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pinterest per aziende

Da dove cominciare per portare la tua azienda su Pinterest

  • Oltre il 97% delle ricerche più popolari su Pinterest non contiene riferimenti a brand.
  • Pinterest è un’app di scoperta visiva e ogni mese viene usato da circa 400 milioni di persone in tutto il mondo per trovare idee su moda, bellezza, ricette, arredamento e molto altro.
  • Dalla creazione del profilo business alla strategia, ecco alcuni consigli direttamente da Pinterest.

 

In questo momento storico in cui il mondo si prepara a ripartire e le persone si adattano a nuove abitudini, fare progetti per il futuro ha tutto un altro sapore.

Oggi più che mai c’è bisogno di ispirazione e anche i social possono dare un contributo significativo in tal senso.

Pinterest è un’app di scoperta visiva e ogni mese viene usato da circa 400 milioni di persone in tutto il mondo per trovare idee su moda, bellezza, ricette, arredamento e molto altro.

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Come funziona Pinterest?

Le persone salvano i Pin, una sorta di segnalibri visivi, sulle bacheche che hanno creato. I Pin rimandano ai siti web e agli shop online delle aziende. Gli utenti possono salvare le idee che ritengono interessanti dai siti web oppure direttamente da Pinterest, se le scoprono seguendo altri profili, effettuando ricerche o tramite i suggerimenti.

Le persone usano la piattaforma per fare progetti, di conseguenza sono alla ricerca di nuove idee e vogliono prendere in considerazione la prossima cosa da fare o da acquistare. Dall’altro lato, le aziende hanno la possibilità di raggiungere queste persone esattamente quando stanno decidendo quali prodotti o servizi provare.

In Italia sono ancora molti i brand che non conoscono Pinterest come strumento di interazione con i consumatori. Adrien Boyer, Country Manager per l’Europa meridionale di Pinterest, ci racconta qualcosa in più sulla piattaforma e fornisce qualche consiglio ai brand che vogliono iniziare a progettare una strategia sul social.

country manager pinterest

Da dove partire per sbarcare su Pinterest con la tua azienda

Il primo step è creare un profilo business su Pinterest. La registrazione è gratuita e dà accesso a Pinterest Analytics e ad altri strumenti con cui potete consolidare la vostra presenza sulla piattaforma.

Le persone arrivano su Pinterest per trovare idee per il guardaroba, per la casa, per le ferie e anche per i regali da acquistare. Dal canto loro, i brand le aspettano a braccia aperte, quindi su Pinterest si crea una sorta di corrispondenza del tutto naturale tra utenti e aziende.

Oltre il 97% delle ricerche più popolari su Pinterest non contiene riferimenti a brand, il che significa che le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, hanno buone probabilità di essere scoperte. E, dato che su Pinterest c’è una disposizione mentale all’acquisto che si manifesta anticipatamente rispetto agli altri canali, le aziende possono essere trovate da persone che ancora non sanno esattamente cosa stanno cercando ma che sono aperte a provare nuovi brand.

Come ottimizzare il profilo business

È importante osservare come la naturale evoluzione del viaggio di scoperta dell’utente, dall’ispirazione alla pianificazione fino all’azione, vada di pari passo con l’intero percorso di acquisto. Le aziende possono fare la propria parte dando particolare rilievo a ciascuno di questi passaggi.

Ecco quattro consigli su come sfruttare al massimo il potenziale di Pinterest per raggiungere un pubblico ispirato:

1. Installa il pulsante Salva

Una volta aggiunto il pulsante Salva sul sito web, per i visitatori è semplicissimo salvare le vostre immagini su Pinterest. Così facendo, dimostrano interesse verso il brand e, per di più, i vostri contenuti vengono visti anche da altri utenti. Puoi anche collegare il feed RSS al tuo account business per generare automaticamente dei Pin a partire dai contenuti del sito.

2. Inizia a salvare i Pin

Suggeriamo di creare ogni settimana nuovi Pin che rimandino al tuo sito web. In questo modo i follower avranno più occasioni di interagire con i vostri contenuti e aumenterà la copertura organica. Puoi programmare la pubblicazione dei Pin con un anticipo di due settimane. Inoltre, per facilitare ulteriormente la creazione dei Pin, gli strumenti creativi , tra le altre cose, consentono di scegliere rapporti d’aspetto predefiniti per le immagini, ritagliare e aggiungere testi e loghi. Per avere successo sulla piattaforma, i Pin devono essere ad alta risoluzione e di ottima qualità. Le immagini troppo cariche e disordinate non fanno presa sul pubblico. I Pin video offrono agli utenti contenuti utili e che invitano all’azione, per questo sono un formato particolarmente efficace per aumentare le interazioni. Se disponi di un catalogo aziendale, puoi caricare tutti i tuoi prodotti con Cataloghi e trasformarli in Pin prodotto dinamici che includono informazioni aggiornate sul prezzo e sulla disponibilità, oltre a una descrizione tratta dal vostro sito web. Gli utenti sapranno quindi che i tuoi articoli si possono acquistare.

3. Fai leva sulle metriche di Pinterest

Le visualizzazioni mensili indicano il numero di persone che hanno visto i tuoi Pin negli ultimi 30 giorni. Questo numero comprende tutti i Pin che salvi su Pinterest, ma anche tutti i Pin provenienti dai tuoi siti web e account verificati che sono stati salvati dagli utenti. Viene calcolato su un periodo di 30 giorni, quindi è quotidianamente soggetto a fluttuazioni a seconda delle prestazioni dei Pin. Le statistiche dei Pin sono un modo semplice e immediato per scoprire come stanno andando i vostri contenuti in termini di impression, primi piani, click e salvataggi e su quali bacheche vengono salvati.
Promuovi i tuoi prodotti o servizi: su Pinterest gli annunci vengono considerati utili e possono aiutare gli utenti a passare dalla semplice ispirazione a un’azione concreta. Dato che gli annunci hanno lo stesso aspetto e lo stesso funzionamento dei Pin standard e si mescolano con i contenuti organici, rappresentano un valore aggiunto nell’esperienza dell’utente, senza mai risultare invadenti. Vuoi essere una fonte di ispirazione per i milioni di persone che stanno cercando idee creative?

4. Crea inserzioni su Pinterest

Hai la possibilità di raggiungere in modo diretto e targettizzato i potenziali clienti. Per iniziare, puoi visitare la pagina dedicata.

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Le migliori strategie per ottenere il massimo da Pinterest

Quando si inizia a conoscere Pinterest, ci si rende subito conto che non è una piattaforma come le altre. Su Pinterest le persone sono pronte e intenzionate a fare acquisti e a conoscere nuovi brand ed è proprio questa marcata intenzione all’acquisto a rendere la nostra piattaforma così unica.

Quindi se, come brand, vuoi sfruttarne tutte le potenzialità, è importante capire in cosa si differenzia dagli altri social.

Gli utenti fanno progetti per le proprie vite, non cercano di instaurare relazioni con gli altri. Come già detto, sono intenzionati a comprare da nuove aziende ed è grazie a questa forte motivazione che la piattaforma non ha paragoni. Sostanzialmente, Pinterest mette in collegamento i retailer con consumatori che sono pronti a scoprire cose nuove, guidati da una spiccata intenzione all’acquisto e al tempo stesso indecisi su quale brand scegliere.

Mentre gli altri canali social vengono usati per motivi di intrattenimento e per mantenere delle relazioni, le persone usano Pinterest per essere produttive. Infatti, l’84% degli utenti settimanali usa Pinterest quando sta valutando dei prodotti o servizi da comprare ma non sa bene quali.

Il suggerimento è quello di curare le descrizioni dei Pin, che dovrebbero contenere parole chiave importanti e pertinenti. Per aiutare gli utenti a scoprire i tuoi prodotti, puoi anche aggiungere degli hashtag che abbiano attinenza con l’argomento. Dividere le bacheche in categorie è un altro valido stratagemma per ottimizzare la ricerca su Pinterest. Assicurati che i titoli delle bacheche siano precisi, pertinenti e che contengano parole chiave efficaci.

Infine, i brand dovrebbero considerare l’idea di promuovere i propri contenuti con gli annunci di Pinterest. Usando il nuovo tasto Promuovi, vedrai quando crei un Pin o lo visualizzi nel tuo profilo. Bastano appena nove secondi per configurare un annuncio. Puoi anche crearlo al volo con gli strumenti per gli annunci per i dispositivi mobili. Con questa funzionalità potrai comodamente creare e gestire campagne di annunci su Pinterest direttamente dal palmo di una mano. Una volta lanciata la campagna, potrai consolidare la brand awareness e raggiungere nuovi clienti rispettando il budget stabilito.

I possibili obiettivi di marketing

Pinterest viene spesso erroneamente scambiato per un social network ma sarebbe più giusto definirlo un “personal network”. Pinterest può contribuire in maniera determinante al raggiungimento degli obiettivi aziendali e in termini di prestazioni perché i suoi utenti ricorrono alla piattaforma per trovare ispirazione e compiere azioni, come l’acquisto di un prodotto in un negozio o in un sito di eCommerce.

Il successo di un brand su Pinterest non viene decretato dal numero di follower, come avviene nelle altre piattaforme, perché i contenuti arrivano agli utenti in tanti modi diversi e non vengono proposti solo a chi segue un profilo specifico. Una misurazione più attendibile è invece il numero di visualizzazioni su Pinterest, che di solito è dalle 50 alle 100 volte più alto di quello dei follower.

Per esempio, Leroy Merlin Italia ha più di 17mila follower ma registra oltre 4,1 milioni di visualizzazioni mensili.

Per attivare la tua presenza sulla piattaforma, si inizia con il mostrare i contenuti ai follower, ma poi entrano in gioco gli algoritmi, che li propongono anche ai non follower. Su Pinterest, ci sono svariati modi per essere trovati. Per esempio, ogni giorno la piattaforma fornisce miliardi di suggerimenti personalizzati su sezioni come il feed e i Pin correlati, il che va ben oltre la base di follower. Pinterest è un motore di scoperta visiva di idee, ma anche di brand.

Ogni mese vengono effettuate miliardi di ricerche su Pinterest e le aziende hanno l’opportunità più unica che rara di ispirare i consumatori nelle fasi iniziali del processo decisionale, guidandoli verso la realizzazione dei propri progetti e trasformandoli in potenziali clienti.

I casi di successo

Un aspetto interessante da considerare è che ogni giorno in Italia vengono salvate 3 milioni di idee, ossia Pin. Questo numero dimostra come le persone non si limitino ad aprire l’app e a scorrerne i contenuti. Infatti, cercano stili e prodotti, scoprono dove acquistare un articolo particolare presente in un Pin e, infine, compiono delle azioni offline per dare vita alla propria idea. Moda, cibo, casa e bellezza sono solo alcune delle categorie più popolari.

In Italia stanno già usando la piattaforma brand come IKEA, Leroy Merlin, ClioMakeUp, Armani, Abiby e Danone Activia, che stanno osservando ottimi risultati grazie a strategie che favoriscono la scoperta e incrementando le vendite con una combinazione di esperienze online e presso il punto vendita.

Danone Activia, ad esempio, ha scelto Pinterest per raggiungere un pubblico più giovane e aumentare l’awareness dei suoi nuovi prodotti.

Con una campagna di annunci su Pinterest, Activia ha promosso i prodotti Shake & Go per raggiungere millennial attenti alla salute, che stavano cercando attivamente nuovi cibi sani e genuini. Il targeting di Activia era basato sugli interessi e su parole chiave specifiche usate dagli utenti e puntava alle persone interessate a scoprire nuove idee su argomenti come cibo, nutrizione, alimentazione, smoothie, colazione e salute. Combinando contenuti creativi con il giusto target, Activia è riuscita ad ampliare la propria copertura e a interagire con i millennial come non aveva mai fatto, registrando un tasso di click superiore dell’11% rispetto agli altri canali. Inoltre, il costo per click su Pinterest è stato inferiore a quello di qualsiasi altro media utilizzato per la campagna.

Con oltre 19 milioni di visitatori unici mensili in Italia, secondo i dati di Audiweb, Pinterest è un luogo di grande valore per le aziende che vogliono accrescere la propria copertura e generare più traffico verso i siti web.

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Google investirà 900 milioni di dollari nella ripresa economica dell’Italia

Il CEO di Alphabet e Google Sundar Pichai ha annunciato giovedì che il colosso della tecnologia investirà oltre 900 milioni di dollari nei prossimi cinque anni per aiutare l’Italia nella sua ripresa economica dalla crisi del coronavirus.

“Google è orgoglioso di essere un partner nella ripresa economica dell’Italia”, ha affermato Pichai su Twitter. “Oggi Google annuncia Italia in Digitale, un nuovo piano per accelerare la ripresa economica del Paese offrendo una serie di strumenti, formazione e partenariati per supportare le imprese e le persone in cerca di lavoro”, ha aggiunto.

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In cosa consiste il progetto di Google

Nell’ambito dell’iniziativa, Google lancerà anche due regioni Cloud in collaborazione con il fornitore di telecomunicazioni italiano TIM e aiuterà oltre 700.000 piccole e medie imprese e persone a digitalizzare il Paese.

Il progetto di Google include un milione di euro di pubblicità gratuita alle aziende di Unioncamere.

Già durante la pandemia il colosso del web si è attivato per collaborare con i governi di tutto il mondo – compresa l’Italia – per affrontare la crisi.

Tramite una partnership con il Ministero della Salute, per esempio, è stato possibile fornire informazioni essenziali relative a Covid-19 sul motore di ricerca, su Maps e su YouTube. Con il Ministero dell’Istruzione è stato invece accelerato il processo che ha permesso a milioni di studenti italiani e insegnanti di continuare gli insegnamenti con strumenti di didattica a distanza, a scuole chiuse.

Inoltre, Google ha distribuito crediti e grant pubblicitari alle piccole e medie imprese italiane, ad agenzie governative e ad associazioni nonprofit.

Il nuovo progetto di Google nasce dalla consapevolezza che l’Italia resta un mercato strategico e dall’esperienza e dal successo di precedenti iniziative come Crescere in Digitale e Google Digital Training, che negli ultimi cinque anni hanno aiutato 500.000 persone a ottenere le competenze digitali necessarie per rilanciare un’attività o migliorare la propria carriera lavorativa.

“Da molti anni Google è impegnata in Italia per diffondere le competenze digitali utili a trovare un lavoro o far crescere un’attività”, ha commenta alla Stampa Fabio Vaccarono, managing director di Google Italy. “Se queste competenze erano importanti prima della pandemia – aggiunge -, ora sono diventate tanto più necessarie: per superare le sfide del presente la digitalizzazione è un elemento imprescindibile, per trovare nuove opportunità lavorative, per rilanciare un’impresa, e a vantaggio dell’intera società”.

Anche il Premier Conte ha accolto con favore la notizia: “La tecnologia e l’innovazione digitale sono elementi centrali dell’agenda del mio governo per il futuro del nostro Paese”.

intelligenza artificiale povertà

L’intelligenza artificiale può aiutarci a sconfiggere la povertà

  • La Stanford University ha studiato un nuovo sistema di tracciamento della povertà che combina immagini satellitari e intelligenza artificiale.
  • Il sistema di AI ha già tracciato con successo il livello di povertà di 20 mila villaggi africani e apre ora nuove possibilità nel contrasto alla povertà nel mondo.
  • La scoperta potrebbe favorire l’acquisizione di nuovi dati in aree nelle quali sono attualmente mancanti, così come permettere alle organizzazioni di mettere a punto programmi di sviluppo economico più efficaci.

 

È possibile contrastare la povertà nel mondo attraverso l’intelligenza artificiale? Assolutamente sì, secondo uno studio pubblicato dall’Università di Stanford su Nature Communications. Tracciando i livelli di povertà attraverso i satelliti, uno strumento di AI messo a punto in cinque anni dal celebre ateneo statunitense potrebbe infatti fornire agli studiosi nuove conoscenze utili a favorire lo sviluppo del benessere economico.

Il nuovo tool, pensato dai ricercatori Marshall Burke, David Lobell e Stefano Ermon e testato finora su circa 20 mila villaggi africani, utilizza l’intelligenza artificiale per scansionare le immagini satellitari alla ricerca di segni di sviluppo economico. In particolare, cerca e analizza indicatori quali strade, agricoltura, abitazioni e illuminazione notturna.

A rintracciare in questi dati i modelli di misurazione della ricchezza sono algoritmi di deep learning (apprendimento profondo). Una tecnica che, secondo la definizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, si basa su reti neurali artificiali organizzate in diversi strati, ciascuno dei quali calcola i valori per quello successivo affinché l’informazione sia elaborata in modo sempre più completo.

I 20 mila villaggi africani scansionati finora in fase di ricerca si trovano in 23 diversi Paesi di cui si disponevano già dati relativi alla ricchezza. Questo ha permesso di verificare l’efficacia del nuovo strumento di AI, che ha stimato con successo i livelli di povertà dei villaggi nel tempo.

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Nuovi dati e programmi di sviluppo più mirati

Quello testato dalla Stanford University è quindi semplicemente un modo nuovo di estrapolare dati già in uso? In realtà no. Secondo i ricercatori, il sistema di intelligenza artificiale potrebbe portare almeno due innovazioni nella lotta alla povertà a livello globale.

In primo luogo, identificando modelli di crescita il tool può mostrare perché alcuni luoghi stiano progredendo più di altri. Informazioni che potrebbero quindi aiutare a pensare programmi di sviluppo più mirati, che si adattino alle esigenze peculiari di ciascun luogo.

Inoltre, il nuovo sistema di AI potrebbe misurare il benessere economico in aree delle quali mancano dati affidabili. Una novità non da poco. Come ha spiegato David Lobel a Stanford News infatti “non c’era fino ad ora un metodo valido per capire come la povertà stia cambiando a livello locale in Africa. I censimenti non sono abbastanza frequenti e i sondaggi porta a porta ritornano raramente alle stesse persone”.

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Una nuova fase nel contrasto alla povertà nel mondo

I ricercatori prevedono che le agenzie governative e le ONG possano utilizzare il nuovo strumento per capire l’efficacia dei programmi di contrasto alla povertà e destinare i propri progetti a target di persone più specifici. Ma anche se non dovesse mai arrivare nelle loro mani, il sistema di AI potrebbe comunque permettere agli economisti di capire meglio cosa influisce maggiormente sullo sviluppo del benessere economico a livello globale.

Insomma, “se i satelliti possono aiutarci a ricostruire la storia dello sviluppo economico, questo potrebbe aprire molte strade per meglio comprendere e alleviare la povertà”. Può avere inizio una nuova era?

campagna social per no profit

Gli italiani preferiscono il fundraising digitale (lo dice il report)

  • La nuova edizione dello studio Donare 3.0, condotto da BVA Doxa con PayPal Italia e Rete del Dono, conferma la crescita della preferenza degli italiani per le donazioni online.
  • In netta crescita rispetto al 2018 le donazioni da mobile, mentre l’uso del pc è in calo.
  • Sempre meno gli italiani diffidenti nei confronti delle donazioni online, ma in molti casi le organizzazioni non profit non prevedono questa modalità di raccolta fondi.

 

Quanto il fenomeno delle donazioni è diffuso nella popolazione internauta italiana? Quali sono i driver e le barriere a uno sviluppo più strutturato dell’online? Quali le abitudini e gli atteggiamenti attuali e futuri degli onliners?

A queste e a tante altre domande risponde per la sesta volta lo studio Donare 3.0, condotto da Doxa per conto di PayPal Italia e Rete del Dono. Una ricerca quantitativa effettuata a partire da mille interviste somministrate a internauti italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni, più 30 interviste qualitative individuali a millennials.

In crescita le donazioni da mobile e da parte dei millennial

Sono circa 34 milioni gli italiani che si collegano a internet utilizzando smartphone o tablet, e spendendovi in media circa 2 ore al giorno. Ma quanti di questi utenti effettuano donazioni? Secondo i risultati dello studio Donare 3.0, anche nel 2019 il trend è in crescita.

Più di 8 intervistati su 10 (82%) affermano infatti di aver effettuato donazioni nel 2019. Tra i donatori più attivi troviamo i baby boomer (87%), seguiti dalla generazione X (82%) e dai millennial (79%), in forte crescita rispetto allo scorso anno.

In crescita la donazione online (22%), che si conferma come la seconda modalità più utilizzata dopo il denaro in contanti (40%). Crescono i donatori “saltuari” (40%), con molti più italiani che scelgono di effettuare una donazione in occasioni particolari.

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In netta crescita rispetto al 2018 anche la donazione da mobile, che viene preferita dal 36% degli italiani. L’uso del pc per le donazioni scende invece dal 60% del biennio 2017/2018 al 46% del 2019, sintomo questo del passaggio sempre più marcato all’utilizzo degli smartphone.

I dati raccolti e analizzati dimostrano bene come l’attenzione degli italiani alla solidarietà sia stabile e in costante crescita. Siamo convinti che il mobile sia il mezzo perfetto per stimolare sempre di più questa sensibilità, aggiungendosi al contatto diretto con le associazioni come principale modalità d’interazione e offrendo quella possibilità di semplificare e velocizzare le donazioni– Maria Teresa Minotti, Director PayPal Italia.

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La ricerca e i dati rilevati durante il 2019 da Donare 3.0 mostrano inoltre che le singole modalità di donazione rimangono pressoché stabili. Per la donazione online, in particolare, PayPal e carte di credito restano i metodi di gran lunga più utilizzati.

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L’importanza della donor journey per gli under 40

“Gli onliner si confermano donatori. Non solo, il crowdfunding torna a crescere con un 19% degli intervistati che conferma di aver donato per una campagna di crowdfunding”, spiega Valeria Vitali, fondatrice di Rete del Dono. “Molto interessante anche l’esito della ricerca qualitativa, frutto di interviste rivolte a un pool di donatori e prospect donatori under 40. I giovani donatori non si limitano al dono, sono alla ricerca di una relazione più profonda con l’organizzazione destinataria del loro gesto di solidarietà. Donano nella misura in cui trovano spazio per dialogo, trasparenza e chiarezza sul progetto destinatario della raccolta fondi in cui sono stati coinvolti. Ciò conferma che lavorare in un’ottica di donor journey fa la differenza. Chi dona vuole entrare nel merito ed essere coinvolto in prima persona.

Rimane alta per tutti l’attenzione sull’utilizzo dei fondi raccolti. Il 71% degli italiani intervistati dalla ricerca Donare 3.0 afferma infatti di non prendere in considerazione enti che non permettono loro di verificare come vengano utilizzate le donazioni e i risultati raggiunti grazie ad esse.

Il futuro post Covid-19 è sempre più digital

Per le donazioni online continuano a calare le barriere da parte dei donatori stessi, ma è così anche per le organizzazioni non profit? Il rischio che corre il terzo settore è quello di non essere pronto a includere questi trend nelle proprie strategie di fundraising. Lo studio stesso mostra che nel 37% dei casi i navigatori non si fidano a donare online, ma nel 43% è l’organizzazione che vorrebbero sostenere a non prevedere questa modalità di raccolta fondi.

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Il 2019 ha mostrato segnali molto incoraggianti verso il mondo della donazione”, conclude Antonio Filoni, Partner&Head of Digital di BVA DOXA.Di rilievo è soprattutto la crescita dell’online come metodo di donazione che dimostra come il digitale possa davvero essere uno strumento strategico, da affiancare ai tradizionali strumenti di raccolta e di comunicazione. L’anno 2020, con quello che è accaduto a causa del Covid-19, potrà dare un’ulteriore spinta alla digitalizzazione della popolazione. È importante che anche il terzo settore segua in modo deciso questa direzione.

sharing economy

Cosa ne sarà della sharing economy dopo il Covid-19?

  • Tutto può essere di tutti, l’economia della condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi e del possesso.
  • Fiducia, tecnologia e smartphone danno vita ad un’esplosione delle reti. Ma cosa succede se proprio la fiducia viene messa in discussione a causa dei timori legati alla pandemia Covid-19?
  • Ritorno all’essenza della condivisione e mobilità green saranno i trend che caratterizzeranno il futuro della sharing economy.

 

What’s mine is yours. No, non è un testamento, né uno slogan pubblicitario. Si tratta invece dello zeitgeist degli anni dieci di questo secolo, durante i quali la condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi.

Ed è il titolo del libro di Rachel Botsman What’s mine is yours, the rise of collaborative economy – guru della condivisione e tra le venti migliori speaker al mondo secondo Monocle.

È lei una delle prime ad intuire, prima ancora dell’esplosione di Airbnb e Blablacar, che la crisi finanziaria del 2009, partita da Wall Street e arrivata a stravolgere la quotidianità dei cittadini dall’altra parte del mondo, avrebbe lasciato un segno molto profondo, destinato non solo a trasformare l’economia globale, ma anche il comportamento dei consumatori stessi.

Mrs Botsman intuisce che i millennial, diversamente dalle vecchie generazioni, utilizzano il cellulare come un vero e proprio telecomando per il mondo. Lo smartphone è un mezzo per avere accesso a ciò di cui si ha bisogno: una stanza su Airbnb o una bici per il bike sharing.

Questo tipo di approccio, basato sulla gratificazione istantanea a richiesta è molto in linea con l’idea di accesso a prodotti e servizi che, nella cosiddetta sharing economy, si sostituisce all’idea di possesso.

Oltre ad un ritrovato senso di comunità, l’economia collaborativa mette al centro la fiducia, vero e proprio collante sociale che, mixato con la tecnologia, dà vita ad una vera e propria esplosione delle reti.

Sharing economy e Covid-19

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Complici le risorse ridotte, oggi andiamo contro tutte le raccomandazioni dei genitori: si sale in macchina con sconosciuti, si esce con persone conosciute online, si affitta un posto letto a casa di qualcuno che non si è mai visto prima.

Nuovi meccanismi abilitati dal digitale ci portano a fidarci di persone e aziende. Questo trend si potrebbe definire un passaggio epocale dalla cosiddetta “institutional trust” alla “distributed trust”.

Ma cosa succede se questa “distributed trust” viene improvvisamente messa in discussione, come è accaduto durante la pandemia del Coronavirus?

Sharing or not sharing?

Si, perché fino a qualche mese fa “condividere” era la parola chiave.

Oggi, complice la paura dei contagi, la condivisione non è poi così scontata. E il distanziamento sociale non supporta fiducia e apertura verso l’altro.

Le restrizioni, ma soprattutto i timori legati alla pandemia Covid-19 hanno enormemente limitato i viaggi, gli spostamenti e, più in generale, la voglia delle persone di usare e condividere qualcosa di già usato da altri.

La fiducia nell’altro viene meno e i colossi dell’economia condivisa, quali Uber e Airbnb, ne risentono. Nessuno avrebbe mai pensato che potessero essere così fragili.

Solo poco fa Uber aveva sollevato proteste non da poco e scatenato l’ira dei tassisti delle principali città italiane.

Oggi l’azienda ha dovuto tagliare 3.700 posti di lavoro, salvandosi con la consegna del cibo, cresciuta dell’89% rispetto allo scorso anno, ma questo non riesce a coprire le perdite del resto delle attività.

1.900 i tagli delle occupazioni per Airbnb, che dimezza anche le previsioni di guadagno annuali e rinuncia alla quotazione in borsa, inizialmente prevista durante il 2020.

Lyft, rivale di Uber negli USA, taglia il 17% degli impiegati.

Colossi dell’economia condivisa che, all’apice del loro successo, erano valutati complessivamente più di cento miliardi di dollari.

Si pensava che Airbnb e Uber avrebbero raggiunto la quotazione più alta di sempre per le start-up tech. Ma, anche poco prima del COVID-19, le stelle della sharing economy avevano già iniziato a spegnersi: Uber, ad esempio, aveva bisogno di contributi economici esterni.

Quando l’emergenza sanitaria ha ridotto le aziende all’inattività, si parlava già di attenzione alla redditività e dell’importanza di ridurre i costi.

Re-trust e Re-think

Sharing economy e Covid-19

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Continua ad essere una questione di fiducia. E le aziende stanno cercando di riconvertire le proprie attività per innescare nuovamente alcuni meccanismi che accendono la “distributed trust”.

Bird, azienda operante nella micro mobilità, assicura che gli scooter siano regolarmente sottoposti “a bagno” e Airbnb istruisce bene gli host su come pulire le stanze. Basterà? La certezza è il cambio delle abitudini per i consumatori.

I viaggi brevi verso le grandi metropoli saranno sostituiti da mete più vicine a casa e per un tempo più lungo.

Auto e scooter saranno preferibili rispetto ai trasporti pubblici. E, a seguito del ritorno alla quasi normalità, si riscontrano già segnali in questo senso: le corse sugli scooter Bird, ad esempio, sono del 50% più lunghe rispetto a prima della pandemia.

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Ritorno alle origini e green future

Vi è inoltre la volontà di ritornare all’essenza della condivisione, come ha sottolineato Chesky, capo di Airbnb.

In effetti, l’azienda si sta concentrando sugli host, che offrono in affitto abitazioni private proprie, piuttosto che sui professionisti che gestiscono proprietà immobiliari.

Olio, azienda London based, riporta l’economia della condivisione alle sue radici. In effetti, l’azienda ha come obiettivo la riduzione dello spreco alimentare e consente ai suoi utenti di condividere con i vicini il cibo e altri prodotti di cui non hanno più bisogno.

Dopo aver modificato il servizio, introducendo consegne senza contatto fisico, le condivisioni sono aumentate del 50% per il cibo e del 200% per gli altri prodotti.

C’è un altro campo della sharing economy che non ha risentito delle scosse della pandemia: è green ed è su due ruote.

sharing economy e Covid-19
In Cina, a quattro mesi dal contagio, l’utilizzo di monopattini e bike è aumentato del 150%.

Sembra che il futuro della sharing economy non sarà nero, ma sicuramente green e cavalcherà i trend e i valori riscoperti durante il lockdown.

Michael Jordan Back

L’icona e il successo: Michael Jordan in 23 citazioni

  • Scopriamo i valori dietro al successo di Michael Jordan, entrato in tutte le case degli italiani insieme ai suoi Bulls grazie a The Last Dance, diventata la serie TV Netflix più vista in Italia;
  • Competitività, fame di vincere, consapevolezza e fiducia in sè stesso. Jordan era (ed è) un fenomeno a dir poco iconico, in grado di distinguersi come nessun altro dentro e fuori dal campo. L’icona mediatica dello sport per eccellenza, un personaggio che ha fatto la storia, un vero e proprio punto di riferimento per moltissime persone; 
  • Recentemente, ha donato 100 milioni di dollari da destinare nell’arco di 10 anni a diverse organizzazioni negli USA.

 

11 settembre 2009, Springfield, Massachussetts.

One day you might look up and see me playing the game at 50“. Risate dal pubblico. “Oh, don’t laugh, don’t laugh! Never say never, because limits, like fears, are often just an illusion“.

Il discorso di Michael Jeffrey Jordan, alla cerimonia per la sua entrata nella Basketball Hall of Fame, termina con queste parole. Un discorso che ne ha forse consacrato la leggenda non solo come giocatore di pallacanestro, ma come vera e propria icona mediatica. Chi se non Jordan poteva pronunciare certe parole con una tale sfrontatezza come per dire “non ridete, perché sapete che ne sono capace per davvero”. E se c’era uno che poteva tornare sul campo da pallacanestro a 50 anni, quello era proprio lui.

Per chi non fosse esperto di basket o non avesse seguito la carriera di quello che è entrato di diritto nell’olimpo dello sport, basta accendere la televisione, aprire il proprio PC o tablet, e accedere a Netflix. Tra “I titoli del momento” o “I più popolari su Netflix”, c’è di sicuro The Last Dance, la serie TV che è diventata un vero e proprio fenomeno mediatico, arrivando a superare addirittura La Casa di Carta come serie più vista in Italia sulla piattaforma streaming.

Oltre a diventare un esempio lampante di come lo storytelling sportivo sia cambiato, gli episodi della serie non solo sono in grado di raccontare come mai prima d’ora una delle avventure più straordinarie della storia dello sport, quella dei Chicago Bulls del 1997/1998, ma anche di far comprendere ai più Michael Jordan come personaggio e non solo come miglior giocatore di quella squadra. Un campione indiscusso, uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi, considerato una divinità dai fan più accaniti.

La serie, tra le altre cose, fa anche trasparire alcuni degli aspetti solitamente più nascosti dell’icona di Jordan, raccontando anche del suo incessabile agonismo e della sua competitività, che hanno raggiunto livelli a dir poco impensabili nel corso della sua carriera. Tuttavia, come ha affermato lui stesso in numerose occasioni, è proprio questo suo mindset che l’ha fatto diventare chi è diventato.

Michael Jordan è sempre stata una figura capace di trascendere la dimensione sportiva. Non solo diventò un vero e proprio modello per molti, in campo e fuori: Jordan fu il protagonista di una rivoluzione mediatica. Prima di lui, alcuni sportivi erano sì considerati delle “star”, ma nessuno di loro ebbe il suo impatto. Indubbiamente, nessun altro sportivo fu seguito dal mondo giornalistico come nel suo caso. Lui, d’altronde, si dimostrò sempre molto preparato ad affrontare la situazione, diventando un grandissimo comunicatore nel corso della sua carriera.

Uno dei motivi dietro a tutto questo, oltre alla popolarità nella NBA e sul campo da gioco, è, ovviamente, Nike. Se fino al 1984 veniva considerata una società emergente, ma non ai livelli di Converse o Adidas, è grazie a Jordan che il brand iniziò a crescere guadagnando la popolarità che ha tutt’oggi. La cifra folle di due milioni e mezzo di dollari offerta a un giovane Michael Jordan quando non era (quasi) nessuno per diventare l’immagine di Nike, si tramutò in un marchio (Air Jordan, appunto) che oggi vale più di 10 miliardi di dollari, generandone ben di più in termini di profitti nel corso di questi 35 anni. D’altronde, quale miglior modo per cercare di essere come la leggenda del basket, se non indossando un paio di sue scarpe?

Essere come Jordan era l’ambizione di moltissime persone, che riconoscevano in lui un’icona da seguire, un punto di riferimento. Immaginario che viene costruito in numerose occasioni anche dagli spot pubblicitari che l’hanno reso ancora più famoso, come “Be Like Mike” di Gatorade o “Let your game speak” di Nike, per citare solo due esempi.

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Un personaggio senza precedenti (e senza successori?), che ha rivoluzionato il mondo dello sport e dell’intrattenimento. Un’icona così importante da creare su di sè una pressione mediatica senza precedenti. Jordan ne rimase colpito in più di un’occasione (gli scandali sul gioco d’azzardo e le scommesse sportive ne sono un esempio), ma riuscì a riemergerne sempre. Chi potrebbe ritirarsi per poi tornare a vincere, ritirarsi ancora per poi calcare di nuovo il parquet a 40 anni? D’altronde, il ruolo dei media nella costruzione di un’icona mediatica è solo uno dei tanti elementi. Fra le caratteristiche più importanti vi sono il carisma e la personalità dell’individuo: solo Michael Jordan può essere Michael Jordan.

Si impara dai fallimenti. In cattedra, Michael Jordan

Michael Jordan nasce a New York il 17 febbraio 1963. Dopo i primi anni passati a Teachey, North Carolina, la famiglia si trasferì a Wilmington. Il rapporto con i genitori fu da sempre contraddistinto, in tenera età, da un trascinante amore materno e da un difficile rapporto col padre, sfociato spesso in ostilità. Fu proprio questa ostilità che avrebbe poi contribuito ad alimentare la sua determinazione al miglioramento costante. Si racconta, infatti, che “Mike” venisse criticato dal padre per i suoi limiti nei lavori “pratici”. Ogni tentativo di eguagliare il padre finiva con la frase “tornatene a casa con le donne!”.

Anche il rapporto con il fratello Larry non fu tra i più semplici. Quest’ultimo era il figlio prediletto dal padre, e fu il primo membro della famiglia a innamorarsi della pallacanestro. James Jordan comprò la prima palla da basket quando Michael aveva undici anni, dando così vita a continui confronti tra i due fratelli. Non c’era storia: il giovane Mike perdeva sempre. Nonostante l’altezza giocasse a suo favore, prima che riuscisse a spuntarla passarono degli anni. È dalla sua famiglia, quindi, che nasce questa instancabile voglia di competere.

Uno dei fallimenti più noti di Jordan, però, arrivò ai tempi del liceo. Al suo secondo anno, non venne ritenuto idoneo a vestire la maglia della Laney High School. Il coach Clifton “Pop” Herring, infatti, lo escluse dalla squadra nel 1978, a favore di Leroy Smith, meno talentuoso ma più prestante fisicamente. Michael dichiarò in più di un’occasione che la vicenda gli cadde addosso come un macigno, ma che ogni volta che ci pensava gli veniva voglia di lavorare per migliorare. A differenza di quanto si possa pensare, Jordan ha fallito molte volte nel corso della sua carriera. È proprio questa, però, la sua grande forza: cadere, per guadagnare motivazione e rialzarsi più forti di prima.

1. “Nella mia carriera ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito davvero molte volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto.”

2. “Posso accettare di fallire, tutti falliscono in qualcosa. Ma non posso accettare di non provarci.”

3. “Per imparare a vincere, devi prima imparare a fallire.”

4. “So che la paura può essere un ostacolo per molti, ma per me è un illusione. Fallire mi ha sempre fatto impegnare di più la volta dopo.”

5. “Mai dire mai, perché i limiti, come le paure, sono spesso solo un’illusione.” 

Michael Jordan title father

Credits: Esquire

La fame di vincere, l’ambizione e la competitività di Jordan

Dopo i suoi primi anni in NBA, in cui si affermò come una star che non aspettava altro che conquistare il mondo (della pallacanestro e non solo), era chiaro che il destino di Jordan sarebbe stato quello di diventare uno dei più grandi di sempre. Per farlo, però, non era sufficiente far diventare grande una società fino a quel momento ignorata come i Chicago Bulls, o conquistare titoli di capocannoniere della lega. Doveva vincere.

Era spesso criticato come quello che non poteva arrivare ai livelli di colossi come Larry Bird o Magic Johnson. Ma erano proprio affermazioni come queste a motivare Jordan per superarli. Gli allenatori di quegli anni cercavano in tutti i modi di fermarlo sul campo, anche con metodi ai limiti del regolamento, ma erano solo espedienti che alimentavano la fame di competizione del 23 dei Bulls. Nemmeno Chuck Daily, il coach dei Detroit Pistons che inventò le cosiddette “Jordan Rules“, o tutti i giornalisti che tentarono di mettere sotto pressione Jordan con polemiche su scommesse sportive e altre vicende, ci riuscirono. Numerose volte MJ ha dichiarato che tutto ciò che ha fatto nella sua carriera lo ha fatto per vincere. È proprio la sua irrefrenabile fame di competizione che, infatti, gli ha fatto nascere il vizio delle scommesse sportive per cui è tanto stato criticato.

Jordan cercava di vincere sempre, in qualsiasi cosa. Fu uno dei pochi giocatori a vincere tre titoli NBA di fila (1991-1993), per poi ritirarsi, rientrare e vincerne altri tre (1996-1998). Ma non si parla solo di basket: esilaranti, ad esempio, le clip di The Last Dance in cui gioca con gli addetti alla sicurezza al “lancio della monetina” scommettendo decine e centinaia di dollari solo per il gusto di vincere. Questo atteggiamento, però, è la chiave per capire la personalità di Jordan. Senza questo mindset, non sarebbe mai arrivato al successo.

6. “Devi aspettarti grandi cose da te stesso, prima ancora di farle.”

7. “Alcune persone vogliono che accada, alcune desiderano che accada, altri lo fanno accadere.”

8. “Il mio atteggiamento consiste nel fatto che se mi spingi verso qualcosa che pensi sia una mia debolezza, allora trasformerò quello che pensi sia una debolezza in un punto di forza.”

9. “Gioco per vincere, che sia una partita vera o un allenamento. E non lascerò mai che nulla si metta tra me e il mio essere competitivo, la mia voglia di vincere.” 

Michael Jordan golf

Credits: GOLF.com

Parliamo di mindfulness

Michael Jordan è però arrivato a essere la persona e l’icona che è con un’altra componente fondamentale: una straordinaria fiducia e consapevolezza dei propri mezzi. Jordan vinse tre titoli consecutivi, nel 1991, nel 1992, e nel 1993. Dopo quell’ultima stagione scelse di ritirarsi, scosso dalla morte del padre. Dichiarò, però, che avrebbe preso la stessa decisione anche con James accanto, per l’eccessiva pressione mediatica e la stanchezza mentale, più che fisica. Molti arrivarono a sostenere che volesse ritirarsi perché era diventato “più grande della NBA stessa”. Dopo un breve periodo di tempo passato nelle minor league di baseball, sport di cui Jordan era da sempre appassionato, tornò in NBA. Nel 1996, nel 1997, e nel 1998 fu in grado di trascinare i Bulls a un altro “three-peat”, confermando le sue doti sovrumane. Ritiratosi, fece ritorno nel 2001 con i Washington Wizards, per dimostrare a tutti che poteva calcare il parquet ed essere decisivo anche all’età di 40 anni. Jordan si ritirò poi nel 2003. Ora è proprietario della franchigia NBA degli Charlotte Hornets.

Quello che permise a Jordan di compiere imprese così straordinarie è la cosiddetta “mindfulness“, un’alta consapevolezza di sè unita a una mentalità vincente, orientata al risultato. Tutto ciò lo ha fatto diventare il giocatore di pallacanestro più forte di sempre, con sei finali vinte su sei finali disputate e sei titoli di MVP delle finali, cinque MVP della stagione regolare, un premio di difensore dell’anno, un premio di rookie dell’anno, e dieci premi di capocannoniere dell’NBA. Il noto giornalista Federico Buffa afferma però che Jordan è talmente grande che “non c’è bisogno dei numeri” per descriverlo, “i numeri lo offendono”.

10. “Fai diventare sempre una situazione negativa una situazione positiva.” 

11. “Non farti buttare giù dalle voci, fai quello in cui credi.”

12. “Se accetti le aspettative degli altri, soprattutto quelle negative, allora non cambierai mai il risultato.”

13. “Una volta che prendo una decisione, non ci penso di nuovo un’altra volta”

14. “Se stai cercando di raggiungere un obiettivo, ci sarà sempre qualcosa che ti blocca la strada. È capitato a me, capita a tutti. Ma gli ostacoli non devono fermarti. Se incontri un muro, non girarti e arrenderti. Scopri come scalarlo, oltrepassarlo, o girarci attorno.”

15. “Non ho mai guardato alle conseguenze di sbagliare un tiro importante… quando pensi alle conseguenze, pensi sempre a un risultato negativo.”

Jordan and Scottie Pippen

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“There’s no I in TEAM”“But there’s in WIN!”

In The Last Dance si è visto chiaramente: nonostante Jordan fosse una personalità e un giocatore fuori dal normale, non sarebbe arrivato a ottenere i risultati che ha ottenuto da solo. Scottie Pippen, Dennis Rodman, Steve Kerr, Phil Jackson, sono solo alcuni dei nomi che si affiancano a quello di MJ.

Lui stesso, in numerose occasioni, ha dichiarato come senza il lavoro di squadra, senza la fiducia di compagni come Pippen o la mentalità di un allenatore come Jackson, non avrebbe ottenuto ciò che ha ottenuto. Per arrivare al vero successo, per vincere, si deve pensare come un team, si deve volere arrivare a un risultato insieme, indipendentemente dal talento dei singoli. Tuttavia, la sua filosofia segue anche un concetto molto interessante: per arrivare a ottenere buoni risultati si deve collaborare, ma allo stesso tempo si deve mantenere una grande integrità personale. Nessun altro può vivere la tua vita al posto tuo.

16. “Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere i campionati.”

17. “Per avere successo, devi essere egoista, devi volerlo, altrimenti non lo raggiungerai mai. Ma una volta ottenuto, devi essere altruista. Resta raggiungibile. Tieni i contatti. Non isolarti.”

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Michael Jordan mindfulness

Credits: Andrew D. Bernstein

Come diventare “GOAT” (Greatest Of All Time)? Lavorando duro

Con la tragedia della morte di Kobe Bryant si è parlato molto della sua “mamba mentality”, dell’etica del lavoro che lo contraddistinse. Riguardo a questa dimensione, una delle principali fonti d’ispirazione di Kobe era proprio Michael Jordan.

Nella nota biografia di Jordan scritta da Roland Lazenby si cita un episodio molto singolare. Nel 1972, la Nazionale americana aveva perso in finale ai Giochi Olimpici di Monaco contro l’Unione Sovietica. Un giovane Michael guardò perdere gli americani e andò in cucina a dire a sua madre “Un giorno parteciperò alle Olimpiadi, e riuscirò a farci vincere!”. Deloris rispose sorridendo “Tesoro, non sai quanto bisogna lavorare per vincere una medaglia d’oro”. Al di là dell’ambizione di un ragazzo che in quel momento aveva solo 9 anni, è proprio il duro lavoro e lo spirito di sacrificio che fece arrivare Jordan a vincere non una ma ben due medaglie d’oro olimpiche.

Un altro esempio, per non fare riferimenti solo a fatti sul parquet, si può ricercare negli anni passati a giocare a baseball. Non solo faticò molto per guadagnare credibilità in uno sport totalmente diverso dal suo, ma dichiarò di essere stato “così a lungo sul piedistallo” che aveva dimenticato “gli sforzi che bisogna fare per arrivarci”. Un’etica del lavoro che però non è mai mancata a Jordan, che riuscì a diventare il più grande di sempre grazie soprattutto agli sforzi in palestra.

Un approccio maniacale al gioco e al lavoro, unito a un’immensa fiducia nei propri mezzi e a una leggendaria voglia di competere e di vincere: sembrerebbe la ricetta perfetta per arrivare al successo. Di sicuro, è ciò che ha reso Michael Jordan un modello e un’icona da seguire, sia sul campo da pallacanestro che al di fuori.

18. “Se smetti di fare qualcosa PER UNA VOLTA diventa un’abitudine. Non smettere mai!”

19. “Se lavori duramente, verrai ricompensato. Non ci sono scorciatoie nella vita.”

20. “Se viene fuori che il mio meglio non è stato abbastanza, almeno non mi potrò guardare indietro e dire che avevo paura di provarci.”

21. “Sii fedele al basket, perché il basket sarà fedele a te. Se provi una scorciatoia, nel basket, allora il basket ti taglierà le gambe. Se ci metti impegno e duro lavoro, allora ti saranno elargite delle belle ricompense. È davvero così, se si pensa al basket, e in un certo senso anche nella vita.” 

22. “Imparare è un regalo, anche quando è il dolore a essere il tuo insegnante”. 

23. “I campioni non diventano campioni quando vincono qualcosa, ma nelle ore, le settimane, i mesi, gli anni, che impiegano per prepararsi a vincere. La vittoria di qualcuno è solo la mera dimostrazione del suo atteggiamento da campione.” 

20 routine quotidiane che aiutano a recuperare la produttività

  • Le routine quotidiane non sono un limite ma ci permettono di diventare più produttivi.
  • Ecco un elenco completo di quelle  per migliorare se stessi e raggiungere i propri obiettivi.

Facciamo progetti continuamente. Quando scriviamo la lista della spesa, o creiamo una wish list per il nostro compleanno piena di oggetti che probabilmente non acquisteremo mai. Ci impegniamo a stendere un elenco di buoni propositi come svegliarsi presto la mattina per andare a correre, imparare una nuova lingua, ma rimandiamo tutto a data da destinarsi. Perché? Ci sono tanti motivi, un po’ è perché abbiamo paura di non essere abbastanza bravi a fare qualcosa di nuovo, a volte è semplicemente pigrizia.

Una soluzione per iniziare a fare davvero cose nuove potrebbe essere cambiare il nostro punto di vista e stabilire delle routine quotidiane.

Il lato positivo delle routine quotidiane

Approcciarsi diversamente alla quotidianità sdoganando l’accezione negativa che diamo al termine routine e provare a determinare le nostre abitudini secondo le proprie necessità, desideri e obiettivi. Cosa vogliamo realizzare?

Queste semplici routine quotidiane ci aiuteranno a incrementare la nostra produttività. Provare per credere.

routine quotidiane

Routine quotidiane, una top 20 da seguire per diventare più produttivi

1. Rispettare il ritmo circadiano

Sembra scontato, ma il nostro corpo ci comunica quando è il momento di dormire, svegliarsi, mangiare e persino fare esercizio fisico. Ci aiuta anche a capire quali sono le ore più produttive per noi. Sapendo questo, saremo in grado di dormire bene e pianificare le nostre giornate secondo i nostri ritmi.

Avete presente quando impostiamo la sveglia alle 6 per alzarci alle 7 ma prima delle 8 non ci muoviamo dal letto? Evitiamo lo snooze e configuriamo la sveglia direttamente al giusto orario. Lo snooze non fa altro che interrompere il ciclo di sonno e, a lungo andare, potrebbe causare una prolungata sensazione di stanchezza durante il giorno.

L’89% delle persone che hanno imparato a conoscere il proprio ritmo sonno-veglia, riesce a essere più efficiente durante la giornata. Inoltre non è detto che tutti dobbiamo svegliarci presto, magari c’è chi è più creativo nelle ore buie. Dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo, senza pretese.

2. Evitare device digitali appena svegli

Jim Kwik, esperto di performance cerebrali, suggerisce di evitare contatti con il proprio smartphone appena svegli per almeno un’ora. Per quale motivo? Ci sono due aspetti da non sottovalutare. Al risveglio, il nostro cervello è molto ricettivo.

Usare il cellulare rilascia dopamina, una sostanza che regola il piacere. Se utilizziamo lo smartphone appena svegli, il nostro cervello la recepisce e tendiamo a distarci. La nostra produttività verrà compromessa perché nel momento in cui ci sentiamo annoiati o abbiamo qualche compito difficile da svolgere, la nostra mente andrà alla ricerca di una piccola e fugace distrazione, e il telefono sarà la prima cosa a cui ci rivolgeremo. Di conseguenza, invece di metterci a lavoro, resteremo incollati ai nostri device.

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L’altro aspetto negativo è quello di bombardare subito il cervello con mail di lavoro, e notizie negative. Tutto questo stress digitale non fa bene alla mente, che si sente subito sovraccaricata. Meglio iniziare la giornata con una nota positiva. Diamo il tempo al nostro corpo di carburare e sviluppare le proprie difese naturali per affrontare un nuovo giorno.

3. Fare una colazione sana

Tra le routine quotidiane, non possiamo dimenticare una delle prime regole che ci hanno insegnato da bambini: mai saltare la colazione. Ciò non significa che dobbiamo rimpinzarci di ciambelle e cornetti, o accontentarci di una semplice tazzina di caffè. L’ideale è optare per qualcosa di sano. Se volete provare una colazione diversa, scegliete come primo pasto la frutta, un avocado o dei centrifugati verdi.

Un’altra cosa che tendiamo a tralasciare è l’idratazione. Niente risveglia il cervello al mattino come un bel bicchiere d’acqua a stomaco vuoto. Sapevate che le persone disidratate non riescono a svolgere bene compiti che richiedono elaborazioni complesse o molta attenzione? La disidratazione comporta stanchezza, riduzione di concentrazione e rallenta l’esecuzione anche dei compiti più semplici.

4. Rifare il letto ogni mattina

Fare il letto ogni mattina è un ottimo modo per iniziare la giornata in modo produttivo. Pensateci, è il primo compito che portiamo a termine durante la giornata, e questo ci incoraggerà a farne un altro, e poi un altro ancora. Non dimentichiamo di aggiungerla tra le nostre routine quotidiane.

5. Meditare e respirare

La meditazione ci consente di fare una pausa e immergerci nella quiete prima che inizi la frenesia quotidiana. Non riduce solo lo stress, ma aiuta anche ad acquisire padronanza della mente, rendendo più facile mantenere la concentrazione e dire no alle distrazioni.

Un ricercatore di Harvard ha scoperto che l’attività cerebrale nelle persone che hanno imparato a mediare è rimasta stabile, anche durante le attività quotidiane. Non sapete da dove iniziare? Provate a concentrarvi 5 minuti sul vostro respiro. A piccoli passi.

6. Fare esercizio fisico

L’attività fisica è un toccasana per corpo e mente. Aumenta il flusso sanguigno in tutto il corpo, caricando il cervello con energia e ossigeno in più.

Se abbiamo la possibilità di allenarci all’aperto, possiamo fare una camminata veloce al parco, prima d’iniziare a lavorare. Gli spazi verdi inebriano il cervello con una boccata d’aria fresca, favorendo la contemplazione e la concentrazione.

La neuroscienziata Wendy Suzuki nel suo discorso su TEDWomen afferma che un singolo allenamento aumenta immediatamente i livelli di neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e noradrenalina. Ciò aumenterà il nostro umore subito dopo l’esercizio fisico. Un singolo workout può migliorare la capacità di spostare e focalizzare l’attenzione, e incrementare la messa a fuoco per almeno due ore. 

Sfruttiamo il momento del post allenamento, dedichiamo quel tempo a qualche attività più complessa, mentre il nostro cervello è al massimo delle prestazioni.

7. Carta e penna alla mano

Nel libro “The Artist’s Way”, Julia Cameron ci svela un segreto immancabile tra le nostre routine quotidiane: scrivere appena svegli. Con il suo metodo, Morning Pages, ci suggerisce di scrivere 750 parole, circa 3 pagine, per sfruttare al massimo la nostra creatività e il libero pensiero, prima che il nostro critico interiore ci bacchetti, limitandoci.

Stendiamo tutto ciò che ci viene in mente, diamo sfogo ai nostri flussi di coscienza, preferiamo carta e inchiostro invece che il solito laptop. La scienza mostra che la scrittura a mano libera la creatività e attiva regioni del cervello simili alla meditazione. Ci servirà a eliminare il disordine mentale per far spazio alla nostra vena artistica. Possiamo anche impostare un timer, scrivendo per 20 -30 minuti. Diamoci la possibilità di districare i blocchi creativi senza la pressione della perfezione, alimentando anche nuove idee.

Un altro esempio di utilizzare la scrittura? Scriviamo i nostri obiettivi per allinearci con essi. Se non riusciamo a realizzarci, ripetiamoceli come un mantra, fissiamoli nella mente e su carta. Ci servirà per concentrarci di più, rilasciando il pensiero positivo.

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8. Leggere

Leggere un libro è un momento intimo, un riconnettersi con la propria anima esplorando mondi sconosciuti attraverso il potere delle storie e della narrazione. Stimola le idee, amplia gli orizzonti.

Riduce lo stress, espande le nostre conoscenze e migliora le funzioni cerebrali come memoria e concentrazione. Possiamo leggere al risveglio per almeno 10 minuti, o prima di addormentarci, se preferiamo. Ovviamente durante la giornata, quante volte vogliamo. Portiamo sempre con noi un libro, magari in borsa, da sfogliare durante un tragitto sui mezzi, o nelle sale d’attesa.

routine quotidiane

9. Pianificare le giornate

Siamo pieni d’impegni, ci districhiamo tra vita privata e lavorativa, e se non pianifichiamo il nostro tempo ci ritroveremo a correre da un punto all’altro senza capire perché. Quali sono le nostre priorità? Stabiliamo una tabella di marcia con una lista di cose da fare giorno per giorno. Teniamo presente le scadenze da rispettare, e gli impegni già programmati.

Non dimentichiamo però i nostri desideri cercando di non dare peso esclusivamente al dovere, ma anche al piacere. Focalizziamoci sulle cose che contano davvero per noi.

10. Affrontare il compito più difficile appena svegli

Capita di avere giornate più leggere e altre davvero terribili. Per affrontare al meglio un bad day, cominciamo dal compito più difficile, quello che ci tedia dalla sera prima, che non ci ha fatto chiudere occhio. Tra le routine quotidiane non dobbiamo dimenticare quella di approcciarci subito a esso, quando siamo più vigili ed energici, di solito entro le prime ore dal risveglio.

Dopo aver portato a termine una grossa fatica, avremo quella sensazione di sentirci soddisfatti e realizzati per tutto il resto della giornata.

11. Concedersi del tempo per sé stessi

Tendiamo a dimenticare la cosa più importante che riguarda la nostra vita: prenderci cura di noi stessi. Così infervorati a fare qualsiasi attività, ci trascuriamo, costringendoci a vivere quasi per inerzia.

Una delle cose che questo periodo di lockdown ci ha insegnato è rallentare. Tutti noi abbiamo bisogno di dedicare del tempo alla cura di noi stessi, di sentirci libri di fare quello che amiamo e qualche volta di non fare assolutamente nulla.

12. Essere grati

Tra le routine quotidiane più appagante che possiamo annoverare, c’è sicuramente la gratitudine.

È stato scoperto che coloro che trascorrono cinque minuti a scrivere ciò di cui sono grati hanno aumentato il loro senso di benessere del 10%. E come abbiamo già sottolineato, quando si è di buon umore, si diventa più produttivi.

13. Coltivare le amicizie

Le connessioni sociali, quelle vere, hanno il potere di aumentare la felicità, l’impegno e uno stile di vita più sano.

Siamo esseri umani, abbiamo bisogno di socializzare, condividere pensieri e opinioni con gli altri.

14. Scandire i tempi per le attività quotidiane

Definire i limiti di tempo per svolgere diverse attività durante la giornata è importante.

Tutti abbiamo delle preferenze, magari vorremmo dedicarci più alla lettura dell’ultima raccolta di racconti di Stephen King piuttosto che cucinare, ma cerchiamo di ritagliare degli spazi per poter fare tutto, scoprendo, perché no, nuove passioni.

15. Organizzare lo spazio di lavoro

Prima di mettersi a lavoro, diamo uno sguardo alla nostra postazione. Se non riusciamo a scorgere nulla perché ogni cosa è sepolta dalle scartoffie, è il caso di mettere ordine sulla nostra scrivania. Il disordine per quanto possa essere incarnare il fascino dell’artista in fibrillazione creativa, è ridondante. Confonde.

Non dobbiamo trasformarci in maniaci dell’ordine, è chiaro, ma solo organizzare il nostro spazio per non andare alla deriva.

16. Non siamo il nostro lavoro

Il lavoro non ci definisce, fa parte della nostra vita, ma non è tutta la nostra ragione d’essere.

Lavorare ed essere concentrati sulla propria carriera è importante, ma non possiamo far girare il nostro mondo intorno ad essa. Dopo aver staccato, che sia dall’ufficio o dal proprio PC, è il momento di passare ad altro. 

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17. Riflettere sulla propria giornata (da soli o con qualcuno)

Alla fine di una lunga giornata, prima di andare a dormire, prendiamoci del tempo per riflettere. Cosa abbiamo fatto di buono? Cosa ci ha gratificato e cosa invece abbiamo sbagliato?

Ripercorrere cosa è accaduto, da soli ma anche con qualcuno di cui ci fidiamo, è importante ed è una delle routine quotidiane più motivanti che ci sia. Ci sprona ad impegnarci di più, giorno dopo giorno, e ci permette di riconoscere i nostri limiti, insegnandoci a superarli, ma anche a complimentarsi con noi stessi per i risultati ottenuti.

18. Disinnestare

Joel Gascoigne, fondatore e CEO di Buffer, fa qualcosa che lo aiuta a liberarsi completamente dal lavoro. Una passeggiata di 20 minuti ogni sera prima di andare a letto.

Ognuno di noi dovrebbe trovare il proprio metodo per staccare da tutto, scaricarsi dai pensieri e sentirsi leggero, dimenticandosi del proprio lavoro e delle ansie quotidiane.

19. Dormire

Ci sono persone che affermano di dormire poche ore a notte, e sentirsi super produttivi. Non credete a queste cose, perché la mancanza di sonno li coglierà quando meno se lo aspettano, e sarà soporifera!

Non solo si esauriranno, ma inizieranno anche a fare errori. La mancanza di sonno distrugge la produttività, non l’alimenta. Riduciamo il più possibile l’esposizione alle luci blu, rendiamo la camera da letto accogliente e concediamoci un rituale rilassante prima di addormentarci.

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20. Essere curiosi

Non dobbiamo aver paura dell’ignoto, perché a volte per realizzare i propri obiettvi abbiamo soltanto bisogno di sperimentare e sentirci liberi.

Rebranding di giugno: Google Foto, Waze, Radio Italia

  • Fare rebranding ha a che fare con l’adattamento e l’innovazione, perché cambiare il proprio aspetto è un’impresa ardua ma fondamentale per un marchio.
  • Dalla radio alle app, tra le riprogettazioni di giugno: Google Foto, Waze, Radio Italia

 

Nell’attuale contesto economico e in un ambiente altamente competitivo, tra i migliori modi per aumentare il proprio rendimento c’è anche il rebranding.

Questo processo ha a che fare con l’adattamento e l’innovazione, perché cambiare il proprio aspetto, pur rimanendo freschi, vivaci e in contatto con la vita contemporanea, è un’impresa ardua ma fondamentale per un marchio. Una questione che riguarda la predisposizione al cambiamento.

Scopriamo insieme quali aziende hanno aggiornato il proprio aspetto durante il mese di giugno.

Ricordi e nostalgia nel rebranding di Google Foto

Tra i principali redesign del mese c’è Google Photos. Sono oltre un miliardo al mese le persone che usano il servizio di gestione e archiviazione multimediale fornito da Google. Il team ha analizzato il  comportamento degli utenti scoprendo che viene maggiormente utilizzata quando provano nostalgia e vogliono ricordare.

rebranding

Negli ultimi 5 anni Google Foto è diventato più di una semplice app per gestire le foto, è diventata una “casa dei ricordi” della vita.

Il restyling è proprio focalizzato sui ricordi, per aiutarti a trovare e rivivere i momenti più preziosi.

Una nuova esperienza semplificata che pone maggiore attenzione a foto e video mettendo la ricerca in primo piano con una nuova struttura a tre schede: Foto, Ricerca, Libreria.

Come parte della nuova scheda di ricerca, ci sarà una visualizzazione interattiva della mappa di foto e video. Puoi pizzicare e zoomare in tutto il mondo per esplorare le foto dei tuoi viaggi, vedere in quale città hai scattato più foto o trovare quello scatto perduto del tuo viaggio attraverso il paese.

Cambia anche l’icona che inizialmente era stata progettata come una girandola, un cenno all’infanzia e alla nostalgia appunto.

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Vecchio logo Google Foto

 

Nuova icona Google Foto

La forma resta famigliare nonostante l’aggiornamento. La nuova esperienza semplificata di Google Foto sarà implementata nelle prossime settimane su Android e iOS.

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La community al centro del restyling di Waze

Waze aggiorna la sua immagine coordinata celebrando la community. Con la graduale ripresa della mobilità, la piattaforma di navigazione, sempre di proprietà di Google, ha riprogettato l’interfaccia utente e rivisitato il suo design.

rebranding

La social navigation app gratuita ha deciso di accogliere gli automobilisti nuovamente sulle strade con una nuova user experience.

waze user interface

Obiettivo: migliorare l’esperienza di guida degli utenti e il tempo trascorso in auto, sono 130 milioni in tutto il mondo le persone che utilizzano l’app.

Per comprendere i bisogni e i desideri degli utenti, la community è stata coinvolta durante il percorso di restyling. Un processo fatto di conversazioni che molto spesso hanno assunto forme diverse, da normali incontri a ricerche approfondite condotte su 13.000 autisti. Queste informazioni hanno chiarito all’azienda gli obiettivi da intraprendere.

Waze vuole guidare il cambiamento con disegni audaci, intende mostrare la sua unicità attraverso la palette colori:

“Non eravamo interessati ad essere un marchio tecnologico pulito, minimale, “elevato” perché non si tratta solo di tecnologia. Abbiamo la community con noi. Dobbiamo riflettere su questo. In questo senso, siamo un po’ “non tecnologici” nel nostro approccio. Stiamo inseguendo qualcosa che sia amichevole, organico e gioioso” scrive in un articolo Jake Shaw, Head of Creative di Waze.

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Il nuovo look è molto più colorato e mette in primo piano anche la capacità dei singoli conducenti di condividere le loro emozioni attuali con Moods, un set di icone selezionabili dall’utente che possono riflettere il suo umore mentre sta guidando.

Radio Italia cambia il suo logo storico

Tra i casi italiani spicca il rebranding totale di Radio Italia che in un momento storico così particolare riparte con il piede giusto. Negli ultimi anni l’emittente ha saputo evolvere facendo passi da gigante, dagli ascolti agli eventi, fino alle partnership.

rebranding radio italia

Il cuore italiano non più visibile nel logo resta comunque nell’anima della radio:

“La musica è vita, la musica è mutevole e non può essere circoscritta e lo stesso vale per Radio Italia che da sempre sostiene e valorizza tutta la musica Made in Italy. Anche i nostri ascoltatori più fedeli hanno accolto con grandissima positività questo cambiamento e per noi è sicuramente la vittoria più grande” dichiara Alessandro Volanti, Direttore Marketing di Radio Italia.

logo radio italia

Vecchio logo di Radio Italia

Il lavoro di riprogettazione è durato quasi un anno. Un lungo e delicato processo che ha portato nuova energia e vitalità:

“Abbiamo deciso di legarci ad una gamma di colori perché per noi la musica, elemento fondamentale della nostra proposta editoriale, non può essere rinchiusa in un colore solo” continua Volanti.

Al progetto ha lavorato l’art director Sergio Pappalettera fondatore di Studio Prodesign:

“Non sono previste forme regolari, ma tagli e colori che quasi cancellano i confini e una mappa di tonalità per trasmettere profondità e movimento senza segnare dei limiti rigidi. Un disegno che rappresenta, per me, il lavoro della Radio nel panorama musicale italiano, capace da sempre di coinvolgere e promuovere tutti i suoi protagonisti”.

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Per il lancio della nuova identità, il 27 e il 28 giugno, Radio Italia solomusicaitaliana e Radio Italia Tv sono state affidate nelle mani sapienti degli artisti, che hanno preso per un’ora il comando.

Un’esplosione di creatività attraverso la personalità e il talento dei cantanti italiani che da sempre contraddistinguono l’emittente e danno voce ai suoi palinsesti.

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Come i sondaggi e le ricerche di mercato ci aiuteranno nella ripresa

  • Oggi ci troviamo a fare i conti con ciò che il lockdown ci ha lasciato alle spalle e la lenta ripartenza degli acquisti da parte dei consumatori.
  • I sondaggi sono utili per capire i cambiamenti interni, tra i clienti che già abbiamo acquisito, e valutare nuove possibilità del mercato.

In questo 2020 le abitudini di acquisto hanno subito un drastico cambiamento nel giro di pochi mesi per via dell’emergenza sanitaria. Per studiare la nuova customer journey possiamo affidarci alle statistiche dei sondaggi e delle ricerche di mercato.

Sono tante le ricerche che parlano di come è cambiato il rapporto tra i consumatori e le aziende: il poter effettuare ordini e consegne dagli store online è diventato fondamentale per moltissimi business che prima si affidavano solo alle visite nei negozi fisici.

Specialmente nel pieno lockdown si sono registrati picchi di ordini che riguardavano strumenti per l’home fitness, lo smart working e il food delivery.

Adesso ci troviamo a fare i conti con ciò che il lockdown ci ha lasciato alle spalle e la lenta ripartenza degli acquisti da parte dei consumatori. In momenti di incertezza economica, ogni valutazione all’acquisto diventa fondamentale e le aziende devono essere pronte a capire i nuovi bisogni e affrontare le nuove remore degli utenti.

I sondaggi sono utili per capire i cambiamenti interni, tra i clienti che già abbiamo acquisito, e valutare nuove possibilità del mercato. Servono ad esempio:

  • per valutare la pianificazione del lancio di un prodotto;
  • modificare dei servizi;
  • analizzare il sentimento verso l’azienda;
  • profilare fan e utenti.

Un’altra frontiera è usare i sondaggi per fare lead generation, intercettando l’audience che condivide la nostra mission e valori per aumentare la percezione di vicinanza tra il Brand e il pubblico e, nel frattempo, arricchire il database di contatti.

Le ricerche di mercato, invece, si pongono verso la possibilità di acquisire un nuovo pubblico e valutare le idee che abbiamo in mente per aprirci verso un nuovo mercato.

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Perché profilare gli utenti e i fan in base agli interessi

Quando costruiamo un sondaggio la prima cosa da tenere in considerazione è il “Why”.

Perché lo stiamo facendo? Quali dati vogliamo ottenere? Quali ipotesi vogliamo verificare?

Nel caso della profilazione è utile segmentare il nostro pubblico per i cosiddetti “Interessi”.

Alcuni esempi di pubblici che abbiamo acquisito possono essere:

  • database di contatti (email e\o) numeri di telefono;
  • fanbase sui social;
  • community nei gruppi e forum.

Ottenere il contatto è solo il primo step di una strategia vincente. Adesso si parla sempre di più di marketing costruito sulla persona, per questo dobbiamo conoscere al meglio preferenze e gusti dei nostri utenti e, siccome non sono tutti uguali, fare un sondaggio ci aiuta a conoscerli meglio e creare delle “categorie” per fare delle comunicazioni ad hoc o costruire dei servizi mirati.

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Sondaggi per fare Lead Generation

Per trasformare utenti in lead profilati è indispensabile fare un’attività di Lead Generation, ovvero di acquisizione di contatti. I sondaggi sono spesso usati come iniziativa per aumentare il numero di email all’interno dei propri database, unendo in un solo passaggio la fase sia di acquisizione che quella della profilazione.

Dobbiamo tenere in considerazione che per avviare un’attività del genere si devono
conoscere le normative che riguardano il trattamento dei dati personali sia italiana che la GDPR europea. Per questo i software utilizzati devono essere in linea con le normative.

Inoltre in questo particolare caso, la costruzione delle domande deve essere più legata alle sensazioni, alla vision e ai valori dell’audience per ottenere alti tassi di conversione.

In quest’ottica è utile fare un sondaggio le cui risposte sono dei video o delle immagini che possono essere:

  • emozionali;
  • descrittive;
  • di intrattenimento.

Indagini e ricerche di mercato su nuovi mercati

Quando l’azienda ha l’esigenza di approcciarsi a un pubblico sconosciuto potrebbe essere pericoloso farlo totalmente al buio, non conoscendo abitudini, insicurezze e demografia.

La ricerca serve per comprendere diversi aspetti del mercato di riferimento per evitare errori di valutazione. Per migliorare la qualità del prodotto, del servizio o anche solo comprendere come costruire la comunicazione è fondamentale iniziare un dialogo diretto.

In questo caso i dati acquisiti possono essere anche solo aggregati, in quanto non abbiamo bisogno di conoscere nome, cognome e\o email dei soggetti coinvolti ma ottenere un gran numero di dati per effettuare un’analisi precisa che serve per smentire o confermare le nostre ipotesi.

Alcuni consigli per la creazione delle domande

Dopo ad aver risposto al nostro “Why” sappiamo che non tutti i sondaggi sono uguali e devono essere costruiti in base a cosa vendiamo, al nostro stile di comunicazione, alla mission aziendale e soprattutto al target di riferimento.

Fare una profilazione per interessi è diverso da fare un’indagine di mercato per cui le domande devono essere pensate e non copia\incollate da modelli disponibili online, anche se possono essere una valida guida iniziale.

Ciò che ti suggeriamo è:

  • scrivi delle domande brevi e semplici;
  • falle leggere anche ai tuoi collaboratori e a un piccolo campione di persone per verificarne la chiarezza;
  • crea delle risposte coinvolgenti con immagini e\o video;
  • associa alle risposte a un interesse;
  • non creare un questionario troppo lungo.

Anche se la tua azienda in passato ha già effettuato un’operazione simile adesso i risultati potrebbero essere molto diverse per via del cambiamento sanitario, sociale, economico che stiamo vivendo giorno per giorno. Per affrontare la riapertura al meglio dobbiamo munirci di dati da analizzare e cambiare di conseguenza le nostre strategie.

stories instagram test

Tutte le Stories in un’unica pagina: è l’ultimo test di Instagram

Si può tranquillamente dire che le Instagram Stories sono oggi uno dei migliori prodotti di Facebook.

A partire dallo scorso anno, circa la metà degli utenti di Instagram – ovvero 500 milioni di persone – ha interagito quotidianamente con questi contenuti. Si tratta di quasi il doppio dell’intera base di utenti attivi giornalieri di tutta Snapchat, che per prima ha reso popolare il formato effimero.

Ora, sembra che Instagram stia testando un modo per espandere l’esperienza delle Stories, rendendola più centrale nell’applicazione.

LEGGI ANCHE: 8 funzionalità delle Instagram Stories da usare per dare visibilità al tuo brand

stories instagram

Il test

La società sta testando una nuova funzionalità che permetterà agli utenti di Instagram di vedere più Storie in una sola volta, sia sulla schermata iniziale che in una nuova esperienza dedicata.

Nel test, gli utenti vedranno inizialmente due righe di Stories invece di una nella parte superiore dello schermo quando apriranno per la prima volta l’app Instagram. Un pulsante apparirà anche sotto quest’area estesa di Storie che permette di cliccare su “Vedi tutte le Storie”.

In questo modo si aprirà una nuova schermata in cui è possibile visualizzare e scorrere tutte le Storie disponibili in un’esperienza a tutto schermo.

La funzione è stata individuata per la prima volta dal social media manager californiano Julian Gamboa alla fine della scorsa settimana, che ha condiviso uno screenshot della nuova interfaccia su Twitter.

Instagram ha confermato che per il momento si tratta di un test con un piccolo numero di utenti, avviato ormai da oltre un mese.

LEGGI ANCHE: Instagram Stories: perché non devono più mancare nella tua Social Media Strategy

Il business delle Stories

Non è una sorpresa che Facebook cerchi di sviluppare nuove idee che gli consentirebbero di spingere un numero maggiore di utenti ad utilizzare e interagire con le Stories, dato l’enorme appeal del prodotto, la sua crescita e la crescente importanza per gli inserzionisti.

Nel terzo trimestre del 2019, Facebook ha definito le Stories una delle sue aree di maggiore crescita, notando che allora 3 milioni dei suoi 7 milioni di inserzionisti totali facevano pubblicità su Facebook, Instagram e Messenger Stories messi insieme. Nel quarto trimestre, il numero di inserzionisti che utilizzano Story Ads è cresciuto fino a 4 milioni.

Per soddisfare le esigenze degli inserzionisti, lo scorso anno Facebook ha introdotto anche nuovi modelli personalizzabili in cui le aziende possono caricare le loro foto e video, quindi scegliere tra diversi layout, colori e opzioni di testo per rendere più coinvolgenti le Stories.

Il numero totale di impression pubblicitarie nei servizi di Facebook è cresciuto del 39%, secondo quanto emerge dai dati del primo trimestre 2020. E l’azienda ha attribuito il salto anche alle Stories.

Tuttavia, Facebook ha spesso affermato che gli annunci di Stories monetizzano a tassi più bassi rispetto al News Feed – qualcosa che l’azienda ritiene che cambierà a lungo termine con la migrazione di un maggior numero di inserzionisti verso i contenuti volatili.

Se Instagram decidesse di lanciare pubblicamente la nuova schermata dedicata alle Storie, potrebbe catturare più utenti giornalieri e quindi, a sua volta, più inserzionisti.