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Bezos Earth Fund

Bezos Earth Fund: quali problemi vuole affrontare il CEO di Amazon investendo sull’ambiente

  • Bezos vuole investire in soluzioni innovative per proteggere il pianeta dai cambiamenti climatici
  • Il Bezos Earth Fund riceverà i primi finanziamenti a breve. La cifra totale stimata per ridurre le emissioni è pari a 50 trilioni di dollari
  • Resta da capire se gli sforzi congiunti, avviati dal CEO di Amazon, possano funzionare

 

Ha deciso di schierarsi apertamente nel contrasto all’emergenza climatica. Complice, forse, l’allarme globale per il Covid-19, Jeff Bezos ha compreso l’importanza di un pianeta in buona salute e dell’ecosostenibilità. Così, attraverso un post su Instagram, il CEO di Amazon ha annunciato che investirà 10 miliardi di dollari nel Bezos Earth Fund per “finanziare scienziati, attivisti, ONG” e altri esperti in un’operazione coordinata.

Lo scopo è contrastare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente. Questa, forse, è la prima volta che Jeff Bezos pone l’accento così decisamente sulla sua filantropia. Preoccupato per le epidemie, per il mondo stesso in cui viviamo e che stiamo “calpestando” nel modo più sbagliato, provocando conseguenze indirette sull’umanità? Forse, piuttosto, sta cercando di dare un contributo per arginare i fattori che mettono a rischio tanto l’economia, quanto il nostro pianeta e i vari ecosistemi.

Bezos Earth Fund

U.S. Department of Homeland Security (DHS) – Naturalization Ceremony

L’idea per contrastare il cambiamento climatico

“Il cambiamento climatico è la più grande minaccia per il nostro pianeta, ha dichiarato Bezos nel post pubblicato su Instagram. “Voglio lavorare con gli altri sia per ampliare gli strumenti noti, sia per esplorare nuove modalità per contrastare il devastante impatto del cambiamento climatico sul nostro Pianeta che noi tutti condividiamo”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Today, I’m thrilled to announce I am launching the Bezos Earth Fund.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ Climate change is the biggest threat to our planet. I want to work alongside others both to amplify known ways and to explore new ways of fighting the devastating impact of climate change on this planet we all share. This global initiative will fund scientists, activists, NGOs — any effort that offers a real possibility to help preserve and protect the natural world. We can save Earth. It’s going to take collective action from big companies, small companies, nation states, global organizations, and individuals. ⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ I’m committing $10 billion to start and will begin issuing grants this summer. Earth is the one thing we all have in common — let’s protect it, together.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ – Jeff

Un post condiviso da Jeff Bezos (@jeffbezos) in data:

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Il suo capitale basterà a salvare il pianeta?

In passato, a Bezos era stato contestato un minore interessamento alle organizzazioni umanitarie o senza scopo di lucro, al contrario di altri investitori. Ironia della sorte, l’annuncio arriva in un momento di difficoltà a livello globale, che non ha tardato a risvegliare l’attenzione degli uomini più ricchi del pianeta.

Il Bezos Earth Fund dovrebbe ricevere le prime sovvenzioni durante l’estate. Inizialmente, il CEO investirà 10 miliardi di dollari, dal 7 all’8% delle sue finanze. Ma la vera domanda è: i suoi soldi possono davvero salvare il mondo dall’inquinamento?

earth day bezos

Salvare la Terra, esplorare lo spazio

Con un patrimonio netto di circa 104 miliardi di dollari, erogare una parte dei suoi proventi a scopo benefico non sarebbe un problema, viste le spese effettuate negli ultimi anni. Nell’immediato, il miliardario potrà dare un contributo significativo agli sforzi di mitigazione, adattamento e costruzione di economie resilienti. L’Earth Fund darà l’avvio alle proprie attività in 5 step.

1. Riduzione delle emissioni di carbonio

Nonostante il ritiro formale degli USA dall’accordo di Parigi, il fondo può essere utile agli sforzi per superare le sfide politiche nel favorire il passaggio verso basse emissioni di carbonio, perché gli Stati Uniti producono buona parte delle emissioni inquinanti a livello globale.

Così, Bezos avrà l’opportunità di creare un influente fondo politico per contrastare l’industria dei combustibili fossili. Rimodellare le politiche economiche per scoraggiare le emissioni di carbonio sarà cruciale per il futuro. Ma la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio dovrebbe anche garantire di essere giusta ed equa. Pertanto, una parte considerevole del fondo dovrebbe essere destinata ad aiutare le regioni in via di sviluppo a compiere questa transizione. Un’accelerazione di comune accordo sulle politiche green per la diffusione di tecnologie più pulite avrà un impatto maggiore.

2. Innovazione e tecnologia

Il fondo dovrebbe ridurre significativamente i costi e rendere disponibili le tecnologie energetiche pulite già esistenti. Dirigere gli investimenti per ricerche verso soluzioni innovative e tecnologiche, generalmente molto costose, aiuterebbe a sviluppare soluzioni o a conoscere i rischi connessi al dispiegamento di queste nuove tecnologie.

3. Nuovi modelli di business

Amazon ha affrontato un grave contraccolpo per il suo impatto sulle emissioni di carbonio e l’inquinamento causato da spedizioni, imballaggi e data center. Anche se impegnata a potenziare le sue strutture globali con energia rinnovabile al 100% entro il 2030, e a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio entro il 2040, un’azienda di queste dimensioni potrebbe fare molto altro.

L’uso di una parte del fondo per avviare una filiera green globale potrebbe contribuire alla definizione di un modello replicabile da altre aziende.

4. Mobilitare il sostegno comune

Il fondo dovrebbe investire in ricerca, analisi e risorse nei paesi che hanno ridotto gli impegni a favore del clima, e che possono aiutare a superare le sfide per raggiungere emissioni nette pari a zero.

Segnalare gli impatti locali dei cambiamenti climatici e aiutare i media a contrastare la disinformazione aiuterebbe a costruire un supporto universale per l’azione a favore il clima.

5. Infrastruttura “resiliente”

A fronte di eventi meteorologici estremi indotti dall’inquinamento, sempre più dannoso, ha senso investire una quantità considerevole nella costruzione o nell’adeguamento di infrastrutture di vario tipo. Il vantaggio della resilienza climatica è ideale per le aziende come Amazon che, ad esempio, contribuiranno a potenziare le reti logistiche per le consegne dei pacchi.

Altre spese incredibili

Come molti imprenditori miliardari, il CEO di Amazon investe costantemente in centinaia di aziende e startup, ed è stato tra i primi azionisti di Google. Nel 1998 ha investito 250mila dollari sul motore di ricerca, e oggi ne ricava milioni.

Gran parte del suo patrimonio è stato già reinvestito in Blue Origin, la società di voli spaziali per cui sono previste missioni con equipaggio. Nel 2012 ha finanziato le operazioni di recupero dei motori del razzo che nel 1969 portò l’uomo sulla Luna, inabissati nell’Oceano Atlantico.

Bezos

E per quanto riguarda la distribuzione dei fondi del Bezos Earth Fund, un’altra ipotesi su come potrebbero essere impiegati arriva da nbcnews: Bezos afferma che questa estate il denaro inizierà ad essere erogato sotto forma di sovvenzioni a scienziati, attivisti e gruppi no profit per qualsiasi sforzo che offra una reale possibilità di aiutare a preservare e proteggere il mondo naturale. È quasi una controtendenza per il miliardario, che una volta dichiarò: ‘l’unico modo in cui posso concepire la distribuzione di questa grande risorsa finanziaria è convertire i successi riportati da Amazon in viaggi nello spazio'”.

LEGGI ANCHE: Climate Change e business: stiamo davvero cambiando le strategie a favore del pianeta?

Sforzi comuni

Non mancano anche gli imprenditori italiani che fanno sentire la propria partecipazione per gli sforzi attuati a beneficio dell’ecosistema. Brunello Cucinelli, imprenditore umbro, ha risposto a Bezos con una corrispondenza di amicizia e stima, essendo unito all’iniziativa dall’amore per la Terra e dalla volontà di fare sforzi concreti per salvarla.

AncheBill Gates, il secondo uomo più ricco al mondo, ha destinato gran parte del suo patrimonio alle iniziative di beneficenza ma, probabilmente, Bezos oggi è “primo” perché non l’aveva ancora fatto allo stesso modo.

Eppure, l’iniziativa del CEO di Amazon, per quanto largamente provvisto di capitali, non basterà da solo a contenere l’emergenza climatica. Come già avvenuto in precedenza, è con l’unione di forze e risorse condivise che si può sperare di rimediare ai danni, altrettanto pandemici, di cui l’ecosistema ci sta restituendo il conto.

abitudini di acquisto covid 19

Le nuove abitudini di acquisto degli Italiani al tempo del Coronavirus

  • Il Coronavirus ha mutato le nostre abitudini di acquisto e di intrattenimento, spostando l’asse verso il canale di accesso più semplice, internet
  • Sia nel suo aspetto ludico che informativo, quello dei contenuti multimediali è un trend oggi ancora più in crescita

 

Chiamarle “abitudini di acquisto” suona di sconfitta, tuttavia la parola corretta è proprio questa. La quarantena – spesso, ahinoi – è per alcuni una forma di vero e proprio auto-isolamento che ha mutato anche le convenzioni di approvvigionamento e di intrattenimento, spostando l’asse (già ben rodato e utilizzato) attraverso il canale di accesso più semplice e immateriale: internet e i suoi molteplici touchpoint.

Secondo l’Agenda Digitale gli operatori della filiera del commercio elettronico hanno registrato una crescita imprevista della domanda a seguito dei diversi decreti sul Coronavirus, anche da parte di consumatori non abituali, solitamente restii all’acquisto e ai pagamenti online, aumentando così il livello di difficoltà e organizzazione dell’intero sistema di logistica e consegne.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa sta cambiando.

Una ricerca di GFK fa registrare una preoccupazione crescente, soprattutto da parte delle donne. A fronte di una ovvia e necessaria riduzione della mobilità, il consumo di contenuti è cresciuto a dismisura.

La ricerca mostra inoltre che cresce l’attenzione per la cura personale e l’alimentazione intesa come strumento di benessere. Resiste la voglia di vacanze, nonostante le preoccupazioni del Coronavirus; gli italiani, infatti, continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà.

LEGGI ANCHE: Come cambiano le abitudini di acquisto dei consumatori durante l’emergenza Covid-19

Coronavirus e nuove abitudini di acquisto

Veniamo adesso ai dati dei dei singoli punti sopra citati, allo scopo di tirare le somme alla fine di questo approfondimento e capire come i brand dovranno agire per posizionarsi strategicamente rispetto alle nuove abitudini di acquisto.

Le donne sono più preoccupate degli uomini: se in generale gli italiani sembrano ancora preoccuparsi soprattutto per la situazione economica e per la futura difficoltà – del tutto verosimile – di uscire da questa fase difficile, il 47% delle donne intervistate dichiara di essere molto preoccupata per il diffondersi di nuove malattie (il 17% in più rispetto agli uomini).

Le donne sembrano essersi rese conto per prime della gravità della situazione, tanto da aver modificato le proprie abitudini di consumo prima dell’entrata in vigore delle misure restrittive alla circolazione, riducendo o in molti casi smettendo di frequentare centri commerciali e negozi.

abitudini acquisto coronavirus

Mobilità privata

Cresce la percentuale di persone che a causa delle restrizione utilizza la propria auto privata a discapito dei mezzi di trasporto pubblico. La ricerca fa notare come tale cambiamento rischi di ripercuotersi sui futuri comportamenti e abitudini di acquisto degli italiani; infatti i mezzi di trasporto privati potrebbero essere difficili da abbandonare anche al termine dell’emergenza COVID-19.

Ciò che di conseguenza rischia di cambiare è la sensibilità degli italiani in materia di sostenibilità ambientale. Un tema che si è – fortunatamente – fatto strada negli ultimi anni, ma che a causa dell’emergenza rischia di fare diversi passi indietro.

Voglia di contenuti multimediali

Chi non ha assistito ad almeno una diretta o non ha guardato un video del proprio beniamino di turno, scagli la prima pietra. Questa frase sarebbe in grado di riassumere da sola ciò che sta succedendo sui principali social network: da Tit Tok a Instagram, i nostri profili social sono inondati di contenuti più o meno validi da masticare e deglutire tra una siesta e la preparazione di una torta. Oltre all’aspetto ludico dei contenuti multimediali va aggiunto quello dell’informazione, legato chiaramente alle notizie relative al Coronavirus, come questa che state leggendo.

Altro dato scontato è quello relativo alla crescita di iscrizione a questo o quel servizio di streaming a pagamento: Netflix, Prime Video, Disney Plus, su tutti.

abitudini di consumo coronavirus

Salute e benessere

Cresce la paura e cresce in maniera quasi proporzionale la necessità di una vita all’insegna della salute e del benessere, anche in cucina: in questo periodo gli italiani stanno di più in casa e dedicano più tempo del solito all’igiene personale e alla pulizia/sanificazione della casa e dei vestiti.

Cresce anche l’attenzione all’alimentazione, intesa come strumento per stare bene, in salute – e non tanto come una concessione o una compensazione.

Vacanze

Il passaggio della pasquetta senza la tipica gita fuori porta con annesso pic-nic, ha aggiunto ulteriore valore a questo punto e incrementato la voglia di vacanze, la quale resiste alle preoccupazioni del Coronavirus. Gli italiani continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà. Una prospettiva importante, anche dal punto di vista psicologico. Il dato andrà monitorato nelle prossime settimane, ma sembra indicare che – qualora la situazione dovesse migliorare – gli italiani sono pronti a rimettersi in movimento.

Questi i punti più centrali della ricerca fatta da GFK sulle abitudini di acquisto, ma quali sono le principali categorie merceologiche che sono uscite quasi incolumi dal tornado COVID-19? Intendiamoci, molte lo sono state per forza di cose. La risposta è pressoché scontata: chi possiede un touchpoint di vendita online (leggi eCommerce).

LEGGI ANCHE: Digital Divide e competenze digitali in Italia: a che punto siamo

Le principali categorie merceologiche in crescita

Il settore Food è senza dubbio quello che ha più ha beneficiato in questo momento di difficoltà. Infatti si registra un vero e proprio boom di vendite online. Il trend è iniziato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni più colpite dal virus.

Con l’arrivo del decreto del 10 marzo – quello sul quale si indicava che tutta l’Italia sarebbe stata obbligata a restare a casa – l’impennata dell’eCommerce di beni di prima necessità ha raggiunto tutto il paese, partendo dai generi alimentari, passando per i farmaci e terminando con i prodotti per la cura della persona.

dirigente preoccupato lavoro remoto

La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti

  • Il lavoro da remoto in quarantena è una sfida per i tanti dirigenti che non erano preparati o interessati allo smart working (56%)
  • In un contesto in cui questa modalità di lavoro sembra essere qui per restare, è essenziale un cambio di paradigma, anche in ottica post-Coronavirus

 

Chi ha ruoli manageriali in azienda di questo periodo non ha certamente vita facile.

Stiamo vivendo uno dei momenti di massima incertezza che probabilmente non ha paragoni in questo secolo, con aziende fino a prima della crisi del Coronavirus in perfetta salute che ora annaspano in cerca di aria. E lo smart working “obbligato” che tutto il Paese sta affrontando, senza la giusta preparazione e pianificazione, non aiuta.

È una grande sfida per tutti, ma soprattutto per chi riveste ruoli dirigenziali. Si parla molto delle difficoltà per i dipendenti, per chi d’improvviso si ritrova a lavorare da casa e a fare i conti con i lati negativi di questa modalità (dato che quelli positivi, a causa della quarantena, è difficile percepirli). E così il web si è riempito di consigli su come sedersi in maniera corretta, come ottimizzare il tempo, come coltivare i rapporti con i colleghi anche a distanza.

Ma per i capi azienda? Soprattutto per quelli che lo smart working non è che fossero proprio in procinto di introdurlo, prima che diventasse l’unico modo per lavorare?

LEGGI ANCHE: Non chiamatelo smart working: come affrontare il lavoro in quarantena

Chi ha detto “smart” working?

In fondo le statistiche parlano chiaro: nel tessuto aziendale fatto di PMI del nostro Paese, prima di questa crisi, erano ancora pochi i responsabili aziendali interessati ad applicare lo smart working.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico, nel 2019 in questa categoria erano ben il 51% le aziende non interessate (con un 4% in più addirittura ignaro del fenomeno). Il motivo? Nel 23% dei casi, mancanza d’interesse e resistenza da parte dei capi.

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Sarà interessante vedere, nella prossima edizione di questo report, come saranno cambiati i dati in seguito all’introduzione del Decreto Cura Italia e a tutte le sue conseguenze.

Ma per ora i dati parlano chiaro: questa situazione è “capitata” in maniera passiva, ricadendo nella maggior parte dei casi su aziende in cui lo smart working non era minimamente nei piani; anzi era spesso considerato come qualcosa di negativo, un grosso rischio di perdita di produttività, da evitare quanto più possibile.

Come confermava Methodos, società di consulenza specializzata proprio in questo campo, nell’intervista a Ninja Marketing raccolta in questo articolo, l’introduzione dello smart working richiede tempo e sforzi deliberati, ascolto e analisi, ma soprattuto volontà di farlo con successo.

Tutti elementi che sono mancati in questo frangente, e che pare ovvio ora portino molti dipendenti che lavorano da casa a lamentare, più ancora dei mal di schiena e degli altri “disturbi” da quarantena, la mancanza di comprensione e supporto da parte dei capi.

manager lavoro remoto

Che tipo di manager vuoi essere?

Il fatto è che, volontà o meno, interesse o meno, adesso l’opinione personale sullo smart working non conta più.

Non si tratta di poche settimane, visto che la durata del lockdown è stata già raddoppiata. Né di pochi mesi, presumibilmente, visto che è già stato chiaramente spiegato che la chiave per il successo della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus si baserà anche sullo smart working.

Adesso non si tratta di fare buon viso a cattivo gioco, ma di imparare a sfruttare questa situazione per migliorare la propria azienda e per migliorarsi come manager. Tutto dipende dalla risposta a una domanda: “che tipo di dirigente vuoi essere?“.

Credo che nessuno che si trovi in posizione di responsabilità pensi a se stesso come a un carceriere, eppure è quello che più spesso finisce per risultare come opinione tra i dipendenti, specialmente per quei dirigenti che basano sul “controllo” la propria idea di successo.

Come ha spiegato Maria Vittoria Mazzarini: La chiave del successo per lo smart working è la fiducia: avere un rapporto di fiducia con i responsabili, con i team, con i dipendenti, etc. È quella la leva che fa funzionare tutto, ed è una moneta che qualcuno deve giocare per primo”. 

Il dipendente, lavorando da casa, si deve impegnare a portare a termine i compiti che gli sono assegnati e a renderne conto ai propri dirigenti. Ma dall’altra parte? Qual è l’impegno del capo nei confronti delle risorse che dirige?

Deve essere una presa di posizione basata in primis sulla volontà, su un cambio di paradigma: chi lavora non lo fa perché controllato dall’alto come in una prigione, ma perché si sente valorizzato e motivato a farlo. È chiaro che l’approccio deve essere completamente diverso, con responsabili che credono nella buona fede dei dipendenti e dei colleghi e non il contrario.

Ma non si tratta solo di “fiducia incondizionata”: ci sono metodi e strumenti che si possono, anzi, si dovrebbero utilizzare per tenere traccia del lavoro svolto e della produttività personale, anche a distanza. Non sono strumenti “coercitivi” o di controllo remoto, come quello di registrare lo schermo del computer a distanza, ma tool e approcci di project management che sono stati definiti e implementati appositamente per questo.

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lavoro remoto coronavirus

Gli strumenti della fiducia nel lavoro da remoto

Una gestione dei compiti e delle attività ben definita, basata sulla verifica del raggiungimento degli obiettivi e non sul numero di ore di lavoro (che tra l’altro finiscono spesso per essere di più, quando si lavora in smart working e gli orari d’ufficio sfumano).

Utilizzare strumenti come Trello o Asana per tenere traccia delle attività poteva sembrare un simpatico escamotage all’inizio della quarantena, ma in un’ottica di mantenimento di lungo termine di questa modalità di lavoro e della produttività necessaria, diventa indispensabile.

Ed è il capo il primo a doversi fare paladino di questa modalità di lavoro, perché essa possa aver successo. Incoraggiare l’uso di questi strumenti, provandoli e mettendoli in pratica, perché è appunto lui/lei che ha la vision necessaria per sceglierli.

Allo stesso tempo, il rischio dello smart working, soprattutto se il management non lo sposa completamente, è quello di creare un senso di distanza sociale incolmabile, che finisce per rendere meno efficaci le comunicazioni e forzate le interazioni.

Compito dei dirigenti invece, anche qui, è riuscire a ricreare le dinamiche sociali dell’ufficio al di fuori di esso, grazie agli strumenti di comunicazione remota quali le videochiamate. Dinamiche che faccia a faccia possono essere spontanee, come le chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè da cui spesso nascono le migliori idee, ora dovrebbero essere introdotte volontariamente.

Non solo riunioni “produttive”, quindi. Pranzi o pause caffè social davanti alla webcam, canali di interazione libera su Slack dove si incoraggi la condivisione della vita quotidiana, comunicazioni leggere e “off-topic” sono linfa vitale per il senso di appartenenza e di partecipazione in azienda, quando queste diventano interamente dipendenti da un computer.

Esistono (quasi) più strumenti che necessità quando si parla di smart working, e se la parte difficile è trovare quelli che più si addicono alla singola realtà aziendale, la buona notizia è che sicuramente esistono. E probabilmente in questo periodo, grazie alla piattaforma Solidarietà Digitale, possono anche essere gratuiti o comunque fortemente scontati.

strumenti lavoro remoto

La vera sfida dello smart working è il post-Coronavirus

Quel che è certo è che le aziende dovranno ragionare su come rendere lo smart working uno strumento davvero efficace, e non ‘di riserva’, per non trovarsi impreparati di fronte a probabili altri periodi di isolamento, che secondo gli esperti seguiranno anche in futuro.

Per farlo, è necessario creare un’organizzazione e una cultura aziendale che non “capita”, ma che anzi si deve implementare volontariamente e consapevolmente con cambiamenti e sforzi specifici.

“La sfida futura per le aziendesecondo Simone Colombo, HR fractional ed esperto di direzione del personale in outsourcing – sarà quella di riuscire ad avere un sistema di gestione che definisca gli obiettivi per ogni area di lavoro e riesca a misurarli, ora che nella misurazione manca la variabile tempo e spazio e soprattutto non è possibile indire riunioni o verifiche quando si vuole, lasciando il lavoratore libero (ma al contempo solo) di autodeterminare la propria attività”.

È una sfida per i dipendenti, che dovranno imparare ad essere molto più autonomi e focalizzati, ricreando a casa le condizioni lavorative che li rendono efficaci in ufficio, con orari, abitudini e attività specifiche.

Ma è una sfida soprattutto per i manager e i responsabili, che si trovano praticamente costretti a rivedere il proprio stile di leadership. Continuare a fare muro contribuirà solo alla creazione di una cultura del lavoro sbagliata e controproducente, che nel lungo termine farà più danno che altro a qualsiasi organizzazione.

La chiave di volta, in questa situazione, è una sola: abbracciare il cambiamento invece di opporvisi, e trasformare questo periodo di crisi in una grande opportunità, una vera e propria scuola di management e leadership.

lovie awards

Lovie Awards: la selezione per la decima edizione si chiude il 24 aprile

L’Accademia Internazionale delle Arti e delle Scienze Digitali (IADAS) – l’organismo che presenta i Webby Awards internazionali e il suo programma gemello The Lovie Awards – ha annunciato  l’apertura ufficiale del 10° Bando annuale dei Lovie Awards. I creatori di tutta Europa possono presentare i loro lavori su siti web, pubblicità, video, app, mobile e voce, podcast e social su lovieawards.eu fino al 24 aprile.

Lovie Awards è l’unica organizzazione di premi paneuropea ad onorare l’eccellenza dell’Internet europeo. I finalisti saranno annunciati a settembre 2020 e i vincitori a ottobre 2020, seguiti da una celebrazione a novembre 2020 a Londra.

Tra i partner e sponsor dell’evento Google, WP Engine, Social Media Week, The Dots, CreativePool, Dutch Digital Design e Ninja Marketing.

LEGGI ANCHE: Lovie Awards 2019: i 5 finalisti italiani e quello che c’è da sapere (in progress)

Cosa significa partecipare ai Lovie Awards

I partecipanti ai Lovie Awards non competono solo per vincere un Lovie Award e il People’s Lovie Award (preferito dai fan), ma anche per consegnare il loro discorso e seguire le orme dei vincitori dello scorso anno.

Il 10° Bando annuale introduce una serie di nuove categorie che mirano a riconoscere il lavoro in tutto lo spettro digitale, includendo:

  • Una nuovissima suite per i Podcast con categorie ampliate come Documentario, Business, Intervista/Talk Show, Arte e Spettacolo e altro ancora.
  • Nuove categorie in Pubblicità, come Campagna per il Miglior Uso dei Media
  • Categorie dedicate alla diversità e all’inclusione tra i vari tipi di media

L’elenco completo è disponibile su lovieawards.eu.

Tutti i lavori sono giudicati da più di 500 membri dell’Accademia che rappresentano le migliori e più brillanti menti d’Europa per il digitale, tra cui il musicista Imogen Heap, l’attore e scrittore Stephen Fry, il “Padre del Wi-Fi” Vic Hayes, Anna Rafferty (VP, The LEGO Group) e tanti altri.

Il termine ultimo per l’iscrizione anticipata è il 24 aprile 2020.

ristoranti su google coronavirus

Come i ristoranti possono assistere meglio i clienti nei momenti di incertezza

Questo articolo è stato scritto da Ryan OlohanManaging Director, Food, Beverage & Restaurants at Google

 

I ristoranti sono il cuore di molte comunità. Sono il luogo in cui le coppie si godono un appuntamento, le famiglie festeggiano i compleanni, i team di lavoro si riuniscono per il pranzo dopo un successo. E mentre il mondo è alle prese con il COVID-19, sia le catene che i ristoranti indipendenti si stanno rapidamente attrezzando per trovare nuovi modi di servire le loro comunità.

Ryan Olohan, Managing Director, Food, Beverage & Restaurants di Google, racconta la sua esperienza come ristoratore che sta vivendo personalmente questa crisi: “Mia moglie ed io abbiamo aperto Seven Scoops & Sips nel 2019, e doniamo una parte dei nostri guadagni a cause meritevoli. Prima di COVID-19, il negozio era pieno ogni sera perché la gente sapeva che l’acquisto di un gelato, o di un caffè aiutava a finanziare le scuole locali e i programmi sportivi, le vittime del cancro, i giovani senzatetto, i bambini bisognosi di Harlem, i villaggi del Kenya e altre cause locali e globali. La crisi è particolarmente dura perché ora tutti i finanziamenti sono stati messi in attesa fino a quando gli affari non potranno riprendere”, ha spiegato in un post su Think with Google.

La pandemia presenta sfide uniche per l’intera industry. E mentre la strada da percorrere dipende da molte variabili, ecco alcune strategie che i ristoranti stanno adottando per supportare i loro clienti in questo momento senza precedenti.

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Aiutare i clienti a pianificare

Quando l’incertezza è al primo posto, la gente cerca informazioni di cui può fidarsi. Questo è ancora più evidente quando si tratta di opzioni alimentari accessibili e disponibili nelle vicinanze. L’interesse per la ricerca “Take away” è aumentato del 285% dall’inizio di marzo. Essere lì per aiutare le persone a vivere in questa nuova normalità con informazioni aggiornate e pertinenti può fare la differenza.

Comunicare in modo proattivo i cambiamenti che riguardano il proprio ristorante attraverso i canali a contatto con i clienti è fondamentale per aiutare le persone a pianificare e a prepararsi. Aggiornare il profilo aziendale su Google è un modo per farlo. Gli aggiornamenti sul profilo e sulla posizione, come le modifiche degli orari del ristorante, comprese le chiusure temporanee o gli orari modificati, appariranno anche su Google Search e Google Maps. E, in un momento in cui le persone stanno valutando ciò che meglio si adatta alle loro esigenze, fornire informazioni puntuali (ad esempio se si sta offrendo servizio da asporto o la consegna a domicilio) è un modo per aiutare gli utenti a decidere cosa è giusto per loro.

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Comunicare efficacemente le soluzioni di asporto e consegna a domicilio

Negli ultimi cinque anni, le attività che troviamo nella ricerca“ristoranti vicino a me” sono stati costantemente classificati come la ricerca “vicino a me” più popolare. Ma il comportamento dei consumatori è cambiato. L’attenzione si è spostata su soluzioni alternative per i pasti. Nelle ultime tre settimane è stato registrato un aumento dell’interesse dei consumatori per la “consegna” come risultato delle campagne di distanziamento sociale; l’interesse della ricerca per le domande relative alla “consegna del cibo” è aumentato del 100%.

ristoranti su google coronavirus

Fonte: Google Trends, Stati Uniti, 1 marzo 2020-24 marzo 2020

Informare le persone sulle alternative a loro disposizione per i pasti aiuta i clienti e i dipendenti a rimanere al sicuro durante i periodi di lockdown. E soluzioni come le campagne locali possono aiutare a personalizzare la comunicazione del ristorante in modo da includere solo le località in cui si offrono le opzioni di consegna a domicilio.

Rassicurare sulla sicurezza dei ristoranti e sulle misure igienico-sanitarie

Oggi più che mai, quando si sceglie dove e cosa mangiare, la sicurezza è fondamentale. Infatti, l’interesse per la ricerca di “è sicura la consegna degli alimenti” è aumentato del 650% negli Stati Uniti dall’inizio di marzo. Rassicurare i clienti che capiscono le preoccupazioni per la sicurezza e che stanno prendendo misure importanti per affrontare la situazione attuale è fondamentale.

ristoranti covid-19Queste azioni includono la condivisione degli aggiornamenti sulle nuove implementazioni, come ad esempio l’istituzione di un team dedicato per concentrarsi sulla sicurezza alimentare. Altri esempi possono includere l’applicazione di procedure di pulizia più rigorose, l’aumento della frequenza del lavaggio delle mani tra il personale e l’aggiornamento dei materiali di formazione per i dipendenti.

Inoltre, comunicare la propria politica di congedo per malattia dei dipendenti o affrontare il problema delle assenze per malattia è un altro modo per mostrare come si sta riducendo al minimo la possibilità di mettere a rischio i lavoratori e i clienti.

In questo periodo difficile, l’ultima cosa di cui la gente vuole preoccuparsi sono le opzioni per i pasti. Alleviando queste preoccupazioni con comunicazioni pertinenti e scelte sicure e convenienti, si fornisce una forma di assistenza che tutti ricorderanno e apprezzeranno.

generazione covid

Generazione Covid: cosa cambierà domani per i ragazzi di oggi

  • La Generazione Z potrebbe essere la più colpita e trasformata dagli effetti dell’emergenza;
  • Sarà la variabile tempo a determinare se l’emergenza riuscirà a segnare un’intera generazione, ma parlare di generazione Covid significa immaginare che questo fenomeno si prolunghi;
  • Per il momento, l’uso dei social ha consentito ai nativi digitali di adattarsi più facilmente di altri all’isolamento sociale.

 

Ci sono eventi che segnano intere generazioni. Senza andare troppo a ritroso, si potrebbero citare la Guerra in Vietnam, una delle cause a originare il movimento del Sessantotto, o ancora per i millennial l’11 settembre con le immagini del crollo delle Torri Gemelle e insieme delle certezze di una generazione.

E poi, per tornare ai tempi nostri, c’è il Covid-19, con la Generazione Z che potrebbe essere la più colpita e trasformata dagli effetti dell’emergenza.

A tal proposito ha senso parlare di “Generazione Covid”? E come è destinato a cambiare la percezione del mondo per i ragazzi? Per rispondere a questi interrogativi, abbiamo rivolto qualche domanda a Duala Grassini, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale.

generazione covid

Millennial vs Generazione Z, chi è più vittima dell’isolamento?

Sarà la variabile tempo a determinare se l’emergenza riuscirà a segnare un’intera generazione. Come è prevedibile, gli effetti potrebbero essere diversi se i tempi per un ritorno alla “normalità” si prolungassero di tanto. Ciò premesso ci sono già dei fenomeni che si stanno manifestando tra i ragazzi:

«Un adolescente ha il compito di svincolarsi dal nucleo familiare di origine e vive, per questo, un periodo di ribellione e fuga dalla famiglia, per avvicinarsi al sistema dei pari, nel quale attraverso il confronto sviluppa e delinea la propria identità».

In questi mesi di isolamento forzato, i ragazzi condividono per più tempo la quotidianità con la loro famiglia. In virtù di questo, ci si aspetterebbe che siano i più colpiti dalle norme dei decreti per contrastare la diffusione del virus. Eppure, sorprendentemente non è così:

«Io che immaginavo gli adolescenti nel chiuso delle loro stanze, in preda all’acuirsi del conflitto generazionale ho trovato, al contrario, ragazzi che, più degli adulti, dei bambini e degli anziani, continuano a nutrirsi delle loro relazioni quotidiane attraverso strumenti come i social. Gli stessi che erano stati spesso, a buon dire, demonizzati da genitori ed esperti perché, laddove gli adolescenti manifestavano tratti di personalità schizoide, ritiro sociale, divenivano l’unica modalità per mettersi in relazione con gli altri».

Se da una parte, l’isolamento ha senza dubbio acuito alcuni fenomeni di ritiro, come per esempio gli Hikikomori (termine che definisce chi fa dell’isolamento sociale e dell’uso dei social media, l’unica modalità per stare al mondo), dall’altra l’uso dei social ha consentito “ai nativi digitali di adattarsi più facilmente di altri all’isolamento sociale”.

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Imparare da remoto, opportunità e rischi

Gli adolescenti sono quindi i più pronti a una vita da remoto: hanno imparato a digitalizzare le loro relazioni, ad acquistare corsi di formazione a distanza. L’emergenza Covid-19 ha, insomma, solo accelerato questo processo ed incrementato canali come l’eCommerce e l’eLearning:

«L’uso esclusivo di questi strumenti, tuttavia, mette a rischio la dimensione più funzionale della relazione, che non può prescindere dal rapporto umano. Una relazione si compone di aspetti non verbali e prosodici, che si stanno sempre più perdendo all’interno della comunicazione. Questo può portare a fraintendimenti e a sviluppare relazioni sempre più superficiali».

Riflettiamo, a tal proposito, sull’impatto che possono avere le lezioni a distanza. Su quanto possa essere distaccato un apprendimento che prescinde dalla relazione emotiva tra allievo e docente. D’altronde, gli insegnamenti che più ci sono rimasti impressi sono quelli di docenti che mettevano grande passione nel loro lavoro.

Come può tutto questi riprodursi online, soprattutto quando si parla di strumenti nuovi per la maggior parte degli insegnanti e degli studenti? Diventa allora un grande interrogativo nella ipotesi malaugurata che la scuola sia costretta ancora a interrompere il normale svolgimento delle lezioni nei prossimi mesi per il sopraggiungere di una nuova emergenza.

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L’esame di maturità: la perdita di un rito di passaggio

L’ultimo anno alle scuole superiori, il viaggio e la festa di fine anno, l’esame di maturità, sono tutte esperienze che con ogni probabilità saranno negate ai diciottenni di oggi. Che effetti potranno avere sulla loro vita?

Si può immaginare che molti si esaltino all’idea di non dover provare l’ansia di affrontare una commissione, vis à vis, per esporre ciò che ha imparato e “giocarsi tutto” con la prestazione del momento:

«Quello che alcuni giovani forse non hanno ancora gli strumenti per comprendere, è che rischiano di perdere uno dei riti che sanciscono il passaggio ad una fase evolutiva successiva. La mancanza di riti di passaggio nell’esistenza di un uomo non favorisce le elaborazioni delle fasi della vita. Così come, per esempio, l’assenza di un rito funebre rende più complicata l’accettazione della morte. Un altro fenomeno a cui stiamo assistendo in questi mesi».

La mancanza di un esame di maturità tradizionale significherebbe anche la mancata condivisione di emozioni, momenti di commozione, abbracci, aneddoti da raccontare, pianti, ringraziamenti ecc. La mancanza di tutto questo “potrebbe creare un sospeso con cui prima o poi si dovrà fare i conti”.

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Generazione Z: gestire ansia e stress con creatività

Grassini ci offre consigli anche su come gestire le emozioni aiutando gli adolescenti, e noi tutti, a non farsi schiacciare da ansie e paure:

«Gestire gli aspetti emotivi significa impiegare risorse cognitive e comportamentali. Per esempio, utilizzare i canali giusti di informazione per comprendere quello che sta accadendo, senza incappare in notizie sensazionalistiche che creano allarmismi. E adottare delle buone pratiche, come impegnarsi in attività manuali e creative che sono in grado di dialogare con il nostro “io bambino” e farci vivere il più possibile “il qui ed ora”».

Per quanto riguarda la gestione dello stress, la psicoterapeuta ci aiuta a fare un distinguo, tra chi riuscirà a risolvere attraverso strumenti emotivi e cognitivi, come descritto sopra. Unendo a questi, la voglia di raccontare e condividere questa esperienza con gli altri. Diverso è il caso di personalità che soffrono già di tratti ipocondriaci, paranoici o tendenze depressive:

«Se vi è un passato di traumi legati alla malattia o all’isolamento, la gravità della situazione verrà avvertita maggiormente fino a poter determinare un DPDS (disturbo post-traumatico da stress)».

Rinsaldare i legami familiari e migliorare come persone

Come ogni crisi, anche questa nasconde pericoli e opportunità, e secondo la nostra esperta, non va vissuta dai ragazzi necessariamente nell’accezione negativa del termine.

Per dimostrarlo, ci cita il caso di un suo paziente, un 25enne, che continuava ad essere in protesta con i suoi genitori, pretendendo che “ricoprissero l’immagine idealizzata che si era fatta di loro quando era bambino”. Questa forzata convivenza ha costituito per lui un acceleratore di crescita perché ha avuto modo, accanto alla guida psicologica, di affrontare, comprendere, fino quasi a risolvere, la propria conflittualità familiare ponendo le basi per l’ingresso all’età adulta.

«Ci hanno insegnato che gli eventi e l’ambiente ci plasmano dai primi istanti di vita e ancor prima, ma come ad ogni essere umano. Come i giovani decideranno di utilizzare questa “crisi” ancora una volta dipenderà da loro. Mi piace pensare che la utilizzeranno per rivalutare l’importanza di un abbraccio, di avere ancora un genitore, di poter godere della natura rispettandola e di amare la vita sempre».

Generazione Covid: speriamo di no!

Tornando alla domanda con cui abbiamo aperto l’articolo, ha senso parlare oggi di Generazione Covid? Secondo l’esperta ancora no.

«Parlare di generazione Covid mi fa un po’ effetto, significa immaginare che questo fenomeno si prolunghi fino a segnare in maniera indelebile una intera generazione. Ancora possiamo sperare che non sia così», conclude.

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Week in Social: dalle Facebook Stories di 72 ore ai nuovi sticker su Instagram

Per chi non ha smesso di studiare e migliorarsi, per quelli che hanno scoperto oggi le opportunità che i social offrono, e per chi, invece, ci lavora da tempo. Torna, puntuale come ogni settimana, la nostra Week in Social.

Su Instagram: sticker, live da desktop, tool, IGTV e challenge

Sono quattro le novità introdotte da Instagram questa settimana. Procediamo con ordine. La prima riguarda la possibilità di seguire i live da desktop.

La seconda novità riguarda IGTV, tra il lancio di una nuova home, la monetizzazione dei video, una Discover Tab per navigare la app e scoprire nuovi video, e lo swipe up che invita gli utenti a proseguire nella visione dei video, dopo i primi 15 secondi. Chissà se questi aggiornamenti porteranno più persone a usare la app.


La terza novità Ig di questa settimana riguarda l’aggiunta di gift card, food order, and fundraiser tool per Stories e profili. Come puoi immaginare, i tool sono pensati per aiutare i brand in questo periodo di sospensione. Ovviamente questo non risolve i problemi che molte aziende stanno fronteggiando. Ma la piattaforma pare intenzionata a lavorare in questa direzione.

Per vedere questi ultimi aggiornamenti sui tuoi canali, dovrai aspettare un po‘. Lanciati in USA e Canada, verranno rilasciati a tutti nelle prossime settimane.


Chiudiamo, con l’ultima novità su Instagram. Il social sta sperimentando un nuovo sticker per le Stories, Challenge. Ti ricorda qualcosa? Ma certo: TikTok. Lo stiker, infatti, è pensato per coinvolgere i tuoi amici in sfide e contest online.

Facebook punta su informazione, messaggistica e gruppi

E anche su Facebook la settimana è stata movimentata, lato social. Tanti aggiornamenti in arrivo. A partire dalla partnership con la World Health Organization, per creare un bot Messenger e condividere informazioni accurate e in tempo reale sulla pandemia in corso. In pratica, lo stesso tool usato su WhatsApp.


E mentre da un lato si dà spazio alla comunicazione, dall’altro la si limita, ma per ovvie ragioni, ovvero sanzionare chi non rispetta le regole. Stiamo parlando della possibilità di silenziare i membri dei gruppi per 28 giorni. Cos’altro?
Facebook ha realizzato un nuovo tool per Apple Watch. Si chiama Kit, che sta per Keep in Touch. Con un solo tocco, sarà possibile mandare emoji, localizzazione, messaggi vocali ai tuoi contatti più stretti.

week in social
E, mentre Facebook lavora a nuovi workshop per aiutare gli amministratori dei gruppi a gestire meglio uno strumento che vede sempre più utenti, pare presto avremo la possibilità di condividere Stories che dureranno 3 giorni. Hai capito bene: 3 gioni invece delle canoniche 24 ore. La notizia non è ancora ufficiale. Ma pare che entro un mese ne sapremo di più.

In breve

Pinterest lancia una sezione per aiutare i business che stanno risentendo della crisi economica generata dal Covid-19.

Snapchat crea un hub con tool, link e risorse per aiutare i marketer.

YouTube sta lavorando a ‘Video Chapters‘ option, che permette di segmentare i video in capitoli, ognuno con una precisa descrizione. Sarà così più immediato individuare gli argomenti trattati in un video.

Coming soon

Chiudiamo la nostra Week in Social con due notizie dell’ultima ora. Una riguarda Instagram e Facebook. Pare che presto potrebbe esserci la possibilità di andare live, nello stesso momento, su entrambe le piattaforme: account Instagram e Pagina Facebook.

week in social

Mentre TikTok sta lavorando a una nuova funzione, chiamata ‘Family Pairing‘, che consentirebbe ai genitori di monitorare la presenza online dei propri figli. Screen Time Management, Restricted Mode e Direct Messages sono le tre misure che la app introdurrà, per tenere sotto controllo il tempo trascorso in app, chi può mandare messaggi a chi, e quali contenuti possono essere visti.

contenuti dannosi facebook

Come dovrebbero essere regolati i contenuti sui social, secondo Facebook

  • In materia di contenuti dannosi, Facebook si è recentemente espressa con un white paper che definisce come dovrebbero essere regolati i contenuti su social e web
  • Facebook punta a mentenere il suo ruolo di partner costruttivo per i governi, con approcci più praticabili per gestire i contenuti online

 

In materia di “contenuti dannosi”, Facebook si esprime pubblicando un nuovo white paper per la regolamentazione universale sui social e sul web.

Sulla scia dello scandalo Cambridge Analytica e delle proposte avanzate sul tema privacy, propaganda politica online e portabilità dei dati, arriva una nuova regolamentazione universale dei contenuti dannosi che coinvolge Facebook, legislatori, aziende private, società e utenti.

Dopo Cambridge Analytica, lo stato dell’arte

È il 2018, quando Mark Zuckerberg viene chiamato a testimoniare davanti al Congresso degli Stati Uniti sulla violazione delle informazioni appartenenti a milioni di utenti registrati al suo social network e usate impropriamente dalla Cambridge Analytica.

L’uso che la società di consulenza britannica ne avrebbe fatto coincide con la profilazione diretta di utenti, amici e simili da intercettare per scopi politici a carattere elettorale, attraverso la pubblicità digitale.

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mark zuckerberg facebook

Da allora, la questione sulla regolamentazione dei contenuti dannosi su Facebook, i social e nel web è sul tavolo del dibattito come un nervo scoperto in cerca di una linea universale da implementare e delle responsabilità da conferire.

Nel 2019, arriva un primo significativo cambiamento: Facebook passa con decisione dal “non vogliamo più interferenze da parte del governo” a abbiamo bisogno di una supervisione del governo per implementare controlli di sicurezza universali e garantire parità di condizioni per tutte le piattaforme che lavorano per sorvegliare i contenuti web”.

Di fronte alle varie sfide legali e politiche, oggi Facebook mira a favorire un approccio più standardizzato delle policy: “È impossibile rimuovere tutti i contenuti dannosi da Internet” dichiara Zuckerberg in un recente editoriale, “ma quando le persone utilizzano decine di servizi di condivisione diversi – tutti con la loro politica e i loro processi – abbiamo bisogno di un approccio più standardizzato”, conclude.

Una posizione con cui il CEO del social network s’impegna a delineare un quadro strategico entro cui implementare la regolamentazione universale dei contenuti dannosi sui social e sul web.

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Come cambiano le regole per i contenuti dannosi?

Il white paper pubblicato lo scorso febbraio dal gruppo Facebook, mira a rispondere a quattro domande chiave che l’azienda sostiene debbano essere formulate nell’ottica di un dibattito più ampio.

L’azienda sottolinea:

  • In che modo la regolamentazione dei contenuti può raggiungere l’obiettivo di ridurre il linguaggio dannoso preservando la libera espressione?
  • In che modo le normative possono migliorare la responsabilità delle piattaforme Internet?
  • La regolamentazione dovrebbe imporre alle società di Internet di raggiungere determinati obiettivi prestazionali?
  • La regolamentazione dovrebbe definire quali “contenuti dannosi” dovrebbero essere vietati su Internet?

facebook 100 milioni pmi coronavirus

Secondo Facebook, i problemi sorgono quando le persone non comprendono o si sentono impotenti di fronte a decisioni che limitano il loro linguaggio, il loro comportamento e più in generale la loro esperienza online.

Per mantenere un adeguato bilanciamento tra sicurezza, libertà di espressione e altri valori, bisognerebbe attivare sistemi di canali intuitivi per la segnalazione di contenuti o la supervisione esterna di politiche o decisioni di applicazione, attraverso procedure come la periodica segnalazione pubblica dei dati di applicazione.

Una regolamentazione che potrebbe fornire a governi e individui le informazioni di cui hanno bisogno per giudicare accuratamente gli sforzi fatti dalle società di social media.

Le autorità di regolamentazione potrebbero prendere in considerazione determinati requisiti per le aziende, come la pubblicazione dei loro standard di contenuto, la consulenza con le parti interessate-quando apportano modifiche significative agli standard-o la creazione di un canale affinché gli utenti possano presentare ricorso contro una decisione di rimozione o non rimozione di un’azienda.

In questo modo, le normative migliorerebbero la responsabilità delle piattaforme.

È evidente come in quest’ottica le aziende potrebbero essere incentivate a raggiungere obiettivi specifici come mantenere la prevalenza dei contenuti in violazione al di sotto di una soglia concordata.

Ciò significa che la regolamentazione dovrebbe definire quali “contenuti dannosi” dovrebbero essere vietati su Internet?

Nel documento, viene specificato che le leggi che limitano la parola sono generalmente applicate dalle forze dell’ordine e dai tribunali. La moderazione dei contenuti su Internet è sostanzialmente diversa.

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regolamento contenuti social network

Pertanto, i governi dovrebbero creare regole per affrontare questa complessità – che riconoscono le preferenze dell’utente e la variazione tra i servizi Internet, possono essere applicati su larga scala e consentire flessibilità in tutte le lingue, tendenze e contesto.

La situazione odierna con milioni di contenuti pubblicati e diffusi sui social sul Coronavirus e sull’emergenza, resta un banco di prova per tutte le piattaforme.

Il ruolo di Facebook nel nuovo quadro strategico

In sostanza, Facebook sta dicendo che esistono disposizioni sui contenuti in vigore per tutte le altre forme di media e simili e dovrebbero essere attuate per il web; il che ridurrebbe l’onere sull’azienda e su altre piattaforme, a favore di una decisione più autonoma su cosa è e cosa non è accettabile, pur istituendo una misura di base su tutti i social network ed entità.

In tal senso, continuerebbe a mantenere il suo ruolo di partner costruttivo per i governi mentre pesano approcci più efficaci, democratici e praticabili per gestire i contenuti online.

ecommmerce

Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

  • Il lockdown sta cambiando notevolmente le abitudini dei consumatori
  • La spesa nella GDO e la preferenza per gli acquisti eCommerce rispecchiano queste nuovi abitudini domestiche
  • Mentre l’Italia chiude, secondo le statistiche, esplodono gli eCommerce

 

Le misure imposte per arginare il diffondersi dell’epidemia da Coronavirus stanno cambiando profondamente le abitudini dei consumatori. Esercizi commerciali chiusi, smart working, quarantene forzate costringono le persone a condurre una vita molto più casalinga e gli effetti si leggono immediatamente sugli acquisti.

Cosa possiamo dire riguardo all’andamento delle vendite della GDO e degli eCommerce tra fine febbraio ed inizio aprile 2020? 

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ecommerce

La spesa nella GDO rispecchia le nuove abitudini domestiche

Secondo una ricerca di Nielsen le vendite della GDO hanno avuto un’impennata a partire dalla settimana tra lunedì 17 e domenica 23 febbraio, in particolare nei supermercati (+8,69%), negli ipermercati (+8,61%) e nei discount (+8,28%) del Nord Italia. Gli acquisti sono aumentati per via di due effetti: lo “stock”, che ha portato all’aumento degli acquisti di prodotti alimentari a lunga conservazione, quali riso (+33%), pasta (+25%), sughi e salse (+19%) e “prevenzione e salute”, che ha portato all’aumento delle vendite delle categorie della cura persona, come il comparto parafarmaceutico (+112%) e quello dell’igiene personale (+15%).

Nelle nostre rilevazioni – ha affermato Romolo de Camillis, di Nielsen Connect Italiasi può leggere l’apprensione per l’eventualità di una quarantena.

Durante le due settimane successive la crescita è dilagata anche al Sud, sempre trainata dai due effetti citati in precedenza, a cui se n’è aggiunto uno nuovo: #Restoacasa. Tra gli ingredienti base più acquistati si sono aggiunti il latte e la farina, mentre nel comparto surgelati, impanati, pesce e vegetali. In termini di valore assoluto sono i prodotti da forno a riscontrare una maggiore crescita, in particolare pasticceria e biscotti. Registrano una forte crescita anche l’acqua in bottiglia, la carta igienica, il sapone, la candeggina, le salviettine umidificate e i detergenti per le superfici. 

A seguito delle nuove misure restrittive, prese dal governo l’8 Marzo 2020, le vendite della GDO sono letteralmente esplose: la crescita di queste settimane risponde alla nuova esigenza di consumare i pasti esclusivamente in casa. Come nella settimana precedente, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+28,4%), seguito da Nord Est (+18,6 %) e Centro (16,8%). In particolare, il trend positivo si registra nei liberi servizi (+46,3%), nei supermercati (+30,4%) e nei discount (+22,5%).

Anche le vendite di prodotti ideali per un aperitivo home-made crescono, come mozzarelle (+43,4%), affettati (+32,4%), patatine (+31,3%), birre (+13,8%), ma anche di quelli che potremmo considerare “comfort food”, come creme spalmabili (+57,7%), pizza surgelata (+54,3%) e barrette di cioccolato (+21,9%). Sono tanti gli amici, i fidanzati, i colleghi, che nel primo weekend dopo la stretta si sono organizzati per vincere i momenti di noia e solitudine, tramite aperitivi e cene virtuali. Al contrario, il Cash & Carry ha subito un calo molto forte (-44,7%) e probabilmente questo andamento si protrarrà fino alla fine della quarantena, quando verranno riaperti bar e servizi di ristorazione. 

Ricerche prodotti di consumo coronavirus

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Durante la quinta e la sesta settimana (tra il 16 marzo e il 29 marzo), le vendite della Grande Distribuzione Organizzata continuano a crescere, ma in modo più contenuto, probabilmente a causa delle nuove procedure d’ingresso nei negozi e quelle relative allo spostamento (che può avvenire solo all’interno del comune di residenza). Secondo l’osservatorio Lockdown di Nomisma si prediligono ordini online, negozi di vicinato e prodotti a km zero, ma a differenza delle settimane precedenti è il Nord Est a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+8,9%).

Le categorie di prodotti maggiormente acquistate sono sempre legate ai tre “effetti” identificati da Nielsen: lo “stock” (farina, uova, zucchero, latte, burro, caffè, pasta, sughi e biscotti), la “prevenzione” (guanti, detergenti per le superfici, candeggina, sapone, termometri) e “resto a casa” (pizze surgelate, affettati, mozzarella, patatine, vino e gelato). In questo periodo aumenta la gente che si dedica alla preparazione di panificati e dolci in casa. Tutt’ora le vendite della GDO sono stabili, ma vista la proroga della quarantena fino al 3 Maggio, si pensa che ci sarà un nuovo incremento negli acquisti.

Mentre l’Italia chiude, esplodono gli eCommerce

In tutto questo caos, visti i moltissimi esercizi commerciali chiusi, le restrizioni all’entrata dei negozi aperti e la paura del contagio, moltissime persone hanno deciso di rivolgersi agli eCommerce per soddisfare i propri bisogni. Il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online è notevolmente cresciuto, passando da un 81,0% (rilevato da Nielsen tra lunedì 24 febbraio a domenica 1 marzo) ad un +162,1% (rilevato tra lunedì 23 a domenica 29 marzo). Da un’indagine di Netcomm, infatti, il 77% delle aziende che vende online nei diversi settori ha dichiarato di aver acquisito nuovi clienti, a dimostrazione che la crisi ha portato diversi consumatori ad avvicinarsi per la prima volta agli acquisti online. Secondo Romolo de Camillis, questa ascesa «rispecchia l’esigenza di evitare lunghi tragitti casa-negozio, nonché di evitare code e assembramenti».

Se si vanno a guardare bene i dati, però, il trend non è totalmente positivo: il boom negli acquisti online c’è stato, ma riguarda principalmente i beni di prima necessità.

Il trend di crescita riscontrato tra fine febbraio e inizio marzo, esattamente come quello del retail tradizionale, ha poi subito un lieve rallentamento: per molti player, sia B2B che B2C, il fattore determinante del calo è stato il decreto emanato il 22 marzo 2020, che ha applicato nuove restrizioni per limitare la diffusione del Coronavirus, ovvero il divieto di vendita dei prodotti non essenziali ed il conseguente ritardo o blocco dei sistemi di trasporto.

Attualmente, guardando i dati aggiornati delle spedizioni rilasciate da Qaplà, la situazione italiana per la logistica del commercio elettronico sembra abbastanza fluida: qualche corriere è in crisi, a causa delle filiali chiuse (in particolare nel Nord Italia) o degli scioperi degli spedizionieri che hanno paura ad andare a ritirare le merci nelle zone più colpite dal virus, ma molti altri stanno lavorando al meglio delle proprie risorse per garantire il flusso della distribuzione. Secondo l’indagine dell’Osservatorio Netcomm datata 31 marzo 2020, la percentuale di merchant che hanno riscontrato un problema nelle spedizioni (su 150 intervistati) è solo del 39,33%, ma un buon 80% non esclude di poter avere difficoltà nei prossimi mesi. 

logistica coronavirus

Andamento delle vendite online a seconda del settore

Analizzando i dati di Qaplà, a Marzo 2020 è stato evidenziato un netto miglioramento nel volume delle spedizioni totali, ma andando ad analizzare lo spaccato dei singoli settori ci si rende conto che le performance non sono per tutti uguali, anzi. 

Settori in crescita: spesa online, pharma, articoli sportivi e bricolage

La categoria che ha fatto segnare numeri da record, in particolare nei primi giorni di Marzo, è quella della spesa online. Tuttavia, nel giro di una decina di giorni il sistema ha fatto crash: nessun player era organizzato per far fronte a una domanda esplosa da un giorno all’altro. Il risultato è stato che molti siti erano diventati lentissimi, o addirittura inusabili, come quello di Carrefour, che bloccava la navigazione ogni qual volta si tentava di inserire un prodotto nel carrello, oppure chiedeva all’utente di rientrare a mezzanotte a saldare il conto della spesa. Altri player, come Iper ed Esselunga, invece, non sono riusciti a reggere il carico della logistica, facendo slittare la consegna di intere settimane.

Ecco quindi, che nelle ultime due settimane, alcune realtà si sono ingegnate per trovare delle soluzioni alternative: alcune realtà locali si sono impegnate nelle consegne a domicilio, magari approfittando della soluzione offerta da Nexi “Pay-by-link”, che consente di incassare l’importo dell’acquirente a distanza, tramite l’uso di un link. Anche molti eCommerce hanno ideato nuovi servizi, ad esempio Carrefour ha da poco lanciato “gli essenziali“, dei cesti precostituiti con alimenti in scatola, prodotti per la casa e per la cura della persona che vengono consegnati entro 4-5 giorni dall’ordine, in tutta Italia.

Trend ricerche spesa online coronavirus
Un altro settore destinato a una crescita esponenziale è quello delle farmacie online: secondo Qapla’ nella seconda metà di Marzo c’è stato un incremento degli ordini del +54%, rispetto allo stesso periodo del mese precedente, mentre Adabra ha registrato un 37% di fatturato in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia, anche in questo settore mostra un andamento simile a quello dei supermercati: un boom di vendite nelle prime settimane, che si è poi lentamente assestato su livelli tradizionali.

I dati positivi registrati tra fine febbraio ed inizio marzo sono stati trainati dalla ricerca di prodotti legati al COVID-19, ovvero i detergenti per le mani, le mascherine, i guanti ed i termometri (secondo IQVIA e Pharmacy Scanner +455%), di fatto introvabili nelle farmacie locali e nei supermercati. Durante il corso delle settimane c’è anche stato un incremento di ricerche anche per i termometri e per i pulsossimetri, ovvero strumenti utili per misurare la temperatura e l’ossigenazione del sangue, ma anche di vitamina C, causata da una fake news fatta circolare sui social network e ripostata da Belen Rodriguez.

Trend ricerca farmacie coronavirus

Dopo che Conte ha decretato il lockdown, l’attenzione degli utenti si è concentrata su altre due categorie di negozi online: eCommerce specializzati nella vendita di attrezzature per l’home fitness e del bricolage. Gli articoli sportivi sono molto ricercati e acquistati, in particolare da quando è stato vietato di passeggiare e correre all’aperto: fare sport tra le mura domestiche è diventata una vera e propria ossessione, sia per questioni di forma fisica, che per scaricare lo stress del momento.

E sicuramente l’offerta di video, app e tutorial messi a disposizione dagli influencer e dai personal trainer, ha notevolmente incrementato le vendite di questi prodotti, che secondo Adabra si aggira attorno ad un +48% di fatturato rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i negozi di bricolage, invece, se inizialmente la vendita è stata trainata dalla ricerca di mascherine ffp2 e ffp3, non sono mancati gli acquisti di vernici, utensili e materiali per i piccoli lavori di casa; secondo una ricerca di ManoMano e YouGov sulle nuove abitudini degli italiani, infatti, risulta che 4 persone su 10, in particolare di sesso maschile, durante la quarantena si sta dedicando ai piccoli lavori di manutenzione domestici.

trend ricerche sport coronavirus

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Rimangono alte anche le visite ai siti di elettronica di consumo, di giocattoli e di pet care. La necessità di seguire le lezioni e lavorare da remoto, ha incrementato l’acquisto di accessori quali webcam, monitor, cuffie e microfoni. Inoltre, la raccomandazione di evitare di toccare superfici condivise e di tenere puliti gli ambienti di casa, ha favorito le vendite di robot aspirapolvere, di dispositivi smart home.

Al contrario, secondo GfK hanno subito una decrescita prodotti quali smartphone (-6,7%), TV (-10,2%), macchine del caffè (17,4%), stampanti (-27%), condizionatori (-27,4%) e asciugatrici (-31,4%). E mentre i genitori lavorano, i bambini hanno bisogno di distrazioni, di conseguenza non sono mancate le impennate alle visite degli store di giochi e giocattoli; molti di essi però, purtroppo, rimangono chiusi fino a nuova ordinanza. Oltre i bambini, anche gli animali domestici in questo periodo reclamano le dovute attenzioni: il trend delle visite dei negozi di “pet care” è stabile, mentre gli ordini di cibo, integratori e peluche, secondo Qaplà, sono aumentati del 100% nel giro di un mese.

Ovviamente, in tutto questo periodo i marketplace sono rimasti il punto di riferimento per tutti gli italiani, in particolare Amazon ed Ebay. Inutile dire che, anche qui, i prodotti più cercati in assoluto sono state le mascherine e l’amuchina, il termometro ed il saturimetro. Nella top ten compaiono anche libri, accessori per bambini, il Risiko ed il Kindle. Anche l’acquisto su Amazon ha subito una lieve battuta d’arresto: secondo quanto riportato da Bloomberg, anche il grande colosso è rimasto spiazzato dall’enorme aumento delle domanda a livello globale e dal 21 Marzo, ha dovuto prendere la decisione di dare la priorità di consegna ai beni di prima necessità, appartenenti alle categorie della salute e degli alimenti. 

Settori in calo: fashion, lifestyle e travel

Secondo il Consorzio Netcomm, l’emergenza sanitaria ha causato un calo delle vendite degli eCommerce dell’abbigliamento, dell’arredamento e delle calzature. Nonostante le grandi catene di abbigliamento abbiano incentivano gli acquisti online con sconti e promozioni dedicate, il mercato sembra aver subito un calo pari all’84,62%. I motivi di questa tendenza potrebbero essere due.

In primis, alla preoccupazione e all’ansia dovuta alla pandemia in corso, si aggiungono i timori per le conseguenze economiche derivate dal lockdown. Nella nostra testa non c’è più spazio per sfizi ed acquisti accessori, ma solo per beni di prima necessità o articoli particolarmente scontati. A questo, si aggiungono i problemi legati all’operatività e alla logistica: ordinare senza sapere quando si riceverà la merce è un deterrente per molti consumatori. Il mondo del lusso, invece, ha deciso di convertire la propria produzione in strumenti di protezione individuale: sono molti i famosi brand di moda che hanno deciso di impegnarsi in questa causa: da Mango a Gucci, da Dior ad Armani.

Ma il settore che soffre di più in assoluto in termini di vendite online ed offline, è sicuramente quello del turismo. Arrivano a ritmo accelerato in questo periodo, cancellazioni e disdette in tutta Italia, mettendo in ginocchio il mercato. Secondo la rilevazione, realizzata dall’Istituto Demoskopika lo scorso 11 marzo, sarebbero almeno 14 milioni i cittadini che, al netto di una ulteriore proroga dei provvedimenti restrittivi, avrebbero già deciso di non trascorrere l’estate 2020 sotto l’ombrellone: un tasso che si ripercuoterebbe sul sistema turistico con una perdita di circa 5,8 miliardi di euro a cui si aggiungerebbero 3 miliardi, già calcolati per le festività pasquali.

Valori negativi anche per l’incoming turistico italiano, che potrebbe provocare una perdita di circa 15 milioni di turisti stranieri. Questi numeri trovano conferma nelle percentuali di prenotazione rilevate nel report di Darwin, che si assestano attorno al -84% per i viaggi organizzati, -80% per i voli, -73% per i trasporti e -67% per le strutture ricettive. D’altronde “del doman non v’è certezza”: nessuno sa se, come e quando la vita potrà tornare alla normalità

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Cosa aspettarsi dal prossimo futuro degli eCommerce?

Gli sviluppi dipendono sicuramente da più fattori. È probabile che per alcuni settori aumenti ancora la portata degli ordini, per via dell’esaurimento delle scorte in casa. Inoltre, dal momento in cui assisteremo alla riapertura dei punti vendita e le persone potranno tornare a circolare, con le dovute precauzioni per la tutela della salute, il ruolo del commercio online diventerà ancora più importante: molti preferiranno acquistare online, piuttosto che stare ore ed ore in fila al negozio o correre rischi per la propria salute. Perciò, i proprietari di eCommerce, dovranno rimboccarsi le maniche, per tenere sotto controllo tutta la filiera distributiva ed evitare intoppi nella fruizione del portale e nelle consegne.

Secondo la mia opinione, gli aspetti che devono e dovranno essere necessariamente tenuti sotto controllo sono: la comunicazione tempestiva degli aggiornamenti, l’usabilità del sito, la quantità di merci in magazzino, i prezzi e la scontistica, l’assistenza al cliente 24h e la garanzia di consegna. Se le reti di distribuzione continueranno a funzionare fluidamente durante le prossime settimane non dovrebbero presentarsi grossi problemi, ad eccezione della difficoltà dell’approvvigionamento: è un dato di fatto che già ora, in molti magazzini, la disponibilità di alcune merci è terminata e non sarà facile riassortirla nel breve periodo.

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Per alcuni settori sarà comunque necessario tenere conto che il fattore economico potrebbe impattare negativamente: molte aziende, che sono state costrette a rimanere chiuse, subendo ingenti perdite ai profitti, non saranno in grado di pagare i propri dipendenti, e a ciò si aggiungerà un tasso di disoccupazione molto elevato.

Questa preoccupazione è resa nota da una ricerca di SWG del 19 marzo scorso: il 53% degli intervistati teme che “la propria azienda o attività possa subire delle conseguenze” mentre il 44% ha paura di poter perdere il lavoro a causa di questa crisi. Sicuramente il potere di spesa di molti consumatori potrebbe essere notevolmente ridotto rispetto a prima. Purtroppo, avere il negozio migliore del mondo o le campagne di marketing più avvincenti potrebbe servire a poco, se le persone non avranno la possibilità di acquistare.

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Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19

  • Il COVID-19 sta già cambiando la nostra vita e condizionerà anche le scelte di marketing
  • La forma di advertising più colpita è evidentemente l’outdoor, segue subito dopo il mercato delle sponsorizzazioni
  • Gli influencer hanno un ruolo positivo attivo, coinvolgendo i follower con le dirette da casa

 

Cosa accadrà al mondo del marketing post Covid-19? 

Abbiamo provato ad analizzare, partendo da alcuni dati, come il mondo del marketing potrà essere influenzato dal lockdown mondiale.

Alcune considerazioni, sono forse banali, ma vanno necessariamente sottolineate oggi: se le strade sono deserte, internet è in sovraffollamento; i social media sono diventati il luogo in cui rifugiarsi per ritrovare un senso di comunità e le piattaforme di video conference sono diventati i nuovi bar virtuali in cui incontrare amici e parenti.

Tutto il mondo si sta interrogando su domande da milioni di dollari: quanto durerà? Come sarà influenzata la mia vita e il mio lavoro? Noi queste risposte ovviamente non le abbiamo, ma abbiamo provato a capire come il Coronavirus influenzerà le scelte di marketing nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

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Il mondo marketing tradizionale

Mentre siamo chiusi nelle nostre case, il mondo intorno a noi sta cambiando. La comunicazione in TV è stata rivoluzionata nel giro di poche settimane, i programmi televisivi si sono adattati alle nuove disposizioni sanitarie e i brand più reattivi sono andati in onda con spot pubblicitari girati in case, mostrando un messaggio di vicinanza al pubblico.

Ma proprio dal mercato del marketing tradizionale arriva il primo grande paradosso: gli ascolti della TV esplodono ma i brand fanno retro-front sugli investimenti pubblicitari.

Secondo uno studio svolto in queste settimane recente studio, la penetrazione degli ascolti TV aumenta ogni giorno, mediamente un italiano su tre guarda la tv, la chiusura delle scuole aggiunge una bella fetta di bambini, che tuttavia rimane inferiore a quella degli adulti. Il picco di ascolto è alle 9 di sera con quasi la metà degli italiani davanti alla televisione, mentre il day time ha beneficiato maggiormente della situazione con un incremento del 17%.

Lo stesso dato di crescita, tra TV tradizional e streaming si registra inoltre in tutto il mondo, come mostrato da Statista.

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Ma nonostante ciò, in Italia si stima una riduzione degli investimenti in acquisto di spazi televisivi. Un vero e proprio paradosso, spinto dall’ondata di crisi economica verso cui stiamo andando incontro.

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L’Out of Home potrebbe essere la forma di advertising più colpita. Ha ancora senso la pubblicità per strada? Nei prossimi mesi sarà sempre meno frequente camminare per strada, spostarsi da casa a ufficio, raggiungere da qualche parte un amico. E allora quanto saranno utili i cartelloni pubblicitari? Quale sarà l’effettivo ritorno dell’awareness di una pubblicità sugli un autobus, o in una stazione della metropolitana? C’è tuttavia da considerare che una buona fetta della spesa pubblicitaria in questo settore sia allocata alla fine dell’anno, per le festività natalizie.

Infine, anche il mercato delle sponsorizzazione ne risentirà: i grandi eventi sportivi, come il campionato di calcio e perfino le olimpiadi, sono sospesi e alcuni brand tenderanno a tagliare gli accordi di sponsorizzazione.

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La strada del Digital Marketing

A differenza delle forme di pubblicità tradizionali, gli investimenti in digital marketing potrebbero aumentare.

Da una ricerca di Dentsu Aegis Network, su 155 brand intervistati, il 14% ha dichiarato di spostare budget online, da media offline.

Nei prossimi mesi potremmo vedere un netto aumento della spesa pubblicitaria digitale poiché i consumatori trascorreranno naturalmente più tempo online, scegliendo di fare acquisti online anziché uscire di casa.

La ricerca di Global Web Index ha rilevato che stiamo assistendo a un netto aumento delle persone che accedono ai social media in tutte le fasce di età. Il 27% tra la Gen Z, il 30% tra i Millennials, il 29% tra la Gen X e il 15% tra i Boomer.

La spesa pubblicitaria sui social media è quindi destinata ad aumentare. Si ritiene che gli investimenti in social advertising potrebbero aumentare del 20%.

Sarà però fondamentale fare attenzione alla scelta del contenuto, capire e scegliere le parole e le immagini giuste per comunicare in questo momento di crisi. Come content creator, abbiamo la responsabilità di scegliere con consapevolezza i contenuti che pubblichiamo in questo momento. Le persone hanno bisogno del supporto dei brand che amano e i social media forniscono un ottimo veicolo per farlo.

Stiamo assistendo poi ad un enorme aumento dell’influencer marketing, con un recente studio che ha riscontrato un aumento del 76% dei Mi piace accumulati quotidianamente sui post #ad di Instagram nelle ultime due settimane. Le dirette Instagram sono all’ordine del giorno fra gli influencer che fanno compagnia agli italiani dalle loro case. Chiara Ferragni e Fedez sono un chiaro esempio di come gli influencer possano avere un ruolo da protagonisti positivi: la loro iniziativa di solidarietà, sfonda i 3 milioni di euro in meno di 48 ore.

Nulla sarà più come prima? Probabilmente sì, cambierà anche il mondo del marketing. Solo chi avrà la capacità di cambiare velocemente le sue strategie, dotandosi di strumenti e competenze adeguate, potrà evitare la crisi o almeno superarla indenne.