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Il Coronavirus ci obbliga ad accelerare e così la digital transformation diventa virale

  • L’epidemia ci ha costretti a fermarci ma anche ad accelerare, per dare una risposta nuova alla sfida della produttività da casa;
  • Smart working, telelavoro, videoconferenze ed eLearning sono diventati gli strumenti più utili per fronteggiare l’emergenza e hanno dato una scossa alla digital transformation.

 

È venerdì mattina e come ogni venerdì mattina suona la sveglia, ma è venerdì e sorridi pensando al weekend, al carnevale. Davanti al primo caffè della giornata, come di consueto, apri il tablet controlli l’agenda del lavoro e quella personale, poi apri un quotidiano online per i soliti aggiornamenti tra economia, cultura, sport e cronaca.

Il Coronavirus è argomento che tiene banco da qualche tempo, preoccupa, in parte inquieta ma Wuhan è distante. Tante polemiche, tanto razzismo, tanta disinformazione, tanti luoghi comuni.

Pensi a come la loro economia stia risentendo di una situazione da film apocalittico, di come le persone siano obbligate a non uscire e a non avere contatti, a come le aziende abbiano modificato le loro organizzazioni per continuare a produrre, non cedendo allo stato di immobilismo creato dal virus stesso.

Per un attimo ribalti la situazione di Wuhan qua, per un attimo fai un parallelismo, come gestiremmo la situazione qui in Italia?

Inizi a pensare a delle soluzioni ma ti fermi, non è qui.

Non è così.

coronavirus digital transformation

Venerdì 21 Febbraio 2020

È venerdì 21 febbraio, mattina, il Coronavirus, non più distante, è a pochi km da te.

In un attimo cambia tutto.

La notizia si diffonde, inizia il tam tam mediatico in pochissimo tempo si parla di contagi che salgono, ospedali al collasso, zone rosse, zone gialle, quarantena, isolamento, chiusura di uffici, scuole, esercizi pubblici.

Si blocca la provincia di Lodi, in poco tempo si blocca la zona metropolitana di Milano, si blocca una regione si blocca una nazione.

Evitare gli assembramenti! Provvedimento doveroso, precauzionalmente corretto ma le conseguenze sono altrettanto importanti.

L’economia italiana, in generale, è composta primariamente da piccole e medie aziende (anche di grandi aziende, in minoranza). Nella zona del primo focolaio, il lodigiano, l’economia è composta primariamente da aziende legate all’agricoltura.

La Lombardia traina gran parte dell’economia italiana insieme alle altre regioni del nord, anche loro rallentate, fermate.

Come affrontare uno stop così pesante? Come garantire continuità lavorativa?

Le persone entrano nel panico, non vogliono raggiungere il posto di lavoro, non prendono i mezzi pubblici, anzi è il governo che invita tutte le imprese a fermarsi, invita le persone a non uscire di casa.

Stop. Fermiamoci. Ma il nord produttivo, come dicono spesso, si sa non si ferma.

Non si ferma per mentalità, per orgoglio, per deformazione professionale perché il passato agricolo legato al sacrificio è sempre vivo.

Non si ferma la produttività, intendiamoci, nel rispetto delle regole imposte dal governo.

Ecco che l’emergenza virus diventa un’occasione da cogliere, se il virus blocca gli spostamenti e svuota gli uffici, la tecnologia è pronta per essere messa sotto stress e diventare essa stessa virale.

Ecco che in meno di due giorni, il weekend per intenderci, cambia la mentalità, cambia la prospettiva. Parte la rivoluzione culturale.

Perché la digital transformation è innanzitutto questo, cambiare prospettiva.

smart working consigli

E quale occasione migliore se non un’emergenza di questo tipo, per poter assimilare e interiorizzare un cambio culturale che stavamo faticando a recepire?

Nei settori produttivi ove ciò è possibile.

In un weekend le aziende attivano in poco tempo:

  • Smartworking
  • Telelavoro
  • Task force tramite chat
  • Videoconferenze

Si creano VPN, desktop remoti, si configurano pc, si testano connessioni lo si fa in estrema naturalezza e non lo fanno solo i manutentori delle infrastrutture IT lo fanno direttamente le risorse interne alle aziende, quelle che nella quotidianità non hanno mai creato un tunnel vpn.

Perché la digital transformation parte dalla consapevolezza interna delle persone, dall’accettazione del cambiamento come naturale, dalla presa di coscienza che certe digital skill si apprendono anche senza averle già nel proprio background, che una volta apprese aprono le porte al cambiamento e la tecnologia ci segue, si adatta a noi e non viceversa.

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Come il digital è diventato virale?

Smart working

Al fine di limitare i contatti e gli assembramenti i datori sono invitati ad attivare, velocemente, la modalità di lavoro smartworking anche in assenza di accordo individuale (DPCM 11 Marzo 2020).

È importante la continuità lavorativa in un momento così difficile per evitare che le aziende vadano in crisi.

Secondo l’art. 2, c.1, lett. r) del DPCM 8/03/2020, è possibile applicare lo smart working, senza ricorrere all’accordo di cui alla Legge 81/2017, per tutta la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020. Lo stato di emergenza dovuto a coronavirus, ha una durata di 6 mesi decorrenti dal 31 gennaio 2020. Ne consegue che il termine ultimo per la durata degli smart working non può essere superiore al 31/07/2020 (ossia la scadenza dei 6 mesi).

Salva la deroga dell’accordo individuale, rimangono tutti gli altri adempimenti legati all’attivazione dello smart working individuati dalla Legge 81/2017.

Al fine di semplificare questo adempimento, vista la particolarità del periodo in corso, il DPCM 8/03/2020 prevede che quest’obbligo “possa essere assolto in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile dall’INAIL”. Invece l’accordo individuale può essere sostituito con una semplice lettera da consegnare ai lavoratori e da un file excel. Quest’ultimo va inoltrato al Ministero del lavoro con la procedura telematica (Fonte: lavorofacile.it).

Formazione aziendale/professionale a distanza

In un periodo di limitata mobilità e di riduzione del contatto sociale la formazione tradizionale, in aula, viene messa da parte per lasciare spazio alla formazione in modalità e-learning.

Consulenti del Lavoro, Commercialisti e professionisti in genere che necessitano di formazione aggiornata e costante possono continuare a formarsi, anche in questo momento difficile. Possono fare rete, porre quesiti e confrontarsi con gli esperti del settore e dare quindi continuità al loro lavoro e risposte alle aziende.

Non solo formazione per l’aggiornamento professionale normativo, ma anche formazione per sviluppare le digital skill, ora che oltre ad apprenderle, si possono da subito provare direttamente sul campo.

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Formazione a distanza digital transformation coronavirus

Meeting online

Riunioni vietate, ma call e meeting online sono forse gli strumenti che da più tempo fanno parte della nostra routine lavorativa.

È possibile organizzare e partecipare alle riunioni in un click via web.

Sono tool davvero molto evoluti, che vanno ben oltre la semplice telefonata, si possono condividere schermi e lavorare su documenti a più mani, da più pc.

Cloud

Il cloud, i nostri dati dove e come vogliamo i server online ci salvano in questo periodo di difficoltà.

Le informazioni organizzate in un unico punto, raggiungibile anche all’esterno dell’aziende, permettono una corretta circolazione delle informazioni e un processo lavorativo continuo e condiviso.

Le software house che hanno investito in questa direzione stanno oggi dando un servizio di valore aggiunto, aiutando i loro clienti a recuperare documentazione e a condividerla in libertà e sicurezza (da qualsiasi dispositivo).

Tele-assistenza

In un momento così delicato l’utilizzo di strumenti di teleassistenza consente alle aziende di potersi affiancare ai propri clienti dando supporto tecnico e pratico senza la presenza fisica dell’operatore.

La configurazione di un pc, di un server può avvenire a distanza così come il supporto sui macchinari.

Scuola Online

Le scuole di ogni genere e grado sono chiuse. Le università sono quelle che da tempo hanno adottato strumenti di distance learning e, quindi, quelle che in meno tempo e con un minor sforzo hanno potuto dare continuità alla didattica.

Discorso differente per primarie, medie e superiori.

Ogni scuola si è organizzata autonomamente, chi con video su YouTube, chi con video sui social, chi con Skype ma c’è chi ha osato utilizzando strumenti evoluti quali Google Classroom o WeSchool di Tim.

La scuola online è un tema delicato, spesso gli studenti della primaria necessitano di un affiancamento costante di un adulto che molto probabilmente sarà accanto al figlio, in smartworking e quindi impegnato nella sua attività lavorativa.

Il nostro sistema scolastico è pronto per essere digitalizzato ma, forse non è pronto per organizzarsi in così poco tempo.

Le Università da diversi anni utilizzano sistemi di insegnamento a distanza, con ottimi risultati e con soddisfazione alta degli utenti.

Primarie, medie e superiore hanno più che altro sperimentato pillole di insegnamento online, per un periodo limitato ma mai per un periodo di emergenza così prolungato nel tempo (salvo piccole eccezioni).

Grazie alle iniziative promosse dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e l’Agenzia per l’Italia digitale, è stata creata una bellissima iniziativa denominata “solidarietà digitale” attraverso la quale le aziende, privati e associazioni mettono a disposizione servizi tecnologici gratuiti per affrontare al meglio l’emergenza.

Tra questi servizi si annoverano anche strumenti per la didattica a distanza, utili anche per le scuole di grado inferiore.

Il 26 Marzo la minstra dell’Istruzione Azzolina, ha affermato che la didattica ha distanza ha raggiunto più di 6,7 milioni di alunni e che il 67% delle scuole che hanno attivato l’attività a distanza, prevede per essa specifiche forme di valutazione.

L’89% delle scuole ha anche predisposto attività e materiali specifici per gli alunni con disabilità. Il 48% delle scuole ha svolto riunioni degli organi collegiali a distanza. Per spingerla ulteriormente sono stati stanziati 85 milioni (Fonte: Ilsole24ore).

Scuola online

Scuola online digital transformation coronavirus

Solidarietà digitale

Alla luce degli aggiornamenti contenuti nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, che amplia le zone soggette a restrizioni per le misure di emergenza sanitaria a contrasto della diffusione del Coronavirus (SARS-CoV-2), MID e AGID hanno trovato un accordo aziende e associazioni per consentire a queste ultime di mettere a disposizione servizi gratuiti utili a:

  • Agevolare il lavoro da remoto, con connettività veloce e attraverso corrette piattaforme di Smart working;
  • Promuovere la didattica a distanza nelle scuole (su consiglio del MIUR);
  • Permettere lo svolgimento della vita quotidiana come: fare la spesa, attività sportiva, vita politica o religiosa;
  • Permettere la lettura di libri e quotidiani tramite smartphone o tablet.

A questa iniziativa possono partecipare tutte le aziende, che erogano servizi digitali, da fornire gratuitamente per un periodo limitato di tempo a tutta la popolazione.

Tutti i cittadini italiani possono usufruire dell’iniziativa.

LEGGI ANCHE: Smart Working e Solidarietà Digitale: strumenti e iniziative per il lavoro al tempo del Coronavirus

E-Salute e Telemedicina

I medici si stanno attrezzando per contattare virtualmente i pazienti in quarantena domiciliare, per poterli assistere anche a distanza, soprattutto in un momento in cui la sanità è al collasso e tutto il personale medico sanitario è impegnato h24 per affrontare l’emergenza.

La tecnologia ci viene incontro anche per istituire task force tra medici, scienziati e ricercatori. Analizzare i dati del contagio, attraverso evoluti sistemi di Intelligenza Artificiale, aiuterà gli addetti ai lavori a comprendere come il virus muta e si comporta e per prevedere quali cure sono più efficaci.

Come riporta il Mise, partono i nuovi incentivi previsti dal Decreto #CuraItalia per la produzione e fornitura di dispositivi medici e di protezione individuale per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19.

In tutto 50 milioni di euro per sostenere le aziende italiane che vogliono ampliare o riconvertire la propria attività per produrre ventilatori, mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza.

Si tratta di risorse che, rientrando nel regime degli aiuti di Stato, sono state autorizzate in meno di 48 ore dalla Commissione europea, dopo che la scorsa settimana il Ministero dello Sviluppo economico aveva immediatamente notificato alla Ue la misura introdotta nel Dl Cura Italia, in modo da consentirne un veloce utilizzo.

Problemi di Connessione

La viralità della DT ha certamente evidenziato evidenti problemi di stabilità della connessione, di copertura della connessione sul territorio nazionale e di saturazione delle reti dati.

Le nostre reti non erano pronte ad uno smart working forzato e di massa.

Secondo una ricerca della giornalista Manuela Gabbanelli, circa 11 milioni di italiani si trovano a lavorare da casa in assenza di connessione.

Questo è un tema importante e cha va affrontato subito. Essere pronti a remotizzare il lavoro passa anche da connettività efficaci ed efficienti.

In questo l’Italia sembra essere ancora indietro rispetto agli altri paesi europei.

Il commissario UE per il mercato interno per evitare il sovraccarico di rete, ha alle piattaforme di streaming video di non utilizzare l’alta definizione in questo periodo. Netflix ha risposto riducendo la definizione dei suoi contenuti per circa 30 giorni, lo stesso ha fatto Youtube.

La viralità non convenzionale della digital transformation

L’Italia in questa emergenza si è dimostrata pessima per alcuni comportamenti irrispettosi e irresponsabili ma, come sempre, ha mostrato il suo lato creativo e pragmatico.

Sono nate differenti iniziative che hanno portato la digitalizzazione e la tecnologia in settori dove la socialità e l’aggregazione sono il punto forte.

Ristoranti o servizi di ristorazione

Le attività di ristorazione, bar, locali sono stati duramente colpiti dalle misure restrittive, emanate dal Governo, e si sono attivate per trovare nuove modalità di lavoro.

Menù smartworking, ordina su whatsapp e ricevi il tuo smartlunch a domicilio, chiusi al pubblico attivi direttamente da te: queste alcune delle iniziative intraprese da bar, ristoranti e locali.

La consegna? Rigorosamente con guanti, mascherina e distanza di sicurezza.

Supporto psicologico online

Iniziativa di Luca Mazzucchelli per dare supporto alla prima zona rossa del lodigiano, quelli che sono stati subito “chiusi” per 15 giorni al fine di contenere il contagio.

Un utile supporto per chi ha visto cambiare la sua vita in poco tempo.

Sport online

Palestre e centri sportivi chiusi, ma l’allenamento non è compromesso!

Sono numerose le iniziate legate alle lezioni online, ai workout personalizzati, alle sessioni di allenamento via skype, zoom ecc.

I coach analizzano le attrezzature a disposizione e creano il corretto mix di esercizi. Il tutto diventa virale, perché la socialità fisica è inibita, ma la socialità virtuale no.

Ecco che quindi i centri sportivi spingono a condividere l’allenamento, a mostrarsi attivi nonostante il virus tenda invece a collocarci sul divano.

Spesa OnLine

Qui nulla di nuovo ma solo un’impennata di richiesta di consegne a domicilio che hanno stressato il sistema portandolo in alcuni casi al collasso. Esselunga, Amazon, Carrefour e Bennet ecc si sono trovate subissate di richieste.

LEGGI ANCHE: #IoRestoaCasa: ecco le risorse gratuite messe a disposizione dalle aziende italiane per l’emergenza Coronavirus

Cambiamenti digital transformation coronavirus

Quando cambiamento vuol dire digital transformation

La grave situazione di emergenza sanitaria che si è abbattuta sull’Italia ha rivoluzionato, in poco tempo, il tempo di vita e il tempo di lavoro di tutti gli italiani. Ha però evidenziato quanto siamo capaci di adattarci velocemente ai cambiamenti, sfruttando la tecnologia in modo attivo e non passivo.

Questo passaggio mostra un forte cambio culturale, quello necessario per intraprendere il percorso di digitalizzazione.

Nella crisi ci siamo trasformati, abbiamo appreso nuove skill digitali ci siamo evoluti e se il virus ci ha chiuso nelle nostre case (#iorestoacasa) la tecnologia ci ha aperto verso nuove frontiere. Verso un nuovo modo di lavorare.

In un modo o in un altro, usciremo da questa crisi cambiati.

Certamente la tecnologia non avrà aiutato la maggior parte delle attività che hanno un contatto, quasi esclusivo, con il pubblico. Il danno economico rimane, quello non si cancella ed è anche grande.

Il governo deve vigilare e intervenire subito, con interventi reali a sostegno dell’economia, delle imprese e delle famiglie.

L’Europa deve fare cerchio su questa situazione, tutelare il mercato interno, tutelare le persone.

Gli altri siamo noi, non solo uno spot ma una vera attualità.

mobile factory accenture google

Cosa significa avere un approccio mobile first e quali sono i vantaggi per le aziende italiane

Non è certo una novità che il mondo digitale stia ormai nel palmo della mano: i tempi in cui gli utenti utilizzavano internet come un sistema asincrono, preventivo, facendo ricerche e richieste per il futuro sono ormai lontani.

Oggi chi accede alla rete cerca informazioni puntuali, in tempo reale. Vuole sapere ciò che lo circonda, e dà per scontata la geolocalizzazione. Si aspetta notizie aggiornate al secondo, in un mondo in cui ormai spesso i social forniscono aggiornamenti su temi scottanti più in fretta dei media. Dà per scontato che i brand, quando interagiscono online, siano tanto veloci, tecnologici e smart quanto lo è lui stesso.

Anche quando parliamo di eCommerce, secondo l’ultimo Report Digital 2020 di We Are Social, “quasi 3 utenti internet su 4 (74%) hanno acquistato prodotti online nell’ultimo mese con device mobili, che superano desktop e laptop attestandosi al 52% di device share per pagamenti online: è la prima volta che registriamo questo sorpasso”.

È un mondo nuovo, diverso, a cui chi voglia sfruttare le potenzialità del digitale si deve adeguare e anche velocemente.

Se da un lato Google sta lavorando da diversi anni a soluzioni e strumenti per il mobile, anticipando il mercato e le esigenze di imprese, brand e consumatori, anche Accenture ha colto questa grande sfida con la recente creazione della sua Mobile Factory, con team dedicati che possano traghettare in maniera molto veloce le aziende da una sponda all’altra di questo cambiamento.

La collaborazione fa leva sulla capacità di adattare e rendere fruibile la tecnologia per andare veramente verso il mondo mobile, abbracciando un paradigma completamente nuovo nella sua interezza, con metodologie e programmi che possano essere adottati velocemente e accelerare la crescita delle performance mobile.

Le esigenze del nuovo mondo mobile first

Sull’onda di questo crescente trend, già dalla fine del 2015 Google aveva iniziato a dare centralità alle AMP, acronimo di Accelerated Mobile Pages, con un progetto Open Source pensato per rendere più accessibili i contenuti via mobile web e per migliorare le prestazioni dei siti su questi device. Un progetto che si è evoluto negli anni successivi all’interno di un ecosistema mobile nel quale oggi termini come speed e PWA (progressive web App) sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune nel mondo digitale.

Lo ha confermato Davide Contrini, Managing Director Accenture Interactive, responsabile per il Digital Marketing: “L’utente ormai ha accesso all’informazione via mobile in maniera totale, continua. La fruizione di qualunque contenuto tramite questi device deve essere molto più veloce, tenendo anche conto delle esigenze di localizzazione e di sincronicità: gli utenti spesso cercano risposte da un brand, e vogliono da esso una risposta istantanea e precisa”.

Più veloce è il caricamento di una pagina, più velocemente questa potrà essere visualizzata dai visitatori. Dal punto di vista del consumatore, questo è uno degli elementi più importanti di un sito. Come dicevamo, le persone non vogliono aspettare. Un ritardo di un secondo può significare la differenza tra una conversione o un abbandono.

In effetti, lo dimostrano chiaramente i dati: i tassi di abbandono se non viene erogato un contenuto in meno di 3 secondi aumentano esponenzialmente. Sopra questo tempo, più di due terzi dei consumatori lascia il sito. Questo ovviamente ha un impatto enorme, specie nel mondo degli acquisti online.

La capacità di fornire il contenuto in maniera veloce e allineata all’immagine del brand, specie se il canale online è transazionale, è fondamentale.

Per molto tempo le aziende e gli enti italiani non hanno tenuto conto dell’evoluzione delle esigenze e del comportamento dei propri clienti, ma ormai nessuno può negare che i tempi siano cambiati. È già storia come l’uso di internet da mobile abbia superato quello da desktop anche nel nostro Paese.

Google ha registrato questo cambiamento dal punto di vista delle queries effettuate da questi dispositivi: l’incremento di ricerche del tipo “pizzeria più vicina aperta adesso” denotano un cambio totale di scenario. La necessità oggi è quella di rispondere a un bisogno in tempo reale, con informazioni minimali (e pochi passaggi intermedi per ottenerle) ma accurate. Non importa a nessuno sapere le pizzerie vicine se sono chiuse, o quelle aperte adesso che però non sono a portata (quindi, ricerche anche geolocalizzate). È richiesto un approccio totalmente diverso da quello del mondo desktop, e le aziende che non riescono a stare al passo moriranno presto.

Lo conferma Paola Marazzini, Director Agency and Strategic Partnerships di Google Italia: “In questo scenario è fondamentale per le aziende avere asset digitali che forniscano un’esperienza informativa, di consumo e di intrattenimento all’altezza delle aspettative, sempre più alte.

I consumatori sono sempre più curiosi, cercano di tutto, non solo informazioni ad alto valore aggiunto: sono loro stessi a stabilire il valore di ciò che c’è online”.

Spesso l’ottimizzazione per il mobile è stata considerata come l’ “ultimo miglio” delle strategie digitali, utilizzando plugin che facessero velocemente il lavoro di convertire pagine tradizionali in pagine veloci e mobile-friendly. Con il rischio però di non rendersi conto che, se non si cura adeguatamente questo aspetto, si rischia di vanificare tutto il resto del lavoro.

Uno scenario cambiato che unisce Accenture e Google nel sostenere che parlare di AMP ormai non è più sufficiente: è tutto l’ecosistema web che deve essere preso in considerazione in veste mobile.

Aziende e addetti ai lavori hanno estremo bisogno di soluzioni che permettano di fornire ai propri clienti la miglior modalità di accesso a quello che è il sistema più utilizzato per navigare in rete.

mobile first

Le skill per portare la tua azienda nel futuro

Per “fare mobile” internamente è necessario allocare risorse importanti: il supporto di un partner esterno e di fiducia può essere fondamentale per ottenere metodologie e skill che aiutino le aziende attraverso questa straordinariamente delicata trasformazione.

mobile

Nelle esperienze multicanale, il mobile è sia il punto d’ingresso che l’ultimo miglio dei consumatori. Tutti i settori industriali sono impattati, il B2C in maniera solo apparentemente più diretta che il B2B.

Skill e competenze tecniche sono indispensabili per acquisire la giusta tecnologia, ma anche i corretti metodi e una visione di indirizzo di un mercato in continua evoluzione.

Se ne parla da molto tempo, certo, ma ora ci stiamo davvero addentrando in questo nuovo mondo anche in termini di offerte create ad hoc per il mobile. La capacità di guidare l’evoluzione su questo tipo di tematiche sarà quindi fondamentale.

In un mondo sempre più connesso e sempre più mobile, i confini fisici decadono: l’esperienza utente e la capacità delle aziende di non sprecare il patrimonio di relazione costruito finora saranno sempre più importanti. L’obiettivo finale è quello di cavalcare davvero quest’onda con una visione integrata della navigazione mobile.

social media intelligence

Social Media Intelligence: quali sono le applicazioni?

  • Grazie alla Social Media Intelligence si possono scoprire e conoscere i ‘territori’ nei quali conversano le persone che vogliamo raggiungere
  • Le informazioni strategiche raccolte nelle conversazioni online e gli opinion leader diventano dei veri e propri asset del decision making
  • Grazie al Social Listening si possono prevedere e gestire crisi di comunicazione e reputazione
  • Occorrono competenze nuove all’interno del processo decisionale, per far diventare le azioni sempre più data-driven

 

Quanto tempo passiamo online? Sembra che l’utente internet medio nel corso del 2020 spenderà online un tempo pari a oltre 100 giorni (6 ore e 43 minuti al giorno). Collettivamente, dunque, spenderemo online 1,25 miliardi di anni. Oltre un terzo di questo tempo, 2 ore e 24 minuti al giorno, sarà speso sui social.

Per le aziende si tratta di un’occasione incredibile: come già visto, grazie alla Social Media Intelligence si possono scoprire e imparare a conoscere i ‘territori’ nei quali conversano le persone che ci interessa raggiungere e dunque anche individuare quegli attori che riescono a stimolare gli opinion leader prima dell’azione.

Come? Ecco alcuni degli esempi principali per ottenere il massimo dall’analisi dei dati e dall’ascolto strategico.

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Competitive Intelligence

Una delle applicazioni più utili del Social Listening è la Competitive Intelligence, cioè la raccolta e l’analisi di informazioni su prodotti, concorrenti e qualsiasi altro aspetto dell’ambiente competitivo. Non si tratta solo di analizzare la concorrenza, ma di apprendere il più possibile sul settore di riferimento, sugli stakeholder coinvolti e sui loro discorsi – cogliendo in tempo reale le varie opportunità e tarando di conseguenza il piano d’azione.

Fare intelligence sui Social Media significa approcciarsi ai Big Data con un atteggiamento nuovo, o comunque diverso: non più dati lasciati fuori perché troppo particolari ma integrati, coesi, utili e, soprattutto, completi. In questo modo le informazioni strategiche (i dati raccolti nelle conversazioni in rete) e gli opinion leader (utenti autorevoli che parlano del brand, del prodotto o del tema di interesse e che possono influenzare l’acquisto o le scelte e le opinioni di migliaia di altri utenti) diventano dei veri e propri asset del decision making.

La Competitive Intelligence permette di fare delle analisi approfondite particolarmente efficaci, come ad esempio la comparazione dello share of voice analizzando i volumi di conversazioni oppure la comparazione della percezione relativa alle tematiche presidiate tramite la sentiment analysis. Un approccio che consente anche l’identificazione dei trend e criticità su cui impostare le campagne di comunicazione e le azioni di PR, come anche la comparazione del target e delle audience a cui l’organizzazione si rivolge.

Grazie a questa analisi, insomma, è più semplice impostare delle attività di posizionamento o di gestione della reputazione.

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Gestione della reputazione

La reputazione è un valore fondamentale per le organizzazioni, ormai è quasi scontato dirlo: è talmente importante che è stato coniata l’espressione “the Reputation Economy” per definire l’economia del 21° secolo. Già nel 2015 il World Economic Forum aveva annunciato che il 25% del market value di un’azienda è rappresentato dalla reputazione e uno studio più recente di Reputation Institute ritiene che nella scelta d’acquisto, il prodotto vale sempre meno (il 33%), perché ha perso definitivamente la capacità di essere il fattore distintivo.

La Rete è il primo veicolo per costruire la reputazione di un brand (così come di un prodotto o di un servizio) e i social media assumono un ruolo primario: si è sviluppata una forte disintermediazione tra produttore e fruitore di informazioni, con una centralità sempre maggiore dalle community online.

Grazie alla Social MediaIntelligence si possono analizzare gli andamenti dei discorsi intorno alle tematiche di interesse, conoscere meglio tali community in termini di demografia, interessi e bisogni.

Cosa possiamo fare con queste informazioni? Per esempio interagire con i nodi di riferimento all’interno del network, per proporre a nostra volta dei discorsi che potranno modificare la percezione iniziale.

social media listening

Crisis communication

Un’altra applicazione sempre più importante del Social Listening è quella della gestione della comunicazione di crisi.

Nella sfera sociale digitale la crisi è un frenetico accavallarsi e rincorrersi di conversazioni, in cui ogni interlocutore lascia la propria impronta valoriale, aggiungendola a quella di chi l’ha preceduto. Ogni utente poi, tende a portare il proprio contributo, innescando spin-off conversazionali che si aggiungono, in termini di impatto reputazionale, a quelli già in crescita, come ricorda Daniele Chieffi in Online Crisis Management: Strategie ai tempi dei social media.

La previsione della crisi è l’attività cardine del crisis management, possibile grazie ad un ascolto continuo dei social network e delle conversazioni relative ai temi che toccano da vicino l’azienda.

Grazie alla sentiment analysis, ad esempio, si può anche essere immediatamente aggiornati in caso di repentine evoluzioni negative nell’opinione della audience. E anche una volta che la crisi è scoppiata possiamo monitorare l’ambiente di riferimento, comprendere come intervenire e interagire con i nodi più importanti del network: si potrà ad esempio analizzare il sentiment della copertura media, il tenore della reputazione e la capacità di penetrazione e d’influenza della linea di comunicazione e dei messaggi decisi a livello strategico.

Social Media Intelligence e Data-driven strategy

È evidente che occorrono competenze nuove all’interno del processo decisionale, per far diventare le azioni sempre più data-driven. Per le aziende non è solo necessario acquisire nuove competenze professionali, ma anche imparare ad agire all’interno di un ecosistema sociale digitale, dove agiscono dinamiche di tipo psicologico, sociologico, antropologico.

La differenza? La farà chi sarà stato bravo a dotarsi di figure professionali che vadano al di là dell’analisi del dato, ma che sappiano interpretarlo, aggregarlo e comunicarlo.

insight driven marketing

Insight-driven Marketing: che cos’è e perché è la chiave per il successo

  • Il 41% delle aziende analizzate nel report “The 2019 State of Digital Marketing” pubblicato da Altimeter afferma che la skill più richiesta in ambito di assunzione è l’analisi dei dati
  • Più del 60% conferma di studiare in profondità il Customer Journey per implementare strategie basate sulla personalizzazione del messaggio e customizzazione dei prodotti
  • Il 32% dei consumatori intervistati da PwC ammette che per abbandonare un brand – anche se molto apprezzato – può bastare anche una sola brutta esperienza

 

Tra Generazione Y, Millennial, Gen Z e i nuovi Centennial, i marketer si trovano ad affrontare quotidianamente una evoluzione continua e rapida del proprio target di riferimento. Questo significa che, insieme all’età dei consumatori, cambiano anche loro i gusti e le loro richieste.

Per questo studiare il comportamento degli stessi è fondamentale per riuscire ad elaborare una strategia di Marketing basata su degli Insight reali ma soprattutto puntuali. Proprio da qui nasce il concetto di Insight-driven Marketing, che in realtà è basato su un’altra specifica strategia ovvero il Data-driven Marketing.

Consiste nell’utilizzare i dati sulle abitudini di consumo e le informazioni sugli utenti – raccolti in precedenza tramite attività di Social Listening, ad esempio –  per ottimizzare le strategie di comunicazione sul digital o, in casi più complessi, guidare decisioni importanti come può essere il lancio di un nuovo prodotto.

Secondo il report “The 2019 State of Digital Marketing” pubblicato da Altimeter, il 41% delle aziende analizzate afferma che la skills più richiesta in ambito di assunzione è appunto l’analisi dei dati.

Inoltre, più del 60% conferma di studiare in profondità il Customer Journey per implementare strategie basate sulla personalizzazione del messaggio e customizzazione dei prodotti.

LEGGI ANCHE: Addio agli stereotipi: cari brand forse è ora di cambiare (partendo dai dati) 

I vantaggi nell’utilizzare tecniche di Insight-driven Marketing si riscontrano soprattutto in un aumento della soddisfazione da parte dei consumatori, che di conseguenza sono maggiormente propensi ad essere più fedeli al Brand.

Senza una buona base di dati non si va da nessuna parte 

Come accennato all’inizio dell’articolo, per poter lavorare con questo impianto strategico è fondamentale partire dal dato: per avere degli Insight utili per elaborare creatività funzionali, i marketer devono prima analizzare e comprendere i dati che hanno a disposizione.

Non parliamo ovviamente di dati di puro contatto, ma dati demografici, istruzione, interessi, stile di vita, esperienza professionale: tutto può essere utile per estrapolare una strategia in grado di colpire nel segno. 

La quantità di informazioni che si possono reperire sul consumatore è davvero immensa, per questo saperla organizzare e ordinare è altrettanto importante. Esistono DMP (ovvero Data Management Platforms) – come ad esempio Lotame, Clearbit e la più famosa Oracle Data Cloud – pensate proprio per facilitare i marketer in questo compito.

Dalla parte dell’utente per migliorare la sua Customer Experience

Una ricerca condotta da PwC dal titolo Experience is Everything riporta che in tutto il mondo il livello di qualità dell’esperienza di consumo è fondamentale per guidare gli utenti nella loro Customer Journey.

Il 32% dei consumatori, infatti, ammette che per abbandonare un brand – anche se molto apprezzato – può bastare anche una sola brutta esperienza. Inoltre, il 63% degli intervistati dichiara di essere più propenso a condividere informazioni personali con Brand che offrono una esperienza customizzata in base alle loro esigenze.

Un dato molto importante che emerge da questa ricerca è che, ovviamente, il target che maggiormente apprezza questo tipo di personalizzazione della Customer Experience è la Generazione Z.

Una ricerca condotta da Walker nel “lontano” 2013, infatti, prevedeva già che nel 2020 proprio il livello di qualità della Customer Experience sarebbe stato l’elemento chiave della differenziazione del brand rispetto ai competitor, superando addirittura il prezzo del prodotto o servizio stesso.

Oggi più che mai, i consumatori si aspettano che i Brand comprendano nel profondo le loro esigenze, anche a livello individuale. Per compiere queste aspettative, per i marketer è imprescindibile basarsi sull’Insight-driven Marketing. 

McKinsey & Company riporta che il Marketing personalizzato può aumentare le vendite totali di un prodotto del 15-20% – dato che aumenta per le vendite online – migliorando significativamente il ROI sulla spesa di Marketing.

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Dalla parte del Brand per uno sviluppo di prodotto più avanzato

L’Insight-driven Marketing non solo è fondamentale per migliorare la Customer Experience, ma può aiutare i Brand nello sviluppo di un nuovo prodotto o nella definizione di un nuovo servizio.

Quando un prodotto non si adatta alle esigenze dei consumatori, infatti, le probabilità che il lancio sul mercato sia fallimentare sono molto alte: riuscire a raccogliere in una prima fase di sviluppo informazioni e insight reali sul target di riferimento permette di ridurre significativamente queste possibilità di fallimento.

Ma proviamo ora a pensare al Digital Sales Funnel e a come il giusto contenuto, nella giusta fase, riesca a guidare più facilmente i potenziali consumatore verso il processo finale di conversione.

Non sono proprio gli Insight ad aiutare i marketer a produrre il contenuto perfetto? Esattamente. Grazie all’analisi dei dati è possibile identificare quali specifici contenuti stanno performando meglio e quali ottengono feedback non in linea con il desiderata, riuscendo così ad ottimizzare le campagne di comunicazione.

Dalla parte dei marketer per la comunicazione online

Sono molti i Brand che basano sull’Insight-driven Marketing le loro strategie di comunicazione, come ad esempio Apple, Nike o Spotify.

Tra le più recenti, possiamo trovare la campagna natalizia di Hotels.com “Xmas Excape” che ha avuto un grande successo in Inghilterra.

Il brand ha condotto una ricerca basata su oltre 7000 Millennial in tutto il mondo, in 20 Paesi, approfondendo in particolare le conversazioni che avvengono all’interno delle famiglie durante il periodo delle vacanze di Natale. Dalla ricerca emerse che i Millennial single erano vittime di fastidiosi interrogatori sulla loro vita sentimentale e lavorativa da parte dei loro parenti durante il pranzo natalizio.

Il risultato di questo studio ha ispirato la campagna “Xmas Excape” nella quale Hotels.com ha concesso ai Millennial una “via di fuga”offrendo il 50% di sconto sugli hotel a partire dal 26 Dicembre, per godersi un po’ di tempo da soli e riprendersi dal traumatico pranzo di Natale con i parenti.

Emma Tagg, Senior Global Brand Communications Manager di Hotels.com, ha commentato così l’idea della campagna:

“La ricerca ci ha permesso di identificare il momento esatto in cui i Millennials desideravano fuggire dal Natale in famiglia, e i motivi principali per cui la gente viveva il periodo festivo come un dramma familiare”.

Concludendo, i marketer oggi hanno accesso più che mai a dati e informazioni sui loro consumatori: riuscire a sfruttarli per l’implementazione di strategie di Insight-driven Marketing può rivelarsi un vero vantaggio competitivo per riuscire a differenziare il proprio brand dalla concorrenza.

marketing crosscanale

Il Marketing Crosscanale nell’era del Retail 5.0 generata dall’emergenza Coronavirus

  • L’emergenza Coronavirus ha portato alla chiusura della maggior parte dei negozi fisici tradizionali in Italia
  • L’eCommerce ha conosciuto un’impennata in termini di ricerche e di vendite nelle ultime settimane
  • Un approccio di marketing crosscanale può aiutare le aziende a dare una risposta efficace alla crisi del retail dovuta all’epidemia

 

La crisi dovuta al Coronavirus è, molto prima di qualunque altra cosa, una tragedia umana globale che coinvolge centinaia di migliaia di persone. Talvolta, purtroppo, in maniera fatale.

Ma ci sono anche delle conseguenze per il marketing e per la sua capacità di servire la causa degli individui in quanto consumatori; per migliorare le loro vite, anche e soprattutto in un momento di sfide e cambiamenti. E così in questi giorni anche la professione del marketer assume i contorni di una missione.

Cosa sta succedendo in Italia per l’emergenza Coronavirus

Il 10 marzo in Italia è infatti successo l’impensabile: tutti i negozi fisici tradizionali hanno dovuto chiudere. Una cosa inaudita che, per metterla in prospettiva, nemmeno durante le due guerre mondiali era accaduta. Chiusi tutti i punti vendita tranne quelli di pubblica utilità, s’intende. In primis gli alimentari. Eppure, proprio il grocery in questi giorni sta trainando la crescita dell’eCommerce. Perché? Perché il mutamento che stiamo vivendo in diretta ha due caratteristiche importanti che stanno prendendo forma di ora in ora:

  • non è un mutamento di breve-medio periodo
  • non è (o meglio, non soltanto) un mutamento nel mix dei canali distributivi

Da questo possiamo trarre la conclusione che quello che stiamo vivendo non è né un cambiamento che riguarda le marche né un cambiamento che riguarda le insegne.

Oggi in Italia stiamo vivendo un mutamento epocale che riguarda i consumatori.

Per questo l’impatto sarà molto più strategico di quello che oggi si può anche soltanto immaginare. Sarà strutturale, rivoluzionario, di lungo periodo – ma anche innovativo e per il meglio. Stiamo entrando nell’era del Retail 5.0.

Un esempio: nella seconda e nella terza settimana di marzo la crescita a valore dell’eCommerce rispetto al pari periodo del 2019 è stata rispettivamente del +81% e del +82% [Dati: Nielsen]. Con un incremento del 30% rispetto alla settimana precedente. È poco. E dire che è poco non è una provocazione. Lo dimostra tra gli altri indicatori il grafico dei volumi di ricerca Google indicizzati per la query “spesa online”: qui la crescita ha picchi del +1250%.

LEGGI ANCHE: Come cambia il ruolo del Social Media Manager in situazioni di emergenza (e cosa puoi fare adesso)

Marketing Cross Channel dati spesa online

Cosa significa lo spostamento dei consumi sul digitale?

Significa che lo spostamento dei consumi verso i nuovi canali digitali (dagli eCommerce proprietari ai marketplace, come Amazon e AliExpress) è appena cominciato. Infatti, su Amazon, la query “spesa online” è cresciuta di un inequivocabile +2814% negli ultimi 30 giorni, dandoci il senso di un processo ampio che un’analisi comparata restituisce in tutta la sua potenza.

marketing crosscanale coronavirus volumi ricerca

Che poi l’eCommerce fosse un canale in ascesa non è certo una novità per nessuno. Negli ultimi dieci anni anche in un’Italia per certi versi digitalmente-arcaica è cresciuto anno dopo anno di una cifra variabile tra il 17 e il 22% [Dati: Politecnico di Milano]. Con picchi al +40% per le categorie in ascesa, tra le quali proprio il grocery.

Quindi, ricapitolando, in queste settimane stiamo viaggiando a 4 o 5 volte tanto la velocità degli ultimi dieci anni. Un mutamento strutturale che, appunto, è solo al suo inizio. Perché una nuova predisposizione all’acquisto digitale si va sedimentando.

In definitiva, quindi, anche se siamo tutti bloccati in casa, quello che dicono di noi le query di Google è che il fenomeno dell’infocommerce è sempre più la guida, la pancia dello shopping behaviour.

Il fenomeno dell’infocommerce che a sua volta è il primo, per importanza, tra i fenomeni crosscanale (nel senso che di solito ci si informa online per acquistare sia online che offline). Per questo forse è proprio l’impostazione strategica dei nostri piani di marketing in un’ottica crosscanale che può rappresentare la vera uscita da questo tunnel del COVID-19.

LEGGI ANCHE: Introduzione al Marketing Crosscanale: cos’è, come funziona e perché fa vendere di più

Cosa significa crosscanale e cos’è questo approccio al marketing?

Crosscanale è una strategia che usa un mix di canali per produrre risultati incrementali misurabili, tipicamente in vendite.

marketing crosscanale significato

Le strategie crosscanale permettono cioè a consumatori sempre più connessi di iniziare, condurre e completare un’esperienza di acquisto su qualsiasi mezzo che sia per loro più comodo, nel momento in cui gli è più comodo: motore di ricerca, social media, email, mobile app, eShop e, infine, il negozio fisico, che manterrà sempre e comunque un ruolo chiave nella fase di transazione, con buona pace del Coronavirus.

Avere una strategia crosscanale non significa però riprodurre un contenuto identico su più canali: questo è l’approccio omnicanale al marketing.

L’obiettivo di una campagna crosscanale efficace è invece raccontare la stessa storia in modo diverso a seconda del media utilizzato. Ogni canale è utilizzato dai consumatori in modo differente e unico; allo stesso modo la comunicazione di un brand deve seguire lo shopping path, utilizzando i media più adatti e ROI-effective passo dopo passo.

marketing crosscanale coronavirus funnel

Queste ibridazioni mediatiche sono un’opportunità unica per cogliere il massimo dallo status quo fortemente multicanale di oggi e tremendamente volatile di questi giorni. Un’opportunità da cui si può ottenere il massimo costruendo piani media crosscanale vincenti ma flessibili (a CPC) con obiettivi quantitativi, in vendite.

Il Marketing Crosscanale ci permetterà di uscire indenni da questa crisi?

Mi piacerebbe tanto, ma in queste prime settimane stiamo solo vivendo l’inizio di un lungo periodo di incertezza. Che un approccio crosscanale al marketing e alla comunicazione possa essere più utile di altri lo dimostra un’analisi di buon senso di quello che sta accadendo in questi giorni a tante aziende con cui parliamo tutti:

  • chi non aveva un eCommerce (o Amazon) sta correndo ai ripari
  • chi aveva una strategia media/retail monolitica la sta abbandonando

Chi già aveva pianificato in senso crosscanale, invece, mi sembra che ne esca meglio degli altri. Chi assieme alla TV ha guardato a YouTube continua a fare media, come prima, cambiando il mix verso il secondo mezzo e spendendo a CPV, quindi a consumo: mantiene un problema sui volumi, certo, ma non sulle performance %. Lo stesso esempio si può fare per Google.

Chi a un piano di store-visibility ha affiancato un piano media sui social può contare più che mai sul real-time-marketing e sullo user-generated-content. TikTok, che è il social del momento anche in Italia, è un approdo perfetto per entrambe queste esigenze. Ma siamo tutti sempre più instagramer, oltre che tiktoker, in questi giorni: la produzione dei contenuti è un’ancora di salvezza – e può certo esserlo anche per aziende che hanno il coraggio di guardare a queste soluzioni create delle loro stesse audience target in chiave di branding.

Questi comportamenti “misti” o meglio “cross” costituiscono il background a partire dal quale il marketing crosscanale, che in questi anni ha acquisito una centralità crescente, si configura come (a) soluzione flessibile dal punto di vista dello spending ma anche (b) strategica nel suo andare incontro di corsa a quello che sta cambiando, oggi, nei sentimenti e nelle azioni dei consumatori italiani – di oggi e di domani.

marketing crosscanale kpi

D’altronde l’impatto delle soluzioni crosscanale adottate dai brand era già visibile su più livelli prima della crisi. Il primo è quello del costo per contatto rispetto alle soluzioni di marketing che mettono al centro un piano univoco che coinvolga solo media tradizionali: il costo è mediamente 1/10 in un piano crosscanale. Il secondo è quello dell’impatto sulle vendite in termini di uplift: fino a due volte meglio di un piano tradizionale [Dati: XChannel].

10 errori social media advertising

10 errori di Social Media Advertising da non commettere in una campagna

  • Sui social non è sufficiente applicare le strategie nel modo corretto e saper utilizzare gli strumenti, bisogna anche sapere quali sono gli errori di Social Media Marketing da non commettere
  • Dal targeting corretto all’uso del pixel di Facebook, fino agli A/B test, ecco cosa non dovresti sbagliare nelle tue campagne

 

I consigli sul Social Media Marketing ormai si sprecano. Troviamo facilmente esperti e professionisti pronti a darci dritte e spiegazioni su cosa fare per migliorare la presenza social di un brand o di un’azienda, su come organizzare una campagna di influencer marketing e sulle metriche da monitorare. Quello che manca, invece, è una guida al contrario.

Quali sono gli errori più comuni commessi nel Social Media Advertising?

Abbiamo realizzato una lista con i 10 errori di social media marketing più comuni che uccidono le prestazioni delle tue campagne sui social media, vediamoli insieme.

errori da non commettere nel social media advertising

1. Non comprendere gli obiettivi degli annunci

La prima domanda a cui si dovrebbe rispondere quando si realizza una campagna per i social è: “Perché vuoi pubblicare questa campagna / set di annunci?”.

Hai bisogno di aumentare l’awareness? Speri di aumentare le vendite su un prodotto specifico? Stai costruendo una mailing list? Vuoi contatti qualificati? Comprendere a fondo il motivo per cui desideri pubblicare un annuncio e le opzioni disponibili sulle piattaforme di gestione degli annunci è fondamentale.

2. Il rischio spam

Molti inserzionisti tendono a creare un targeting davvero troppo ampio: età compresa tra i 18 e i 65 anni, in tutto il mondo, con interessi diversissimi. Ecco uno degli errori di social media advertising più comuni.

Anche questo può essere controproducente: la potenza dei social e degli strumenti offerti dalle piattaforme, sta anche nella capacità con cui siamo in grado di utilizzarli per una comunicazione rilevante per gli utenti.

Il targeting degli annunci in base a interessi, area geografica e, in alcuni casi, titolo professionale è fondamentale per campagne che performino. Inoltre utilizzare il pixel di Facebook permetterà di eseguire il remarketing per i visitatori di un prodotto specifico o per l’abbandono del carrello.

errori campagna social media advertising

3. Mettere il brand prima dell’utente

Le persone non sono sui social per guardare la pubblicità, dunque creare un annuncio con l’illusione che sarà automaticamente guardato dagli utenti è quanto di più sbagliato si possa pensare. La pubblicità sui social media riguarda un processo di scoperta. Considera la capacità del tuo annuncio di incuriosire o di offrire un suggerimento, un consiglio o un’informazione utile.

Il tuo advertising dovrebbe innanzitutto stimolare l’interazione con il pubblico. In questo senso un copy che inviti a partecipare è un’ottima tattica per aumentare l’engagement: “Commenta se…”; “Se ti piace…”; “Qual è il tuo preferito…?”. Sono tutte formule con cui catturare l’attenzione e invitare al dialogo.

4. Non utilizzare correttamente (o non usare affatto) il remarketing

Se hai installato il pixel di Facebook sul tuo sito web, dovresti anche avere una strategia per usare le informazioni che questo ti fornisce: stai offrendo annunci di Facebook generici a ogni singolo visitatore del tuo sito web, sperando che tornino e trovino un modo per acquistare da soli? Ecco un consiglio utile: crea due set di annunci, il primo orientato a coinvolgere le persone su un determinato prodotto o linea di prodotti. Assicurati di utilizzare il pixel di Facebook nel monitoraggio per ampliare un pubblico in linea con la tua attività. Il secondo per creare il vero e proprio remarketing rivolto solo alle persone che hanno fatto clic sul primo set di annunci e non hanno acquistato.

Sai già che non hanno acquistato, se il tuo pixel è installato correttamente, quindi puoi interrompere la pubblicazione del primo set per chiunque non abbia visitato la pagina di ringraziamento dopo l’acquisto. A loro puoi proporre, ad esempio, la spedizione gratuita, sconti o altri premi per tornare indietro e acquistare subito.

Tieni traccia delle conversioni su questi set e confrontale con le tue vendite.

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5. Sottostimare gli annunci

Facebook ci dà già un’indicazione del pubblico potenziale che è possibile raggiungere con un determinato budget. Ma è bene settare il giusto investimento anche in base al target. Le persone hanno infatti di vedere più volte lo stesso annuncio prima di interessarsene e la ripetizione è essenziale.

Ogni giorno vediamo fino a 5.000-20.000 messaggi pubblicitari e il tempo trascorso su Facebook è di più di due ore al giorno, con una sessione media di 20 minuti. Ci sono 300 milioni di foto caricate ogni giorno su Facebook e queste arrivano proprio al tuo pubblico di destinazione. Pianifica quindi di mostrare il tuo annuncio dalle 8 alle 12 volte prima di ingaggiare un utente. Tieni duro e continua a bussare alla porta del tuo pubblico fino a quando non avrai un appuntamento.

6. Non avere una strategia

C’è una vera e propria scienza dietro l’ottimizzazione di ogni singola opzione pubblicitaria su Facebook e Instagram. Il segreto come in ogni disciplina matematica è sperimentare: modifica il target se necessario, prima di lanciare la tua campagna crea A/B test su pubblici più piccoli e solo dopo aver individuato l’annuncio che performa meglio, dai un boost alla spesa pubblicitaria.

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7. Usare gli user generated content senza autorizzazione

È così allettante la possibilità di utilizzare i contenuti dei fan nella tua pubblicità. I tuo follower infatti stanno scattando foto, creando contenuti e promuovendo il tuo brand in modo del tutto spontaneo con la loro rete di amici. Gli UGC sono considerati uno dei messaggi di vendita più affidabili dagli utenti, ma per usarli nella tua strategia devi innanzitutto ottenere l’autorizzazione a farlo. Cerca modi originali per integrare questi contenuti nella tua strategia paid, in modo da avere un ulteriore ritorno di visibilità da parte degli utenti stessi.

8. Non sfruttare al massimo la creatività

Non puoi essere pigro quando si tratta di social media e creatività: anche se richiede più lavoro, creare caroselli o annunci multi-foto può portare a performance decisamente migliori. Questi formati infatti ti consentono di non lanciare solo un messaggio, ma di raccontare una vera e propria storia e coinvolgere più facilmente il pubblico.

Se non ne sei proprio capace, allora punta sulla CTA: scegli un copy allettante e super breve, per acchiappare subito i clic del tuo pubblico. Ad esempio potresti puntare su una promo o uno sconto particolare per un breve periodo di tempo.

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9. Non puntare sulla brand awareness

Spesso si leggono testimonianze su quanto sia semplice vendere grazie a Facebook. Ma è un errore pensare che basti fare pubblicità sui social media faccia automaticamente vendere di più. La pubblicità sui social andrebbe considerata in termini più olistici. E in questo senso anche la brand awareness dovrebbe rientrare tra gli obiettivi primari.

Se tutti i tuoi annunci punteranno su “compra”, “acquista” e “clicca” senza proporre alcun contenuto rischierai di perdere terreno in termini di reputazione e di conseguenza ti giocherai le possibilità di conversione anche delle campagne successive.

10. Puntare tutto sui “Mi piace”

Certo è bello veder crescere i like sulla propria pagina, contare il numero sempre maggiore di reaction e di condivisioni, ma anche in questo caso, non si può puntare tutto sul “Mi piace”. Tra gli errori di social media marketing più comuni è quello di dimenticare che l’obiettivo finale resta sempre quello di vendere.

Le statistiche mostrano che potrebbero essere necessari da 8 a 10 mesi per passare da un like a una vendita, dunque intrattenere il pubblico offrendo contenuti apprezzabili e rilevanti è giusto, ma è solo un passaggio che ti consentirà di ottenere più dati sul tuo pubblico per creare i tuoi successivi annunci di conversione.

singolarità

La singolarità è arrivata senza avvisare (e non è come la immaginavamo)

“Non torneremo alla normalità. Questa è la nuova normalità”. Mi cade l’occhio sull’oggetto dell’ultima newsletter del MIT Technology Review. È vero, in queste settimane abbiamo cambiato radicalmente come lavoriamo, come ci alleniamo, come compriamo, socializziamo ed educhiamo i nostri figli. Alcune cose torneranno come prima, ma altre forse no.

YouTube ha annunciato una serie di cambiamenti alla luce della pandemia, tra cui il fatto che da ora e fino a tempo indeterminato saranno principalmente dei sistemi automatizzati e non più degli esseri umani ad autorizzare o a rimuovere contenuti dalla piattaforma.

“Con l’evolversi di COVID-19, stiamo facendo del nostro meglio per supportare chi guarda, crea e monetizza contenuti su YouTube. Molte delle nostre risorse umane sono impossibilitate a lavorare come al solito, quindi ridurremo lo staff in alcuni uffici. Visto che ora sono disponibili meno persone per valutare e filtrare i contenuti, è il momento per i nostri sistemi automatizzati di fare il loro dovere e garantire la sicurezza di YouTube”.

Via la componente umana, in quarantena. Al suo posto, algoritmi ed intelligenze artificiali.

Chi lavora nel digitale si è posto almeno una volta nella vita la domanda “Quando arriverà la singolarità tecnologica?”. Quale sarà la killer application, l’intelligenza artificiale rivoluzionaria che cambierà la civiltà umana così rapidamente al punto da dare il via a scenari incomprensibili ed ineffabili per le generazioni precedenti? Quand’è che i robot pervaderanno gli ambiti di consumo, di esperienza, di vita e di lavoro?

No, era un’altra la domanda che dovevamo farci. E cioè: “Quale sarà il seme della singolarità? Cosa dovrà avvenire affinché la singolarità tecnologica possa ottenere il giusto terreno fertile per la sua inevitabilità?”.

singolarità

Come sarà la singolarità

La singolarità è sempre stata vista come un punto di non ritorno nella storia dell’uomo, una cesura, un punto di partenza da collocare in un futuro più o meno lontano. Ma quello che sta succedendo in queste settimane prelude ad uno scenario diverso: la singolarità non sarà un dispiegamento nuovo, una rivelazione o un’epifania. La singolarità sarà la conseguenza inevitabile di un seme originale ed unico, di una tempesta tanto “perfetta” quanto rara. Più che un punto di partenza, la singolarità sarà un punto di arrivo ineluttabile – a condizione che se ne verifichino le giuste condizioni.

E ci siamo arrivati, ci voleva un virus che creasse una pandemia senza precedenti. Un virus in grado di piegare il mondo sulle ginocchia in una ola verso il basso, un’onda non di esultanza ma di distanza sociale. Un virus-cigno nero che ci fa evocare scenari distopici in cui veniamo privati di libertà personali e relazionali. Per riprendere il titolo di questo articolo: no, non è la singolarità ad essere arrivata ma il suo seme. Credo questa sia la precondizione necessaria alla singolarità, ad una nuova era in cui le AI obbligheranno il genere umano a seguirle in una strada incognita ed inesorabile.

Per far arrivare la singolarità è forse necessario passare da questa tappa obbligata in cui ci troviamo oggi, in cui l’espressione delle nostre libertà pubbliche, la soddisfazione dei nostri bisogni primari e la gratificazioni di tutti i desideri privati sono possibili in maniera crescente solo grazie alla tecnologia. Una tecnologia via via sempre più scevra e autonoma dalle componenti umane, in grado di dematerializzare quante più dinamiche possibile.

Come dice il futurologo Kevin Kelly, la tecnologia è un gioco infinito: un gioco il cui unico obiettivo è quello di continuare a giocare. E in questi mesi a venire la tecnologia si andrà sempre più ad inserire nei vuoti creati dal distanziamento sociale, da questo allentamento – seppur solo fisico e tangibile – della maglia relazionale del mondo. Un distanziamento di cui oggi nessun paese può prevedere con esattezza la fine. In questi mesi, la tecnologia si comporterà come un liquido che si insinua tra le fughe dei mattoni, ricostruendo le connessioni fisiche mancanti con la sua linfa digitale.

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Un darwinismo tecnologico

Mi chiedo quante persone in questi giorni si siano convertite per la prima volta agli acquisti online, impauriti da file piene e scaffali vuoti ma disposti ad incontrare una sola persona, un corriere umano con guanti e mascherina. E poi mi chiedo quanto questo scenario velocizzerà il lancio a vasta scala dei robot di delivery urbana.

Mi chiedo quanti allestitori di eventi fisici finiranno inevitabilmente a progettare mondi immersivi per la realtà virtuale e quanti invece finiranno sul lastrico.

Mi chiedo quanti negozianti restii ai POS invocano ora pagamenti cashless e dematerializzati – spaventati dal possibile contagio tramite banconote.

Quanti cinema siano stati chiusi e quante case di produzione stanno decidendo di trasmettere le premiére dei film direttamente in streaming a casa delle persone.

Quanti autisti di Uber stiano soffrendo il contraccolpo della pandemia sulla gig economy e quanti invocano le auto a guida autonoma come soluzione fondamentale per il sistema di trasporti.

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Mi chiedo quanti stiano capendo che la sharing economy non ruota affatto intorno alla condivisione, ma intorno alla dialettica hegeliana servito – servitore. Nelle parole di Lauren Smiley di Wired, “Nel nuovo mondo in cui tutti è on demand, o fai parte di un’elite servita, riverita e isolata – o sei uno schiavo del 21esimo secolo”. L’effetto della pandemia sulla gig economy è solo questo: mostrarne le profonde disuguaglianze alla base per capire come e se correggerle: Airbnb ha deciso di rimborsare tutti i clienti che disdicono una prenotazione nelle prossime settimane; gli host non subiranno penali di cancellazione, ma dovranno rinunciare a quello che fino a ieri era un loro flusso di ricavi costante.

Tutto questo per ribadire che la precondizione per l’arrivo della singolarità è proprio quello che sta avvenendo adesso: il mondo, i suoi legami, i suoi consumi e le sue esperienze vanno prima digitalizzati il più possibile, affinché le AI e le tecnologie autonome possano iniziare a presidiare quanti più meandri della nostra vita. È questa la vera rivoluzione digitale, la più efficace spinta mai vista prima all’alfabetizzazione digitale mondiale. Serviva un darwiniano “di necessità virtù”.

Il nuovo coronavirus dimostra anche come le grandi aziende del tech, anche se disgiunte, abbiano davvero in mano gli snodi critici ma pratici della nostra vita. Pensate alla capillarità distributiva di un kit di testing distribuito da Amazon Prime, al real time del Safety Check di Facebook, alla potenza investigativa dei grafi sociali di LinkedIn ed Instagram per ricostruire le catene dei contagi, alla geolocalizzazione dei nostri spostamenti tramite Google o la rete cellulare. Questa è anche l’opportunità per le aziende del tech di dimostrarci che coi dati possono anche fare del reale, etico e civico bene comune – non solo costruire Custom Audience.

Cosa può allentare la nostra percezione della privacy? Forse proprio la volontà di sopravvivenza personale e dei nostri cari può farci cambiare idea sui dati che siamo disposti a cedere ad aziende e governi. Immaginiamo un mondo in cui per imbarcarci su un aereo dovremo essere registrati ad un servizio che traccia i nostri spostamenti tramite telefono. La compagnia aerea non spierà i nostri percorsi, ma potrebbe essere allertata se sei stato vicino a persone infettate o luoghi ad alto contagio. Potrebbero esserci requisiti simili all’ingresso di grandi eventi, uffici pubblici o stazioni.

Scanner di temperatura ovunque, datori di lavoro che richiedono il monitoraggio della temperatura corporea ed altre metriche vitali. Un mondo in cui per entrare nei locali non ti sarà chiesto un documento di identità ma un documento di immunità – magari validato da blockchain. Ci adatteremo ed accetteremo di buon grado misure del genere, proprio come ci siamo adattati a regole di sicurezza più stringenti negli aeroporti dopo gli attacchi terroristici.

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singolarità

Non dovevamo aspettare la singolarità, ma…

Oggi, come allora, ci sentiamo come dentro un film. Poco dopo l’11 settembre Baricco scriveva “La ripetiamo [questa frase] perché lì dentro stiamo cercando di pronunciare una paura ben precisa, una paura inedita, mai avuta prima: non è il semplice stupore di vedere la finzione diventare realtà: è il terrore di vedere la realtà più seria che ci sia accadere nei modi della finzione. In virtù di questo terrore un’eventuale sorveglianza tecnologica fino a ieri intrusiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare in cambio della basilare libertà di poter stare con altre persone.

Nel libro The New Digital Age: Reshaping the Future of People, Nations and Business, Erich Schmidt insieme all’executive manager di Google Jared Cohen scrivevano: “Quello che Lockheed Martin è stato per il ventesimo secolo, aziende tecnologiche e di cybersecurity come Google lo saranno per il ventunesimo”. Che lo scenario della Vita 3.0 ipotizzata da Max Tegmark sia positivo grazie alle Friendly AI – o negativo e apocalittico, la profonda alterazione delle strutture sociali così come sta avvenendo oggi apre la strada ad inedite integrazioni uomo-macchina.

Invece che aspettare noi la singolarità, dovevamo realizzare che era la singolarità ad aspettare il suo evento scatenante.

insieme ce la faremo banca mediolanum coronavirus

“Insieme ce la faremo”, l’appuntamento di Banca Mediolanum per resistere all’emergenza

“Insieme ce la faremo!”

Questo lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, presenta una iniziativa speciale, nata per approfondire il contesto delineato dall’emergenza sanitaria e l’attuale situazione dei mercati finanziari.

Se la pandemia di Coronavirus preoccupa innanzitutto per il suo enorme impatto sanitario, a rendere ancora più allarmante lo scenario sono le previsioni economiche e finanziarie di questa crisi mondiale.

Tutte le grandi compagnie oggi mettono in campo risorse per aiutare le aziende a resistere nell’attuale contesto di grande incertezza e anche Banca Mediolanum oggi interviene con un fondamentale supporto, quello dato dal know how e dalle conoscenze di tanti esperti, che questa sera, 19 marzo 2020, dalle ore 21,  commenteranno il periodo che stiamo vivendo e dispenseranno utili consigli economici.

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Insieme ce la faremo!

L’evento sarà moderato da Andrea Cabrini, Direttore Class CNBC, e vedrà l’intervento di diversi saperi.

A rappresentare BancaMediolanum saranno Ennio Doris e Stefano Volpato.

Insieme a loro saranno presenti:  Oscar Farinetti – Imprenditore, il Prof. Massimo Galli – Direttore Unità Operative di Malattie Infettive 3 – ASST Fatebenefratelli Sacco Milano e Raffaele Morelli – Psichiatra e Psicoterapeuta, Direttore di Riza Psicosomatica.

Per rendere ancora più corale l’evento, questo sarà disponibile non solo sul canale 507 della piattaforma Sky, ma anche sulla pagina Facebook, sul canale YouTube di BancaMediolanum e sulla pagina dedicata del sito.

In prima linea per l’emergenza

Banca Mediolanum è stata in prima linea in questo mese anche nel supporto all’Ospedale Sacco di Milano, donando prima 100 mila euro a favore delle Unità Operative di Malattie Infettive e di Terapia Intensiva e poi ulteriori 140mila euro per l’acquisto di una macchina destinata all’Unità Operativa di Virologia e Bio-Emergenze.

Prosegue inoltre la raccolta fondi, iniziata lo scorso 4 marzo.

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Emergenza Coronavirus: Facebook mette a disposizione 100 milioni per le PMI

Tutte piattaforme social si sono attivate in modi diversi per fronteggiare i differenti rischi derivanti dalla pandemia.

Hanno adottato misure per arginare la disinformazione, hanno offerto quote di annunci gratuiti alle aziende e, nel caso di Facebook, hanno fatto qualcosa di più. Anche perché la presenza ormai globale del social per antonomasia è collegata alla proprietà di almeno quattro strumenti fondamentali di connessione tra le persone, con Facebook, appunto, ma anche con Instagram, WhatsApp e Messenger.

Mark Zuckerberg ha deciso di mettere a disposizione 100 milioni di dollari destinati alle piccole imprese in tutti e 30 i paesi in cui la compagnia opera.

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Facebook Small Business Grants Program

Naturalmente al denaro si accompagna anche un programma per dare supporto a queste realtà, le più colpite dalle conseguenze economiche dell’epidemia di Coronavirus. Una vera e propria piattaforma dedicata con consigli utili e corsi di formazione.

“Abbiamo ascoltato le piccole imprese per capire come possiamo aiutarle al meglio. Abbiamo sentito, forte e chiaro, che un sostegno finanziario potrebbe consentire loro di tenere le luci accese e pagare le persone che non possono venire a lavorare”, ha fatto sapere su Facebook Sheryl Sandberg, direttrice operativa del social network. “Ecco perché oggi Facebook investe 100 milioni di dollari per aiutare 30 mila piccole imprese in oltre 30 Paesi in cui i nostri dipendenti vivono e lavorano”.

As the COVID-19 outbreak escalates, our focus has been on keeping people safe and informed by making sure everyone has…

Pubblicato da Sheryl Sandberg su Martedì 17 marzo 2020

Chi è idoneo?

Facebook offre 100 milioni di dollari in sovvenzioni in contanti e crediti pubblicitari per un massimo di 30.000 piccole imprese ammissibili, ma i dettagli ancora non sono noti e saranno diffusi sulla landing dedicata non appena disponibili.

Il programma comunque punta a raggiungere questi obiettivi:

  • supportare la forza lavoro dell’azienda
  • aiutare con i costi di affitto
  • connettere le imprese con più clienti
  • coprire i costi operativi

Le domande cominceranno ad essere accettate nelle prossime settimane. Nel frattempo, è possibile registrarsi per ricevere maggiori informazioni quando saranno disponibili.

Week in Social: dal crossposting delle Facebook Stories ai link su TikTok

In un momento in cui è vitale fermarsi, e restare a casa, il web corre veloce, tra crowdfunding per gli ospedali, brand che mettono a dispozione librerie digitali, corsi online, camminate virtuali, maratone in streaming, podcast e iniziative che mantengono viva la cultura.

Anche il mondo dei social non si ferma. Torna, puntuale come ogni settimana, la nostra Week in Social.

Facebook lavora su Stories, Gruppi e VR

Parliamo ancora di stories. Mentre fino a oggi era possibile condividere le stories di Instagram su Facebook, ma non il contrario, pare che Facebook permetterà presto di condividere le stories di Facebook su Instagram.


Le stories non sono l’unico tool a cui sta lavorando Facebook. Negli ultimi due anni, i gruppi sono cresciuti molto. Per questo la piattaforma mette a disposizione dei leader delle community un nuovo programma: Community Accelerator.

“Un programma di sei mesi che fornisce formazione, tutoraggio e finanziamenti per aiutare i gruppi a crescere. Con l’aiuto di esperti, i community leader selezionati trascorreranno tre mesi imparando come far crescere la loro community e raggiungere i loro obiettivi”.

E sempre a proposito di trend, gurda come sta procedendo il lavoro di Facebook sulla piattaforma VR, Horizon.

TikTok aggiunge url esterne ai clip

Qualche settimana fa ti abbiamo parlato dell’introduzione dei link in bio sui profili TikTok. La app continua a testare nuove feature e introduce la possibilità di inserire link a Wikipedia, Yelp o TripAdvisor nei post video.

LinkedIn e il coronavirus

Ti abbiamo già parlato delle misure che i social stanno adottando negli ultimi, difficilissimi, giorni. Arriva anche LinkedIn. Oltre ad aver aggiornato la piattaforma, per permettere agli utenti di restare informati, ha creato un Trending News, per mettere in evidenza aggiornamenti da parte di fonti affidabili, come l’Organizzazione mondiale della sanità e il Center for Disease Control and Prevention.

Non solo. LinkedIn metterà a disposizione corsi gratuiti sui temi della produttività, il lavoro a distanza, le relazioni in tempi in cui non è possibile vedersi face-to-face.

In ultimo, LinkedIn ha lanciato delle playlist su Spotify, come colonna sonora per il tuo percorso di ricerca lavorativa. Le playlist sono divise in topic, come “Women at Work”, “Never Give Up” e “Refine and Focus”.

Instagram porta lo streaming su IGTV

Come riportato dall’esperta di ingegneria Jane Manchun Wong, Instagram sta testando un’opzione per condividere gli streaming di Instagram direttamente su IGTV non appena terminato il live.

Vediamo se questo darà una ulteriore spinta ai tuoi contenuti e se arriveranno altre news su questo fronte.

YouTube contro la disinformazione

YouTube ha fornito un aggiornamento sulle sue ultime misure per combattere la disinformazione sul coronavirus e tenere informati i suoi utenti durante la crescente crisi. La principale iniziativa riguarda i pannelli informativi che indirizzano gli utenti verso fonti autorevoli, fornendo, allo stesso tempo, crediti pubblicitari agli organi competenti.


Come spiegato da YouTube:

“Stiamo utilizzando la nostra homepage per indirizzare gli utenti all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) e altre organizzazioni locali autorevoli in tutto il mondo per garantire che gli utenti possano trovare facilmente gli aggiornamenti”.