi che vi è la possibilità di integrare il proprio calendar o la propria localizzazione in occasione di eventi o meeting.

Se parliamo di evento programmato e pubblico, infatti, possiamo sfruttare l’integrazione tra il calendario e LinkedIn, attivabile da app, per scoprire chi parteciperà e fare un po’ di infohunting preparatoria e poi, qui viene il bello, è possibile trovare altri utenti LinkedIn nelle vicinanze in qualsiasi momento.

Come? Vai su “la mia rete” seleziona il tasto “più” e come ultima opzione vedrai “nelle vicinanze” se la attivi attraverso il Bluetooth. In questo modo identificherai gli altri utenti presenti nella stanza o al meeting e potrai selezionare con chi connetterti o semplicemente sapere chi sono le persone intorno a te, chissà mai che potresti trovare la risorsa o l’azienda dei tuoi sogni!

E se voglio connettermi ad un altro utente, ma ha difficoltà ad incontrarmi oppure voglio essere sicuro che trovi me, come faccio? Semplice: in alto di fianco la barra di ricerca c’è un simbolino che riproduce in miniatura un QR code, bene, da qui potrai sia scansionare il QR code di un altro che ottenere il tuo anche da condividere.

L’utilizzo corretto della app di LinkedIn non esclude un utilizzo altrettanto proficuo della versione desktop e, soprattutto, non prescinde da una corretta programmazione social.

LEGGI ANCHE: Come sostenere i dipendenti e rafforzare la presenza del brand su LinkedIn

Come abbiamo già detto su LinkedIn non conta solo quanti follower hai, ma la qualità e i collegamenti che questi possono portarti ed ecco che una strategia vincente, in questo caso più che mai, si basa sulla fase di preparazione:

  • Definire gli obiettivi: perché la mia azienda deve esserci su LinkedIn? Che cosa voglio fare con il mio profilo social aziendale, cercare nuove risorse, farmi promotore di una causa, cercare partnership di sviluppo? Ricorda che ogni obiettivo deve essere SMART (specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e temporizzabili). Non dimenticare di prendere in considerazione sia goal a breve che a lungo termine;
  • Individua e profila le tue audience personas: analizza i tuoi follower delle altre piattaforme, chi sono? Cosa fanno nella vita? In cosa credono e su che argomenti interagiscono di più? A questo punto la tua strategia dovrà essere costruita a misura del tuo pubblico;
  • Stabilisci un tempo ed un budget da investire e si pronto a cambiare la rotta se non si ottengono i risultati sperati.

Una volta passata la fase di analisi si passa alla vera fase operativa che si basa sostanzialmente su collegamenti e contenuti.

Per creare la tua prima piccola audience è sempre buona cosa chiedere ai tuoi dipendenti e collaboratori di collegarsi alla pagina impostando la tua azienda come “luogo di lavoro” sui loro profili personali, ma non solo, invitali ad interagire con i tuoi post e coinvolgi, i più talentuosi, ad aiutarti nello sviluppo della tua pagina.

Content is king, anche per LinkedIn, in cui costanza e qualità di contenuti sono sempre premianti, questo perché l’algoritmo di questo social è “umano”, esperti LinkedIn scandagliano tutti i giorni i newsfeed in cerca di articoli veri, completi e che meritano più visibilità grazie alle interazioni che generano e alla credibilità dei collegamenti aziendali e penalizzando chi si comporta come spam o non da nessun valore.

Via libera a contenuti nativi, completi anche di immagini e video, ma importante anche interagire in gruppi tematici o condividere anche contenuti di terzi, purché siano in linea con la vision e mission aziendale e siano accompagnati da un headline propria meglio ancora se completa di hashtag e mention.

Vere chicche sono le pagine vetrina, ossia delle sorta di sotto-pagine aziendali che possono essere create, fino ad un numero di 10 max, e che permettono all’azienda di focalizzare parte del profilo su prodotti specifici o rami dedicati. Potrebbero avere meno follower della pagina aziendale, ma sono molto utili per focalizzare l’attenzione su qualcosa di particolare e di distinguibile.
Per creare una Pagina Vetrina, clicca sulla tua icona (Tu), seleziona la Pagina aziendale, sotto la sezione “Gestisci”clicca su “Strumenti dell’Amministratore” in altro a destra e seleziona “Crea una Pagina Vetrina”.

La base è pronta, ora è il momento di sperimentare

LEGGI ANCHE: 20 pagine LinkedIn che funzionano (e da cui trarre ispirazione)

Cosa possiamo imparare dalle migliori pagine aziendali

Lo abbiamo già detto, perché la nostra pagina aziendale su LinkedIn funzioni e sia attrattiva è necessario alimentarla e farla conoscere agli utenti connessi.
Se il contenuto testuale è alla base, quindi attenzione a cosa si scrive, come, compresi gli errori grammaticali, esistono poi aggiunte ed integrazioni che rendono tutti più coinvolgente: video, documenti, hashtag e sondaggi.

Con un tasso di conversione a lead del 2,74%, LinkedIn è la piattaforma giusta se la tua azienda vuol trasformare parte dei suoi collegamenti virtuali in veri e propri contatti reali e si sa, ad oggi la strategia più forte per creare contenuti di successo sono i video.

Due le regole d’oro: chiediti per chi e per cosa stai realizzando il tuo video-post e ottimizza formato e qualità del contenuto per LinkedIn.

Partiamo dalla seconda.
Un video efficace su LinkedIn deve riuscire ad attirare l’attenzione dell’utente nei primi 15 secondi se si vuole che questo finisca di vederlo per intero aggiungendo nella produzione anche i sottotitoli per chi ne sta usufruendo in modalità “sound off”. Importante, anche, non dimenticare di spronare il pubblico ad interagire inserendo anche una vera e propria call to action; questo ci darà l’opportunità di interagire in modo diretto con chat o commenti con i nostri collegamenti.

Per la prima, invece, le cose da dire sono diverse.
Innanzitutto bisogna scegliere se pubblicare un video nativo, ossia un filmato creato e postato direttamente su LinkedIn con il vantaggio che si riproduca in auto-play, o ricondividere video di altri.

Dopodiché, o forse prima, è opportuno dare un obiettivo al video in questione, mi serve per farmi conoscere, e quindi opterò per video brevi che parlino di noi e che spingano l’utente a volerne sapere di più, o voglio creare video empatici che mostrino all’utente perché la nostra azienda è la miglior soluzione al loro problema mostrando loro la nostra corporate social responsibility o un prodotto specifico.

Voglio ora, invece, condividere e rendere disponibili al download dei documenti, semplice, posso integrarli in un post ricordando che il mio pubblico vedrà in anteprima solo la prima pagina dell’elaborato. Quindi? Rendi la prima pagina la migliore in assoluto con direttamente una call to action che spinga il lettore al download e a proseguire nell’approfondimento.

Parola d’ordine: hashtag sempre e comunque.
Esatto ricordiamolo bene, è importante che per ogni nostro post vi sia un elenco di # ben definito e scelto e non solo perchè “fa figo” ma perchè potrebbe farci entrare tra gli argomenti di tendenza.

Ovviamente la scelta degli hashtag su LinkedIn non può e non deve essere casuale quindi è bene prima di iniziare ad utilizzarne uno in particolare vederne la portata dei follower, iniziare a seguirlo in prima persona e interagire con post e gruppi che lo riportano. Puoi cercare nuovi # direttamente della barra di ricerca e iniziare a seguirli direttamente nei risultati.
La scelta di un particolare hashtag può esulare dal solo utilizzo su LinkedIn, se un # può includerci e funziona su questo social, potrebbe funzionare anche sulle altre piattaforme quindi ricordiamoci di renderlo un nostro must!

Veniamo ai sondaggi, uno degli strumenti più interattivi di LinkedIn.
Creare un sondaggio è facile e chiunque lo può fare scegliendo tale opzione prima di pubblicare un particolare post.
Si possono definire le opzioni tra cui i partecipanti possono scegliere, la durata e le risposte sono tutte tracciabili per numero di rispondenti e qualità degli stessi, così da poter proseguire poi con un follow up diretto sulla persona.
Gli argomenti su cui creare un sondaggio, per un’azienda, sono molteplici: dal voler conoscere meglio il proprio pubblico con le loro ambizioni o i topic su cui sono più interessati, alla necessità di fare un’indagine di mercato in merito ad un prodotto in fase di lancio, ad ancora creare un motivo di discussione con la propria community.

Ora che abbiamo approfondito le basi su cui lavorare possiamo, probabilmente, guardare con occhio critico alla classifica delle 10 pagine più seguite su LinkedIn nel 2019 (quella del 2020 uscirà ad agosto).
Il podio è composto da: TED Conferences con 15.5 milioni di follower (oggi 17.7 milioni), Google 12.1 milioni (oggi 17.8), Amazon 8.6 milioni (oggi 15.2), Linkedin con 8.2 milioni (oggi 12.2), Microsoft 7.8 milioni (oggi 11.7), Unilever che con i nuovi dati supera IBM, Nestlè, Accenture e Facebook in chiusura.

Ma cosa le ha rese le pagine più popolari di LinkedIn?
Le cose che accomunano queste aziende sono:

  • Una strategia di contenuti ben mixata tra testo e video con l’utilizzo anche di LinkedIn Live per la riproduzione dei video postati;
  • Porre le persone, collegamenti e collaboratori, al centro. Queste aziende, infatti, hanno deciso di puntare molto sui loro dipendenti e collaboratori per attrarre nuovi talenti e mostrarsi al mondo come un brand che conta sui talenti umani per crescere;
  • Parlare di argomenti di attualità come il tema della diversità e dell’inclusione sociale che scatenino interesse ed interazione, o esponendo quello che l’azienda sta facendo per migliorarsi e migliorare il mondo.

La potenza del “fare rete” su LinkedIn

Se Facebook nasce con l’obiettivo di preservare le relazioni tra gli individui, LinkedIn è il luogo perfetto per creare delle relazioni e dei contatti per un’azienda, non solo attraverso l’incremento del proprio network, ma anche per individuare i propri competitor e le loro strategie.

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Network, il punto da cui partire.
LinkedIn per la struttura che ha e le possibilità a disposizione ha come obiettivo quello di favorire la creazione di un proprio network, che però, si consiglia, sia pre selezionato: non accettare tutte le richieste di collegamento, non è un male, anzi ti permetterà di avere una cerchia selezionata e veramente interessata.

Primo step: connettersi con gli altri utenti.

Per trovare profili interessanti e collegamenti vicini LinkedIn mette a disposizione la possibilità di esplorare tra i cosiddetti profili suggeriti, ossia chi per vicinanza professionale o di interessi potrebbe essere un valido candidato per entrare nella nostra rete. O, ancora, ci suggerisce chi, per la sua di rete, potrebbe introdurci in nuove dinamiche o in nuovi gruppi.

Una volta che ho capito chi è il mio pubblico target è ora di chiedere il collegamento reciproco, il click è uno, il pulsante “collegati”, ma l’opportunità è importante: è il primo contatto che avrai con questo nuovo follower, personalizza il messaggio mettendoci qualcosa di tuo o facendo riferimento al motivo per il quale vi conoscete.
Un consiglio: non spammate! Cercate di limitare le richieste ad un paio al giorno per non essere segnalati da LinkedIn stesso e penalizzati.

E poi via all’interazione! Cerca di consigliare e commentare i post dei tuoi collegamenti, dimostrati proattivo in eventuali gruppi o nell’intervenire nelle discussioni e usa tutto questo a tuo vantaggio per attirare sempre nuove connessioni e utenti a seguirti.

Se invece ti senti già pronto con la tua azienda a diventare centro di una discussione, allora puoi partire con la creazione di un gruppo.
Gestire un gruppo significa creare uno spazio di discussione dedicato ad un argomento o trend, oltre che diventarne una figura di riferimento in quanto questi possono sempre essere trovati dagli utenti nella barra di ricerca.

Per creare un gruppo è necessario partire, ovviamente, dal nome, scegliendo qualcosa di diretto che già enunci quello che sarà poi il topic del gruppo, 100 caratteri massimo e se vuoi geolocalizzarlo ricordati di mettere la città.
Importante: sistema tutte le informazioni base del gruppo prima di pubblicarlo ed invitare i partecipanti, chi si iscrive vuole interagire sull’argomento, non continuare a vedere aggiornamenti di stato o di cover.

Dopo il nome è importante aggiungere cover ed immagini coerenti al tema e scrivere la headline, il vero primo testo di 2000 caratteri che definisca l’argomento e incuriosisca il gruppo.
Rendo il gruppo pubblico o solo su invito? Il consiglio, salvo che non si voglia controllare gli accessi dei nuovi iscritti, è quello di mantenerlo pubblico (scelta di default) così da attrarre più contatti possibili.

A proposito di contatti, se il gruppo viene creato da un’azienda è importante che i primi partecipanti siano i collaboratori stessi della struttura, così da non lanciare un gruppo a zero e poi invitare le persone ad invitare altri soggetti a loro volta, pubblicizzare il proprio gruppo sul social wall riportandone link e descrizione o inviarlo in chat private a utenti in target.

Il gruppo, ovviamente, se non governato ed aggiornato non è utile, anzi. È importante quindi pensare ad un calendario editoriale per l’aggiornamento con post nativi, commentare ed interagire con gli altri partecipanti e tenere sotto controllo eventuali spam o commenti contrari alla netiquette impostata. Un gruppo su LinkedIn è un posto in cui diversi professionisti si trovano a loro agio nell’interagire e dove trovano, anche, informazioni utili quindi è un dovere preservare questo spazio come tale.

Ultimo punto: i competitor; alla fine sono un network anche loro, da cui, a volte, prendere esempio di cosa fare o di cosa non fare.

Monitorare i profili LinkedIn dei propri competitor e a volte anche collegarsi, può essere parte di una strategia marketing utile. Dal confronto sarà possibile capire cosa funziona per gli altri e magari trarre idee e indicazioni utili. Importante è, però, tutelarsi il più possibile per evitare di condividere con i nostri concorrenti informazioni riservate.

Il primo passo è quindi quello di, nell’area Privacy del profilo, cambiare la modalità da pubblica a privata di modo che non si possa lasciare traccia sul profilo altrui. Il secondo di disattivare la funzione “Chi ha guardato questo profilo ha anche guardato..” per evitare che nuovi collegamenti individuino competitor che noi abbiamo guardato. In contesto diverso, invece, questa funzione ti permette proprio di capirne di più sugli interessi degli utenti collegati.

Insomma, è il caso di dirlo, LinkedIn un nome e un milione di opportunità.

influencer performance

KPI e benchmark per comprendere le performance degli influencer

Il successo del tour italiano di Chiara Ferragni, tra gli Uffizi e il Salento, è solo l’ennesima evidente dimostrazione di quanto l’Influencer Marketing sia una strategia che funziona in modo versatile per moltissimi settori.

Il crescente numero di influencer popolari su piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e altri canali sociali, ha ormai convinto i marketer digitali che vogliono una strategia completa per far crescere un business online della necessità di non ignorare questo importante strumento. Detto questo, è anche importante sapere come misurare il successo di una campagna di Influencer Marketing, e per questo sono necessari indicatori chiave di performance.

Ci sono molti KPI utili per diversi elementi della vostra strategia, ma quando si tratta di Influencer Marketing, i cinque essenziali su cui concentrarsi sono i tassi di conversione, la reach e l’awareness, il traffico di referral, la crescita del pubblico e l’engagement. Questi KPI possono aiutare a monitorare i progressi e a misurare il successo nel raggiungimento dei propri obiettivi.

LEGGI ANCHE: L’Influencer Marketing funziona, ma devi stare attento a questi 6 pericoli

Conversioni

L’Influencer Marketing ha una serie di obiettivi, tra cui l’aumento della reach, la crescita del pubblico e l’aumento del traffico verso il sito. Ma come per ogni strategia di marketing, l’obiettivo principale è sempre quello di guidare la crescita e le vendite, ed è qui che il KPI del tasso di conversione entra in gioco.

Un modo semplice per tracciare le conversioni generate da una campagna di Influencer Marketing è quello di tracciare le vendite prima, durante e dopo la campagna, e di confrontare eventuali cambiamenti nelle vendite avvenuti quando la campagna era in corso.

Per un approccio più sofisticato, è possibile impostare i link di affiliazione, i parametri UTM, codici promozionali, landing page e tracciamento dei link per la campagna, e in questo modo è possibile tracciare le fonti di traffico dei clienti che si sono convertiti durante la campagna.

Ma le conversioni non sempre hanno a che fare con le vendite, e ci sono anche altri tassi di conversione che è possibile monitorare. Ogni volta che un potenziale cliente completa un’azione desiderata, questo conta come conversione. Questo può includere attività come l’iscrizione a una newsletter, il download di un ebook, il clic su un link, o qualsiasi altra cosa che si desidera che i potenziali clienti facciano.

Quando si tratta di Influencer Marketing e KPI, altri tassi di conversione che si potrebbero voler tracciare includono i “Mi piace” di Facebook generati, i nuovi follower ottenuti, le persone iscritte alla newsletter e così via.

influencer performance

Traffico di referral

Le conversioni non sono l’unica cosa che conta in una strategia di Influencer Marketing, anche la quantità di traffico che la campagna porta al sito va monitorata. Il motivo è che il traffico di referral fornisce una buona idea della portata della campagna, ma anche del successo complessivo della campagna.

È importante notare che le conversioni non sempre raccontano l’intera storia, perché se il sito non è ottimizzato correttamente per le conversioni, allora è possibile che la campagna abbia comunque avuto successo, anche se non si è registrato un aumento delle vendite. È qui che il monitoraggio del traffico di referral può essere d’aiuto, perché ci dirà quante persone sono effettivamente arrivate sul sito grazie alla campagna.

La buona notizia è che è possibile utilizzare gli stessi strumenti (principalmente Google Analytics) per monitorare il sia traffico referral della campagna che le conversioni, compresi i codici promozionali, i parametri UTM e simili.

Inoltre, è anche possibile analizzare le metriche di pre-campagna per valutarne il successo. Quelle da includere dovrebbero essere:

  • Nuovi visitatori
  • Fonti di referral
  • Totale pagine visualizzate
  • Tempo medio

Reach e awareness

Uno dei principali vantaggi dell’Influencer Marketing è l’accesso a un pubblico enorme che può aumentare la visibilità del brand, un primo passo importante quando si vuole aumentare l’awareness del marchio e costruire nuove relazioni.

Per determinare il successo di questo obiettivo, è necessario monitorare quante persone vengono raggiunte con la campagna, quanti nuovi potenziali clienti sono venuti a conoscenza del brand e quanto la campagna ha rafforzato il marchio con i potenziali clienti già esistenti.

Un buon modo per misurare reach e awareness è quello di tracciare i dati di impression sui contenuti (post, video, stories…) creati appositamente per la campagna. Queste informazioni sono disponibili attraverso gli insight delle piattaforme social e attraverso gli analytics dell’inluencer. Anche in questo caso è utile un confronto con i dati pre-campagna.

influencer performance

Crescita del pubblico

La crescita del pubblico è simile alla reach e all’awareness come obiettivo, ma c’è una differenza cruciale: solo perché qualcuno è stato colpito dalla campagna non significa che quella persona venga portata con successo all’interno dell’audience.

Capita infatti che la campagna riesca a centrare l’obiettivo di portare l’utente sul sito, ma una volta conosciuta l’offerta o il prodotto, quello stesso utente non ne sia interessato e lasci il sito, eliminando dalla sua memoria anche il brand. In questo caso l’obiettivo di crescita dell’audience non è raggiunto.

Per monitorare la crescita del pubblico, si possono usare gli strumenti analisi dei social media, scoprendo quanti follower si guadagnano durante la campagna e confrontando la crescita con i numeri pre-campagna. Si può fare la stessa cosa anche con il database email e così via.

Engagement

Anche l’engagement è un KPI importante perché fornisce una visione più approfondita di come la campagna è stata accolta. Anche in questo caso, il traffico e la portata ci diranno quanti utenti abbiamo raggiunto, ma l’engagemant ci dirà in che modo.

Il coinvolgimento è fondamentale perché è un buon indicatore di come il brand viene percepito, di quanto è forte il rapporto con il pubblico, di quanto siamo rilevanti e di quanto saranno fedeli i nostri clienti.

L’engagement è determinato dalle diverse azioni intraprese dal pubblico, tra cui:

  • Mi piace
  • Reaction
  • Condivisioni
  • Commenti
  • Click
  • Visualizzazioni dei video
  • Citazioni del marchio

LEGGI ANCHE: Insidie e opportunità dell’Influencer Marketing ai tempi del Coronavirus

instagram stories come usarle

I benchmark per comprendere le performance su Instagram

L’analisi dei KPI più importanti ci permette di comprendere ancora meglio che la crescita dell’Influencer Marketing è legata soprattutto alla capacità di approcciare strategicamente le attività con i Creator e di misurarne i risultati. Per farlo è fondamentale avere dei punti di riferimento, sia per impostare obiettivi realistici, sia per formulare previsioni sensate delle performance attese.

Come sottolineato nella recente ricerca di Buzzoole dedicata nello specifico ai Benchmark per comprendere le performance degli influencer su Instagram, il problema è che questi dati sono difficili da reperire e dunque i marketer navigano a vista, facendosi sballottare dalle onde delle mode del momento.

Ieri erano le celebrity, oggi sono i micro influencer. Spesso senza sapere esattamente cosa attendersi in termini di performance medie.

Attraverso l’osservazione di oltre 700 mila influencer Instagram tra novice,
micro influencer, ma anche top e celebrity, Buzzoole ha offerto una panoramica delle performance, unendo alle metriche visibili pubblicamente come le interazioni e i follower, anche quelle più significative, ottenibili attraverso gli insight dei Creator.

Tra i principali dati emersi:

  • su Instagram la Reach Rate media (persone raggiunte in media sul totale dei follower) dei profili è del 19% (-1,6 punti rispetto allo scorso anno).
  • Su Instagram l’Engagement Rate medio (interazioni medie sul totale dei follower) dei profili è del 3,1% (-0,4 punti rispetto allo scorso anno).
  • In Italia la percentuale dei follower sospetti su Instagram è del 10,5%. I novice hanno il più basso numero di follower sospetti (5,2%) mentre i top (che hanno da 100.000 a 1 milione di follower) arrivano a sfiorare il 33%.

Il campione analizzato è stato segmentato in quattro fasce distinte: novice (coloro che hanno fino a 10.000 follower), micro (dai 10.000 ai 100.000 follower), top (dai
100.000 follower a un milione) e celebrity (oltre un milione).

Ecco i dati emersi.

Engagement

Ovviamente le celebrità sviluppano il maggior numero di interazioni medie per singolo post, 35.000 rispetto alle 4.210 dei top, alle 590 dei micro e alle 66 dei micro.

Analizzando i dati di engagement medio per post di diversi settori, inoltre, emerge che ce ne sono tre che sembrano essere più apprezzati dal pubblico di Instagram.

Al primo posto lo Sport e al secondo l’Intrattenimento, che beneficiano della notorietà dei protagonisti, in particolare dei calciatori e dei volti della televisione. Al terzo posto tutto il mondo della moda che su Instagram ha trovato una vetrina ideale.

Engagement Rate

I novice riescono ad ottenere circa il 4,3% delle interazioni dai propri seguaci, i micro il 2,8%, i top il 2,7% e le celebrity il 2,50%.

benchmark influencer marketing 1

Ovviamente essendo un rapporto al cui denominatore ci sono i follower è naturale avere questo tipo di dinamica, che premia un po’ di più i profili con una base follower meno sviluppata.

L’analisi dell’Engagement Rate mostra anche che i settori che fanno registrare il più
elevato Engagement Rate per post sono quelli del Family & Parenting e del Gaming. In entrambi il rapporto interazioni e follower risulta del 3,1%. Al 3% troviamo il variegato mondo del Lifestyle e più in basso l’intrattenimento e la cultura.

benchmark influencer marketing 1

Engagement su Reach

Un dato interessante si può ottenere confrontando le interazioni con la Reach (portata) ossia con le persone realmente raggiunte dai post.

Dall’analisi svolta, grazie all’accesso ai “first party data” (dati direttamente provenienti dagli insight di Instagram degli Influencer) si scopre che novice e micro differiscono di poco nella loro capacità di sviluppare interazioni rispetto alle persone raggiunte (intorno al 14%), mentre dai top ci si può attendere un rapporto di engagement su reach di circa il 13% e dalle celebrità l’11,45%.

benchmark influencer marketing 1

Su Instagram, i Creator del settore Fashion sono quelli che performano meglio. Riescono a ottenere il 16% delle interazioni rispetto alle persone effettivamente raggiunte, in altri termini ogni 100 persone che vedono i loro post riescono a sviluppare, mediamente, 16 interazioni. Seguono di poco i Creator che si occupano di turismo e di bellezza.

Leggermente sotto il 16% troviamo gli influencer che trattano hobby di diverse tipologie e quelli racchiusi nell’ampia categoria del Lifestyle.

Reach Rate

Altro indice utile è quello che mette in relazione la reach e i follower dei Creator, per capire la loro capacità di raggiungere il proprio bacino di utenti accumulati.

Considerando che oggi gli algoritmi dei social network non permettono di comunicare alla totalità dei propri follower, neanche con l’ausilio di pubblicità, diventa fondamentale avere dei benchmark di riferimento.

Emerge che i novice, mediamente, riescono a raggiungere il 27,5% dei propri follower e le celebrità il 24,3%. Meno positive le performance dei micro e dei top.

benchmark influencer marketing 1

La performance dei novice si può spiegare con il fatto che le community piccole tendono ad essere le più affezionate e attente. Quella delle celebrity è da correlare più probabilmente all’effetto dell’algoritmo di Instagram che premia i contenuti dei più famosi, ospitandoli nella sezione Esplora, la più visibile.

Su Instagram i Creator del settore Art & Culture (che si occupano di libri, arte, spettacolo) sono quelli che hanno il più alto rapporto reach/ follower, che supera il 24%. A breve distanza quelli della categoria più allargata degli hobby di vario tipo. Buona posizione per i Creator del mondo Lifestyle e Turismo.

Follower sospetti

Un capitolo a parte merita l’argomento delle pratiche fraudolente. Analizzando i profili Instagram degli Influencer di tre nazioni, dal report di Buzzoole emerge che
mediamente gli italiani mostrano il 10,5% di follower sospetti (lo scorso anno tale valore era al 23%). Gli statunitensi il 14,4% (contro il 20% della scorsa rilevazione) e i Creator del Regno Unito ben il 32%, addirittura il doppio dello scorso anno.

Valutando le differenti fasce scopriamo che tra i novice si riscontra un valore molto basso di follower sospetti, pari a 5,2%. Al crescere della base di follower si nota un aumento dei fake follower.

Anche le celebrity presentano un quarto della propria base di follower, inficiata da bot e profili falsi. Va precisato che per i personaggi famosi internazionali è più difficile stimare accuratamente la quota di follower fasulli perché la loro notorietà li porta ad avere seguaci in una molteplicità di paesi del mondo.

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Tra i settori con più fake follower, infine, il mondo della moda (25% di follower sospetti contro il 34% dello scorso anno). Seguono quelli che si occupano di viaggi e turismo al 20,4% e quelli del Beauty al 15,4%.

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