Essere aggiornato su Trend e Tool per il 2023 è un’esigenza irrinunciabile per ogni marketer.
Il Ninja Wrap Up nasce per mettere insieme la potenza informativa e di Intelligence Ninja con la profondità dell’Alta Formazione.
Si parte infatti da un condensato delle principali notizie Digital del mese, tra quelle selezionate ogni giorno dalla Redazione dalle più autorevoli fonti internazionali, per poi commentarle con i migliori esperti del settore e renderle applicabili concretamente.
Se ti impegni costantemente per restare al passo con le novità che impattano sulla tua professione, ma vorresti andare oltre il livello superficiale della notizia e affidarti a chi ne sa qualcosa per esperienza diretta, il Ninja Wrap Up è l’appuntamento mensile di cui ha bisogno per unire tutti i punti e imparare ad applicare nelle tue attività quotidiane nuovi trend e funzionalità, tool e best practice del Digital.
Trend e Tool 2023 al secondo Ninja Wrap Up
Il secondo appuntamento è dedicato ai trend e i tool che possono semplificare le tue attività e darti un vantaggio competitivo su tutti gli altri.
Mercoledì 1 marzo a partire dalle 12:30, insieme al Ninja Team e ad alcuni tra gli esperti che stanno intercettando e decifrando per primi i cambiamenti del Digital Marketing per il 2023, li identificheremo e capiremo come ottimizzare strategie e budget.
Ecco cosa troverai nel Ninja Wrap Up #2
I take away dei marketer per il mese di febbraio con il Ninja Team
Salesforce presenta lo State of Marketing 2023 con Mattia Leopizzi, Manager, Solution Engineering, Salesforce
AI Marketing: le piattaforme che non puoi non testare se sei un…con Massimo Nava, Creative Director, Artlandis Webinar
Sonic Science 2.0: l’audio per migliorare la vita quotidiana – un’opportunità per gli inserzionisti – Con Alberto Mazzieri – Head of Sales, Spotify Southern Europe
Cosa ti porti a casa da questi appuntamenti:
Le notizie più importanti che hai perso durante il mese
I case study di marketing digitale che hanno conquistato la scena
I commenti dei migliori esperti e professionisti sui trend topic
I consigli pratici per ottimizzare le tue strategie integrando le novità più performanti
Ma il programma è ancora in aggiornamento, resta sintonizzato!
Come partecipare al Ninja Wrap Up
Partecipare è semplicissimo: basta registrarsi a questo link per essere tra i primi ad approfondire e sperimentare le più recenti novità del mondo digital.
Se non vuoi arrivare impreparato all’evento puoi approfondire l’argomento con alcuni articoli pubblicati dalla nostra Redazione:
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/tool-e-trend-2023.jpg662801Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-02-24 11:10:392023-02-28 09:34:28Trend e Tool 2023: la checklist del Marketer nel secondo Ninja Wrap Up
Diesel ha svelato una nuova collaborazione con Durex alla settimana della moda di Milano.
La partnership è stata svelata durante la sfilata di mercoledì al Superstudio Maxi. In passerella la sex positivity della collezione Fall Winter 2023 del designer Glenn Martens.
La D di Durex si fonde e confonde con quella di Diesel. Due brand inclusivi si uniscono a favore della libertà sessuale dando un messaggio preciso al loro pubblico con lo slogan “For sucsexful living”.
L’invito di Diesel alla FW 2023
I modelli hanno sfilato attorno a una montagna di 200 mila scatole di preservativi Durex con il logo rosso e bianco di Diesel.
Gli scenari avanguardisti sono diventati una firma Diesel da quando è tornato alla Milano Fashion Week lo scorso anno.
Che il “sesso sicuro” andasse già di moda ne eravamo consapevoli, nel 2017 il brand nato dal genio creativo di Virgil Abloh, Off-White aveva lanciato dei preservativi con la scritta “SAFE” e il suo logo.
Qualcosa di simile lo avevamo visto nel 2019 quando Demna Gvasalia per la presentazione della collazione SS20 di Vetements durante la Paris Fashion Week Uomo aveva recapitato degli inviti con dei preservativi brandizzati.
Il brand italiano di denim ha anche anticipato l’arrivo di una capsule di abbigliamento con Durex, che include magliette, jeans e cappellini in co-branding. La collezione dovrebbe essere lanciata ad aprile.
Come ulteriore impegno di entrambi i marchi per promuovere la libertà sessuale e il sesso sicuro, 300 mila preservativi Durex saranno esposti e distribuiti gratuitamente presso i punti vendita Diesel in tutto il mondo.
Il brand che produce e distribuisce profilattici, gel lubrificanti e altri prodotti per il benessere sessuale, sappiamo bene che non ha paura di sfidare i tabù.
Il denim non è territorio “vergine” per Durex. Nel 2017, l’azienda ha introdotto in India una gamma dei suoi preservativi con un pacchetto più sottile, progettato per scomparire nelle tasche dei jeans.
Il prodotto e la campagna miravano a rompere il tabù dell’acquisto e del trasporto di preservativi in Asia meridionale, dove l’uso del profilattico non era ampiamente accettato.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/co-branding-durex-insieme-a-diesel-alla-milano-fashion-week-1.jpg529794Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2023-02-24 09:37:092023-03-03 13:17:23Una montagna di preservativi: Durex insieme a Diesel alla Milano Fashion Week
Le strategie di gestione della workforce multigenerazionale rappresentano una leva strategica per l’engagement e la retention in azienda
Come si coniugano motivazioni diverse tra colleghi e colleghe di età distanti
L’eterno trade-off tra tempo e denaro nelle prospettive generazionali del total reward
Dalla pandemia, le persone hanno cercato di prendersi cura di se stesse dal punto di vista fisico e psicologico e di avere più libertà nel lavoro. Questa nuova mentalità ha portato a un grande cambiamento nelle aziende, che hanno iniziato a comprendere quanto sia urgente in alcuni casi, rivisitare valori, modelli e cultura del lavoro.
Inoltre, i dipendenti hanno messo in discussione le proprie motivazioni e hanno iniziato a cercare impieghi che offrano flessibilità, motivazione e empatia.
L’ “abbandono silenzioso” ha innescato riflessioni sul coinvolgimento al lavoro. Oltre ai problemi di attraction, come la scarsità di nuove competenze digitali e sostenibili, ci sono anche problemi di retention, soprattutto in Italia, dove solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro rispetto al 21% a livello mondiale.
A questo scenario si aggiungono le sempre inquietanti prospettive demografiche, che non si può continuare a sottovalutare. Negli ultimi 5 anni, la popolazione in età da lavoro (16-64 anni) è diminuita di 756 mila persone.
Nel solo 2022 di 133 mila. La scarsità dell’offerta di lavoro sarà sempre più una realtà, così come lo squilibrio tra occupati e pensionati e un minor gettito di entrate per servizi e welfare.
Le cause di questo abbandono silenzioso (quiet quitting) o di “grande rassegnazione” collettiva, comprendono la volontà di evitare l’hustle culture, il burnout, lo stress da lavoro e la mancanza di quella leadership che aiuti a coniugare i bisogni aziendali con quelli individuali e di gruppo.
Non bisogna poi dimenticare eventuali disillusioni di crescita personale e professionale che l’organizzazione compie attraverso i propri messaggi di employer branding.
Tra le cause di questi cambiamenti che hanno portato al “Great Reshuffle” (come suggerito da LinkedIn), non dimentichiamo di includere anche molti fallimenti dei manager nel bilanciare benessere e obiettivi aziendali con la concreta crescita personale o con addirittura comportamenti diffusi di micro-management.
A fine 2022, uno studio globale condotto da LinkedIn su 2.900 executive (C-suite) ha evidenziato un rallentamento delle assunzioni a livello globale, con il 34% delle aziende italiane che ha ridotto i propri piani di hiring.
Oggi, quasi la metà (49%) dei lavoratori intervistati si sente più sicura di richiedere una promozione o una nuova opportunità rispetto all’inizio del 2022, mentre solo un quinto (20%) si sente meno fiducioso. Inoltre, il 47% si sente più a proprio agio nell’esprimere disaccordo con un superiore.
In Italia, più della metà degli intervistati (54%) sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, con differenze tra le fasce d’età: il 69% nel gruppo 18-24 anni, il 46% nel gruppo 45-54 anni, e solo il 27% nel gruppo over 55.
La maggior parte dei Millennial (25-34 anni) e dei più anziani (35-54 anni) cita la necessità di guadagnare di più come la ragione principale per un cambiamento, mentre solo il 31% della Gen Z cita la paga come motivo principale.
Invece, per i più giovani (18-24 anni), la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (29%) e la sicurezza nelle proprie capacità (29%) sono ragioni importanti per cambiare lavoro, mentre solo il 23% dei millennial cita la work-life balance come priorità e solo il 19% si sente più sicuro delle proprie capacità.
Solo il 20% della Gen Z segnala una buona work-life balance attuale, rispetto al 39% dei millennial e al 30% delle altre fasce d’età. Infine, il 25% dei lavoratori tra i 35-44 anni è annoiato dal proprio ruolo e cita questo come motivo per cambiare lavoro, una percentuale significativamente superiore a tutte le altre fasce d’età.
In questo scenario la parola chiave dell’engagement risuona fortemente, sia per frenare le emorragie di competenze e il loro continuo ricambio, sia per mantenere livelli di performance adeguati a mercati sempre più concitati e veloci, sia per superare le difficoltà di integrazione delle nuove generazioni in azienda.
L’engagement intergenerazionale
Le generazioni attuali sono impegnate ad equilibrare le loro aspettative per il presente, che sono notevolmente differenti e in qualche modo risultanti dalla pandemia e dalle relative trasformazioni.
La focalizzazione sul presente è diffusa in ogni generazione, ma la percezione del futuro varia in base all’età, anche se in alcuni casi è simile. Questo incide non poco sulle prospettive di fidelizzazione con un datore di lavoro.
Per mantenere un ambiente di lavoro motivante e coinvolgente, le aziende non possono, pertanto, non tener conto delle diverse generazioni compresenti e delle loro motivazioni, poiché cambia per ciascuna generazione la declinazione di alcuni paradigmi che descrivono importanti aspetti della vita.
Come descrive bene Diego Martone in “Senza età”: “pensiamo al rapporto di equilibrio vita privata/lavoro, con un’evoluzione che è ottimamente riassunta nei seguenti slogan generazionali: si è passati dal “work is living” della Silent Gen al “live to work” dei Boomers, dal “work to live” della generazione X al “live in the moment” della generazione Y, fino al “S1E1:work” della Gen Zed”.
Proviamo allora a fare una breve fotografia delle aspettative delle diverse generazioni al lavoro e delle misure che solitamente vengono apprestate dal mondo aziendale.
La Generazione dei Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964) cerca una stabilità finanziaria e una pensione sicura. I loro obiettivi sono quelli di impegnarsi a mantenersi attivi e in salute cercando di non gravare su figli e nipoti.
Con questo cluster le organizzazioni provano a prefiggersi l’obiettivo di offrire programmi di pensionamento solidi e ben progettati per mantenere il loro impegno e coinvolgimento sul lavoro, magari provando anche a valorizzare l’esperienza e la conoscenza di questa generazione, offrendo loro opportunità di mentoring o formazione per giovani dipendenti.
Per la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), le opportunità di crescita e sviluppo professionale sono fondamentali per mantenere l’engagement.
Questa generazione si trova una discreta stabilità lavorativa reddituale e patrimoniale (comunque inferiore ai loro genitori) e tra i loro obiettivi c’è ancora il tema di essere condizionati dal completamento del progetto familiare.
E cerca inevitabilmente anche un equilibrio tra vita privata e lavoro; quindi, le aziende si pongono l’idea di offrire flessibilità negli orari di lavoro o la possibilità di lavorare da casa per mantenere una motivazione al lavoro adeguata, provando ad incoraggiarla con la formazione continua e offrendo nuove opportunità di avanzamento di carriera.
Per la Generazione Y o Millennials (nati tra il 1981 e il 1996), la cultura e i valori aziendali sono da sempre stati molto importanti. Questa generazione è stata attratta da aziende che hanno missione e valori forti e che mostrano un impegno per la sostenibilità e la responsabilità sociale, ma vive ancora il lavoro, il reddito e la disponibilità economica come incerte e continua in molti casi ad essere protesa verso l’uscita dalla precarietà, con la prospettiva di creazione o crescita di una propria famiglia.
In questi casi l’orientamento del welfare aziendale dovrebbe essere teso ad incoraggiare la creatività e l’innovazione attraverso progetti di gruppo e fornire una visione chiara e trasparente per il futuro per mantenere l’impegno dei Millennials.
Per quanto riguarda la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012 circa), cresciuta nel mondo digitale e abituata a lavorare in modo collaborativo e interattivo, dobbiamo considerare un gruppo sociale in buona parte ancora dipendente dalla famiglia di origine, che è impegnata a terminare il proprio percorso di istruzione per il successivo ingresso nel mondo del lavoro.
Il trend che sembra distinguersi oggi per le aziende è quello di incoraggiare sempre di più l’inclusività e la diversità, rispettare le opinioni e le esigenze dei dipendenti più giovani, per creare un workplace positivo e fluido, sulla scorta delle trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo del lavoro.
Abbiamo forse compreso che le percezioni, i vissuti e le rappresentazioni dell’ambiente lavorativo differiscono tra le generazioni, ma sempre di più queste condividono gli stessi spazi e gli stessi progetti aziendali.
Trascurare queste differenze può avere un impatto sulla produttività e sul clima aziendale, nella comunicazione e nell’apprendimento del lavoro. Non tanto forse nella difficoltà nell’utilizzo di tecnologie, ma soprattutto nel modo di percepire e vivere con senso di appartenenza le regole e la mission aziendale, considerati sempre di più dei fattori distintivi di valore aggiunto anche per i risultati di business.
Tuttavia, all’interno dei sistemi relazionali aziendali, tende ad emergere una convergenza, basata sugli obiettivi comuni, sul linguaggio specifico e condiviso che caratterizza le attività, sul modus operandi dell’azienda stessa, sul codice non scritto di comportamento aziendale che viene direttamente o indirettamente trasmesso e assimilato dall’onboarding in poi.
A volte è molto più probabile, infatti, condividere una visione comune con un collega di una generazione diversa, ma appartenente alla medesima azienda, che con una/un coetaneo che lavora in un campo o settore molto differente.
In sintesi, quello che solitamente chiamiamo “engagement” ha bisogno necessariamente di una rivisitazione proprio in prospettiva intergenerazionale e di “belonging” organizzativo.
Non solo per i cambiamenti delle fasi e dei cicli di vita delle persone nelle organizzazioni, ma proprio in ottica cooperativa, integrata, di mutuo scambio di esigenze e rappresentazioni semantiche del concetto di lavoro.
Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z, lavorando insieme con esigenze diverse, richiedono una talent & rewards strategy composita e segmentata, che tenga conto dei fabbisogni dei diversi cluster di popolazione aziendale e di quelli individuali.
Engagement intergenerazionale: conviene puntare su tempo o denaro?
In tutte le indagini che approfondiscono le Nuove Generazioni in azienda, i giovani vengono rappresentati come una generazione che ricerca un equilibrio tra vita lavorativa e privata, presta attenzione all’impatto ambientale, all’integrità e agli effetti a lungo termine delle loro azioni.
La loro soddisfazione sul lavoro e il loro impegno nell’azienda sono fermamente legati alla condivisione dei valori personali con quelli dell’organizzazione. Sembra quasi che la formula magica sia: maggiore sarà la coerenza con i principi e l’etica aziendale, più i giovani saranno in grado di dare il massimo.
Ma non possiamo ridurre il ragionamento solo a questo: è necessario fare i conti anche con gli annosi, e pur sempre attuali, aspetti retributivi.
Abbiamo compreso che il valore della gestione del tempo e del lavoro per obiettivi sembra essere maggiormente apprezzato dai Millennials e dai Gen Z lavoratori, laddove ne abbiano già fatto esperienza del mondo professionale, ma non sappiamo ancora se i giovanissimi (oggi studenti) effettueranno la loro stessa scelta culturale, o nutriranno una percezione del valore del denaro più pragmatica rispetto ai “cugini” di generazione.
La crisi economica del 2008 influì sui Millennials facendo loro abbandonare molte pretese sulla carriera e la certezza del futuro professionale; sarà molto utile monitorare in questi anni gli effetti delle attuali difficoltà economiche su tutta la popolazione giovanile.
Quanto guadagnano Boomer, Gen Z e Millennial
Una recente indagine di Odm Consulting ha rilevato che un impiegato di 30 anni guadagna il 34% in meno rispetto a un impiegato di 60 anni. Le retribuzioni medie di diverse generazioni, tra cui i Baby Boomer, la Generazione X, i Millennial e la Generazione Z, presentano notevoli differenze, creando un vero e proprio “generational pay gap“.
La retribuzione media per un impiegato è di 33.514 euro all’anno, ma un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più, un impiegato della Generazione X il 12,2% in più e un Millennial solo l’1,6% in più. Invece, un impiegato della Generazione Z guadagna il 23,1% in meno rispetto alla media.
In altre parole, un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più rispetto a un impiegato della Generazione X e addirittura il 34% in più rispetto a un Millennial.
Quando la discriminazione di età diventa strutturale non deve essere sottovalutata, anche se Daniel Pink da alcuni anni ci ha spiegato che la motivazione umana è principalmente intrinseca e che i tradizionali modelli di motivazione guidati dalle ricompense e dalla paura delle punizioni, dominati da fattori estrinseci come il denaro, fanno parte di un vecchio paradigma che non funziona bene negli ambienti di lavoro moderni.
Di certo c’è che gli aspetti retributivi sono parte integrante della “sicurezza psicologica” delle dottrine agile e, se in azienda non sono assicurate saldamente (soprattutto durante le tempeste inflazionistiche) o sono tema di disparità generazionale, l’engagement basato su purpose e storytelling deflagra malamente.
Per quanto riguarda allora i total rewards, ovvero il sistema completo di gratificazioni che comprende sia le componenti tangibili come la retribuzione e il welfare, che quelle qualitative ed intangibili come lo sviluppo e l’ambiente di lavoro, probabilmente le Nuove Generazioni richiederanno un’attenzione riformulata sia degli aspetti intangibili, ma anche di quelli più concreti. Continuerà ad essere importante il “perché” e il “come” dei riconoscimenti ma forse anche il “quanto”.
La gestione della diversità così diventa ancora più olistica: dimentichiamo infatti sistematicamente che tra gli elementi che costituiscono i temi di D&I c’è anche il divario economico tra gli individui, e se consideriamo strategico inserire queste dinamiche culturali in azienda, la “Diversity EQUITY and Inclusion” deve essere considerata fondamentale in tutte le fasi della gestione del capitale umano: dal reclutamento, alla formazione, alla carriera e alla definizione dei pacchetti retributivi, e così via.
Esistono inevitabilmente dei rischi di conflitti tra gruppi eterogenei e difficoltà di comunicazione connessi alle diverse modalità di lavoro. La retribuzione individuale dovrebbe essere maggiormente legata alla professionalità, ai risultati, più che al tempo dedicato al lavoro e alla seniority aziendale.
La capacità di tenere il passo con lo sviluppo tecnologico, l’innovazione e l’attualità culturale diventerà, a tendere, importante quanto l’esperienza maturata.
Per ciò che riguarda la retribuzione, c’è chi suggerisce che potrebbe essere utile personalizzare i pacchetti retributivi con un peso maggiore della retribuzione variabile, per comportare una minore rigidità retributiva e la possibilità di adeguare i pacchetti in base alle performance.
Ma la componente del welfare aziendale continuerà ad acquisire comunque sempre maggior importanza nella retribuzione complessiva, soprattutto in quelle realtà che lo utilizzano come leva di attraction e retention collegandola ai valori aziendali.
Per questo un aspetto cruciale sarà inesorabilmente la capacità delle aziende di comunicare sulle tematiche retributive in modo finalmente trasparente (dagli annunci di lavoro alle prospettive di carriera), invece di considerarle argomenti riservati o tabù.
Le motivazioni “di nuova generazione”
In passato, la motivazione al lavoro era basata sulla semplice accettazione da parte dei dipendenti, ma con l’evoluzione professionale di questi ultimi anni, la motivazione richiede strategie di engagement sempre più profonde.
Citando nuovamente “Drive” di Daniel Pink, per far sì che i dipendenti siano veramente motivati, è necessario che vivano un’esperienza “autotelica”, dove l’attività stessa è una ricompensa e la padronanza di un compito appreso alimenta ulteriormente la motivazione.
Per affrontare questi nuovi paradigmi e migliorare i risultati di attraction&retention, è importante allora considerare gli aspetti di autonomia, padronanza e scopo come elementi chiave delle esperienze professionali in azienda per tutte le generazioni.
È certamente auspicabile che ognuno trovi il suo “flow” attraverso questo tipo di personalizzazione della gratificazione retributiva e non, ma soprattutto che tutto questo venga sviluppato attraverso una lente strategica di intergenerazionalità, magari coinvolgendo direttamente senior e junior in una definizione trasparente dei benefit, delle retribuzioni e degli obiettivi comuni, così come in una riformulazione coraggiosa del classico percorso trifasico (studio, lavoro, pensione) del ciclo di vita organizzativo.
“Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo.” (Anton Pavlovic Cechov)
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/engagement-generazionale-sul-lavoro.jpg403668Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2023-02-23 12:30:102023-02-23 12:45:55Come motivare generazioni differenti di lavoratori in azienda
Levi’s celebra i 150 anni dei suoi mitici jeans 501 e ci ricorda quanto sia uno dei brand più iconici e conosciuti in tutto il mondo. Per festeggiare questo importante traguardo Levi’s si è affidato all’agenzia Droga5 New York che ha realizzato tre diverse campagne che raccontano storie reali legate alla storia dei 501. Il mitico jeans ha messo d’accordo moltissime differenti persone e personalità che nel corso degli anni hanno scelto questo modello per rappresentare se stessi: dai rivoluzionari, ai sex symbol, ai ribelli.
Levi’s 501 ispiratore e protagonista di grandi cambiamenti | The Greatest Story Ever Worn
Con la campagna The Greatest Story Ever Worn, Levi’s celebra il jeans come il protagonista che ha incoraggiato i cambiamenti socialied individuali non solo nella cultura dello stile e dell’abbigliamento delle diverse epoche, invogliando le generazioni più giovani a far parte di una nuova storia.
Le tre nuove campagne si ispirano ad alcuni momenti più importanti ed interessanti: nel primo film, Precious Cargo, diretto da Melina Matsoukas è raccontato l’arrivo dei 501 in una Giamaica degli anni ’70 e di come abbiano stravolto positivamente lo stile degli abitanti. Tanto da diventare i promotori di un nuovo e vivace stile che ha fatto il giro mondo.
Il film Legends Never Die e diretto da Martin de Thurah vede come protagonista un Levi’s addicted che chiede come desiderio quello di essere vestito con i suoi jeans preferiti anche per il suo ultimo viaggio. Ma non solo: chiede a tutti i partecipanti di fare lo stesso durante il suo funerale. Di certo, un’uscita con stile.
Sempre diretto da Martin de Thurah, Fair Exchange ci riporta nel 1962 in Georgia, in cui è avvenuto uno degli scambi più innovativi – o strani se vogliamo- di quel periodo, trasformando il jeans in un irrinunciabile oggetto di desiderio.
Lo spot racconta di un ragazzo che, innamoratosi di questo capo d’abbigliamento avanguardista, decide di barattare la mucca di famiglia con i Levi’s 501.
Sorprendenti e al tempo stesso profondi questi film che ci accompagneranno durante il 2023, certo, ma Levi’s ci ha da sempre abituati a memorabili pubblicità che ancora oggi rimangono impresse, un po’ proprio come la sua storia e i suoi valori. Del resto, è un capo d’abbigliamento così rivoluzionario ed iconico che ha visto una sua continua evoluzione fin dalla sua nascita.
Fonte: Levi Strauss & Co
Era il 1873 quando l’imprenditore Levi Strauss e il sarto Jacob Davis realizzano delle tute da lavoro rinforzate con dei rivetti metallici, resistenti ed adatte al duro lavoro dei cercatori d’oro nel territorio di San Francisco.
La particolare idea nasce non solo da una specifica esigenza ma anche dall’intuizione di migliorare e facilitare l’usabilità delle tasche dei pantaloni, dando vita così ai famosi blue jeans. Le prime salopette da lavoro chiamate XX fino al 1890, furono il prototipo di quello che negli anni diventò il jeans 501, i pantaloni da lavoro più venduti negli Stati Uniti.
Ed è prima del 1900 che venne creata la famosa etichetta Two Horse, registrata come marchio e stampata sulla toppa di pelle, simbolo inconfondibile del brand.
Fonte: Levi Strauss & Co
Gli intramontabili jeans hanno segnato grandi cambiamenti nella cultura e non solo in fatto di stile e abbigliamento. I Levi’s hanno infatti rappresentato per anni il senso di libertà e indipendenza, tanto che nelle sue prime pubblicità i protagonisti erano i cowboy, uomini liberi e dediti al bestiame e alla terra.
Fonte: Levi Strauss & Co
La rivoluzione culturale del dopoguerra
Nel dopoguerra il brand cambia il suo posizionamento: da capo essenziale per il lavoro a quello casual per il tempo libero.
Mantenendo però quella riconoscibilità di un carattere ribelle e provocatorio. Dagli anni ’60 fino agli anni ’90, i 501 segnano una rivoluzione sociale: indossato dai più giovani riescono a sdoganare il tessuto denim, trasformandolo in un simbolo autentico di ogni tipo di cultura e status sociale.
Dalle scuole, all’università, dagli hippy ai rockers, dalle celebrità ai greaser ai motociclisti: i jeans diventano un must have della controcultura, un oggetto del desiderio irresistibile e irrinunciabile che evoca fascino, mistero ed ancora libertà, come James Dean.
Original Route 66 | Vintage Levi’s 1976
Laundrette – 1985
Negli anni ’80 i 501 sono sinonimo di attrazione, evocano quella misteriosa sensualità espressa dai sex symbol il più delle volte irraggiungibili.
È anche grazie a queste coraggiose pubblicità dell’epoca che molte star hanno iniziato la propria carriera. Basta pensare al modello e cantante (e compianto) Nick Kamen, al modello italo-americano Mario Sorrenti o al più noto Brad Pitt.
Camera – 1991
Perché gli originali resistono alla prova del tempo.
Pool Hall -1991
Negli spot dei Levi’s 501 sono incluse anche canzoni considerate pietre miliari della musica o che sono diventate famose proprio grazie alle pubblicità e che leghiamo indissolubilmente al brand. Chi non ricorda Boombastic di Shaggy, Inside degli Stiltskin e Flat Beat del Dj Mr Oizo su cui l’iconico pupazzo Flat Eric faceva headbanging?
Boombastic -1995
Flat Eric -1999
Creek – 1994
Blind Man -1996
Nei primi anni 2000, Levi’s 501 lancia la campagna globale Live Unbuttoned in cui, attraverso diverse pubblicità, si rievoca la libertà senza condizionamenti e si esorta ad avere una visione positiva della vita e sciogliere le inibizioni, a “sbottonarsi” allo stesso modo con cui si sbottonano appunto i famosi jeans.
Unbuttoned – 2008
Nel 2014 la nuova campagna Live in Levi’s che include diverse pubblicità, mira a rinvigorire l’anima del brand, a celebrare il suo spirito ottimista e ad evidenziare l’autenticità del prodotto insieme a quello di ogni persona.
La narrazione si fa più consistente, più impegnata, in cui emerge l’evoluzione dei valori, vicini ad una società che anche in quest’epoca mostra una rivoluzione.
Come anche Circles del 2018 che rafforza il concetto attraverso la condivisione.
Levi’s si pone come quel filo conduttore tra le diverse generazioni promuovendo al tempo stesso gli ideali di inclusività e progresso. Si celebrano i valori del brand che da sempre, attraverso gli anni, i momenti storici e culturali, mettono in connessione le persone, che in modo autentico esprimono la propria individualità all’interno di una grande, e in continua evoluzione, comunità.
Ci aspettiamo un nuovo cambiamento e una nuova storia da ascoltare, ma indossando sempre lo stesso immutabile, iconico jeans.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/flat-eric-pubblicita-levis.jpg6661192Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2023-02-23 10:30:252023-02-24 09:38:40Le indimenticabili pubblicità dei Levi's 501 per celebrare i suoi 150 anni
Siamo abituati a pensare al marketing come quell’insieme di tecniche che aiutano l’azienda a vendere i propri prodotti attraverso i brand. Ma, prima ancora di vendere i prodotti, l’azienda deve saper fare Employer Branding, ossia saper vendere se stessa ai potenziali candidati.
Le risorse umane sono un patrimonio intangibile, e attirare o trattenere i talenti non è così semplice come sembra, soprattutto in una contingenza lavorativa complicata come quella attuale. Ma facciamo dei passi indietro per capire meglio il fenomeno.
Il termine employer brand, oggi tra i principali trend del mercato del lavoro, è stato introdotto sul finire del secolo precedente, esattamente nel 1990, da Simon Barrow, presidente di People in Business.
L’intento dell’employer branding è quello di applicare le tecniche di marketing e del brand management alla gestione delle risorseumane, con il fine di migliorare la reputazione dell’azienda in quanto datore di lavoro, rappresentando di fatto il modo in cui l’azienda si vende ai potenziali dipendenti.
Rappresenta a tutti gli effetti un’attività di marketing che considera il luogo del lavoro esattamente come un brand, con l’obiettivo di valorizzare l’identità aziendale per attrarre e mantenere nel tempo le risorse umane, che in questo caso costituiscono il target di riferimento.
È un’attività che lega la comunicazione al marketing e alle risorse umane, con lo scopo di mostrare l’azienda come la migliore a cui aspirare nell’ambito lavorativo (best employement of choice).
Perché è importante la reputazione del datore di lavoro
Le aziende con una buona reputazione sul mercato del lavoro hanno più possibilità di successo nell’attirare i talenti.
Prima di inviare la candidatura per un posto di lavoro, infatti, i candidati effettuano delle ricerche mirate sul potenziale datore di lavoro: secondo un sondaggio di Talent Now l’84% degli intervistati ha affermato che la reputazione dell’azienda risulta fondamentale, a loro volta, l’80% dei responsabili ritiene che l’employer branding abbia un impatto significativo sulle assunzioni.
Il coinvolgimento dei dipendenti rappresenta un buon segnale di employer branding: se i dipendenti sono soddisfatti sarà più facile fidelizzarli all’impiego e saranno più propensi a fare “passaparola”, una delle forme di pubblicità tra le più efficaci al mondo.
Inoltre, il 96% delle aziende concorda sul fatto che una buona attività di employer branding possa avere un effetto positivo sui ricavi.
Avere una solida reputazione permette di trattenere talenti: secondo una ricerca di CR Magazine, il 92% è disposto a considerare la possibilità di cambiare lavoro nel caso in cui ricevesse un’offerta da un’azienda con una buona reputazione.
6 best practice per creare una strategia di employer branding
Il primo passo da compiere è valutare la soddisfazione dei dipendenti. Il riconoscimento è il modo migliore per motivare i dipendenti, il 50% dichiara che sentirsi apprezzati ha migliorato i rapporti con il management, e il 60% delle aziende ammette che il riconoscimento dei dipendenti è prezioso per migliorare le prestazioni aziendali. Gratificare, oltre che con lo stipendio, influisce positivamente sul benessere del dipendente e ne aumenta il senso di appartenenza, ad esempio offrendo percorsi di training per crescere, sviluppando piani di carriera personalizzati e mantenendo una comunicazione fluida con e tra i dipendenti.
Definire il proprio EVP (employee value proposition), la proposta di valore dovrebbe rispondere alla domanda “che cosa offre la mia azienda come datore di lavoro e in che modo è diversa dagli altri?”. Il modo migliore per rispondere è intervistare i propri dipendenti, chiedendo cosa apprezzano, quali aspetti del lavoro li soddisfa e perché hanno scelto di lavorare per l’azienda in questione.
Individua il profilo dei candidati, capire qual è il candidato-tipo aiuta a migliorarne la posizione e di conseguenza la soddisfazione individuale. Nel tracciare il profilo del lavoratore è utile porsi delle semplici domande: quali sono le principali competenze possedute, che tipo di personalità rispecchia, gli obiettivi di carriera che ritiene importanti, cosa lo frustra sul lavoro ecc.
Creare delle mappe dei punti di contatto con il dipendente, risulta particolarmente strategico per non perdere i dipendenti migliori nel tempo, o, addirittura, già dopo il colloquio. Un’esperienza positiva rende infatti propensi ad accettare il posto di lavoro con maggiore serenità.
Creare contenuti accattivanti, che attirino i potenziali candidati a presentarsi: post sul blog e sui social circa gli eventi aziendali, la cultura aziendale, le opportunità di crescita professionale, i futuri progetti dell’azienda, le testimonianze di dipendenti ed ex con esperienza positiva; rendere disponibili i webinar di formazione promossi in azienda.
Coinvolgere i dipendenti nella diffusione dei contenuti, le aziende i cui dipendenti partecipano alla diffusione dei contenuti godono di un maggiore senso di credibilità all’esterno, che può potenzialmente condurre a maggiori domande di lavoro ricevute.
Le difficoltà nell’employer branding
Spesso il settore delle risorse umane non dispone di molte risorse economiche, nonostante tutto sono numerose le aziende che se ne avessero la possibilità investirebbero di più nelle attività di marketing del datore di lavoro.
Di questo, poi, risente anche il coinvolgimento dei dipendenti: uno studio dimostra che 1/4 dei dipendenti intervistati dichiara di non sentirsi al corrente su informazioni da parte della direzione. Il 40% sottolinea di essere disposto a condividere più contenuti sui social se solo fosse più informato.
Inoltre, è necessario tenere presente che, in particolare dopo la pandemia Covid-19, il lavoro non ha più distanze. In gran parte si svolge in remoto, tra diverse parti del mondo, quindi occorre saper assumere senza confini e avere una profonda conoscenza della cultura dei vari dipendenti. Proprio l’esperienza del Coronavirus ha fatto riflettere sulla necessità di mantenere il focus sul presente, come dimostra un seminario condotto da Jason Averbook, CEO e co-fondatore della società di consulenza per le risorse umane Leapgen.
L’importanza di avere dipendenti amabassador
La condivisione dei contenuti sui social, e non solo, da parte dei dipendenti, è un elemento di notevole importanza. L’ultima frontiera, in questione, è rendere il lavoratore ambassador del luogo di lavoro.
Gli ambassador sono personaggi che, in virtù della propria influenza e delle capacità comunicative interpersonali, riescono ad avere un’influenza sugli altri. Rappresentano il “volto” del brand sui canali di comunicazione, dotati di una forza maggiore rispetto alla pubblicità tradizionale, consentono di aumentare la consapevolezza del brand e incrementare la fiducia nei destinatari.
Così come un influencer noto, allo stesso modo il dipendente potrebbe diventare il personaggio a cui, i potenziali candidati, potrebbero prestare maggiore ascolto. Secondo i dati del sondaggio condotto da Nielsen, il 92% dei consumatori si fida di più di chi è nella propria cerchia, solo 1/3 dice di fidarsi della pubblicità tradizionale.
Per la maggior parte dei soggetti, in una situazione di over information, come quella della società contemporanea, nella quale è faticoso gestire gli innumerevoli stimoli comunicativi, è necessario effettuare una selezione. In questo caso, il dipendente soddisfatto può rappresentare un’esempio da seguire.
Curiosità in numeri
L’86% dei professionisti delle risorse umane intervistati ha indicato che il reclutamento sta diventando sempre più simile al marketing, proprio per questo l’employer branding è ormai considerata un’attività imprescindibile per l’azienda, sotto vari aspetti.
Il marketing del datore di lavoro ha un’assoluta importanza nella percezione dei candidati: il 55% delle persone in cerca di lavoro dichiara di abbandonare le domande dopo aver letto recensioni negative online, il 50% afferma che non lavorerebbe per un’azienda con una cattiva reputazione, nemmeno per un aumento di stipendio. Una reputazione negativa può costare a un’azienda fino al 10% in più per assunzione.
Oltre che sulla reputazione, può influire positivamente anche sul turnover: quasi il 30% delle persone in cerca di lavoro ha lasciato l’impiego entro i primi 90 giorni dall’inizio (indicando un disallineamento tra il candidato e l’employer brand). Investendo nell’employer branding si potrebbe diminuire il turnover del 28%.
Il 96% delle aziende ritiene che l’employer branding e la reputazione possano avere un impatto positivo sui ricavi, ma meno della metà, appena il 44%, monitora tale impatto. I primi tre canali in cui le aziende intendono comunicare il proprio employer brand sono, nell’ordine, il sito Web aziendale (69%), le reti professionali online (61%), i social media (47%)
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/01/f1.jpg340510Ilenia Vallerianihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngIlenia Valleriani2023-02-22 11:30:022023-02-23 10:31:15Employer Branding: come attirare talenti in azienda attraverso il marketing
Negli ultimi mesi Amazon Prime Video ha aggiornato il suo look. La nuova identità mira a differenziare la piattaforma video in un panorama sempre più affollato.
Il brand refresh del servizio di streaming tra i più popolari al mondo, con oltre 200 milioni di abbonati, di cui più della metà solo negli Stati Uniti, porta la firma di Pentagram.
L’agenzia indipendente specializzata in design e branding ha sviluppato un aggiornamento del marchio che mette in risalto l’incredibile gamma di intrattenimento e posiziona il servizio di streaming come una casa immersiva per fandom di tutti i tipi.
Oggi gli utenti di tutto il mondo possono accedere e godere di una vasta libreria di film, serie, sport e canali premium. Il marchio utilizza la “fossetta” dell’iconico sorriso di Amazon – “the Dimple” – come catalizzatore per spostare gli spettatori attraverso un’increspatura infinita dei loro contenuti preferiti.
L’identità è stata lanciata insieme a una versione ridisegnata dell’app Prime Video che rende più facile per gli utenti trovare i contenuti che amano.
Differenziare Amazon Prime Video con una nuova personalità
Per distinguere la piattaforma, di fronte a innumerevoli servizi di streaming come Netflix, Hulu, Disney+ e AppleTV+, Prime Video ha cercato una brand identity coerente evidenziando ciò che lo rende diverso da tutti gli altri, aiutando la sua programmazione originale a brillare.
Il framework doveva essere flessibile in modo da essere modulabile per diverse tipologie di contenuto, dall’azione al dramma, dalla commedia allo sport, e adattarsi alle sfumature culturali nei vari mercati globali. Tra le altre esigenze c’era quella di correlare Prime Video al marchio principale Prime, pur mantenendo la propria personalità distinta.
La personalità del marchio è divertente, spiritosa e intelligente, guida gli spettatori attraverso la straordinaria gamma di spettacoli e film.
Pentagram, lavorando in stretta collaborazione con il team di Prime Video, ha contribuito a evolvere il posizionamento con un linguaggio visivo completo che riflette la passione per l’intrattenimento e fa spazio a tutti i tipi di storie.
Il framework conferisce a Prime Video un aspetto distinto e avvincente all’interno del mondo Amazon, sincronizzandosi con gli elementi Prime Video esistenti per creare un’esperienza coinvolgente del marchio.
Elementi familiari arricchiscono il carattere giocoso del brand
Con un occhio accattivante per i dettagli e un gioioso senso dell’umorismo, il rebrand esprime l’idea che Prime Video sia estremamente sintonizzato e nerd (nella sua accezione più positiva) quando si tratta di intrattenimento.
L’identità utilizza elementi familiari del marchio in maniera divertente e sorprendente, trasformando la freccia del sorriso di Amazon in una forma distinta e personale che trasmette movimento, slancio ed energia.
La forma curva può essere ritagliata in sezioni caratteristiche o utilizzata come cornice/finestra per immagini. Le immagini sono grandi e audaci e irrompono attraverso la fossetta. Il colore del brand è un brillante e contemporaneo “Prime Blue” tratto dalla palette Prime.
Pentagram ha creato un nuovo e audace carattere tipografico proprietario in collaborazione con Lucas Sharp di Sharp Type.
La nuova versione personalizzata di Sharp Grotesk, chiamata Prime Video Sharp, è forte e amichevole, con molteplici pesi che si adattano alla famiglia Prime e supportano il tono esuberante della messaggistica.
Il carattere è progettato per adattarsi a dozzine di simboli giocosi, soprannominati “Iconics”, che possono rappresentare vari generi o creare scorciatoie simili a rebus.
Il concetto si adatta abilmente a qualsiasi cosa, dai cartelloni pubblicitari ai social media, dalla grafica animata agli spot TV, passando per la GUI (interfaccia utente grafica).
I designer hanno sviluppato due modalità visive distinte, o “tunnel”, per diversi tipi di contenuti: audace e luminoso nel caratteristico blu di Prime Video per un tocco di cultura pop, o cupo e cinematografico per quando le cose si fanno più serie, sofisticate e drammatiche.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/nuova-identita-visiva-di-amazon-prime-video-1.jpg482800Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2023-02-22 09:40:162023-02-23 10:32:07La nuova identità visiva di Amazon Prime Video
L’inflazione, argomento di assoluta attualità che coinvolge l’economia mondiale e la nostra società tutta, sta avendo ricadute anche sul content marketing. Ad una prima lettura potrebbe sembrare insolito il nesso fra Content Marketing e questo fenomeno, ma nuove sfide e cambiamenti stanno interessando il lavoro dei marketer, tanto da parlare sempre più spesso di Content Inflation.
Cos’è di preciso e che ricadute ha la Content Inflation sulle decisioni (e sui budget) di addetti al marketing e aziende? Scopriamolo insieme.
Il Content Marketing ha un solo imperativo: farti crescere
“Content is King”, il mantra su cui si basano tutti i professionisti della SEO e del marketing online, stabilisce la sovranità del contenuto perché è attraverso questo che ci si può connettere davvero con le persone.
I contenuti come testi, immagini e video sono il più importante combustibile del grande motore informativo chiamato Internet, ambiente in cui, secondo il report The Global State of Digital 2022, le persone – e quindi i potenziali clienti – spendono circa 7 ore al giorno, vale a dire circa il 42% del tempo di veglia.
Se prima per annunciare un nuovo prodotto o i valori aziendali era sufficiente investire su contenuti destinati alla tv e alla stampa, oggi i canali di comunicazione sono molteplici e il processo d’acquisto si sviluppa attraverso diversi touchpoint.
Inoltre, molti brand, per attrarre nuovi tipi di pubblico, hanno sviluppato al loro interno delle nuove linee (vedi brand ombrello e brand portfolio) dove per ogni nuovo sotto-segmento è necessario un messaggio diverso.
Lo scenario in cui avviene tutto ciò, come dicevamo in apertura, è quello di una economia in grande difficoltà che lascia sempre meno spazio agli investimenti nelle attività di Content Marketing.
Content Inflation: perché non puoi ignorarla
Come è noto, ci troviamo davanti a un fenomeno inflazionistico quando si registra un rincaro di ampia portata, tale per cui con la stessa quantità di moneta si possono acquistare meno beni e servizi rispetto al passato. In altre parole, l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.
Cosa ha a che fare questo con i contenuti che ogni giorno vengono pubblicati su social, blog, newsletter e altri canali?
Molti contenuti presenti sul web sono ormai “inflazionati”, cioè ci sono tante copie di video e testi che non permettono di distinguersi e risultare efficaci.
In modo simile a quanto accade in economia, l’aumento considerevole della quantità totale diluisce il valore del singolo contenuto e l’incremento dei costi connessi alla produzione causa maggiore difficoltà nel generare output originale.
Ma non solo. Considerato che i canali da presidiare sono molteplici e con varie opzioni di formato (newsletter, reel, video in diretta, stories, blog post e podcast, solo per citarne alcuni), spesso lo stesso contenuto viene riutilizzato adeguandolo alle tante piattaforme, risultando snaturato e poco convincente.
Inoltre, grazie alle preziose informazioni che è possibile estrarre dagli UGC e dai metadati degli utenti, diventa sempre più importante (e utile) personalizzare le offerte, i prodotti e la comunicazione in base a fattori come la geolocalizzazione, i dati demografici, il dispositivo utilizzato a molti altri indicatori.
Per rispondere con successo alla Content inflation è necessario allocare una quantità maggiore di budget all’aumentare dei canali da presidiare con i contenuti per poter essere ancora efficaci.
Il 70% dei marketer ha un quadro sufficientemente chiaro della situazione e punta ad aumentare gli sforzi economici da indirizzare nel Content Marketing, ma in che modo è possibile pianificare i contenuti in maniera smart e ottimizzarli se abbiamo a disposizione un budget limitato?
Da dove partire per una content strategy anti crisi: il webinar di TERRITORY Influence
“Poiché le persone trascorrono una quantità significativa di tempo su un numero sempre crescente di canali, le aziende e i brand sono costretti a trovare soluzioni strategiche per reperire una grande quantità di contenuti specifici per i canali con un budget limitato.” – Ares Georgoulas, Executive Director, TERRITORY Munich.
Non lasciarsi sopraffare dalla Content Inflation è possibile attraverso la ricerca di una strategia per creare tanti contenuti di valore senza andare fuori budget. In che modo?
Pensando alla Content Strategy in maniera più ampia e ponendosi le giuste domande.
Per esempio, chiediti “in che modo potrei adattare la mia comunicazione per renderla adeguata ai diversi canali?”; oppure, “quali tool e piattaforme possono aiutarmi a ottimizzare il tempo e gli sforzi?”.
E ancora, “in che modo posso costruire una content factory per il mio brand?”
Nel webinar del 2 marzo, gli esperti di TERRITORY Influence insieme a Sprinklr ti mostreranno come ampliare e ottimizzare il portafoglio di contenuti grazie a best practice dei principali brand nel settore Tech, Beauty e Automotive e ai consigli per la pianificazione e analisi della strategia di content marketing per il 2023.
Grazie ad Andrea Barri, Senior Solutions Consultant di Sprinklr, Alessandra Arcuri, Project Manager TERRITORY Influence e Christian Piottoli, Key Account Manager di TERRITORY Influence, avrai l’occasione di imparare a pianificare i contenuti in maniera smart, senza soccombere alla Content Inflation.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/content-marketing-content-inflation.jpg517789Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2023-02-21 10:41:172023-02-24 09:41:10Content Inflation, cos'è e come pianificare una strategia di Content Marketing efficace
Negli ultimi mesi a chiunque sarà capitato di imbattersi in immagini generate con l’intelligenza artificiale. Per realizzarle è fondamentale cimentarsi nella creazione di prompt per immagini AI efficaci, in modo tale da generare opere realistiche (se voluto) e il più possibile accurate.
Attraverso una panoramica generale e alcuni suggerimenti utili proviamo a fare chiarezza sulla generazione di immagini AI, dal testo all’immagine. Bisogna sempre ricordare che potrebbero esserci delle differenze tra i vari generatori, a seconda della piattaforma (DALL-E2, Stable Diffusion o Midjourney, per esempio) che stiamo utilizzando.
Cosa sono i prompt
Il prompt è un insieme di istruzioni da fornire a un algoritmo di apprendimento automatico che viene utilizzato per generare un output specifico; consente all’utente di fornire suggerimenti all’AI, come ad esempio un colore o un soggetto. Quest’ultima genererà un’opera d’arte basata su quell’indicazione.
Quindi, si possono definire come il mezzo di comunicazione per i generatori di AI, che trasmettono l’idea (cioè cosa dovrebbe contenere l’immagine) ai modelli di machine learning, trasformando il testo in un’immagine.
Esistono vari tipi di prompt. Possono essere semplici come una singola riga di testo oppure più complessi, con l’utilizzo di emoji che danno la possibilità di ottenere l’output desiderato.
Come generare immagini con i prompt
Se stai cercando un generatore AI da testo a immagine, puoi dare un’occhiata a DALL.E e DALL.E2. Anche se accedere a questi generatori non è facilissimo. I seguenti modelli sono basati sul web e non richiedono una grande potenza di calcolo del CPU:
Guida base per la creazione di prompt per immagini AI
Per quanto riguarda i suggerimenti da inserire nelle istruzioni del tuo prompt, come regola base dovrai ricordare che, al suo interno, il prompt dovrà contenere un nome, un aggettivo e un verbo per creare un soggetto interessante.
Ecco alcune linee guida generali da seguire:
Scrivi almeno da 3 a 7 parole: un prompt con più di tre parole darà all’AI un contesto chiaro.
Usa più aggettivi: infonderanno più “sentimenti” nell’opera d’arte (es. bello, realistico, colorato, massiccio).
Includi il nome dell’artista: l’AI imiterà lo stile di quell’artista (es. Picasso, Vincent Van Gogh, Paul Gaugin).
Scegli uno stile: se vuoi riprodurne uno in particolare, includi il nome desiderato (es. surrealismo).
Usa la grafica computerizzata: l’opera diventa più efficace e significativa utilizzando, ad esempio, Octane render, Cycles, Unreal Engine, Ray tracing.
Scegli la qualità: indica la risoluzione come bassa, media, alta, 4k e 8k.
Non usare parole vietate dal generatore di intelligenza artificiale.
Anatomia base di prompt efficaci
Per la generazione di immagini in AI, il prompt è tutto. La scrittura di ciò che si desidera ottenere può fare la differenza tra un’immagine realistica e accurata e una che sembra disegnata da un bambino.
Generalmente, un input di testo per la generazione di immagini AI ha sempre la stessa struttura. Nella maggior parte dei casi sono necessari tre elementi:
soggetto: cosa vedi?
dettagli e ambientazione: di cosa si tratta?
stile, artista(i), tipo di media: come deve apparire?
È bene ricordare che la lingua di input deve essere chiara e concisa. Ad esempio, una frase completa grammaticalmente corretta, per garantire che il modello possa apprendere il contesto dell’input e creare un’immagine corrispondente; se sono presenti ambiguità o errori nell’input, la generazione dell’immagine ne risentirà.
Descrivi ciò che dovrebbe esistere, non ciò che manca
Se vuoi evitare di avere un uomo con la barba, non scrivere “un uomo senza barba” ma “un uomo rasato”. L’intelligenza artificiale prende le cose alla lettera, quindi se c’è qualcosa nel prompt, è probabile che lo riproduca.
Inoltre, ricordati che parole plurali vaghe come “gatti” lasciano molto spazio all’interpretazione dell’intelligenza artificiale da testo a immagine, quindi, come regola generale, viene consigliato di inserire un massimo di tre soggetti.
È poi importante sapere in quale lingua è stato programmato il modello, perché lingue diverse possono avere un ordine delle parole diverso e questo può influire sulla generazione dell’immagine. Se utilizzi un generatore di testo in immagine con traduzione automatica incorporata, aspettati molti errori dovuti a una traduzione errata.
Se stai cercando di ottenere il massimo dal tuo prompt, è consigliato l’inglese quando si utilizza: Stable Diffusion, DALL.E, DALL.E2, Midjourney o Dreamstudio.
L’algoritmo Stable Diffusion è stato programmato su un sottoinsieme LAION-5B, che contiene 2,3 miliardi di coppie immagine-testo in inglese e 2,2 miliardi di coppie immagine-testo da oltre 100 altre lingue; questo significa che non sei limitato all’alfabeto dell’Europa occidentale.
Il paese di origine dell’AI può fare una grande differenza nell’output. È molto probabile che le AI programmate con i dati di un paese specifico conoscano gli artisti di quel paese.
Quindi, se stai usando un’intelligenza artificiale russa, probabilmente avrà maggiori conoscenze relative agli artisti russi e dell’Europa orientale. Il consiglio è quello di selezionare il miglior generatore di testo in immagine per l’aspetto specifico che stai cercando di produrre.
Inoltre, non sottovalutare che le AI sono bias based: non dimenticare che i database di immagini su cui è stato programmato un generatore di AI possono contenere pregiudizi sulla base del loro addestramento.
Suggerimenti per la creazione di prompt per immagini AI efficaci
Ecco alcuni suggerimenti da ricordare durante la creazione di prompt per la generazione di immagini AI:
Pensa a che tipo di immagini vuoi generare. Devi sapere se vuoi generare immagini realistiche o astratte. Una volta chiarito, sarà più facile trovare suggerimenti appropriati.
Considera a quale tipo di informazione desideri che l’AI abbia accesso. Ad esempio, se stai generando immagini realistiche, dovrai fornire i dati sulla scena, come la posizione, l’illuminazione e gli oggetti presenti. Al contrario, se stai generando immagini astratte, potresti fornire un elenco di colori, forme e motivi.
Cerca di essere il più specifico possibile con i tuoi suggerimenti.
Usa diversi stili artistici come i filtri nei tuoi prompt, consentirà all’AI di aggiungere personalità alle tue immagini generate dall’intelligenza artificiale, attraverso una serie di istruzioni da seguire.
Mantieni il prompt semplice. I prompt complessi possono essere difficili da comprendere per il modello AI e possono portare a una generazione di immagini imprecisa.
Definisci una tavolozza di colori nei tuoi prompt; l’AI la utilizzerà per la generazione della tua immagine.
Scrivi un prompt che contenga i nomi di più artisti famosi per ottenere uno stile unico.
Sii creativo! Non ci sono risposte sbagliate quando si tratta di richiedere la generazione di immagini AI. Quindi non avere paura di sperimentare e vedere che tipi di risultati puoi ottenere.
Può essere una grande sfida per l’intelligenza artificiale creare immagini partendo dal testo, perché a volte potrebbe non comprendere le relazioni (di significato) per generare l’opera finale. Puoi provare a ripetere la descrizione, modificare l’ordine delle parole, ripetere elementi o aggiungere più oggetti.
Sii paziente. Può essere necessario del tempo per comprendere il comportamento del modello AI e iniziare a generare immagini realistiche accurate.
Copywriter o Graphic Designer, Digital Strategist o SEO Specialist: qualunque sia la tua specializzazione digitale, in questo momento hai bisogno di aggiornarla al nuovo modo di fare Marketing.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/intelligenza-artificiale-scrivere-prompt.jpg6111004Alice Ambrosihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlice Ambrosi2023-02-20 15:49:512023-02-22 09:42:25Come creare prompt per immagini AI efficaci: la guida
Sanremo, poi Super Bowl e subito San Valentino. In sostanza, soldi, soldi e ancora soldi. Tra le notizie della scorsa settimana non sono mancate le discussioni sugli sforzi economici delle organizzazioni.
I budget stratosferici che i brand hanno pagato per aggiudicarsi uno spazio durante The Big Game (qui puoi vedere le creatività più belle) ci danno una chiara idea di quanto sia importante esserci ed essere visibili, al massimo.
Ma anche essere “sempre sul pezzo”, come fa Ogilvy mettendo l’Intelligenza Artificiale Generativa a disposizione dei suoi clienti e come ha fatto l’app di dating OkCupid, che per la Festa degli Innamorati si è affidata a ChatGPT (ne abbiamo parlato in diversi articoli).
Anche per questo, abbiamo raccolto una lista di strumenti digitali indispensabili per il 2023 e una checklist base per il web design, oltre a segnalarti tutte le innovazioni di Shopify per l’eCommerce.
Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.
ChatGPT per trovare l’amore
OkCupid, una delle più famose applicazioni per il dating, ha confermato di aver usato il chatbot per generare le domande a cui due pretendenti dovrebbero rispondere per migliorare la corrispondenza tra i profili e aumentare il “successo” di una possibile relazione.
“Il chatbot di OpenAI ha scritto queste domande per noi – ha sottolineato a Mashable il direttore della comunicazione dell’app Michael Kaye – che ora andranno a ottimizzare il nostro algoritmo“.
Ogilvy si attrezza per l’AI generativa
L’hype intorno all’AI e alle sue implicazioni per la creatività è alto e le agenzie si preparano a rispondere alle richieste dei clienti. Ogilvy Parisha annunciato il lancio di AI.LAB con lo scopo di sviluppare competenze non per scalzare l’esperienza creativa, ma per aumentarla liberando l’immaginazione e offrendo nuove opportunità ai brand.
Una checklist per il web design
Per capire come costruire un sito web di successo, WebCommanderha raccolto in una infografica una lista di controllo con i fattori di web design essenziali. Ecco un elenco completo di tutto ciò a cui bisogna pensare.
25 indispensabili tool per il marketing digitale
In questo articolo troverai una rassegna dei i principali tool per il digital marketing nel 2023: piattaforme per l’invio di newsletter, tool per la programmazione di post, siti web che ci aiutano nella realizzazione grafica o per l’analisi SEO.
Notizie da Shopify: oltre 100 novità per migliorare la conversion
Shopify ha annunciato oltre 100 novità di prodotto lanciate nell’ambito di Edition, l’appuntamento biennale di aggiornamento sulle novità introdotte a livello globale.
Un evento che ha visto incollati allo schermo ben oltre 100 milioni di spettatori tra tifosi e curiosi del grande spettacolo a metà tempo. Ma tra questi ci sono anche gli amanti delle pubblicità che hanno guardato la partita da un altro punto di vista.
Ben 7 milioni di dollari per un passaggio di 30’’: una vetrina che di certo fa gola a molti ma che in pochi possono permettersi.
San Valentino: storia e le campagne di Baci Perugina
La storia d’amore più bella, dal tempo infinito, il cui rimando a San Valentino è diretto? Di sicuro quella raccontata da Baci Perugina, che vede come protagonisti Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni e che continua fino ai giorni nostri attraverso le pubblicità.
Copywriter o Graphic Design, Digital Strategist o SEO Specialist: qualunque sia la tua specializzazione digitale, in questo momento hai bisogno di aggiornarla al nuovo modo di fare Marketing.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/02/griglia-immagine-di-copertina.jpg400803Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-02-20 11:21:282023-02-21 07:44:07Il logo di Burberry, le novità di Shopify, l'AI di Ogilvy e le altre news della settimana
Continuano senza sosta i nostri appuntamenti con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.
L’argomento di questa puntata è dedicato alla LinkedIn Awareness Strategy, scopriremo come progettare una strategia di Brand Awareness per LinkedIn, quali contenuti prevedere nel piano editoriale e come misurare risultati ed efficacia della strategia.
A parlarne con noi Cristiano Carriero, Storyteller & Brand Journalist.