Tag Funnel

migliori brand su tiktok

10 brand da seguire su TikTok per trovare l’ispirazione

Oltre 1 miliardo di utenti presenti sulla piattaforma con 2 miliardi di download a livello globale e un tempo medio di permanenza per utente di 52 minuti al giorno! Numeri davvero interessanti che farebbero invidia a chiunque e che sono quelli di TikTok.

Non potrebbe esserci un momento migliore per investire in contenuti video verticali per il vostro brand, un social tutto da scoprire per le aziende, insomma una nuova America. Ma vediamo ora insieme quali sono le aziende che per prime hanno avuto la visione di provarci fin da subito ottenendo degli incredibili risultati

Senza ulteriori indugi, ecco i dieci brand che in questo momento stanno andando eccezionalmente bene su TikTok, sfruttando la piattaforma per raggiungere i consumatori finali.

LEGGI ANCHE: Meccanici da salotto e barbieri da giardino: lo smart working su TikTok

1. Elf Cosmetics

La Elf Cosmetics ha fatto finora un lavoro molto interessante, ha infatti commissionato una canzone per creare una campagna virale che riuscisse a coinvolgere il pubblico.

La canzone, che prende ispirazione dalla hit di Kash Doll del 2018 “Ice Me Out” chiamata “Eyes Lips Face” dall’acronimo del marchio, si ritiene sia stata la prima canzone realizzata interamente per una campagna TikTok.

Il team del marketing è stato molto abile perché ha saputo diffondere la campagna attraverso l’uso di alcuni influencer, insomma il binomio perfetto TikTok più influencer marketing. I risultati sono stati strabilianti per l’hashtag challenge #eyeslipsface, il conteggio attuale è di oltre 5,2 milioni di visualizzazioni.

Elf tiktok

2. Guess

Guess è un marchio che ha saputo muoversi fin da subito, attualmente ha pubblicato dieci video in totale ed ha un profilo che vanta 45 mila follower.

Si tratta di uno dei pochi marchi di moda che attualmente si muovono sulla piattaforma, una mancanza non da poco per i competitor, che si troveranno ad inseguire. I contenuti di Guess sono stati realizzati attorno all’hashtag challenge #InMyDenim che in breve tempo ha raggiunto 46,4 milioni di visualizzazioni. Qui sotto ci sono alcuni esempi di video, nel primo puoi notare tutti i video ottenuti con la challenge #InMyDenim.

TikTok Guess

3. NBA

L’NBA è stato uno dei primi brand ad essere presente su TikTok, realizzando costantemente contenuti di tendenza e raccogliendo in breve tempo 5,5 milioni e mezzo di follower.

Si può sicuramente affermare che NBA è uno dei marchi migliori presenti al momento sulla piattaforma, per contenuti, originalità in un settore sportivo ancora poco affollato.

TikTok Nba

4. Il Washington Post

Il primo giornale ad approdare sulla piattaforma, il Washington Post sta facendo un ottimo lavoro. Date un’occhiata al loro profilo e valutate voi stessi.

I loro contenuti sono principalmente video divertenti e coinvolgenti, unica perplessità che mi sento di sollevare è se questa strategia sia effettivamente la più corretta per un importante brand della comunicazione come questo.

wallstreet tiktok

5. NFL

La NFL ha appena lanciato il suo canale, pubblicando video coerenti al pubblico di riferimento ossia gli amanti dello sport. Il canale risulta estremamente ben fatto contando ad oggi quasi 4 milioni di followers. Qui di seguito il profilo con alcuni esempi di video realizzati.

LEGGI ANCHE: A casa con TikTok: al via le live streaming con artisti e creator

Nfl TikTok

6. HP

Il loro profilo non è niente di speciale considerando l’importanza di questa azienda.

Ho scelto però di inserirla nella top 10 perché quest’anno hanno saputo realizzare una #challenge chiamata #HPCoachellaDreamland che ha ottenuto un grande successo.

Per realizzarla hanno arruolato alcuni grandi influencer TikTok per citarne uno OurFire, che da solo vanta ha 5,3 milioni di fan. Nel complesso, i video della sfida #HPCoachellaDreamland hanno oltre 182 milioni di visualizzazioni, potete visualizzarli qui sotto.

hp TikTok

7. Gymshark

Con 1,2 milioni di fan Gymshark è da un po’ di tempo protagonista con la produzione di contenuti coerenti e di qualità, e con una perfetta combinazione di video di allenamento, meme e video di ispirazione.

Date un’occhiata ad alcuni esempi qui sotto, sicuramente un brand da seguire con molta attenzione data la tipologia di target secondo me azzeccata presente ad oggi sulla piattaforma.

GymShark TikTok

8. Calvin Klein

Calvin Klein è presente su TikTok da circa sei mesi vantando circa 28 video complessivi pubblicati ed un totale di 15,7 mila followers. Questo brand sta crescendo in modo lento ma regolare con una programmazione di video periodica e non casuale, i contenuti non risultano molto coinvolgenti ma trattano l’argomento corretto.

Calvin Klein TikTok

9. Vineyard Vines

Vineyard Vines è su TikTok da quattro mesi e finora ha pubblicato un totale di 28 video raccogliendo ben 214,5 mila follower e circa 15 milioni di visualizzazioni. La particolarità di questo brand è la fortissima riconoscibilità del loro marchio richiamato anche all’interno dei video, super divertenti, coinvolgenti, e di tendenza.

Vineyard Vines TikTok

10. Fortnite

Il target della piattaforma sta premiando questa new entry che in brevissimo tempo ha già raccolto 1,5 milioni di follower. Sicuramente va citata l’incredibile campagna di lancio chiamata con la #challenge “EmoteRoyaleContest” divenuta una vera tendenza di ballo tra gli amanti del gioco, collezionando numeri da capogiro 532 milioni di visualizzazioni.

Fortnite TikTok

crisi e opportunità

Quando crisi e opportunità sono davvero la stessa cosa

  • Crisi e opportunità sono spesso la stessa cosa (anche se non letteralmente) in cinese, ma bisogna saper creare le condizioni per il cambiamento
  • Alcuni visionari sono riusciti a creare, in breve tempo, business completamente nuovi per rispondere alle nuove necessità, come Youprobablyneedahaircut
  • Il segreto è la capacità di effettuare pivot, non solo per le startup ma per aziende e singoli

 

C’è un ideogramma cinese che è diventato largamente famoso anche al di fuori della Cina, usato e forse abusato nei discorsi di motivatori, leader e addirittura presidenti (pare che il primo a utilizzarlo sia stato addirittura John F. Kennedy nel 1959): si tratta di wēijī.

crisi in cinese La sua fama è dovuta non solo al suo significato, ovvero “crisi”, ma più che altro a quello dei simboli che la compongono, che dovrebbero essere “pericolo” e “opportunità”.

In realtà i linguisti hanno considerato una “colorita pseudoetimologia” questa traduzione, e sottolineano che da solo non significa tanto “opportunità” quanto più che altro “momento cruciale“.

Ma a prescindere dalle sottigliezze linguistiche, quello che è certo è che il mondo intero in questo momento si trova in un’enorme wēijī. E che se per tutti o quasi la parte di pericolo è ben chiara, molti faticano a trovare l’opportunità che si nasconde nell’ideogramma.

Eppure è evidente che siamo veramente a un “punto cruciale”, sul vergere di un cambiamento che presumibilmente lascerà forti strascichi politici, economici, ma soprattutto culturali.

 

Come si fa a trasformare un momento cruciale in opportunità

Per quanto molti non vedano l’ora di tornare nel chiassoso caos degli uffici dopo questo lungo periodo di lavoro da casa obbligato, abbiamo ormai infranto una sorta di spaventosa barriera invisibile che ci separava dallo smart working, e abbiamo scoperto forzatamente che sì, è possibile.

I vestiti firmati hanno lasciato spazio alle tanto bistrattate tute, e forse alla fine di questo periodo ci sarà qualche fashion victim in meno sugli eCommerce. Il minimalismo, la comprensione di quanto siano poche ed essenziali le cose che ci servono per essere felici, potrebbe assestare un bel colpo alla società dei consumi.

E sull’onda di questi cambiamenti, tante aziende che stanno semplicemente aspettando che la tempesta passi per “riprendere a lavorare come prima”, rischiano semplicemente di morire lungo la strada.

Bisogna più che mai imparare la lezione dai cinesi (no, non sulle abitudini alimentari) e capire che una crisi è un momento cruciale, ma non un opportunità. Diventa “opportunità” solo quando siamo noi a fare qualcosa perché sia così.

Per continuare con la metafora linguistica dei cinesi, a dovremmo aggiungere un pezzo per ottenere “opportunità”, che sarebbe jīhuì (机会). E così noi a questa crisi, al pericolo e al cambiamento che stiamo vivendo, dobbiamo aggiungere qualcosa di più, qualcosa di nuovo.

Uno sforzo deliberato per comprendere i nuovi bisogni dei consumatori. Una sana auto-analisi per capire se stavamo facendo qualcosa di sbagliato, se gli obiettivi che stavamo inseguendo erano davvero all’altezza. Uno sforzo, in definitiva, per non limitarci a inseguire l’onda, ma provare a cavalcarla. In fondo, è così che è nato il surf… ma basta con le metafore, o questo articolo rischia di diventare qualcos’altro.

 

Non tutto il male viene per nuocere

youprobablyneedahaircut

È quello che deve aver pensato Greg Isenberg, mentre in piena quarantena correva a registrare il suo nuovo dominio: www.youprobablyneedahaircut.com

Parrucchieri e barbieri sono stati colpiti duramente in tutto il mondo da questa crisi e sono senza lavoro – ha detto Isenberg a Today Style. Avendo sentito alcune storie di amici barbieri che lottavano per sbarcare il lunario, e realizzando che, ‘ehi, probabilmente ho bisogno di un taglio di capelli’, ho pensato che “youprobablyneedahaircut” sarebbe stato un modo elegante per risolvere questo problema per me e gli altri.

E così, in piena crisi, Isenberg trova un’opportunità: un’idea semplice, talmente semplice che in poco tempo il sito era live e funzionava perfettamente, con recensioni entusiaste come quella di Sarah F.: “adoro il mio ragazzo, ma era orribile. Mi hai salvato la vita!”. La vita forse no, ma salvato una relazione da settimane di recriminazioni per un taglio sbagliato sicuramente sì.

Il funzionamento? Nulla più che una semplice videoconferenza con il barbiere, che per 18$ ti guida passo passo nel realizzare un taglio di capelli da urlo (in positivo, certo), sul/la tuo/a compagno/a o addirittura, per i più coraggiosi, su te stesso!
Semplice ed estremamente efficace: esattamente ciò di cui il mondo ha bisogno ai tempi del Coronavirus.

Un’epifania simile deve averla avuta un ex primario dell’Ospedale di Gardone Val Trompia, in provincia di Bescia, il dottor Renato Favero, quando osservando la penuria di maschere c-Pap in cui versava l’Italia all’apice della crisi, ha avuto un’idea geniale: aggiungere una valvola stampabile in 3D alle maschere integrali per lo snorkeling di Decathlon, e convertirle in congegni medici.

Dimostrando inconfutabilmente una grande verità sull’origine dell’innovazione: la creatività si basa sull’evoluzione, sulla rivoluzione, o sulla sintesi di qualcosa di esistente. E tutti abbiamo la possibilità, entro il nostro campo di competenza, di apportarla alla nostra vita e al nostro business.

innovazione creatività  

 

Pivot: la parola magica per trasformare le crisi in opportunità

Ed è questo il grande segreto: la semplicità. La costruzione, mattoncino dopo mattoncino, di un nuovo edificio, una nuova creatura, partendo dalla base di ciò che già avevamo: conoscenze, abilità, pubblico, materiali.

Fare un assessment di ciò che si possiede, dei punti di forza diciamo, e di ciò che il nuovo mercato che ci troviamo ad affrontare richiede, per fare un pivot della propria attività e smettere di remare contro corrente, cominciando a cavalcare l’onda.

Il pivot è un termine derivato dal basket che indica i cambi di strategia tipici di una startup, dopo che ha testato il suo modello originale e scoperto che modificandolo si ottengono migliori risultati. Ma in periodi di crisi, e a dire il vero in qualsiasi periodo, questa metodologia non dovrebbe essere utilizzata solo dalle startup: tutti, aziende e privati, dipendenti e freelance, adulti e bambini dovrebbero essere in grado di “pivotare” quando le situazioni cambiano e la cosa si rende necessaria.

Forse il risultato non sarà interessante o proficuo quanto ciò che stavamo facendo prima, ma ehi, come si dice? “Quando la vita ti dà i limoni, tu impara a fare la limonata“.

Ci sono tantissimi esempi di pivot di successo in questa crisi, opportunità bellissime nate in questo periodo e colte da aziende lungimiranti, che possono ispirarti su come fare un passaggio rapido a nuovi modelli di business, per rimanere a galla, contribuire allo sforzo di contenere il virus e fornire servizi utili in modo sicuro e distanziato:

Insomma, è un mondo spaventoso e terribile quello che si è delineato in questi ultimi mesi, fatto di estremi, di rischi, di profondi rovesci e cambiamenti. Ma è anche una situazione in cui il minimo sforzo può portare al massimo risultato, dando nuova linfa vitale alle attività e una sferzata di novità a settori ormai “tradizionalisti”.

Checché ne dicano i linguisti, non c’è momento migliore per credere che l’ideogramma cinese che significa crisi sia composto esattamente da questo.

 

Forse un’opportunità ancora più profonda per il mondo?

La necessità di un cambiamento, in questo momento di crisi storica, va ben oltre il livello del singolo cittadino o della singola azienda.

Come sostiene The Economist, il mondo intero corre un rischio fortissimo: quello del perdurare per mesi, nel peggiore dei casi anni, di quella che definiscono “l’economia al 90%“. Che presumibilmente continuerà anche dopo che il picco infettivo del Covid-19 sarà passato, per paura di ulteriori contagi, di nuovi focolai, o di un nuovo virus.

Un’economia post-lockdown, che si muove, certo, ma a livelli basici, meno della metà di quelli pre-crisi. Con interi settori fermi – il turismo, uno tra tutti. Aziende che falliscono, e quelle “troppo grandi per fallire” che vengono tenute in piedi con aiuti statali (pensiamo alle compagnie aeree o alla crocieristica), che rischiano di creare disparità con il trattamento riservato alle PMI.

Questa crisi ci sta mettendo davanti a verità che facevamo finta di ignorare per tanto tempo: la diseguaglianza sociale tra i malati e i diversi Paesi, gli alti tassi di mortalità tra le minoranze, le problematiche lavorative, la necessità di assistenza sanitaria per tutti… finalmente questi problemi sono sotto gli occhi di tutti, e il mondo chiederà riforme.

Alcune di queste richieste di riforma nascono proprio in USA  che hanno visto la trasformazione del lavoro e dei servizi come  Uber, Instacart e  Amazon e adesso sono al centro di forti scontri con i lavoratori per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro e maggiore equità nelle retribuzioni.

Ma forse è qui che giace la più grande opportunità di questa crisi: perché quando le persone sono stanche e hanno paura, chiedono un cambiamento. E se sapremo governare quel cambiamento, se i leader di questo futuro-presente distopico sapranno rispondere alla chiamata del popolo, proponendo mercati più equi, solidarietà internazionale e apertura invece di chiusura, forse questo Coronavirus avrà rappresentato allora una grande occasione per l’umanità.

Per certi aspetti, sta già succedendo: la corsa alla mobilità sostenibile post-Covid che tutti i Paesi stanno affrontando. Le proposte di maggiore equità che stanno attraversando l’Unione Europea.

Per il resto, per ciò che ancora ha da venire, non ci resta che aspettare e prepararci a surfare su questo tsunami. Ricordandoci che la voce di ciascuno dovrebbe essere, come diceva Gandhi, “il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”.

Le conseguenze del Coronavirus sul raro rallentamento delle energie rinnovabili - 01

Un raro rallentamento delle energie rinnovabili tra le conseguenze dell’emergenza Coronavirus

Per anni abbiamo pensato di aver fatto molto per lo sviluppo e la diffusione delle energie rinnovabili. Credevamo che nulla potesse ostacolare la ricerca di nuovi strumenti per l’ottimizzazione e la raccolta di energie pulite, ma evidentemente non è affatto così. A dirlo è l’Agenzia Internazionale per le energie Rinnovabili (IRENA), che ha sede ad Abu Dhabi e che in questi giorni ha dichiarato un evento sin ora mai registrato, il rallentamento delle energie pulite. 

Dal 2001 la crescita del settore è stata costante con un aumento di gigawatt prodotti continuo, ma nel 2019 la crescita si è interrotta a circa 176 GW, rispetto al precedente anno nel quale erano state raggiunte le 178 unità. 

Un decremento significativo e particolarmente importante per gli organi di competenza. Il rallentamento non ha fortunatamente paralizzato interamente la crescita del settore, che oggi rappresenta il 35% a livello globale (rispetto al 33% del 2018) di energia prodotta.

LEGGI ANCHE: In America l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha superato quella da carbone per la prima volta

Le energie rinnovabili nel mondo

In Asia il 70% dell’espansione totale della rete elettrica è stato determinato dallo sviluppo e dalla realizzazione di impianti di energie rinnovabili, differentemente dal continente africano dove la percentuale scende al 52% ed ancora di più in medio oriente, dove la percentuale scende ulteriormente al 26%.  

L’espasione degli impianti ha determinato lo sviluppo e lo sfruttamento di una tipologia di energia rinnovabile specifica piuttosto ad un’altra, come l’eolico e il fotovoltaico che ad oggi rappresentano ben il 90% degli impianti installati nel 2019. Facili da rintracciare nel mercato globale e di facile installazione e manutenzione, queste tecnologie si sono ampiamente diffuse un po’ ovunque riuscendo a ricoprire circa il 53% dei gigawatt prodotti su tutto il pianeta, lasciando i restanti 47% allergia idroelettrica, che resta la fonte di energia rinnovabile dominante. 

La crisi sanitaria internazionale ed il futuro delle rinnovabili post pandemia 

Il rallentamento della crescita delle energie rinnovabili è probabilmente determinato da differenti fattori, uno tra i più importanti è certamente il Coranavirus. La diffusione del virus ha inevitabilmente innescato, oltre ad una crisi sanitaria globale, anche una crisi di carattere economico e produttivo, causando conseguentemente un dimezzamento della domanda di elettricità.

Ma quali potrebbero essere le altre ragioni del rallentamento? Uno su tutti è il basso costo dei carburanti. Il petrolio ha raggiunto dei prezzi da minimo storico e anche se il greggio non ha un impatto diretto sulla produzione di elettricità, come effetto collaterale, causa una minore pressione sui prezzi del gas naturale. 

IRENA sta analizzando con attenzione la situazione attuale ipotizzando scenari e sfide future, per affrontare al meglio il mercato che verrà e soprattutto per non interrompere il progresso delle energie rinnovabili compiuto sino ad oggi. 

LEGGI ANCHE: Energie rinnovabili, facciamo il punto (e qualche previsione)

Francesco La Camera, direttore generale dell’IRENA, in una delle sue ultime interviste sul rallentamento appena registrato ha dichiarato: 

“Lo scoppio di Covid-19 minaccia le catene di approvvigionamento globali in molti settori ed è quindi probabile che abbia un impatto sulle energie rinnovabili. Resta da vedere la gravità e la durata di entrambe le situazioni”.

Infine ha ben sottolineato, che nulla può vanificare gli sforzi fatti sinora per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Né il virus e le conseguenti crisi sanitarie ed economiche, né il ribasso dei carburanti potranno interrompere il percorso verso la decarbonizzazione intrapreso dalla società. 

Advertising e Covid-19: come cambiano gli investimenti pubblicitari in tempo di crisi

  • Secondo i dati del WFA, l’80% delle multinazionali ha messo in stand-by le campagne pubblicitarie pianificate per il secondo trimestre del 2020;
  • Il 79% dei marchi che hanno partecipato allo studio condotto dal WFA ha dichiarato di aver iniziato a lavorare a nuovi messaggi per rispondere direttamente agli effetti della pandemia;
  • Per i grandi brand è indispensabile cominciare a pianificare le proprie strategie di Marketing per quello che sarà il post-Covid19.

 

Nelle ultime settimane sono state ampiamente analizzate le conseguenze della crisi del Coronavirus sulle abitudini di acquisto dei consumatori. 

Abbiamo visto come l’economia di tutto il mondo stia subendo pesanti danni, con perdite soprattutto per settori come quello del turismo, dei trasporti, della ristorazione e dell’intrattenimento.

Inoltre, l’attenzione si è focalizzata anche sul cambiamento della fruizione da parte degli utenti dei contenuti pubblicitari e non: abbiamo potuto osservare un incremento notevole dell’utilizzo delle piattaforme digital, soprattutto per quanto riguarda millennial e Generazione Z.

carriera nel digitale

Cosa sta succedendo al mondo dell’Advertising?

Secondo i dati raccolti in un sondaggio condotto nel mese di marzo dalla World Federation of Advertisers (WFA) ben l’80% delle multinazionali ha messo in stand-by le campagne pubblicitarie pianificate per il secondo trimestre del 2020, con una media che oscilla tra il 20% e il 40% per quanto riguarda il taglio del budget dedicato alle spese pubblicitarie.

Un’analisi condotta da WARC Data propone tre scenari ipoteticamente probabili per quanto riguarda l’effetto del Coronavirus sugli investimenti pubblicitari dei grandi brand.

Questi scenari sono stati delineati in base agli studi effettuati durante dell’epidemia di Sindrome respiratoria acuta grave (SARS) nella prima metà del 2003 e dell’epidemia di Sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) tra maggio e agosto 2015.

LEGGI ANCHE: 5 business colpiti dal Coronavirus e 5 che potrebbero guadagnarci

Scenario 1: spostamento del budget pubblicitario al secondo semestre del 2020

Nella prima ipotesi i brand decidono di congelare gli investimenti pubblicitari per la prima metà dell’anno e, in caso si riesca a contenere il virus e tornare a una “vita semi-normale” a partire da Giugno-Luglio, spostare tutto il budget destinato al 2020 nel secondo semestre.

Sempre secondo la World Federation of Advertisers (WFA) il 34% dei brand conferma di mettere in stand-by le proprie campagne pubblicitarie per uno o due mesi, il 28% ha rinviato i piani per un intero trimestre, mentre il 13% afferma di aspettare almeno sei mesi prima di ripartire con l’ADV.

 

Gli studi condotti da WARC mostrano che già nei primi due mesi del 2020 gli investimenti pubblicitari hanno subito un fortissimo calo rispetto al mese di Dicembre 2019. I media tradizionali hanno registrato i risultati peggiori in Asia, mentre la crescita del digitale è stata notevolmente più lenta di quanto ci si aspettasse.

A Gennaio lo confermava anche Baidu, il principale motore di ricerca in lingua cinese, che in una pubblicazione anticipava che le entrate pubblicitarie sarebbero calate tra il 5% e il 13% nel primo trimestre del 2020, per un totale di circa a 500 milioni di dollari.

In questo primo caso i brand dovrebbero analizzare approfonditamente i pro e i contro di uno spostamento totale del budget, oltre che chiedersi se sia il caso di modificare del tutto o in parte i messaggi delle campagne pubblicitarie già pianificate e solo rimandate.

LEGGI ANCHE: 5 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation

Scenario 2: riallocazione a breve termine del budget pubblicitario

Un secondo scenario, molto più probabile del primo, è quello della riallocazione a breve termine del budget destinato all’Advertising, in base al cambiamento delle abitudini di fruizione dei media pubblicitari da parte degli utenti.

Questa riallocazione viaggia parallela al cambio delle strategie di Marketing dei brand, che si trovano costretti a ripensare alle campagne di comunicazione già definite per il 2020.

Pensiamo per esempio alle conseguenze del lockdown su l’Outdoor Advertising, che secondo uno studio condotto dal Financial Times sarà il mezzo di comunicazione a subire il danno maggiore. Basta vedere come Clear Channel, una delle compagnie di pubblicità OOH più importante a livello mondiale, ha perso il 75% del prezzo delle sue azioni in borsa in un solo mese.

Scenario 3: taglio degli investimenti e grave recessione pubblicitaria

L’ultimo scenario, e speriamo il meno probabile, è quello di una grave recessione del settore dell’advertising entro la fine del 2020.

Questa catastrofica proiezione è da tenere in conto principalmente per un motivo: la stretta relazione tra la spesa pubblicitaria dei brand e il PIL di una nazione. La crisi economica che la maggior parte dei Paesi affetti dalla pandemia di Covid19 sta affrontando, porta come conseguenza diretta il crollo del PIL – Prodotto Interno Lordo.

In questo scenario, la probabilità che il mercato pubblicitario globale cada in recessione è più alta, ma non è garantita. 

Come ripianificare i piani media dei brand?

A prescindere dagli scenari disegnati da WARC Data, molti brand si stanno già muovendo per modificare i propri piani di comunicazione per il 2020.

Nel frattempo infatti, il 79% dei marchi che hanno partecipato allo studio condotto dal WFA ha dichiarato di aver iniziato a lavorare a nuovi messaggi per rispondere direttamente agli effetti della pandemia.

Indipendentemente dal fatto che i brand decidano di sospendere del tutto l’attività pubblicitaria o di metterla in stand-by, la prima cosa che devono tenere in mente per ripianificare il proprio piano media è la fascia di età del proprio target e i rispettivi comportamenti di fruizione dei media attuali.

Per esempio, la Generazione Z passa la maggior parte del tempo a guardare video online su YouTube e TikTok, mentre i Millennials prediligono le piattaforme di live streaming (30%) e l’ascolto di podcast (20%). Il 42% dei Baby Boomer invece preferisce guardare le trasmissioni TV.

LEGGI ANCHE: Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

L’importanza di un piano di comunicazione post-Covid19

Pensare a breve termine è indispensabile in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, ma cosa ne sarà della comunicazione a lungo termine? 

Se è vero che bisogna pensare a un problema alla volta, è indispensabile per i grandi brand cominciare a pianificare le proprie strategie di Marketing per quello che sarà il post-Covid19. Perché se ora la maggior parte degli acquisti da parte degli utenti è in stand-by, arriverà il momento in cui l’economia riprenderà a girare e i brand dovranno essere pronti. 

Sicuramente la velocità e le prospettive di ripresa variano da paese a paese, ma possiamo vedere come in Cina ad esempio ci siano già segnali di recupero incoraggianti, che fanno ben sperare anche per il resto del mondo.

Per concludere, i brand hanno a disposizione un numero sufficiente di dati e statistiche per poter giocare al meglio le loro carte, ma è anche vero che in un periodo di incertezza e come quello che stiamo vivendo, il comportamento del consumatore è talmente volubile che è quasi impossibile definire un percorso certo.

Sicuramente ne usciranno vincitori i brand che sapranno rimanere al passo con le continue evoluzioni dei trend di mercato, riuscendo ad adattare ai tempestivamente la propria strategia di comunicazione secondo i cambi che avverranno nei prossimi mesi.

bitcoin halving

Halving Bitcoin: cos’è e come cambierà la vita di miner e investitori?

  • Satoshi Nakamoto, l’uomo misterioso considerato il padre della criptomoneta più celebre, ha previsto questo meccanismo per limitare il numero dei Bitcoin in circolazione;
  • Il numero dei Bitcoin minabili sono 21 milioni, di cui restano oggi da estrarre circa poco più di 3 milioni;

 

Si chiama halving ed è l’evento più atteso della community degli appassionati di Bitcoin. “Halving” significa dimezzamento ed è ciò che avviene al valore dei Bitcoin, ogni quattro anni. Quello a cui abbiamo assisto ieri è il terzo halving della storia.

Perché succede? Satoshi Nakamoto, l’uomo misterioso considerato il padre della criptomoneta più celebre, ha previsto questo meccanismo per limitare il numero dei Bitcoin in circolazione e proteggerne così il valore nel tempo.

Se sei poco esperto del mondo Bitcoin, ti basterà sapere che il numero dei Bitcoin minabili sono 21 milioni, di cui restano oggi da estrarre circa poco più di 3 milioni. Oggi si calcolano in circa 18,4 milioni i bitcoin in circolazione. I Bitcoin sono estratti dai “miners”, che con la potenza di calcolo dei loro computer in rete risolvono dei codici complessi.

Ma quali sono gli effetti che il dimezzamento produce sugli investitori e sul valore della criptomoneta? Lo raccontiamo in quest’articolo.

LEGGI ANCHE: Tutto quello che sapete su Libra, Bitcoin e Blockchain è falso

bitcoin halving storia

Il terzo halving della storia

Dalla sua nascita, nel 2008, i Bitcoin hanno conosciuto tre halving.

Nel primo, il 28 novembre del 2012, il numero dei bitcoin estraibili risolvendo i complessi codici che li sbloccano, è passato da 50 ogni 10 minuti a 25.

Il secondo halving invece ha avuto luogo il 9 luglio del 2016 portando la ricompensa dei miner, per ogni blocco, a 12,5 BTC.

Il terzo halving invece dimezza ancora di più questa cifra, fino a 6,25 con l’estrazione del blocco numero 630 mila.

Oltre a un minore compenso per i miner, che si vedono restituire meno moneta dal loro lavoro di estrazione, un halving ha in genere un aumento del valore sul mercato dei Bitcoin, anche se la volatilità delle cripto rende molto complesso fare previsioni.

Tuttavia, la storia ci dice questo, prendendo come riferimento i due halving precedenti. Nel 2012, per esempio, il valore dei Bitcoin, post halving che ha toccato la quota di 1000 dollari (per fare un raffronto un anno prima ne valeva poco meno di 10).

Una situazione simile si è verificata con il secondo halving, con il valore dei bitcoin arrivato alla cifra monstre di 20mila dollari (rispetto ai 200 dollari dell’anno precedente).

bitcoin halving

Cosa aspettarsi con il terzo halving?

Come dicevamo difficile fare previsioni. Alla normale volatilità della cripto oggi va aggiunta la questione Coronavirus, che di certo rende il quadro previsionale ancora più complesso.

Gli esperti sperano che anche questa volta la cripto aumenti il suo valore, andando a recuperare terreno dopo la perdita di valore degli ultimi giorni, con i Bitcoin che dopo aver superato 10mila dollari, sono crollati di circa il 20% in pochissime ore.

Anche se non è possibile avere certezze, tuttavia, è possibile prevedere alcuni scenari:

  • un rialzo ancora più rapido. In un momento in cui i mercati finanziari sono in una fase buia, l’aumento dei prezzo potrebbe portare attirare nella sua rete sempre più investitori retail. Questa è l’opinione, per esempio, di CryptoMurmur, un hub che riunisce appassionati delle criptovalute).
  • Una più veloce regolamentazione. Un ulteriore aumento dei prezzi potrebbe spingere la classe politica a velocizzare le operazioni di regolamentazione della cripto per proteggere gli investitori. Questa l’opinione di Simon Peters, analista della piattaforma di investimento eToro.
  • Un trasferimento dei miner su cripto più remunerative. Un altro scenario vede i miner protagonisti: questi potrebbero lasciare la cripto e vendere, per avvicinarsi ad altre cripto che ritengono più vantaggiose, le cosiddette Altcoin.

LEGGI ANCHE: L’Università di Cambridge vuole monitorare quanta energia consumano i Bitcoin

bitcoin

Halving vince già su Google

In attesa di sapere quali saranno gli esiti del dimezzamento, una notizia è già certa: il boom delle ricerche su Google per “halving di Bitcoin, che hanno superato di circa il 360%, il numero di ricerche per il secondo halving, quello del 2016, come riportato anche da CoinTelegraph.

A testimonianza di una crescita dell’interesse di appassionati e investitori verso la criptovaluta più nota.

social media lockdown

Social Media Trend: dagli utenti sempre più connessi (anche in Italia) ai migliori orari per pubblicare

  • In Italia 36,7 milioni di persone hanno utilizzato i social network e 33,8 milioni hanno usato i servizi di Instant Messaging;
  • Anche i tempi migliori per postare sui social media sono cambiati man mano che più aspetti del lavoro e della vita si sono spostati online.

 

Gli Italiani obbligati a stare a casa per il lockdown, durante il mese di marzo 2020 hanno mantenuto contatti e relazioni sociali grazie alle piattaforme online.

Hanno utilizzato i siti e le app di Social Networking 36,7 milioni di persone (ovvero il 94% di quelle che hanno navigato in rete) mentre sono state 33,8 milioni, pari all’87% della popolazione on-line, quelle che hanno usato i servizi di Instant Messaging.

social media lockdown

Gli insight dai social per l’Italia

Come emerge dai primi insight condivisi da Comscore, in media ognuno ha trascorso 40 minuti al giorno sui Social Network (+53% del tempo speso rispetto all’anno precedente) e 28 minuti sulle app di messaggistica (+ 77% del tempo speso su marzo 2019).

Se si analizzano le singole piattaforme social in termini di diffusione, inserendo nell’analisi anche YouTube, la piattaforma video di Google risulta essere la più utilizzata seguita da Facebook, Whatsapp e Instagram. TikTok è invece il social con il maggior tasso di crescita, arrivando a raggiungere i 7 milioni di utenti unici a marzo 2020, con un’audience quasi quadruplicata rispetto a marzo dello scorso anno così come significativa è la crescita di Pinterest, che supera i 12 milioni di utenti unici grazie al +112% di incremento rispetto a marzo 2019.

In termini di tempo speso Facebook è la prima piattaforma con 26 minuti medi al giorno per utente e una crescita del +49% rispetto a marzo 2019 seguita da Whatsapp con 20 minuti medi al giorno per utente e una crescita dell’81% anno su anno.

Focalizzando l’analisi sul solo segmento di età 18-24, i giovani trascorrono più tempo rispettivamente su YouTube (oltre 32 minuti giorno), WhatsApp (con 30 minuti al giorno), TikTok (con 18,6 minuti al giorno per utente, in crescita del 121% rispetto marzo 2019), ormai terza piattaforma per tempo medio per utente.

“Nella fase di lockdown, Social Media e servizi di messaggistica hanno svolto un ruolo fondamentale nel mantenere connesse le persone; i giovani nella fascia d’età 18-24 hanno trascorso su App e Siti di queste categorie oltre due ore e 45 minuti in media al giorno, a fronte di quasi un’ora e 20 minuti in media al giorno della fascia d’età 35+” commenta Fabrizio Angelini, CEO di Sensemakers, società che rappresenta in esclusiva Comscore in Italia. “Insieme ai player conosciuti e consolidati il dinamismo del mercato è evidenziato dalla crescita di operatori come TikTok e Pinterest”.

LEGGI ANCHE: La sfida dell’eCommerce Marketing nel post-lockdown

I momenti migliori per pubblicare sui social media

Anche SproutSocial ha aggiornato alcuni dati del suo report annuale per mostrare gli ultimi insight aggiornati a metà aprile 2020, a seguito dell’emergenza. Nel complesso, è emerso che i tempi migliori per postare sono cambiati a livello globale man mano che più aspetti del lavoro e della vita si sono spostati online.

Facebook

Mentre in precedenza il mercoledì dalle 11 del mattino e dalle 13 alle 14 era il momento migliore per postare su Facebook, l’attività è stata più consistente in modo generalizzato tutti i giorni della settimana. Attualmente, gli orari migliori per postare su Facebook sono lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10 alle 11. In effetti, ogni giorno alle 11 c’è stato un leggero picco rispetto al resto della giornata.

I fine settimana e i giorni feriali dopo le 17 mostrano un notevole calo, poiché i lavoratori a distanza che si destreggiano tra le diverse esigenze domestiche e familiari devono affrontare, in molti casi, anche più richieste di attenzione dopo la fine della tipica giornata di lavoro.

Instagram

Analogamente a Facebook, il numero di ore di punta durante la settimana è aumentato anche su Instagram. In precedenza, il mercoledì alle 11 e il venerdì dalle 10 alle 11 erano stati individuati come gli orari migliori per pubblicare. Ora, in un arco di tempo complessivo molto intenso di giorni feriali e orario di lavoro, lunedì, martedì e venerdì alle 11 e martedì alle 14 sono gli orari migliori per postare su Instagram.

Inoltre, mentre la precedente analisi mostrava che l’attività di Instagram proseguiva con una certa coerenza al mattino presto e a tarda sera, l’attività è ora molto più concentrata nella giornata lavorativa, con un distinto drop-off dopo le 18.

social media lockdown

Twitter

I modelli di utilizzo di Twitter sono rimasti leggermente più consistenti prima e dopo l’emergenza COVID. Ciò può essere dovuto all’uso continuo della piattaforma come mezzo per controllare rapidamente le notizie e diffondere informazioni utili al pubblico per le misure di blocco e quarantena delle diverse regioni.

Ciononostante, il tempo di impegno in cima alla lista è leggermente cambiato: mentre prima era mercoledì e venerdì alle 9 del mattino, il momento migliore per postare su Twitter ora è venerdì 7-9, con le 9 che mostrano il picco di attività.

LinkedIn

Poiché LinkedIn è una rete orientata al lavoro, non sorprende che il comportamento sia rimasto in gran parte immutato. Come Twitter, l’orario migliore per postare è cambiato un po’: passando dagli orari di punta di mercoledì dalle 8 alle 10 e mezzogiorno, giovedì alle 9 e le 13, e venerdì alle 9 agli attuali orari migliori per LinkedIn di mercoledì alle 15, giovedì alle 9 alle 10 e venerdì dalle 11 al pomeriggio.

L’orario del regolare engagement nei giorni feriali inizia e finisce un po’ più tardi, con l’attività che inizia alle 8 invece che alle 7 e termina verso le 16 invece che alle 15. Ciò potrebbe riguardare il cambiamento degli schemi di lavoro a distanza, compreso un calo nella navigazione per gli aggiornamenti durante gli spostamenti dei pendolari.

LEGGI ANCHE: Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

Come è cambiato il comportamento dei brand sui social media

In tutti i settori e le reti, il numero di messaggi inviati al giorno è rimasto più o meno lo stesso in media (con un calo di soli 0,2 messaggi al giorno) rispetto al primo trimestre e all’aprile 2020.

Alcune industry hanno aumentato il volume dei messaggi inviati durante questo periodo, in particolare l’assistenza sanitaria, i media e l’intrattenimento, che sono diventati più centrali durante questo periodo.

D’altra parte, alcuni settori hanno avuto un calo più marcato dei post pubblicati, in particolare sport e viaggi.

Gender gap, a che punto siamo nel mondo dell’arte

  • La vita delle artiste non è mai stata facile, fin dagli albori. Per questo si susseguono ancora oggi iniziative e opinioni sulla disparità di genere nel mondo dell’arte;
  • Facciamo il punto sulla situazione delle artiste, perché alcuni dati rivelano un gender gap oggi ancora forte.

 

Una donna deve essere nuda per entrare al MET. Museum?

Era il 1989 quando un collettivo di artiste femministe, The Guerrilla Girls, invasero le strade di New York con manifesti che denunciavano le discriminazioni di genere dell’art system. Secondo una statistica del 1984 solo 13 dei 169 artisti esposti al Metropolitan Museum erano donne, e indovinate un po’? L’83% dei nudi presenti della collezione rappresentavano corpi femminili. Donne rappresentate come oggetto artistico ma limitate nell’essere fautrici di una rivoluzione artistica. Perché?

gender gap

The Guerrilla Girls, 1989

Questa è una delle tante proteste contro la discriminazione nei confronti del talento e del genio artistico delle donne, che, per troppo tempo, sono state sottovalutate per portare avanti una cultura mainstream a vantaggio della controparte maschile. Ovviamente non stiamo assolutamente dicendo che uomini e donne devono fronteggiarsi in una competizione infinita su chi è più bravo/a nel proprio campo, ma sarebbe il caso di cominciare a render giustizia a tutti e tutte, senza distinzioni di genere, e oltre.

La situazione delle artiste in passato

Nel campo dell’arte, le donne sono state tenute lontane dalle professioni artistiche e dalla formazione fino al 1870, ma possiamo trovare talentuose artiste già prima di quella data, anche se non vengono valutate come meriterebbero. Troviamo riscontro in questo atteggiamento anche a scuola, durante l’ora di storia dell’arte. A volte ci sarà capitato di porci la domanda sulla loro scarsa presenza, chiedendoci perché ci sono così poche biografie, così poche opere, e perché dobbiamo saltare questa o quella pittrice, per passare direttamente all’artista successivo?

Fateci caso, i primi nomi di artiste, a meno che non lavoriamo e studiamo nel campo delle belle arti, che ci vengono in mente, sono sempre gli stessi.

Nel 1971 Linda Nochlin pubblica un saggio dal titolo provocatorio, “Perché non ci sono mai state grandi artiste donne?”, per affrontare una questione delicata sul ruolo delle donne nel mondo delle arti figurative. In questo saggio l’autrice cerca di dare una spiegazione per cui il numero delle donne artiste che hanno ottenuti gli stessi successi dei colleghi uomini, sono davvero minime.

LEGGI ANCHE: La leadership femminile nel business cresce, ma salari e investimenti ancora non aiutano

“Perché non ci sono state grandi artiste?” di Linda Nochlin

Afferma che le donne artiste non hanno mai avuto un ruolo di protagoniste in campo sociale e istituzionale perché la produttività artistica è il risultato di un condizionamento culturale, sociale e istituzionale per cui il talento si affina e si allena. Per molto tempo la  donna è stata esclusa da questi meccanismi. L’arte non è un’attività autonoma e libera, ma soggetta alle accademie, alle istituzioni culturali, agli organismi economici e familiari. Non è solo quello che più comunemente chiamiamo genio, ma come in tutte le cose richiede metodo, disciplina e tempo.

Contrariamente agli uomini, alle aspiranti artiste era proibito studiare dal vero con modelli e modelle senza veli. Il problema principale è che le donne non sono state agevolate nell’apprendere e nell’esercitarsi con tecniche e mezzi adeguati, ma hanno dovuto lottare, e spesso sono state derise, etichettate in modo dispregiativo, per inseguire la propria aspirazione. Lacerate da una costante ambivalenza, divise tra aspirazioni e aspettative sociali, sentono la propria autostima cedere, combattute se aderire o meno a una distorta concezione di femminilità che la stessa società vuole. Ma a che prezzo?

Il mondo dell’arte non è l’unico campo in cui sussiste una differenza tra uomo e donna. Quante volte ci siamo ritrovati ad ascoltare storie sulle disparità di compensi tra lavoratori e lavoratrici? Passano gli anni, mutano mode e costumi, ma non abbiamo ancora raggiunto una parità di genere su molte cose.

Ma com’è oggi la situazione delle artiste in Italia?

La ricerca sul gender gap nel mondo dell’arte

Kooness, realtà milanese operante nel settore artistico, ha recentemente rilasciato i dati di una ricerca sul divario di genere tra uomini e donne nel campo dell’arte. I risultati confermano, purtroppo, la tendenza di cui abbiamo discusso fin ora. Il divario esiste ed è tangibile.

Lo studio è stato condotto prendendo in considerazione una lista di 440 artisti che collaborano con essa e oltre 2700 opere. La metodologia di studio si basa principalmente su 4 punti:

  • il prezzo delle opere
  • gli artisti presenti in galleria
  • i premi vinti da artisti uomini e donne
  • la percezione pubblica del valore di un’opera

I premi di riferimento sono i cinque riconoscimenti più importanti dell’arte contemporanea: il Turner Prize, il Mac Arthur, l’Hugo Boss, il Bucksbaum Award e il Duchamp Prize.

I risultati ottenuti non sono incoraggianti. Guardiamoli insieme.

1. Il valore delle opere artistiche

Parlando meramente in termini economici, il valore delle opere d’arte create da artisti uomini hanno un prezzo maggiore rispetto a quello delle donne. Gli uomini guadagnano il 24% in più rispetto alle creative. Il prezzo medio per un artista uomo è di 3700 euro circa, mentre per una donna ci aggiriamo intorno ai 2900 euro.

LEGGI ANCHE: La disparità di genere non risparmia neanche gli influencer (lo dice un report)

Gli uomini guadagnano il 24% in più rispetto alle donne.

2. Il numero degli artisti e delle artiste

Lista alla mano, su 2723 opere d’arte, 1723 sono state realizzate da uomini, 1000 da donne. In percentuale, la presenza maschile è del 63,3%, quella femminile un 36,7%. Un dato particolare se diamo uno sguardo ai dati sul sito del MIUR per l’anno accademico 2018/2019, relativi agli iscritti alle accademie pubbliche di belle arti in Italia. Le donne rappresentano la maggioranza degli studenti: su 26.756, 18.152 sono ragazze. Che succede dopo? Che tipo di carriere e di percorso scelgono? 

Su 2.723 opere d’arte, 1.723 (63,3%) sono state realizzate da uomini e 1.000 (36,7%) dalle donne.

3. Premi vinti da artisti e artiste

Considerando 5 premi prestigiosi: il Turner Prize, il Mac Arthur, l’Hugo Boss, il Bucksbaum Award e il Duchamp Prize, assegnati ai più brillanti e migliori artisti del mondo dell’arte, ne viene fuori che: su 406 vincitori, 253 artisti sono uomini e 153 donne. Il 62,3% contro il 37, 7%.

gender gap

Su 406 vincitori, 253 artisti sono uomini contro 153 donne. Il 62,3% contro il 37, 7%.

4. La percezione pubblica del valore dell’arte

Voi sareste in grado di giudicare il valore di un dipinto semplicemente guardandolo? Il genere dell’artista influenzerebbe la vostra decisione? Durante un’intervista a 2000 persone, sono state mostrate loro 10 opere d’arte, chiedendo di assegnare un valore.

Incredibilmente, i risultati mostrano che le opere d’arte delle donne hanno una probabilità 3 volte maggiore di essere sottovalutate rispetto a quelle degli uomini. Oltre la metà, il 51,60% dell’arte femminile è stata sottovalutata dagli intervistati, e solo il 12,20% l’ha sopravvaluta. Al contrario, il 31,80% delle persone ha sopravvalutato le opere d’arte prodotte da uomini. Nel complesso, la percezione pubblica del valore dell’arte è che l’arte delle donne vale meno degli uomini, precisamente 3 volte di meno.

gender gap

Le opere d’arte create da donne hanno una probabilità 3 volte maggiore di essere sottovalutate rispetto a quelle degli uomini.

I motivi del gender gap e cosa si può fare

Le origini di questa disuguaglianza così forte è dovuta principalmente dal lungo divieto, a discapito delle donne, dalla formazione artistica. Districare le ragioni per cui questa disparità persiste oggi è difficile.

Possiamo rintracciare tante motivazioni: le differenze nell’essere rappresentati in una galleria, i pregiudizi culturali dell’interpretazione dell’arte, il peso sbilanciato della genitorialità tra uomo e donna, ma anche la mancanza di assertività tra le artiste è stata proposta come causa ipotetica. Probabilmente sono cause valide, in un modo o nell’altro, ma alcune fanno veramente storcere il naso e digrignare i denti.

Insieme, questi e altri meccanismi contribuiscono a un effetto in cui il vantaggio genera vantaggio, ed è difficile rompere questo circolo vizioso. 

Oggi le artiste hanno più riconoscimenti rispetto al passato, ma purtroppo la strada è ancora lunga e piena di ostacoli. Donne che lottano per far emergere la propria arte, non possono essere abbandonate a loro stesse dalle istituzioni e dallo stesso panorama artistico.

Frida Kahlo, una delle artiste più apprezzate, riscoperta specialmente negli ultimi anni, diceva che tutti la etichettavano come pittrice surrealista, cercando così di giustificare cosa la ispirasse, quali sogni e quali incubi. Lei dipingeva semplicemente la sua realtà.

Ogni artista ha una voce, uomo o donna che sia. Quanti sono ancora i passi che le artiste dovranno fare per uscire da un alone che le avvolge da così tanto tempo?

Post Lockdown eCommerce Marketing: inizia la nuova sfida

La sfida dell’eCommerce Marketing nel post-lockdown

  • L’eCommerce ha conosciuto una nuova spinta durante l’emergenza;
  • La Digital Transformation impone oggi più che mai rapidità e competenze per fronteggiare una nuova domanda d’acquisto.

 

Il crollo degli incassi nei negozi fisici e l’esplosione del traffico sull’eCommerce rappresentano nuovi rischi ed opportunità, figli di questo periodo. Valutare un nuovo modus operandi per accelerare il percorso di acquisto finale rappresenta oggi una vera e propria missione digitale.

Dal tradizionale “Drive To Store” al “Drive To Online Store”, l’eCommerce trova una nuova luce.

Il nuovo capitolo digitale ha già notevolmente stimolato gli acquisti online, motivo per cui, per imprese e professionisti del web, si è presentata l’esigenza di elaborare nuove modalità gestionali. L’eCommerce, con le dovute messe a punto può diventare la fonte di sostentamento per una nuova economia dall’eccezionale peculiarità. L’epidemia ha accelerato i processi di una Digital Transformation che ha imposto rapidità e nuove competenze per allineare domanda e offerta.

Per capire al meglio tutto ciò, bisogna ricercare le cause all’interno dei nuovi atteggiamenti degli utenti: “Quando la situazione non è sotto controllo, tendiamo ad eseguire azioni e nuove attività per aumentare, in noi, un senso di controllo”, in risposta alla nuova dimensione che ci circonda.

LEGGI ANCHE: Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

e-commerce

Cosa non perdere di vista nell’eCommerce

Paul Marsden, Consumer Psychologist – University of the Arts di Londra, tenta di fornire una spiegazione, attraverso cui l’attuale utente è mosso da ben tre diversi tipi di “necessità”, che si configurano nei seguenti princìpi:

  • autonomia (per tenere sotto controllo la situazione);
  • relazionalità (quel senso senso di stare bene facendo del bene per la propria famiglia);
  • competenza (l’idea di essere in grado di acquistare “le cose giuste”);

LEGGI ANCHE: Le nuove abitudini di acquisto degli Italiani al tempo del Coronavirus

Il vedere gli altri che acquistano o comunque notare la scarsità di certi prodotti, a partire dai supermercati, ci fa credere di dover acquistare “per non restare senza”. Alcuni studi di settore hanno evidenziato che il nuovo approccio d’acquisto si presenta diversamente anche tra le diverse generazioni: per la Generazione Z e millenial, si assiste, ad una minore spesa (a fronte di un utilizzo più spiccato dei canali digitali), mentre gli appartenenti alla Generazione X ed i Baby-Boomers dichiarano che la pandemia ha avuto un impatto sul “cosa comprare” e non sul “quanto”.

eCommerce

La chiave (anche nell’eCommerce) è la comunicazione

Cercare di orientare al meglio le aspettative dei propri clienti, riflette, quindi, l’esigenza di valutare una nuova chiave in merito alla comunicazione aziendale.

Innanzitutto, valutare possibili ritardi prioritariamente alla presa in carico di qualsiasi ordine. Bisogna, inoltre, valutare se continuare le campagne attive, e per gli ordini già presi in carico diventa necessario informare i clienti in merito a potenziali ritardi sopraggiunti, causa Covid-19.

In tal senso, anche l’OMS è intervenuta, confermando che non c’è nessun rischio nell’aprire o maneggiare prodotti spediti dalla Cina.

LEGGI ANCHE: Come cambiano le regole del Business nella recessione guidata dal Covid-19

eCommerce

Come fronteggiare al meglio la crisi

Ecco alcune buone norme e consigli:

  • Scegliere una piattaforma intuitiva all’interno della quale sviluppare il proprio sito, tramite una chiave semplice e sicura.
    Rendere visibile, in primis, il numero di step necessari prima della convalida dell’ordine e limitare il numero dei campi da riempire, richiedendo solo i dati necessari.
  • Assicurare lo stock di prodotti.
    Generare un Business Plan che tenga conto delle nuove richieste e contattare i propri fornitori per un recap della situazione, aumentando, possibilmente, le scorte di prodotti per soddisfare la domanda.
  • Scegliere il partner a cui affidare la logistica.
    Tempi brevi e tempistiche sicure devono essere elementi prioritari, e nel caso in cui i tempi di consegna si prolungassero, risulta indispensabile avvisare i consumatori per evitare episodi di Chargeback (forma di tutela per i clienti truffati dai commerciati riguardo gli acquisti effettuati sul web o comunque tramite carte di credito).
  • Trasparenza sulle condizioni di vendita, specificando le modalità di consegna, restituzione e consegna.
    Valutare, quindi, dato il periodo, di prolungare i tempi di restituzione, e qualora non si fosse in grado di soddisfare alcuni ordini, procedere al rimborso.
  • Configurare una pagina di pagamento personalizzata e sicura.
    In fase di pagamento, il visitatore che è già stato convertito in una lead e che ha pensato di concludere positivamente il processo di acquisto (Bottom of Tunnel – BOFU), tende ad abbandonare il carrello e non concludere la transazione, se proprio in questa fase, viene reindirizzato su una pagina impersonale, rispetto al sito del negozio. Meglio, quindi, tentare di eliminare processi di registrazioni ed informazioni richieste troppo complicate.
  • Offrire diverse modalità di pagamento.
    Risulta positivo, il cercare di offrire più soluzioni di pagamento nei confronti degli utenti: bonifico bancario, portafoglio elettronico, carta di credito. Caratteri quali la notevole personalizzazione, compatibilità e semplicità di acquisto, sembrano essere ottimi ingredienti. Una delle ultime soluzioni più innovative, in tal senso, prende il nome di Payplug. Nata in Francia nel 2012, ha già ricevuto più di 12 milioni di euro di sovvenzioni e conta, oggi, oltre 10.000 clienti tra Francia ed Italia. Per tutti gli E-Merchants, permette di realizzare pagine a pagamento ottimizzate, ed usufruire, così, di un’esperienza unificata, attraverso un portale di gestione su cui seguire lo stato dei pagamenti.
  • Richiesta di pagamento per ordini al telefono o via mail.
    Si presentano nuove modalità, come la cosiddetta funzionalità “richiesta di pagamento” (RDP): si tratta di inviare in pochi click un link all’utente per reindirizzarlo ad una pagina di pagamento Payplug, in questo caso, 100% sicura, così da definire la transazione.

eCommerce

Sicurezza e buone norme per gli acquisti eCommerce

I criminali informatici stanno fiutando le numerose informazioni veicolate verso i siti web, poiché sempre più utenti rimangono online per tanto tempo, condividendo dati succulenti e preziosi e per hackers affamati dell’ultima ora.

A supporto di ciò, Tim Mackey, Stratega della Sicurezza presso il Synopsys CyRC (Cybersecurity Research Center), indica alcune misure da adottare per tutti coloro che utilizzano le carte per attività di E-Shopping:

  • non archiviare i dati della carta di credito su alcun sito.
    Se sopraggiungesse un eventuale hackeraggio del sistema, i propri dati potrebbero essere manomessi.
  • Limitare l’utilizzo di metodi di pagamento monouso di terze parti come Apple Pay , Google Wallet, PayPal.
    È preferibile che l’utente visualizzi che il prompt della pagina web presentato dal metodo di pagamento prescelto sia ben visibile così da evitare reindirizzamenti anomali.
  • Abilitare avvisi di acquisto su tutte le carte per monitorare costantemente le transazioni.
    Si riduce, così, il tempo in cui, eventuali hackers, potrebbero utilizzare una carta rubata (numerosi episodi a riguardo, si sono registrati a danno del colosso Tupperware).
  • Disabilitare tutti gli acquisti internazionali per tutte le carte di credito.
    Così da perseguire al meglio, da parte delle forze dell’ordine, eventuali malintenzionati.
  • Utilizzare soltanto la rete del provider di casa/cellulare per attività di eShopping.
    Le reti WI-FI aperte sono convenienti ma rischiano di configurarsi come il luogo migliore per eventuali compromissioni delle impostazioni DNS.
week in social

Week in Social: dalle Stories su LinkedIn agli organization tool di Pinterest

Anche questa settimana, sui social, proseguono gli aggiornamenti a supporto di business e persone duramente colpite dal coronavirus.

Accanto a questo trend, c’è una fetta di utenti che invece ha ripreso a cercare online contenuti su eventi, matrimoni e viaggi. Bentornato ottimismo? Queste, e altre novità, nella nostra Week in Social.

Instagram punta alle notizie sulla salute

“A partire da oggi, porteremo le storie legate a COVID-19 da organizzazioni sanitarie credibili che seguite più da vicino in cima alle vostre Stories. Questo fa parte del nostro lavoro continuo per mettere in contatto le persone con informazioni accurate, e la prossima settimana presenteremo una soluzione simile per Feed”.

È questa la dichiarazione pubblicata da Instagram, in cui informa gli utenti che nei prossimi giorni, sia nelle Stories che nel news feed, noterai un incremento di notizie legate alla salute, per facilitare la diffusione di informazioni sul covid-19. Se non sei interessato a questo topic, il tuo newsfeed non cambierà. Diversamente, noterai una maggiore esposizione di contenuti legati alla salute.

Intanto, sembra che Instagram stia lavorando a una nuova visualizzazione delle Stories, che potrebbero apparire così:

Facebook sostiene business e privacy

Dopo il lancio dell’apprezzatissima emoji abbraccio, Facebook questa settimana si concentra su questioni un po’ più tecniche. Come la rimozione di account fake o che hanno violato, in vari modi, le regole del social network.

Solo nel mese di aprile, fa sapere la piattaforma, sono stati eliminati 732 Facebook account, 162 Instagram account, 993 pagine Facebook e 200 gruppi. Puoi leggere qui le ragioni che stanno dietro a questa scelta.

Restando in tema Gruppi, Facebook sta aggiornando il sistema per impedire lo switch da gruppo pubblico a privato, e tutelare la privacy dei membri. Ci avrai fatto caso. Succede anche su Instagram. Account pubblici che diventano privati, e poi di nuovo pubblici. Ovviamente sono stratagemmi, non troppo furbi, per ottenere follower. E a Facebook non piacciono.


Continua il sostegno alle persone e alle aziende duramente colpite dalla pandemia in corso, con un aggiornamento dell’hubCommunity Help“, introducendo nuove risorse come banche del sangue o promozione di organizzazioni non profit, e il lancio di Community Connect event, per aiutare gli admin nella gestione dei gruppi.

Su LinkedIn arrivano le Stories

Solo in Brasile, per ora, sono arrivate le LinkedIn Stories. La piattaforma social aveva anticipato che le avrebbe lanciate, e dove. Al momento, non sono state rilasciate a tutti gli utenti, ma, a quel che sappiamo, sono molto simili alle Stories di Facebook e Instagram: si possono creare solo da mobile, durano 24 ore ma è possibile salvarle e mantenerle nel tempo, possono essere condivise in privato con un altro membro di

LinkedIn, è possibile scrivere a chi le condivide e i video in Stories hanno una durata massima di 20 secondi.

Il lancio delle LinkedIn Stories è stato accolto tra apprezzamenti e critiche, ma vista la diffusione di questo strumento, è facile condividere la scelta del social network.

Nuovi tool su Pinterest

Se non sei su Pinterest da un po’, quando accederai di nuovo alla piattaforma, potresti trovarla leggermente diversa da come la ricordavi. Questa settimana Pinterest lancia tre diversi tool. Parliamo di note e di un calendario da usare per organizzare i progetti a cui stai lavorando.

L’altra novità riguarda la possibilità di selezionare i tuoi pin e raggupparli in nuove board. Metti il caso che sul tuo canale Pinterest ci sia una board “work from home ideas”. Potresti voler selezionare, all’interno di questa board, tutti gli elementi con sedie e desk, raggrupparli in una nuova board, e chiamarla “desk chair”.

Inoltre, Pinterest ti darà suggerimenti più personalizzati sulla base dei pin che salvi. Ad esempio, se salvi un pin a tema birthday, Pinterest potrebbe suggerirti idee per inviti, decor, food & drink e attività.

Queste novità nascono dallo studio della user experience degli utenti. Come puoi immaginare, nelle lunghe settimane di quarantena, le ricerche degli utenti sono cambiate. Ma pare che negli ultimi giorni le persone abbiano iniziato a cercare di nuovo contenuti visual legati a viaggi, matrimoni, eventi, estate e altro.

In breve

Twitter sta testando un nuovo reply layout, nell’ottica di incrementare l’engagement in piattaforma, mentre YouTube vorrebbe dare ai news publishers la possibilità di vendere abbonamenti direttamente dal proprio canale YouTube.

L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

L’evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

  • GroupM ha realizzato un progetto per disegnare un framework che possa servire sia come strumento di analisi, che come strumento di pianificazione e di misurazione della comunicazione;
  • Il report racconta le reazioni degli ultimi due mesi degli italiani che navigano in rete, e giunge alla definizione di quattro macro-aree e di sette personas.

 

Il virus, la pandemia, il lockdown. Il tempo che stiamo vivendo ci ha insegnato che non è più possibile ragionare attraverso le categorie tradizionali, tanto nella politica quanto nell’economia e di conseguenza anche nel marketing e nella comunicazione.

L’emergenza da COVID-19 ha creato nuove differenze, definendo uno scenario che può essere affrontato solo a partire da un quadro generale, una visione che aiuti a semplificare la complessità delle reazioni umane senza banalizzarla.

Proprio in quest’ottica GroupM ha realizzato un progetto il cui obiettivo non è solo ottenere nuove informazioni, quanto mettere in prospettiva l’enorme mole di dati che vengono prodotti ogni giorno, per disegnare un framework che possa servire sia come strumento di analisi, che come strumento di pianificazione e di misurazione della comunicazione.

In concreto, questo report racconta le reazioni degli ultimi due mesi della popolazione italiana maggiorenne che naviga in rete, e giunge alla definizione di quattro macro-aree e di sette personas, che descrivono come stanno reagendo gli italiani alla crisi attuale.

LEGGI ANCHE: Le nuove abitudini di acquisto degli Italiani al tempo del Coronavirus

Personas al tempo del Coronavirus

Le Personas dopo al tempo del Coronavirus

I Protector – sono 11,8 milioni (rappresentano il 28,8% della popolazione online)
Il tema che li guida è garantire la sicurezza personale e dei propri familiari da un punto di vista sanitario. Non contagiarsi, non ammalarsi.

I Defender – sono 9,5milioni (rappresentano il 23% della popolazione online)
Sono preoccupati di dover difendersi dai pericoli (reali e immaginari, che spesso sono ancora più profondi) che stanno insorgendo e che possono insorgere dal punto di vista sociale ed economico. Oltre che sanitario.

Gli Escapist – sono 6,4 milioni, (rappresentano il 15,6% della popolazione online)
Tendono ad usare il tempo della crisi per trovare tempo per sé stessi ed approfondire i propri interessi e le proprie passioni.

I Calm Keeper – sono 4,9 milioni, (rappresentano il 11,9% della popolazione online)
Non lasciarsi travolgere dalle emozioni e ricostruire una nuova normalità, un equilibrio psicologico innanzitutto, è la loro priorità.

I Committed – sono 4,1 milioni, (rappresentano il 10,1% della popolazione online)
Sono quelli che non si sono mai fermati e si sono dati da fare per trovare soluzioni per sé (lavoro), per i figli (studio) e per la vita quotidiana.

I Communitarian – sono 2,1 milioni, (rappresentano il 5,2% della popolazione online)
Preoccuparsi, fare qualcosa di concreto per gli altri, non lasciare indietro nessuno: questi i loro obiettivi

I Surrender – sono 2,2 milioni, (rappresentano il 5,4% della popolazione online)
Sono i sommersi, coloro che sono andati sott’acqua, sono sprofondati in una zona oscura. Una precisazione su quest’ultimo segmento. Anche se le cifre sono destinate a cambiare di mese in mese, Istat dichiarava nel 2019 (dati 2018) che gli italiani in condizioni di povertà assoluta erano 14 milioni di cui 5 sotto soglia di povertà assoluta (dati ISTAT 2019). 2 milioni di Surrender sono solo la punta dell’iceberg, ovvero la parte di persone in difficoltà che può essere intercettata con uno strumento come questo, ovvero con una ricerca sulla popolazione online. Se teniamo ferma la cifra ISTAT all’appello mancano più di 10 milioni di persone, persone “digitalmente invisibili”.

Personas al tempo del Coronavirus

Le quattro aree in cui si muovono le nuove Personas

Le sette diverse Personas si posizionano all’interno di un contesto caratterizzato da due dimensioni: l’asse temporale che indica la prospettiva di uscita dalla fase più acuta della crisi. In particolare, risponde alla domanda se usciremo da questa fase prima o dopo l’estate. Una dimensione più di speranza che fa riferimento alla fiducia nella capacità delle istituzioni di governare la situazione.

Si delineano così quattro macro-aree, “abitate” con attitudini diverse dalle sette Personas, per raggiungere le quali le aziende devono adeguare la propria comunicazione scegliendo nuovi messaggi, tone of voice, mezzi e strumenti.

LEGGI ANCHE: L’eCommerce ai tempi del Coronavirus: numeri, trend, scenari e strategie

Personas al tempo del Coronavirus

1. L’avanguardia

È quella dove si trovano i Communitarian schierati – come in una frontiera – nel ruolo di messaggeri della fine della crisi.

Rappresentano la parte più attiva della GenX. Sono coloro che si sono dati da fare concretamente per aiutare persone in difficoltà: tra loro, ad esempio, c’è chi ha fatto la spesa e chi ha raccolto e distribuito computer e tablet ai ragazzi più poveri per seguire le lezioni scolastiche. Sono molto fiduciosi sulla possibilità di chiudere la fase più acuta della crisi in tempi brevi e danno un giudizio positivo su come si stanno comportando le istituzioni pubbliche.

Sono anche tra coloro che, per primi, potrebbero riprogrammare i piani futuri di un ritorno alla normalità. Quello che li spinge così avanti nella speranza è la convinzione che “ci si salva tutti assieme”, un sentimento molto importante per bilanciare coloro che, invece, sono rimasti intrappolati nella paura e nello scoraggiamento.

Rispetto agli altri segmenti hanno ridotto la fruizione della cronaca più allarmistica, poco vicina alla loro sensibilità e alla loro attitudine pratica. Sono il target ideale ed aspirazionale delle tante comunicazioni valoriali presenti oggi su tutti i media, messaggi legati alla visione collettiva e di lungo periodo.

2. Il Mainstream

Attivo, popolato in maniera più articolata, da Calm keeper, Committed e Escapist, che valgono in totale 15,4 milioni di persone. Ognuno di questi profili esprime un diverso progetto per affrontare la crisi, tre modi differenti di stare nella situazione senza subirla.

I Calm keeper fin dalle prime fasi della pandemia hanno cercato di non farsi travolgere dagli eventi per conservare o ritrovare il senso di una nuova quotidianità. Il loro mantra è: “preoccuparsi oltre il necessario rende la vita ancora più difficile”. Si tratta di Boomer anziani e Senior evoluti con istruzione elevata, che vivono soprattutto in provincia.

Condividono con i Communitarian la fiducia in una fine rapida della crisi ma sono più pessimisti sulla tenuta della società nelle fasi successive all’emergenza, perché grazie alla loro età e alla loro esperienza ne hanno viste tante e anche se, alla fine, se la sono cavata ricordano ancora le ferite e le cicatrici del passato. Facendo di necessità virtù, molti di loro hanno iniziato ad acquistare online, colmando il digital gap rispetto alla popolazione più giovane. Per non perdere la loro immunità psicologica e non essere sovrastati dall’infodemia anche loro, come i Communitarian, si sono schermati da un’esposizione eccessiva ai media, in particolare dalla cronaca che enfatizza troppo gli aspetti allarmistici e sensazionalistici. Proprio per questo è importante rivolgersi a loro usando una comunicazione e dei toni pacati e realistici.

Personas al tempo del Coronavirus

I Committed, giovani adulti (25-34 anni), prevalentemente uomini, metropolitani e di istruzione e livello socioculturale superiore. Il loro tema è essere proattivi e trovare soluzioni. Sono la parte più giovane e intraprendente della popolazione, pieni di energia e mentalmente aperti. Hanno reagito alla crisi attrezzandosi attraverso le tecnologie digitali per il lavoro o per lo studio dei figli e sono diventati il popolo dello smartworking e dell’e-learning evoluto. Sono l’immagine di un’Italia che ha saputo stare al passo con l’innovazione. Sono tra quelli che dall’inizio della crisi hanno ridotto di più i loro acquisti fisici, incrementando ancora di più lo shopping online. Hanno utilizzato i servizi di food delivery anche per fare la spesa e sono tra i maggiori sottoscrittori di servizi d’intrattenimento. Il loro mondo mediale è dominato dal video: TV tradizionale, streaming, siti. Per comunicare con loro è importante bilanciare valori d’immagine e soluzioni pratiche che aiutano a ripensare le nuove condizioni di vita, usando un tono di voce concreto e positivo.

Gli Escapist, che hanno approfittato della quarantena per dedicare ancora più tempo alle proprie passioni e interessi. Sono il gruppo più giovane. Si sono ritagliati una sorta ambiente-nido alternativo al mondo di fuori. Per questa ragione sono tra i meno preoccupati per la situazione e hanno maturato, al limite, una sorta d’indifferenza. Abituati a mangiare spesso fuori casa prima della crisi, molti di loro hanno dovuto abituarsi a cucinare tra le pareti domestiche incrementando gli acquisti di beni di prima necessità. Sono i massimi consumatori d’intrattenimento in tutte le sue forme: film in TV, YouTube, Netflix, Amazon Prime.

Sono il core target di social, Instagram in particolare, e sono anche il pubblico ideale degli influencer e degli Youtuber, del gaming, degli eventi digitali su piattaforma. Per comunicare con loro è fondamentale costruire relazioni leggere e ludiche, evitando messaggi drammatici e presidiando l’intrattenimento.

LEGGI ANCHE: 5 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation

Personas Coronavirus

3. Il Mainstream

Passivo, un’area in cui prevalgono le emozioni negative e le preoccupazioni. La crisi è vista soprattutto come qualcosa che si subisce. Qui troviamo i Protector e i Defender.

I Protector sono prevalentemente donne, di età centrale e anziana, più concentrate nei piccoli centri. Il loro tema principale è seguire tutte le precauzioni possibili dal punto di vista sanitario per proteggersi e tenere in sicurezza se stessi e i propri cari. Sono i più assidui nelle pratiche igieniche, evitano ogni mezzo di trasporto pubblico e il contatto con gli oggetti nei luoghi comuni. Sanificano la spesa dopo essere rientrati dal supermercato e disinfettano spesso le superfici di casa. Il livello di paura e di preoccupazione verso il contagio è tra i più elevati. L’ansia e la paura li rende molto critici verso le istituzioni e vedono l’uscita dalla crisi molto in là nel tempo. Hanno incrementato gli acquisti di prodotti per la cura e la salute sia on che offline e di alimentari nei negozi fisici. Sono il pubblico dei media generalisti e sono uno dei target elettivi dell’infodemia. Proprio per questo, hanno un’alta esposizione mediale e hanno grande bisogno di soluzioni pratiche e rassicuranti sulla soluzione dei problemi quotidiani.

I Defender, profilo adulto con una presenza massiccia di anziani e una maggiore concentrazione nel Nord e nei centri più grandi. La loro preoccupazione fondamentale è difendere sé stessi e i propri casi da ogni rischio e pericolo economico e sociale, oltre che sanitario. Non sono tra le persone più in difficoltà, ma hanno una gran paura di trovarcisi: il loro livello di paura è il più elevato e la fine della crisi è proiettata molto in là nel tempo. Hanno costruito delle trincee che presidiano e nelle quali si sono attrezzati per resistere a lungo, facendo ad esempio scorte significative di beni di prima necessità, soprattutto nei negozi fisici. Sono il pubblico ideale dell’infodemia e da quando è iniziata la crisi hanno incrementato in modo significativo il consumo di tv, in particolare di news e di Facebook.

Come per i Protector, sono un pubblico sovraesposto ai media che cerca praticità, concretezza e rassicurazioni sulla soluzione dei problemi e sulle procedure di sicurezza e trasparenza.

L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

4. La Zona buia

È l’area della paura, dello sconforto e dell’impotenza, popolata da coloro che non hanno né mezzi, né risorse per andare avanti.

Qui si trovano i Surrender. Questa ricerca ne conta solo 2 milioni di persone perché il campione è stato reclutato con interviste online. Ma di fatto sono solo la punta dell’iceberg degli oltre 10 milioni di italiani in condizioni di povertà.

Quella parte dei Surrender che è stato possibile intervistare è rappresentata prevalentemente da adulti, in maggioranza donne, di età trasversale, disoccupati o separati o divorziati delle medie città e dei piccoli centri. Una minima parte dei precari che, già fragili e in difficoltà prima della crisi, sono stati letteralmente travolti. Non hanno nessuna fiducia nel futuro e sono decisamente ostili alle istituzioni. Impauriti e sfiduciati, tendono a isolarsi e a sopravvivere. Sono quelli che hanno attinto alle loro già scarse riserve per fare scorte di beni di prima necessità. E, rispetto alla media, hanno ridotto anche il consumo di tutti i media (TV, digital, notizie, intrattenimento) entrando in una sorta di isolamento. Per questo è fondamentale cercare di rassicurarli e di raggiungerli con offerte, agevolazioni, promozioni. Se possibile in collaborazione con le istituzioni e le iniziative dei leader di mercato.

LEGGI ANCHE: Coronavirus: la prototipazione digitale scende in campo per gli ospedali in emergenza

L'evoluzione delle Personas al tempo del Coronavirus

Verso la Fase 2

Allo stato attuale i segmenti che potrebbero crescere di più nel breve periodo sono quello dei Protector e dei Calm Keeper. I primi sono predittivi dell’intenzione di mantenere le abitudini prese durante la fase di emergenza; i secondi esprimono la necessità di recuperare una qualche forma di equilibrio dopo la fase iniziale.

Tutto questo in uno scenario nel quale l’orizzonte temporale di uscita dalla fase acuta della crisi si sposta oltre l’estate e la fiducia nella tenuta del clima sociale è in calo.

“Nonostante il momento che stiamo vivendo, la maggior parte della popolazione continua a chiedere di non fermare la comunicazione commerciale – commenta Federica Setti, Chief Research Officer di GroupM Italia. Questo dipende dalle funzioni fondamentali della comunicazione: identificazione e orientamento, delle quali le persone oggi hanno più che mai bisogno. Una lettura integrata di tutti questi elementi ci consentirà di definire l’evoluzione dei prossimi mesi. E la prima cosa che capiremo riguarda la profondità e l’impatto delle abitudini prese durante la quarantena. Per comprendere se queste abitudini sono destinate a volatilizzarsi, persistere (ma solo per il periodo della crisi), diventare definitive o per capire quali nuovi e inaspettate reazioni potrebbero sorgere”.