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10 brand e 10 profili da seguire nel 2023 su Linkedin (secondo LinkedIn)

Più di 850 milioni di utenti, più di 59 milioni di pagine aziendali, eleggono LinkedIn una delle piattaforme professionali con più utenti sparsi per il mondo.

LinkedIn è da sempre conosciuto come il social media dedicato alla professionalità e alla ricerca del lavoro dei sogni, ma non dobbiamo dimenticarci, come ogni social media che si rispetti, che è in grado di dettare trend e creare conversazioni con un engagement organico online del 40% degli utenti iscritti.

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Ecco alcuni profili, aziendali e personali, che per questo 2023 potrebbero essere d’ispirazione secondo noi.

I Brand più seguiti su LinkedIn e cosa ci insegnano

linkedin persone chiave

La classifica di questi 10 grandi big, tra i più seguiti di LinkedIn, ci insegna che avere un tratto distinguibile tra 59 milioni di pagine aziendali è uno dei segreti per farsi riconoscere.

Primo e decimo posto: Amazon e The Economist. Perché insieme?

Amazon con una platea di più di 28 milioni di followers è il brand in assoluto più followato su LinkedIn.

Il suo tratto distintivo sono: i suoi dipendenti.

L’azienda, infatti, produce contenuti in cui i suoi dipendenti e collaboratori sono in prima linea per il successo e i contenuti aziendali, con format che vanno da video interviste a riprese di eventi aziendali. Il successo è dettato dallo stimolo continuo dei collaboratori che a vario titolo interagiscono con i loro profili personali con la pagina aziendale.

The Economist, con “soli” 13 milioni di followers, cosa condivide con il primo in classifica?

Le facce dei dipendenti, naturalmente. Anche per la testata di informazione coinvolgere in prima linea i propri collaboratori nella creazione di contenuti è uno dei tratti vincenti, oltre a quello di riprendere in ogni post, anche se vengono utilizzate grafiche diverse, i propri colori del logo così da risaltare agli occhi dell’utente nello scorrimento del feed.

Punta sul colore anche Unilever, quinta con più di 18 milioni di followers, in cui il blu del suo logo è dominante in ogni post che si tratti di informazione o di employees. Sì, parliamo di persone in prima linea anche qui.

C’è poi tutto un mondo di contenuti formativi e informativi che rendono i big interessanti da seguire perché danno ai loro followers informazioni utili da cui imparare.

Partiamo dal nostro argento con Google, quasi 27 milioni di followers, che trasforma il suo feed nei risultati di ricerca del suo motore, riportando una carrellata di domande e risposte, tra quelle più richieste dagli utenti.

Lo segue a ruota IBM con 14 milioni e mezzo di followers che cerca, tramite i contenuti pubblicati, di scatenare una vera e propria conversazione da parte degli utenti che interagiscono con l’azienda utilizzando, anche, degli hashtag creati ad hoc per ogni trend del feed.

C’è poi Microsoft, 18 milioni e mezzo di utenti, che non solo crea contenuti attrattivi, ma anche ottimizzati per le ricerche. Mostrando ai suoi followers che il suo mondo è la tecnologia, anche su LinkedIn.

Terzo topic: il contenuto autoreferenziale, ossia creare dei post che rimandino a contenuti poi del sito o di altre iniziative del brand. TED Conferences, Forbes e Harvard Business Review.

TED Conferences, 23 milioni di utenti, utilizza piccoli video ed estratti delle sue conferenze per tenere aggiornati i suoi utenti sulle ultime news, dandogli la possibilità, anche in caso di mancata partecipazione all’evento, di avere spunti e materiali.

Arriviamo a Forbes, quasi 18 milioni di followers, i suoi post pubblicati sono per la maggior parte ricondivisioni di notizie dal sito, suddivisi per approfondimenti. Seppur il contenuto potrebbe essere lo stesso, è chiaramente scritto in ottica LinkedIn e quindi ottimizzato per le ricerche e la lettura da mobile.

Harvard Business Review, 13,7 milioni di followers, ospita, mensilmente, eventi live sulla propria pagina LinkedIn a tema lavoro e professionalità, dando agli utenti la possibilità di interagire live con i professionisti coinvolti.

Per ultimo chi usa LinkedIn per approfondire tematiche a cui tiene, come la sostenibilità, Nestlé.
Nestlé ha 14 milioni di followers e ha deciso di dedicare il proprio feed a ricordare i propri sforzi e traguardi per rendersi un’azienda sostenibile entro il 2050 senza mai dimenticarsi di tenere vive le conversazioni con i propri follower ai quali risponde e con i quali interagisce.

Ogni brand citato ha una strategia che lo distingue dagli altri e che lo posiziona tra i 10 più seguiti, ma possiamo imparare da loro quelle che sono le caratteristiche principali che li rendono tra i più seguiti.

LEGGI ANCHE: 8 errori sui social media che le aziende dovrebbero evitare nel 2023

Innanzitutto il coinvolgimento dei propri dipendenti. È innegabile che rendere i propri dipendenti e collaboratori partecipi della strategia social di un’azienda la rende più umana e permette ai follower di immedesimarsi con chi lavora per il brand. Vedere dipendenti felici trasforma l’azienda nel luogo di lavoro dei sogni e rende l’utente maggiormente disposto ad interagire e a sentirsi parte della filosofia aziendale.

Se tenere le persone al centro fa il successo sui social, lo fa anche dal lato followers. Un brand di successo continuerà ad avere un’attenzione specifica per il proprio pubblico, interagendo, dando informazioni aggiuntive a quelle che si individuano su altri canali e cercando di creare contenuti coinvolgenti, in cui foto e video la fanno da padrona.

Contenuti non solo propri, ma anche di ricondivisione di altre pagine simili o che hanno gli stessi interessi o punti di vista.

Dulcis in fundo: anche l’occhio vuole la sua parte. Scegliere un colore e uno stile riconoscibile tra milioni di altri stili e colori, che riprenda il logo aziendale e che sia il filo di collegamento tra tutto il materiale prodotto.

Attraverso, quindi, tutte queste tecniche un brand potrà posizionarsi tra i top of mind e far si che l’utente non voglia perdersi nessun aggiornamento della sua pagina.

LinkedIn Influencer, chi tenere d’occhio nel 2023

Passiamo invece, ora, alle star di LinkedIn intese come i marketing influencer di in questo 2023 che non possiamo lasciarci scappare.

 

  • Nemanja Zivkovic, CEO & Founder of Funky Marketing
    Il paladino del marketing evolutivo, secondo il quale il marketing deve essere una cosa in costante evoluzione, dinamica, sempre pronta a cambiare in funzione del punto di vista da cui la si guarda
  • Sydni Craig Hart, Inclusive Marketing Strategist & Coach to Minority/Women-owned Businesses
    Promotrice del marketing inclusivo, secondo il quale il marketing dovrebbe essere utile per far interagire e mettere in relazione i produttori anche con i business più piccoli e le piccole aziende, con particolare attenzione ai business a gestione femminile.
  • Marisa Lather, Director of Marketing and Communications of Bridge Partners
    Per lei marketing ed experience vanno a braccetto. Se un brand vuole avere successo dovrà usare la propria strategia di marketing per dare al proprio pubblico un’esperienza indimenticabile
  • Lola Bakare, CMO Advisor, Anthem Award-winning Inclusive Marketing Strategist and Founder of be/co
    Top Voice in Marketing & Advertising 2022, Lola, è un punto di riferimento per il marketing misurabile, ossia la spiegazione e l’applicazione di tutte le metriche di marketing che lo rendono effettivamente misurabile in materia di investimento e ritorno economico
  • Michael Barber, Freelance Brand Consultant and Marketing Strategist
    Michael ha sperimentato il marketing teorico, in università, e pratico, in grandi aziende ed è in grado di creare team efficaci che studino una strategia di customer-experience specifica per il target richiesto
  • Michelle Ngome, Founder of the African American Marketing Association
    Esperta di personal branding e di marketing inclusivo, produce contenuti coerenti sul considerare il marketing come una leva per fare squadra
  • Jacquie Chakirelis, Director of Digital Media at Cleveland Magazine and Quest Digital
    La conoscenza al servizio del posizionamento di valore, grazie alla sua esperienza eclettica nel mondo del marketing è in grado di consigliare come adattare il marketing aziendale alla situazione corrente
  • Mayur Gupta, CMO at Kraken Digital Asset Exchange
    Ex ingegnere ha un approccio al marketing analitico, che va a guardare numeri e statistiche oltre che il successo ottenuto dalla strategia
  • Stacey Danheiser, Founder and CMO of SHAKE Marketing
    B2B marketing former e performer, Stacey punta all’informazione su una strategia marketing di coesione tra comparto marketing e comparto vendite e un successo che può essere misurato solo con il coinvolgimento del target
  • Diego Oquendo, Founder of Vulkan Marketing
    L’innovatore, eletto come il marketer più giovane della scena, è in grado di dare una visione sempre nuova e al passo coi tempi del marketing 2.0.

Come performare al meglio su LinkedIn e perché non puoi non esserci

Lo abbiamo detto in apertura, LinkedIn è uno dei social network in cui l’engagement organico è in continua crescita, gli utenti hanno interazioni continue con le pagine che seguono, con il 40% di loro che interagisce settimanalmente in conversazioni o post.

Linkedin

Nei primi mesi dell’anno si sono registrati incrementi del 22% in pubblicazioni di aggiornamenti e post sulle proprie pagine, altri incrementi del 25% nelle interazioni nelle conversazioni e sempre più aziende che si affidano allo strumento “newsletter” fornito dalla piattaforma. LinkedIn, infatti, funziona sia per target B2B che B2C, in modo differente, ma sicuramente efficace.

LEGGI ANCHE: 10 consigli per produrre contenuti social risparmiando tempo

Ora diamo qualche numero. Statistiche generali: più di 850 milioni di utenti sparsi in 200 Paesi, 9 milioni di pagine aziendali di cui solo 2,7 milioni postano settimanalmente.

Essendo LinkedIn il social network professionale per eccellenza, ci sono circa 39 mila skills registrate e il 40% delle aziende lo usa costantemente per selezionare candidati.

I contenuti a pagamento sono prodotti dall’80% degli utenti attivi.

Engagement: il 40% degli utenti interagisce con le pagine in maniera costante e intercetta +22% di aggiornamenti nel feed, percentuale che si incrementa se parliamo di contenuti video e foto, ecco perché nel 2022 gli eventi live hanno subito un +150% e le dirette live un +175%.

Strumenti a pagamento: l’incasso per LinkedIn nel 2022 è stato di 5 milioni di dollari, con un miglioramento a favore dei brand paganti nel tasso di engagement che si è quadruplicato e duplicato il tasso di apertura delle newsletter.

Quindi, come performare al meglio? Alcuni consigli:

  1. Pubblica almeno 5 volte a settimana, martedì-giovedì-sabato sono i giorni migliori
  2. Usa un mix di contenuti, tuoi e di terzi, cercando di pubblicare, condividere, interagire e reazionare i post
  3. I contenuti più efficaci sono quelli che coinvolgono i dipendenti, comprese le storie personali, valori aziendali, pensieri motivazionali

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notizie della settimana 6 - 12 febbraio

Pagamenti digitali, tool SEO e cybersecurity: le notizie ninja della settimana

Ci siamo: è l’anno dell’abbandono ai cookie di terze parti e la febbre della profilazione torna a salire. Grazie al report di Salesforce scopriamo che la soluzione c’è e passa attraverso la conquista della fiducia dei potenziali clienti.

Ma, per raggiungerli, è in primo luogo necessario che riescano a trovarci, e in questo senso acquisire le necessarie competenze SEO diventa indispensabile (dai un’occhiata alla Factory per diventare SEO specialist e in questo articolo trovi anche una serie di tool che possono aiutarti).

L’importanza di farsi trovare è confermata dai dati dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, che registra un aumento dei pagamenti digitali (avevamo già affrontato l’argomento qui con Banca Sella), mentre l’advertising trova nuova linfa vitale nello streaming video e audio (trovi qui l’analisi di Spotify).

Chiudiamo il cerchio aperto con la maggiore attenzione alla privacy con l’alert dell’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica: gli attacchi informatici in Italia aumentano spaventosamente ogni anno.

“Sicurezza” continuerà a essere una delle hot keyword del 2023.

Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

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Partecipa alla prima SEO Factory di Ninja Academy, il Percorso Learning by Doing per perfezionarti come SEO Specialist con un project work reale per un top brand.

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I pagamenti digitali sfiorano i 400 miliardi

Lo dicono i risultati della nuova edizione dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano che per il 2022 registra una crescita del 18%.

Si avvicina il Cookieless. Cosa possono fare i marketer

Attraverso i dati dello State of Marketing di Salesforce scopriamo sfide e opportunità della scomparsa dei cookie di terze parti.

notizie della settimana - marketing top priorities State of Marketing Salesforce

Secondo il report, le possibili soluzioni adottabili dai marketer possono essere riassunte in quattro punti principali:

  • Esplicito consenso
  • Privacy by default
  • Soluzioni tecniche
  • Banner informativi

Puoi scaricare il report completo a questo indirizzo.

I tool essenziali per la tua SEO

Chi si occupa di contenuti online sa perfettamente che l’ottimizzazione per i motori di ricerca è fondamentale per aumentare il traffico verso il sito web. A questo scopo, questa shortlist di SEO tool può fornirti un valido aiuto anche se sei alle prime armi.

Re-hiring, le aziende riassumono gli over 50

Viene dagli Stati Uniti la nuova tendenza che sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Le aziende sono sempre più portate a rivalutare la generazione dei baby boomer, rinominati già “longennials”, per la loro esperienza.

Italia a rischio cybersicurezza

Secondo l’ultimo rapporto Clusit (l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica), nel 2022 sono stati 188 gli attacchi informatici verso il nostro paese, con un incremento del 169% sull’anno. A livello mondiale la crescita è stata del 21%.

Le notizie della settimana: il potenziale divieto di TikTok negli Stati Uniti

La Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti ha approvato martedì un disegno di legge che darebbe al presidente Joe Biden l’autorità di vietare la piattaforma. Secondo l’analisi di CNBC, le prime società a poter essere avvantaggiate dal ban sarebbero quelle di pubblicità digitale, tra cui Meta, Snap e Google.

Lo streaming video supportato da pubblicità continua a crescere

Lo rileva l’ultimo report di TiVo, secondo il quale, però, comincia a calare la tollerenza del pubblico nei confronti dei break pubblicitari.

notizie della settimana - tempo medio streaming audio video

Il numero medio di fonti video utilizzate dagli utenti raggiunge quasi 12 e sono i servizi gratuiti a crescere al ritmo più alto.

Notizie sull’intelligenza artificiale: DuckDuckGo si cimenta con la ricerca AI

Il motore di ricerca incentrato sulla privacy, ha seguito Microsoft e Google immergendosi nella tendenza dell’intelligenza artificiale generativa. Annunciato il lancio in versione beta di una funzione di riassunto alimentata dall’AI, denominata DuckAssist. Sarà in grado di rispondere direttamente alle query di ricerca semplici degli utenti.

Le pubblicità più belle di febbraio 2023

Instancabili e sempre pieni di idee, i brand non smettono di creare lavori dalle sfumature più complesse e affascinanti.

pubblicità febbraio - IKEA Troll - ninja marketing

Da IKEA a Google, passando per la partnership tra Dove e LinkedIn, dai un’occhiata alle creatività selezionate dalla redazione.

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re-hiring cosa è

Il fenomeno del re-hiring: perché le aziende riassumono gli over 50

Viene dagli Stati Uniti la nuova tendenza che sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Si chiama re-hiring e vuol dire, letteralmente, “ri-assunzione”. Ma di cosa si tratta?

Cos’è il re-hiring?

Il fenomeno del re-hiring è la tendenza a riassumere in azienda gli over 50 che erano stati licenziati qualche anno fa, tendenzialmente prima del covid. La pandemia ha trasformato totalmente il mondo del lavoro. Il covid ha messo le aziende di fronte a nuove sfide, forse più complesse di quelle del passato.

LEGGI ANCHE: Great Resignation: l’identikit degli italiani che lasciano il lavoro

Partiamo da un presupposto (anzi più di uno): quando un’azienda è costretta a ridurre il proprio personale, è molto probabile che parta proprio dagli over 50, per una questione economica.

Tuttavia, il nuovo assetto organizzativo ed economico in cui le aziende si muovono oggi è sempre più difficile da gestire.

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La tecnologia si evolve in modo ultra rapido, i mercati sono sempre più volatili, l’acquisizione di competenze è un elemento fondamentale per il buon funzionamento di un’impresa, ma talvolta i giovani non sono pronti – e come potrebbero esserlo? – a salire su un treno che corre veloce e che non può fermarsi neanche per farli salire.

cos'è il re-hiring

Ecco, dunque, che le aziende si trovano di fronte a un tale mismatch tra domanda e offerta. Sono portate, dunque, a rivalutare la generazione dei baby boomer, rinominati già longennials che, solo qualche hanno fa, erano stati etichettati dalle imprese e dalla società come incapaci di poter dare ancora valore al mondo del lavoro e, invece, oggi risultano elementi necessari e preziosissimi.

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Possiedono molta esperienza, hanno bisogno di poca formazione e possono essere messi a capo di un progetto in corso d’opera immediatamente, conoscono la cultura aziendale e sono legati all’impresa per cui hanno lavorato per anni, sposandone mission e obiettivi.

È questo il profilo che tutte le aziende cercano? Probabilmente sì, specialmente in questi anni.

Cosa dicono i dati?

Una ricerca realizzata da due psicologhe di Harvard, Tessa Charlesworth e Mahzarin Banaji, evidenzia come gli stereotipi riguardanti età e disabilità siano più persistenti di quelli legati alla razza, all’orientamento sessuale e alla religione.

Addirittura, si prevede che, mentre il pregiudizio nei confronti degli omosessuali sarà definitivamente superato entro 20 anni, quello nei confronti delle persone anziane ne impiegherà 150. Un dato che va in contro tendenza rispetto al fenomeno del re-hiring che, tuttavia, sembra non essere ancora definitivamente approdato in Italia.

I percorsi di mentoring

Ma, quindi, in questo modo si smette di investire sui giovani?

Certo che no. I longennials, oltre ad essere definiti lavoratori “ready-to-go”, possiedono una skill fondamentale per far parte della realtà aziendale.

Hanno acquisito l’intelligenza organizzativa che è una capacità che si genera attraverso l’esperienza. Sapere come muoversi in relazione a un progetto, saper gestire un gruppo di lavoro, anche a distanza, interpretare le situazione e avere reali capacità di problem solving. 

Tutto questo rappresenta l’intelligenza organizzativa che ha un’importanza enorme all’interno del mondo del lavoro.

Allo stesso tempo, reinserire persone con esperienza e altamente qualificate porta valore all’azienda anche da un altro punto di vista: la possibilità di avviare dei veri e propri percorsi di mentoring

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Troppo spesso questo è impossibile, sia per questioni economiche che per scarsità di personale.

In questo modo per un giovane è davvero difficile acquisire le competenze richieste dalle aziende e quindi crescere professionalmente. Se non in azienda, dove possono imparare i giovani che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro?

L’importanza della seniority

Ecco che affiancare ai giovani persone qualificate e di esperienza che possano seguirli in un percorso di crescita è fondamentale anche per non disperdere le competenze che sembrano essere imprescindibili per le aziende.

Dal canto loro, i longennials sono ben disposti ad intraprendere un’esperienza differente rispetto al passato e quindi sono sempre più disponibili ad una consulenza maieutica.

Se nessuno si stupisce che un libero professionista o un imprenditore proseguano il loro lavoro anche oltre l’età pensionabile, perché dovrebbe essere così in azienda?

Il fattore della seniority assume una grande importanza. Oggi, ad esempio, sono sempre di più i manager che intendono spendere gli ultimi anni di carriera assumendo posizioni in seconda linea.

Questo potrebbe essere vantaggioso sia per i dipendenti che per l’azienda. Bisogna solo avere il coraggio di adottare tali soluzioni.

Dunque, se negli Stati Uniti il fenomeno del re-hiring è già un treno in corsa, quando e come rivoluzionerà anche il mondo del lavoro italiano?

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engagement generazionale sul lavoro

Come motivare generazioni differenti di lavoratori in azienda

  • Le strategie di gestione della workforce multigenerazionale rappresentano una leva strategica per l’engagement e la retention in azienda
  • Come si coniugano motivazioni diverse tra colleghi e colleghe di età distanti
  • L’eterno trade-off tra tempo e denaro nelle prospettive generazionali del total reward

Dalla pandemia, le persone hanno cercato di prendersi cura di se stesse dal punto di vista fisico e psicologico e di avere più libertà nel lavoro. Questa nuova mentalità ha portato a un grande cambiamento nelle aziende, che hanno iniziato a comprendere quanto sia urgente in alcuni casi, rivisitare valori, modelli e cultura del lavoro.

Inoltre, i dipendenti hanno messo in discussione le proprie motivazioni e hanno iniziato a cercare impieghi che offrano flessibilità, motivazione e empatia.

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Ripensare l’engagement coinvolgendo le aziende

L’ “abbandono silenzioso” ha innescato riflessioni sul coinvolgimento al lavoro. Oltre ai problemi di attraction, come la scarsità di nuove competenze digitali e sostenibili, ci sono anche problemi di retention, soprattutto in Italia, dove solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro rispetto al 21% a livello mondiale.

A questo scenario si aggiungono le sempre inquietanti prospettive demografiche, che non si può continuare a sottovalutare. Negli ultimi 5 anni, la popolazione in età da lavoro (16-64 anni) è diminuita di 756 mila persone.

Nel solo 2022 di 133 mila.  La scarsità dell’offerta di lavoro sarà sempre più una realtà, così come lo squilibrio tra occupati e pensionati e un minor gettito di entrate per servizi e welfare.

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Le cause di questo abbandono silenzioso (quiet quitting) o di “grande rassegnazione” collettiva, comprendono la volontà di evitare l’hustle culture, il burnout, lo stress da lavoro e la mancanza di quella leadership che aiuti a coniugare i bisogni aziendali con quelli individuali e di gruppo.

Non bisogna poi dimenticare eventuali disillusioni di crescita personale e professionale che l’organizzazione compie attraverso i propri messaggi di employer branding.

Tra le cause di questi cambiamenti che hanno portato al “Great Reshuffle” (come suggerito da LinkedIn), non dimentichiamo di includere anche molti fallimenti dei manager nel bilanciare benessere e obiettivi aziendali con la concreta crescita personale o con addirittura comportamenti diffusi di micro-management.

A fine 2022, uno studio globale condotto da LinkedIn su 2.900 executive (C-suite) ha evidenziato un rallentamento delle assunzioni a livello globale, con il 34% delle aziende italiane che ha ridotto i propri piani di hiring.

Oggi, quasi la metà (49%) dei lavoratori intervistati si sente più sicura di richiedere una promozione o una nuova opportunità rispetto all’inizio del 2022, mentre solo un quinto (20%) si sente meno fiducioso. Inoltre, il 47% si sente più a proprio agio nell’esprimere disaccordo con un superiore.

In Italia, più della metà degli intervistati (54%) sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, con differenze tra le fasce d’età: il 69% nel gruppo 18-24 anni, il 46% nel gruppo 45-54 anni, e solo il 27% nel gruppo over 55.

La maggior parte dei Millennial (25-34 anni) e dei più anziani (35-54 anni) cita la necessità di guadagnare di più come la ragione principale per un cambiamento, mentre solo il 31% della Gen Z cita la paga come motivo principale.

Invece, per i più giovani (18-24 anni), la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (29%) e la sicurezza nelle proprie capacità (29%) sono ragioni importanti per cambiare lavoro, mentre solo il 23% dei millennial cita la work-life balance come priorità e solo il 19% si sente più sicuro delle proprie capacità.

Solo il 20% della Gen Z segnala una buona work-life balance attuale, rispetto al 39% dei millennial e al 30% delle altre fasce d’età. Infine, il 25% dei lavoratori tra i 35-44 anni è annoiato dal proprio ruolo e cita questo come motivo per cambiare lavoro, una percentuale significativamente superiore a tutte le altre fasce d’età.

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In questo scenario la parola chiave dell’engagement risuona fortemente, sia per frenare le emorragie di competenze e il loro continuo ricambio, sia per mantenere livelli di performance adeguati a mercati sempre più concitati e veloci, sia per superare le difficoltà di integrazione delle nuove generazioni in azienda.

L’engagement intergenerazionale

Le generazioni attuali sono impegnate ad equilibrare le loro aspettative per il presente, che sono notevolmente differenti e in qualche modo risultanti dalla pandemia e dalle relative trasformazioni.

engagement workplace

La focalizzazione sul presente è diffusa in ogni generazione, ma la percezione del futuro varia in base all’età, anche se in alcuni casi è simile. Questo incide non poco sulle prospettive di fidelizzazione con un datore di lavoro.

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Per mantenere un ambiente di lavoro motivante e coinvolgente, le aziende non possono, pertanto, non tener conto delle diverse generazioni compresenti e delle loro motivazioni, poiché cambia per ciascuna generazione la declinazione di alcuni paradigmi che descrivono importanti aspetti della vita.

Come descrive bene Diego Martone in “Senza età”: “pensiamo al rapporto di equilibrio vita privata/lavoro, con un’evoluzione che è ottimamente riassunta nei seguenti slogan generazionali: si è passati dal “work is living” della Silent Gen al “live to work” dei Boomers, dal “work to live” della generazione X al “live in the moment” della generazione Y, fino al “S1E1:work” della Gen Zed”.

Proviamo allora a fare una breve fotografia delle aspettative delle diverse generazioni al lavoro e delle misure che solitamente vengono apprestate dal mondo aziendale.

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La Generazione dei Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964) cerca una stabilità finanziaria e una pensione sicura. I loro obiettivi sono quelli di impegnarsi a mantenersi attivi e in salute cercando di non gravare su figli e nipoti.

Con questo cluster le organizzazioni provano a prefiggersi l’obiettivo di offrire programmi di pensionamento solidi e ben progettati per mantenere il loro impegno e coinvolgimento sul lavoro, magari provando anche a valorizzare l’esperienza e la conoscenza di questa generazione, offrendo loro opportunità di mentoring o formazione per giovani dipendenti.

Per la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), le opportunità di crescita e sviluppo professionale sono fondamentali per mantenere l’engagement.

Questa generazione si trova una discreta stabilità lavorativa reddituale e patrimoniale (comunque inferiore ai loro genitori) e tra i loro obiettivi c’è ancora il tema di essere condizionati dal completamento del progetto familiare.

E cerca inevitabilmente anche un equilibrio tra vita privata e lavoro; quindi, le aziende si pongono l’idea di offrire flessibilità negli orari di lavoro o la possibilità di lavorare da casa per mantenere una motivazione al lavoro adeguata, provando ad incoraggiarla con la formazione continua e offrendo nuove opportunità di avanzamento di carriera.

Per la Generazione Y o Millennials (nati tra il 1981 e il 1996), la cultura e i valori aziendali sono da sempre stati molto importanti. Questa generazione è stata attratta da aziende che hanno missione e valori forti e che mostrano un impegno per la sostenibilità e la responsabilità sociale, ma vive ancora il lavoro, il reddito e la disponibilità economica come incerte e continua in molti casi ad essere protesa verso l’uscita dalla precarietà, con la prospettiva di creazione o crescita di una propria famiglia.

In questi casi l’orientamento del welfare aziendale dovrebbe essere teso ad incoraggiare la creatività e l’innovazione attraverso progetti di gruppo e fornire una visione chiara e trasparente per il futuro per mantenere l’impegno dei Millennials.

Per quanto riguarda la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012 circa), cresciuta nel mondo digitale e abituata a lavorare in modo collaborativo e interattivo, dobbiamo considerare un gruppo sociale in buona parte ancora dipendente dalla famiglia di origine, che è impegnata a terminare il proprio percorso di istruzione per il successivo ingresso nel mondo del lavoro.

Il trend che sembra distinguersi oggi per le aziende è quello di incoraggiare sempre di più l’inclusività e la diversità, rispettare le opinioni e le esigenze dei dipendenti più giovani, per creare un workplace positivo e fluido, sulla scorta delle trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo del lavoro.

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Abbiamo forse compreso che le percezioni, i vissuti e le rappresentazioni dell’ambiente lavorativo differiscono tra le generazioni, ma sempre di più queste condividono gli stessi spazi e gli stessi progetti aziendali.

Trascurare queste differenze può avere un impatto sulla produttività e sul clima aziendale, nella comunicazione e nell’apprendimento del lavoro. Non tanto forse nella difficoltà nell’utilizzo di tecnologie, ma soprattutto nel modo di percepire e vivere con senso di appartenenza le regole e la mission aziendale, considerati sempre di più dei fattori distintivi di valore aggiunto anche per i risultati di business.

Tuttavia, all’interno dei sistemi relazionali aziendali, tende ad emergere una convergenza, basata sugli obiettivi comuni, sul linguaggio specifico e condiviso che caratterizza le attività, sul modus operandi dell’azienda stessa, sul codice non scritto di comportamento aziendale che viene direttamente o indirettamente trasmesso e assimilato dall’onboarding in poi.

A volte è molto più probabile, infatti, condividere una visione comune con un collega di una generazione diversa, ma appartenente alla medesima azienda, che con una/un coetaneo che lavora in un campo o settore molto differente.

In sintesi, quello che solitamente chiamiamo “engagement” ha bisogno necessariamente di una rivisitazione proprio in prospettiva intergenerazionale e di “belonging” organizzativo.

Non solo per i cambiamenti delle fasi e dei cicli di vita delle persone nelle organizzazioni, ma proprio in ottica cooperativa, integrata, di mutuo scambio di esigenze e rappresentazioni semantiche del concetto di lavoro.

Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z, lavorando insieme con esigenze diverse, richiedono una talent & rewards strategy composita e segmentata, che tenga conto dei fabbisogni dei diversi cluster di popolazione aziendale e di quelli individuali.

Engagement intergenerazionale: conviene puntare su tempo o denaro?

In tutte le indagini che approfondiscono le Nuove Generazioni in azienda, i giovani vengono rappresentati come una generazione che ricerca un equilibrio tra vita lavorativa e privata, presta attenzione all’impatto ambientale, all’integrità e agli effetti a lungo termine delle loro azioni.

La loro soddisfazione sul lavoro e il loro impegno nell’azienda sono fermamente legati alla condivisione dei valori personali con quelli dell’organizzazione. Sembra quasi che la formula magica sia: maggiore sarà la coerenza con i principi e l’etica aziendale, più i giovani saranno in grado di dare il massimo.

Ma non possiamo ridurre il ragionamento solo a questo: è necessario fare i conti anche con gli annosi, e pur sempre attuali, aspetti retributivi.

Abbiamo compreso che il valore della gestione del tempo e del lavoro per obiettivi sembra essere maggiormente apprezzato dai Millennials e dai Gen Z lavoratori, laddove ne abbiano già fatto esperienza del mondo professionale, ma non sappiamo ancora se i giovanissimi (oggi studenti) effettueranno la loro stessa scelta culturale, o nutriranno una percezione del valore del denaro più pragmatica rispetto ai “cugini” di generazione.

La crisi economica del 2008 influì sui Millennials facendo loro abbandonare molte pretese sulla carriera e la certezza del futuro professionale; sarà molto utile monitorare in questi anni gli effetti delle attuali difficoltà economiche su tutta la popolazione giovanile.

Quanto guadagnano Boomer, Gen Z e Millennial

Una recente indagine di Odm Consulting ha rilevato che un impiegato di 30 anni guadagna il 34% in meno rispetto a un impiegato di 60 anni. Le retribuzioni medie di diverse generazioni, tra cui i Baby Boomer, la Generazione X, i Millennial e la Generazione Z, presentano notevoli differenze, creando un vero e proprio “generational pay gap“.

engagement generazionale

La retribuzione media per un impiegato è di 33.514 euro all’anno, ma un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più, un impiegato della Generazione X il 12,2% in più e un Millennial solo l’1,6% in più. Invece, un impiegato della Generazione Z guadagna il 23,1% in meno rispetto alla media.

In altre parole, un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più rispetto a un impiegato della Generazione X e addirittura il 34% in più rispetto a un Millennial.

Quando la discriminazione di età diventa strutturale non deve essere sottovalutata, anche se Daniel Pink da alcuni anni ci ha spiegato che la motivazione umana è principalmente intrinseca e che i tradizionali modelli di motivazione guidati dalle ricompense e dalla paura delle punizioni, dominati da fattori estrinseci come il denaro, fanno parte di un vecchio paradigma che non funziona bene negli ambienti di lavoro moderni.

Di certo c’è che gli aspetti retributivi sono parte integrante della “sicurezza psicologica” delle dottrine agile e, se in azienda non sono assicurate saldamente (soprattutto durante le tempeste inflazionistiche) o sono tema di disparità generazionale, l’engagement basato su purpose e storytelling deflagra malamente.

Per quanto riguarda allora i total rewards, ovvero il sistema completo di gratificazioni che comprende sia le componenti tangibili come la retribuzione e il welfare, che quelle qualitative ed intangibili come lo sviluppo e l’ambiente di lavoro, probabilmente le Nuove Generazioni richiederanno un’attenzione riformulata sia degli aspetti intangibili, ma anche di quelli più concreti. Continuerà ad essere importante il “perché” e il “come” dei riconoscimenti ma forse anche il “quanto”.

La gestione della diversità così diventa ancora più olistica: dimentichiamo infatti sistematicamente che tra gli elementi che costituiscono i temi di D&I c’è anche il divario economico tra gli individui, e se consideriamo strategico inserire queste dinamiche culturali in azienda, la “Diversity EQUITY and Inclusion”  deve essere considerata fondamentale in tutte le fasi della gestione del capitale umano: dal reclutamento, alla formazione, alla carriera e alla definizione dei pacchetti retributivi, e così via.

Esistono inevitabilmente dei rischi di conflitti tra gruppi eterogenei e difficoltà di comunicazione connessi alle diverse modalità di lavoro. La retribuzione individuale dovrebbe essere maggiormente legata alla professionalità, ai risultati, più che al tempo dedicato al lavoro e alla seniority aziendale.

La capacità di tenere il passo con lo sviluppo tecnologico, l’innovazione e l’attualità culturale diventerà, a tendere, importante quanto l’esperienza maturata.

Per ciò che riguarda la retribuzione, c’è chi suggerisce che potrebbe essere utile personalizzare i pacchetti retributivi con un peso maggiore della retribuzione variabile, per comportare una minore rigidità retributiva e la possibilità di adeguare i pacchetti in base alle performance.

Ma la componente del welfare aziendale continuerà ad acquisire comunque sempre maggior importanza nella retribuzione complessiva, soprattutto in quelle realtà che lo utilizzano come leva di attraction e retention collegandola ai valori aziendali.

Per questo un aspetto cruciale sarà inesorabilmente la capacità delle aziende di comunicare sulle tematiche retributive in modo finalmente trasparente (dagli annunci di lavoro alle prospettive di carriera), invece di considerarle argomenti riservati o tabù.

Le motivazioni “di nuova generazione”

In passato, la motivazione al lavoro era basata sulla semplice accettazione da parte dei dipendenti, ma con l’evoluzione professionale di questi ultimi anni, la motivazione richiede strategie di engagement sempre più profonde.

Citando nuovamente “Drive” di Daniel Pink, per far sì che i dipendenti siano veramente motivati, è necessario che vivano un’esperienza “autotelica”, dove l’attività stessa è una ricompensa e la padronanza di un compito appreso alimenta ulteriormente la motivazione.

Per affrontare questi nuovi paradigmi e migliorare i risultati di attraction&retention, è importante allora considerare gli aspetti di autonomia, padronanza e scopo come elementi chiave delle esperienze professionali in azienda per tutte le generazioni.

È certamente auspicabile che ognuno trovi il suo “flow” attraverso questo tipo di personalizzazione della gratificazione retributiva e non, ma soprattutto che tutto questo venga sviluppato attraverso una lente strategica di intergenerazionalità, magari coinvolgendo direttamente senior e junior in una definizione trasparente dei benefit, delle retribuzioni e degli obiettivi comuni, così come in una riformulazione coraggiosa del classico percorso trifasico (studio, lavoro, pensione) del ciclo di vita organizzativo.

Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo.” (Anton Pavlovic Cechov)

Employer Branding: come attirare talenti in azienda attraverso il marketing

Siamo abituati a pensare al marketing come quell’insieme di tecniche che aiutano l’azienda a vendere i propri prodotti attraverso i brand. Ma, prima ancora di vendere i prodotti, l’azienda deve saper fare Employer Branding, ossia saper vendere se stessa ai potenziali candidati.

Le risorse umane sono un patrimonio intangibile, e attirare o trattenere i talenti non è così semplice come sembra, soprattutto in una contingenza lavorativa complicata come quella attuale. Ma facciamo dei passi indietro per capire meglio il fenomeno.

<<Domina i nuovi scenari HR, tra Great Resignation e GenZ: esplora il Corso Employer Branding>>

Che cos’è l’employer branding?

Il termine employer brand, oggi tra i principali trend del mercato del lavoro, è stato introdotto sul finire del secolo precedente, esattamente nel 1990, da Simon Barrow, presidente di People in Business.

L’intento dell’employer branding è quello di applicare le tecniche di marketing e del brand management alla gestione delle risorse umane, con il fine di migliorare la reputazione dell’azienda in quanto datore di lavoro, rappresentando di fatto il modo in cui l’azienda si vende ai potenziali dipendenti.

Rappresenta a tutti gli effetti un’attività di marketing che considera il luogo del lavoro esattamente come un brand, con l’obiettivo di valorizzare l’identità aziendale per attrarre e mantenere nel tempo le risorse umane, che in questo caso costituiscono il target di riferimento.

È un’attività che lega la comunicazione al marketing e alle risorse umane, con lo scopo di mostrare l’azienda come la migliore a cui aspirare nell’ambito lavorativo (best employement of choice).

Perché è importante la reputazione del datore di lavoro

Le aziende con una buona reputazione sul mercato del lavoro hanno più possibilità di successo nell’attirare i talenti. 

Prima di inviare la candidatura per un posto di lavoro, infatti, i candidati effettuano delle ricerche mirate sul potenziale datore di lavoro: secondo un sondaggio di Talent Now l’84% degli intervistati ha affermato che la reputazione dell’azienda risulta fondamentale, a loro volta, l’80% dei responsabili ritiene che l’employer branding abbia un impatto significativo sulle assunzioni.

Il coinvolgimento dei dipendenti rappresenta un buon segnale di employer branding: se i dipendenti sono soddisfatti sarà più facile fidelizzarli all’impiego e saranno più propensi a fare “passaparola”, una delle forme di pubblicità tra le più efficaci al mondo.

Inoltre, il 96% delle aziende concorda sul fatto che una buona attività di employer branding possa avere un effetto positivo sui ricavi.

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Avere una solida reputazione permette di trattenere talenti: secondo una ricerca di CR Magazine, il 92% è disposto a considerare la possibilità di cambiare lavoro nel caso in cui ricevesse un’offerta da un’azienda con una buona reputazione.

LEGGI ANCHE: Come e dove cercare lavoro nel 2023: consigli per il tuo CV

6 best practice per creare una strategia di employer branding

  1. Il primo passo da compiere è valutare la soddisfazione dei dipendenti. Il riconoscimento è il modo migliore per motivare i dipendenti, il 50% dichiara che sentirsi apprezzati ha migliorato i rapporti con il management, e il 60% delle aziende ammette che il riconoscimento dei dipendenti è prezioso per migliorare le prestazioni aziendali. Gratificare, oltre che con lo stipendio, influisce positivamente sul benessere del dipendente e ne aumenta il senso di appartenenza, ad esempio offrendo percorsi di training per crescere, sviluppando piani di carriera personalizzati e mantenendo una comunicazione fluida con e tra i dipendenti.
  2. Definire il proprio EVP (employee value proposition), la proposta di valore dovrebbe rispondere alla domanda “che cosa offre la mia azienda come datore di lavoro e in che modo è diversa dagli altri?”. Il modo migliore per rispondere è intervistare i propri dipendenti, chiedendo cosa apprezzano, quali aspetti del lavoro li soddisfa e perché hanno scelto di lavorare per l’azienda in questione.
  3. Individua il profilo dei candidati, capire qual è il candidato-tipo aiuta a migliorarne la posizione e di conseguenza la soddisfazione individuale. Nel tracciare il profilo del lavoratore è utile porsi delle semplici domande: quali sono le principali competenze possedute, che tipo di personalità rispecchia, gli obiettivi di carriera che ritiene importanti, cosa lo frustra sul lavoro ecc.
  4. Creare delle mappe dei punti di contatto con il dipendente, risulta particolarmente strategico per non perdere i dipendenti migliori nel tempo, o, addirittura, già dopo il colloquio. Un’esperienza positiva rende infatti propensi ad accettare il posto di lavoro con maggiore serenità.
  5. Creare contenuti accattivanti, che attirino i potenziali candidati a presentarsi: post sul blog e sui social circa gli eventi aziendali, la cultura aziendale, le opportunità di crescita professionale, i futuri progetti dell’azienda, le testimonianze di dipendenti ed ex con esperienza positiva; rendere disponibili i webinar di formazione promossi in azienda.
  6. Coinvolgere i dipendenti nella diffusione dei contenuti, le aziende i cui dipendenti partecipano alla diffusione dei contenuti godono di un maggiore senso di credibilità all’esterno, che può potenzialmente condurre a maggiori domande di lavoro ricevute.

Le difficoltà nell’employer branding

Spesso il settore delle risorse umane non dispone di molte risorse economiche, nonostante tutto sono numerose le aziende che se ne avessero la possibilità investirebbero di più nelle attività di marketing del datore di lavoro.

Di questo, poi, risente anche il coinvolgimento dei dipendenti: uno studio dimostra che 1/4 dei dipendenti intervistati dichiara di non sentirsi al corrente su informazioni da parte della direzione. Il 40% sottolinea di essere disposto a condividere più contenuti sui social se solo fosse più informato.

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Inoltre, è necessario tenere presente che, in particolare dopo la pandemia Covid-19, il lavoro non ha più distanze. In gran parte si svolge in remoto, tra diverse parti del mondo, quindi occorre saper assumere senza confini e avere una profonda conoscenza della cultura dei vari dipendenti.
Proprio l’esperienza del Coronavirus ha fatto riflettere sulla necessità di mantenere il focus sul presente, come dimostra un seminario condotto da Jason Averbook, CEO e co-fondatore della società di consulenza per le risorse umane Leapgen.

L’importanza di avere dipendenti amabassador

La condivisione dei contenuti sui social, e non solo, da parte dei dipendenti, è un elemento di notevole importanza. L’ultima frontiera, in questione, è rendere il lavoratore ambassador del luogo di lavoro.

Gli ambassador sono personaggi che, in virtù della propria influenza e delle capacità comunicative interpersonali, riescono ad avere un’influenza sugli altri. Rappresentano il “volto” del brand sui canali di comunicazione, dotati di una forza maggiore rispetto alla pubblicità tradizionale, consentono di aumentare la consapevolezza del brand e incrementare la fiducia nei destinatari.

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Così come un influencer noto, allo stesso modo il dipendente potrebbe diventare il personaggio a cui, i potenziali candidati, potrebbero prestare maggiore ascolto. Secondo i dati del sondaggio condotto da Nielsen, il 92% dei consumatori si fida di più di chi è nella propria cerchia, solo 1/3 dice di fidarsi della pubblicità tradizionale.

Per la maggior parte dei soggetti, in una situazione di over information, come quella della società contemporanea, nella quale è faticoso gestire gli innumerevoli stimoli comunicativi, è necessario effettuare una selezione. In questo caso, il dipendente soddisfatto può rappresentare un’esempio da seguire.

Curiosità in numeri

L’86% dei professionisti delle risorse umane intervistati ha indicato che il reclutamento sta diventando sempre più simile al marketing, proprio per questo l’employer branding è ormai considerata un’attività imprescindibile per l’azienda, sotto vari aspetti.

Il marketing del datore di lavoro ha un’assoluta importanza nella percezione dei candidati: il 55% delle persone in cerca di lavoro dichiara di abbandonare le domande dopo aver letto recensioni negative online, il 50% afferma che non lavorerebbe per un’azienda con una cattiva reputazione, nemmeno per un aumento di stipendio. Una reputazione negativa può costare a un’azienda fino al 10% in più per assunzione.

Oltre che sulla reputazione, può influire positivamente anche sul turnover: quasi il 30% delle persone in cerca di lavoro ha lasciato l’impiego entro i primi 90 giorni dall’inizio (indicando un disallineamento tra il candidato e l’employer brand). Investendo nell’employer branding si potrebbe diminuire il turnover del 28%. 

Il 96% delle aziende ritiene che l’employer branding e la reputazione possano avere un impatto positivo sui ricavi, ma meno della metà, appena il 44%, monitora tale impatto. I primi tre canali in cui le aziende intendono comunicare il proprio employer brand sono, nell’ordine, il sito Web aziendale (69%), le reti professionali online (61%), i social media (47%)

LEGGI ANCHE: 8 errori sui social media che le aziende dovrebbero evitare nel 2023

Content Inflation, cos’è e come pianificare una strategia di Content Marketing efficace

L’inflazione, argomento di assoluta attualità che coinvolge l’economia mondiale e la nostra società tutta, sta avendo ricadute anche sul content marketing. Ad una prima lettura potrebbe sembrare insolito il nesso fra Content Marketing e questo fenomeno, ma nuove sfide e cambiamenti stanno interessando il lavoro dei marketer, tanto da parlare sempre più spesso di Content Inflation.

Cos’è di preciso e che ricadute ha la Content Inflation sulle decisioni (e sui budget) di addetti al marketing e aziende? Scopriamolo insieme.

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Il Content Marketing ha un solo imperativo: farti crescere

Content is King”, il mantra su cui si basano tutti i professionisti della SEO e del marketing online, stabilisce la sovranità del contenuto perché è attraverso questo che ci si può connettere davvero con le persone.

I contenuti come testi, immagini e video sono il più importante combustibile del grande motore informativo chiamato Internet, ambiente in cui, secondo il report The Global State of Digital 2022, le persone – e quindi i potenziali clienti – spendono circa 7 ore al giorno, vale a dire circa il 42% del tempo di veglia.

Se prima per annunciare un nuovo prodotto o i valori aziendali era sufficiente investire su contenuti destinati alla tv e alla stampa, oggi i canali di comunicazione sono molteplici e il processo d’acquisto si sviluppa attraverso diversi touchpoint.

Inoltre, molti brand, per attrarre nuovi tipi di pubblico, hanno sviluppato al loro interno delle nuove linee (vedi brand ombrello e brand portfolio) dove per ogni nuovo sotto-segmento è necessario un messaggio diverso.

Lo scenario in cui avviene tutto ciò, come dicevamo in apertura, è quello di una economia in grande difficoltà che lascia sempre meno spazio agli investimenti nelle attività di Content Marketing.

content marketing

Content Inflation: perché non puoi ignorarla

Come è noto, ci troviamo davanti a un fenomeno inflazionistico quando si registra un rincaro di ampia portata, tale per cui con la stessa quantità di moneta si possono acquistare meno beni e servizi rispetto al passato. In altre parole, l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.

Cosa ha a che fare questo con i contenuti che ogni giorno vengono pubblicati su social, blog, newsletter e altri canali?

Molti contenuti presenti sul web sono ormai “inflazionati”, cioè ci sono tante copie di video e testi che non permettono di distinguersi e risultare efficaci.

In modo simile a quanto accade in economia, l’aumento considerevole della quantità totale diluisce il valore del singolo contenuto e l’incremento dei costi connessi alla produzione causa maggiore difficoltà nel generare output originale.

Ma non solo. Considerato che i canali da presidiare sono molteplici e con varie opzioni di formato (newsletter, reel, video in diretta, stories, blog post e podcast, solo per citarne alcuni), spesso lo stesso contenuto viene riutilizzato adeguandolo alle tante piattaforme, risultando snaturato e poco convincente.

Inoltre, grazie alle preziose informazioni che è possibile estrarre dagli UGC e dai metadati degli utenti, diventa sempre più importante (e utile) personalizzare le offerte, i prodotti e la comunicazione in base a fattori come la geolocalizzazione, i dati demografici, il dispositivo utilizzato a molti altri indicatori.

Per rispondere con successo alla Content inflation è necessario allocare una quantità maggiore di budget all’aumentare dei canali da presidiare con i contenuti per poter essere ancora efficaci.

Il 70% dei marketer ha un quadro sufficientemente chiaro della situazione e punta ad aumentare gli sforzi economici da indirizzare nel Content Marketing, ma in che modo è possibile pianificare i contenuti in maniera smart e ottimizzarli se abbiamo a disposizione un budget limitato?

Da dove partire per una content strategy anti crisi: il webinar di TERRITORY Influence

Poiché le persone trascorrono una quantità significativa di tempo su un numero sempre crescente di canali, le aziende e i brand sono costretti a trovare soluzioni strategiche per reperire una grande quantità di contenuti specifici per i canali con un budget limitato.” – Ares Georgoulas, Executive Director, TERRITORY Munich.

Non lasciarsi sopraffare dalla Content Inflation è possibile attraverso la ricerca di una strategia per creare tanti contenuti di valore senza andare fuori budget. In che modo?

Pensando alla Content Strategy in maniera più ampia e ponendosi le giuste domande.

Per esempio, chiediti “in che modo potrei adattare la mia comunicazione per renderla adeguata ai diversi canali?”; oppure, “quali tool e piattaforme possono aiutarmi a ottimizzare il tempo e gli sforzi?”.

E ancora, “in che modo posso costruire una content factory per il mio brand?”

Nel webinar del 2 marzo, gli esperti di TERRITORY Influence insieme a Sprinklr ti mostreranno come ampliare e ottimizzare il portafoglio di contenuti grazie a best practice dei principali brand nel settore Tech, Beauty e Automotive e ai consigli per la pianificazione e analisi della strategia di content marketing per il 2023.

Territory Influence - speaker Content Inflation

Grazie ad Andrea Barri, Senior Solutions Consultant di Sprinklr, Alessandra Arcuri, Project Manager TERRITORY Influence e Christian Piottoli, Key Account Manager di TERRITORY Influence, avrai l’occasione di imparare a pianificare i contenuti in maniera smart, senza soccombere alla Content Inflation.

>>Registrati gratuitamente al webinar cliccando qui <<

parole keyword 2023

10 keyword del 2022 che useremo sempre di più nel 2023

Il nostro linguaggio si evolve a un ritmo sempre più veloce. Negli ultimi anni, la tecnologia ci ha catapultato nel futuro. Le parole si sono trasformate sotto i nostri occhi per permetterci di continuare a comunicare in maniera corretta ed efficace. Alcuni termini arrivano dal passato, altri sono neologismi o crasi tra parole di utilizzo comune.

Quali sono dunque le parole su cui i professionisti del marketing e della comunicazione digitale dovranno concentrarsi? Quelle che permetteranno di raccontare la complessa realtà contemporanea?

Esploriamo insieme le 10 parole che continueranno ad avere un ruolo chiave nel 2023, dalle esperienze digitali nel metaverso alla centralità delle persone e alla loro capacità di esprimersi nella società odierna.

1. Metaverso

Il termine è comparso la prima volta nel romanzo cyberpunk Snow crash scritto da Neal Stephenson nel 1992. Indica uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche hanno la possibilità di muoversi, condividere e interagire tra loro. Al centro di tutto troviamo la personalizzazione.

5 trend sul metaverso per il 2023

Un numero crescente di marketer sta abbracciando questa nuova era di esperienze virtuali e sta raccogliendo risultati notevoli.
Anche le aziende non possono più ignorare questa enorme opportunità per raggiungere il proprio pubblico in maniera unica e creativa.

Ma non è un Eden. Anche il Metaverso ha i suoi lati oscuri. Il Darkverse, infatti, è l’altro concetto che sta prendendo forma attraverso i nostri visori, diventando un luogo di florida e pericolosa proliferazione di illegalità come reati finanziari, sabotaggi, minacce o altre tipologie di estorsioni

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2. Cryptoeconomy

La criptoeconomia descrive un campo interdisciplinare, emergente e sperimentale che attinge a idee e concetti dell’economia, della teoria dei giochi e da altre discipline correlate nella progettazione di sistemi crittografici peer-to-peer.

L’economia delle criptovalute ci ha fatto fare un passo avanti verso l’immaginazione di un futuro alternativo per Internet, in cui la decentralizzazione è protagonista.

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3. Shrinkflation

Con shrinkflation si indica la pratica di ridurre le dimensioni di un prodotto mantenendone il prezzo di riferimento. È un fenomeno a cui fare attenzione soprattutto tra gli scaffali del supermercato alla luce della crescente inflazione.

Chiamata anche sgrammatura, è una strategia adottata dalle aziende, principalmente nel settore alimentare e delle bevande, per aumentare furtivamente i margini di profitto o mantenerli di fronte all’aumento dei costi di input.

4. Quiet Quitting

Nell’era della post pandemia, il quiet quitting diventa una forma di resistenza diretta e di protesta verso l’hustle culture, quella che ci vede impegnati al lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Lasciare silenziosamente il proprio lavoro è una pratica (purtroppo) comune. È il risultato di anni di burnout che hanno registrato un picco durante il periodo di lockdown.

parole

Il nuovo approccio al mondo del lavoro, partito dagli Stati Uniti, è chiaramente una risposta alla cultura della competizione. Con il quiet quitting si intende dare più peso alla qualità della vita privata rispetto alla crescita lavorativa.

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5. Gaslighting

Gaslighting è la parola dell’anno 2022 secondo il dizionario statunitense Merriam-Webster. Il termine è associato alla manipolazione e all’abuso psicologico: “Manipolazione psicologica che durante un lasso di tempo prolungato induce la vittima a mettere in dubbio la validità dei propri pensieri, la propria percezione della realtà o dei ricordi, e porta a confusione, perdita di sicurezza e autostima, incertezza delle proprie emozioni e salute mentale”.

Le ricerche di questa parola sono aumentate in maniera vertiginosa del 1740% nel giro di due anni. Le persone sono sempre più interessate a capire esattamente cosa significhi, non solo nell’ambito delle relazioni sentimentali ma anche in molti altri contesti.

6. Permacrisis

In questo periodo di sconvolgimenti continui e senza precedenti, una singola parola è stata elegantemente creata per dare voce alla nostra esperienza collettiva: “permacrisi”.

parole

Definita dal Collins Dictionary come parola dell’anno per il 2022, permacrisis è formata da “permanente” e “crisi”, e incarna un’epoca prolungata caratterizzata da instabilità, insicurezza e ansia. Con le guerre, le pandemie e la recessione economica che incombono sull’attuale instabilità, non sorprende che questo termine emergente nell’uso popolare superi anche parole più consolidate come “lockdown” o “pandemia”.

7. Ecoansia

Sul tema ambientale sentiremo ancora molto parlare di ecoansia e di quella profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali.

Insieme ad ecoansia arrivano altre parole come simbiocene, che designa una nuova era, caratterizzata dalla necessità di progettare il futuro oltre il pessimismo ambientale. Ma anche solastalgia: il disagio causato dai cambiamenti negativi che si verificano nell’ambiente, una combinazione del latino sōlācium (conforto) e della radice greca -algia (dolore).

8. Goblin mode

Le persone di tutto il mondo stanno dicendo addio alle imposizioni estetiche della società per abbracciare una vita più libera.

È stata soprannominata “Modalità Goblin”, in cui oziare sul divano, mangiare pizza e guardare programmi televisivi viene incoraggiato come strumento per affrontare lo stress o l’ansia.

Il trend è diventato virale sui social già l’anno scorso ed è destinato a consolidarsi. Non si tratta di pigrizia, ma di uno stile di vita che può aiutare a superare i periodi difficili e a dimenticare per qualche tempo i problemi che affliggono il mondo.

9. Non binario

Parliamo di non-binario quando le persone rifiutano lo schema maschile-femminile nel genere sessuale e, a prescindere dal sesso attribuito alla nascita, non riconoscono di appartenere al genere maschile né a quello femminile.

L’identità di molte persone non si limita più alla concezione tradizionale di maschio e femmina: per alcuni il loro genere trascende queste due categorie. Parole come cisgender, transgender, agender e non-binary sono entrate a far parte del nostro vocabolario quotidiano, a testimonianza di quanta strada è stata percorsa in termini di accettazione delle diverse esperienze di identità di genere.

La consapevolezza e l’apprezzamento di queste terminologie permette a tutte le persone, non solo a quelle che si identificano in questo modo, di sentirsi viste e ascoltate senza giudizi o esclusioni.

10. Schwa

Tra le altre parole di cui sentiremo ancora molto parlare c’è lo schwa con il simbolo “ə”, citato sempre più spesso nel dibattito per una lingua italiana più inclusiva. Per anni, i linguisti hanno utilizzato lo schwa, vocale sconosciuta a molti parlanti di lingue europee. Nonostante la sua oscurità, anche se non c’è un modo per digitarlo facilmente su tastiere di computer e smartphone, è presente nell’alfabeto fonetico internazionale e fornisce la pronuncia corretta di innumerevoli lingue in tutto il mondo.

Nel sistema fonetico lo schwa identifica una vocale intermedia, il cui suono si pone esattamente a metà strada fra le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente.

Ad oggi l’Accademia della Crusca si è espressa negativamente dicendo che è una forma non accettabile per la lingua italiana. Non ci resta che aspettare di vedere se la lingua evolverà insieme alla società e se sarà lo schwa a testimoniare questa trasformazione.

cercare lavoro nel 2023

Come e dove cercare lavoro nel 2023: consigli per il tuo CV

Il 2022 è ormai finito, stai cercando lavoro e la pandemia ha cambiato alcune delle regole del gioco accelerando processi che stavano solo per affacciarsi all’orizzonte e rendendo possibili condizioni lavorative inimmaginabili, soprattutto se si parla di Smart Working e di PMI italiane.

In questo scenario, quindi, è utile orientare la stesura del proprio CV diversamente, tralasciando informazioni fisiche, come la residenza o il solo titolo di studio, per evidenziare le proprie specializzazioni o soft skill calate sul ruolo per il quale ci si sta candidando.

Ci troviamo, di fatto, al centro della quarta rivoluzione industriale in cui le nuove tecnologie si fanno sempre più centrali nella vita delle persone e dei lavoratori.

Buoni consigli: cosa non inserire in un CV del 2023

Chi cerca un nuovo posto di lavoro o si sta inserendo in questo mondo per la prima volta scandaglia il web alla ricerca di informazioni utili, di buoni consigli e di modelli efficaci. Oggi più che mai anche i social si fanno densi di tutti questi temi, TikTok compreso.

Proprio su TikTok troviamo Erica Rivera, una recruiter Google, che dispensa consigli di to do e not to do per la stesura di un CV nel 2022 scatenando commenti ed interazioni, anche contrarie, da parte della community. Una cosa è certa, di candidature ne deve aver viste molte nella sua carriera.

Ecco i 5 punti che per Erica Rivera oramai sono Old:

  1. Indirizzo di residenza. Non è più necessario includere il tuo indirizzo completo, abbiamo tutti imparato a convivere con lo Smart Working
  2. Dimentica la lettera di presentazione, almeno come la ricordavi. Una lettera accompagnatoria, oggi, non è più fondamentale. Lo stesso Linkedin dà la possibilità di caricare il CV completo e una piccola descrizione introduttiva
  3. Sapere tutto quello che hai fatto nella tua carriera non è necessario, dritto al punto, ultime posizioni lavorative e soprattutto quelle che possano portare valore aggiunto per l’attuale ricerca di lavoro
  4. Scrivi sempre dalla prima linea, usa verbi e frasi che dicano al recruiter che tu eri lì, protagonista
  5. Avere delle buone referenze è sempre utile, ma scriverlo sul proprio cv non è più necessario. Se dovessero interessare al recruiter te le chiederà.

Le Best Practice non riguardano solo il CV, Mrs Rivera incoraggia i candidati a porre domande durante il colloquio e a presentarsi preparati sull’azienda che andranno a conoscere e, dall’altra parte, si rivolge agli intervistatori ricordando loro che fare dei colloqui non è come uno sprint, do tutto subito, ma è più come una maratona, ci vuole tempo e dedizione per raggiungere il risultato.

Nonostante i consigli di Erica la nostra premessa è stata chiara: questi sono solo consigli e le reazioni sotto i TikTok dell’esperta lo hanno dimostrato. Alcuni recruiter o CEO non hanno espresso il loro consenso, ma rimane un punto fermo il fatto che con nuove posizioni aperte e la voglia di cambiare, i candidati si trovano in un mondo sempre più disorientante.

Ora poniamo un focus sulle skill. Il mondo del lavoro e di vedere le competenze è cambiato nell’ultimo decennio e lo vediamo sia nelle capacità acquisite scolasticamente, sia in quelle personali.

LEGGI ANCHE: Employer branding: guida aggiornata al 2022

Partiamo dalle cosiddette Hard Skill, quelle, cioè, testimoniate da un diploma o una laurea.

Nel mondo del lavoro di oggi queste non sono più in primo piano, non perché non siano importanti, ma perché l’intervistatore le dà per scontate se si è fatta domanda per quel ruolo o azienda.

Soprattutto per skill tecnologiche o digitali che, almeno le basi, sono entrate nella nostra vita quotidiana e da questa non scindibili.

Inoltre il periodo pandemico ha portato, in alcuni casi, ad una ricerca disperata di risorse da parte delle aziende sorvolando su quelle che erano le qualifiche per puntare ad una formazione interna. Le conseguenze? Le aziende hanno acquisito una visione in cui la risorsa è molto più della sua qualifica e il collaboratore ha imparato anche “soft skill riciclabili” in altri settori o realtà.

Ecco quindi come le tanto chiacchierate Soft Skill hanno incrementato la loro rilevanza e sono diventate il fattore decisivo per concludere positivamente un colloquio di lavoro.

Devi dimostrare di essere la persona giusta al momento giusto attraverso le esperienze che ti hanno portato ad apprendere determinate capacità, oltre che cercare di fare il colloquio in presenza e dimostrare un discreto livello di resilienza e di adattamento culturale.

Come sta cambiando il mondo del lavoro, le predizioni fino al 2025

Machines will overtake humans in terms of performing more tasks at the workplace by 2025 — but there could still be 58 million net new jobs created in the next five years, the World Economic Forum (WEF) said in a report.

Questo potrebbe essere un fedele riassunto di quella che sarà la quarta rivoluzione industriale e di quello che rappresenterà per la forza lavoro umana.

L’automazione, quindi, dilagherà e lo farà in modo inevitabile, ma lascerà più spazio ai lavoratori “umani” per quelle attività in cui l’umanità è necessaria togliendo tutti quei compiti invece più ripetitivi e adatti ad intelligenze artificiali.

Questo avrà un risvolto rilevante su quello che è il mondo del lavoro nella creazione di un tessuto mutevole e in cui la percentuale di ore lavorate sarà inferiore, ma in cui la formazione interna deve, necessariamente, rimanere al primo posto per continuare ad essere competitivi.

I settori in cui si vede una crescita più importante nel numero di posti di lavoro generati sono quello medico, dopo la pandemia l’assistenza medica e sanitaria è tornata a essere un cavallo di battaglia, dopo di questo tutto quello che riguarda la governabilità della tecnologia ed, infine, tutto il settore di customer care e attenzione al cliente; settore in cui la tecnologia può fare meno che in altri.

Ad oggi, però, le risorse richieste dalle aziende sono poche o sotto qualificate.

Questo è dovuto anche al fatto che il mondo accademico e quello del lavoro sono sempre stati distanti tra loro e i giovani hanno sempre dovuto passare per lavori inadatti prima di approdare al lavoro dei sogni per il quale si è studiato.

Quali saranno le professioni più ricercate in futuro? Eccone alcune

In un mercato del lavoro che cambia, non solo il CV o le soft skill sono al centro, ma anche il collaboratore con la sue esigenze e la sua voglia di maggior tempo libero a disposizione grazie ad orari e luoghi di lavoro che ne permettono una maggiore flessibilità.

Più del 50% della forza lavoro sta pensando di cambiare l’attuale posto di lavoro per un altro che gli permetta di avere più tempo libero o che concili meglio lo smart working con il lavoro in presenza.

E l’altro 50% che invece sta bene dov’è ha preso consapevolezza nel chiedere una promozione o un aumento.

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Ma vediamo un elenco di quelle che secondo le ricerche potranno essere i lavori del futuro

  • Ingegnere robotico
  • Ingegnere del machine learning
  • Cloud architect
  • Data engineer
  • Sustainability manager
  • Consulente di data management
  • Analista delle risorse umane
  • Talent acquisition specialist
  • Software account executive
  • Cyber security specialist
  • Banker
  • Data scientist
  • Sviluppatore back-end
  • Product Manager
  • Clinic manager
  • Consulente di vendita al dettaglio
  • Business developer
  • Client manager
  • Gestore degli investimenti
  • Ingegnere full stack
  • Infrastructure architect
  • Payroll specialist
  • Sviluppatore front-end
  • Consulente ERP (Enterprise Resources Planning)
  • Addetto all’assistenza dei clienti

Nella lista compaiono molti ruoli relativi alla programmazione, tecnologia e protezione dei dati. Ma anche posizioni dedicate alla vendita e al customer care non mancano.

Personalizzazione e digitalizzazione: come è cambiato il welfare aziendale dopo la pandemia

Come mai è stato prima, il mondo del lavoro gode in questo periodo di una notevole attenzione.

Sono soprattutto le tematiche legate al benessere della persona a farla da padrone: le ondate di manifesta insoddisfazione che sono partite dagli USA per espandersi a macchia d’olio nel vecchio continente hanno monopolizzato le conversazioni online e offline, cavalcando l’onda della viralità social per entrare nelle nostre conversazioni di tutti i giorni.

Abbiamo ampiamente discusso e considerato i fenomeni per i quali un certo numero di lavoratori, soprattutto della Gen Z, hanno iniziato a diffondere sui social (TikTok, tra i più utilizzati) una sorta di festeggiamento pubblico per aver abbandonato il lavoro.

Così, il termine Great Resignation è entrato a far parte del nostro vocabolario professionale grazie anche al tam tam mediatico che, a torto o a ragione, si è sviluppato intorno al tema della rinuncia al posto di lavoro alla ricerca di migliori condizioni.

giovani che cercano lavoro

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Sebbene l’onda anomala delle dimissioni di massa sia poi risultata decisamente ridimensionata in alcuni contesti locali, come in Italia, la questione della felicità del lavoratore continua a tenere banco, grazie anche alla successiva evoluzione delle Grandi Dimissioni in quell’attitudine che viene definita Quiet Quitting.

In contrapposizione all’Hustle Culture, che promuove uno stile di vita totalmente orientato al lavoro e alla carriera, i sostenitori del Quiet Quitting tendono a circoscrivere l’impegno lavorativo allo stretto necessario, eliminando deroghe all’orario stabilito e rifuggendo gli straordinari, in modo da dedicare più energie (e tempo) alla dimensione personale della vita, agli affetti, alle passioni. A tutto quello che, in sostanza, non attiene alla vita professionale.

La riduzione dell’orario di lavoro e il lavoro ibrido

Tra le proposte che puntano a mantenere uno standard elevato di produttività venendo incontro alle esigenze di un maggior equilibrio tra vita e lavoro delle persone, si registrano diversi tentativi di spalmare gli impegni professionali su un periodo più breve, mantenendo inalterati i compensi.

Il Financial Times ha riportato l’esperienza di quattro aziende che hanno aderito a un periodo di sperimentazione, promosso dalla non-profit 4 Day Week Global.

Tra i benefici riscontrati, un migliore equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, senza intaccare la produttività, ma anche benefici sociali più ampi, come una maggiore uguaglianza di genere e una riduzione dell’impronta di carbonio dei lavoratori. I detrattori temono, invece, conseguenze da burnout o l’erosione della cultura del posto di lavoro.

La questione si allarga a uno dei temi che ha condizionato il rientro al lavoro al termine dell’emergenza sanitaria: la necessità (o meno) della presenza fisica sul posto di lavoro.

L’esperienza legata al lavoro da remoto, resa necessaria dalle restrizioni relative al lockdown, ha fortemente condizionato il modo di intendere l’esecuzione delle proprie mansioni, svincolandolo, in gran parte dei casi, dall’esigenza della presenza negli spazi delle aziende.

In particolare, l’erogazione dei servizi ha potuto beneficiare di una spinta già in atto, che le impreviste condizioni hanno agevolato: la trasformazione della misurabilità del lavoro dal numero di ore al raggiungimento degli obiettivi.

Se è vero, da un lato, che il termine Smart Working è stato spesso erroneamente utilizzato per identificare il lavoro da remoto, oggi si va ridisegnando un assetto più puntualmente legato alle prestazioni che consenta al lavoratore di svolgere le sue funzioni, tutte o in parte, in luoghi diversi da quelli delle sedi aziendali.

Forme di lavoro ibrido, da remoto o smart, iniziano a diventare gradualmente diffuse nella quasi totalità delle organizzazioni.

Welfare aziendale: flessibilità e benefit come leva per la felicità

Migliorare le condizioni di lavoro e, in generale, la soddisfazione del proprio team è diventata quindi un’esigenza indispensabile per le organizzazioni di ogni dimensione, soprattutto dopo l’emergenza sanitaria del COVID-19 che ha portato le persone a mettere in discussione le proprie priorità e a stabilire una diversa scala di valori.

Il punto può quindi diventare non tanto “lavorare meno”, quanto lavorare meglio: essere ugualmente produttivi e soddisfatti dell’equilibrio raggiunto vivendo le ore lavorative non come un pesante fardello ma come parte integrante della propria giornata.

In questa direzione, il welfare aziendale assume un ruolo fondamentale, perché in grado di fornire alle persone strumenti (non esclusivamente economici) in grado di agevolare questo percorso.

La soluzione si rivela particolarmente vincente grazie anche ai diversi vantaggi fiscali previsti che permettono alle aziende di distribuire ai lavoratori queste occasioni senza gravare sul bilancio.

Sul panorama in evoluzione e sulle possibilità offerte dalla rapida digitalizzazione dei processi aziendali, abbiamo chiesto un commento ad Anna Maria Mazzini, Chief Growth Officer di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia.

welfare aziendale - anna maria mazzini sodexo

Ragionare circa lo scenario attuale del welfare aziendale in Italia significa considerare i cambiamenti che il mondo del lavoro ha vissuto e continua a vivere in seguito alla pandemia. La necessità di rivedere consuetudini e prassi consolidate a favore di nuovi processi, modalità di interazione, gestione degli spazi e della presenza in ufficio ha impattato anche le priorità e gli stili di vita dei lavoratori. Ecco, dunque, che il concetto stesso di welfare e la sua funzione hanno necessità di intercettare queste nuove esigenze ed evolversi di conseguenza“, ci ha detto.

Benefit aziendali e work-life balance

Quando parliamo di benefit aziendali è consueto riferirsi ai fringe benefit più comuni, come i buoni pasto, ma il panorama e l’offerta che le aziende mettono a disposizione dei propri lavoratori è cambiato e si è enormemente ampliato negli ultimi anni, subendo una forte accelerazione proprio dal contesto pandemico.

Secondo il 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, la pandemia ha modificato il rapporto delle persone con la propria occupazione e oltre l’85% dei dipendenti oggi manifesta la richiesta alla propria azienda di un numero maggiore di servizi di welfare mirati a raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita professionale.

Proprio per questo, il welfare aziendale non punta più, soltanto, a fornire un beneficio economico al dipendente e alla sua famiglia; l’obiettivo è quello di rendere la sua vita migliore nel complesso.

In questa direzione, i benefit aziendali possono comprendere, ad esempio, una previdenza complementare ma anche la possibilità di godere di viaggi ed esperienze tra le più disparate (alcuni esempi? un tour in mongolfiera o un soggiorno in strutture termali), ma anche abbonamenti in palestre o piscine e centri sportivi.

Ma nell’accelerazione dei servizi di welfare aziendale che ha visto nella pandemia il driver principale, gioca un ruolo centrale la digitalizzazione dei servizi offerti.

Sono due in particolare le parole chiave con cui, come Sodexo BRS Italia, analizziamo le dinamiche e i trend che stanno attraversato il settore e che ne definiranno il futuro: la necessità di una forte e sempre più marcata digitalizzazione dei servizi e la richiesta di una maggiore flessibilità nell’utilizzo di questi da parte dei loro fruitori“, ha sottolineato Anna Maria Mazzini.

Il vantaggio della digitalizzazione dei benefit aziendali è duplice: da un lato garantisce una maggiore flessibilità del beneficio, che può essere costruito su misura dall’utilizzatore grazie a una maggiore possibilità di scelta e personalizzazione. Dall’altro, migliorare la qualità generale dell’esperienza offerta

Rispetto al tema della digitalizzazione, riscontriamo ancora una mancata corrispondenza tra competenze digitali degli utilizzatori e le tecnologie dei prodotti e servizi legati al welfare. Da un lato, infatti, abbiamo dipendenti con una consolidata esperienza di utilizzo di applicazioni e servizi digitali innovativi, dall’altro servizi di welfare aziendale che spesso non riescono a rimanere al passo con queste dinamiche di cambiamento e che risultano poco fruibili o caratterizzati da una user experience di scarsa qualità“.

Diversificazione e digitalizzazione nel welfare aziendale

Diversificare l’offerta di possibilità di benefit per il lavoratore sembra quindi la strada giusta per allontanare “gli spettri” delle distorsioni come Great Resignation e Quite Quitting. Ma non solo: rendere fruibile questa offerta diversificata su piattaforme digitali in grado di consentire una personalizzazione delle agevolazioni, economiche o meno, può agevolare un percorso di soddisfazione personale delle persone all’interno delle aziende.

È necessario ragionare su un nuovo modo di concepire l’intero ecosistema dei servizi di welfare, come ad esempio i portali e le app, in un’ottica full digital, per venire incontro alle esigenze dei lavoratori. Per quanto riguarda la flessibilità, in azienda ormai oggi le soluzioni più apprezzate sono quelle flessibili, pratiche e soprattutto che garantiscono massima libertà di scelta ai dipendenti in un’ampia gamma di settori, dall’abbigliamento, all’elettronica, ai viaggi e molto altro“.

griglia immagine di copertina - notizie

La Parola dell’Anno, il Pantone 2023 e le altre notizie della settimana

Torniamo con la selezione delle notizie della settimana appena trascorsa. Si avvicina la fine dell’anno e iniziare a fare dei bilanci è inevitabile (ma decisamente utile).

Mentre il valore delle aziende tecnologiche europee scende (e per fortuna “le nostre” Scalapay e Satispay tengono alta la bandiera), non basterà cambiare un numero sul calendario per far scomparire le questioni lasciate in sospeso dal 2022.

Continua infatti il dibattito su una riforma globale del mondo del lavoro (qui e qui abbiamo parlato di alcune distorsioni legate alla percezione della vita professionale): si prova a ridurre gli orari e il carico per migliorare la produttività.

Cambiano anche le abitudini d’acquisto sotto le feste: le persone tornano a preferire i negozi di quartiere (grazie anche alla visibilità offerta dal social media, come vediamo nel report di YouGov per Meta) e utilizzano di più gli strumenti di pagamento online (soprattutto i più giovani, come puoi leggere qui).

Siamo quindi sempre più connessi e a nostro agio con la tecnologia, ma, probabilmente, non abbiamo nessuna intenzione di diventare perfetti e virtuali, come avatar o influencer.

Ce lo conferma la Parola dell’Anno scelta da Oxford Languages: scoprila continuando a leggere il nostro recap.

Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

Il punto sui servizi finanziari al Salone dei Pagamenti

L’industry si è evoluta così rapidamente che le proiezioni sono affascinanti, perché la tecnologia ha guidato il cambiamento verso una nuova era. La semplificazione ha giocato un ruolo chiave e ha spinto le aziende ad accelerare per rimanere competitive.

Salone dei pagamenti 2022 - banca sella

Ne abbiamo parlato con Laura Fineo, Responsabile Marketing Banca Sella, che ci ha spiegato in che modo sia possibile fare educazione finanziaria (puoi ascoltarla qui) e con Giovanni Baglivo, Vice Responsabile Banking e Sistemi di Pagamento Banca Sella. Ecco cosa ci ha detto.

Notizie della settimana: scende il valore delle aziende tech europee

Il picco verso il basso, dai 3,1 trilioni dello scorso anno, è stato segnalato dal fondo di investimento Atomico nel suo rapporto annualeState of European Tech“.

Bilancio comunque positivo per il Vecchio Continente, con 4 nuovi unicorni, mentre l’Italia ha dato vita alle sue prime due startup da oltre 1 miliardo di dollari: Scalapay e Satispay.

Settimana lavorativa di quattro giorni: lo studio

Il Financial Times riporta l’esperienza di quattro aziende che hanno aderito a un periodo di sperimentazione, promosso dalla non-profit 4 Day Week Global.

Tra i benefici riscontrati un migliore equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, senza intaccare la produttività, ma anche benefici sociali più ampi, come una maggiore uguaglianza di genere e una riduzione dell’impronta di carbonio dei lavoratori.

I detrattori temono, invece, conseguenze da burnout o l’erosione della cultura del posto di lavoro.

Shopping Natalizio, gli Italiani riscoprono il Made in Italy grazie ai social

Uno studio Meta commissionato a YouGov analizza le abitudini d’acquisto degli italiani su Instagram, Facebook e WhatsApp.

Nel 2021, il 43% delle persone ha scelto di fare acquisti da una piccola impresa durante le festività, quest’anno, il 92% dei consumatori italiani ha voglia di scoprire nuovi brand durante lo shopping di Natale.

Goblin Mode batte Metaverso

Tra le notizie della settimana menzioniamo L’Oxford Word of the Year 2022, l’annuale riconoscimento della parola dell’anno secondo il celebre dizionario della lingua inglese, che ha decretato la vittoria del termine che indica il rifiuto dell’immagine perfetta.

notizie della settimana: la parola dell'anno

È un sollievo scoprire che siamo stanchi di apparire sempre perfetti come nei selfie su Instagram e nei video di TikTok“, ha commentato Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages.

La parola metaverso, invece, si è classificata solo al secondo posto.

WhatsApp inizia a distribuire avatar 3D

Potranno essere utilizzati come foto profilo o adesivi personalizzati, e arrivano alcuni mesi dopo il loro debutto su Instagram, Facebook e Messenger. Gli adesivi avatar su WhatsApp saranno simili ai Bitmoji di Snap o ai Memoji di Apple.

Il colore del 2023 secondo Pantone

Salutiamo Viva Magenta, il colore dell’anno 2023 di Pantone.

pantone

La fumata dell’autorità mondiale del colore, questa volta, si tinge di un colore rosso intenso e a tratti rosato.

Il Pantone dell’anno, Viva Magenta 18-1750, vibra di vivacità e vigore. È una tonalità radicata nella natura discendente dalla famiglia dei rossi ed espressiva di un nuovo segnale di forza.

Stella McCartney lancia S-Wave

notizie della settimana s wave

Il simbolo S-Wave ha l’obiettivo di rappresentare l’armonia della natura in combinazione con i valori della stilista. Ma, soprattutto, rispecchia l’ideale di una moda luxury consapevole, che evidenzia l’impegno nella ricerca dell’innovazione e il ruolo di una leadership responsabile.

Le più belle campagne di novembre

pubblicità novembre -Calendario Lavazza 2023

Manca poco a Natale, fervono i preparativi e noi siamo quasi pronti per le pubblicità più strappalacrime; nel frattempo però, godiamoci le pubblicità più belle di novembre, direttamente dall’instancabile mente creativa dei brand a noi più cari.