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Le “colpe” di Chiara Ferragni agli Uffizi (e quelle della cultura nel digital)

Nel ultimi giorni si è acceso un dibattito online su Chiara Ferragni e la sua visita agli Uffizi di Firenze, un dibattito che è diventato da subito polarizzato agli estremi tra accaniti detrattori e sostenitori.

Cosa è accaduto

Chiara Ferragni si trovava agli Uffizi per realizzare uno shooting per Vogue Hong Kong. Non è la prima volta che moda e musica girano all’interno dei musei, come nel caso del video di Beyoncé e Jay Z al Louvre e di quello recentissimo di Mahmood al museo egizio di Torino. Finito lo shooting, dove Vogue Hong Kong paga secondo le tariffe del museo, non danneggia alcune opera e non impedisce la normale fruizione del museo da parte dei visitatori, Ferragni decide di godersi gli Uffizi accompagnata dal direttore Eike Schmidt.

Colpita in particolare dalla Venere di Botticelli, si fa una foto e la posta su Instagram con la caption “one of the most beautiful museums in the world, so come and visit it!” rivolgendosi ai suoi 20 milioni di follower solo su Instagram. Anche gli Uffizi postano la foto dell’imprenditrice, accostandola al canone estetico della Venere e definendola “divinità contemporanea nell’era dei social”.

Da lì è iniziata una violenta shitstorm sotto la foto degli Uffizi e si sono sprecati post sui vari social attaccando la Ferragni, quello che secondo i commentatori rappresenta e come svaluti l’opera d’arte. Il tutto condito dalla comune minaccia di un defollow immediato all’account del museo.

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La comunicazione culturale

La polemica appare subito tematizzata su Chiara Ferragni e infatti i commenti si focalizzano su di lei e non tanto sugli Uffizi: viene deprecata la sua attività, la sua bellezza, viene sminuita lavorativamente, viene indicata come non rappresentativa della bellezza italiana e l’intera operazione – ammesso che si possa davvero parlare di operazione – indicata come controproducente.

Secondo il report annuale del MiBACT, il Ministero dei Beni Artistici e Culturali, il numero dei visitatori del sistema museale pubblico è intorno ai 55 milioni, calando rispetto ai dati 2018. Nel dato sono inclusi i visitatori internazionali, e fa riflettere se accostato a un altro dato, fonte Istat 2016, Istituto Italiano di Statistica, secondo cui 69,2% degli italiani non sono mai andati al museo. La percentuale cresce al 75% se si tratta di mostre o esposizioni temporanee, e all’80,2% nel caso dei siti archeologici. Leggendo meglio i dati Istat, i più assenti dai musei italiani sono proprio i giovani.

In Italia conserviamo quasi la metà dell’intero patrimonio culturale antico e romano del mondo. Eppure questo non si traduce automaticamente in competitività o in una comunicazione culturale innovativa e competente. I percorsi audioguida italiani risultano in generale poco inclusivi e si pensa che l’immersivitá sia un QR code su una vetrina.

Spesso i nostri musei hanno al massimo un sito web dove, se siamo fortunati troviamo tutte le informazioni necessarie, molti allestiti con un gusto estetico discutibile. E i canali social si limitano a veicolare comunicati stampa e sparute informazioni “importanti”, fatta eccezione per l’esempio fulgido dell’account Instagram “Musei Italiani”.

Thanks to Cristina Gottardi

A confermarlo è anche lo studio del 2016 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali secondo cui solo il 19% dei musei offre il wi-fi gratuito e  il 52% dei musei possiede un profilo social ma solo il 13% è presente su uno dei tre social network più diffusi: ad esempio il 15% uno su Instagram. L’Istat conferma: il tasso di adozione di servizi digitali (e si intende di tutto, dal catalogo online alle prenotazioni dei biglietti) è inferiore al 20%. 

Si tratta forse di una fotografia parziale, ma piuttosto forte.

Sembra emergere innanzitutto che il problema del settore culturale non abbia a che fare con l’influencer marketing. Semmai si consiglierebbe di riflettere sulla didascalia scritta dal Museo degli Uffizi, che invece è un po’ superficiale e sterotipata, quando invece avrebbe potuto offrire uno stimolo maggiore utilizzando l’immagine dell’influencer. O anche costruirle intorno una vera e propria occasione di comunicazione creando contenuti editoriali di approfondimento, pur rimanendo pop.

La leggerezza delle strategie digitali non ha a che fare con la superficialità dei contenuti.

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Ieri ed oggi … I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del ‘400 da #SandroBotticelli nella Nascita di #Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di followers -una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social – Il mito di Chiara Ferragni, diviso fra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci in tutto il mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo. ?ENG: Beauty standards change in the course of time. The female ideal of a blonde- haired woman with diaphanous skin is a very common beauty model in the Renaissance. Masterfully expressed by the Florentine Sandro Botticelli in The birth of Venus maybe portraying the face of one of his contemporary, Simonetta Vespucci. A beautiful noble woman, of Genoese origin, beloved by Giuliano de’ Medici, the younger brother of Lorenzo the Magnificent ; she was so worshiped by Sandro Botticelli that she became his muse. Nowadays, Chiara Ferragni, born in Cremona, embodies a role model for millions of followers – a sort of contemporary divinity in the era of social media – The myth and the story of Chiara Ferragni, argued by harsh critics and supported by faithful fans, is a real sociological phenomenon that involves millions of supporter worldwide and it can undoubtedly be considered a snap-shot of our time.

Un post condiviso da Gallerie degli Uffizi (@uffizigalleries) in data:

La polarizzazione intorno a Chiara Ferragni

Sembra che l’attacco non sia tanto alla comunicazione culturale italiana ma a Chiara Ferragni. È lei la colpevole secondo i commentatori online. Colpevole di essere “frivola”, di non essere “adeguata”, colpevole di non fare abbastanza per promuovere l’Italia.

Partiamo col considerare che l’imprenditrice – non filantropa, non politica, non attivista – si trovava lì per un lavoro e ha deciso spontaneamente di utilizzare quell’occasione per promuovere a un pubblico nazionale e internazionale di più di 20 milioni di follower le bellezze culturali italiane. Si tratta di un’operazione che Ferragni sta portando avanti da qualche tempo dopo il lockdown: pur avendone mezzi e non mancando di offerte, sta scegliendo di lavorare solo sul territorio nazionale e di mostrare le bellezze culturali italiane.

Lo ha fatto con una visita ai Musei Vaticani ed è stata attaccata perché faceva una visita privata – cosa che chiunque può fare pagando e infatti era lì per promuovere questo particolare servizio – senza riflettere sul fatto che in concomitanza con la foto di Ferragni l’account dei Musei Vaticani sono diventati trending topic su Twitter.

Lo ha fatto con gli Uffizi e lo ha fatto con il Museo Archeologico di Taranto accompagnata da Maria Grazia Chiuri, Direttrice artistica di Dior. E per l’importante sfilata Dior Cruise 2021 è stata, per volere della direttrice artistica, la protagonista tra gli ospiti alla sfilata.

È la prima volta che Dior non sfila a Parigi e ha scelto proprio Lecce, terra dove affondano le radici della famiglia di Maria Grazie Chiuri e una delle città italiane su cui si teme di più la ripercussione negativa del Coronavirus e del lockdown da un punto di vista di affluenza del turismo. Il profilo della maison ha dedicato due video emozionali di presentazione dell’evento che mostrano i tesori culturali e paesaggistici della città del Salento.

Le colpe di Chiara Ferragni

Tuttavia sembra che le colpe di Ferragni non siano le sue abilità come imprenditrice o ambasciatrice del suo brand, bensì una colpa atavica: quella di essere giovane e donna. Non a caso negli attacchi si leggono tantissime menzioni dispregiative delle sua caratteristiche fisiche, insulti feroci di tipo personale: attacchi purtroppo legati a un discorso misogino.

Se è una colpa essere donna, giovane e di successo, Chiara Ferragni è colpevole. 

Startup

Flessibilità e propensione al cambiamento: in Italia è giunto il momento delle startup?

  • L’emergenza Covid-19, dicono gli esperti, potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo
  • Le aziende saranno costrette a rivedere modelli di business e processi e individuare strategie per cavalcare il cambiamento, anziché subirlo
  • Dopo la crisi del 2008 sono nati colossi del mondo tech come Dropbox, AirBnb e Whatsapp
  • L’ecosistema italiano delle startup può trovare nuova linfa da questa emergenza: sarà fondamentale, però, la capacità di adattarsi al cambiamento

 

a cura di Thomas Ducato

 

Dalle crisi nascono sempre nuove opportunità.
Leggiamo spesso, in momenti come quello che stiamo attraversando, frasi come questa: affermazioni che difficilmente potranno essere accolte di buon grado da aziende e lavoratori colpiti duramente dall’emergenza Covid-19, che potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del lavoro.

Allo stesso tempo, però, nonostante la retorica che si cela dietro a queste “frasi ad effetto”, la storia ci insegna che la verità non è troppo distante: lo abbiamo visto con la crescita successiva alla grande crisi finanziaria del ’29 e nei decenni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, ma anche in epoca più recente. Non è un caso che alcune tra le grandi imprese tech, che oggi dominano i mercati mondiali, siano nate o “esplose” negli anni successivi al 2008, dopo la bolla che ha colpito l’economia e la finanza globali.

Parliamo di colossi come Dropbox, AirBnb, WhatsApp, Slack, Uber, Groupon e Instagram, per citarne alcuni, ma anche di aziende più piccole e meno note che hanno contribuito in modo importante all’innovazione tecnologica e alla nascita e allo sviluppo dell’ecosistema delle startup e del mito della Silicon Valley.

In un momento di rapido mutamento dei mercati, dei modelli di business, dei bisogni e delle abitudini dei consumatori come quello attuale, le startup sono di fronte a un bivio: sono realtà fragili e potenzialmente a rischio ma, allo stesso tempo, quelle con maggiori opportunità e margini di crescita, in grado di cavalcare il cambiamento, anziché subirlo.

 

Cosa sono le startup? Un po’ di chiarezza

Prima di addentrarci nel discorso è necessaria una precisazione: non tutte le nuove imprese possono essere considerate startup. Non è semplice dare una definizione univoca, ma è possibile evidenziare quattro serie di caratteristiche, riassunte in modo efficace da Startup Geeks, che fanno di una nuova azienda una startup: scalabilità, replicabilità del modello di business, innovazione intrinseca (di processo o di prodotto) e temporaneità.

Senza queste caratteristiche, a cui potremmo aggiungere la capacità di sconvolgere un settore esistente o quella di creare un nuovo mercato, difficilmente possiamo dire di essere di fronte ad una startup.
Secondo Enrico Pandian, un punto di riferimento nel panorama italiano del settore che si è conquistato il titolo di startupper seriale grazie alle 18 imprese create dal 1999 a oggi (tra cui spicca Supermercato24, di recente diventata Everli), si tratta di “fondare una piccola società pensandola già come una multinazionale”.

 

L’immediato post Covid: lo stato di salute dell’ecosistema italiano

Le startup non solo sole: sembra questo il messaggio lanciato dalle istituzioni. Sono pari a 60 milioni i fondi messi a disposizione dall’Eit, Istituto europeo di innovazione e tecnologia, con l’obiettivo di sostenere le imprese innovative, considerate fondamentali per la ripresa post Covid. Anche in Italia qualcosa si è mosso: il 23 giugno ha fatto il suo debutto ufficiale il Fondo Nazionale Innovazione che prevede lo stanziamento di un miliardo di euro per sostegno e incentivi all’investimento.

Nonostante l’effetto Covid, inoltre, la prima metà del 2020 ha fatto segnare 260 milioni di investimenti nelle startup nostrane e anche il crowdfunding ha dato segnali incoraggianti, toccando i 38 milioni raccolti rispetto ai 25 dell’anno passato.

In un momento disruptive come quello attuale innovazione e digitale sono due asset importanti su cui credere e investire e questi numeri sembrano avvalorare questa tesi.

 

Adattarsi al cambiamento per scongiurare il fallimento

A fare la differenza, però, sarà soprattutto la capacità di adattarsi al cambiamento e a quella “nuova normalità” tirata spesso in ballo durante l’emergenza.
Ci è riuscita la startup FrescoFrigo, fondata da Enrico Pandian. Questa startup nasce dall’idea di portare cibo sano e di qualità a pochi metri del consumatore, direttamente nel suo luogo di lavoro, grazie a un frigorifero “intelligente” che punta a rivoluzionare il settore dei distributori automatici. Con l’emergenza sanitaria, però, gli uffici si sono svuotati e il fatturato di FrescoFrigo è rapidamente sceso a zero, con conseguenze dirette sull’umore di dipendenti e investitori.

“FrescoFrigo è stato impattato moltissimo dal Covid – ci ha raccontato Pandian -. Il 9 o 10 marzo il mio grafico del fatturato ha toccato lo zero e la situazione è rimasta così per svariati giorni. Appena abbiamo capito che l’emergenza sarebbe durata a lungo ci siamo impegnati per trovare una soluzione, non tanto per il fatturato per quanto importantissimo, ma soprattutto per il team che iniziava a essere preoccupato e demoralizzato. Da un confronto con alcuni consumatori è nata l’idea di installare FrescoFrigo all’interno dei condomini: abbiamo capito che le persone lavoravano da casa, spesso più di quanto non facessero in ufficio e che il nostro servizio poteva essergli di aiuto. Abbiamo installato più di 30 frigo condominiali solo nel primo mese e ora, nonostante la fine del lockdown, ci chiedono di mantenere comunque il servizio”.

Perché? La risposta individuata da Pandian in realtà è molto semplice: “Il consumatore è pigro e ha trovato una nuova comodità”.

 

Fare startup in Italia

“In Italia la parola Startup viene spesso associata a una cosa da “ragazzini” – ci ha detto Pandian – che fondano la loro prima azienda appena usciti dall’università. Io invece ho 40 anni, di aziende ne ho fatte tante, e vorrei cambiare la narrazione sulle startup che c’è in Italia”.
Come abbiamo visto dalle cifre di questo inizio di 2020 la sensazione è che qualcosa stia cambiando e che la crisi che sta seguendo l’emergenza sanitaria possa in qualche modo preparare il terreno all’affermazione dell’ecosistema italiano delle startup. Obiettivo e punto di riferimento resta sempre la tanto citata e ammirata Silicon Valley: quanto siamo distanti?

Lo abbiamo chiesto ad Alberto Onetti, Imprenditore e presidente della californiana Mind the Bridge la cui missione è quella di avvicinare grandi e medie imprese al mondo dell’innovazione e delle startup. “In Italia – ha spiegato Onetti – siamo partiti molto molto tardi, il mondo dell’innovazione ti porta a raccogliere i frutti del lavoro solo dopo tempo. In Silicon Valley questo processo è partito 40-50 anni fa. Da noi è un sistema ancora nella sua infanzia, ancora fragile. Inoltre, se parti dopo e corri più piano degli altri è difficile riuscire a vincere. Lavoriamo a un decimo di capitale rispetto a Francia e Germania, che a loro volta investono metà del Regno Unito, in cui si investe un quarto di quanto avviene negli Stati Uniti”.

Ma non è solo una questione economica, a mancare è anche lo spirito che si respira oltreoceano: “Negli Stati Uniti – racconta Onetti – tutti fanno il tifo per tutti, mentre da noi c’è la cultura del tifare contro. Quello che percepisci in Silicon Valley è che le persone si aiutano senza chiedere niente in cambio, solo perché è nell’interesse dell’intero ecosistema. Si chiama “give back”. Qualcosa torna, perché ti trovi su una torta più grande: avere una fetta più piccola di una torta grande è meglio di avere il 100% del niente. Sembra semplice, ma forse abbiamo problemi di matematica”.

 

Un cambio epocale

La strada è ancora lunga, dunque, ma l’emergenza sanitaria ha accelerato una serie di cambiamenti che erano già in atto: siamo di fronte a un momento di passaggio, a un cambio epocale che la crisi ha anticipato. Anche in questo senso la storia offre spunti su cui riflettere: la peste nera del ‘300, arrivata in un periodo già ampiamente condizionato da carestie, ha portato a profondi cambiamenti nel tessuto sociale, che hanno favorito la nascita di nuove opportunità e innovazioni tecnologiche.

Il Covid-19 potrà rappresentare una reale occasione per le imprese e per chi sarà in grado di leggere i segnali che ci offre questo presente così instabile e complesso, ripensando il proprio modello di business e rendendo più flessibili e leggere le dinamiche aziendali: proprio per questo le startup possono giocare un ruolo da protagonista!

“Il periodo che stiamo attraversando può trasformarsi in eccezionale per chi ha tante idee”, ci ha detto Enrico Pandian.
L’ecosistema italiano saprà approfittarne?  

whatsapp business

WhatsApp Business: nuovi strumenti per le aziende

  • Qr code e catalogo prodotti: nuove funzionalità per gli account WhatsApp business.
  • Vendite online e pagamenti via chat: il futuro dell’eCommerce.
  • Facebook Shops: un nuovo strumento per vendere online.

 

Novità in arrivo per tutte le aziende che utilizzano WhatsApp Business.

Approdano all’interno dell’app i tanto attesi Qr code per aiutare i brand a promuoversi meglio e il catalogo prodotti diventa condivisibile.
Il rilascio di queste nuove funzioni non è del tutto casuale, ma nascono dalla volontà di Zuckerberg di agevolare e sostenere con nuovi mezzi la ripresa post-Covid che vede il digitale decisamente protagonista.
La pandemia ha accelerato senza ombra di dubbio la digital transformation, portando diversi brand, in particolar modo i local business a costruire e a rafforzare la propria presenza online per sopravvivere alla situazione.
Durante il lockdown, WhatsApp ha permesso a molte attività locali di vendere via chat anche senza avere un’eCommerce.
È infatti cresciuto il numero degli utilizzatori dell’app Business, che oggi conta 50 milioni di utenti, mentre migliaia di imprese più grandi utilizza le API di WhatsApp Business.

Quali sono le novità per le aziende?

Qr code: la nuova porta d’accesso per chattare con un brand

Fino ad oggi per entrare in contatto con un’azienda su WhatsApp era necessario aggiungere manualmente il numero in rubrica, oppure con un click mediante la funzione click to chat integrabile sui web site.
Ora è possibile iniziare una conversazione semplicemente inquadrando il Qr code relativo all’account business dell’attività. Una volta scansionato il codice QR, si aprirà una chat con un messaggio precompilato e modificabile, impostato precedentemente dall’attività per avviare una conversazione.
La nuova feature è stata rilasciata in tutto il mondo sia per chi utilizza l’app Business che per le API.

Questa nuova opzione spinge i brand verso una strategia omnichannel, dove i touchpoint del negozio fisico aprono le porte alla chat. I Qr code potranno essere esposti in vetrina, stampati sulle shopping bag piuttosto che sulla ricevuta, è evidente quindi un’integrazione tra modo online e offline.

Il QR Code, spiega l’azienda:

Funziona come una porta d’ingresso digitale che agevola l’interazione iniziale con un’azienda. Ad esempio, Ki Mindful Wearing, un marchio brasiliano di abbigliamento sportivo che ci ha aiutato a testare questa funzione, riporta i codici QR sulle confezioni e sulle etichette dei prodotti, in modo che i clienti possano contattarli tramite WhatsApp per ricevere assistenza.

Il catalogo prodotti diventa condivisibile

La funzione catalogo consente alle attività di creare una vera e propria vetrina virtuale per mostrare ai propri clienti prodotti e servizi facilitando cosi le vendite.
Il catalogo, introdotto lo scorso anno, ha sin da subito ottenuto un ottimo riscontro sia da parte delle aziende che dei clienti. La conferma ufficiale arriva dai numeri : ogni mese oltre 40 milioni di persone visualizzano i cataloghi all’interno dell’applicazione di messaggistica.

Per agevolare la promozione dei prodotti e la ricerca da parte dei consumatori, il catalogo diventa condivisibile.
La condivisione può avvenire non solo all’interno delle chat con i clienti ma anche sugli altri canali digitali come social network piuttosto che sito web. Per condividere il catalogo basta copiare il relativo link presente all’interno dell’applicazione business, con due opzioni di scelta: condividere un singolo prodotto oppure l’intero catalogo.

WhatsApp Pay i pagamenti si fanno in chat

Un’altra grande news del colosso di Menlo Park è legata al mondo dei pagamenti. Recentemente WhatsApp sta testando in Brasile, uno dei paesi in cui l’app ha una penetrazione maggiore, WhatsApp Pay.

Il sistema di pagamento consente ai clienti di inviare denaro e acquistare dalle attività commerciali in maniera estremamente semplice, ma soprattutto senza uscire dall’app.
Per gli utenti il servizio sarà gratuito mentre per i business ci sarà una commissione sulle transazioni.

WhatsApp ha dichiarato:

Semplificare i pagamenti significa permettere a un maggior numero di attività commerciali di entrare a far parte dell’economia digitale, creando nuove opportunità di crescita.

Arriverà anche in Italia? Non lo sappiamo, dall’azienda dicono che verrà rilasciata presto anche in altri paesi del mondo, ma non abbiamo conferme ufficiali che l’Italia sarà compresa.

whatsapp pay

L’era del WhatsApp Commerce?

Le ultime novità introdotte relative al catalogo e al mondo dei pagamenti lasciano presagire che in casa WhatsApp si stiano compiendo gli ultimi passi per avvicinarsi totalmente al mondo dell’eCommerce.
Vista la popolarità dell’applicazione e la sua base utenti multi-generazionale, vendere via WhatsApp potrebbe rivelarsi un’arma vincente e dalle enormi potenzialità per le aziende.

Anche i numeri giocano a favore del WhatsApp commerce, secondo uno studio condotto da Facebook:

Il 65% degli acquirenti a livello mondiale sembra essere più propenso a fare acquisti da un brand con cui può comunicare via chat,

Il 40% dei consumatori intervistati ha dichiarato di aver iniziato a fare shopping online grazie al conversational commerce. 

Questa prospettiva potrebbe dar vita ad un nuovo ecosistema basato sul commercio via chat.
Si andrebbe così a delineare un nuovo modello di business in cui le aziende di vari settori andrebbero a interagire con i clienti utilizzando WhatsApp come canale principale.
Ciò cambierebbe sicuramente il nostro modo di fare shopping.

Con WhatsApp non parliamo esclusivamente di vendita, ma parliamo di conversational commerce.

Vendere via WhatsApp vuol dire dialogare con i clienti, ma soprattutto offrire una user experience unica e personalizzata.
Uno dei punti di forza della chat è proprio quella di conoscere il cliente, guidarlo e consigliarlo nel processo d’acquisto, costruendo quindi relazioni di valore.

Il conversational commerce consente di unire l’esperienza fatta di relazioni che si creano all’interno di uno store fisico con l’istantaneità dello shopping online.

In definitiva alla luce dei recenti aggiornamenti che vedono protagonisti i codici QR, i pagamenti in App e il commercio via chat la teoria che Zuckerberg stia pianificando il futuro di WhatsApp guardando al mondo delle vendite in app e lasciandosi ispirare da WeChat sembra essere sempre più credibile.

C’è chi ha già fatto della messaggistica il suo principale canale di vendita, parliamo del brand tedesco Charles che ha dato vita al primo WhatsApp store in Europa.

Una volta approdati sul sito dell’azienda la call to action che invita l’utente a chattare con Charles su WhatsApp oppure su Messenger è subito ben evidente.

Come funziona il servizio?

Un assistente alle vendita risponde via chat alla richieste e consiglia i clienti passo passo, guidandoli per tutto il processo d’acquisto, dalla scelta del prodotto, alle transazioni,  all’assistenza post vendita.

Il social commerce di Facebook: nuove opportunità per le aziende

Nel piano del social commerce di Zuckerberg si intravede la volontà da parte dell’azienda di integrare le varie piattaforme per dar vita ad un vero e proprio ecosistema a disposizione dei business.

A darne conferma è un’altra delle recenti novità introdotte da Mark in fase di lockdown, parliamo di Facebook shops.

Gli shop di Facebook, vista la loro semplicità, consentono a chiunque, dal piccolo negozio alla grande aziende di vendere e comunicare con i clienti attraverso Facebook, Instagram e WhatsApp.

Creare uno shop su Facebook è gratuito. I clienti possono scoprire i negozi virtuali sulla pagina Facebook o Instagram di un brand, oppure trovarli mediante le storie o l’advertising.

Che ruolo svolgono le applicazioni di messaggistica in questo contesto?

WhatsApp e Messenger diventano i mezzi per interagire con le aziende in maniera diretta cosi come accade in negozio.

È chiaro che Facebook sta cercando un nuovo modo per generare utili insieme all’advertising.

In realtà il padre dei social media lavorava da tempo a questo piano, progetto che ha subito una accelerazione dovuta alla situazione generata dal Coronavirus che ha visto molti negozi chiudere i battenti e aprire le porte al mondo online.

Tutto ciò trasformerà il mondo dell’eCommerce?

realtà aumentata

Come la Realtà Aumentata cambierà il Social Media Marketing

Quando parliamo di Realtà Aumentata, la mente balza subito al famosissimo gioco Pokémon-Go!

Nintendo ha permesso alle generazioni cresciute con i Pokémon di utilizzare questa tecnologia e di immedesimarsi, tramite l’utilizzo del proprio smartphone, in un allenatore.

Dal 2016 ad oggi, lo sviluppo di questa tecnologia ha fatto passi da gigante. Oggi filtri ed effetti in AR come quelli di Snapchat e di Instagram sono all’ordine del giorno. E forse non ci rendiamo neanche conto che in quel momento stiamo utilizzando questa tecnologia.

Ma come cambierà il nostro modo di utilizzare i Social Media ed i nostri processi di acquisto?

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Che cos’è e come funziona la realtà aumentata

Semplicissimo, la realtà aumentata è una tecnologia che incorpora elementi digitali nella linea di vista effettiva.

Spesso viene confusa con la Realtà Virtuale, ma l’AR non sostituisce la realtà stessa con uno spazio digitale o virtuale. Consente invece di trasformare l’ambiente attuale per offrire un’esperienza più stimolata e migliorata.

LEGGI ANCHE: Che cosa sono la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata, raccontato con una mini-serie TV.

La realtà aumentata basa il suo funzionamento sull’integrazione di funzionalità digitali come mappe, icone, emoticon, filtri, tag di posizione ecc. nei riquadri dello schermo.

È tramite le fotocamere e i sensori del telefono come il GPS che un’applicazione o una piattaforma di social media visualizzerà diversi componenti digitali direttamente sullo schermo.

Assisteremo a nuovi contenuti interattivi ed unici

Quando si tratta di AR e social media, non possiamo non menzionare Snapchat.

Questa piattaforma di social media è stata una delle prime a offrire funzionalità di filtri in Realtà Aumentata. 

Instagram ha seguito l’esempio e ora offre una gamma di filtri che possono essere aggiunti come storie o immagini.

Le aziende possono utilizzare i filtri con marchio per promuovere facilmente il proprio brand sui social media.

Ad esempio, Taco Bell ha creato un filtro Snapchat con marchio che ha trasformato i volti degli utenti di Snapchat in tacos. Questo strano filtro AR è stato un successo tra gli utenti e ha avuto tonnellate di persone che condividevano versioni di se stesse, tutte con il logo di Taco Bell nell’angolo in basso.

Con la Realtà Aumentata prima lo “Provi” e poi lo acquisti

Anche se ancora ad oggi, molti acquirenti preferiscono provare fisicamente il prodotto prima di procedere all’acquisto, l’AR permette già di “provare” un paio di scarpe o una particolare colorazione di rossetto, senza recarsi nello store.

L’AR offre un ulteriore vantaggio: elimina, infatti, la necessità di avere fisicamente disponibile un ampio inventario per consentire ai clienti di provare o campionare decine o addirittura centinaia di articoli alla ricerca di quello che meglio soddisfa le loro esigenze.

Facebook, in particolare, è un pioniere delle applicazioni AR. La sua offerta di realtà aumentata permette agli utenti di provare digitalmente trucco e accessori: il primo annuncio pubblicitario legato all’AR di Facebook ha permesso ai potenziali clienti di provare occhiali da sole virtuali con l’aiuto della fotocamera del loro dispositivo.

Ma anche l’industria cosmetica è stata entusiasta della realtà aumentata negli ultimi tempi. Marchi come Sephora, L’Oreal e Perfect Corp hanno creato delle partnership per permettere ai loro clienti di vedere come sarebbe il trucco su di loro digitalmente.

La realtà aumentata è particolarmente preziosa per le strategie di vendita online che coinvolgono i cosmetici, poiché i consumatori hanno quasi sempre bisogno di giudicare un determinato articolo di trucco provandolo materialmente addosso.

Un’altra area in cui l’AR ha mostrato il suo enorme potenziale è quella del camerino virtuale. Quando si tratta di acquistare abbigliamento, i camerini sono indispensabili, ma anche il contesto attuale, con l’emergenza Covid, ci sta mostrando tutti i limiti di questo modello. Inoltre, i clienti sono tenuti a portare pile di capi d’abbigliamento nei camerini e poi i dipendenti devono riordinare gli articoli scartati. Oltre a questo, un negozio è limitato dall’inventario a disposizione quando si tratta di offrire ai clienti capi d’abbigliamento da provare.

La realtà aumentata elimina gran parte di questa seccatura, consentendo ai clienti di accedere a una “biblioteca digitale di articoli di abbigliamento” con un semplice tocco delle dita. Marchi come Topshop e Timberland sono stati all’avanguardia nello sviluppo di allestimenti e camerini in AR per dare ai loro clienti un’esperienza virtuale e aiutarli a selezionare gli articoli di abbigliamento.

La realtà aumentata offre alle aziende anche uno strumento per aggiungere un componente digitale ai loro prodotti. I clienti possono scansionare un prodotto o un oggetto per ottenere un’esperienza di AR su misura, sia per ricevere informazioni aggiuntive, sia per fornire una qualche forma di esperienza supplementare legata al marchio.

Starbucks si è rivolta alla realtà aumentata per digitalizzare l’esperienza di visita dei suoi coffee shop. Gli utenti possono scansionare oggetti all’interno del negozio per accedere a un tour virtuale, trasmettendo informazioni aggiuntive per integrare il sito fisico.

In generale possiamo dire che essere in grado di provare virtualmente un prodotto ne offre agli acquirenti un’idea migliore, il che aiuta a rimuovere le esitazioni sull’acquisto.

La combinazione degli annunci sui social media con l’AR potrebbe aumentare le vendite per le attività eCommerce.

In effetti, entro il 2022, secondo Tractica, gli annunci basati su AR attireranno circa 13 miliardi di dollari all’anno.

Conclusione

La realtà aumentata ha il potenziale per cambiare il volto del marketing su diverse piattaforme di social media. Portando l’esperienza del consumatore a un livello completamente diverso.

Ad ogni passo della rivoluzione digitale, la linea di confine tra il mondo virtuale e quello reale diventa meno marcata, e questo rende l’AR parte integrante del social media marketing.

Assicurati di mantenere il tuo gioco sui social media al massimo per sfruttare questa funzionalità e chissà, magari un giorno grazie all’AR, non si dirà più “Guardare ma non toccare”.

smart city 15 minuti

La Città del quarto d’ora: un nuovo modello di smart city

  • Con il progetto “La Ville du quart d’heure” a Parigi l’obiettivo della nuova smart city sarà ridurre le distanze per raggiungere uffici, scuole, supermercati, parchi pubblici.
  • I cittadini potranno raggiungere i servizi e soddisfare i propri bisogni, dalla cultura allo shopping, in soli 15 minuti. A piedi o in bicicletta.

 

La pandemia da Covid-19 ha radicalmente modificato la vita e le consuetudini dei residenti delle città di gran parte del mondo. Nell’arco di alcuni mesi sono cambiate, in misura tangibile, molte delle abitudini degli abitanti e quindi le organizzazioni delle rispettive città.

Questa ondata di cambiamenti non è passata inosservata. Soprattutto a Parigi, dove si sta lavorando al progetto urbanistico “La Ville du quart d’heure”, o la Città del quarto d’ora, con l’obiettivo di trasformare la metropoli in un posto dove i cittadini potranno raggiungere i servizi e soddisfare i propri bisogni, dalla cultura allo shopping, in soli 15 minuti. A piedi o in bicicletta.

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san valentino parigi

Sarà Parigi la città dei 15 minuti?

Il progetto ambizioso di smart city, portato avanti dal Sindaco di Parigi Anne Hidalgo durante la sua campagna elettorale, con l’aiuto tecnico di un Professore della Sorbonne Université di Parigi, potrebbe stravolgere completamente il concetto attuale di metropoli: partendo dalla frammentarietà delle grandi città, sono state analizzate le conseguenze sociali sulle persone che le abitano. In questo nuovo modello di città infatti il tempo delle persone avrà un ruolo di primaria importanza.

Finora la sfida è stata far raggiungere ai cittadini punti distanti, all’interno di una stessa metropoli, nel minor tempo possibile: proprio per questa ragione è particolarmente difficile diminuire la spesa, in termini di tempo, per arrivare sul posto di lavoro o per usufruire di determinati servizi.

smart city parigi

Con il progetto “La Ville du quart d’heure”, invece, l’obiettivo sarà ridurre le distanze per raggiungere uffici, scuole, supermercati, parchi pubblici, strutture per praticare sport, piazze per cultura e spettacoli, negozi per lo shopping. Favorendo i servizi di prossimità, ogni arrondissement (circoscrizione municipale di Parigi) diventerà autosufficiente.

Per rendere l’obiettivo realtà, il progetto prevede la costruzione di una pista ciclabile in ogni strada della capitale francese, consentendo alla bicicletta di diventare un mezzo di locomozione efficace, e un processo di rimodulazione urbana: incentivando lo sviluppo di attività commerciali di quartiere, costituendo spazi culturali, potenziando la sanità in ogni arrondissement e moltiplicando le funzioni degli edifici che di solito hanno un uso esclusivo.

Una nuova visione ecologica al fine di fornire nuovi stimoli alla vita sociale dei quartieri, favorendo la coesione fra le persone che li abitano.

LEGGI ANCHE: Il mercato italiano della bicicletta: dal bike to work al cicloturismo

smartworking-lavoro-remoto

Lo smart working nella smart city

Molte altre città stanno prendendo in considerazione, o hanno già attuato, programmi urbanistici in grado di snellire i tempi di percorrenza tra casa, posto di lavoro e le altre necessità dei cittadini, creando smart city basate sul tempo oltre che sui servizi.

In questo contesto che ruolo potrebbe avere lo smart working?

Tra i benefici del lavoro agile, infatti, figura un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata dei lavoratori: strizzando un occhio ai risultati raggiunti a fine mese, senza dare particolare peso allo spazio dove viene svolto il lavoro.
Concetti che potrebbero essere coerenti anche con i progetti di rimodulazione delle grandi città: magari implementando uffici o coworking di quartiere (a disposizione di tutti) dove è possibile andare a lavorare, a piedi o in bici, in soli 10-15 minuti. Abbattendo di molto i tempi medi che occorrono per recarsi nell’ufficio della propria azienda situato, ad esempio, nel cuore di una grande città o in una zona industriale parecchio distante da casa.

Evitando di entrare nel dibattito economico, una novità di questo tipo potrebbe favorire la contaminazione di know-how e il confronto fra professionisti che non hanno mai condiviso “geograficamente” lo stesso ufficio o la stessa scrivania. Che ne pensate?

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youtube la vita in un giorno

25 luglio. YouTube ti invita a far parte di uno storico documentario globale

  • YouTube lancia un nuovo lungometraggio partecipativo globale prodotto da Ridley Scott e diretto da Kevin Macdonald.
  • Per partecipare, il prossimo 25 luglio dovrai riprendere la tua giornata e raccontare cosa per te è importante in questo 2020.

 

“Il 25 luglio 2020, riprendi la tua giornata: potresti entrare a far parte di uno storico documentario di portata globale, prodotto da Ridley Scott, diretto da Kevin Macdonald e girato da te. Preparati a partecipare”.

Eccolo l’invito di YouTube a tutti gli utenti per una operazione globale che arriva a 0 anni dal primo esperimento di questo genere.

Il 2020 è un anno che passerà alla storia. Dagli incendi boschivi in Australia ai disordini civili a Hong Kong. Dalla pandemia che ha distrutto tante vite preziose e trasformato il modo in cui viviamo alle proteste del movimento Black Lives Matter che hanno infiammato ogni angolo degli Stati Uniti (e del mondo). Ogni evento ha contribuito a renderlo un anno storico.

youtube la vita in un giorno

Tuttavia, nel mezzo di questi avvenimenti straordinari, la vita di tutti i giorni continua ad andare avanti. E noi continuiamo a condividerla online.

“Balliamo. Ridiamo. Piangiamo.
Amiamo. Abbiamo paura. Speriamo.

E se catturassimo tutti questi istanti e sentimenti nell’arco di una sola giornata?”.

Il progetto di YouTube è semplice: sabato 25 luglio 2020, riprendi la tua giornata e carica il tuo filmato, potresti entrare a far parte di questa capsula del tempo dell’anno 2020.

Come si partecipa

La partecipazione è aperta a tutti e i contenuti inviati da ogni angolo del pianeta verranno intrecciati insieme per realizzare un lungometraggio prodotto da Ridley Scott, diretto da Kevin Macdonald e girato anche da te, che verrà presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2021.

Le iscrizioni apriranno il 25 luglio e chiuderanno il 2 agosto.

LEGGI ANCHE: TED lancia Countdown, un’iniziativa sul Climate Change in collaborazione con YouTube

youtube la vita in un giorno

Il primo esperimento nel 2010

Già nel 2010, decine di migliaia di persone avevano preso in mano la propria videocamera per rispondere all’invito di mostrare la loro giornata.

Con oltre 80.000 clip inviati da 189 paesi, La vita in un giorno era diventato il progetto cinematografico partecipativo più grande mai realizzato. Kevin Macdonald e il suo team hanno tratto dalle 4.500 ore di filmato un lungometraggio di 90 minuti che è stato proiettato in prima assoluta al Sundance Film Festival del 2011 e su YouTube, ricevendo nel frattempo più di 16 milioni di visualizzazioni.

Cosa raccontare a YouTube

L’idea è di ripetere questo esperimento in questo anno così particolare: il 25 luglio, prendi la tua videocamera o il tuo smartphone e riprendi la tua giornata.

Potresti registrare la tua giornata tipo con lavoro, famiglia e amici oppure condividere un evento speciale, ad esempio il giorno del tuo matrimonio, importanti novità in arrivo o la nascita di un bambino. Potresti mostrare il tuo graduale ritorno alla normalità o qualcosa per cui stai lottando.

In alternativa, potresti decidere di riprendere una persona che trovi interessante e immortalare tutto il suo 25 luglio.

L’invito è quello di partire da queste quattro domande:

  • Cosa ti sta a cuore?
  • Di cosa hai paura?
  • Cosa vorresti cambiare nel mondo o nella tua vita?
  • Cosa ti porti dietro di quest’anno?

La cosa più importante è dare una testimonianza personale. Condividi quello che conta ai tuoi occhi, perché questo è il tuo film.

Le iscrizioni saranno aperte dal 25 luglio al 2 agosto. Alla chiusura delle iscrizioni, un team di ricercatori ed editor esaminerà i clip ricevuti. Se il tuo filmato verrà utilizzato nella versione finale del film, ti contatteremo più avanti nel corso dell’anno.

YouTube fornisce anche una serie di indicazioni tecniche e consigli per le riprese, che puoi leggere qui.

Intanto puoi riguardare il progetto del 2010 per trovare l’ispirazione.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

5 trend di Instagram che hanno dominato la prima metà del 2020

  • Lo shopping è il primo e più importante trend su Instagram riscontrato nel 2020, anche grazie alle novità introdotte da Facebook a favore delle imprese.
  • Sembra, poi, che da piattaforma inspirational, Instagram sia diventato invece un hub dove condividere contenuti educational sotto forma di Carousel.
  • Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, infine, le attività di Live Streaming su Instagram hanno registrato un aumento del 70% negli Stati Uniti.

 

Abbiamo superato finalmente, con immensa fatica, la prima metà del 2020, un anno davvero incredibile ed estremamente difficile per tutto il mondo.

Nonostante la nostra attenzione sia stata catalizzata dai cambiamenti radicali di cui siamo stati testimoni negli ultimi mesi, il mondo della comunicazione digitale non si è mai fermato.

I primi sei mesi del 2020 hanno portato numerose e importanti novità anche nell’ambito dei social media: dal successo incredibile di nuove applicazioni come TikTok e Twitch, alle feature aggiuntive che hanno aggiornato le “vecchie” piattaforme come Facebook e Twitter.

Ma in questo articolo vogliamo concentrarci sui trend che hanno dominato Instagram nella prima metà di questo anno particolare.

LEGGI ANCHE: Facebook Shops: come funziona nel dettaglio la nuova opzione per vendere online

Quali sono i trend che hanno dominato Instagram (fino ad ora)?

#1 Instagram Shopping

Le intenzioni di Mark Zuckerberg sono sempre state abbastanza chiare: trasformare le sue piattaforme in veri e propri eCommerce. 

Ed è per questo che da qualche mese ha introdotto Instagram Checkout, uno strumento che permette all’utente di effettuare acquisti senza bisogno di uscire dall’applicazione, quindi direttamente su Instagram.

Una feature che è stata ovviamente replicata anche su Facebook, con il lancio di Facebook Shops. Una mossa estremamente tattica che, con il senno di poi, è stata ancora più intelligente dato l’aumento degli acquisti online dovuto al lockdown obbligato dalla pandemia di Covid-19.

Ma l’introduzione del checkout diretto non è stata l’unica novità nell’evoluzione della piattaforma: sembra infatti che sia in fase di beta-testing anche l’opzione di Instagram Live Shopping.

Si tratta della possibilità, per aziende e creator, di linkare direttamente durante un live streaming nelle proprie Stories alla pagina di prodotto per consentire agli utenti di effettuare acquisti dal catalogo con un solo click.

Non c’è da stupirsi, quindi, che lo shopping su Instagram sia il primo e più importante trend riscontrato nel 2020: le aziende stanno aggiornando velocemente le loro strategie di comunicazione collaborando coninfluencer, promuovendo i loro prodotti nella pagina Esplora tramite gli Shopping Ads, oppure semplicemente condividendo post e storie accompagnati dai tag di prodotto.

#2 Educational Carousel

Instagram è sempre stata una piattaforma inspirational e focalizzata sulle arti visive, con la condivisione di fotografie di alta qualità e contenuti graficamente ricercati. 

Fotografi, artisti, illustratori, designer, brand di alta moda etc., hanno sempre utilizzato la piattaforma come vetrina per esporre le loro opere.

Ma nel 2020 sembra che la tendenza si sia invertita: Instagram diventa un hub dove condividere contenuti educational sotto forma di carousel.

Il formato carousel, o album, che permette di condividere nello stesso post fino a dieci contenuti differenti, ha visto un aumento nel suo utilizzo negli ultimi mesi, sia da parte dei creator che dei brand. 

Il picco è stato raggiunto nel mese di maggio grazie al movimento Black Lives Matter, che ha generato sulla piattaforma milioni di contenuti a scopo educazionale con l’obiettivo di condividere massivamente materiale informativo.

LEGGI ANCHE: Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)

 

 

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George Floyd was killed month ago today. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ We shared this post a few days later and it quickly became one of our top posts on Instagram. Over 4.7 million people saw it. 412,647 people shared it. 451,473 people saved it. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ It’s so encouraging to see the number of people who stepped up and committed themselves to antiracism work, but it’s important to remember: We can’t just show up when it’s trending. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ This is important work we need to do every single day. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ So, what are you doing this week to further your work to be antiracist? ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ #Antiracism #BecomeGoodNews

Un post condiviso da Good Good Good (@goodgoodgoodco) in data:

Grazie a questa tendenza, possiamo pensare al ritorno del “blog” in chiave moderna, ovvero attraverso Instagram. I contenuti con tanto testo non sono più visti come inadeguati per la piattaforma, anzi vengono apprezzati perché si presuppone che contengano informazioni interessanti per l’utente.

#3 Instagram Live Streaming

Secondo i dati riportati da Facebook e ripresi da un interessante articolo di analisi psicologica pubblicato da BusinessInsider, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile le attività di live streaming su Instagram hanno registrato un aumento del 70% negli Stati Uniti.

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Questo incremento esponenziale è senza dubbio conseguenza del lockdown che ha interessato tutto il mondo, dovuto alla pandemia di Covid-19, e dell’obbligo di distanza sociale che ha spinto molti utenti a cercare nuovi modi per interagire e comunicare.

 

Ovviamente questa impennata di live streaming ha obbligato Instagram a lavorare per migliorare le funzionalità correlate a questa feature. 

Ed è così che la piattaforma ha annunciato diverse nuove funzionalità, tra cui un pulsante per caricare le dirette Instagram direttamente su IGTV una volta terminate, oppure la possibilità di guardare i live streaming comodamente su desktop dal proprio pc.

LEGGI ANCHE: Live streaming: 5 strumenti (digitali e fisici) indispensabili per organizzare le tue dirette

Come conseguenza indiretta del boom nell’utilizzo delle dirette Instagram, anche IGTV è tornato sulla cresta dell’onda, soprattutto tra brand e creator, che possono condividere contenuti video di lunghezza superiore al minuto.

#4 Instagram Challenges

Possiamo affermare con certezza che il 2020 è stato l’anno delle sfide Social.

Hanno iniziato a diffondersi grazie a TikTok, per poi esplodere durante il lockdown, diventando uno “strumento digitale” per evadere la noia della permanenza forzata in casa e continuare a divertirsi con amici e familiari.

 

 

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You already KNOW you couldn’t keep me from the #PillowChallenge ?

Un post condiviso da Halle Berry (@halleberry) in data:

Anche su Instagram le Social Challenge hanno catturato l’attenzione della maggior parte degli utenti – comprese le celebrities – e per cavalcare a suo favore quest’onda, la piattaforma ha creato il Challenge Sticker.

Si tratta di uno sticker per le storie, attraverso il quale l’utente può registrare un video e lanciare la propria sfida ai suoi followers, taggando direttamente gli sfidanti nella Instagram Story.

Come era prevedibile, le sfide social hanno conquistato anche i grandi Brand, che hanno approfittato di questo trend per sviluppare strategie di comunicazione originali, coinvolgendo influencer o promuovendo campagne benefiche di fundraising.

Un ottimo esempio è quello del brand @cultgaia di Los Angeles, che ha lanciato la sfida #cultgaialetsdance: per ogni video di danza pubblicato su Instagram con il relativo hashtag, CultGaia ha donato 25 dollari all’associazione benefica No Kid Hungry.

#5 Branded AR Filters

Con il lancio degli Spark AR Studios da parte di Facebook, avvenuto a metà del 2019, il mood delle Instagram Stories è cambiato radicalmente.

Se fino all’anno scorso designer, artisti e grandi Brand facevano a gara per far parte del programma beta chiuso a pochi fortunati, ora è possibile per chiunque creare e pubblicare i propri filtri AR per le IG Stories.

 

Sono molte le ragioni per cui i filtri AR di Instagram possono rivelarsi uno strumento di marketing davvero potente per i brand, ma la principale ha a che fare con la libertà di creatività.

Per esempio, i brand di cosmesi possono usare l’AR per permettere ai loro follower di “provare” i loro prodotti, mentre le marche che operano nel fashion possono ricreare dei camerini virtuali per far “indossare” agli utenti vestiti e accessori, prima di comprarli online.

Il re dei trend di Instagram: la creatività

Dicono che non tutto il male venga per nuocere e possiamo affermare che anche il lockdown ha portato alcune novità positive, perché ha obbligato sia le persone che i brand a lavorare con la creatività per trovare nuove vie di comunicazione online.

islanda campagna

Hai voglia di urlare? Vieni in Islanda. Ecco l’ultima campagna dell’ente per il turismo

  • Secondo un sondaggio condotto per Inspired by Iceland in altri paesi circa il 40% degli intervistati ha riferito di sentire sintomi di stress dovuti a Covid-19.
  • L’ente per il turismo islandese sta invitando le persone a sfogarsi facendo risuonare le proprie urla con un altoparlante in una zona remota del paese.

 

Le persone in tutto il mondo hanno trovato modi diversi per alleviare lo stress durante la pandemia di coronavirus. Alcuni hanno provato a correre, a fare giardinaggio, a fare puzzle, a cucinare – ma che dire delle urla?

L’ente per il turismo islandese sta invitando le persone a sfogarsi facendo risuonare le proprie urla con un altoparlante in una zona remota del paese. L’ultima campagna, sviluppata dalle agenzie sorelle SS+K e M&C Saatchi U.K., mostra diverse persone frustrate in situazioni di lockdown, che fissano la TV ma non trovano nulla di buono da guardare, che faticano a completare un puzzle e che si tagliano male i capelli da soli. Mentre ognuno di loro emette un urlo, viene trasportato nella nazione nordica.

islanda campagna tursimo

Secondo un sondaggio condotto per Inspired by Iceland in altri paesi circa il 40% degli intervistati ha riferito di sentire sintomi di stress dovuti a Covid-19 e il 37% ha dichiarato che la condizione attuale del mondo sta avendo un effetto negativo sul benessere mentale.

Così in sette diverse località in tutto il paese sono stati allestiti sette amplificatori per trasmettere le urla che è possibile registrare da un sito web dedicato all’iniziativa.

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campagna tursimo islanda

Gli altoparlanti nella natura in Islanda

Si possono trovare nei pressi della cascata Skógarfoss, nell’Islanda meridionale; sotto il ghiacciaio Snæfellsjökull, nell’Islanda occidentale; sulla spiaggia di Rauðisandur nei fiordi occidentali; e sull’isola di Víðey al largo della costa di Reykjavík. I partecipanti, poi, ricevono un video del loro urlo che viene trasmesso in una delle località.

“Vogliamo attirare l’attenzione dei potenziali turisti sul fatto che è relativamente sicuro viaggiare in Islanda e che qui si può sperimentare una natura bellissima senza folla, cosa che pensiamo la gente cercherà quando l’interesse per i viaggi aumenterà di nuovo”, ha dichiarato il direttore del programma turistico di Promote Iceland, Sigríður Dögg Guðmundsdóttir.

“È importante attirare l’attenzione sui vantaggi dell’Islanda adesso. La gente sogna il momento in cui sarà possibile viaggiare di nuovo e persino pianificare viaggi nel prossimo futuro. Noi vogliamo far parte di questa conversazione”.

islanda

Alcuni islandesi si sono rivolti ai social media per esprimere il loro disappunto nei confronti dell’approccio utilizzato dalla campagna, alcuni l’hanno definita sciocca e fuori dal contatto con la realtà islandese. Altri temono che i suoni emessi dagli altoparlanti rovinino la calma e la quiete che rende la natura islandese così attraente, con alcuni che minacciano persino di spegnere semplicemente gli altoparlanti se daranno fastidio.

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L’effetto terapeutico di un urlo

Un disclaimer della campagna ricorda ai partecipanti che urlare può essere terapeutico, ma è solo “un punto di partenza”. Se si ha bisogno di un sostegno per la salute mentale è indispensabile cercare un aiuto professionale.

Zoë Aston, terapeuta e consulente per la salute mentale, ha offerto in proposito consigli per chi volesse partecipare all’iniziativa e urlare. Alcuni dei suoi consigli includono la scelta del tipo di urlo da usare – volume, parole o respiro – stare in piedi con i piedi alla stessa larghezza dei fianchi, piegare leggermente le ginocchia, rilassare le spalle, urlare spingendo dalla pancia fuori l’aria e seguire il proprio istinto.

 

CREDITS

SS+K
Partner: Lenny Stern
Executive creative director: Stevie Archer
Managing director, production and operations: John Swartz
Agency and client lead: Amy Frisch
Account director: José Salgado
Agency producer: Craig von Wiederhold
Creative director: Daniel Bremmer
Senior strategist: Elena Claro
Managing director, strategy group: Kevin Skobac

M&C Saatchi UK
Senior copywriter: Camila Gurgel
Senior art director: Ieva Paulina:

Peel
Managing directors: Magnús Magnússon, Egill Thordarson
Designer: Einar Guðmundsson
Animator: Arnar Jónsson

M&C Saatchi TALK (Global PR Hub)
Global managing director: Chris Hides:
Director: Sophie Hayes
Senior associate director: Lauren Hunt-Morgan
Senior account manager: Jade Beaty
Account manager: Maia Quinn

Firefall
Founder, chief technologist: Scott Park
Producer: Nancy Tran

Skot Productions
Directors: Samuel & Gunnar
Executive producer: Hlynur Sigurðsson
Head of production / producer: Birna Paulina Einarsdóttir.

twitter

8 best practice per piccoli business che vogliono convertire su Twitter

  • Secondo Twitter, il 53% dei suoi utenti ha maggiori probabilità di essere tra i primi acquirenti di nuovi prodotti.
  • Utilizzare queste 8 best practice può aiutare le piccole imprese a connettersi con il proprio pubblico, aumentare il seguito e la brand awareness e, in definitiva, a convertire su Twitter.

 

Tra tutti i social network, Twitter è quello più portentoso. I post sono brevi, la piattaforma è veloce e probabilmente è quella con l’algoritmo più semplice di tutte.

Il suo utilizzo di nicchia ben si sposa con cause come la politica, gli eventi, il giornalismo e gli affari, facendolo risultare tra le piattaforme più complesse da padroneggiare e da implementare a livello strategico.

Ma a quanto pare è proprio questo aspetto a renderlo sfidante per le aziende, specie per quelle più piccole.

Per queste realtà, l’investimento in Twitter Ads ben strutturate sarebbe particolarmente efficace per la loro crescita e performante per il tasso di conversione.

Vediamo come.

LEGGI ANCHE: Twitter ci ha spiegato come i brand hanno usato i social media durante l’emergenza

Twitter Ads per piccoli business

Facebook, Instagram o LinkedIn. Pinterest, Tik Tok o Youtube. Ciascuno di questi social può fare la differenza per un business.

Ma le Ads su Twitter meritano un occhio di riguardo da parte di tutte le piccole imprese che vogliono far crescere i propri affari.

Perciò, se rientri in questa categoria segna queste 8 best practice per strutturare al meglio le campagne pubblicitarie su Twitter nei prossimi mesi.

  1. Stabilire gli obiettivi

Che sia su Twitter o su altre piattaforme qualsiasi strategia di social media marketing che si rispetti ha come base di partenza la definizione degli obiettivi necessaria a creare contenuti coerenti alla brand identity.

I principali sono:

  • Aumento del traffico sul sito;
  • Aumento della brand awareness;
  • Analisi del sentiment, utile a conoscere cosa pensa il pubblico del brand;
  • Ottimizzare le conversioni, tracciando le vendite provenienti dai follower attivi della pagina;
  • Migliorare l’assistenza clienti fornendo tempi di risposta migliori direttamente sul canale.
  1. Ottimizzare il profilo

Una pratica spesso sottovalutata che può creare una forte connessione tra la tua impresa e i potenziali clienti se curata nel dettaglio.

Per procedere occorrerà fare attenzione a questi semplici accorgimenti:

  • Il nome utente, meglio se identico a quello dell’attività;
  • Ottimizzazione della bio, con una struttura che chiarisca cosa fai e per chi, quale problema risolvi e in che modo.

Per il nome utente, meglio evitare l’inserimento di numeri o altri caratteri speciali per renderlo unico: sarebbero fuorvianti per chi ti cerca.

  1. Scegliere gli hashtag giusti

Scegliere gli hashtag giusti significa selezionare quelli rilevanti e pertinenti per il tuo settore. Includere questa procedura nella realizzazione delle Twitter Ads aiuta a rafforzare le campagne e ad ottenere dati interessanti su cui lavorare.

LEGGI ANCHE: I migliori tool per individuare gli hashtag

  1. Creare contenuti di qualità

Per realizzare un contenuto di qualità non necessariamente occorre auto-produrlo.

Grazie alla presenza del retweet, la content strategy su Twitter può risultare sempre ricca di spunti interessanti: ricondividere articoli utili di terze parti, retwittare feedback positivi dei clienti oltre ai contenuti programmati è una soluzione originale per rafforzare la presenza del brand sulla piattaforma e creare connessioni con il pubblico di riferimento.

Ma attenzione a non abusare di questa pratica se non si vuole ottenere l’effetto contrario a livello di brand identity e a restare fedeli agli interessi reali del target.

  1. Realizzare sondaggi

Uno strumento decisamente strategico se utilizzato nel modo giusto, che vuol dire strutturato per:

  • conoscere meglio le abitudini del pubblico a cui ti rivolgi;
  • capire il loro punto di vista.

Facendo leva sugli argomenti di tendenza purché siano attinenti al tuo settore.

  1. Utilizzare CTA che convertono

Fondamentali per supportare le campagne di advertising, ma è bene valutare quelle che convertono di più su Twitter per incentivare all’azione.

Condurre una social audit potrebbe essere una soluzione.

  1. Pianificare i post

Sapere cosa pubblicare e quando sono due fattori imprescindibili per una pianificazione ad hoc dei post. Il passaggio successivo è scegliere a quale tool affidarsi per snellire il flusso.

LEGGI ANCHE: Tutti i tool gratuiti e low cost di cui non puoi fare a meno per lavorare sui social

C’è da dire, inoltre, che Twitter è l’ideale se il real time marketing fa parte della strategia di comunicazione: un tweet in tempo reale sull’argomento di tendenza nel settore renderà la pianificazione sicuramente più accattivante.

  1. Analizzare le prestazioni

Senza numeri nessuna strategia dei contenuti ha senso di esistere.

Analizzare i tweet peggiori o migliori del profilo può aiutare un piccolo business a identificare che tipo di contenuto è apprezzato di più e su quale è bene puntare per una content strategy su Twitter più performante.

Piattaforme come Sprout Social permettono di ottenere informazioni dettagliate sulle prestazioni delle campagne di marketing su Twitter, grazie a report, assistenza clienti, analisi della concorrenza e altro ancora previsti per chi utilizza questo tool.

E ora?

hastag su twitter per piccole imprese

Convertire su Twitter

Seguire queste otto best practice per un piccolo business può rivelarsi vantaggioso in termini di crescita.

D’altronde, è lo stesso Twitter a riportare che il 53% degli utenti attivi su questa piattaforma ha maggiori probabilità di convertirsi in cliente. Perciò vale la pena puntare su questo canale social.

A patto che sia in linea con gli obiettivi che si vogliono raggiungere e la coerenza della brand identity.

bicicletta

Il mercato italiano della bicicletta: dal bike to work al cicloturismo

  • Il mercato italiano della bicicletta è in crescita: dalla riapertura dei negozi dopo il lockdown +60% di acquisti.
  • La bicicletta viene utilizzata solo dal 3,6% della popolazione come mezzo di trasporto, ma sono in corso molte iniziative pubbliche e private per cambiare tendenza.
  • Il cicloturismo come esperienza di viaggio, nel 2019 ha generato 4,7 miliardi di euro.

 

“Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor…” cantava negli anni Cinquanta Silvana Pampanini.

La bicicletta è uno dei mezzi più utilizzati al mondo e ha una storia antichissima oltre che un valore sociale. I primi schizzi di bicicletta sono contenuti addirittura nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e risalgono al ‘500. Il primo modello di bici vero e proprio (draisina) risale invece all’800 tedesco.

bicicletta di Leonardo da Vinci

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In Italia la bicicletta è stata ampiamente utilizzata durante la Grande Guerra in ambito militare. Diventa popolare negli anni ’30 e ’40, come mezzo di trasporto. Con il boom economico subisce un calo, sostituita dai motocicli e dall’utilitaria. Ritorna popolare negli anni ’70 e ’80, soprattutto a scopo sportivo. Negli ultimi anni, grazie all’aumento di sensibilità verso i temi della sostenibilità e all’innovazione tecnologica dell’elettrico, la bicicletta sta prendendo sempre più piede anche come mezzo di trasporto, soprattutto nel corso dell’emergenza sanitaria.

Nel contesto attuale in cui viviamo, come si posiziona quindi la bicicletta?  Può dare una spinta alla ripresa del turismo italiano?

Nei prossimi paragrafi faremo una fotografia del mercato italiano, concentrandoci sull’utilizzo della bici come mezzo di trasporto, con alcuni progetti in corso sia a livello pubblico che privato. Guarderemo poi la bicicletta nel contesto del cicloturismo.

Il mercato delle biciclette in Italia

In Italia c’è un mercato molto attivo per le biciclette, con aziende storiche presenti soprattutto al nord. Pensiamo per esempio all’azienda Torpado, nata a Padova nel 1895, ad Atala nata a Milano nel 1907, a Bianchi, la più antica, nata nel 1885 a Milano.

Il mercato italiano registra una produzione annua stabile intorno alle 2.500.00 biciclette: nel 2019 c’è stata una crescita del +25% e il 2020 potrebbe registrarne una ancora maggiore. La richiesta di biciclette vede sicuramente un aumento di interesse nell’e-bike, ma anche nelle biciclette sportive.

bicicletta

Secondo un recente comunicato stampa di Confindustria ACMA (Associazione Nazionale ciclo motociclo e accessori), dalla riapertura dei negozi dopo il lockdown c’è stato un +60% di acquisto di bici tradizionali e a pedalata assistita rispetto lo scorso anno, intorno a 540 mila biciclette vendute. Un incentivo è sicuramente il Bonus Mobilità del Governo con il 60% di restituzione importo sull’acquisto, ma non solo, perché gli acquisti si registrano anche in Comuni al di sotto dei 50.000 abitanti, che non usufruiranno del bonus.

Un rischio, in questo momento di boom, potrebbe essere perfino una domanda che supera l’offerta a causa dello stop di produzione in questi mesi. Alcune aziende infatti stanno accelerando la produzione per recuperare il gap.

La bicicletta come mezzo di trasporto

Se la bicicletta riscuote un certo interesse in ambito sportivo e di svago, lo stesso non si può dire del suo utilizzo in Italia come mezzo di trasporto.

Secondo un report di Legambiente, la bicicletta viene utilizzata infatti solo dal 3,6% della popolazione con questo scopo. I frequent biker, cioè coloro che utilizzano la bici regolarmente per il tragitto casa-lavoro sono solo 743.000, con percentuali elevate nella provincia autonoma di Bolzano (13,2% degli occupati), in Emilia Romagna (7,8%) e in Veneto (7,7%). Le città più bike-frendly in Italia sono 12, con in testa Bolzano, Pesaro, Ferrara e Treviso, dove un quarto della popolazione pedala per i propri spostamenti quotidiani. Nel centro-sud l’utilizzo della bicicletta per spostarsi è molto basso. Nel tragitto casa-scuola o casa- università, utilizzano la bicicletta circa 1 milione di studenti nelle regioni già citate.

bicicletta mezzo di trasporto

Il report di Legambiente ha quantificato l’ammontare dei benefici annuali in euro prodotti da ogni singolo chilometro di ciclabile nelle città dove almeno il 20% degli spostamenti viene effettuato in bici. A Bolzano i benefici in termini di risparmio di carburante, benefici sanitari, contenimento dei costi ambientali e sociali dei gas serra, riduzione di smog e motore, dall’abbattimento dei costi delle infrastrutture e dell’artificializzazione del territorio, ammontano a 1.156.849 euro l’anno, a Ferrara 751.890, a Treviso 655.873.

Progetti Ciclabili: Milano e Pesaro

A determinare alti livelli di ciclabilità nelle città è l’approccio innovativo allo spazio pubblico e alla sostanziale ridistribuzione dei pesi tra le diverse componenti del trasporto unita a una pianificazione urbana, che mette al centro le esigenze della persona e non del veicolo e punta all’efficienza dell’intero sistema locale degli spostamenti.

Rapporto Legambiente, L’Abici

La rimodellazione della città in funzione della bicicletta necessita, come cita il rapporto di Legambiente, una ridistribuzione dei pesi tra le diverse componenti del trasporto e una pianificazione urbana. Questo per esempio può significare ridurre la carreggiata o eliminare dei parcheggi auto a favore delle piste ciclabili.

piste ciclabili

Nelle città italiane, ci sono diversi progetti sulla ripianificazione urbana in fase di realizzazione.

  • Milano. Il comune ha avviato un progetto per costruire 35 chilometri di piste ciclabili entro dicembre. Tra le motivazioni principali, quelle di contenere il contagio e consentire gli spostamenti con il giusto distanziamento sociale, senza causare congestioni di traffico e aumentare l’inquinamento. I 35 chilometri di nuove piste ciclabili si aggiungeranno ai 220 chilometri già esistenti e nuovi parcheggi per bici e moto.
  • Pesaro. La bicipolitana, questo il nome del progetto a due ruote che il comune sta realizzando. Si tratta di una vera e propria metropolitana in superficie, dove le rotaie sono i percorsi ciclabili e le carrozze le biciclette. Utilizza lo schema delle metropolitane, con le linee azzurre, gialle, rosse, arancioni e i collegamenti a più parti delle città. Attualmente sono realizzate la linea verde e azzurra, le altre sono in costruzione.

Le iniziative delle aziende: Oracle e Trek Italia, Enel

Sul fronte privato anche le aziende stanno sperimentando progetti di mobilità sostenibile di bike to work. Oracle in partnership con Trek Italia nelle sedi di Roma e Milano ha messo a disposizione in bike sharing 8 biciclette a a pedalata assistita per i propri dipendenti.

Le biciclette potranno essere prenotate con una app, che permetterà anche di monitorare gli spostamenti e calcolare il risparmio in termini di inquinamento grazie alla bicicletta.

bike to work

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Anche Enel ha messo a disposizione una flotta biciclette in bike sharing per le sedi di Firenze e Bologna. I dipendenti possono utilizzarle per spostamenti dalla sede di lavoro alla stazione ferroviaria o per altri spostamenti professionali in città.

Oltre la sostenibilità, l’utilizzo della bici per andare al lavoro porta una riduzione di stress da traffico, attività fisica quotidiana e la possibilità di attraversare i centri storici delle città.

Cicloturismo

Il cicloturismo è la visita ed esplorazione di luoghi a scopo ricreativo, di uno o più giorni, incentrata in modo prevalente e significativo sull’uso della bicicletta per finalità di svago. La bicicletta nel cicloturismo quindi riveste un ruolo rilevante nell’esperienza di viaggio. Non è considerato cicloturismo l’attività sporadica con la bicicletta.

Nel 2019 l’Italia ha registrato quasi 55 milioni di pernottamenti di cicloturisti, generando una spesa complessiva di 4,7 miliardi di euro. Di questi 20,5 milioni sono italiani, con 1,7 miliardi di euro. Questo dato potrebbe aumentare a 26 milioni nel 2020 grazie al turismo di prossimità e la possibilità che offre la bicicletta di mantenere un distanziamento sociale.

Il rapporto Isnart-Legambiente rileva che nel 2019 la maggior parte dei cicloturisti in Lombardia ed Emilia-Romagna si sono mossi nella area di residenza o limitrofe, mentre veneti e toscani hanno raggiunto anche Sicilia e Calabria. I cicloturisti stranieri tedeschi e austriaci prediligono il Trentino, i francesi Lombardia, Trentino e Sardegna. Le regioni meno toccate dalle due ruote sono Umbria, Abruzzo, Campania e Molise.

La spesa media del cicloturista è di 75 euro pro-capite, ha reddito un medio-alto e predilige le vacanze in coppia. Tra gli stranieri l’uso della bicicletta è al primo posto per le attività sportive praticate in vacanza (37,5%) a cui seguono Sci (28,8%) e Trekking (18,5%). Il cicloturismo ha in media un peso del 6% sulla domanda turistica.

Tra le ciclovie italiane con maggiore appeal turistico troviamo la ciclovia del Garda, che sarà conclusa nel 2021, attraversa 19 comuni del Lago di Garda. Dal 2018 è attiva la ciclopista del Garda, parte del progetto della ciclovia, con una pista sospesa a 50 m sul lago di Garda che collega Limone sul Garda al confine della provincia di Trento.