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Workspace: il COVID-19 segna l’addio agli open office

  • Il COVID-19 ha trasformato il nostro modo di approcciarci al lavoro. Dagli uffici siamo passati al salotto di casa, lavorando da remoto
  • Abbiamo lasciato in sospeso la nostra postazione in un open office spazioso, ma cosa troveremo al nostro ritorno? Diremo per sempre addio agli uffici condivisi? 

Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.

Le parole sono di Winston Churchill e noi non possiamo far altro che annuire con la testa e pensare a questo 2020. Quanti sono stati i cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare quest’anno? Nelle ultime settimane sentiamo più forte, sulla pelle, quell’aria d’incertezza che sembra schiacciarci, giorno dopo giorno, nell’attesa di nuove regole, nuove norme e altri cambiamenti. Non possiamo tirarci indietro, presto dovremo affrontarne altri e nessun ambito sarà escluso, specialmente quello lavorativo. Il COVID-19 ha stravolto i nostri piani e ha rivoluzionato il mondo del lavoro, modificandone l’approccio che avevamo. Abbiamo cambiato modo di lavorare e il luogo. Dagli open office dove tutti eravamo riuniti insieme, siamo passati al salotto di casa, destreggiandoci tra telelavoro, faccende di casa e la solitudine di un PC lampeggiante.

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A cambiare, siamo cambiati, ma alla fine, siamo davvero migliorati?

Lavorare da remoto: come è andata davvero?

Le giornate ci sono sembrate infinite. La mattina sveglia presto accompagnata dall’ormai inseparabile nausea mattutina dovuta alle notizie e l’ansia per la pandemia. Ore e ore al PC, una breve pausa, un pranzo veloce e si riattaccava a lavorare. Non tutti abbiamo avuto le stesse esperienze, c’è chi, purtroppo, non ha potuto nemmeno lavorare, e chi ha avuto tante difficoltà a relazionarsi con il lavoro da remoto. Il pensiero andava spesso agli uffici semivuoti che ci siamo lasciati alle spalle, e qualcuno ha anche rimpianto la calca degli open office.

Ovviamente ci sono state persone che invece hanno adorato questo nuovo modo di lavorare e non ne vorrebbero più fare a meno. Il lavoro da remoto non è però flessibile come lo smart working e all’inizio tutti abbiamo fatto molta confusione tra i due.

I pareri sono diversi, e le discussioni tra le due fazioni di chi ama e odia lavorare da remoto, diventano sempre più accese.

I pro e i contro

Lavorare da remoto significa trasformare totalmente il punto di vista su come e dove lavorare. Non esiste più un ufficio, non c’è quel solito brusio che accompagna le giornate e che aumenta durante le pause, quando tutti si riuniscono per un caffè o un pasto leggero.

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Gli open office erano il teatro dove si intervallano suoni e immagini che scandivano una normale giornata lavorativa: il ticchettio delle scarpe dei colleghi che, frenetici, si spostavano da una scrivania all’altra, il fruscio dei documenti svolazzanti e il bip incessante delle mail. Ora sono semi deserti e non sicuri. 

Tutto sta cambiando, e la nostra casa è diventato il posto dove vivere e lavorare. Spesso le due cose si mescolano tra loro, provocando smarrimento. La voglia di tornare alla normalità è tanta, ma non abbiamo idea di cosa troveremo al nostro ritorno.

Come cambiano gli uffici

In uno scenario in continua evoluzione quello che sappiamo è che al nostro ritorno gli uffici non saranno più gli stessi, specialmente gli open office. La storia di come si sono affermati nelle aziende e la loro evoluzione è interessante, anche se non tutti amano questa tipologia d’ufficio. 

L’evoluzione dell’open office

Alla fine degli anni ’60, l’open office iniziò davvero ad affermarsi come design popolare per i luoghi di lavoro. Burolandschaft, originariamente un approccio progettuale tedesco che si traduce in “office landscape”, mirava a democratizzare il posto di lavoro e creare una maggiore interazione tra tutti i colleghi.

In risposta alla crescente popolarità dei vasti spazi per uffici aperti, Robert Propst, presidente di Herman Miller Research Corporation, dichiarò che l’ufficio era una terra desolata che prosciuga la vitalità, blocca il talento, frustra la realizzazione. Secondo il suo parere, un ufficio non aveva bisogno solo di sedie e scrivanie, ma di un arredo. 

La replica dell’azienda fu il debutto dell’Action Office, il primo spazio per cubicoli flessibili, che offriva un ambiente di lavoro alternativo e con un po’ di privacy. 

Man mano che un numero sempre maggiore di aziende si avvicinò all’idea di Action Office e alla sua flessibilità modulare, il concetto cambiò e si trasformò in una produzione di massa di quelli che ora conosciamo come cubicoli. 

Odi et amo: come i lavoratori vedono l’open office

L’open office non ha un largo consenso tra gli addetti ai lavori, ma perché?

Amato dalle aziende perché consente di risparmiare denaro nella creazione e gestione degli uffici, è odiato dai dipendenti per diversi motivi:

  • la produttività personale è ridotta;
  • la mancanza di privacy;
  • i lavoratori si sentono esposti e monitorati;
  • rafforza il comportamento sessista a discapito delle donne.

Nonostante tutto, è stato anche dimostrato che migliora la cooperazione e la comunicazione. Il senso di comunità e la capacità di condividere conoscenze e idee sono le principali attrazioni del co-working.

Gli ultimi studi hanno effettivamente dimostrato che lavorare in un open office diminuisce la collaborazione dal vivo aumentando, invece, il coinvolgimento tramite posta elettronica. La produttività dei dipendenti è ridotta perché le persone si sentono a disagio.

In uno studio è anche emerso che specialmente le lavoratrici, si sentono osservate la maggior parte del tempo e giudicate in base al proprio outfit. Alcune di loro hanno perfino cambiato modo di vestirsi e truccarsi.

Molte donne sono consapevoli di essere costantemente osservate e il loro aspetto continuamente valutato, e questo le fa sentire inadeguate senza una reale motivazione.

Le persone hanno diversi problemi con uffici aperti e cubicoli, che hanno poca privacy, alti livelli di rumore, meno spazio e, apparentemente, un controllo della temperatura peggiore. Nel complesso, molti più lavoratori operanti in cubicoli e uffici aperti sono insoddisfatti del proprio ambiente di lavoro rispetto alle persone che lavorano in uffici privati.

La mancanza di spazio nei cubicoli e nei layout open space degli uffici è la ragione principale della frustrazione dei lavoratori. Di tutti i fattori valutati, la quantità di spazio è stata considerata la più importante.

Cosa ci manca della vita d’ufficio

Abbiamo visto che l’open office non è per tutti un ambiente di coesione e libertà, ma di fatto ha segnato un cambio di rotta nella gestione dell’ufficio. Le cose che probabilmente più ci mancano sono quei semplici gesti che prima erano normalità e che ora ci sembrano quasi fantascienza, e uno dei modelli che potrebbe estinguersi è proprio quello dell’open office.

La possibilità di scambiare informazioni dal vivo sui progetti e sulle strategie da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma anche due chiacchiere in fila alla macchinetta del caffè sono cose che non si possono replicare lavorando da remoto. Adesso ognuno di noi è dislocato in un punto diverso, magari in città o addirittura Paesi diversi, lì davanti allo schermo, solo.

Per quanto sia più sicuro e molti hanno trovato migliore lavorare da remoto piuttosto che in ufficio, evitando l’agognato pendolarismo e riuscendo a gestire meglio il proprio tempo, abbiamo la mancanza dell’ufficio così come lo conosciamo. Forse questa velata malinconia è dovuta al fatto che non conosciamo realmente come potrebbe essere quello che ci aspetta, il nuovo ufficio che varrà. Se effettivamente ci sarà.

L’ufficio di domani: dati e previsioni

Secondo un sondaggio effettuato tra diverse aziende tecnologiche, meno della metà degli uffici open space manterrà questo tipo layout nell’era post-pandemia. La maggior parte sta valutando di apportare delle modifiche per tutelare le aziende e il personale.

Mentre pianificano di riunire nuovamente la propria forza lavoro in ufficio, vengono effettuati numerosi calcoli per fornire un ambiente che mantenga i lavoratori al sicuro, sani e produttivi.

La ricerca di Savills

Condotto dalla società immobiliare commerciale Savills in agosto e settembre, il sondaggio ha chiesto a 250 aziende tecnologiche, per lo più in Nord America, come la pandemia avesse influenzato i loro piani per la crescita degli spazi d’ufficio e sulla forza lavoro nel breve termine.

Prima dell’inizio della pandemia, il 46% degli intervistati ha affermato che i loro uffici erano interamente a pianta aperta, con panchine o cubicoli. Proiettandosi in un prossimo futuro, meno della metà, solo il 22% degli intervistati, ha affermato che continuerà a mantenere il proprio piano open office. Anche gli intervistati con un mix di piani per lo più aperti e alcuni uffici privati ​​hanno affermato che probabilmente cambieranno la struttura degli uffici. 

Ricreare nuovi assetti di lavoro abbandonando l’open office non è l’unico fattore che segnerà i grandi cambiamenti in arrivo nei settori più tech. Secondo il sondaggio, anche gli uffici potrebbero diventare più piccoli.

Oltre l’80% degli intervistati afferma che ridimensionerà gli spazi. Più della metà degli intervistati ha affermato che si libererà di almeno una parte, se non la maggior parte, dei propri uffici entro il prossimo anno e mezzo.

Ma questo non significa che l’ufficio sta scomparendo. Solo un decimo degli intervistati ha affermato di aspettarsi che oltre il 60% dei propri dipendenti lavorerà a tempo pieno in remoto in un ambiente post-vaccino.

Addio open office?

Quindi, se l’open office sta man mano scomparendo, ma gli uffici stessi sono contemplati nel futuro della maggior parte delle aziende, cosa ci aspetta? 

Per la maggior parte degli intervistati, questa è una domanda che non ha ancora trovato risposta. Quasi un terzo ha affermato che sta ancora valutando la pianificazione del posto di lavoro, e il 40% ha affermato di non aver ancora deciso i futuri layout dei nuovi uffici.

Tra i cambiamenti presi in considerazione, troviamo:

  • corridoi più ampi con pedonabilità unidirezionale;
  • migliore filtrazione dell’ariaù;
  • comandi touchless per ascensori;
  • materiali antimicrobici di nuova costruzione;
  • videoconferenza, anche all’interno dell’ufficio, per evitare la sala conferenze.

La pandemia ha avuto un impatto significativo sulla forma e sulla gestione del lavoro, ma le sue implicazioni sono ancora in evoluzione. Non ci resta che aspettare i prossimi mesi.

“É tempo di guarire”. Il primo discorso di Joe Biden come neopresidente degli Stati Uniti d’America

  • Il democratico Joe Biden è il 46esimo presidente eletto dagli americani
  • Kamala Harris è la prima donna alla Casa Bianca in qualità di vicepresidente
  • Il discorso dei democratici alla vittoria delle elezioni non poteva che essere un messaggio di speranza,  fede e unità

 

Joseph Robinette Biden, Joe Biden è il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America. La sua vittoria contro lo sfidante Donald Trump è stata decretata alcuni giorni fa. L’insediamento ufficiale alla Casa Bianca ci sarà il 20 gennaio 2021. Intanto nella notte di sabato 7 novembre, il presidente neo eletto e la sua vice, Kamala Harris, hanno tenuto il loro primo discorso pubblico.

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Lo speech del presidente inizia con Biden che saluta i concittadini americani. Poi mette una mano sulla fronte per guardare lontano, riconoscere, salutare e ringraziare i sostenitori tra il pubblico, in particolare i suoi familiari. Introduce il concetto di vittoria e parla dell’affluenza alle urne, che non si era mai vista prima. Ringrazia tutti coloro che l’hanno votato, parla di gioia, fiducia e soprattutto unità. Biden ci tiene a specificare che non esistono regioni rosse o blu (colori associati ai due partiti) ma esiste una sola America. Torna a ringraziare gli elettori e la famiglia. Cita la moglie Jill, la nuva first lady. Introduce nel discorso Kamala Harris, la sua vicepresidente, donna, nera, figlia di immigrati. Associa anche lei e il marito alla sua famiglia.

Biden parla di giustizia e sottolinea che in America tutto è possibile. Un segnale chiaro e inequivocabile. Per tutta la campagna elettorale dei democratici, Biden ed Harris hanno saputo incanalare il malcontento che negli anni e nei mesi precedenti ha visto bloccare le piazze americane, diventate teatro di scontri e proteste (vedi Black Lives Matter).

Nel continuare il suo discorso, Biden allarga il tiro includendo un po’ tutti e non dimenticando nessuno, i sostenitori delusi di Trump, repubblicani e democratici, tutte le varie minoranze etniche americane e le persone di ogni orientamento sessuale. Biden vuole essere il presidente di tutti. Allora a questo punto è doveroso fare un riferimento alla bibbia: “c’è una stagione per ogni cosa: per costruire, seminare, raccogliere. Ora è tempo di guarire”.

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Breve analisi del discorso della vittoria

Nessuna parola è a caso nel suo discorso. L’America di Biden ed Harris dovrà guarire poiché si troverà ad affrontare pienamente la pandemia da Covid-19 e l’eredità del sistema sanitario così come è stato lasciato dai suoi predecessori.

In maniera precisa e puntale il presidente ricorda quali sono i propri nemici e quali saranno le battaglie da combattere: il virus, l’economia, la sanità, il razzismo, e anche la battaglia per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici.

Un’attenzione particolare merita il nemico virus, che negli ultimi mesi ha portato via tante persone care, ha impedito a molti di costruire nuovi ricordi, festeggiare matrimoni e compleanni. Il suo primo impegno in carica sarà quello di trovare un vaccino.

Poi Biden parla delle varie opportunità che offre il paese, cita vari presidenti da JFK a Barack Obama. Fa riferimento al “sogno americano”, alla patria delle opportunità. Yes, we can!

Joseph Robinette Biden e Barack Obama

Nostalgia e speranza animano tutto il discorso. Un riferimento al figlio che non c’è più e a sua nonna. La famiglia è il cardine dello speech, ben orchestrato, in cui elementi del passato, del presente e del futuro trovano il giusto equilibrio.

“Questi sono gli Stati Uniti d’America: non c’è nulla che non siamo stati in grado di fare insieme”, aggiunge Biden.

Dare fiducia all’America, guardare di nuovo al futuro. Paragona le ali della speranza a quelle dell’aquila (animale simbolo degli U.S.A.).

Il discorso termina, come un sermone, con una benedizione, in una sorta di rituale di protezione, “Che Dio vi benedica!”

Secondo Il New York Times, Joe Biden stava preparando questo discorso da tutta la vita.

Non a caso Biden è il più vecchio presidente eletto nella storia degli U.S.A.

La sua carriera politica nell’ala democratica del paese è iniziata nel 1973 come senatore federale ed è proseguita negli anni fino a diventare nel 2009 vicepresidente di Barack Obama ed oggi presidente degli Stati Uniti.
Ma questo non è l’unico “primato” di questa tornata elettorale.

La sua vicepresidente, Kamala Harris è la prima donna, nera, indo-americana e figlia di immigrati a diventare vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Questo viene enfatizzato da Biden durante tutto il discorso. In America tutto è possibile, tutti possono avere un’opportunità. Bisogna avere fede, lavorare insieme e sperare. E forse la storia della Harris ha una portata ancora più ampia e fondamentale per tutte le donne a livello globale.

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Joe Biden, il discorso completo del 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America

Riportiamo il video del discorso integrale di Biden e la traduzione in italiano dello speech completo.

“Buona sera, miei cari concittadini americani, abitanti del Delaware. Vedo il mio amico senatore Tom Carper tra il pubblico, qualche governatore, membri del Congresso. C’è l’ex governatore, ci sono mia cognata, mia sorella. I cittadini di questo paese hanno parlato e ci hanno dato una vittoria chiara, che convince, una vittoria per noi, per il popolo, con un’affluenza alle urne che non si era mai vista prima. Noi abbiamo ricevuto oltre 74 milioni di voti, la cosa mi ha sorpreso devo ammettere. Stasera vediamo questo paese, tutto il mondo, che ci dimostrano la loro gioia, la speranza per un domani migliore.

Sono onorato dalla fiducia che avete riposto in me. Ho promesso che unirò anziché dividere, perché non esistono stati rossi o blu ma solo gli Stati Uniti; con tutto il cuore vi dico che grazie a questa fiducia che avete posto in me voglio andare avanti ed è per questo che credo che l’America sia fatta di persone e che anche il nostro governo sarà fatto di persone, si occuperà di persone. Ricostruirò la spina dorsale di questo paese, per far sì che l’America sia di nuovo rispettata, unita. Avete votato perché credevate nella mia missione, ora è arrivato il momento di rendere reale questo piano per cui avete votato.

Come ho detto molte volte sono il marito di Jill e non sarei qui senza il suo amore e il suo sostegno, anche quello di mia figlia Ashley, di mio figlio Hunter, i loro figli, sono il mio cuore. Jill ha dedicato la vita all’insegnamento, per gli insegnanti americani questa è una giornata memorabile perché ci sarà uno di voi nella Casa Bianca. Jill sarà un’ottima first lady.

Ho avuto l’onore di avere al mio fianco un’eccezionale vicepresidente che farà la storia, prima donna nera, indoamericana, figlia di immigrati, eletta vicepresidente. Non venitemi a dire che c’è qualcosa di impossibile negli Stati Uniti. Ringrazio quelli che hanno combattuto con me per questo. L’America è andata verso la giustizia. Kamala, Doug, siete la mia famiglia. Ringrazio i volontari, quelli che hanno lavorato nei seggi, il mio team che ha dato così tanto per realizzare questo sogno, è a voi che devo tutto, a quelli che ci hanno sostenuto.

Abbiamo costruito la più ampia e diversificata coalizione della storia: democratici, repubblicani, indipendenti, progressisti, moderati, conservatori, giovani, anziani, città, periferie, omosessuali, eterosessuali, transgender, ispanici, asiatici, nativi americani; la comunità afroamericana ha continuato a sostenermi, io sosterrò sempre voi. Ho detto fin dall’inizio che volevo rappresentare tutta l’America e l’abbiamo fatto, anche il governo deve farlo ora. So che i sostenitori di Trump sono delusi, ma ora dobbiamo darci una possibilità reciproca. Mettiamo da parte la retorica, ascoltiamoci, non trattiamo i rivali come nemici, sono americani come noi.

 

La Bibbia ci dice che c’è una stagione per ogni cosa: per costruire, seminare, raccogliere. Ora è tempo di guarire. Qual è ora la volontà delle persone? Io credo che sia questa, che l’America ci abbia chiamato per restaurare l’onestà, la scienza, la speranza, perché dobbiamo combattere battaglie dure: il virus, l’economia, la sanità, il razzismo, e anche la battaglia per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici. Dobbiamo difendere l’onestà e la democrazia, dare a tutti una possibilità. È questo che ci chiedete.

Cominceremo dall’epidemia perché non è possibile costruire nuovi ricordi, partecipare a compleanni e matrimoni, a meno che non controlliamo il virus. Lunedì un team di virologi si riunirà per darci i consigli giusti, saremo operativi già dal 20 gennaio 2021, quando mi insedierò. Voglio lavorare ad un vaccino, prevenire le epidemie del futuro, mi impegnerò per sconfiggere la pandemia.

Governerò come presidente americano. Lavorerò duramente anche per quelli che non hanno votato per me, mettiamo fine alla demonizzazione, cominciamo a mettere fine a tutto questo adesso, subito. Il rifiuto di cooperare non è una forza misteriosa che non può essere controllata, è una scelta che possiamo cambiare. È parte del mandato che mi è stato assegnato, devo collaborare negli interessi di tutti gli americani, e faccio appello al Congresso perché faccia la mia stessa scelta.

La storia americana è piena di opportunità che sono state raccolte, anche se troppi sogni sono stati posticipati per troppo tempo, dobbiamo fare promesse per tutti a prescindere dalla religione o dall’etnia. L’America è sempre stata plasmata da momenti storici, decisioni importanti. Lincoln nel 1860 per salvare l’Unione, Roosevelt nel ’32, JFK nel ’60 e dodici anni fa Barack Obama dicendo: Yes, we can. Ancora una volta siamo in un momento storico, abbiamo la possibilità di costruire un’America fatta di prosperità. Per troppo tempo si è parlato della battaglia per la nostra anima, dobbiamo ricostruirla, dobbiamo trovare un equilibrio fra ragione e impulso, far sì che la ragione vinca.

Tutto il mondo ci guarda, l’America è un faro e dobbiamo guidare non solo col potere dell’esempio ma con l’esempio del potere. Ho sempre creduto che si possa definire l’America con una sola parola: “possibilità”. In America tutti hanno un’opportunità. Così i sogni si realizzano. Io credo nelle possibilità, in un futuro dove l’America è più libera, giusta, crea lavoro, cura le malattie, non lascia nessuno indietro, non si arrende mai, non cede mai. È una grande nazione, è sempre stata una grande nazione.

Questi sono gli Stati Uniti d’America: non c’è nulla che non siamo stati in grado di fare insieme. Nelle ultime settimane della campagna pensavo a mio figlio Beau che non c’è più, alla speranza, agli americani che hanno perso i loro cari per colpa del virus. Io sono con voi e spero che la speranza vi dia sollievo. Vi solleverà sulle sue ali, vi mostrerà una nuova alba e vi terrà sul palmo della mano. Adesso insieme sulle ali di quest’aquila possiamo guardare al futuro. Con mano ferma e fiducia nell’America, sete di giustizia, per essere una nazione che sia quello che sa di poter essere: unita, forte, guarita. Gli Stati Uniti d’America. Mai e poi mai non siamo riusciti in qualcosa facendolo insieme. Il nonno mi diceva: “Mantieni la fede”. La nonna mi diceva: “Diffondi la fede”. Che Dio vi benedica.”

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Come Google o come Dropbox? Il lavoro da remoto non funziona per tutti

  • Lavorare da remoto, il dilemma di questo 2020 che divide aziende e lavoratori
  • Opinioni a confronto, cosa possiamo dedurre dalle esperienze di chi ha provato il lavoro da remoto
  • I pro e i contro e cosa ci aspetta nei prossimi mesi

 

Lavorare da remoto o non lavorare da remoto? Questo è il dilemma. Una domanda per nulla scontata in questo 2020, tante sono le testimonianze e le opinioni contrastanti di chi ha vissuto questo diverso approccio al lavoro.

Tutti noi abbiamo dovuto modificare le nostre abitudini per salvaguardare noi stessi, partendo dalle cose più semplici e ovviamente anche il mondo del lavoro ha subito un’evoluzione, che se non fosse stato per il COVID-19, avrebbe impiegato decenni. Questa primavera, a causa della pandemia, in molti sono passati al lavoro da remoto, e ora rischiamo di dover replicare rapidamente questa esperienza.

Vale la pena quindi chiedersi: abbiamo davvero capito cos’è? 

Lavoro da remoto e smart working: facciamo chiarezza una volta per tutte

Il lavoro da remoto è diverso dallo smart working, anche se per mesi li abbiamo confusi, soprattutto in Italia. Per smart working si intende il lavoro agile, che non riguarda solamente il lavorare da casa, ma si riferisce soprattutto alla flessibilità e all’autonomia nella scelta di spazi, orari e gli strumenti da utilizzare per svolgere le proprie mansioni, secondo una precisa normativa.

Lavorare da remoto, invece, significa lavorare in un posto diverso dall’ufficio, rispettando i tempi imposti dell’azienda. Lavorare da remoto può essere molto vantaggioso sotto molti aspetti, ma sicuramente non è flessibile come lo smart working.

Testimonianze diverse, opinioni diverse

Il fatto che tutti, o quasi, abbiano sperimentato e continuano a lavorare da remoto, non significa che abbiano tutti la stessa opinione o che abbiano avuto la stessa esperienza.

Per capire come sta andando e come le persone vi si sono approcciate, possiamo comparare diverse fonti e alcune grandi aziende che hanno preso pubblicamente posizione. Ciò che noteremo è che le esperienze sono molte soggettive, ma c’è un comun denominatore che preoccupa aziende e dipendenti: come creare una valida comunicazione aziendale.

Vogliamo esaminare tre diversi punti di vista per capire lo sviluppo, i pro e i contro di questo tipo di lavoro:

  • una ricerca interna di Google sulla produttività dei suoi ingegneri
  • una ricerca dell’Economist commissionata da Dropbox
  • un’intervista a Raj Choudhury, professore della Harvard Business School che spiega come alcune aziende stanno creando forza lavoro tutta o per lo più remota

Guardando da vicino i tre casi, i dati e le testimonianze, si evidenziano risultati molto diversi tra loro. Vediamoli nel dettaglio.

La produttività degli ingegneri di Google è calata

Una ricerca interna di Google ha evidenziato diversi problemi tra gli ingegneri che hanno avuto un calo nella produttività durante gli arresti del COVID-19, in particolare per quelli neoassunti.

Questo sondaggio visionato da The Information ha rilevato che fino a giugno, solo il 31% degli ingegneri intervistati ha ritenuto di essere stato altamente produttivo, un dato in calo di 8 punti percentuali rispetto al record registrato nel trimestre di marzo.

Quel calo e i dati più recenti sull’output di codifica degli ingegneri del terzo trimestre, hanno indotto il responsabile della produttività ingegneristica, Michael Bachman, a inviare un’email a dirigenti e ai dirigenti senior di Google, richiamando l’attenzione sui questi numeri.

La casistica potrebbe influenzare non poco l’opinione del CEO Sundar Pichai per quanto riguarda la possibilità d’intensificare il lavoro da remoto e il dibattito sull’aumento della produttività.

Con l’arrivo della pandemia oltre 200.000 dipendenti dell’azienda hanno lavorato da casa, e Pichai ha affermato che alcuni aspetti del lavoro a distanza sono stati piuttosto positivi, anche se il dubbio maggiore verte sulla produttività dei team quando si tratta di lavorare su nuovi progetti.

Dopo un calo iniziale, i sondaggi a livello aziendale di Google hanno riscontrato che la produttività è migliorata ed è ora più alta nel suo staff generale rispetto ai livelli pre-coronavirus.

Katie Hutchison, una portavoce di Google, ha anche fatto riferimento a un sondaggio dello scorso settembre che ha rilevato una produttività, tra gli ingegneri, superiore rispetto a quella dello stesso periodo dell’anno precedente, ma non ha messo a disposizione per The Information i risultati completi di queste indagini generali.

I dati evidenziano un calo importante

Michael Bachman ha dichiarato in una mail che solo il 53% degli ingegneri si è sentito soddisfatto della propria capacità di gestire i carichi di lavoro. Il problema era particolarmente visibile tra i dipendenti neo assunti.

Coloro che non si sentivano in grado di gestire i propri carichi di lavoro hanno speso il 30% in meno di codifica rispetto al periodo precedente.

Gli ingegneri di Google preoccupati o insoddisfatti che hanno dedicato meno tempo alla codifica, hanno anche presentato il 45% in meno di “elenchi di modifiche”, ha scritto Bachman nelle mail.

In confronto, gli ingegneri soddisfatti e quelli che non hanno avvertito alcun tipo di disagio, hanno inviato il 20% in meno di elenchi di modifiche. Queste metriche servono all’azienda per monitorare la produttività dei suoi dipendenti.

La raccomandazione del responsabile della produttività ai responsabili tecnici è stata quella di fare più check-in con dipendenti nuovi e assegnare loro dei tutor, adattando i loro carichi di lavoro in modo appropriato e in base alle circostanze individuali.

Un problema di comunicazione nel lavoro da remoto

I problemi del calo del rendimento e della difficoltà di codifica da parte degli ingegneri Google risiede in una gestione della comunicazione non ottimale. I neoassunti hanno mostrato un calo maggiore della produttività, nel secondo trimestre, rispetto alle loro controparti più esperte.

Questo sondaggio interno ha suscitato discussioni sul motivo per cui i nuovi ingegneri, ora liberi dalle distrazioni delle chiacchiere d’ufficio, trovano più difficile programmare. Alcuni dipendenti si sono chiesti se in questo nuovo assetto organizzativo, gli ingegneri senior stiano dedicando meno tempo a fare da mentore ai loro colleghi junior.

Il problema principale risiede nella comunicazione tra le parti. Molti dipendenti lamentano il fatto che non esiste un documento completo con delle linee guida esaustive che vadano a illustrare correttamente come svolgere una grande mole di lavoro. Ciò è penalizzante soprattutto per chi ha iniziato a lavorare da poco ed è magari ancora inesperto su alcuni fronti.

Hutchison, la portavoce di Google, ha dichiarato che continueranno a esaminare i dipendenti e a tener presente i propri stati d’animo per poterli supportare al meglio durante questo periodo.

Che strada prenderà Google?

Pichai è stato più titubante di altri rivali tecnologici a impegnarsi in una politica di lavoro a distanza più permanente. In un sondaggio di luglio pubblicato dall’azienda, il 62% dei dipendenti ha dichiarato che preferirebbe lavorare in ufficio solo alcuni giorni.

Solo il 10% voleva lavorare da casa in modo permanente dopo che la pandemia si è placata.

Il CEO dell’azienda ha affermato che Google probabilmente adotterà un approccio ibrido dopo che, ovviamente, il ritorno in ufficio sarà del tutto sicuro. Tutto ciò potrebbe significare maggiore flessibilità riguardo alla possibilità di lavorare da casa.

Aziende e lavoro da remoto: alcuni esempi

Il caso JPMorgan Chase

Altre grandi aziende hanno riferito che i nuovi dipendenti stanno avendo più problemi con il loro lavoro durante la pandemia. Il CEO di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha detto apertamente di voler riportare il suo personale in ufficio, perché ha notato alienazione tra i suoi dipendenti più giovani mentre lavoravano da casa. Ha anche affermato di aver assistito a un calo della produttività in generale.

Ci sono aziende che invece hanno mostrato segni positivi sulla produttività, affermando che i dipendenti stanno lavorando bene e addirittura meglio da remoto.

Il caso Facebook

Il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, nel mese di maggio annunciò un nuovo piano per una politica più liberale del lavoro da casa, poiché oltre il 50% dei lavoratori di Facebook intervistati ha dichiarato di essere stato più produttivo mentre lavorava da casa.

Anche se alcuni dipendenti di Facebook, tuttavia, sono preoccupati che i team lavoreranno in modo meno produttivo con un capo remoto.

Il caso Microsoft

L’idea di Microsoft è invece diversa. Il colosso sta prendendo in considerazione l’idea di lavorare da casa per sempre per chi lo vorrà, oppure optare per il lavoro ibrido prevedendo lo smart working per meno del 50% delle ore settimanali.

La ricerca dell’Economist 

L’attenzione focalizzata è una delle componenti chiave di un’economia basata sulla conoscenza. È essenziale per la creatività, la risoluzione dei problemi e la produttività.

Ma la concentrazione delle persone è sempre più disturbata da continue distrazioni:

  • le comunicazioni digitali, come il controllo di mail
  • le interruzioni da parte dei colleghi
  • il chiacchiericcio d’ufficio

A causa dello sconvolgimento che la società ha vissuto e continua a vivere per colpa del COVID-19, il ruolo di focus nel mondo del lavoro ha assunto una rinnovata importanza. Sebbene ogni individuo abbia la propria soglia di concentrazione, gli studi indicano come periodo di concentrazione ottimale un lasso di tempo che va dai 60 ai 90 minuti. Successivamente comincia a calare, manifestandosi la fatica.

L’Economist ha intrapreso un programma di ricerca, commissionato da Dropbox, analizzando il costo macroeconomico della perdita di concentrazione nel lavoro di conoscenza.

Il problema delle distrazioni in ufficio

Le distrazioni sono una vera e propria piaga all’interno di un contesto lavorativo frenetico e collaborativo come quello di oggi. Si calcola che ogni anno, il 28% del tempo di un dipendente viene perso per colpa delle distrazioni, riducendo il tempo ottimale per un lavoro efficiente al 72%.

Ciò ammonta a 391 miliardi di dollari persi per le aziende statunitensi e si traduce in 34.448 dollari a persona in perdita di produttività.

Di conseguenza, la diminuzione delle distrazioni e la maggiore concentrazione potrebbero comportare un potenziale guadagno. Stiamo parlando di 1,2 trilioni di dollari attualmente perso ogni anno dalla produzione non sfruttata dei dipendenti, per colpa delle distrazioni.

lavoro da remoto

Fonte: The Economist

L’industria più colpita in termini finanziari è quella dei servizi professionali, scientifici e tecnici che perde 178 miliardi di dollari all’anno in costi salariali.

Le fonti di distrazione

Abbiamo assodato, e noi stessi possiamo confermarlo in base alle nostre esperienze, che lunghi periodi di profonda concentrazione sono difficili da perpetrare, e le distrazioni sono un problema sia per i lavoratori remoti che per quelli in ufficio. 

Agli intervistati è stato chiesto a quanto ammonti il tempo medio trascorso per svolgere un determinato lavoro senza interruzioni o distrazioni nel corso di una tipica giornata lavorativa.

Interruzioni dovute alla comunicazione

Solo il 53% degli intervistati riesce a restare concentrato su un’attività per più di un’ora durante una tipica giornata di lavoro. Le persone che utilizzano app per chattare o hanno comunicazioni dal vivo, hanno maggiori probabilità di concentrarsi più a lungo rispetto agli altri.

lavoro da remoto

Fonte: The Economist

In un contesto di ufficio, le interruzioni dei colleghi sono la fonte più comune di distrazione.

Ogni volta che una persona cambia attività, effettua un cambiamento cognitivo che esaurisce le sue risorse mentali, afferma Gloria Mark, professoressa del Dipartimento di Informatica dell’Università della California.

Le mail per comunicare

Nel complesso però gli intervistati hanno ammesso di non aver trascorso la maggior parte della giornata a gestire la posta elettronica ora che lavorano da remoto.

Il 71% ha trascorso più di un’ora al giorno a monitorare il flusso della posta elettronica, ma solo il 18% vi ha trascorso più di tre ore.

Gli studi hanno dimostrato che, quando le persone non devono controllare la posta elettronica per periodi prolungati, i lavoratori mostrano una maggiore concentrazione e minore stress.

Il controllo ossessivo delle mail

La frequenza è il vero problema: il 70% controlla la posta almeno una volta all’ora, interrompendo regolarmente periodi di concentrazione profondi. Da non sottovalutare che oltre il 56% degli intervistati afferma che la posta elettronica è il principale metodo di comunicazione utilizzato nella propria azienda per scambiarsi informazioni.

Perché così frequente?

Le persone inizialmente consideravano la posta elettronica un modo più efficiente per lavorare. Invece questo metodo ha causato uno spostamento molto più ampio del previsto e il lavoro di conoscenza è ora, quasi uniformemente, tutto via mail. Di conseguenza chiunque può essere raggiunto in qualsiasi momento per qualsiasi cosa, interrompendo ciò che sta facendo.

 

Le maggiori fonti di distrazione (The Economist)

Le riunioni e l’uso dei social media

Il 46% degli intervistati dichiara di non dedicare più di un’ora al giorno a riunioni di lavoro e il 21% le considera la principale fonte di distrazione.

Gli intervistati del settore tecnologico però, non amano molto le riunioni e riferiscono di esserne maggiormente distratti. Questo dipende dal proprio settore che prevede lunghi periodi di scrittura e revisione del codice.

In generale, i media, inclusi musica e l’uso dei social media, sono una fonte di distrazione dominante per l’11% degli intervistati di tutti i settori.

Lavoro da remoto: pro e contro

Il 36% si sente più concentrato a lavorare da casa rispetto al proprio ufficio, il 28% si sente, invece, meno concentrato.

Ma anche in questo caso ci sono molte distrazioni, solo che sono diverse. Quasi il 30% degli intervistati dichiara che il voler prendersi una pausa per rilassarsi un po’ è la distrazione dominante. Anche il sentirsi disconnesso dai colleghi è considerato un ostacolo all’impegno in attività produttive.

lavoro da remoto

Lavoro da remoto: le maggiori fonti di distrazioni

I vantaggi dell’ufficio difficili da replicare

Con il lockdown e la maggior parte dei lavoratori operanti da remoto, le aziende hanno dovuto affrontare molte difficoltà riguardo la comunicazione coi dipendenti. Ovviamente non essendo tutti insieme in ufficio, è più difficile comunicare, incluso il mantenimento dell’innovazione e della coesione del team.

È anche questione (molto) di volontà

Un dato importante è dovuto all’importanza che le persone danno alla propria forza di volontà. Il 76% è d’accordo che ognuno di noi è responsabile della propria attenzione. Una gran parte ammette che il vagabondare con la mente è la principale fonte distrazione, rispetto a qualsiasi fattore esterno.

Le cinque migliori tattiche per gestire la concentrazione

Il 54% fa pause regolari per migliorare la concentrazione, ma le tattiche più usate sono:

  • indossare le cuffie
  • disabilitare le notifiche di chat per telefono, e-mail o desktop
  • riordinare il proprio piano da lavoro
  • riservare momenti di tempo per terminare attività specifiche
  • passare da uno spazio di lavoro caotico a uno più tranquillo

La necessità di riorganizzare gli spazi

Nonostante l’attenzione dei lavoratori sulla responsabilità personale, l’indagine rivela che diverse cause di distrazione sono implicitamente organizzative. La maggior parte degli intervistati si siede su una scrivania fissa, in un ufficio open space o in un ufficio condiviso. Tutto ciò può essere fonte di distrazione per alcuni lavoratori: l’interruzione faccia a faccia è, infatti, la principale fonte di disattenzione citata nel sondaggio.

Il 40% degli intervistati ha un ufficio privato. Il restante 60% si trova in ambienti di uffici open space. Tali uffici possono anche, paradossalmente, aumentare l’uso della posta elettronica per ridurre al minimo la perdita di concentrazione dovuta alle interazioni personali.

Quasi il 60% degli intervistati ha affermato che le aziende dovrebbero consentire più opzioni per lavorare da remoto dopo la pandemia.

Assodato che i livelli di concentrazione sono più elevati durante il lavoro da remoto e dato che gli ambienti domestici della maggior parte delle persone non sono configurati per essere adibiti a spazi di lavoro, tutto ciò getta una luce negativa sugli uffici aziendali che dovrebbero supportare la produttività in base alla progettazione.

Sono poche le organizzazioni che stanno attivamente cercando di proteggere e promuovere la concentrazione dei lavoratori. Le aziende non stanno facendo abbastanza per costruire in modo proattivo una cultura della focalizzazione, incoraggiando comportamenti semplici, e gratuiti, come, per esempio, la disabilitazione delle notifiche mobile e delle mail.

Come ridurre le distrazioni?

Agli intervistati è stato chiesto se utilizzano, per proprio conto, dei metodi per ridurre le distrazioni.

Solo il 20% dispone di strumenti tecnologici, come la pianificazione automatizzata, per ridurre il tempo speso in attività amministrative che potrebbero essere fonte di distrazione.

Il 10% sostiene il “focus time” per scoraggiare o impedire il controllo delle comunicazioni digitali, e il 15% afferma che la propria azienda tiene corsi, seminari o invia messaggi che promuovono la concentrazione o scoraggiano il multitasking.

Le differenze gerarchiche, purtroppo, contano

Anche le disuguaglianze gerarchiche richiedono attenzione, poiché alcuni lavoratori lottano maggiormente per mancanza di concentrazione a causa delle strutture e delle aspettative radicate nella loro organizzazione aziendale. 

La capacità di proteggere e migliorare la focalizzazione è proporzionale all’autonomia e alla capacità di una persona di gestire il proprio tempo, i metodi di comunicazione e il luogo di lavoro.

Focus e status lavorativo

C-suite

È più probabile che i membri della C-suite, i responsabili dell’azienda, sono molto più concentrati, ma sono anche quelli che hanno maggiori probabilità di avere un ufficio privato. 

Manager

Gli intervistati a livello di gestione e strategia hanno maggiori probabilità di gestire e migliorare la concentrazione.

Le organizzazioni dovrebbero tener presente la posizione di chi è impiegato in ruoli intermedi, che possono essere svantaggiati rispetto agli altri, perché assaliti da pressioni derivanti dall’alto e dal basso.

Staff generale

Il personale generale ha meno possibilità di avere libero arbitrio su compiti e tempo individuali.

Personale operativo

È probabile che il personale operativo dedichi meno tempo a lunghi periodi di concentrazione.

L’attenzione e la concentrazione sono sempre più essenziali per la produttività

Non esiste un unico modo con cui gli individui raggiungono una concentrazione ottimale, ma questi sono i punti chiave su cui le aziende dovrebbero concentrarsi.

La comunicazione è essenziale

In un’epoca caratterizzata da collaborazione e agilità, il lavoro deve essere strutturato e organizzato per consentire un focus efficace. Le due distrazioni dominanti, ossia le mail e le interruzioni di persona, sottolineano il ruolo cruciale della comunicazione nel lavoro di oggi. 

Le aziende devono incoraggiare:

  • la comunicazione asincrona in cui i messaggi vengono inviati senza l’aspettativa di una risposta rapida
  • le comunicazioni in batch
  • l’utilizzo di chat app tramite posta elettronica

Inoltre, non possono semplicemente dire ai lavoratori di dedicare meno tempo al controllo della posta elettronica, ma potrebbero aver bisogno di ripensare ai flussi di lavoro in modo più approfondito.

Potrebbero anche fare di più per supportare il personale attraverso lezioni e seminari su concentrazione e multitasking e incoraggiare pause, riposo e tecniche per riattivare la concentrazione. 

Strategia di lavoro nell’era post COVID-19

Mentre le aziende pianificano l’era post COVID-19, dovrebbero allontanarsi dal vecchio status quo che, abbiamo visto, è molto anti-focus.

Ripensare al layout del posto di lavoro o adottare disposizioni più ibride per ridurre il numero di lavoratori affollati negli uffici. Una riorganizzazione potrebbe portare a un risultato migliore di entrambi i mondi, mantenendo l’attenzione, pur consentendo la collaborazione e la coesione dell’ufficio.

Le conclusioni del sondaggio

Il sondaggio ha rilevato che la maggior parte degli intervistati ritiene che i vantaggi del lavoro a distanza superino gli svantaggi, con solo il 17% in totale disaccordo. Due su cinque affermano di potersi concentrare di più quando lavorano da casa rispetto a meno di un terzo che ha notato una minore concentrazione. I livelli di coinvolgimento sono rimasti stabili nonostante l’isolamento.

Considerando le sfide apparenti, dalla mancanza di attrezzature e spazio, all’offuscamento dei confini tra lavoro e vita personale, questi risultati testimoniano la resilienza e la flessibilità dimostrate da individui e aziende.

L’eliminazione delle distrazioni in ufficio è la seconda ragione più importante per un miglior approccio con il lavoro, dopo il sollievo di poter evitare il pendolarismo.

Come possiamo evincere, alcune aziende ritengono che il lavoro a distanza abbia reso i loro lavoratori più produttivi. Altri lamentano la perdita di opportunità di collaborazione.

Ma… 

Chi lavora da remoto guadagna in produttività, ma spesso perde vantaggi più difficili da misurare, come la creatività e il pensiero innovativo. Le persone che lavorano insieme nella stessa stanza tendono a risolvere i problemi più rapidamente rispetto ai collaboratori remoti e che la coesione del team soffre nei lavori a distanza.

I lavoratori a distanza tendono anche a fare pause più brevi e a concedersi meno giorni di malattia rispetto a quelli che operano in ufficio e, negli studi, molti riferiscono di avere difficoltà a separare il proprio lavoro dalla vita domestica.

Lo studio di Raj Choudhury, professore della Harvard Business School

In ultima analisi, un’intervista a Raj Choudhury, professore della Harvard Business School, ci spiega come alcune aziende stanno creando la propria forza lavoro tutta, o quasi, remota.

Afferma che sempre più organizzazioni stanno adottando il lavoro da remoto come strategia aziendale, una soluzione che non solo riduce i costi immobiliari, ma aumenta anche il coinvolgimento e la produttività dei dipendenti.

Il lavoro da remoto, sintetizza il professor Raj Choudhury, consente la flessibilità geografica, permettendo al lavoratore di avere più tempo. Meno pendolare, meno stress. Può lavorare la mattina, lavorare la sera, qualunque cosa gli sia più consono, anche lavorare in pigiama, se lo gradisce.

La cosa più importante, però, è la flessibilità in termini di scelta del posto in cui vivere. Potrebbe essere una città che il lavoratore preferisce, o in alcuni casi avrebbe la possibilità di cambiare Paese e vivere in un luogo dove l’azienda potrebbe non avere uffici.

In Italia stiamo assistendo a una cosa simile grazie al South Working, un cambio di rotta che ha visto, soprattutto i Millennials fuori sede, tornare al Sud, nei luoghi d’origine, risparmiando sul carovita imposto nelle regioni più a Nord.

I vantaggi del lavoro da remoto 

Ma quali sono i vantaggi per le aziende che adottano questa politica? 

Senza dubbio, il modello offre notevoli vantaggi alle aziende e ai loro dipendenti. Le organizzazioni possono ridurre o eliminare i costi immobiliari, assumere talenti a livello globale e, secondo la ricerca, trarre vantaggio dai guadagni di produttività. 

I lavoratori ottengono flessibilità geografica, eliminano i pendolari e percepiscono un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. 

Quantificare la produttività nel lavoro da remoto

Come si misura la produttività in un lavoro totalmente da remoto?

L’approccio orwelliano è davvero controproducente, ossia l’invadente ed eccessivo uso di software per monitorare la produttività dei lavoratori e prevenire le sottrazioni, perché può essere efficace solo a breve termine. Se si continua a farlo, anche i migliori dipendenti se ne andranno alla prima opportunità disponibile, perché la pressione aumenta e si sentirebbero costantemente spiati.

La soluzione è quella di ripensare, ancora una volta, a come misurare la produttività. Dovrebbe essere fatto in base al numero di ore passate davanti allo schermo? O la produttività dovrebbe essere misurata in base al lavoro davvero fatto? Magari in base al feedback dei clienti?

Le aziende che operano da remoto valutano i lavoratori in base alla qualità del loro output di lavoro, alla qualità delle interazioni virtuali e al feedback di clienti e colleghi.

La comunicazione resta il problema

Tuttavia, persistono preoccupazioni per quanto riguarda il modo in cui il lavoro da remoto influisce sulla comunicazione. Gli aspetti riguardano:

  • il brainstorming e la risoluzione dei problemi 
  • condivisione delle informazioni
  • la socializzazione
  • il tutoraggio
  • la valutazione e compensazione delle prestazioni
  • la sicurezza e la regolamentazione dei dati

Le possibili soluzioni

Come riuscire allora a convincere i membri del team a riunirsi per concentrare il loro tempo e la loro attenzione sui progetti?

Riunioni regolari

Stabilire un ordine del giorno in anticipo e dare il compito a un membro del team per facilitare la riunione e mantenere il gruppo in pista, guidando il processo decisionale. Inoltre, è invitabile la presenza di qualcuno che prenda appunti e li indirizza alle parti interessate, in modo da non dover sprecare tempo prezioso tenendo un altro incontro sullo stesso argomento, in futuro.

Condividere i documenti

Ci sono diversi strumenti, come Google Docs, Teams, Slack o qualsiasi altro servizio di condivisione di file.

Quando si utilizza questo metodo, assicurarsi di impostare una scadenza per la revisione, attivare le modifiche alla traccia e chiarire esattamente ciò di cui si ha bisogno dai revisori nel documento.

Lavorare fianco a fianco

Lavorare fianco a fianco, anche in modo virtuale, è possibile. Durante una videochiamata con un collega, svolgere in diretta un compito su un particolare progetto condiviso per facilitarne la riuscita. Poiché la persona è già lì, in un certo senso, la collaborazione può andare avanti più agevolmente. 

Questa strategia è efficace anche quando dobbiamo svolgere un lavoro complesso che, quando siamo soli, tendiamo a rimandare. La pressione positiva della presenza di un collega ci porta a svolgere quell’attività, e potrebbe essere un ottimo incentivo per sbloccarci.

Non farsi monopolizzare dalle chat

Sebbene gli strumenti di chat collaborativa siano efficaci per lavorare in team, assicuriamoci di non esserne sopraffatti. Decidiamo quanto spesso e per quanto tempo interagire con quei i canali. 

Se non riusciamo a svolgere un compito tramite chat, telefoniamo direttamente. In questo modo, avremo un maggiore controllo sul nostro tempo, senza frustrazioni e distrazioni.

Lavorare in team da remoto tramite i giusti strumenti non significa che dobbiamo essere continuamente reperibili, ma ci serve per essere allineati con la nostra squadra. Collaborare efficacemente da lontano, rispettando i ritmi degli altri, e raggiungendo gli obiettivi prefissati nel modo più efficace possibile, è auspicabile.

Lavoro da remoto: sì o no?

Le aziende stanno subendo un processo di trasformazione organizzativa enorme e tutto sto avvenendo ora, sotto i nostri occhi. La maggior parte vuole adottare un approccio ibrido remoto, in cui potremmo essere in grado di lavorare da remoto tre giorni alla settimana.

Il rischio è che le persone che lavorano da remoto vengano tagliate fuori dalle informazioni e dai sistemi di comunicazione di cui godono le persone in ufficio. I lavoratori a distanza in un’organizzazione remota ibrida potrebbero sentirsi isolati professionalmente e socialmente. La soluzione è quella di optare per un modello, a maggioranza, remoto.

La comunicazione resta il perno fondamentale, non solo della nostra società, ma soprattutto, ora più che mai, del mondo lavoro e della sua trasformazione.

L’America a un bivio: tra Trump e Biden è guerra di spot

  • La campagna presidenziale degli Stati Uniti ha infranto ogni regola passata e si è aggiudicata il primato di più costosa di tutta la storia Americana!
  • I negative ADS, spot contro l’avversario, sono stati prodotti nell’80% dei casi dal presidente Trump e nel 62% dei casi da Joe Biden.

 

Nell’anno della pandemia il tema della sanità è entrato prepotentemente nell’agenda politica delle elezioni USA 2020. Il Republican National Commitee (RNC) ha aggiunto, per gli ultimi giorni di campagna, ben 9 milioni di dollari tutti su uno spot di 30 secondi, denominato “Noise”, che sta andando in onda negli stati più contesi come Arizona, Michigan, North Carolina e Wisconsin.

“Noise”, Trump, 2020

Joe Biden ha puntato moltissimo sul tema della sanità e ha attaccato ripetutamente il presidente Trump, accusandolo di gestione fallimentare dell’emergenza. In “Ready to lead”, andato in onda durante il picco del Coronavirus negli States, il senatore dem chiede un “Nationwide Mask Mandate”.

“Ready to lead”, Joe Biden, 2020

La polarizzazione del consenso

Glauco Maggi, inviato de La Stampa a NY, nel suo recente libro “Il guerriero solitario. Trump e la Mission Impossible” nota come il principale avversario del Tycoon sia proprio se stesso: avendo polarizzato moltissimo il consenso, gli States si sono divisi in vere tifoserie tra chi lo ama e chi lo detesta, al di là di quello che è stato fatto o non fatto in questi 4 anni e dei dati economici e occupazionali incoraggianti pre-pandemia. Un voto di stomaco, dunque, che asseconda le simpatie personali di ciascuno e meno le issue classiche che spostavano il consenso, come economia e politica estera.

La spesa degli spot a seconda dei temi in agenda, New York Times

La campagna a schieramenti si riflette nei social media, dove gli algoritmi assecondano questa polarizzazione dell’informazione: le persone vedono, interagiscono, si uniscono a community e costruiscono conversazioni esclusivamente attorno a coloro che la pensano in maniera equivalente. Il dialogo con le altre tifoserie è rarissimo così come lo scambio di contenuti tra chi la pensa in maniera opposta.

La polarizzazione delle conversazioni social non viene scalfita nemmeno dai media mainstream, la cui credibilità è minata dalla pluralità delle fonti, tra cui vive e prospera anche il link o il meme condiviso in bacheca dal vicino di casa o dalla fidanzata. I social media, nati come una piazza aperta e plurale, sono inevitabilmente vittime del loro stesso algoritmo: gli utenti vedono i contenuti a loro più affini, radicalizzando le proprie posizioni. Più le rispettive fazioni sono coese più difficilmente saranno impermeabili al dissenso, anche se argomentato. Un meccanismo illustrato perfettamente dal prof. Niall Ferguson, nel documentario “Networld”, tratto dal suo recente best seller “La piazza e la Torre”.

L’uso degli Spot

Nell’era delle certezze granitiche e degli ultras, la televisione non drena più consenso? Tutt’altro: in una società, come quella statunitense, dove la media dell’età di chi si reca alle urne è particolarmente alta, la TV detiene ancora un ruolo da protagonista e la gran parte dei budget viene stanziato per produrre e mettere in onda gli ADS, la cui tradizione risale al celebre scontro Eisenhower-Stevenson del 1952.

L’effetto degli spot nel 2020, all’interno di una corsa presidenziale così polarizzata, sarà con tutta probabilità mitigato rispetto al passato. Anche i negative ADS (gli spot contro l’avversario), che da sempre rappresentano da soli i due terzi di tutta la messa in onda, hanno più difficoltà a penetrare nei fortini dell’elettorato avversario, a meno di trovare una smocking gun finale, come sta provando a fare il presidente Trump cavalcando l’inchiesta del New York Post (censurata da Twitter) nei confronti del figlio di Joe Biden, Robert Hunter Biden, accusato di connivenza e loschi affari con un oligarca ucraino e con aziende petrolifere legate al regime di Pechino.

“Biden Lied“, Trump, 2020

L’immagine di Biden, con un’espressione confusa e smarrita, vuole assecondare le voci su una sua demenza senile, ed è ricorrente nella campagna di Trump, oltre che nei meme che circolano sui social di mezzo mondo.

Gli ADS dell’ex vice presidente cavalcano ovviamente il tema della pandemia, criticando aspramente l’operato del Presidente in carica. In “I Alone”, si ripete la frase di Trump “Solo io posso aggiustare questa situazione”, mentre i dati dei deceduti e dei contagiati scorrono inesorabili, scritti con una font oro, stile casinò di Las Vegas, quasi fossero gli slogan del Tycoon.

“I Alone”, Biden, 2020

Nella campagna elettorale 2020 i negative ADS sono stati prodotti nell’80% dei casi dal presidente Trump e nel 62% dei casi da Joe Biden. Il Republican National Committee (RNC) ha tirato fuori l’artiglieria pesante solo in queste ultime settimane: negli stati leaning (in bilico) si stanno spendendo ben 25 milioni di dollari in spot TV. I telespettatori che vedranno i nuovi ADS sono quelli in particolare di Arizona, Iowa, Michigan, North Carolina, Florida, Pennsylvania, Georgia, Nevada, Wisconsin, Iowa e Ohio.

Il comitato di Biden ha speso molto di più: ben 53 milioni, soltanto nell’ultimo mese, con ben 38 tipi diversi di spot soltanto in Pennsylvania. Tuttavia il presidente in carica, che ha speso meno del 2016, conta molto sulla visibilità dei suoi affollatissimi comizi e sulla copertura mediatica organica, quantificata da Bill Stepien, il campaign manager di Trump, in 48 milioni di dollari a settimana.

La campagna Trump sta anche spendendo direttamente anche su reti via cavo locali che hanno un alto numero di spettatori tra gli elettori più rurali, come RFD-TV, WGN-TV e Weather Channel, e sta puntando molto anche sulle stazioni radio evangeliche e conservatrici.

La spesa in ADS dei due candidati, New York Times

Le issues in agenda nel 2020

Il presidente Trump era partito con un’altissima percentuale di approvazione a gennaio 2020 (49%) per poi scendere tra il 38% e il 42% a seguito della pandemia. Secondo gli ultimi rilevamenti di Gallup, l’economia resta al primo posto nei pensieri degli americani (e resta anche il tema più presente negli spot), seguito dai temi della sicurezza nazionale e del terrorismo (presenti quasi esclusivamente negli ADS di Trump). Due punti che potrebbero far ben sperare il Presidente in carica, se non fosse per l’entrata del Coronavirus nel dibattito e per le polemiche legate alle tematiche razziali (che crescono di importanza dal 30% al 45% da dicembre 2019 a settembre 2020).

Record Smashing, Trump 2020

Made in America, Biden 2020

La risposta all’emergenza sanitaria è fondamentale non solo per il 93% dei democratici ma anche per il 61% dei repubblicani, una percentuale enorme se confrontata con gli altri temi di attualità, ad esempio il cambiamento climatico, che si ferma al 23% di attenzione nell’elettorato GOP ed è presente solo negli spot di Joe Biden.

Immagini e significati negli spot più belli della campagna

In “Vote For”, Joe Biden punta tutto sulle emozioni, facendo un appello a tutti gli americani per andare a votare, in qualunque modo possibile. “Il tempo delle divisioni finirà presto”, dice la sua voce fuori campo. I valori sono tracciati da parole e immagini mai casuali: “Empathy” (0:07), una madre (?) che incoraggia (per la partita?) la figlia un po’ corpulenta appena scesa da un truck, mentre una mazza da baseball spunta dallo zaino. Biden è poi ritratto a pregare assieme a una comunità di donne afroamericane (0:08).

“Vote For”, Biden 2020

“Respect” (0:09) è l’abbraccio con un anziano reduce. Quando compare “Honor” (0:10), sono tutti in piedi mano sul cuore a cantare l’inno (nessuno in ginocchio) ma le tribune sono mezze vuote, la disillusione di molti è tangibile. La ragazza in primo piano, tatuata, accanto all’amica dall’aspetto latino. La parola “Honor” (0:11) è anche accompagnata dalle immagini del compianto John  McCain e di sua moglie Cindy, il cui endorsement per il Dem ha fatto scalpore.  La recentemente scomparsa giudice della corte suprema Ruth Ginsburg, pioniera delle battaglie liberal si fa spazio nello spot accompagnando la parola “Equality” (0:12) come un monito a chiunque voglia intaccare l’imparzialità della corte stessa. Cosa potrebbe accompagnare “Bravery” (0:14) se non medici e infermieri? In questo caso tutti di colore e una di loro con un pugno alzato, come nelle battaglie razziali delle Black Panther.
“Love” (0:15) sono due persone che si abbracciano, in una casa di una periferia americana. Donald Trump viene citato solo al secondo 0:16 alla parola “Truth”: la sua presenza aleggia in una sala stampa deserta della Casa Bianca. Lo spot prova a fare breccia nel fortino avversario con l’immagine di un rodeo (0:24), controbilanciata subito da una catena umana (proteste BLM?) a 0:25.

America First, Trump 2020

“America First”, è invece un lungo e visualizzatissimo spot di Donald Trump, che riprende invece uno dei suoi più celebri speech. “Per troppo tempo”, dice la voce fuoricampo del Presidente, “L’establishment ha protetto se stesso”. Le immagini di Hillary, Bill Clinton, Joe Biden , Obama e Nancy Pelosi scorrono disturbate dal classico effetto “vecchia televisione”, utilizzatissimo nei negative ADS. “Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie”. Ma quali sono questi trionfi a cui si riferisce? Joe Biden brinda col presidente cinese: il telespettatore può ben immaginarlo.
Il cambiamento del registro comunicativo e musicale dello spot parte dal secondo 0:21: Donald Trump entra in scena, scende da un elicottero come quell’eroe che tutti stavano aspettando. Interessantissimo che le parole “new vision will govern our land” siano affiancate da immagini della manifattura “made in USA” (da 0:32).

“Buy American and hire American”, invita il presidente Trump (0:40), facendo leva su temi molto sentiti nel suo elettorato.
Il terrorismo islamico compare dal minuto 1:00 e l’attenzione si sposta sugli uomini in divisa. “Law and order”, lo slogan di Trump è declinato in una carrellata di quelli che lui definisce “Great men and woman of our military and law enforcement”.

La nuova era trumpiana fa eco a Kennedy:“We sill bring back our dreams” (1:23), ritornare a sognare significa anche veder decollare il razzo di SpaceX con gli astronauti americani a bordo.
La maggiore distanza con Biden è tutta qui: “This moment is your moment. It belongs to you”, Trump ha creato un vero e proprio movimento di persone che lo adorano al di là del Partito Repubblicano; se si trattasse di una rock star parleremo di fan base.

Unpredictable

La domanda che tutti si fanno è la medesima: i sondaggisti avranno toppato anche questa volta, come 4 anni fa, e sarà Trump a prevalere oppure tutto andrà come previsto e trionferà il vecchio Biden?

La notizia più recente è che i repubblicani stanno ottenendo una quantità maggiore di nuovi elettori registrati, specialmente in alcuni swing states, come racconta questa inchiesta del Time.

Tuttavia i risultati sono totalmente imprevedibili, e l’alta affluenza all’early vote (si può votare sia al seggio che via posta) potrebbe avvantaggiare i Dem o potrebbero essere semplicemente un segnale del timore degli anziani (la base elettorale più ampia di Trump) a mettersi in fila il 3 novembre. Gli Stati Uniti, la cui leadership è minata dalla Cina e da molti altri ingombranti attori di un mondo multipolare, hanno davanti a un enorme bivio e la vittoria di uno o dell’altro candidato non potrà che portare a riflessioni importanti sulla composizione, demografica, economica e valoriale, della propria società.

L'esigenze e i desideri dei lavoratori, sembrano mutare quotidianamente

Benefit aziendali: cosa sognano i dipendenti italiani

  • L’accesso ai benefit aziendali rappresenta un valore aggiunto per i lavoratori italiani.
  • Emerge la crescente difficoltà a creare un equilibrio tra sfera lavorativa e vita privata, ma i benefit al personale continuano a favorire l’aumento di produttività.

 

Per i dipendenti italiani, i benefit aziendali non costituiscono un optional, ma un asset importante dell’ecosistema professionale. Desiderano avere maggiore tempo per le attività sportive e intendono rimanere costantemente aggiornati: d’altronde dallo scorso lockdown si è notato un incremento delle iscrizioni ai vari corsi di formazione online.

Benessere fisico e della mente, convenzioni con centri sportivi e corsi di formazione per riqualificarsi e migliorarsi nel mondo del lavoro.

Salute fisica e crescita professionale, tra i benefit aziendali più ricercati

Benessere fisico e della mente, convenzioni con centri sportivi e corsi di formazione per riqualificarsi e migliorarsi nel mondo del lavoro.

Ecco cosa desiderano davvero gli italiani, che tuttavia da parte delle aziende continuano a trovare, come proposta più frequente, i classici buoni pasto. Lo rivela un’indagine di Urban Sports Club, l’applicazione per l’accesso ai centri fitness diffusa in tutta Europa. Dal sondaggio, è emersa la crescente difficoltà a creare un equilibrio tra sfera lavorativa e vita privata, in cui spesso i momenti da dedicare al proprio benessere fisico ed emotivo vengono sacrificati, e tutto ciò ha naturalmente un impatto al ribasso sulla macchina produttiva.

L’accesso ai benefit aziendali rappresenta un valore aggiunto per ogni lavoratore

Anche se, complice la profonda evoluzione degli stili di vita in atto, esigenze e desideri sembrano mutare quotidianamente, qual è lo scenario attuale e quali sarebbero le aree che a detta dei dipendenti potrebbero contribuire realmente a migliorare la qualità della vita?

“Il dialogo e la collaborazione con le aziende è fondamentale per realizzare questa visione attraverso l’erogazione di un benefit che possa davvero impattare in maniera positiva sulla vita dei dipendenti” – commenta Filippo Santoro, Managing Director per l’Italia di Urban Sports Club.

Mensa e assicurazione sanitaria i benefit più popolari

Eppure a disporre di benefit aziendali non sono in pochi, ma  il 70% dei lavoratori dipendenti. In ordine di popolarità, le aziende italiane propongono mensa o buoni pasto (52%), assicurazione sanitaria aziendale (47%) e prodotti di primaria necessità, quali acqua, caffè e snack in ufficio (45%). Al quarto posto ci sono il cellulare o computer aziendale, seguiti da generici premi o bonus. Al sesto posto c’è la possibilità di lavorare in smart working. Solo al settimo posto troviamo convenzioni con centri sportivi o fitness. In coda la palestra aziendale (6%) che tuttavia, va da sé, è concepibile solo in aziende di una certa rilevanza.

La classifica dei più utilizzati

Nella top 10 dei benefit aziendali più popolari in Italia non manca nulla, e si va dal caffè all’auto aziendale, fino ai buoni regalo:

  1. Mensa o buoni pasto
  2. Assicurazione sanitaria aziendale
  3. Beni di prima necessità (acqua, caffè, snack)
  4. Strumenti hi-tech (cellulare o computer aziendale)
  5. Premi o bonus
  6. Smart working
  7. Convenzioni con centri sportivi e fitness
  8. Auto aziendale
  9. Palestra aziendale
  10. Buoni regalo

LEGGI ANCHE: L’auto-organizzazione in azienda come alternativa alle gerarchie

La felicità dei dipendenti passa dai benefit aziendali

Ma cosa chiedono i dipendenti?

L’attività fisica è un’esigenza avvertita da molti e, almeno per quanto riguarda l’Italia, ancora poco radicata come forma di benefit aziendale. Circa un terzo del campione, tuttavia, sostiene di aver abbandonato lo sport a causa del protrarsi degli orari di lavoro. E, forse, proprio per questo sono in molti (52%), a dire che gradirebbero una convenzione con centri sportivi. Solo il 5% degli intervistati sostiene che sicuramente non usufruirebbe di questa opportunità.

Tra le proposte più apprezzate, quasi alla pari, ci sono poi corsi di formazione, aggiornamento e borse di studio, preferite dal 42% del campione. E in effetti, anche i corsi Ninja Academy sono disponibili sulle principali piattaforme di welfare, come EasyWelfare e Jointly.

Un benefit, dunque, finora poco considerato e che tuttavia, in tempi molto recenti, è stato rivalutato. Grazie anche al lockdown e allo smart working, infatti, numerose aziende hanno iniziato a puntare sull’aggiornamento professionale.

Chiude il podio, con il 28% delle preferenze, l’assicurazione sanitaria aziendale.

I benefici  alle persone favoriscono l’impresa

Ma a prescindere da quali siano, l’assoluta maggioranza (76%) dei dipendenti interpellati ritiene che gli incentivi possano generare output positivi anche per l’azienda stessa.

I benefit, dicono i lavoratori, favoriscono l’aumento di produttività, di conseguenza i dipendenti si sentono più soddisfatti e quindi più motivati. Dal canto suo, la realtà aziendale – afferma il 67% del campione – ne giova a livello d’immagine risultando più attraente agli occhi di nuovi possibili collaboratori e talenti. Inoltre si favorisce un legame più solido, di fidelizzazione, con i collaboratori già presenti nel team (52%).

Nello specifico, gli italiani credono che i benefit aziendali correlati alla sfera del benessere psico-fisico siano centrali, poiché impattano maggiormente sulla vita di chi ne usufruisce.

Rendi la tua carriera professionale a prova di recessione

Questo argomento è stato concepito in tre parti

  • Prepararti all’incontro con un mercato del lavoro turbolento;
  • Sviluppare una strategia di carriera a prova di futuro;
  • Perfezionare il tuo marchio personale.

In questa sezione ci occuperemo di come affrontare un futuro mercato del lavoro turbolento.

La Madre di tutte le recessioni sta arrivando

Gli americani hanno una bomba enorme chiamata MOAB, che è comunemente chiamata “Madre di tutte le bombe”. Purtroppo, mentre scrivo questo alla Ottobre 2020, sembra che ci stiamo dirigendo verso l’equivalente economico: “MOAR” – la Madre di tutte le recessioni.

Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra ha avvertito che il Regno Unito è pronto per la peggiore recessione degli ultimi 300 anni. In America, oltre 44 milioni di persone sono ora disoccupate. Si tratta di una cifra sbalorditiva e 11 milioni di persone in più rispetto all’intera popolazione attiva del Regno Unito. Anche in molti altri paesi la situazione è terribile e si prevedono forti venti economici.

Anche in Italia gli allarmi su cosa ci aspetta si susseguono di giorno in giorno.

Il vostro lavoro potrebbe essere a rischio se non lo è già

Per chiunque sia al lavoro, in cerca di lavoro o con la speranza di ottenere un lavoro migliore, il futuro è estremamente incerto. La disoccupazione è in aumento e i posti vacanti sono in calo. Nel mio settore, il marketing, i posti vacanti sono diminuiti del 75% rispetto all’anno scorso.

Ci sono migliaia di persone nel Regno Unito e milioni di persone in tutto il mondo che hanno smesso di lavorare a causa di Covid-19. Molti di questi posti di lavoro semplicemente non ci saranno più quando la crisi della Covid-19 sarà finita. Se siete già stati licenziati, allora potreste trovarvi in un mercato di acquirenti con poca domanda e molti lavoratori tra cui scegliere.

Questa è stata definita da McKinsey The Next Normal.

Ci siamo già stati in passato.

Nel 1987 abbiamo vissuto il crollo del mercato azionario del lunedì nero.

Nel 2000-02 abbiamo vissuto la recessione delle dotcom.

Nel 2007-08 abbiamo vissuto la crisi finanziaria.

Ora, con il Covid-19, abbiamo il quarto grande shock in 34 anni. Si tratta di una media di uno shock ogni 8,5 anni e mezzo.

Li ho sperimentati tutti nella mia vita lavorativa. Quando andrò in pensione, potrò aspettarmi almeno un altro shock che non è ancora stato rilevato. Per gli studenti che pensano a una lunga carriera di 45 anni davanti a loro, la minaccia di sconvolgimenti è grande e dovrebbero aspettarsi di essere preparati ad almeno 5 shock importanti nella loro vita lavorativa.

La differenza con il Covid-19 è che l’impatto è stato più nitido e universale che mai. Questa maggiore turbolenza sarà semplicemente una parte della futura vita lavorativa. Porterà a un cambiamento fondamentale nel modo di lavorare e di impegnarsi con i datori di lavoro. Dovreste aspettarvi maggiori cambiamenti sia nel vostro lavoro, sia nel vostro settore e nelle vostre condizioni di lavoro.

Per approfondimento su tutto questo, potete leggere “The New Long Life, A Framework for Flourishing in a Changing World” di Andrew Scott e Lynda Gratton (pubblicato nel 2020 da Bloomsbury).

Devi prepararti ora per un futuro di carriera fluido.

Quindi, devi iniziare a prepararti ora per un futuro fluido della tua carriera che ti aspetta. Questo futuro non è solo per le prossime settimane o i prossimi mesi, ma per i prossimi anni.

Se sei come me 25 anni fa, potresti non aver pensato molto alla tua carriera futura. Ero un giovane lavoratore energico e concentrato sul lavoro. C’era una scala di carriera naturale che potevo salire, ma non ho mai pensato se fosse la scala giusta per me. È stato solo quando sono diventato frustrato dalla mancanza di opportunità nella mia azienda che ho pensato alla mia carriera.

L’inazione non è più accettabile e lo devi a te stesso e ai tuoi cari di diventare padrone del tuo destino e di prendere sul serio la tua futura carriera.

Cosa dovete fare ora?

Per prepararsi al disordine che ci attende, bisogna fare tre cose:

1. Allineare la propria figura al mercato del lavoro;

2. Sviluppare una strategia di carriera;

3. Iniziare a fare marketing di sé stessi.

 

Allineati al mercato: l’audit dei punti di forza personali

Un mio amico era un poliziotto. Dopo un po’ di tempo, si è reso conto che poteva mettere a frutto la sua esperienza di poliziotto come formatore nella gestione della rabbia. Ora è molto richiesto come formatore per gli operatori sanitari, per gli operatori governativi e per il personale di prima linea nel trattare con i clienti arrabbiati e con il pubblico in generale. Conoscere i suoi veri punti di forza ha un grande impatto su quali lavori può fare domanda.

Quali sono i vostri veri punti di forza e come influisce sul vostro potenziale mercato del lavoro? Potreste avere dei punti di forza che aprono una nuova area di lavoro che non avete considerato in precedenza. Sei bravo con i bambini? Allora che ne dite di insegnare? Sei bravo con i numeri? Hai mai pensato di fare il contabile finanziario? Hai un hobby che ami? Puoi trasformarlo in un business? Sei bravo a spiegare le cose agli altri? Allora che mi dici della formazione?

Conoscere i tuoi veri punti di forza è quindi un esercizio importante. Dovresti quindi intraprendere un attento Personal Strengths Audit (controllo dei punti di forza personali). Infatti, i tuoi punti di forza possono essere suddivisi in 16 aree diverse attraverso diverse competenze. Utilizzate il modello qui sotto per vedere dove si trovano i vostri punti di forza. Cercate di riempire quante più caselle possibili con almeno un punto di forza.

 

Ovunque ci spazi vuoti, questi mostrano i potenziali punti deboli di altre aree a sfavore di altri candidati che si candidano per lo stesso lavoro. Naturalmente, i punti di forza e i punti deboli dipenderanno dal tipo di lavoro per il quale vi state candidando, ma qualunque essi siano, si inseriranno da qualche parte in questa matrice.

Guardare dentro di sé è la chiave di questo processo. Infatti, dovete prima guardare dentro di voi prima di guardare fuori di voi stessi al mercato del lavoro. Scavate a fondo e vedete cosa trovate.

 

La SWOT personale

Nonostante tutta la crisi economica, non tutti i settori stanno andando male e alcuni stanno effettivamente beneficiando della crisi di Covid-19. Ad esempio, molte industrie online stanno crescendo più velocemente che mai, tra cui l’istruzione online, lo shopping online e il gioco online. Al momento in cui scriviamo questo, c’è stata “un’esplosione” di prenotazioni di vacanze domestiche nel Regno Unito, poiché alcune restrizioni di viaggio sono state eliminate.

Ci saranno quindi anche delle opportunità. Ora è possibile cogliere i propri punti di forza e di debolezza e le opportunità e le minacce esterne in un Personal SWOT (vedi sotto).

Utilizzate questo SWOT per generare le domande chiave per la vostra carriera che dovete affrontare. Alcuni esempi sono: “Quali sono i posti di lavoro nella formazione online che posso ottenere nei prossimi 6 mesi?” oppure “Cosa devo fare per diventare un contabile qualificato? Per ottenere le domande giuste è fondamentale per ottenere la risposta giusta.

Come disse Albert Einstein: “Se avessi un’ora per risolvere un problema, passerei 55 minuti a pensare al problema e cinque minuti a pensare alle soluzioni”. In altre parole, se si definisce correttamente il problema, la risposta è molto più facile da trovare.

Non sottovalutare il potere dell’umile SWOT. Questo strumento è stato utilizzato in aziende globali complesse per semplificare le questioni strategiche che deve affrontare. Può quindi essere certamente utilizzato da voi a livello microscopico. È anche generalmente utilizzato in modo abusivo. Nella mia esperienza di centinaia di questi, direi che solo l’1% è fatto correttamente.

Fare un buon lavoro di questo primo passo vi aiuterà in modo significativo a prepararvi per il futuro fluido e turbolento che vi attende.

SWOT

 

Traduzione e adattamento a cura di Giorgio Burlini – Editor Ninja Marketing Pro Information

ninja e dbinformation

DBInformation e Ninja uniscono le forze, per la formazione digitale

DBInformation entra in Ninja Marketing con l’acquisto del 51% del capitale. Mirko Pallera resta socio e amministratore della società con il 48%.

L’acquisizione della maggioranza di Ninja, edutech company focalizzata sul potenziamento aziendale per la trasformazione digitale, è tappa importante di un processo di sviluppo di DBInformation verso la diversificazione dei propri servizi alle imprese e, in particolare, verso la completa digitalizzazione della propria offerta. L’ingresso di DBI consentirà a Ninja di accelerare la crescita su nuovi settori e mercati.

Lo sviluppo di DBI, l’evoluzione di Ninja

“L’acquisizione della maggioranza di Ninja Marketing è per noi motivo di grande soddisfazione”, ha dichiarato Gianni Vallardi, amministratore delegato di DBI, che ha aggiunto:

“Abbiamo creato le condizioni per un ulteriore e rapido sviluppo di DBI in un campo, come quello della formazione digitale, in grande e continuo sviluppo. Ninja Academy è la realtà più dinamica e creativa presente sul mercato. Il suo fondatore, Mirko Pallera, rappresenta per DBI e per il mercato la massima garanzia di continuità dei programmi in corso e, soprattutto, di espansione delle attività attraverso nuovi progetti, nuovi corsi e tecnologie per la formazione digitale, nuove iniziative di marketing.”

Vallardi ha concluso sottolineando che: “Ninja è tappa importante dello sviluppo di DBI verso la digital transformation dell’azienda, che è già in piena fase di realizzazione con il supporto consulenziale di Alkemy spa. Altri passi seguiranno nella stessa direzione”.

Mirko Pallera, founder e CEO Ninja ha sottolineato: “Tutto nell’Universo si evolve verso una maggiore complessità e consapevolezza e così anche le aziende. Da oggi inizia un nuovo capitolo della saga dei Ninja. Con l’ingresso di un gruppo industriale editoriale e tecnologico come DBI nella compagine sociale ci assicuriamo maggiore solidità finanziaria, maggiore capacità manageriale, maggiore impulso commerciale. A questo si aggiungono la stessa energia di sempre, lo stesso approccio all’innovazione, lo stesso spirito ribelle e soprattutto un team straordinario in grado di realizzare l’impossibile”.

ninja e dbinformation

Nato nel 2004, come un pioneristico osservatorio sul marketing non-convenzionale, negli anni Ninja Marketing si è evoluto diventando il punto di riferimento per il marketing e la comunicazione in Italia.

Nel 2010 è stata lanciata anche Ninja Academy, la scuola di formazione nata per guidare i professionisti del futuro. Da quel momento il magazine e la scuola si sono evolute sinergicamente diventando insieme una piattaforma di empowerment professionale e contribuendo a formare giovani talenti che sono diventati affermati professionisti. E oggi l’obiettivo è quello di aiutare le aziende a crescere.

“L’ingresso di DBI in Ninja Marketing consentirà di accelerare i processi di crescita già in corso e di mettere in opera più rapidamente nuovi progetti finalizzati allo scaleup dell’azienda – racconta ancora il CEO di Ninja -. La nostra consolidata esperienza nel campo della formazione digitale si arricchirà e trarrà vantaggio dalla presenza di DBI, dalle sue attività, dal suo ricco data base e dalle ampie relazioni con migliaia di aziende italiane e con decine di migliaia di professionisti di diversi settori”.

Un nuovo CdA

ninja e dbinformation

Il nuovo CdA di Ninja Marketing è composto da Mirko Pallera, Adele Savarese, Roberto Briglia, Gianni Vallardi, Edoardo Vallardi.

Alex Giordano, dal 2015 socio di minoranza senza cariche rappresentative e operative, mantiene l’1% del capitale sociale.

Google University o università tradizionali? Due modelli a confronto

  • Google lancia la sua università online, costringendo (forse) anche le università tradizionali a reinventarsi.
  • La proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, ma è davvero tutto oro quello che luccica?

 

Google ha lanciato la sua università online, con corsi basati sui Google Career Certificates, destinati a studenti che intendono laurearsi nelle professioni più richieste oggi nel mondo digitale.

La notizia è di qualche settimana fa e nel frattempo c’è stato modo di approfondire e verificare l’argomento, magari anche con qualche raffronto con l’offerta delle università tradizionali.

Questo è quello che abbiamo provato a fare anche nelle redazione di Ninja, andando ad analizzare una serie di caratteristiche dal piano di studi al prezzo.

Ma andiamo con ordine e partiamo dalle certificazioni Google.

università

Google University

Non sono lauree brevi, ma corsi intensivi che hanno lo stesso valore di un percorso universitario tradizionale. Il costo contenuto permette a un numero più elevato di studenti di frequentarli e il fatto che siano online evita costi di trasferimento e strutture da gestire.

L’obiettivo di Google, come riportato dalla stessa azienda, è quello di offrire opportunità di lavoro a coloro che non possono permettersi la rata di un college americano. Come ha affermato Kent Walker, vice presidente senior per gli affari globali di Google, infatti, i corsi si basano su programmi già esistenti in azienda e servono per specializzare le persone senza laurea che lavorano nel settore IT. 

L’offerta tradizionale

Le università e i corsi di specializzazione in presenza e online che tutti siamo abituati a frequentare partano da un modello completamente diverso da quello di Google. Certamente sono più onerosi, ma garantiscono anche uno sviluppo di competenze più trasversali.

Certamente non tutte le università attuano programmi per l’inserimento immediato nel mondo del lavoro, e dunque non offrono stage e apprendistato, ma il percorso spalmato su un periodo di tempo più prolungato punta a offrire un maggiore approfondimento su diverse discipline.

Google vs. tutti

Abbiamo selezionato due corsi di studi tradizionali di facoltà italiane (pubbliche e private) per operare un confronto con l’offerta formativa di Google. Ed ecco cosa è emerso:

confronto università digital

Al momento la proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, tra cui la durata del percorso e la sua economicità.

C’è chi critica la mossa, sostenendo che una società privata non può e non deve paragonarsi a un’istituzione universitaria. C’è chi invece lo vede come uno sprono per gli istituti tradizionali, per reinventarsi e avvicinarsi di più alle esigenze del mondo del lavoro.

Ma davvero basta un corso di studi online per imparare un mestiere come quello dell’UX Designer (per esempio), o invece servono ore, ore e ancora ore di esperienza su campo? E voi che cosa ne pensate?

Quali sono le differenze tra Generazione Z e Millennial nelle decisioni di acquisto in store e online?

  • La Generazione Z preferisce vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, toccando con mano e provando in prima persona i prodotti che vuole comprare.
  • Secondo alcune ricerche la Gen Z risulta essere una generazione incline a spendere il proprio denaro in modo pragmatico, a differenza dei Millennial.
  • I giovani consumatori sono più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

 

Abbiamo ampiamente discusso, nei mesi precedenti, delle differenze di comportamento che intercorrono tra la Generazione Z (coloro nati indicativamente tra la fine del 1990 e il 2010) e i Millennial (coloro nati tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90).

Da lontano queste due generazioni possono assomigliarsi, essendo molto vicine a livello culturale e temporale. È facile presumere che queste due categorie possano pensarla allo stesso modo quasi su tutto, avendo ricevuto la stessa educazione, e che siano poche le cose che non hanno effettivamente in comune.

Ma le differenze in alcuni casi possono arrivare ad essere relativamente abissali, soprattutto perché la Gen Z è nata in un mondo dove ormai Internet e Social Media non erano più una novità da scoprire ma una realtà quotidiana.

Lo stravolgimento delle abitudini d’acquisto e di consumo dei media dettato dalla pandemia di Covid-19, oppure l’arrivo di piattaforme dedicate ai più giovani come ad esempio TikTok, sono solo due dei fattori che hanno accentuato ulteriormente le differenze tra queste due generazioni.

In questo articolo ispirato allo studio pubblicato da GlobalWebIndex analizziamo le differenze che intercorrono tra Generazione Z e Millennials per quanto riguarda le abitudini di acquisto in-store e online, cercando di capire come i brand possono adattare le loro strategie post-Covid19 in base a questi dati.

Lo shopping in-store non è morto

Come abbiamo commentato all’inizio, la Generazione Z è nata in un mondo dove il digitale non è una novità ma una realtà consolidata. Per questo siamo portati a pensare che la Gen Z acquisti prodotti quasi solo on-line, ma i dati lo smentiscono.

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Come dimostrano i dati raccolti, sembra proprio che la Generazione Z, come tutte le altre generazioni precedenti, preferisca vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, per avere la possibilità di toccare con mano e provare in prima persona i prodotti che vuole comprare.

E sembra che, paradossalmente, la pandemia di Covid-19 abbiamo consolidato la vendita al dettaglio, oltre ad aumentare ovviamente il numero di acquisti online.

Ne sono la prova diverse iniziative come l’apertura a Guangzhou e Parigi di nuovi concept-store monomarca di Nike, che sono l’esempio di come un negozio possa diventare un ibrido tra acquisti offline e online.

Una nuova generazione di “risparmiatori”

Nonostante il negozio fisico resista, c’è un aspetto dello shopping in-store che sta lentamente scomparendo: il pagamento in contanti.

Ma questa tendenza, al contrario di quanto si possa pensare, è più diffusa tra i Baby Boomer che tra la Generazione Z. Sembra infatti che con l’aumentare dell’età la preferenza a pagare in contanti diminuisca.


In generale comunque la Generazione Z è maggiormente abituata allo shopping online e ai servizi di pagamento mobile, e questo
distorce la loro interpretazione del “contante”. 

La Gen Z non vede al denaro come una determinata quantità di banconote o monete, ma come un fondo a cui può accedere direttamente e immediatamente (attraverso le carte di credito o servizi come PayPal).

Ma nonostante questo, diversi studi dimostrano che – a differenza dei Millennial – sono più propensi ad aspettare che un prodotto sia in saldo per acquistarlo piuttosto pagarlo a prezzo pieno, in modo da poter risparmiare qualcosa. 

Secondo una ricerca condotta da HSBC infatti la Gen Z risulta essere una generazione di risparmiatori, o meglio sono inclini a spendere il proprio denaro in modo pragmatico. 

In questo studio, HSBC ha chiesto a 2.125 adulti cosa avrebbero fatto con 1.000 sterline in contanti. Circa il 72% dei giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni ha dichiarato che trasferirebbe tutto o parte del denaro in un conto di risparmio, rispetto al 55% dei Millennial (di età compresa tra 25 e 34 anni).

Una particolare attenzione agli acquisti eco-sostenibili 

Una delle motivazioni per cui i giovani della Generazione Z prestano maggiore attenzione ai loro acquisti potrebbe basarsi nell’attenzione che ripongono nei confronti di temi di sostenibilità ambientale.

LEGGI ANCHE: Brand a misura d’uomo: gli strumenti tech per avvicinarsi alle persone

Risulta infatti che, rispetto ai Millennial, siano più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

È giusto pensare che anche gli effetti secondari della pandemia di Covid-19, insieme ai movimenti come Black Live Matters oppure una maggiore coscienza a favore della comunità LGTBI+, siano tutti fattori che influenzano i comportamenti di acquisto di una generazione che è particolarmente attiva socialmente.

Cosa significano queste differenze per le imprese?

Abbiamo visto come la Generazione Z è più interessata a sostenere le attività commerciali locali e a fare acquisti di persona. Questo potrebbe essere un grande vantaggio per quelle piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il periodo di lockdown.

In generale comunque il marketing generazionale può essere particolarmente produttivo, a patto che sia guidato da dati sicuri e comprovati e non si basi su supposizioni o stereotipi. 

Lo studio di GlobalWebIndex ne è la prova: al contrario di quanto tutti possano pensare, la Generazione Z non è destinata a seguire lo stesso percorso dei Millennial, soprattutto per quanto riguarda le abitudini di acquisto.

retail new normal report

Retail 4.0: la vendita al dettaglio è sempre più personalizzata

  • Oggi, la vendita al dettaglio avviene nei negozi fisici, attraverso l’eCommerce e con l’home delivery.
  • Gli algoritmi, alla base della loro tecnologia, sono in grado di analizzare i comportamenti online e riescono a proporre agli utenti offerte mirate.
  • I retailer devono investire nell’assunzione di Data Specialists e facilitare la formazione continua.

 

Negli ultimi due decenni, la perpetua crescita della tecnologia digitale, ha influito sul retail con profondi mutamenti. I confini tra innovazione e umanità continuano ad intrecciarsi e gli esercenti devono affrontare sfide sostanziali.

In un periodo storico in cui migliaia di negozi sono in crisi a causa del Covid-19 e tante saracinesche si sono abbassate, la riduzione dei margini di guadagno è evidente e la battaglia per fidelizzare i consumatori è più complicata che mai. Una strategia digitale di successo, è un’opportunità per i commercianti così da parlare direttamente ai propri stakeholder e stimolare un interesse diffuso e costante per i marchi e i prodotti.

Oggi, la vendita al dettaglio avviene nei negozi fisici, attraverso l’eCommerce e con l’home delivery. La logistica, la produzione e il servizio commerciale hanno avuto un aggiornamento con format sempre più orientati alla relazione e all’erogazione di servizi aggiuntivi.

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Il digitale ha un ruolo sempre più decisivo nel definire il retail attuale

Le aree di innovazione nel retail

Dal White Paper pubblicato da Thron, si evince che in uno scenario retail destinato ad essere completamente stravolto, il digitale ha un ruolo sempre più decisivo nel definire la nuova formula degli store. La chiave sta in una strategia Customer First, basata sulla fiducia e sull’empatia.

È fondamentale la capacità di anticipare i bisogni dei clienti e sviluppare esperienze d’acquisto personalizzate. Il consumatore, esperto e smart, si aspetta di poter entrare in un negozio e continuare a cercare, trovare e pagare con la stessa esperenzialità che ha con gli strumenti digitali.

Le persone amano le offerte personalizzate, poiché mostrano che un brand si sta interessando a loro con autenticità. Il reatil ad personam aumenta anche la probabilità  di maggiore spesa.  Come riportato da Accenture, un cliente conosce il nome e la storia dei suoi acquisti, ed è in grado di consigliare i prodotti in base all’esperienza vissuta, soprattutto online.

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Personalizzare l’offerta per creare fidelizzazione

La digital tecnology produce la certezza che ogni istante si auto-rigenera: il volantino non basta più, il 6×3 per strada non è più di vitale importanza, così come non lo sono i gadget “brandizzati” distribuiti in-store, ciò su cui si fa leva è la personalizzazione. Strumenti e strategie digitali all’interno dell’attività commerciale: inventari, ordini, sicurezza interna, gestione del magazzino, esposizione ed allestimento, assortimento dei prodotti e sistemi di pagamento, costituiscono tutta una serie di realtà non più analogiche:

  • NFC e portafogli mobili per i pagamenti attraverso il proprio smartphone;
  • RFID per la memorizzazione di etichette elettroniche;
  • Totem interattivi e supporti digitali touch-screen per ordini, acquisti o consultazioni;
  • Videocamere di sorveglianza e sistemi di controlli termici sempre più avanzati;
  • Barcode, QR Code, Data Matrix e SmartCode anche per il semplice biglietto per l’autobus;
  • Wifi, cloud e social media per connettersi al mondo di clienti potenzialmente illimitato.

Nel retail è fondamentale la capacità di anticipare i bisogni dei clienti e sviluppare esperienze d’acquisto personalizzate.

Il nuovo ruolo del digitale nella Customer Journey

Gli algoritmi, alla base della loro tecnologia sono in grado di analizzare i comportamenti online e riescono a proporre agli utenti offerte mirate che:

  • Anticipano i loro bisogni;
  • Eliminano le loro incertezze in fase di discovery;
  • Fanno scoprire nuovi articoli in linea con le loro esigenze.

Dunque c’è un approccio One-to-one e nessun consumatore è uguale a un altro. Secondo Epsilon, l’80% dei clienti ha maggiore probabilità di concludere un acquisto da un brand che offre esperienze ad personam.

Nel retail, la massimizzazione del business transita dai dati. Essi preparano il terreno all’acquisto e devono essere raccolti in tempo reale e l’unico modo che le aziende hanno per tracciare in modo diretto le intenzioni e gli interessi dei clienti è quello inerente ai canali digitali.

La tecnologia informatica dunque è il campo in cui si giocherà la vera competizione tra i retailer: la relazione con i clienti dovrà essere acquisita e consolidata prima dell’ingresso nei negozi, in modo che i dati raccolti servano poi a ottimizzare l’offerta nel punto vendita.

Il Customer Journey in-store diventa così più efficiente e veloce: si riesce ad assicurare a ciascun cliente l’attenzione individuale che merita, senza creare congestioni e rallentamenti nel servizio.

Come si sta evolvendo il retail?

Il content è il punto di contatto per convertire

I contenuti pubblicati sul sito e sui social media diventano il perfect match con i consumatori. Una dettagliata descrizione del prodotto genera un retail di qualità e sicurezza negli acquirenti.

Online i clienti, sono animati dai bisogni latenti o attivi: avvertono di avere un’esigenza da risolvere e cercano soluzioni che possano fare al caso loro. In questa fase dedicano molto tempo alla ricerca di informazioni su prodotti da acquistare. Per attrarli e fare breccia nella loro mente è indispensabile offrire una selezione di contenuti in grado di convincerli e ingaggiarli.

L’esperienza del consumatore deve essere ricca e il contenuto si posiziona a cavallo tra i dati e le risorse multimediali.

La rilevanza dell’approccio omnicanale

L’approccio omnicanale spinge i rivenditori a mappare il percorso del cliente, identificando i punti di contatto che possono fare la differenza tra una vendita e un’opportunità persa. I rivenditori sono incoraggiati a intraprendere questo esercizio e a decidere come sostenere un approccio integrato in tutta l’azienda, sia online che in negozio.

Prendiamo ad esempio il Customer Care. I clienti potrebbero aver bisogno del servizio clienti in negozio se stanno cercando una soluzione immediata, oppure potrebbero preferire la comodità di accedere all’assistenza online o via telefono.

Non dovrebbero esserci incongruenze tra i vari canali. I team offline e online devono presentare un messaggio unificato che abbia la stessa identità.

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I rivenditori riconoscono di avere accesso a una notevole quantità di dati

I dati sono la keyword per migliorare l’esperienza del cliente

I rivenditori riconoscono di avere accesso a una notevole quantità di dati e stanno lavorando attivamente per utilizzarli così da indirizzare meglio i potenziali clienti, ottimizzare l’esperienze d’acquisto e colmare il divario tra esperienza digitale e fisica. L’efficace utilizzo di questi dati dipende dalla presenza di persone competenti. I commercianti devono investire nell’assunzione di Data Specialists e facilitare la formazione continua, per garantire che le loro conoscenze siano effettivamente utili.

Il passaggio successivo consiste nell’applicare le conoscenze dove è necessario. Recenti studi del Digital Marketing Institute hanno dimostrato che per più di un quarto dei rivenditori, l’esperienza del cliente è la priorità numero uno per differenziarsi. I dati che i rivenditori detengono – e analizzano – sono estremamente utili per adattare l’esperienza ai singoli consumatori.

Ad esempio, sapendo quando è più probabile che un cliente navighi in un sito Web, visiti un negozio e infine effettui un acquisto, i rivenditori possono inoltrare offerte che hanno maggiori chances di incoraggiare un’azione.

Se un cliente ha la tendenza a visitare il negozio il venerdì pomeriggio, non ha senso inviare offerte il martedì mattina. Attira la loro attenzione invece venerdì mattina, quando è più probabile che si trovino in zona e desiderino fare una visita. È uno scenario semplice, ma dimostra come un approccio congiunto ai dati nell’ambito del Marketing omnicanale, possa produrre risultati.

Creare una cultura incentrata sul pubblico di riferimento

Attualmente il retail è stato completamente rivoluzionato dalla tecnologia digitale. Ma nonostante tutta l’innovazione il fattore più importante rimane quello umano.

La cultura incentrata sul cliente è essenziale per qualsiasi rivenditore. Presentarsi non è abbastanza; è la qualità della relazione che fa la differenza.