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La Graduation più Unconventional di sempre: partecipa al Retreat e vola con i Ninja

Sei pronto alla più spettacolare Graduation Ninja mai realizzata?

Si terrà il 30 giugno 2023 a Trentinara, in provincia di Salerno,  un evento in grado di riempire di emozione e di adrenalina pura: a conclusione del percorso di studi con l’Executive Master Ninja – IUSVE, gli studenti in attesa di  ricevere il Certificato, potranno toccare con mano la pergamena dopo aver volato tra le montagne del Cilento.

Ninja Retreat - Trentinara - Graduation - zipline copertina

La possibilità di partecipare è aperta anche a tutti gli studenti che hanno partecipato ad una Graduation negli anni scorsi: avranno così l’occasione di provare l’emozione del volo sulla zipline, ma anche di partecipare ad uno speciale Retreat formativo con il team Ninja e con docenti speciali.

La Graduation più emozionante di sempre

Fin dal 2004, Ninja ha fatto del marketing non-convenzionale il proprio marchio di fabbrica.

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Nostalgici dei tempi andati, ma consapevoli di quanto siano ancora attuali e vivi, abbiamo maturato il desiderio di tornare alle origini, riabbracciando quei valori di non convenzionalità a noi sempre cari.

Per questo motivo quest’anno abbiamo deciso di stravolgere il format della Graduation e di renderlo Unconventional.

Superare le proprie paure e andare oltre i limiti, nella vita ma anche nel lavoro. Questo è l’obiettivo che ci poniamo con un evento assolutamente non convenzionale: seguire l’istinto d’avventura lanciandosi tra le montagne con una spettacolare vista sul mare di Paestum.

Ninja Retreat - Trentinara - Graduation

Sarà una delle esperienze più incredibili della tua vita. 

Cos’è il Ninja Elite Retreat

In questo appuntamento così singolare non c’è spazio solo per gli studenti in attesa della certificazione del percorso di studi con l’Executive Master Ninja – IUSVE: è previsto anche un ritiro esperienziale, un’esperienza di co-living a numero chiuso dedicata ai Ninja più ambiziosi, autentica e a stretto contatto con la natura per aiutare a raggiungere i massimi livelli di Pensiero, Energia, Azione e realizzare una vita professionale che fa la storia.

I contenuti del Retreat

Sail Thinking

Allena il tuo pensiero con le soft skill dei velisti: adattabilità, perseveranza, equilibrio e focus.

Neuro Marketing

Acquisisci le fondamenta della psicologia del consumo e dell’analisi dei comportamenti digitali.

Archetipal Living

Riconosci gli archetipi che incontri nella tua vita e supera con consapevolezza ogni sfida.

Etica & Empatia

Impara le soft skills fondamentali per affrontare le sfide della nuova era della human-machine interaction.

Life Management

Scopri come avverare il mito del work life balance apprendendo i segreti di un VP internazionale.

Pitch Framing

Inquadra problemi, presentazioni ed interlocutori e porta la tua capacità persuasiva ai massimi livelli.

Dove

Il Ninja Elite Retreat si terrà in una stupenda Country House a Giungano, nel Cilento in provincia di Salerno e sarà l’occasione per immergersi in un’esperienza unica all’insegna della filosofia Ninja.

country house giungano

Con il titolo “Think, Live, Work like a Ninja“, il retreat offrirà ai partecipanti la possibilità di scoprire e imparare come applicare i principi e le strategie dei Ninja al proprio stile di vita e al lavoro.

L’accomodation è prevista in stanze condivise in appartamenti da 3-5 posti letto che presentano un’area salotto, una cucina con frigorifero e piano cottura, un bagno privato e, in alcuni casi, una terrazza e/o un balcone con vista sulle montagne o sulla piscina.

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La Country House ospita un giardino, una piscina all’aperto e un bar.

Perché partecipare al Ninja Elite Retret

Eccoti tre buoni motivi per non mancare all’appuntamento:

Networking

Incontra professionisti di successo nel digital in un’ambiente informale di co-living.

Autorealizzazione

Cogli l’opportunità di sviluppare le tue soft skill e superare i tuoi limiti.

Relax

Rilassati e rigenerati in un luogo antico, affascinante e circondato dalla natura.

Il programma del Ninja Elite Retreat

Sono previsti i Commencement Speech, gli interventi ispirazionali di grandi Top Manager con i loro preziosi consigli di vita e carriera. E come sempre, sceglieremo alcuni di voi come Valedictorian: potresti avere l’onore di rappresentare l’intera classe Executive Master e dedicare un tuo speech ispirazionale ai compagni di corso.

speaker panel ninja elite retreat

Ecco il programma:

  • 29 giugno arrivo
  • 30 giugno mattina Graduation in Volo
  • 30 giugno sera Party a tema
  • 1 luglio Elite Retreat
  • 2 luglio partenze

Come partecipare al Ninja Elite Retreat

Sono rimasti davvero pochissimi posti nei cinque appartamenti: se non vuoi perdere l’occasione di entrare in contatto con il mondo Ninja, compila il form a questo link dove trovi anche tutte le informazioni.

Generazione Alpha: come raggiungere i consumatori del futuro

Anche se siamo ancora intenti a comprendere la Generazione Z, dietro l’angolo c’è già la Generazione Alpha: giovanissimi, numerosi e con bisogni e necessità diversi rispetto ai fratelli post-millennials.

Conosciamo i Boomer, gli Zoomer e i Millennial, ma chi sono i membri della Generazione Alpha?

generazione alpha

Si tratta dei nati tra il 2010 e il 2024, sono i figli della Generazione Y e i fratelli minori della Generazione Z e rappresentano un pubblico di consumatori ancor più specifico ed esigente.

A dispetto di ciò che si possa pensare, sembra proprio che la Gen A sarà quella più numerosa della storia con 2,5 milioni di nati ogni settimana. Ma proviamo a conoscerla meglio.

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Generazione Covid?

GWI ha realizzato un report per cercare di restituire una chiara fotografia della Generazione A e scoprire caratteristiche e tendenze dei consumatori di domani.

Spesso vengono definiti “figli del covid”, ma in realtà ciò che ha influito profondamente sulla loro vita sono stati alcuni aspetti collaterali della pandemia: il lockdown e la distanza sociale.

Sia i nati nel 2010, sia i nati nel 2020 (o poco prima), i membri della Generazione Alpha hanno dovuto imparare a gestire nuove emozioni e a fare i conti con la necessità di stare lontani da parenti e amici.

La distanza sociale è divenuta per loro (maggiormente per i più piccoli) un fatto naturale, tanto che molti degli impulsi e delle tendenze naturali insite nei bambini – avvicinarsi ai propri simili, giocare insieme, prendere per mano – sono state man mano rimodellate fino a dar vita ad un nuovo tipo di socialità con cui essi dovranno fare i conti anche da adulti.

I loro sentimenti attuali influiranno sui loro comportamenti futuri? Probabilmente sì. Ma stiamo navigando in un mare fino ad ora semi-sconosciuto.

I valori della Generazione Alpha

I ragazzi e bambini della Gen A sono socialmente più consapevoli dei loro predecessori e dato l’uso che fanno dei dispositivi digitali sono destinati a diventare i consumatori più giovani.

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Stando a contatto con social media e navigando in rete, i brand possono rivolgere i propri annunci direttamente a loro, piuttosto che ai loro genitori. Il marketing deve far fronte a questo processo di disintermediazione e rimodulare i propri messaggi in base al nuovo pubblico che si sta creando.

In che modo? Prima di tutto, chiedendosi che cosa vogliono.

La Generazione A sarà la più diversificata (sì, molto di più della Gen Z). Sostenibilità, inclusione, solidarietà, parità di genere sono i valori fondamentali per giovani e giovanissimi che, oggi, rappresentano la base solida su cui si poggiano le lotte sociali e le proteste messe in campo dai post millennials e che, con ogni probabilità, domani, dovranno rappresentare la dimensione di vita ideale per gli Alpha.

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La Generazione Alpha e il digitale

Un altro punto a cui prestare attenzione è l’interesse decrescente per i dispositivi tecnologici. L’esposizione prolungata e quasi forzata allo schermo del PC e del tablet durante il lockdown, per mantenere un contatto con quella socialità che la pandemia ha tentato di distruggere, ha fatto perdere ai giovanissimi l’interesse per l’utilizzo di questi dispositivi.

Il 43% dei ragazzi afferma di voler vedere fisicamente i propri amici durante il weekend e il 39% di incontrarli online. In generale, il computer non è più tra gli interessi principali degli “Alphas”, prioritarie sono le vacanze, il contatto con la natura e gli animali.

Tuttavia, è importante tener presente che questa generazione è cresciuta “immersa” nella tecnologia per cui, già prima della pandemia, l’utilizzo di dispositivi digitali era fortemente in aumento.

Il fatto che adesso si stia registrando un lieve (probabilmente temporaneo) allontanamento non vuol dire che la Generazione Alpha non sia quella che fa un uso totalizzante delle nuove tecnologie.

Guardare contenuti video sulle app di streaming è una delle attività principali e più interessanti per questa generazione e non si può non tener conto del peso che essa ha sugli abbonamenti delle varie piattaforme. Basti pensare che la metà degli utenti di Disney Plus ha tra i 2 e i 17 anni.

La Generazione Alpha, inoltre, guarda il mondo attraverso TikTok: in formato video, in continuo scrolling e con tempi super veloci. Nel 2022, TikTok è stata proclamata l’app più amata dai giovanissimi tra i 13 e i 15 anni.

I brand dovrebbero ripensare le proprie strategie social alla luce di queste tendenze per intercettare non solo i consumatori del presente, ma anche quelli del (prossimo) futuro.

Inoltre, i membri della Gen A utilizzano i social network soprattutto per divertirsi. Mentre nella Gen Z la funzione informativa dei social è ancora molto forte e (quasi) preponderante, i più giovani entrano su TikTok o su Instagram principalmente per ridere e consumare contenuti umoristici o meme.

I brand che vogliono intercettare questo nuovo pubblico di consumatori dovrebbero tenere in considerazione questo aspetto ed, eventualmente, modificare il proprio tone of voice. 

Tale utilizzo, inoltre, fa presupporre che i ragazzi della Generazione Alpha continueranno ad utilizzare i social perché i propri genitori non glieli vieteranno dato che s’interfacceranno con contenuti principalmente umoristici e divertenti che li rendono felici.

Il fenomeno dei Kidfluencer

Per rivolgersi ad un pubblico di consumatori bambini, cosa può esserci di più efficace di mettersi al proprio livello e parlare il loro stesso linguaggio?

Questo è possibile attraverso i kidfluencer, influencer bambini che continuano ad avere un enorme successo sui social e riescono a costruire gruppi di fan e seguaci molto solidi e devoti.

L’autenticità dei loro contenuti e l’onestà di ciò che esprimono sembrano essere i fattori decisivi nel successo crescente dei kidfluencer.

La pratica dell’unboxing, ad esempio, viene effettuata con nuovi giocattoli che i bambini scartano e mostrano in video, creando interazione e sviluppando l’interesse dei propri coetanei.

generazione alpha su instagram

Tuttavia, quello dei minori e social network è un binomio molto complesso, un mondo che racchiude tante funny-zone, ma anche moltissime zone d’ombra.

I rischi legati all’esposizione dell’immagine di un bambino su internet non sono pochi, ma la questione, in realtà, va ben oltre il problema di ciò che è legale o meno, sfociando con forza nell’ambito dell’etica.

I kidfluencer sono influencer a tutti gli effetti e, in quanto tali, i loro video fatturano: ma chi c’è dietro queste costruzioni digitali? E, soprattutto, quanto e come influisce tutta questa esposizione sul minore che “ci mette la faccia”?

benessere al lavoro - impiegato felice alla scrivania

Benessere al lavoro: perché è sempre più centrale per le strategie di people&culture

In un mondo del lavoro post-pandemico dove il concetto di ricerca del benessere ha invaso la cultura organizzativa, sempre di più stiamo notando un’evoluzione del mercato del lavoro che denota confini sempre più fluidi tra vita privata e lavorativa.

Dai workplace, alle funzioni e ai ruoli organizzativi e, contemporaneamente, a una accelerazione ancora maggiore del senso di responsabilità sociale che le imprese introducono per contribuire al concetto di welfare state che, a livello istituzionale, sembra essere, di anno in anno, sempre più carente.

Per approcciare il tema del benessere al lavoro è necessario uno sguardo olistico e sempre più sistemico, poiché la sfida HR degli ultimi anni è proprio quella di guardare all’essere umano nella sua interezza e contemporaneamente alla sua interconnessione con il contesto che lo circonda nel ciclo di vita lavorativo.

La storia degli approcci al benessere e al sostegno degli individui nella sfera privata da parte dei datori di lavoro, in Italia ha una storia abbastanza lunga, a partire da Carlo di Borbone, sovrano del Regno di Napoli e di Sicilia, che intuì il vantaggio di assegnare ai dipendenti di una seteria un’abitazione all’interno della Real Colonia di San Leucio e l’istruzione gratuita per i loro figli.

Con la rivoluzione industriale nell’Ottocento divenne consuetudine intervenire sull’aiuto e il benessere dei dipendenti per favorire i trasferimenti dalle campagne alla città, mettendo a disposizione case, scuole, chiese e luoghi di svago (vedi il villaggio di Crespi D’Adda).

I celebri esempi italiani del Novecento di Adriano Olivetti, di Enrico Mattei e di Aldo Fascetti e hanno poi contribuito a considerare sempre di più a considerare e organizzare l’assistenza ai dipendenti per tutti gli aspetti della vita, fino alla diffusione negli ultimi trent’anni di programmi di assistenza e previdenza costruiti dalle aziende, forme di retribuzione indiretta (stock options,  auto aziendali, etc.) fino agli ultimi sviluppi del sistema welfare di Luxottica nell’ultima crisi economica del 2009, con borse di studio, orientamento professionale, partnership con supermercati e negozi, convenzioni sanitarie, assistenza sociale, etc.

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Oggi si va verso un’individualizzazione e una specializzazione sempre più raffinata dei benefit e del contributo che l’azienda può dare in termini di impatto sociale attraverso il sostegno al benessere dei propri dipendenti.

Wellbeing, Wellness, Welfare: definizione e significato

Può capitare, però, che i termini wellness, wellbeing e welfare siano utilizzati come sinonimi.  Si tratta di tre concetti legati all’idea di benessere, ma è giusto riconoscerne le distinzioni.

La definizione “formale” di wellness, fornita dal Global Wellness Institute, lo identifica come “il processo di ricerca attiva di attività, stili e scelte di vita che conducano ad una condizione di salute olistica”, dove dobbiamo considerare che questo tipo di benessere può superare il singolo concetto di salute fisica, ma anche verso le altre dimensioni di tipo psichico e sociale.

Il wellbeing, invece, fa riferimento ad uno stato d’essere, ad una condizione di equilibrio che si può definire di “buona salute”, sebbene sia più corretto fare riferimento in particolar modo alla salute mentale e alla sfera emozionale. Lo studio del livello di wellbeing di una popolazione aziendale può tornare utile nella misurazione dell’efficacia di determinate politiche di welfare.

Quando si parla di wellbeing e felicità, spesso si tende a interpretare queste parole a modo proprio e la definizione odierna di wellbeing è molto eterogenea.

Possiamo inquadrare il wellbeing come l’intersezione di più dimensioni: benessere fisico, mentale, emozionale, sociale, lavorativo e sociale, a cui possiamo aggiungere, giustamente, anche il benessere finanziario.

Ci sono quindi varie dimensioni che possiamo integrare nel variegato termine “wellbeing”, che dobbiamo considerare anche come l’occuparsi di se stessi e del proprio stato benefico prima di arrivare ad una crisi, cercare di star bene giorno dopo giorno, e costruire in maniera incrementale la propria serenità, senza considerarlo un punto di arrivo.

Non raggiungeremo mai necessariamente un punto di benessere finale (o di “felicità”) in nessuna di queste dimensioni.

Quando parliamo invece di welfare, stiamo invece considerando tutte quelle prestazioni attivate all’interno di una società a tutela della persona e del cittadino.

Non si tratta solo di iniziative statali (il cosiddetto “primo welfare”), ma anche di quei benefit e prestazioni che le aziende erogano a favore dei propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa (welfare secondario o privato).

Le politiche aziendali volte a garantire il benessere dei collaboratori, li supportano nelle diverse fasi della vita privata basandosi su alcuni pilastri entro cui l’organizzazione si impegna a supportare il collaboratore, tra cui famiglia, benessere, previdenza e salute.

Il Rapporto Welfare Index PMI da sempre censisce che le imprese che hanno inserito il welfare nella strategia aziendale ha registrato ritorni positivi sulla produttività. Il lavoratore, sentendosi seguito e apprezzato, tende a impegnarsi di più sul lavoro, e questo comporta, oltre a una maggiore produttività, minori richieste di dimissioni, o anche maggiore attrattività occupazione verso le nuove generazioni di dipendenti.

aree del welfare aziendale

Si tratta inoltre di correlazioni che non vanno intese in senso semplicistico, perché indicano una connessione reciproca tra le variabili esaminate: le imprese più competitive comprendono l’importanza dei fattori sociali e investono più delle altre nel welfare aziendale, e il welfare aziendale a sua volta contribuisce al miglioramento dei risultati.

Migliorare l’impatto sociale dell’azienda, occupandosi del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie e in taluni casi aprendo i servizi alla comunità esterna, per molte imprese è divenuto un impegno programmatico non separato dagli obiettivi e dalla gestione del business.

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Tornando al concetto di wellbeing come espressione dello stato di salute delle politiche di welfare aziendale, il mondo organizzativo sta riscoprendo sempre di più le diverse aree del benessere di una persona che possono essere rappresentate nell’ambito lavorativo, col fine ulteriore di rinforzare i legami di fiducia con le altre persone e con la comunità organizzativa.

In particolare, sono rilevanti le azioni che contribuiscono significativamente a creare la relazione di fiducia tra persona e azienda; se le persone sono soddisfatte di carriera e socialità, tenderanno ad essere più soddisfatte anche nella loro vita personale

Secondo Gallup sono cinque gli aspetti che aiutano una persona a vivere “the best possible life”:

  • career wellbeing: strettamente legato all’ambito lavorativo, riguarda la percezione del lavoro in linea con competenze e aspettative; si parla di career wellbeing quando consideriamo se ci piace cosa facciamo sul lavoro. Si realizza quando i datori di lavoro fanno fare alle persone un lavoro in linea con le proprie aspettative, competenze e interessi, guidandoli nel mettere a fuoco il loro purpose, crescendo come professionisti.
  • social wellbeing: riguarda la necessità di avere legami di fiducia e rispetto, in un certo senso relazioni significative nella propria vita; si realizza quando le aziende riescono ad organizzare momenti di incontro informali tra le persone per creare le condizioni affinché si creino relazioni di fiducia attraverso in network professionale.
  • financial wellbeing: evidenzia la possibilità di gestire al meglio le proprie finanze; si estrinseca quando nelle organizzazioni viene predisposta formazione sulla gestione finanziaria e vengono messi a disposizione professionisti del settore per supportare le persone, contribuendo a ridurre lo stress quotidiano e ad aumentare la percezione di sicurezza finanziaria a lungo termine.
  • physical wellbeing: è legato al corpo e alla salute in generale e in genere alle giuste energie per la vita professionale; si mette in pratica attraverso la formazione su alimentazione e sport, o attraverso le convenzioni con palestre, centri wellness, nutrizionisti e psicologi.
  • community wellbeing: riguarda la possibilità di sentirsi a proprio agio nella comunità in cui si vive e alla partecipazione attiva; gli interventi aziendali sono efficaci se fanno sentire le persone in un luogo in cui si sentono sicure e a proprio agio, e permettono di donare parte del tempo o delle competenze per momenti di volontariato o attività che abbiano un impatto sul territorio e verso gli stakeholder in cui le persone vivono.

Proviamo allora ad approfondire le diverse anime del benessere organizzativo per coglierne gli aspetti cruciali che sono all’attenzione crescente in un mondo del lavoro in piena trasformazione.

Benessere Psico-fisico e digitale: cos’è il Burnout

Il “burnout” non è solo un problema delle persone, dei collaboratori, del team. È un problema organizzativo, quando la cultura di un’impresa ha un impatto diretto sulla salute e il benessere dei lavoratori.

Come lo ha definito Maslach negli anni ’80, è considerabile come la “sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione, di ridotta realizzazione, che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente”.

Più in generale, il burnout è uno stato di esaurimento fisico ed emotivo.

Può verificarsi quando si subisce uno stress a lungo termine nel proprio lavoro o quando si lavora in un ruolo fisicamente o ad alto impatto emotivo per molto tempo e che comporta alcuni sintomi rilevanti come: il sentirsi stanchi o “svuotati”, impotenti, intrappolati, sopraffatti, distaccati, avere un atteggiamento cinico o polemico, ma anche la tendenza a procrastinare e mettere in dubbio le proprie identità.

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Sempre più membri della Generazione Z si stanno affacciando sul mondo del lavoro e l’attenzione crescente verso la salute mentale e il benessere soprattutto psichico sembra stia nascendo anche grazie al loro avvento nelle organizzazioni.

Secondo le statistiche, infatti, la Gen Z concepisce il lavoro in modo diverso rispetto alle precedenti generazioni: i giovani lavoratori, oggi, non sono più disposti ad accettare organizzazioni autoritarie, orari di lavoro troppo pesanti o mancanza di flessibilità all’interno di un’organizzazione.

Inoltre, dopo essere stati isolati negli anni della pandemia, una delle maggiori difficoltà per la nuova generazione di professionisti è rappresentata dalla gestione dei legami interpersonali e dalle relazioni sul posto di lavoro.

Per i datori di lavoro, accogliere queste esigenze può diventare sempre più importante: i giovani lavoratori, infatti, hanno sempre più necessità che un’organizzazione li comprenda come individui più ancora che come semplice forza lavoro.

Perseguire gli obiettivi del benessere psico-fisico, però, non significa porre attenzione solo sugli aspetti di prevenzione della salute mentale, della gestione dello stress ma, in maniera più olistica ed “ergonomica” considerare i temi del benessere familiare, della personalizzazione del workplace e delle forme equilibrate ed ibride di smartworking.

Un errore comune può essere quello di fare del benessere una forma di lavoro in più per i propri lavoratori.

Ospitare sessioni di yoga o all’ora di pranzo o di mindfulness dopo il lavoro, che si aggiungono alle già traboccanti to do list non risolve di certo il problema, anzi lo amplifica e può rendere tutto anche più frustrante.

Avere una cultura del benessere nell’organizzazione significa soprattutto cercare modi di rendere le attività lavorative quotidiane più incentrate sul wellbeing, magari costruendo una cultura delle riunioni più sana, gestendo meglio gli aspetti della comunicazione asincrona e così via.

La “sicurezza psicologica”, inoltre, è un paradigma che non può essere dimenticato in quest’ottica e che riguarda trasversalmente tutte le generazioni.

Si tratta della percezione condivisa dai membri di un team secondo cui una persona non viene punita o umiliata per aver parlato esprimendo idee, domande, preoccupazioni o errori. Non nasce spontaneamente, è una condizione che deve essere costruita con azioni consapevoli e il primo passo è creare un senso di belonging: le persone devono sentirsi accettate per essere in grado di contribuire pienamente al miglioramento dell’organizzazione in cui lavorano.

Questo significa sentirsi liberi di essere sé stessi ed essere accettati così per come siamo; avere la possibilità di apprendere e crescere facendo domande, dando e ricevendo feedback, sperimentando e facendo errori; mettere a frutto realmente le proprie competenze per dare il proprio contributo; poter parlare e sfidare lo status quo quando c’è opportunità di crescita e miglioramento.

Accanto a questi aspetti non va dimenticato tutto ciò che concerne la salvaguardia del benessere digitale.

Una nuova mentalità, improntata alla crescita e allo sviluppo di sane abitudini digitali, dovrebbe infatti abbracciare il lavoro ibrido, adattandolo con trasparenza e coerenza con i valori e lo scopo dell’organizzazione.

Anche gli impatti negativi dei burnout si possono ridurre incorporando e abbracciando i principi del benessere digitale, creando la giusta cultura digitale modellata sulle necessità di ogni singola realtà aziendale.

Il digital wellbeing è quindi una strategia: il benessere al lavoro può e deve essere raggiunto anche nel mondo del digitale.

È il modo per far sì che l’inevitabile transizione verso un mondo sempre più digitale sia chiara, trasparente, rivolta alla comprensione e all’equilibrio. Il digital wellbeing è anche una competenza. Come sottolinea Alessio Carciofi, si può intendere il digital wellbeing come l’insieme delle pratiche, dei comportamenti e delle decisioni che riguardano i propri collaboratori e l’uso che essi fanno della tecnologia. Non riguarda semplicemente il “digital detox”, ovvero evitare la tecnologia o scollegarsi dal digitale per determinati periodi di tempo.

Si tratta di un modo olistico di pensare a come, quando, dove e perché si sta interagendo con la tecnologia e quali potrebbero essere gli effetti di tali scelte su altri aspetti della salute.

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La relazione tra wellbeing ed engagement dei dipendenti

Nel raggiungimento del benessere al lavoro, esiste una relazione stretta tra wellbeing ed engagement, poiché il coinvolgimento è un grande trigger per il career wellbeing, ma abbiamo visto come un’azienda non può occuparsi di come far crescere l’engagement senza tenere in considerazione tutti gli aspetti del wellbeing delle proprie persone.

In assenza di un buon lavoro e di una carriera soddisfacente, non c’è wellbeing e quando le organizzazioni metto in pratica azioni e programmi volti ad aumentare sia il wellbeing sia l’engagement, gli effetti si moltiplicano e sono reciprocamente vantaggiosi sia per i dipendenti, sia per i risultati aziendali.

Tutto ciò che riguarda il benessere psico-fisico e digitale è strettamente connesso ai temi della vitalità al lavoro, poiché comprendono gli aspetti dell’energia, del vigore e della salute della persona. Ma per sviluppare appieno il wellbeing degli individui è fondamentale fare riferimento a quelle dimensioni che Martin Seligman racchiude nel suo modello PERMA di “psicologia positiva” come la capacità di sperimentare emozioni positive, di coinvolgimento verso gli obiettivi, di percepire la sensazione di crescita e di progresso, così come la costruzione di relazioni autentiche, di senso di comunità e la chiarezza verso il senso e lo scopo che sono relative agli aspetti valoriali sul lavoro.

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Benessere al lavoro: economico finanziario

In questa esplorazione del benessere al lavoro non possono sfuggire alcuni aspetti fondamentali, come ad esempio il benessere sotto il profilo finanziario.

Gli ultimi anni hanno visto sfide globali senza precedenti sotto forma della pandemia, seguite da una “grande rassegnazione” e prezzi in forte aumento, spinti dai problemi della catena di approvvigionamento globale e dalla guerra in Ucraina.

L’impatto ha colpito le famiglie di tutto il mondo. Una ricerca del CIPD ha rilevato che in UK oltre un quarto dei dipendenti afferma che le preoccupazioni legate al denaro influiscono sulla loro capacità di svolgere il proprio lavoro.

benessere al lavoro - statistiche cipd

Questo sale a quasi un terzo che afferma che le preoccupazioni finanziarie sul costo della vita hanno avuto un impatto negativo sulla loro produttività. Mentre sempre più datori di lavoro stanno diventando consapevoli e stanno riconoscendo che il benessere finanziario è molto più che pagare i dipendenti e fornire alcuni vantaggi, è ancora l’area meno comune inclusa nelle strategie di benessere delle risorse umane.

Sostenere programmi di educazione finanziaria, per tutte le età della popolazione aziendale è una buona scelta per rendere più sereni e più consapevoli le persone che lavorano nell’organizzazione, magari strizzando l’occhio alle strategie di new longevity economy che permettono di gestire i cicli di vita delle persone al lavoro in maniera innovativa e più consapevole degli effetti che l’aumento dell’aspettativa di vita e la demografia stanno creando nel mercato del lavoro.

Il benessere al lavoro rispetto alle età

Come innescare meccanismi di inclusione generazionale nelle strategie di wellbeing e quali sono le modalità con cui renderlo effettivo nello scenario culturale dell’organizzazione?

Può essere interessante partire dalle strategie di engagement familiare e alle politiche aziendali di conciliazione lavoro-famiglia per immaginare un paragone più pratico.

Ad esempio, le imprese che erogano un congedo parentale retribuito, ottengono quasi un raddoppio degli utili, dal momento in cui forniscono ai dipendenti-genitori le risorse necessarie per conciliare lavoro e vita privata. Si tratta di risultati supportati dalla Social Exchange Theory, che suggerisce che i lavoratori si sentano in un certo senso “obbligati” a restituire il favore ai datori di lavoro in termini di impegno e dedizione quando vengono ricompensati con benefici aggiuntivi come, ad esempio, il sostegno alla genitorialità.

Come il modello work-life fit tiene conto delle diverse esigenze culturali della famiglia, può essere presa in considerazione, in maniera più estesa, tale cura del benefit individuale ponendo attenzione a pesi specifici intergenerazionali, in particolare nelle politiche di welfare e people care.

Pe quanto riguarda le nuove generazioni, ad esempio, sempre secondo il Rapporto Welfare Index PMI del 2022, la presenza di giovani con meno di 30 anni, mediamente del 20%, è correlata al livello di welfare: da una quota del 18% nelle aziende a livello di welfare iniziale ad una del 22,1% in quelle con livello molto alto.

benessere al lavoro - giovani under 30

Molte aziende italiane (quasi il 30%), non hanno alcun giovane tra i propri collaboratori, ma questa quota scende al 18% tra le imprese con un livello elevato di welfare aziendale.

Più che la composizione demografica per fasce di età, ciò che conta maggiormente è l’impatto del welfare aziendale sull’accesso dei giovani al lavoro.

Le imprese con livello di welfare elevato mostrano una propensione molto più alta della media all’assunzione di stagisti e alla trasformazione degli stage in lavoro stabile. Le aziende con livello di welfare molto alto hanno una quota di stagisti pari al 4,1% degli addetti (il doppio di quelle a livello iniziale), e una quota di assunzioni del 40,7%, contro il 19,6% delle aziende a livello di welfare iniziale.

Non solo le imprese con elevato livello di welfare contribuiscono molto più della media alla crescita dell’occupazione, perché i motivi che spingono le organizzazioni (di grandi dimensioni ma non solo) ad attuare iniziative di welfare, come è facile immaginare, sono volti principalmente a migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il clima aziendale ma allo stesso tempo a incentivare la produttività del lavoro

Il “marketing mix” di una strategia di welfare & people care rivolta ai clienti interni dell’organizzazione rappresenta allora una prima fotografia chiara di come siano contemplate le politiche di inclusione generazionale, a partire da quanto i benefit siano ben disegnati sui profili di popolazione aziendale presente (e futura), ma soprattutto comunicati efficacemente all’interno ma anche all’esterno del perimetro aziendale.

Far sapere ai propri dipendenti quali sono le prospettive di benefit anche per le altre popolazioni, può innescare delle percezioni virtuose in termini di aspettativa: “quando sarò genitore o quando sarò senior l’azienda avrà cura di me attraverso questi strumenti” e di fidelizzazione verso il brand.

Ripensare la “welfare & wellness strategy” significa anche ridisegnare e rimescolare l’insieme dei benefit accessori (come i fringe benefit) solitamente aggiunti alla retribuzione ordinaria, con la retribuzione complementare (i “flexible benefit”), magari provando a coinvolgere nell’analisi e nel design thinking, gruppi intergenerazionali di senior e junior che possano cogliere efficacemente le leve di coinvolgimento più attuali e le necessità precipue che hanno a che fare con un benessere concreto dei dipendenti.

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Strategie di corporate wellbeing: verso il management dell’eudaimonìa e del benessere al lavoro

Quando parliamo di corporate wellbeing dobbiamo immaginare non solo aiutare le persone a cambiare le loro azioni o abitudini, ma a cambiare completamente il modo in cui si approcciano alla loro realtà di riferimento. Bisogna imparare a osservare con occhi diversi il mondo del lavoro e gli input di cui disponiamo per migliorare il contesto lavorativo.

Quali sono gli elementi da considerare nel disegno di una strategia di corporate wellbeing?

Virtualmente tantissimi, e questo può rendere tutto più dispersivo, poiché ci si ritrova spesso con un bouquet frammentato di iniziative singolarmente molto interessanti ma a volte poco percepite e incapaci di portare un reale impatto complessivo.

Esistono già da anni sperimentazioni che vedono affiorare le figure dei Chief Happiness Officer che puntano ad occuparsi della “gestione della felicità” in azienda in maniera più completa, con l’obiettivo di migliorare i risultati aziendali (secondo Forbes e Harvard Business Review il costo di un dipendente infelice è stimato a circa 16k euro all’anno tra minore produttività e spese sanitarie), ridurre gli episodi di malattia e gli indici di turnover, far sì che le persone si relazionino positivamente, si sentano felici e ottengano risultati individuali e collettivi che superino le aspettative di budget.

Ma anche alimentare una cultura positiva e valori di rispetto, inclusività e coerenza, non solo a favore dei dipendenti, ma anche dei clienti e degli altri stakeholder.

Quello che lascia sbigottiti in questo momento storico è il campanello di allarme intergenerazionale che sottolinea quanto ogni individuo veda sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, così come il senso di appartenenza che viene sempre di più a mancare.

Minando inevitabilmente la “felicità” professionale.

Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale, e in questa situazione tutte le generazioni sono concordi nel dimostrare che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non stia funzionando.

Persino un Baby Boomer su 4 (24,1%) a un passo dalla pensione, dimostra di voler cambiare il proprio impiego per gli ultimi anni professionali (era il 17,9% nel 2022), come segnala l’Osservatorio BenEssere Felicità.

Per questo è sempre più importante considerare una strategia organica affiancata ad una lente dell’age inclusion nella predisposizione e nello sviluppo delle strategie di corporate wellbeing.

Solitamente ci si chiede se sia corretto parlare di felicità, piuttosto che di serenità al lavoro. Si tratta di due costrutti che caratterizzano uno stato dell’essere, ma forse dobbiamo chiederci se l’obiettivo organizzativo è quello della gioia, dello stato di calma o del benessere personale in senso più stretto.

C’è senz’altro bisogno di lasciare più spazio a sentimenti, emozioni, azioni e diversità di pensiero, partecipazione attiva, spirito di comunità e senso di leadership. C’è bisogno di ridare senso e fiducia al lavoro, cosicché i bisogni primari di tipo economico e di salute possano essere garantiti in egual misura con quelli di autorealizzazione

L’eudemonia (o, più fedelmente al greco, εδαιμονία – eudaimonìa) non è la semplice felicità.

È la felicità intesa come scopo della vita, e come fondamento dell’etica. In altri termini è una felicità a cui viene dato un ruolo preciso nell’indirizzare la propria condotta, senza rimanere una condizione così contingente che cambia repentinamente nel tempo. Ritroviamo sempre una certa tensione, nel bene e nel male, nell’eudemonia: dopotutto, il senso più bello di questa parola risiede nella sua etimologia: l’eudemonia è l’essere posseduti dal “buon demone”.

Riformulare il benessere al lavoro come scopo di vita e benessere costante diventa allora la chiave per immaginare le organizzazioni del presente e del futuro.

E la ricetta non è tanto nel dualismo work/life ma nell’equilibrio tra serenità e felicità, tra benessere e fattibilità. Come scrisse Schopenhauer in una raccolta di pensieri sulla felicità (che comunque riteneva un “eufemismo”):

Viviamo il presente. Il meglio che il mondo ci può offrire è un presente quieto e senza dolore. Non guastiamo questo con la ricerca di un futuro sempre incerto che per quanto lottiamo rimarrà sempre nelle mani del destino.

Il possesso e il suo desiderio determinano l’infelicità. La ricchezza assomiglia all’acqua di mare; quanta più se ne beve, tanto più si ha sete.

Fondamentale, infine, la differenza fra ‘ciò che si è’ e ‘ciò che si ha’, perché è il primo che determina il secondo e non viceversa.

Non viviamo come vogliamo ma come possiamo.

La giusta proporzione è la saggezza per vivere quieti per questo dobbiamo vivere in modo giusto tanto il presente quanto il futuro…e attenzione che vive troppo il presente è uno sconsiderato e chi troppo il futuro non avrà più solo un istante tranquillo

LANDING PAGE seo

SEO per Landing Page, come farsi trovare sui motori di ricerca

Cosa non è una Landing Page: non è una pagina qualsiasi del sito internet.

Cosa è una Landing Page: una pagina di atterraggio, una pagina web dedicata a “chiamare all’azione” i nostri avventori.

Dal chiedere le loro generalità in cambio di un premio gratuito al chiedere loro di iscriversi alle nostre newsletter o condividere i nostri canali social.

Il suo obiettivo è, tendenzialmente uno: registrare nuovi lead.

Gli utenti arrivano su una Landing Page o tramite la ricerca di una certa Keyword online, o tramite i canali social del brand o, anche, tramite la ricezione di una newsletter.

Una Landing Page efficace è una pagina semplice, visivamente accattivante che utilizza la cosiddetta Hero Image, che ha la funzione di spiegare in modo chiaro il suo obiettivo.

Non esiste una landing senza una Call To Action, di solito un bottone ben visibile, in grado di portare l’utente a compiere l’azione da noi desiderata.

I testi inseriti, partendo dal titolo e sottotitolo, devono essere accattivanti e semplici allo stesso tempo.

Devono evidenziare i benefici e il perché l’utente debba compiere l’azione richiesta, meglio ancora se corredata dalle opinioni positive di altri utenti.

Quindi se abbiamo chiarito il fatto che una Landing Page è qualcosa di dedicato e costruito ad hoc ora andiamo ad approfondirne gli elementi base e il perché se nessuno la trova online può essere anche la miglior pagina di atterraggio del marketing moderno, ma non serve a nulla.

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Vocabolario basic: i termini da sapere prima di costruire una Landing Page

le keyword per una landing page seo optimized

Visto che quando si parla di Landing Page si toccano anche concetti o vocaboli settoriali, ci sembra giusto fare una piccola carrellata di orientamento.

Partiamo da Inbound Marketing, il marketing per il quale l’azienda individua il suo target e cerca di attrarlo a sé. In questo contesto si sviluppano le Landing Page che, come abbiamo detto, hanno lo scopo di acquisire lead attraverso un canale e una strategia che interessi veramente il pubblico.

Oggi il 74% dei marketer utilizza questa strategia come primaria in netto contrasto con l’Outbound Marketing che, al contrario, spinge dei messaggi generici del brand sulla massa del target, senza adattarne il contenuto alle buyer personas.

LEGGI ANCHE: 8 suggerimenti per una landing page che converte

Fanno parte dell’Inbound Marketing azioni che partono dalla SEO o dalla newsletter, fino ad arrivare a blog e podcast fatti di contenuti di intrattenimento.
Parliamo di intrattenere proprio perché l’Inbound Marketing inizia con l’attrazione del cliente grazie alla creazione di contenuti distintivi e attrattivi, continua con l’intrattenimento ed il coinvolgimento e si chiude con la costruzione di un rapporto di fiducia tra il cliente e il brand, che prosegue anche dopo la vendita vera e propria.

Poi c’è sicuramente Keywords, le parole chiave, quelle che decidono il nostro destino nell’essere trovati dai clienti.

Google mette a disposizione uno strumento molto efficace per la ricerca e la pianificazione con anche la possibilità di procedere per una ricerca correlata alle prime voci inserite.
Dallo stesso strumento di ricerca è possibile pianificare le campagne a pagamento studiate per parole chiave.

CTA, Call to Action, la chiamata all’azione dell’utente in merito a quello che vogliamo fargli fare noi.

Chiaramente per far sì che un utente faccia qualcosa la nostra Call to Action dovrà essere evidente all’interno della Landing Page e dovrà contenere un’azione interessante per l’utente.
L’azione contenuta all’interno di una CTA deve essere funzionale ad attrarre lead e a trasformare questi in clienti.

Esempi di Call to Action possono essere: lasciare un contatto in cambio di un “premio” la possibilità di ottenere qualcosa gratis, come il download di un eBook o di un corso, procedere con l’acquisto di un prodotto con forte sconto o gratuitamente con la scusa di essere eletto come cliente test, in tutti quelli che sono gli ambiti della Customer Care, come una richiesta di contatto o di supporto.

Infine, mai dimenticarsi dove posizionare il bottone, deve essere sul percorso dell’utente che, scorrendo la landing, lo incontra e decide di cliccarci.
Posso mettere più CTA in una stessa Landing Page? Sì, ma l’utente deve riuscire a distinguerli.

Ultima la SEO, Search Engine Optimization, l’insieme di tutte quelle tecniche e procedure che aiutano siti e Landing Page a raggiungere la vetta dei risultati della ricerca organica, infatti solo il 63% degli utenti è disposto a visualizzare i risultati presenti dalla seconda pagina in poi.

Seppur una SEO efficace comporti la scelta e l’inserimento delle keywords perfette, deve essere scritto in maniera fluida e sintatticamente corretta per scalare l’algoritmo di Google.

I motori di ricerca prediligono testi più corti se densi di significato.
Poi titolo, sottotitolo e meta description sono le prime informazioni che vengono analizzate e che devono, necessariamente, avere come focus quello che è il tema e fornire anche un breve riassunto all’utente.

La SEO va a indagare le parole della pagina, quindi è importante che anche le singole immagini inserite devono avere una descrizione o un sottotitolo in backend così da essere indicizzate insieme al testo stesso.

Infine link: ottimizzato quello diretto alla pagina e inseriti, con sistemi di ricollegamento, ad altre pagine coerenti con la propria e che approfondiscano il tema.

LEGGI ANCHE: 15 esempi di landing page da cui trarre ispirazione

Landing page efficace? Fatti trovare nella SERP

Come abbiamo detto sopra, una Landing Page è una pagina che deve scatenare intorno a sé conversazioni e attrarre lead, deve aver chiaro l’obiettivo principe per la quale è stata creata, ma senza una SEO corretta la nostra pagina non verrà trovata da nessuno nei motori di ricerca, parliamo dunque di SERP.

come creare una landing page che converte

Ecco quindi che una pagina di atterraggio deve essere sempre studiata in maniera strategica se si parla di keywords e di facilità nelle ricerche, spostiamo dunque il focus su una vera e propria categoria, ossia la SEO Landing Page.

LEGGI ANCHE: Scrittura SEO: 7 passi per creare contenuti ottimizzati per la ricerca

Potremmo dire che, in questo caso, Less is More, e non nelle Hero Images, ma nel testo: focus su un gruppo di keywords, chiare, che forniscano all’utente, in modo chiaro, l’intento della pagina e che ne creino una vera e propria esperienza di navigazione.

Che inizia dalla prima parola e finisce al click sulla CTA.

checklist SEO per Landing Page

Nel predisporre la nostra Landing Page dobbiamo ricordarci di stimolare l’utente a fare l’azione e alcuni dei punti sui quali fare leva sono: la scarsità, la sensazione di perdere un’occasione imperdibile se non si clicca sulla CTA, riprova sociale, infatti l’affidabilità del servizio o prodotto proposto è data dalle opinioni di altri utenti, aggiungiamo anche la possibilità di avere una prova gratuita del servizio o prodotto.

Alcuni concetti base per creare una SEO Landing Page

  1.  Keyword
    Individua il gruppo di Keywords principale e poi struttura un gruppo di parole chiave per parola selezionata all’inizio, così da coprire più intenti di ricerca differenti. Sempre in modo coerente e “umano”. L’algoritmo dei motori di ricerca premia le pagine web scritte per i lettori, non per i robot.
  2.  Search Intent
    Cosa sta cercando il mio utente target? Che risposta vuole da me?
    Rispondere in modo corretto a queste domande, strutturando quindi la Landing Page con le informazioni e i contenuti giusti, attireranno più lead possibili a premere sulla nostra Call To Action
  3. SEO
    On-Page SEO, la capacità che la nostra pagina dia ai motori di ricerca di leggere, analizzare e individuare i concetti chiave della nostra Landing Page. Più il nostro punteggio è alto, più la nostra pagina riuscirà a rimontare nella classifica dei risultati.
    Per ottenere questo risultato ci sono alcune buone pratiche da mettere in atto: ottimizzare il titolo e i sottotitoli, inserendo anche una parola chiave rilevante, stendere una meta desription, una sorta di riassunto di cosa verrà trovato nella pagina completa, inserire un titolo e descrizione all’immagine inserita (i motori di ricerca leggeranno quello, non i pixel) e inserire delle immagini o video, rendono più facile la lettura, strutturare un sistema di link che rimandino a pagine coerenti con la nostra.
  4. URL
    Creare un URL della pagina ad hoc, corto e dritto al punto, modificando, se necessario, quello proposto di default.
  5. Monitorare i risultati
    La nostra Landing Page per quanto tempo è rimasta o rimane nei risultati rilevanti della ricerca? Che numeri di lead genera? Dove si concentra l’attenzione del mio lettore?

Procedere con un A/B Test, creando due pagine molto simili con piccole variazioni, può aiutare ad evidenziare quale sia la strada più efficace.

LEGGI ANCHE: I segreti per una checklist SEO di successo

Esempi per lasciarsi ispirare

Cercando online tra chi già aveva mappato alcuni esempi efficaci di Landing Page che racchiudono alcune best practices di cui abbiamo parlato, riportiamo:

Shopify’s crea una landing per i nuovi venditori che si vogliono avvicinare alla piattaforma: un unico ambiente in cui gestire le proprie vendite online, una fiducia visti gli utenti che già ne hanno approfittato. Non resta che procedere con una prova gratuita.

Airbnb, la piattaforma di affitti privati brevi più famosa al mondo, combatte da sempre con la necessità di incrementare gli host, più scelta per il turista che continuerà a organizzare le sue vacanze con Airbnb.
La landing non è altro che una sorta di configuratore che risponde alla domanda: quanto guadagneresti se la tua casa fosse su Airbnb?

Nike, diciamo la verità, non so quanto abbia bisogno di una Landing Page per vendere, forse ha necessità di ampliare il suo bacino di clienti, magari “rubandola” alla concorrenza, ecco quindi una landing fatta di foto e sconti, il cliente ha a disposizione un catalogo di prodotti in sconto da approfondire, ma si sa, uno apre lo sconto, ma finisce per mettere nel carrello anche articoli delle nuove collezioni.

nuovo visore apple vision pro

Quanto costa (e cosa fa) il nuovo visore di Apple

Arriva il Visore di Apple: dopo anni di annunci ritardi, l’azienda ha presentato un headset per la realtà aumentata chiamato Apple Vision Pro che fonde “senza soluzione di continuità” il mondo reale e quello digitale.

Le caratteristiche del Visore di Apple

È il primo prodotto Apple attraverso il quale si guarda“, ha dichiarato il CEO Tim Cook a proposito del dispositivo, che assomiglia a un paio di occhiali da sci. Il visore di Apple è dotato di una batteria estraibile e si controlla con gli occhi, le mani e la voce.

Vision Pro si posiziona principalmente come dispositivo AR, ma può passare dalla realtà aumentata a quella virtuale completa tramite una manopola.

nuovo visore apple vision pro persona che lo indossa

Quanto costa il visore di Apple

Il prezzo di partenza di Vision Pro è di 3.499 dollari e il lancio avverrà all’inizio del prossimo anno, a partire dal mercato statunitense e in altri Paesi nel corso dell’anno.

A differenza dei prodotti dei competitor già lanciati sul mercato, come il Quest di Meta o Pico di Bytedance, il dispositivo è privo di controller: app, file e icone si sfogliano in un sistema operativo chiamato visionOS, semplicemente guardandole.

È possibile utilizzare il nuovo visore di Apple anche tramite comandi vocali e l’azienda afferma che centinaia di migliaia di app già conosciute e utilizzate per iPhone e iPad”funzioneranno automaticamente in questo modo.

Inoltre, il visore per la realtà aumentata supporta gli accessori Bluetooth, tra cui Magic Keyboard e Magic Trackpad, e consentono di collegare il Mac per utilizzarlo all’interno dell’headset. Le telecamere rivolte verso il basso sono in grado di riprendere le mani e seguirne i movimenti.

L’hardware del Vision PRO

Il visore ha una parte frontale in vetro e un telaio in alluminio, che contiene cinque sensori, 12 fotocamere, un display 4K per ciascun occhio e un computer che sembra essere raffreddato da una ventola.

La maschera dell’headset (che Apple chiama “Light Seal”) e il cinturino (che Apple chiama “Head Band”) sono foderati in tessuto e modulari, e Apple afferma che possono flettersi per adattarsi a diverse forme del viso e dimensioni della testa.

Zeiss ha creato inserti ottici personalizzati che si attaccano magneticamente alle lenti per chi porta gli occhiali. Ha una batteria esterna che dura fino a due ore e può essere collegata tramite un “morbido cavo intrecciato” in modo da poterla infilare in tasca, oppure si può collegare a un’alimentazione esterna e usarla tutto il giorno.

Apple promette che il display sarà di una nitidezza senza precedenti e in grado di fornire video in 4K.

Il sistema utilizza un M2, ma include anche un nuovo chip chiamato R1.

Le differenze del Visore di Apple con Quest e Pico

Inoltre, Apple avrebbe superato la sensazione di isolamento tipica degli headset dei concorrenti: la mascherina sarà in grado di mostrare gli occhi di chi lo utilizza grazie a un sistema chiamato EyeSight e, durante l’uso in full VR, uno schermo luminoso li oscurerà per suggerire che non si è disponibili all’interazione esterna.

In più, crea una “persona” digitale – in pratica un avatar iperrealistico – scansionando il volto dell’utilizzatore. Il dispositivo utilizza poi un video passthrough che consente di vedere il mondo reale a colori permettendo di vedere e interagire con lo spazio circostante.

apple vision pro spatial computing

Sarà da subito possibile utilizzare FaceTime, catturare e “rivivere” video a 180 gradi con una telecamera 3D e fruire di contenuti TV e Arcade, compresi i contenuti premium di Disney.

Apple si lancia nello spatial computing

Il prodotto annunciato era in lavorazione da anni e, secondo quanto riferito, è stato sottoposto a diverse iterazioni. Tuttavia, entrerà in un mercato che non è ancora decollato. Il suo principale concorrente sarà probabilmente Meta.

giornata mondiale dell'ambiente

Giornata mondiale dell’ambiente 2023: i creator più seguiti che parlano di sostenibilità

Come ogni anno, anche questo 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente, un appuntamento promosso dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente atto a sensibilizzare sulla salvaguardia del nostro pianeta.

Il tema scelto per il 2023 punta l’attenzione sulle soluzioni all’inquinamento causato da rifiuti in plastica e porta l’hashtag #BeatPlasticPollution.

Annualmente vengono infatti prodotte più di 400 milioni di tonnellate di plastica, di cui solo il 9% viene riciclato.

Da qui l’urgenza di far attuare azioni efficaci per affrontare la minaccia della contaminazione ambientale ad opera di plastica e microplastica.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente rappresenta quindi un’occasione annuale per ricordarci il valore del nostro pianeta e l’importanza della sua tutela, ma chi sono i personaggi social che quotidianamente si dedicano a diffondere il messaggio della sostenibilità ambientale?

Infleadpiattaforma di Influencer Marketing Intelligence, ha stilato la classifica dei creator che ci parlano di ambiente: ecco qui quelli che con i loro contenuti riescono a raggiungere il maggior numero di utenti su Instagram e TikTok!

LEGGI ANCHE: Cos’è e come si fa un social media report delle campagne

Giornata mondiale dell’ambiente 2023: i più seguiti su Instagram

  1. cotoncri

 

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Un post condiviso da Cose Non Cose – CNC (@cnc_media)

Dopo la nascita della figlia Blu, l’ex modella Cristina Cotorobai ha deciso di rivoluzionare il suo stile di vita così che fosse meno impattante per il Pianeta, e di raccontare questo suo percorso sui social

  1. camilla_agazzone

 

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Un post condiviso da Camilla | GREENtips (@camilla_agazzone)

Con i suoi green tips, la designer Camilla Agazzone insegna alla sua community come diventare degli “imperfetti sostenibili” a piccoli, ma fondamentali, passi per salvare il mondo

  1. giovanni.storti.ufficiale

 

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Un post condiviso da Giovanni Storti (@giovanni.storti.ufficiale)

Difficile da immaginare sul podio per questa tematica, ma al terzo posto c’è l’attore Giovanni Storti, del celebre trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”, che sul suo profilo intrattiene con post dedicati alla cura dell’ambiente e della salute

  1. eco.narratrice

Specializzata in comunicazione ambientale sia scritta che come regista di documentari, dal 2007 Elisa Nicoli racconta e ispira a una quotidianità più rispettosa verso la Terra e i suoi abitanti

  1. parlasostenibile

 

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Un post condiviso da Silvia Moroni (@parlasostenibile)


Spinta dal desiderio di aiutare le persone a diventare più sostenibili, Silvia Moroni ha fondato @ParlaSostenibile, dove si occupa di creazione di contenuti digitali per social media e siti web a tema cibo e, ovviamente, sostenibilità

LEGGI ANCHE: Dimensioni immagini social 2023: la guida aggiornata

Giornata mondiale dell’ambiente 2023: i più seguiti su TikTok

  1. lambert.nic

@lambert.nic

Su TikTok, come sulle altre piattaforme, Nicola Lamberti (alias lambert.nic) ci parla di sostenibilità, di consapevolezza, d’impegno civico e di come possiamo contribuire positivamente e regolarmente ad aiutare il nostro pianeta.

  1. archeoplastica

@archeoplastica

Il progetto nasce da un’idea di Enzo Suma, da oltre dieci anni guida naturalistica ad Ostuni (Br), per sensibilizzare sul problema dell’inquinamento da plastica e promuoverne un uso più consapevole e responsabile.

  1. giovannistoruff

@giovannistortiuff

Inarrestabile, conferma il suo posto sul podio anche su TikTok.

  1. lifegate

@lifegate

Non una persona fisica, ma il canale media di informazione principale per i temi ambientali e per la sostenibilità: sbarcato su TikTok, raggiunge solo con questo profilo 1.4 milioni di persone.

  1. telospiegasofia
@telospiegasofia

All’anagrafe Sofia Pasotto, ha partecipato ai Fridays for Future e fa divulgazione scientifica sui social in modo smart e a volte anche ironico, per cercare di sensibilizzare il più possibile anche i giovanissimi.

social media report

Cos’è e come si fa un social media report delle campagne

I canali digitali, in crescita costante, sono fondamentali per le strategie di marketing. A dirlo è lo studio Digital Report 2023 di Hootsuite e We Are Social . L’incremento dell’utilizzo dei social media è però legato a doppio filo al monitoraggio della performance delle campagne. È, dunque, importante sapere quali contenuti abbiano ottenuto più “clic”, e fare dei confronti con le precedenti campagne.

Non sempre è facile dimostrare quali risultati ha ottenuto un particolare evento del brand, o l’andamento generale nel tempo. Per questo è opportuno impegnarsi nella redazione di un report.

LEGGI ANCHE: Dimensioni immagini social 2023: la guida aggiornata

Cos’è un report social media

Il report rappresenta un modo per essere sempre aggiornato circa le proprie strategie sui social media. È lo strumento che permette di evidenziare il monitoraggio dei vari canali digitali dell’impresa.

Si tratta, infatti, di un documento che presenta le tattiche usate per comprendere se le strategie di marketing sono state un successo o un fallimento. I dati evidenziati nel report, permettono di capire se il budget investito è stato ben speso, quali sono le esigenze del pubblico, ed eventuali informazioni preziose per il futuro.

È un modo semplice per allineare gli obiettivi di business alle strategie di marketing, sia per le aziende, che per i freelance. Per esempio, l’aumento del numero di followers non indica nulla se non sappiamo quanto abbiano influito in termini di fatturato.

social media report

Quali sono gli obiettivi di un report social media

Le informazioni che possono essere tratte da un report ben redatto sono molteplici, e riguardano vari spetti della gestione dell’impresa e delle strategie di marketing:

  • definire le future strategie di marketing sui social media, sfruttando i dati riassunti
  • dimostrare effettivamente qual è il ROI social media, che non è identificato solo dal numero di “like” che le pagine degli account ricevono
  • evidenziare i punti di forza e di debolezza di una campagna di marketing
  • capire quali sono le opportunità e gli elementi da migliorare nelle strategie di lungo periodo dell’impresa
  • effettuare dei confronti con i concorrenti. Analizzare ciò che fanno i competitor può essere fonte di ispirazione su cosa pubblicare e quando farlo

social media report

Gli obiettivi da porsi vengono identificati nell’acronimo SMART:

  • specific, chi coinvolgere? Cosa fare? Dove e perché? Quali sono i limiti?
  • measurable, puoi tenere traccia dei progressi? Come puoi quantificarli?
  • achievable, l’obiettivo è ragionevole? Può essere raggiunto? In che modo?
  • relevant, ne vale la pena? Combacia con gli altri obiettivi di medio/lungo termine?
  • timely, qual è il limite massimo di tempo per realizzarli?

LEGGI ANCHE: Gli orari migliori per postare sui social media nel 2023

I contenuti chiave da inserire nel report

I contenuti sono a discrezione aziendale in quanto dipendono dall’obiettivo, ma, ci sono dei dati rilevanti che è consigliabile inserire in ogni report. Per individuarli, è strategico rispondere a delle semplici domande: cosa dimostrano i numeri riguardo la strategia social? Cosa hai appreso dal pubblico? I risultati deludenti sono dovuti alla tempistica?

Le risposte a queste domande possono essere fornite dalle seguenti informazioni da reperire:

  • crescita del numero di followers nel tempo
  • interazioni quotidiane delle pagine aziendali con il pubblico
  • tasso di coinvolgimento, per capire l’orario adatto per pubblicare sui social
  • analisi dei post performanti (che ottengono più commenti, condivisioni e visualizzazioni)
  • dati anagrafici dei followers (residenza, età, sesso)
  • tempi impiegati nelle eventuali risposte da parte del team alle domande degli utenti

5 steps per creare un report social media

  1. Definire gli obiettivi, in modo da avere chiaro in mente qual è la direzione che il brand deve prendere per il futuro.
  2. Individuare gli stakeholder di riferimento, dirigenti, responsabili del team vendite, responsabili marketing…Ogni destinatario ha interessi diversi che devono avere risposta per lavorare bene
  3. Determinare il periodo di riferimento, settimanale, mensile, trimestrale
  4. Definire le metriche più pertinenti allo scopo
  5. Organizzazione del report, organizzare le metriche in modo che siano comprensibili ai destinatari. Completare con eventuali intuizioni, raccomandazioni e consigli utili per chi legge il report.

Presentazione del report

Se il report non è chiaro e comporta una lettura difficile, non sarà realmente utile. È fondamentale renderlo presentabile e accattivante, in modo da incuriosire il pubblico di riferimento.

social media report presentazione

Aggiungi elementi visivi, come immagini e grafici. La mente umana è portata a ricordare più facilmente se i contenuti sono collegati ad elementi visivi.

Rendi chiaro il percorso, estrai i dati fondamentali, andando dritto al punto. Non sprecare tempo con dati che non sono davvero interessanti per la situazione specifica, che confondono e annoiano. Evita di fare un elenco di numeri fini a sé stessi, piuttosto presentali come una storia, da trasformare in future azioni concrete.

Parla con franchezza, non mentire sui risultati negativi, che vanno necessariamente affrontati per poter migliorare.

Le metriche da monitorare

Tra le fasi più delicate nella realizzazione di un report social media, c’è la scelta delle giuste metriche da monitorare. Se si individuano le metriche giuste possono sbloccarsi informazioni preziose. Sono da includere solo quelle effettivamente utili al caso e al social media specifico. Più metriche vengono inserite, più difficile sarà l’elaborazione del report stesso.

Tra le metriche immancabili in un report social media troviamo:

  • engagement, la frequenza con la quale gli utenti interagiscono (commenti, like, condivisioni, retweet, clic). Più sono coinvolti, più è probabile che acquistino il prodotto
  • copertura, il numero di utenti che hanno visto i contenuti e che sono dei potenziali lead o clienti
  • hashtag, consentono di sapere di cosa parlano gli utenti, quali sono gli argomenti di tendenza, e di conseguneza, valutare l’impegno dell’azienda in riferimento ai trend
  • dati demografici, evidenziano quali sono i segmenti di pubblico più coinvolti con il brand, permettendo di adeguare il contenuto in base al target che si intende raggiungere
  • lead, i visitatori potenziali clienti
  • conversioni, quando il lead diventa cliente in seguito ad una “call to action” (apertura email, download, abbonamento alla newsletter, scansione del codice QR…)
  • impression, il numero di volte il cui il contenuto viene cliccato
  • engagement, permette di valutare la rilevanza del contenuto. Individua i canali efficaci per il brand ed evidenzia i post che ottengono risultati migliori
  • audience, il numero di coloro che partecipano alle conversazioni e risultano più attivi
  • contenuto, monitora i post che hanno avuto maggiore successo e quelli che sono stati un fiasco
  • click-through e bounce rate, è importante tenere traccia anche della provenienza online degli utenti. Nel primo caso si parla di coloro che visitano il sito aziendale provenendo dai social, nel secondo caso dal motore di ricerca o da campagne pubblicitarie a pagamento
  • share of voice, quante volte gli utenti menzionano il brand sul web. Il dato può essere comparato con quello dei competitor.

LEGGI ANCHE: Social Media: le metriche che devi conoscere e le novità in arrivo per il 2023

Le tipologie di social media report

Tenendo presente le metriche principali, si possono realizzare report differenti. Ogni tipologia si focalizza su un aspetto particolare.

Sulla base degli obiettivi, si possono individuare 3 tipologie di report:

  • Regolari (svolti con regolarità, tengono conto delle metriche principali per dimostrare i progressi)
  • una tantum (creato in seguito ad una specifica campagna o il lancio di un prodotto)
  • di ricerca (legato al trend di un periodo)

Rispetto al tempo, possono essere:

  • giornalieri, per individuare cambiamenti repentini, come nel caso di uno specifico post
  • mensile, utile al management per fare confronti, per capire se un eventuale picco di successo di una campagna è stato un caso o meno
  • trimestrale, consente di valutare la performance di lungo periodo, di accertare se gli obiettivi sono stati raggiunti, e se ci sono stati progressi rispetto al periodo precedente

Il report può anche avere dei focus specifici:

  • focus sulle performance del brand, per confrontare i dati di tutti gli account del brand e individuare quello più adatto, relativamente ai punti di forza e di debolezza
  • focus sulla promozione del brand, consente di monitorare la reputazione e la notorietà del brand

LEGGI ANCHE: Il futuro degli acquisti è sempre più sostenibile: i dati del report Conscious Commerce

campari

Come creare una brand identity forte. Il caso Campari

In un mercato sempre più competitivo, puntare su una brand identity forte è essenziale per distinguersi dalla concorrenza e catturare l’attenzione del pubblico di riferimento. Ma come si può creare un’identità di marca unica e memorabile? Quali sono i passaggi chiave per costruire un’immagine chiara, coerente e riconoscibile a tutti i livelli?

Approfondiamo l’argomento ripercorrendo la storia di Campari insieme a Fabio Molinaro, partner di Robilant e direttore creativo che ha progettato l’ultimo restyling di questo brand iconico.

Le origini di Campari e dell’aperitivo Red Passion

Sotto la guida della sua ardente passione, nel 1860 Gaspare Campari inventa una miscela così distintiva e rivoluzionaria che non è mai stata modificata e che ancora oggi mantiene intatta la sua composizione e ricetta originale.

Negli anni a venire, la “Red Passion” continua ad ispirare il suo fondatore, facendo crescere sempre di più il marchio. È così che nel 1867 Gaspare sceglie un caratteristico locale nella nuova Galleria Vittorio Emanuele II, l’epicentro culturale di Milano, come punto di riferimento per la sua attività. Il bar, luminosamente affacciato sull’iconica Piazza Duomo, viene chiamato Caffè Campari.

campari

Fotografia del Camparino in Galleria – 1925

Nel 1915, in omaggio al Caffè Campari di suo padre, Davide apre le porte del Camparino in Galleria. Rivoluzionando il modo di gustare il Bitter e introducendo la Red Passion a tutti gli avventori meneghini. Così Davide Campari diffonde l’aperitivo, ancora oggi, momento di socialità per eccellenza tutto italiano. L’aperitivo diventa sinonimo di incontro, conoscenza e piacere di stare insieme.

L’iconico Spiritello avvolto in una buccia d’arancia disegnato da Leonetto Cappiello nel 1920.

Negli anni ’30, arriva Campari Soda: l’aperitivo autentico e senza etichette, creato da Davide Campari, con una spruzzata di seltz. È frizzante e vivace, servito in un bicchiere conico appositamente progettato per esaltare il suo gusto e le note aromatiche. Questa abitudine milanese si diffonde gradualmente in tutta Italia.

L’intuizione eccezionale raggiunge il suo apice quando Davide Campari decide di unire Campari e seltz in una bottiglietta disegnata dal futurista Fortunato Depero.

Depero ideò la bottiglietta semplicemente rovesciando la sagoma del bicchiere del Bitter – 1932

Ancora oggi, senza etichette come allora: perché le etichette spesso parlano di noi, ma non per noi. L’aperitivo è il momento perfetto per lasciarsi andare e liberarsi dalle convenzioni e dagli orpelli.

La connessione con la città di Milano

Un’ulteriore consacrazione del legame già saldo tra Campari e la città di Milano arriva con la scelta da parte del brand di affidare a Bruno Munari il redesign del logo aziendale.

Munari nel 1964 progetta per Campari un manifesto strettamente collegato all’apertura della prima linea metropolitana di Milano. L’M1, la “linea rossa” inaugurata a novembre dello stesso anno, collegava Piazza Duomo allo stabilimento Campari di Sesto San Giovanni.

campari bruno munari

La sua efficacia visiva, anche se fugacemente avvistata dalla vettura del metrò, rimane intatta, offrendo uno sguardo caleidoscopico e curioso sulla città contemporanea. L’idea fondamentale del manifesto è quella di un montaggio potenzialmente estendibile all’infinito. Un’iterazione seriale che si ispira al concetto di mobilità, senza interruzioni.

Un flusso continuo di immagini: Munari segnala proprio l’elemento di continuità del marchio, ripercorrendo attraverso il confronto del lettering la lunga e prestigiosa storia pubblicitaria della azienda, passando dalle locandine iconiche di Hohenstein e Dudovich, Cappiello e Depero, giusto per citarne alcuni.

Nel progetto grafico di Munari convergono gli esiti della sua ricerca artistica, proiettati in un nuovo contesto urbano. Il manifesto per Campari diventa quindi una rappresentazione unica e innovativa dell’identità del marchio, in perfetta connessione con la città di Milano.

Nuova identità di marca e di prodotto per Campari

Quest’anno Campari si presenta ai mercati internazionali con un’inedita identità di marca. Il risultato è una sintesi scultorea ed iconica di tutti gli elementi che costituiscono le radici, l’identità e il futuro dell’aperitivo italiano per antonomasia.

La bottiglia è stata completamente ridisegnata dalla branding firm Robilant per assolvere al suo ruolo di protagonista indiscusso nei bar di tutto il mondo.

campari

Con un’elegante maestosità, il suo corpo di vetro è arricchito da un raffinato e significativo motivo a canneté, dettaglio che richiama lo stile tardo-deco e si ispira alla ricca architettura milanese, includendo il celebre Camparino nella Galleria Vittorio Emanuele II, dove tutto ebbe inizio.

L’etichetta, ridotta di dimensioni per mettere in risalto il rosso Campari, pone tutta l’attenzione sulla firma “Campari Milano”, sancendo in modo inscindibile il legame con il suo fondatore e artefice, Davide.

La ricchezza materica e la profondità compositiva dell’etichetta si possono cogliere solo osservandola con attenzione.

La nuova identità vive anche al di fuori dell’iconico bitter, mantenendo allo stesso tempo una perfetta sinergia con esso.

rebranding campari

Il nuovo sistema di Brand Visual Identity dà forma e sostanza a quell’attitudine raffinata e cosmopolita che caratterizza il brand e che ora si esprime in ogni sua sfaccettatura.

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Gli elementi cruciali per creare un’identità forte

Proprio come la nostra identità personale ci rende unici, l’identità di un brand rappresenta quel mix di ingredienti speciali che permette all’azienda di distinguersi sul mercato. Campari ha sempre avuto un’identità forte e memorabile, senza eguali, intrisa di fascino e seduzione.

Coerenza, creatività ma soprattutto valori. Oggi i marchi più riconosciuti e di successo a livello mondiale sono quelli che hanno un forte codice genetico, che i clienti possono riconoscere da lontano.

«L’audacia, inoltre, è da sempre una caratteristica intrinseca di Campari, che fin dalla sua prima identità si è contraddistinto per la spinta all’avanguardia: la rilevanza di un marchio leader a tali livelli si misura e si preserva anche attraverso la capacità di anticipare i tempi, di spingersi oltre, di essere autenticamente se stessi in modo libero e consapevole» racconta Fabio Molinaro, direttore creativo di Robilant che ha firmato il progetto.

Una brand identity non deve essere statica, ma deve continuamente evolversi per adattarsi alle nuove tendenze, ai valori e alla cultura dell’azienda.

Questa profondità di sfaccettature trova giustizia in etichetta, dove Davide Campari Milano diventa griffe e le finiture di stampa, apprezzabili solo a uno sguardo ravvicininato, diventano racconto aperto di una bellezza che va scoperta.

L’ispirazione dell’ultimo redesign di Campari

Ma in che modo si garantisce la coerenza in tutte le comunicazioni e i materiali aziendali?

«Dal punto di vista della strategia di marca, quando sai chi sei e dove stai andando, non c’è spazio per sbavature», continua Molinaro. «Bisogna esser bravi a mettere tutto ben “a fuoco” a monte. Poi c’è il design. Un’identità che sa farsi alfabeto e linguaggio visivo, garantisce impatto, identità, coerenza e, non ultimo, scena».

Il packaging rappresenta l’essenza stessa della comunicazione di un marchio e di un prodotto: racchiude l’intero racconto, per quanto articolato e complesso, di un’impresa e di tutte le storie nascoste che si celano al suo interno.

Questo racconto viene sintetizzato in un’essenza iconica, capace di parlare direttamente alle emozioni delle persone.

Nel caso di Campari, più che per altri brand, gran parte della sua forza risiede nella bottiglia stessa, un elemento fondamentale che compone intere “pareti” e scaffali in quasi ogni bar del mondo.

Tra gli elementi che hanno influenzato il rebranding troviamo le origini di Campari, quelle del suo fondatore e il potente legame con la città di Milano: «Abbiamo immaginato Davide Campari all’inizio della sua avventura chiuso in quelle stanze affacciate sulla piazza e ci siamo lasciati guidare da quella stessa energia, da quell’intraprendenza, da quello slancio. Ci siamo lasciati trasportare dal sogno di un uomo con una visione», aggiunge Molinaro.

Osservare il celebre Camparino in Galleria (dal punto di vista dell’uomo che ha dato inizio a tutto) ha permesso di esplorare in modo nuovo la storia del marchio, riscoprendo il suo legame con l’architettura e il tessuto culturale in cui è incastonato.

A questo si aggiunge l’appartenenza alla città e la condivisione profonda di questa “cittadinanza”, tra la brand agency milanese Robilant e Campari.

campari

«Trasformare in design qualcosa di così profondamente connaturato anche nella nostra identità è stato naturale: un omaggio alla bellezza elegante di Milano, ricercatissima ma mai urlata, a volte nascosta nei suoi meravigliosi cortili» conclude Fabio Molinaro.

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Twitch Marketing - webinar Territory Influence

Twitch Marketing: da dove iniziare per avere successo

Se ti è arrivato all’orecchio che Twitch è solo roba per smanettoni di videogame, fermati un attimo. Forse ti sta sfuggendo il fatto che altri marketer e streamer stanno già sfruttando le potenzialità di Twitch per fare campagne di marketing molto efficaci.

Vuoi saperne di più su questa piattaforma e su come può tornare utile nella comunicazione del brand? Allora resta rintonizzatə e continua a leggere.

Perché Twitch è diverso dagli altri

Twitch è una piattaforma online di streaming in diretta di proprietà di Amazon, dove gli utenti possono sia trasmettere live che guardare altri streamer. È come una TV che trasmette sempre in diretta, ma non ha la limitazione del mezzo one to many perché, al contrario, permette l‘esperienza interattiva: attraverso la chat dedicata, gli user interagiscono in tempo reale con il creator che sta eseguendo la diretta streaming.

Questo crea un senso di autenticità e coinvolgimento più profondo rispetto ai contenuti pre-registrati o pubblicati su altri social network.

Come succede anche su Youtube, Instagram e TikTok, i creator con il tempo costruiscono delle community di follower appassionati. Ma su Twich la community è molto più forte e sviluppata, tant’è che gli utenti quando seguono i loro streamer preferiti partecipano alle chat e creano relazioni con altri spettatori con interessi simili. Di fatto si crea un senso di appartenenza unico attorno ad uno streamer o un argomento.

Inoltre la varietà di contenuti è davvero ampia attualmente. Solo all’inizio Twitch poteva essere associato al gaming e agli eSport, mentre adesso i creator trasmettono performance musicali, creazioni artistiche, tutorial di trucco, acconciature, spettacoli di cucina, ASMR, cosplay, discussioni su anime, partite a scacchi e persino contenuti con animali.

Ma adesso veniamo al punto: se gli streamer hanno una forte influenza sui loro gruppi di seguaci allora vuol dire che sono di fatto degli influencer con una marcia in più perché possono collaborare con i brand e promuovere prodotti o servizi in modo più autentico, raggiungendo una base di fan fedeli e altamente coinvolti.

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A chi puntare: la Generazione Twitch

Twitch è principalmente utilizzato dalle generazioni dei più giovani, quelli nati tra il 1997 e il 2012, e che rientrano sotto il nome di Gen Z, Millennial e Gen Alpha, contando circa 2,5 miliardi di persone. Nello studio intitolato “Leading Cultural Change” Twitch ha esplorato le esigenze e le abitudini digitali di questi nuovi utenti. I risultati hanno rivelato che la Generazione Z e la Generazione Alpha sono nativi digitali cresciuti con dispositivi digitali e abituati a vivere in un mondo “onlife“, ovvero costantemente connessi.

Basti ricordare l’episodio famoso di quello streamer che si riprendeva live mentre provava a dormire (e che ha guadagnanto 16 mila dollari in una notte).

A ciò aggiungiamo che per la Gen Z non è sufficiente che i brand li coinvolga nella creazione di nuovi prodotti o di nuovi slogan. Questa nuova generazione desidera invece assumere un ruolo attivo, con gli individui al centro, con la loro identità, i loro valori e come membri di piccole comunità di persone con le quali condividono quei valori e quelle passioni.

Tutto ciò ha implicazioni significative sulle modalità comunicative dei brand, che devono cogliere l’opportunità di imparare a interagire con la Generazione Twitch e arrivare prima della concorrenza.

Come fare Twitch marketing

Twitch offre ai marketer una serie di opportunità per favorire la consapevolezza del marchio o fare promozioni. Vediamone alcune:

  1. Sponsorizzazioni e pubblicità: i brand possono sponsorizzare le trasmissioni degli streamer o inserire annunci pubblicitari durante le sessioni di streaming.
  2. Eventi interattivi: i brand possono organizzare eventi interattivi in collaborazione con gli streamer, come sfide, tornei o sessioni di gioco in diretta.
  3. Contenuto di marca: i brand possono creare il proprio canale su Twitch e produrre contenuti in diretta o registrati che siano rilevanti per il loro settore. Ad esempio, un marchio di videogiochi potrebbe trasmettere le sessioni di gioco dei propri sviluppatori o organizzare eventi speciali legati al lancio di nuovi giochi.
  4. Collaborazione con gli streamer: i brand possono collaborare con gli streamer più popolari o rilevanti nel loro settore per promuovere i loro prodotti o servizi. Gli streamer infatti, possono creare contenuti sponsorizzati o recensioni di prodotti durante le loro trasmissioni, raggiungendo un pubblico dedicato e coinvolto.

Influencer marketing su Twitch

L’influencer marketing si è dimostrato una strategia efficace per raggiungere e coinvolgere i consumatori, e Twitch non fa eccezione. Il vantaggio per i brand è quello di poter sfruttare le community consolidate e l’autenticità degli streamer per promuovere prodotti o servizi. Come dicevamo poco sopra, gli streamer coltivano delle vere e proprie fan base legate a giochi specifici, hobby o interessi.

Perciò, il compito dei marketer è quello di trovare e stringere collaborazioni con influencer pertinenti, il cui contenuto si allinei ai valori del proprio brand e raggiungere in modo efficace nicchie di mercato.

Twitch aiuta i brand a raggiungere il loro pubblico mentre è attivamente coinvolto e attento, il che è estremamente prezioso e unico. E ciò è effettivamente possibile grazie ai numeri impressionanti di Twitch: ha 31 milioni di utenti medi giornalieri e ha registrato 1,3 trilioni di minuti di visualizzazione nel 2022.

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Ti piacerebbe vedere ancora più da vicino come sfruttare Twich ai fini di marketing? Allora devi assolutamente iscriverti al webinar gratuito organizzato da TERRITORY Influence in programma il prossimo 6 giugno alle ore 16:00. Alessandra Arcuri, project manager, e Marco Rende, Business Developer in TERRITORY Influence, mostreranno il potere di Twitch per i brand, diversi tipi di streamer e di contenuti e le best practice delle campagne di marketing degli streamer di successo.

Inoltre, daranno il benvenuto a “Nezak“, famoso streamer italiano che parlerà della sua esperienza, di cosa funziona e cosa non funziona sulla piattaforma e tanto altro.

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Gli orari migliori per postare sui social media nel 2023

Gli orari migliori per postare sui social media nel 2023

Il web non dorme mai, e neppure il mondo dei social. Con oltre 5 miliardi di utenti presenti su diverse piattaforme a livello globale, i social media offrono numerose opportunità di crescita per le imprese e i brand.

Nonostante molte delle strategie per migliorare la visibilità sui social siano ampiamente diffuse, c’è un elemento chiave che spesso viene sottovalutato: l’orario migliore per pubblicare sui social media.

orari migliori per postare sui social

Per rispondere a questo punto, il team interno Data Science di Sprout Social ha esaminato i risultati e le tendenze nell’utilizzo dei social. L’indagine si è svolta analizzando, nell’ultimo anno, gli oltre 34 mila iscritti alla piattaforma, parliamo di circa 2 miliardi di dati sull’engagement presenti in oltre 400 mila profili sui canali Twitter, Facebook, LinkedIn, Instagram, Pinterest e TikTok.

L’obiettivo? Capire quando i contenuti hanno ottenuto maggior coinvolgimento durante i giorni della settimana.

I dati di Sprout Social includono utenti, settori e località di vario tipo. Tutti gli intervalli di tempo sono registrati a livello globale, il che significa che per ottenere risultati di coinvolgimento positivi è possibile pubblicare contenuti seguendo gli orari indicati in qualsiasi fuso orario.

Tuttavia, il nostro consiglio resta quello di testare direttamente gli account gestiti per scovare i tempi di posting ottimali.

I risultati sono sintetizzati in grafici suddivisi per piattaforma. Scopriamoli nel dettaglio.

Qui un rapido collegamento ai momenti migliori per postare sui social:

Orari migliori per postare sui social: panoramica generale

Ogni piattaforma social varia a seconda degli obiettivi, del tipo di contenuto e del pubblico.

Analizzando i dati specifici di ogni rete è emerso che i momenti di maggiore coinvolgimento sono di solito martedì, mercoledì e giovedì, soprattutto tra le 9:00 e le 12:00.

Gli orari migliori per postare sui social media nel 2023

Le mattine dei giorni infrasettimanali sono generalmente considerate i momenti di maggior successo su molte piattaforme, come Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn.

Tuttavia, come vedremo nel dettaglio, Pinterest e TikTok registrano un coinvolgimento maggiore nel pomeriggio.

È importante notare che queste informazioni rappresentano solo una panoramica generale, poiché ogni piattaforma ha intervalli di coinvolgimento diversi durante la settimana e in orari significativamente variabili.

Momenti migliori per postare sui social media in generale:

  • Lunedì dalle 10:00 alle 12:00
  • Martedì dalle 9:00 alle 14:00
  • Mercoledì dalle 9:00 alle 13:00
  • Giovedì dalle 9:00 alle 12:00
  • Venerdì dalle 9 alle 11

I giorni migliori per postare sui social media: martedì e mercoledì
Giorni peggiori per postare sui social media: la domenica

Gli orari migliori per pubblicare su Facebook

Facebook rimane la piattaforma più utilizzata (90%) dai digital marketer in tutto il mondo.

Gli orari ideali per postare su Facebook sono dal lunedì al giovedì, dalle 8:00 del mattino fino al primo pomeriggio, solitamente fino alle 13:00.

Le uniche ore da evitare per la pubblicazione su Facebook sono quelle molto presto, generalmente tra mezzanotte e le 4:00 di mattina.

È importante considerare che l’engagement dipende anche dalla frequenza con cui pubblichiamo sui social media e dal tipo di contenuto che condividiamo. Non tutti i contenuti social si adattano bene a tutte le piattaforme, questo per dire che pubblicare il contenuto giusto sulla piattaforma adeguata fa sempre la differenza.

Gli orari migliori per pubblicare su Facebook:

  • Lunedì dalle 8:00 alle 13:00
  • Martedì dalle 8:00 alle 14:00
  • Mercoledì dalle 8:00 alle 13:00
  • Giovedì dalle 8:00 alle 12:00

Giorni migliori per pubblicare su Facebook: dal lunedì al giovedì
Giorni peggiori per postare su Facebook: la domenica

Gli orari migliori per pubblicare su Instagram

Al secondo posto tra le piattaforme più utilizzate dai marketer troviamo Instagram, con una percentuale del 79% di utilizzo.
Mentre la competizione tra Instagram e TikTok per i video di breve durata è tuttora in corso, la fruizione di Reels rappresenta il 30% del tempo trascorso sulla piattaforma di proprietà di Meta.

Gli orari migliori per postare su Instagram sono generalmente il lunedì, il martedì, il mercoledì e il venerdì tra le 9:00 e le 13:00. Dato molto simile a Facebook, le ore “off” sono le prime del mattino di tutti i giorni della settimana, da mezzanotte fino alle 4:00.

Gli orari migliori per postare sui social

Ricorda: l’algoritmo di Instagram è imprevedibile. Per avere successo sulla piattaforma è necessario trovare un equilibrio tra la pubblicazione costante di contenuti di alta qualità per coinvolgere e continuare a intrattenere il pubblico.

Momenti migliori per pubblicare su Instagram:

  • Lunedì dalle 10:00 alle 12:00
  • Martedì dalle 9:00 alle 13:00
  • Mercoledì dalle 10:00 alle 13:00
  • Venerdì dalle 9 alle 11

I giorni migliori per pubblicare su Instagram: martedì e mercoledì
Giorni peggiori per pubblicare su Instagram: la domenica

Gli orari migliori per pubblicare su LinkedIn

Su LinkedIn, la piattaforma social focalizzata sul mondo dei professionisti, gli orari di coinvolgimento coincidono con l’orario di lavoro, naturalmente.

Poiché i contenuti su LinkedIn si concentrano sulla thought leadership e sulla crescita professionale, è comprensibile che la maggior parte del pubblico interagisca con tali contenuti durante le ore lavorative. Infatti, le ore di maggiore engagement non si estendono al di fuori dell’orario classico di lavoro.

A mezzogiorno si osserva un’intensa attività sulla piattaforma con dei picchi molto importanti. Tra gli altri momenti migliori per pubblicare su LinkedIn, troviamo il martedì e il mercoledì tra le 10:00 e mezzogiorno.

orari migliori per postare

È consigliabile evitare di pubblicare i contenuti su LinkedIn durante il fine settimana, poiché l’engagement diminuisce significativamente nel weekend.

Momenti migliori per postare sulle pagine aziendali di LinkedIn:

  • Martedì e mercoledì dalle 10:00 alle 12:00

Giorni migliori per pubblicare sulle pagine LinkedIn: dal martedì al giovedì
Giorni peggiori per pubblicare sulle pagine LinkedIn: nel fine settimana

Gli orari migliori per pubblicare su Pinterest

Pinterest è il motore di ricerca visiva in cui gli utenti cercano e scoprono prodotti, tendenze, design e molto altro ancora. Sebbene non tutte le aziende siano presenti su questa piattaforma, coloro che la utilizzano conoscono bene l’efficacia e i vantaggi che Pinterest può offrire.

Gli utenti interagiscono con i contenuti praticamente in ogni momento della giornata, quasi tutti i giorni della settimana. Gli orari ottimali per pubblicare su Pinterest includono il martedì, il mercoledì e il giovedì intorno alle 13:00, con una flessibilità di un’ora prima o dopo.

È interessante notare che anche il mercoledì alle 6:00 del mattino rappresenta un momento di punta per pubblicare su Pinterest.

Momenti migliori per pubblicare su Pinterest:

  • Martedì alle 13:00
  • Mercoledì dalle 13:00 alle 15:00
  • Giovedì dalle 12:00 alle 14:00

Giorni migliori per pubblicare su Pinterest: dal mercoledì al venerdì
Giorni peggiori per pubblicare su Pinterest: domenica e lunedì

Gli orari migliori per pubblicare su TikTok

TikTok ha registrato una notevole crescita negli ultimi due anni. Attualmente, la piattaforma di video sharing conta oltre 1 miliardo di utenti attivi a livello globale che trascorrono quasi 20 ore al mese sull’app.

Gli orari migliori per pubblicare su TikTok sono il martedì dalle 14:00 alle 18:00, il mercoledì dalle 14:00 alle 17:00 e il giovedì dalle 15:00 alle 17:00. Durante i pomeriggi si registra un elevato livello di coinvolgimento sulla piattaforma.

Tuttavia, in generale, si osserva un maggiore coinvolgimento da metà mattina al pomeriggio (dalle 9:00 alle 17:00) dal martedì al giovedì.

Gli orari migliori per pubblicare su TikTok:

  • Martedì dalle 14 alle 18
  • Mercoledì dalle 14 alle 17
  • Giovedì dalle 15:00 alle 17:00

I giorni migliori per pubblicare su TikTok: martedì e mercoledì
I giorni peggiori per pubblicare su TikTok: la domenica

Gli orari migliori per pubblicare su Twitter

Twitter è la piattaforma ideale per le conversazioni in tempo reale e le ultime notizie. Ancora oggi l’app continua a essere un luogo in cui i marchi possono partecipare alle discussioni di tendenza, sforzandosi di essere coerenti ai propri valori e consapevoli di ciò che comunicano.

I momenti di maggiore coinvolgimento su Twitter sono aumentati rispetto all’anno precedente, con picchi costanti in tarda mattinata durante i giorni feriali.

Gli orari migliori per postare su Twitter vanno dal martedì al venerdì a partire dalle 9:00 fino a mezzogiorno.

Momenti migliori per postare su Twitter:

  • Martedì dalle 9:00 alle 14:00
  • Mercoledì dalle 9:00 alle 13:00
  • Giovedì dalle 9:00 alle 14:00
  • Venerdì dalle 9:00 alle 12:00

Giorni migliori per postare su Twitter: dal martedì al giovedì
Giorni peggiori per postare su Twitter: la domenica

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