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LinkedIn

20 pagine LinkedIn che funzionano (e da cui trarre ispirazione)

  • Una pagina aziendale strutturata con una content strategy di alto livello può portare a risultati inestimabili per il brand, attraendo sia potenziali clienti che nuovi talenti.
  • Nel contest annuale #BestofPages 2019 di LinkedIn, le migliori pagine si sono rivelate quelle di Teleperformance, Hays, Deloitte.

 

LinkedIn continua a crescere. La piattaforma social acquisita da Microsoft nel 2016 ha enormi potenzialità, e sempre più persone se ne stanno accorgendo. Basta dare un’occhiata alle previsioni di eMarketer, secondo cui gli iscritti alla piattaforma negli Stati Uniti arriveranno a quasi 67 milioni nel 2022, crescendo molto di più rispetto alle aspettative.

Le stime in termini di revenue che il canale riesce a ottenere dal mercato B2B, poi, confermano la crescita. 1,59 miliardi di dollari, +11.2% (sempre dati US), sono numeri che consacrano LinkedIn a strumento di marketing di estremo valore.

Il report 2020 di We Are Social dice che in questo momento LinkedIn occupa il settimo posto tra i social più utilizzati in Italia. Questo suggerisce che si tratta di un canale che viene utilizzato da una specifica fetta di pubblico che, solitamente, fa riferimento proprio al mondo B2B.

Sembra quasi scontato, quindi, dire che una pagina aziendale su LinkedIn, proprio come un sito web, diventa un’enorme opportunità per presentare la propria azienda, quello che si fa, e perché le persone dovrebbe affezionarsi al marchio.

Non si tratta di costruire una pagina solo in ottica di recruiting: l’obiettivo è costruire (o migliorare) la brand reputation. Le connessioni che poi si possono creare con recruiter, consulenti, potenziali clienti, sono inestimabili.

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LinkedIn Bikes

Come ottimizzare al meglio la propria pagina LinkedIn

Non c’è nessuna formula magica da recitare per avere successo su LinkedIn, come per qualsiasi altra piattaforma social, ma è importante iniziare completando correttamente tutte le informazioni richieste. Può sembrare banale, ma le pagine complete ricevono il 30% di visualizzazioni in più rispetto a quelle che ignorano alcune informazioni.

Ricordarsi di inserire un logo e un’immagine di copertina, una descrizione dell’azienda, e le informazioni principali (sito web, settore, numero di dipendenti, location), impatta notevolmente sulle performance della pagina.

Nel completare le informazioni sulla propria pagina non si deve dimenticare la parte SEO. Nello scrivere, ad esempio, la descrizione della propria azienda, è bene includere keyword efficaci per il proprio settore e utilizzare un tono coinvolgente per la propria audience. Con alcune semplici accortezze, si può alzare notevolmente le possibilità di essere trovati all’interno di LinkedIn e sui motori di ricerca.

LinkedIn logo

LinkedIn, poi, non è solo un social network, ma anche un’incredibile risorsa per la ricerca del lavoro. Postare le proprie posizioni aperte nella tab “Lavoro” aiuterà la pagina sotto diversi aspetti. Prima di tutto, le posizioni verranno tracciate sia su LinkedIn che su Google, aumentando notevolmente la reach potenziale. In secondo luogo, le keyword che si utilizzano nella descrizione possono portare traffico alla pagina aziendale. Così, si incrementa la possibilità non solo di trovare il giusto talento, ma anche di aumentare la reputazione della propria azienda.

Ovviamente, non basta avere una pagina completa di informazioni e aprire qualche posizione. Condividere contenuti regolarmente è importante: è stato dimostrato che anche solo postare settimanalmente può raddoppiare i risultati in termini di engagement. Qualche segreto per accontentare l’algoritmo:

  • Puntare sui contenuti visuali (i contenuti video raggiungono 5 volte più persone rispetto ai post di solo testo);
  • Pubblicare solo contenuti pertinenti con l’audience di riferimento. Nello specifico, è bene puntare ad argomenti di nicchia, anche in termini di hashtag;
  • Promuovere i propri post, non necessariamente con sponsorizzazioni. Inserire un post all’interno di una newsletter o di un canale su Slack, ad esempio, può portare a coinvolgere un numero maggiore di utenti;
  • Ispirare conversazioni. Puntare a finire il post con una domanda, offrendo la possibilità di condividere idee o opinioni e facendo diventare il post un’opportunità di confronto e discussione, è ben visto dall’algoritmo di LinkedIn, che “premia l’impegno”;
  • Pubblicare al momento giusto. È sempre bene controllare i dati riguardanti la propria pagina, ma solitamente è bene postare:
    • alle 7:45, alle 10:45, alle 12:45, alle 17:45
    • di mercoledì, o martedì, per i brand B2B
    • di lunedì, o mercoledì, per i brand B2C

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LinkedIn Headquarters

20 esempi di pagine LinkedIn d’impatto

#1 Teleperformance

Quella della multinazionale francese è stata votata come migliore pagina di LinkedIn del 2019 nel contest annuale #BestofPages.

Caratterizzata da un utilizzo esemplare di video nativi, oltre che di contenuti brevi, fruibili, condivisi frequentemente. L’azienda ha saputo sfruttare le potenzialità della piattaforma rendendo il loro marchio molto umano, coinvolgendo molti leader interni all’azienda. A tutto questo, viene aggiunta grande credibilità grazie al sapiente utilizzo di statistiche e insight provenienti dall’esterno dell’azienda.

#2 Hays

Al secondo posto del contest #BestofPages 2019 troviamo Hays. L’azienda di recruiting londinese crea moltissimi contenuti sotto forma di slide PDF, che spesso vengono condivisi anche sul feed. Tra i fiori all’occhiello ci sono le condivisioni di ricerche, approfondimenti, e iniziative di valore come nel caso del #WorldMentalHealthDay.

Valore aggiunto: i collegamenti con i contenuti provenienti dal blog aziendale.

#3 Deloitte

Oltre a tutti i materiali con cui un possibile candidato o un visitatore della pagina possono interagire nella ricca e strutturata tab “Vita”, Deloitte promuove notevolmente la propria cultura aziendale grazie a video nativi in cui talvolta vengono anche coinvolti direttamente i dipendenti.

Inoltre, la celebre società di consulenza utilizza la sua pagina anche per stimolare la registrazione a eventi, sfruttando la leadership e le grandi qualità dei propri executive.

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Deloitte

#4 Hackerearth

HackerEarth è una tech-company che ha sviluppato un software in grado di aiutare le aziende ad assumere uno sviluppatore, misurandone le competenze tecniche. Ciò che fa distinguere l’azienda su LinkedIn sono senza dubbio i contenuti. Condivisi quasi quotidianamente, sono tutti di alto livello. Vengono utilizzati diversi formati come video, immagini, PDF, e link esterni, e gli argomenti trattati sono molto incentrati sull’audience a cui si rivolgono.

Il valore dei loro contenuti viene confermato dal coinvolgimento di esperti provenienti da grandi aziende come Microsoft o IBM, oltre alla promozione di prestigiosi eventi e competizioni.

#5 Lemonade

Basta uno sguardo alla suggestiva immagine di copertina per capire da dove proviene l’innovativa compagnia di assicurazioni Lemonade. Non solo su LinkedIn ma anche sul loro sito web si possono trovare esempi di fantastici copy e microcopy. Il loro team, poi, sfrutta molto bene gli hashtag aziendali, un’efficace Call To Action all’inizio della pagina, e un tono di voce autentico e ben strutturato per guadagnarsi l’attenzione e la fiducia dell’audience.

#6 The Interaction Design Foundation

Seguita soprattutto da designer ed esperti di UX, la pagina LinkedIn della The Interaction Design Foundation può diventare un must-follow anche per i non addetti al lavoro.

Sulla pagina vengono condivisi più volte al giorno i contenuti di inestimabile valore provenienti dal loro blog, ma ciò che è davvero imperdibile è la rubrica quotidiana The Daily Design Quote. Molto interessante, poi, la tab “Ex studenti“.

The Interaction Design Foundation

#7 TED Conferences

Con quasi 18 milioni di follower, attualmente è la pagina LinkedIn più seguita al mondo dopo quella di Google. Impossibile non cliccare su “+Segui” per garantire un po’ d’ispirazione al proprio feed. Vengono continuamente condivisi alcuni tra i TED speech più d’impatto, insieme ad articoli del blog dell’associazione, e a versioni più brevi dei celebri discorsi con un format davvero coinvolgente.

#8 Major League Baseball (MLB)

Innanzitutto, la pagina LinkedIn della MLB si distingue grazie alla sua copertina davvero suggestiva, ma ciò che fa spiccare la pagina è la diversità di contenuti molto coinvolgenti per la propria audience.

Può sembrare strano seguire su LinkedIn la pagina della lega di baseball più famosa del mondo, ma i molti contenuti provenienti da partner come Fanatics, i post riguardanti le varie squadre della lega, o la condivisione di informazioni riguardanti programmi dedicati ai giovani atleti o altre iniziative, possono decisamente bastare come motivi per “piazzare il follow”.

#9 Spotify

Il gigante dello streaming musicale non si limita a condividere musica e podcast. L’azienda con sede a Stoccolma è l’esempio perfetto di come utilizzate i video nella propria Content Strategy su LinkedIn.

Degli esempi possono essere le serie “How It’s Made“, in cui si parla dei vari progetti o strumenti su cui i diversi team stanno lavorando, o “Quick Fire Question“, brevi e molto coinvolgenti interviste ai dipendenti. That users want to come back for.

Spotify

#10 Airbnb

Airbnb non ha bisogno di presentazioni, e il brand non utilizza la propria pagina LinkedIn solo per promuoversi di fronte al mondo, ma soprattutto per condividere i suoi valori, la personalità, e la cultura.

L’azienda dedica grande attenzione nel comunicare i valori di condivisione e di famiglia, emersi anche nella lettera passata alla storia del CEO Brian Chesky, scritta per annunciare i lincenziamenti causati dalla pandemia da COVID-19. Di sicuro, che sia un potenziale cliente o qualcuno alla ricerca di un lavoro a visitare la pagina, potrà farsi un’idea ben chiara di cos’è che rende Airbnb così speciale.

#11 UPS

UPS è un’azienda riconosciuta per l’attenzione alle persone e alla clientela. Questo lo si ritrova nelle commoventi campagne che ricalcano questi valori. Alcuni esempi si possono ritrovare in #ThanksForDelivering#SmallBizPROfiles, focalizzate rispettivamente sull’impegno dei corrieri e delle possibilità offerte da parte della compagnia alle piccole imprese.

Postare contenuti come questi su una pagina LinkedIn aziendale non è solo d’impatto, ma aiuta a costruire una solida e ammirevole reputazione.UPS

#12 Slack

Il focus dei contenuti condivisi dalla pagina LinkedIn di Slack è quello di far comprendere alla propria audience come il loro strumento può diventare un’opportunità per lavorare in modo efficiente e aumentare la produttività del proprio team.

Tutto ciò viene fatto attraverso la condivisione di numerosi casi studio ed esperienze di diverse realtà e organizzazioni. Così, l’azienda si posiziona come vera e propria risorsa per comunicare efficacemente anche tra diversi settori. Un esempio? Il case study su Wayfair.

#13 Facebook

Fermi un attimo, una delle migliori pagine aziendali su LinkedIn è quella di Facebook? No, non è uno scherzo. Quello che rende unica la pagina dell’azienda di Mark Zuckenberg è l’approccio con cui vengono condivisi contenuti immediatamente relazionabili con la loro audience, specialmente per quanto riguarda il recruiting.

Ecco quindi che contenuti d’impatto e di grande carica emotiva fanno diventare Facebook non solo un social nwtwork ma anche un vero e proprio brand, in grado di farsi strada anche su un’altra piattaforma.

#14 Electronics Arts (EA)

Una strategia di contenuti molto coinvolgente e diversificata, quella di EA su LinkedIn. Ciò che attrae maggiormente l’attenzione, però, sono i video dedicati alle assunzioni, solitamente divisi in due formati, entrambi molto efficaci.

Il primo consiste in una panoramica delle diverse posizioni aperte nelle varie aziende del gruppo.

Il secondo chiama in gioco direttamente un membro del team per cui si sta cercando dei candidati, che parla del ruolo in questione e della sua importanza, come in un job pitch.

EA

#15 King

Da azienda di gaming ad azienda di gaming. Anche King, seppur con meno seguaci rispetto a EA, fa di certo una bella figura su LinkedIn. Quello che colpisce maggiormente è la grande attenzione dedicata alla brand identity e alla coerenza cromatica e stilistica tra tutte le tipologie di contenuti condivisi, sicuramente molto d’impatto.

Molto interessante la rubrica #MeetTheMakers, in cui il brand racconta i propri dipendenti anche attraverso le loro parole.

#16 Unilever

Piccola sfida: trovare un settore nel mercato dei beni di largo consumo in cui Unilever non si afferma con almeno un prodotto. Scherzi a parte, la pagina LinkedIn dell’enorme multinazionale non si fa notare per la promozione dei loro prodotti, ma per l’importante focus sulle iniziative comunitarie e di sostenibilità intraprese dai vari brand della compagnia.

Questi contenuti hanno un grande valore per la pagina, consentendo ai visitatori di comprendere appieno la cultura aziendale, oltre a costruire importanti connessioni tra i diversi marchi.

Unilever

#17 Netflix

Difficile che Netflix non proponga contenuti di valore, e la pagina LinkedIn aziendale ne è una prova. Basta dare un’occhiata alla sezione “We are Netflix” della tab “Vita”.

Altri esempi possono essere i video-overview sulle serie TV e film in uscita per il mese successivo, o i diversi post che mirano a coinvolgere e intrattenere il pubblico. Di sicuro contenuti come questi fanno prendere una boccata d’aria al nostro feed!

#18 Dropbox

Anche Dropbox non ha bisogno di presentazioni. Di tutto l’ampio ventaglio di contenuti che l’azienda condivide su LinkedIn, una nota di merito va fatta per la rubrica di presentazione dei dipendenti. Viene data molta attenzione anche a posizioni più entry-level, e ogni post è collegato a un articolo dedicato su Medium.

Inoltre, la rubrica si concentra su diversi dipartimenti e funzioni aziendali, dando ai visitatori della pagina una panoramica generale di quali sono i valori che rendono Dropbox un favoloso ambiente lavorativo.

#19 Ogilvy

La pagina LinkedIn di una delle agenzie pubblicitarie più importanti al mondo è caratterizzata da una grande coerenza a livello visuale tra i vari post, oltre che a una grande varietà tra le tipologie di contenuto proposte. Queste spaziano dai video nativi a link di articoli esterni o del blog dell’agenzia, dalle infografiche a collegamenti a webinar ed eventi.

La vera e propria chicca? La citazione del venerdì di David Ogilvy: #Ogilvyism.

#20 Google

Google ha talmente poco bisogno di essere introdotta che si può far fatica a capire come un’azienda del genere si possa distinguere davvero su una piattaforma come LinkedIn. La pagina è la più seguita al mondo perché, tra le altre cose, è sicuramente una delle aziende più popolari e più cliccate da chi è alla ricerca di un lavoro.

A questo proposito, di sicuro impatto è la campagna #MyPathToGoogle. Grazie a queste interviste ai dipendenti, si possono scoprire i loro diversi percorsi che li hanno portati a lavorare per il colosso del tech, sfatando anche alcuni miti legati ai processi di assunzione e altre curiosità.

Con rubriche come questa, Google non solo riesce a coinvolgere l’audience e a mettere in vetrina la propria cultura aziendale in modo semplice e diretto, ma fa anche capire a potenziali candidati quali sono le strade da poter intraprendere per trovare un lavoro in azienda.

brand activism

I consumatori chiedono un nuovo brand activism fatto di azioni concrete

  • Durante l’ultima ondata di brand activism è emersa, come non mai, la richiesta di responsabilità e autenticità da parte dei consumatori.
  • La brand self awareness è un antidoto contro l’ipocrisia aziendale e deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di sostegno alle cause sociali.
  • Le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Al contrario, i brand non faranno altro che mettere in discussione la loro credibilità.

 

Nelle ultime settimane, sulla scia della campagna Black Live Matters, molti brand si sono espressi contro il razzismo. Alcuni hanno semplicemente dichiarato la propria solidarietà, altri – come LegoBen & Jerry’s – hanno invece annunciato azioni concrete. Scelte accomunate dalla stessa volontà di stare “dalla parte giusta della storia”, ma che hanno sortito nel pubblico reazioni diverse. Se alcune aziende sono state infatti lodate per il proprio impegno, altre sono state accusate di ipocrisia e opportunismo.

Brand activism, un fenomeno in crescita

Il motivo per cui il brand activism è un fenomeno in crescita appare chiaro. Secondo un recente sondaggio condotto dalla società di consulenza Edelman, il 60% degli americani boicotterebbe o comprerebbe da un marchio in base alla sua risposta alle proteste contro l’ingiustizia razziale. E il dato è ancora più alto tra i più giovani: il 78% dei millennials ritiene che anche i brand debbano alzare la voce, mentre il 70% delle persone tra i 18 e i 34 anni cambierebbe di conseguenza le proprie scelte di di acquisto. Ma già più di quattro anni fa il 66% delle persone era disposto a pagare di più pur di avere prodotti che rispettassero principi quali ad esempio la sostenibilità ambientale.

I consumatori ritengono che le marche abbiano la possibilità di produrre un impatto concreto sulla società. Lo studio di Sprout Social del 2019, ad esempio, rivela che secondo il 66% delle persone i brand hanno il potere di facilitare un cambiamento reale, mentre il 67% di esse pensa che le loro piattaforme – in particolare i canali social – siano efficaci nell’aumentare la consapevolezza riguardo le problematiche sociali. Insomma, parafrasando Spider-Man, secondo i consumatori da un grande brand derivano grandi responsabilità sociali.

Come ha sottolineato anche l’Outlook report quindi, sempre più la fiducia nel marchio non si basa solo sui suoi prodotti o servizi, ma anche sulle scelte etiche e politiche fatte dall’azienda che vi sta dietro.

brand activism

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Perché i social media hanno cambiato tutto

Prima della nascita dei social media, i marchi non avevano canali di comunicazione diretta coi proprio clienti. Di conseguenza, i consumatori stessi non si aspettavano prese di posizione su tematiche sociali da parte dei propri brand preferiti. L’avvento dei social network ha invece aumentato le aspettative dei consumatori riguardo l’attivismo dei brand.

Del resto, l’ondata di indignazione in seguito all’uccisione di George Floyd non è stata guidata da testate giornalistiche o istituzioni, ma da persone comuni che hanno iniziato a condividere il proprio sdegno su Twitter e Facebook. In una simile situazione, coesistendo nello stesso spazio digitale, i marchi devono necessariamente inserirsi nelle conversazioni in modo pertinente. Ma non corrono il rischio di apparire opportunisti?

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La domanda di autenticità da parte del pubblico

Molti dei più grandi brand mondiali erano rimasti in silenzio sul tema della violenza razziale fino al momento in cui hanno twittato #BlackLivesMatter. Per questo sono apparsi opportunistici. Certo, meglio tardi che mai. Ma il brand activism va costruito nel tempo, con costanza e soprattutto autenticità. L’autenticità non è qualcosa che può essere presa in prestito o prodotta da un giorno all’altro e il suo punto di partenza è la costruzione dell’attivismo di brand sui valori fondamentali del marchio stesso.

Ma il sostegno a una o più cause non assolve automaticamente i brand dal silenzio su altre problematiche sociali: il silenzio non è più neutrale. Ciò che allora può fare un marchio è inquadrare il proprio sostegno attraverso un approccio intersezionale. Ad esempio, se un brand è impegnato nella sensibilizzazione sul cambiamento climatico, in occasione di campagne contro il razzismo potrebbe sottolineare il concetto di sproporzionalità riguardo le conseguenze dei problemi ambientali sulle persone di colore.

Infine – ma non ultima – fondamentale per l’autenticità è la brand self awareness, la consapevolezza di sé da parte del brand. Un antidoto contro l’ipocrisia aziendale che deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di supporto. Cioè, inutile twittare contro il razzismo, se al suo interno l’impresa stessa non è impegnata a sradicarlo. Amazon, Ralph Lauren e Next Door sono tre esempi di brand fortemente criticati per aver rilasciato dichiarazioni di sostegno ipocrite, perché in contrasto con problematiche interne.

brand activism

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Una nuova era per il brand activism

Durante quest’ultima ondata di brand activism è emersa come mai prima d’ora una richiesta di responsabilità. Denunciare il razzismo sui social media non è attivismo di marca senza azioni a sostegno, e le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Se al contrario un marchio è tutto parole e niente azioni, questo non farà altro che mettere in discussione la sua credibilità.

Denunciare l’ipocrisia aziendale non è mai stato così facile. Internet non dimentica mai, anzi sembra fatto apposta per riesumare i problemi del passato e di conseguenza responsabilizzare i brand su ciò che fanno nel presente.

Non basta aprire il libretto degli assegni per effettuare donazioni una tantum. Occorre invece cambiare la politica interna a favore dell’inclusione razziale, rivedere i prodotti perché non siano diffusori di pregiudizi, espandere la responsabilità sociale. Un cambiamento insomma non relegato alle strategie del reparto marketing, ma abbracciato da tutta l’azienda come valore chiave su cui lavorare.

È responsabilità di ciascuna impresa abbracciare e inserire la corporate social responsibility (CSR) all’interno della propria struttura aziendale. Magari non tutte diventeranno B Corps, ma qualche ritocco al modo in cui calcolano il risultato economico aziendale contribuirà a rafforzare la responsabilità interna nei confronti della società.

Insomma, nonostante le reazioni dei brand al movimento Black Live Matters siano state talvolta superficiali, la nuova domanda di responsabilità potrebbe provocare nei marchi riflessioni più profonde e portare infine a cambiamenti sostanziali nell’autenticità del loro attivismo.

Questi valori sono già radicati nel DNA del vostro marchio? Benissimo! Altrimenti, questo è il momento di iniziare.

brand activism

Nasce illimitHER, un programma di diversity e inclusion per valorizzare il potenziale delle giovani donne

illimity lancia “illimitHER”, programma di Diversity & Inclusion che nasce sotto il segno dell’innovazione digitale di STEM in the City per promuovere la cultura STEM e ispirare i giovani, in particolare le ragazze, a intraprendere strade coraggiose e alternative sia negli studi che nel lavoro.

Il programma intende creare occasioni di contatto tra le più giovani e le figure di ispirazione, in particolare donne under 35 che si sono distinte nel loro percorso personale e professionale sfruttando la vicinanza generazionale per realizzare connessioni ancora più profonde.

L’obiettivo è quello di trasferire e condividere conoscenze e competenze utili ad abilitare una nuova generazione di donne pronte a entrare in un futuro sempre più pervaso dalla trasformazione digitale.

Isabella Falautano, Chief Communication & Stakeholder Engagement Officer di illimity ha commentato: “Siamo orgogliosi di dare il via a illimitHER, progetto in cui crediamo fortemente e che nasce come iniziativa di ecosistema tra partner che credono nelle nuove generazioni e nell’importanza di sbloccare il potenziale dei giovani e, soprattutto, delle giovani. Con una percentuale di solo il 18% di ragazze iscritte alle Facoltà Stem*, riteniamo che il supporto e la vicinanza, anche generazionale, delle nostre Role Model sia fondamentale per ispirare tutte coloro che entrano nel mondo dello studio e del lavoro. Vogliamo che l’inclusione sia sempre più diffusa a vantaggio non solo delle donne, ma di tutti”.

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Gli appuntamenti di illimitHER

illimitHER nasce in collaborazione con associazioni e iniziative attive sui temi di Diversity & Inclusion: STEM in the City, SheTech, Young Women Network, Unstoppable Women di StartupItalia e della formazione delle nuove generazioni: Smart Future Academy, BAM Biblioteca degli Alberi Milano, Scuola di Politiche.

Sono tante le iniziative e le occasioni di confronto previste nei prossimi mesi. Gli eventi fisici e digitali saranno aperti a tutti e si terranno ogni mese su molteplici temi: scienza, imprenditorialità, sostenibilità, digitale e finanza.

Il primo appuntamento si terrà il 21 luglio alle ore 17:00 e vedrà come protagonista Diva Tommei, biotecnologa, inventrice, imprenditrice – che si è formata alla Cambridge e alla Singularity University – e oggi Direttrice di Eit Digital Italia, una innovation factory per startup ad alto impatto tecnologico.

Diva è tra le 50 donne della tecnologia più influenti d’Europa, è l’unica italiana nella “Top Women in Tech” di Forbes e sarà intervistata da Felice Florio, classe 1993, una delle voci narranti di illimitHER e giornalista della redazione Open.

Il webinar sarà visibile sulla pagina LinkedIn della banca e sulle piattaforme dei partner ed è dedicato a tutte le giovani donne che, se vorranno, potranno interagire con la speaker.

Il secondo evento, a settembre, sarà una “illimitHER marathon” organizzata in collaborazione con BAM Biblioteca degli Alberi Milano – spazio pubblico attivo sul tema dell’inclusione e della gender equality – che ospiterà personalità di spicco di diversi mondi, dalla scienza all’istruzione, dalla fisica all’imprenditoria, in linea con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e gli SDG dell’ONU condivisi.

Dear Class 2020

Dear Class of 2020: perché i discorsi motivazionali di quest’anno lasciano il segno

  • L’evento clou 2020 per i laureati USA ha registrato views da record.
  • Dear Class of 2020 si farà ricordare per le splendide parole di Obama, e per il suo cast stellare.
  • La rabbia per Floyd sia d’ispirazione per un futuro migliore: il messaggio di speranza.

 

Succede durante la cerimonia virtuale di Dear Class of 2020 di YouTube, evento storico per importanza e modalità, che ha sostituito con il live stream l’ultimo giorno dell’anno accademico 2020 negli USA. Peraltro, spostato proprio in onore di Floyd.

Dear Class 2020

Un frame dal live streaming

Tradizionalmente, infatti, questa celebrazione annuale rappresenta il momento d’incontro tra personaggi pubblici e studenti dei college più prestigiosi, dove hanno luogo grandi discorsi motivazionali.

“Dear Class 2020”, è stato un anno diverso

L’evento virtuale dell’anno, dicevamo, si è svolto il 7 giugno nel rispetto dei funerali di George Floyd. E non è solo il cast stellare con Beyoncé, Lady Gaga, Taylor Swift, Billie Eilish, Lizzo, Justin Timberlake, Jennifer Lopez, Shawn Mendes ed altri ad averlo reso così indimenticabile.

Star

No, non è neppure il coinvolgimento dei conduttori televisivi tra cui Stephen Colbert e Jimmy Kimmel, e neanche l’incredibile cover di “Beautiful day” che Martin dei Coldplay, introdotto da Bono, ha inciso con altri otto cantanti e fatto ascoltare.

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Le parole di Barak

Quello che ricorderemo di più, molto probabilmente, sarà l’intervento a Dear Class of 2020 dell’ex presidente Barak Obama. Ai giovani laureati, ha detto che il Coronavirus ha fatto luce su numerose questioni ancora aperte negli Stati Uniti:

«In tanti modi diversi, la pandemia ha appena messo a fuoco i problemi che erano in aumento da molto tempo […]. Sia che si parli dell’incremento della disuguaglianza economica, della mancanza di assistenza sanitaria di base per milioni di persone, o del continuo flagello del bigottismo e del sessismo, o della divisione o disfunzione che ha afflitto il nostro sistema politico».

Insieme alla moglie Michelle, Barak Obama ha pronunciato tanti messaggi ispirazionali, nella speranza di sollevare i neolaureati.

Dear Class 2020

Gli studenti coinvolti in un ballo di festeggiamento

Per quanto spaventosi e incerti possano essere questi tempi, sono anche un campanello d’allarme. E un’incredibile opportunità per la vostra generazione.

L’ispirazione degli Obamas

In Dear Class of 2020, Michelle Obama ha affermato che le proteste a seguito della morte di Floyd sono «il risultato diretto di decenni di disinteresse, pregiudizio e disuguaglianza». E ha detto che capisce chi è spaventato, confuso o arrabbiato, o semplicemente sopraffatto” dagli eventi degli ultimi mesi. Eppure, la rabbia delle persone è un sentimento che dev’essere incanalato in “piani e politiche” concreti.

Michelle Obama

La rabbia è una forza potente. Può essere utile, ma lasciata a se stessa corrode e semina il caos dentro e fuori: sono le parole dell’ex Presidente, tanto semplici quanto lungimiranti.

Dear Class

«Ma quando la rabbia è focalizzata, quando è incanalata in qualcosa di più, questa è roba che cambia la storia. Il dottor King – ha detto alludendo a Martin Luther King – era arrabbiato. Sojourner Truth era arrabbiata. Lucretia Mott, Cesar Chavez, la gente di Stonewall, erano tutti arrabbiati. Ma erano anche guidati dalla passione, dai loro principi, dalla speranza». Queste le parole rivolte agli studenti nella diretta streaming.

L’evento live streaming più visto di sempre

Secondo YouTube, ad oggiDear Class of 2020 è stato l’evento live originale più visto di sempre, con un picco di oltre 665.000 spettatori simultanei. Lo speciale ha raggiunto oltre 17 milioni di visualizzazioni totali, appena un giorno dopo il lancio, e 34 milioni di visualizzazioni totali dopo tre giorni in tutti i video. Inoltre, 10 singoli video sono entrati in tendenza in 89 paesi.

L’evento ha raccolto quasi 2 milioni di dollari da donatori aziendali, in collaborazione con Reach Higher di Michelle Obama e Google.org. La celebrazione virtuale ha riunito oltre 70 leader, star e creators per celebrare i laureati, le loro famiglie e le loro comunità.

Dear Class

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E non solo: Dear Class 2020 è stato l’argomento di tendenza n. 1 su Twitter per l’intera durata dell’evento, rendendo questo lancio originale di YouTube il più chiacchierato di sempre per la mole di conversazioni generate sui social media.

Puoi rivedere anche la versione “breve”, che riduce quella integrale (4 ore) a soli 2 minuti e 44 secondi:

welfare aziendale

Il concetto di Welfare Aziendale è cambiato ed è sempre più legato a quello di Wellness

  • Il concetto del benessere, legato alle condizioni di salute e al miglioramento della qualità di vita negli ambienti di lavoro, si è ulteriormente diffuso durante il periodo pandemico.
  • Il Covid-19 ha messo in luce le debolezze del sistema aziendale, mostrando ai dipendenti quanto il sistema stesso non supporti nel modo corretto i lavoratori.
  • La grave situazione dell’emergenza ha spostato l’attenzione delle aziende e dei dipendenti verso un concetto di welfare aziendale diverso da quello conosciuto fino ad oggi.

 

In una situazione in cui il welfare pubblico sta restringendo fortemente il suo ambito di applicazione, sono le aziende a farsi carico del benessere delle persone introducendo, con frequenza, il concetto di wellness at work, ampliando e modificando il welfare aziendale fino ad oggi conosciuto.

Il welfare aziendale rappresenta una soluzione vincente per tutti i soggetti coinvolti nel processo, come evidenzia anche l’ultimo Rapporto Welfare Index PMI del 2019:

  • Lato aziendale si generano risparmi fiscali e contributivi, un ROI positivo e un aumento della capacità di attrazione e fidelizzazione dei dipendenti. Situazione che genera un vantaggio competitivo e strategico elevato;
  • Lato dipendente il sistema genera un aumento della produttività, una riduzione dell’assenteismo e un aumento della felicità al lavoro.

Ogni azienda ha la possibilità di introdurre piani di welfare proporzionati alla dimensione aziendale, diversificati per settore e target dei destinatari. Anche le aziende più piccole (PMI e micro aziende) possono accedere a politiche di welfare aziendale ottenendo vantaggi significativi.

La grave situazione pandemica ha però spostato l’attenzione delle aziende e dei dipendenti verso un concetto di welfare aziendale, diverso da quello conosciuto fino ad oggi. I piani di welfare aziendale del futuro non saranno più legati ai semplici voucher viaggi, buoni carburante, buoni palestra ma dovranno contenere benefit legati alla sfera personale dei lavoratori.

Salute, sicurezza, wellness e redditività saranno le parole chiave per il welfare aziendale del futuro.

Il concetto del benessere, legato alle condizioni di salute e al miglioramento della qualità di vita negli ambienti di lavoro, si è ulteriormente diffuso durante il periodo pandemico. Le aziende che avevano seguito una politica di lungimiranza, introducendo un wellness welfare, si sono fatte trovare pronte, per tutte le altre è giunto il momento di cambiare rotta.

I migliori piani welfare aziendale pre Covid-19

Le grandi aziende sono consapevoli del fatto che la felicità e il benessere dei lavoratori sono dei “must have” per la retention degli stessi e per l’attrattività che l’azienda deve avere nei confronti dei talenti. Qui di seguito alcune aziende, identificate come Best Welfare Workplaces nel mondo pre pandemia Covid-19.

Google

Il colosso tecnologico conosciuto principalmente per il motore di ricerca, si distingue per l’elevata attenzione al benessere dei dipendenti nei luoghi di lavoro. Ogni area dell’azienda, infatti, è studiata per rendere accogliente il luogo di lavoro, non solo per le attività meramente produttive ma anche per le attività ricreative. Sono famose le aree relax e gioco, quelle per la vendita di cibi salutari, per i servizi alla persona ecc. che trasformano l’azienda in un piccolo quartiere familiare.

Un altro importante benefit, legato al tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, è il congedo di maternità, retribuito pienamente per cinque mesi (consecutivi o fruibili in periodi differenti) oltre ad altri importanti vantaggi per i neo genitori lavoratori.

LEGO

L’iconica azienda danese di giocattoli punta, invece, sulla creatività. Il piano di welfare aziendale della società consiste essenzialmente nel far scoprire ai dipendenti la propria creatività partendo dal gioco. Lavorare e al tempo stesso visitare musei, giocare nelle sale gioco aziendali e divertirsi liberamente al parco divertimenti Legoland.

Netflix

Per la libertà concessa ai dipendenti nella gestione del tempo, pur nel rispetto delle consegne loro assegnate, Netflix si posiziona in un ruolo privilegiato nell’universo del welfare aziendale. Inoltre i lavoratori hanno sempre a loro disposizione centri fitness e palestre per prendersi cura del loro benessere psico-fisico.

Fitbit

La società di tecnologia indossabile, produttrice dei wearable utili per monitorare l’attività fisica, ha creato un piano di welfare che si sposa perfettamente con il core business dell’azienda. Sono infatti molto rinomate la competizioni tra dipendenti volte a monitorare chi percorre più chilometri: un’ottima combinazione tra tempo libero, salute e forma fisica.

Questo piano di welfare aziendale, che si avvicina a quello che sarà il welfare del futuro post pandemico, introduce il concetto di welfare wellness. I piani creati da Fitbit sono stati introdotti anche in altre aziende, attente al binomio welfare e wellness.

Il Welfare aziendale post Covid-19

Con l’arrivo della pandemia il concetto di welfare aziendale ha subito e subirà grandi cambiamenti. Le aziende dovranno:

  • Introdurre attività di prevenzione e gestione della sicurezza organizzativa, includendo nel set di rischi anche quello pandemico;
  • Coordinarsi con il SSN per un corretto e utile scambio di informazioni, per aggregare i dati e aumentare il monitoraggio;
  • Ridefinire il concetto di sicurezza sul lavoro (ampliando le funzioni del RSPP e del RLS) sviluppando l’assistenza sanitaria integrativa e investendo in polizze collettive ad hoc e nelle coperture LTC;
  • Rafforzare la conciliazione vita-lavoro, potenziando i benefit di sostegno al reddito, ripensando le policy di ageing aziendale;
  • Introdurre il benessere digitale: non solo dotazione di strumenti tecnologici, veloci e di qualità per lavorare in remoto ma anche ricerca e rispetto di un maggiore equilibrio tra la propria dimensione personale e quella lavorativa con attenzione al diritto di disconnessione.

Il Welfare aziendale post pandemico andrà nella direzione del people care: salute, reddito e pensioni.

welfare aziendale

Welfare aziendale e benessere organizzativo

In un’organizzazione è importante creare un ambiente di lavoro salubre e accogliente, oltre che predisposto per assolvere gli obblighi di legge in materia di sicurezza sul lavoro. Aspetto che si è mostrato preponderante durante la pandemia Covid-19 e che ha posto le basi per una rivisitazione di questo aspetto per quanto riguarda il futuro.

Il Covid-19 ha messo in luce le debolezze del sistema aziendale, mostrando ai dipendenti quanto il sistema stesso non supporti nel modo corretto i lavoratori. Il 90% dei consumatori, secondo una ricerca di Edelman, rivela che le persone intervistate desiderano che i brand si impegnino sempre di più per salvaguardare la salute dei lavoratori e le loro finanze.

I paesi anglosassoni stanno puntando moltissimo nell‘introduzione di misure volte alla promozione e alla prevenzione della salute. Le misure si possono identificare in questi tre pilastri:

  1. Salute e sicurezza: aspetti legati al regime regolatorio vigente ai sensi di legge relativamente alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  2. Prevenzione e promozione della salute: azioni di prevenzione primaria finalizzati alla promozione attiva della salute;
  3. Gestione della malattia: interventi di prevenzione secondaria, mirati a gestire le situazioni di malattia (assenza lunga dei dipendenti e la disabilità degli stessi).

Il primo punto si riferisce a condizioni minime che tutte le aziende devono, per legge, attuare. Il secondo e il terzo punto identificano i comportamenti proattivi e aggiuntivi alle norme di base, a cui tutte le aziende devono tendere, poiché procurano benessere fisico e psicologico delle persone all’interno dell’organizzazione.

welfare aziendale

LEGGI ANCHE: Il Welfare Aziendale è una grande opportunità per aziende e dipendenti (ma va pensato nel lungo termine)

HR, CMO, welfare aziendale e la sfida del cambiamento

Le aziende, ed in particolare i responsabili HR e CMO, si trovano ad affrontare una situazione complessa. Da un lato la pandemia che ha comportato tagli di bilancio e riduzione dei costi e dall’altro lato la gestione, sempre più frequente, di disordini interni legati al personale dipendente e scioperi, indetti per richiedere maggiori tutele sia economiche sia in materia di sicurezza sul lavoro e di protezioni individuali.

Si riporta l’esempio di Everlane, negozio di abbigliamento low cost online americano, che ha subito un duro attacco dall’interno durante il periodo pandemico, poiché durante il mese di aprile ha dovuto sospendere dal lavoro circa 300 lavoratori.

Il brand ha da tempo intrapreso un percorso di trasparenza, che spinge, sin dalla sua nascita, a comunicare il vero costo dei propri prodotti, i materiali impiegati per realizzarli e le condizioni dei lavoratori nelle fabbriche che collaborano con il marchio.

Sappiamo che è difficile cambiare la mentalità delle persone e che è più facile desiderare di avere un guardaroba sempre pieno di capi nuovi. Quando raccontiamo la storia dietro ogni prodotto che realizziamo e parliamo delle nostre fabbriche, cerchiamo di trasmettere l’importanza di fare acquisti più sostenibili. Potevamo scegliere di lavorare fuori dal mondo della moda e di fondare un’associazione no profit, invece abbiamo deciso di costruire un’attività in grado di contribuire a creare un sistema che anche gli altri brand possano utilizzare in futuro. Insomma, abbiamo scelto di cambiare le cose dall’interno.

Tutto ciò in ottica di cambiamento e di comunicazione verso l’esterno dell’organizzazione. Ma questa trasparenza è ravvisabile anche all’interno dell’organizzazione stessa?

I CMO sono quindi chiamati a cambiare rotta anche internamente, la trasparenza non può essere solo esterna. Occorre aumentare la comunicazione interna all’azienda, attraverso informative chiare ed efficaci, volte a trasmettere anche decisioni difficili, condividendole direttamente con il personale.

Aziende che si sono distinte per le loro best practice durante la pandemia

Un caso differente è quello di Airbnb, marchio che è stato fortemente colpito dalla pandemia Covid-19. L’impossibilità di viaggiare a causa delle misure restrittive ha creato gravi danni al settore dei viaggi e dell’hospitality.

Il modello di business legato all’economia della condivisione è entrato in una forte crisi durante la pandemia. Per motivi di sicurezza internazionale è stata sospesa l’attività di condivisione/affitto degli alloggi.

Ad aprile Airbnb ha chiesto prestiti per due miliardi di dollari e ha istituito un fondo da 250 milioni di dollari per gli host che usano la piattaforma, che si sono trovati all’improvviso con le prenotazioni cancellate. Brian Chesky, CoFounder e CEO, ha tagliato il 25% della sua forza lavoro lasciando a casa 1900 dei suoi 7.500 dipendenti. Tagliati anche tutti gli investimenti che non riguardano il business principale quindi gli investimenti in hotel e produzioni cinematografiche. Nonostante la pesante crisi, Chesky ha deciso di comunicare in modo trasparente con i dipendenti coinvolgendoli nelle scelte, difficili, che l’azienda dovrà necessariamente intraprendere.

«Stiamo vivendo la crisi più straziante della nostra vita, dobbiamo apportare modifiche fondamentali ad Airbnb riducendo la nostra forza lavoro e avere una strategia aziendale mirata», ha scritto Chesky  in una lettera aperta ai dipendenti. 

La stessa sorte è toccata a WeWork e a Uber. Wework, azienda americana specializzata nell’affitto di spazi in co-working, si trova in grandissime difficoltà. Migliaia di clienti hanno rifiutato di pagare l’affitto o hanno cercato di interrompere i loro contratti di locazione. Il boom dello smart working, obbligato per motivi di sicurezza, non facilita il business degli spazi di coworking.

LEGGI ANCHE: Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja

Anche per Uber la situazione non è molto diversa. L’AD Dara Khosrowshahi ha annunciato che ridurrà la sua forza lavoro del 14% (pari a 3700 lavoratori licenziati) e lo ha comunicato a tutti i dipendenti attraverso una mail. Ulteriori tagli, prosegue, verranno attuati alle spese di marketing e grazie al rinvio di alcuni investimenti.

Khosrowshahi, come altri CEO della Corporate America, nel clima di difficoltà ha rinunciato al proprio compenso. Simili mosse, assieme, hanno contribuito a convincere gli investitori all’investimento, consentendo ad Uber di guadagnare il 5%, consolidando il precedente rialzo pari all’11%.

Lo stesso Khosrowshahi è altrettanto convinto che la ripresa, seppur non in tempi brevi, sia comunque prevedibile per il modello di business del gruppo. L’azienda ha infatti puntato forte su Uber Eats. La consegna a domicilio di pasti ha registrato un incremento di oltre il 50% delle entrate, pari a 819 milioni di dollari.

Il welfare aziendale per definizione sta cambiando in parallelo con i rinnovati bisogni di salute, sicurezza e tutela dei lavoratori. La pandemia ha mostrato le falle in un sistema che sembrava perfetto. Le aziende devono partire da questo “anno zero” per ricostruire i loro piani di welfare e insieme alla istituzioni creare un nuovo modello organizzativo.

Mondo post covid

Accelerazione digitale e Post COVID-19: come si evolveranno le tecnologie

  • Post COVID 19: come cambiano le aziende con l’accelerazione digitale. Esempi concreti di quelle che stanno subendo una trasformazione irreversibile
  • L’eCommerce è la risposta per reagire al ristagno economico dell’Europa
  • Consigli per lavorare bene in smart working da chi ci lavorava ancor prima della pandemia

Con l’arrivo del COVID-19 ci siamo ritrovati bloccati, da un giorno all’altro, minacciati da qualcosa che non potevamo prevedere, che non potevamo e non possiamo vedere, ma che era, ed è tutt’ora presente. Abbiamo dovuto cambiare abitudini, uscendo di casa solo se strettamente necessario e per procurarci beni di prima necessità.

Le nostre giornate sono state scandite da ritmi lenti. Noi che correvamo da una parte all’altra della città per lavoro, impegni e aperitivi, abbiamo trascorso mesi chiusi tra 4 mura, a lavorare al PC e la musica che ci accompagnava dai balconi come in un surreale spettacolo che ancora fatichiamo a comprendere.

File chilometriche fuori ai supermercati, locali chiusi, negozi serrati ad eccezione di poche attività. Chi lavora a contatto diretto con le persone, come ha fatto ad andare avanti? Trovando vie alternative. Il bisogno di sopravvivere in un mondo paralizzato ha avuto come conseguenza l’accelerazione digitale in molti settori economici e non solo, cambiando i servizi e il modo di erogarli.

Molti Paesi stanno ripartendo, e quasi tutte le attività si stanno preparando per fare il grande salto verso una po’ di normalità, cercando di andare oltre il punto d’arresto. Tutti noi vi aspiriamo, ripensando al vecchio tran tran quotidiano quasi con malinconia, quando un caffè al bar era un gesto spontaneo e ora ci sembra un atto rivoluzionario.

Nonostante la graduale ripresa, è impossibile non rendersi conto che con il COVID-19 il mondo è cambiato e che intere aziende hanno avviato un processo di accelerazione digitale ormai irreversibile.

L’accelerazione digitale dovuta al COVID-19

Forrester Research Inc., una società di ricerche di mercato americana, sta preparando un rapporto sulle aree tecnologiche che riceveranno investimenti per la digitalizzazione. Secondo Stephen Powers, vice presidente e direttore del gruppo Forrester, possiamo individuare 4 categorie chiave in cui sta avvenendo l’accelerazione digitale:  

  • Gestione dei rischi / crisi relativi allea ziende, dipendenti, fornitori e partner
  • Tecnologie per la customer experience come chatbot, sistemi di feedback dei clienti e contact center 
  • Tecnologie per la salute e la sicurezza come tracciamento dei contatti e sorveglianza
  • Esperienza dei dipendenti e strumenti di gestione del capitale umano come piattaforme di contenuto, videoconferenza per la gestione dei contratti e gestione del capitale umano.

Sebbene queste tendenze fossero già ben avviate prima della pandemia, Rob Thomas vicepresidente senior della piattaforma cloud e dati di IBM Corp, ha dichiarato che la crisi ne ha aumentato l’accelerazione digitale prima del previsto.

Le piattaforme di cloud e videoconferenze sono state le più ricercate e utilizzate nel periodo della pandemia per facilitare la comunicazione tra colleghi ma anche per incontrarsi virtualmente con la famiglia e gli amici.

Ma vediamo da vicino quali saranno le tecnologie che subiranno notevoli cambiamenti nel post COVID- 19.

1. Sviluppo software low-code / no-code con l’accelerazione digitale

La necessità di essere veloci e pronti è stata la molla che ha fatto scattare gli sviluppatori a ricorre a nuove applicazione da lanciare sul mercato. Le piattaforme di sviluppo low-code e no-code, che utilizzano componenti visivi e costruzioni drag-and-drop per sviluppare software rapidamente, erano già avviati e a buon punto prima che iniziasse la pandemia. La tecnologia low code permette di adattare e soddisfare le richieste mentre avvengono.

Lo scorso anno Forrester aveva previsto che questa tipologia di codici avrebbe fatturato, entro il 2022, più di 20 miliardi di dollari, mentre Gartner sostiene che saranno scelti per programmare dal 65% degli sviluppatori entro il 2024. Qualche esempio?

1.1 Esempi di software in low code

AirDev LLC ha creato un’applicazione per una catena scozzese di ristoranti che sostituisce le ordinazioni segnate solitamente dai camerieri con un’app. Il software è stato realizzato in meno di una settimana. Il CEO di AirDev, Andrew Haller ha dichiarato che sfruttando i nuovi codici al posto della programmazione convenzionale, realizzano e chiudono lavori in una, massimo 4 settimane, invece che i soliti, minimo, 3 mesi 

VantIQ Inc., produttore di una piattaforma di applicazioni real time ha visto una crescita delle opportunità legate al settore della sicurezza. Uno dei suoi partner sta sviluppando un’app di distanziamento sociale per i negozi al dettaglio che consente ai clienti di effettuare prenotazioni in modo che gli acquirenti non debbano attendere troppo tempo.

Inesa Co. Ltd. sta sviluppando un’applicazione per ascensori smart per tenere traccia delle metriche di salute di chi li utilizza e un altro partner sta lavorando a un’applicazione che fornisce gestione dei rischi, della quarantena, monitoraggio e instradamento intelligente delle persone negli ospedali. Le applicazioni per monitorare il movimento delle persone sono richiestissime, e sono quelle per cui la domanda crescerà sempre di più.

Appian Corp. ha utilizzato la propria piattaforma low code per creare e lanciare tre applicazioni in due mesi per aiutare le aziende a far fronte alla crisi, consentendo alle organizzazioni di garantire un ritorno sicuro a lavoro. La città di San Antonio, in Texas, ha utilizzato una piattaforma di Mendix Tech BV per accelerare l’elaborazione delle domande di noleggio, ipoteca, utilità e trasferimento. L’app è stata realizzata in 12 giorni.

2. Vendita al dettaglio ma in digitale

Con la chiusura della maggior parte delle attività commerciali, milioni di persone si sono precipitate a effettuare acquisti sul web. Non solo chi era solito farle ha aumentato la frequenza di acquisto, ma anche chi non aveva mai provato l’ebrezza di fare shopping nel cyberspazio ha cominciato a prenderci gusto.

Un sondaggio di Forrester evidenzia che nel mese di Aprile su 1.122 intervistati, il 21% ha dichiarato di aver acquistato generi alimentari online per la prima volta e il 41% sta acquistando più prodotti online rispetto al passato. Sempre nei mesi precedenti, le catene di negozi di Stati Uniti e Canada hanno visto un aumento dell’80% delle vendite online rispetto all’anno precedente. Il numero di acquisti per la prima volta sui siti di e-commerce dei rivenditori sono aumentati del 119%. 

E ancora, una società di consulenza aziendale West Monroe Partners LLC ha effettuato delle interviste a 150 dirigenti di medie e grande imprese, dimostrando che un terzo di queste attività si sta reinventando grazie all’acquisizione di nuove competenze online, sfruttando l’ondata dell’accelerazione digitale.

Credits: wearesocial.com

2.1 La vendita al dettaglio resiste

Anche se il COVID-19 ha temporaneamente rallentato la vendita al dettaglio, non significa che stia scomparendo. Swerdlow ha dichiarato che il 45% degli acquirenti vuole riprendere le consuete abitudini d’acquisto. I rivenditori devono tener conto di questo aspetto, perché per quanto ci sia stata un’impennata degli acquisti online, i consumatori vogliono tornare ad acquistare nei negozi. Ciò significa che dobbiamo aspettarci un futuro ibrido che combina elementi sia virtuali che fisici.

In primis si prevede un implemento delle innovazioni nello shopping in “touchless”, come accade nei negozi di alimentari senza cassiere di Amazon, con tecnologie che permettono alle persone di scansionare i codici a barre per la consegna in lotti anziché prelevare gli articoli dagli scaffali. Sono cose che già esistono, è vero, ma assisteremo a una vera e proprio aumento di questi servizi.

Anche gli spazi subiscono delle modifiche. Le aziende stanno investendo di più nella costruzione di relazioni one-to-one su siti web che in negozio. Powerfront Inc., produttore di una piattaforma di chat e di messaggistica live per rivenditori online, ha ampliato lo sviluppo della sua funzione Video Assistant, che consente al personale di offrire assistenza ai clienti, come dimostrazioni dei prodotti da remoto. I rivenditori devono attrezzarsi sempre di più su come vendere senza l’utilizzo di un luogo fisico.

 3. Chatbot e robot protagonisti dell’accelerazione digitale

Strumenti come chatbot e altri supporti informativi hanno colmato con grande successo il problema dei call center decimati da assenze e malattie. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità e i Centri per il controllo delle malattie hanno adottato chatbot per rispondere a milioni di domande. Molti siti web governativi stanno facendo la stessa cosa.

Research and Markets Ltd. prevede che il mercato globale dei chatbot crescerà di circa il 30% all’anno, raggiungendo 9,4 miliardi di dollari entro il 2024.

Attualmente i chatbot vengono utilizzati per rispondere rapidamente a domande generiche o per risolvere reclami, ma è probabile che la loro presenza si espanderà a nuove aree. Nel mondo post-pandemia diventeranno portali digitali per l’assistenza sanitaria interattiva, aiutando i pazienti a trovare un medico o un servizio, pianificare appuntamenti, facilitare il controllo dei sintomi, condurre il triage nelle cure di emergenza, preparare le procedure e seguire le istruzioni post dimissione.

3.1 Automazione e robotica

La difficoltà che le aziende hanno dovuto assumere per lavori in ambienti rischiosi come magazzini e negozi al dettaglio alimenterà un trend di investimento già forte nella robotica. Mordor Intelligence LLP prevede che il mercato crescerà del 25% ogni anno fino al 2025.

Pring di Cognizant fa un’affermazione che fa riflettere, ossia che nel post- COVID sarà molto più facile ottenere un prestito da una banca per investire in un robot piuttosto che assumere altre quattro o cinque persone per la propria attività. Inoltre si prevede che la robotica sarà sempre più utilizzata in compiti amministrativi.

Amazon ha fatto la sua seconda acquisizione di un’azienda robotica l’anno scorso, acquistando lo sviluppatore di veicoli autonomi Canvas Technology LLC. Inoltre sta sperimentando autonomamente veicoli e droni per alimentare la sua vasta rete di distribuzione.

Wal-Mart Stores Inc. utilizza robot per pulire i pavimenti e McDonald’s Corp. vuole sperimentarli sempre di più per svolgere diverse mansioni. I robot in Corea del Sud sono stati utilizzati per misurare le temperature e distribuire disinfettante per le mani. JD Logistics, una filiale del colosso cinese dell’e-commerce JD.com, ha utilizzato veicoli autonomi per consegnare pacchi agli ospedali di Wuhan, evitando il contatto fisico durante lo scoppio del contagio. I robot hanno utilizzato la tecnologia di riconoscimento facciale per convalidare l’identità dei destinatari.

Non dobbiamo sottovalutare la tendenze per cui le persone preferiranno andare in un posto che ha meno lavoratori e più macchine perché si sentono di poter ridurre il rischio di contagio, ha detto giustamente Martin Ford alla BBC.

4. L’affermarsi della telemedicina con l’accelerazione digitale

La telemedicina è l’evoluzione digitale dei servizi sanitari. Facilita la comunicazione tra medici e pazienti ed era già previsto che avrebbe fatturato 130 miliardi di dollari entro il 2025.

Durante la pandemia poi ha visto un incremento del suo utilizzo del 500% e ciò vuol dire che l’assistenza sanitaria da remoto diventerà mainstream più velocemente del previsto grazie all’accelerazione digitale. Un consulto medico virtuale sarà il primo passo, seguito da quello di persona, ha detto Pring di Cognizant.

La società di software per la sanità Epic Systems Corp. ha realizzato la propria piattaforma di telehealth in poche settimane. Cosa fa? Consente ai provider di avviare una visita video con un paziente, rivederne la storia clinica e aggiornandone la documentazione direttamente dall’app Epic.

Il COVID-19 ha costretto le aziende ad interagire con le persone senza doverle vedere di persona, ma a distanza, implementando nuove soluzioni prima del previsto. In California la società di software medica Heal Inc. sta lanciando un nuovo servizio che consentirà a coloro che ne hanno bisogno di consultare uno psicologo tramite una videochat.

La nuova app di Vecna ​​Technologies Inc. sta avendo molto successo per lo snellimento delle pratiche burocratiche sulla registrazione dei pazienti. Una serie di procedure che prima richiedevano l’interazione faccia a faccia.

5. L’importanza degli open software

Sebbene le licenze open source siano in circolazione da oltre 30 anni, durante la pandemia sono state utilizzate per creare servizi in ogni campo. Codici liberi, open-source e gli account di cloud computing che molti fornitori hanno reso disponibili durante la pandemia hanno permesso lo sviluppo di applicazioni per qualsiasi cosa, dalla traccia dei contatti alla ricerca virale.

Github,un servizio di hosting per progetti software, elenca oltre 27.000 repository di progetti open source relativi a COVID-19, tra cui: Coronavirus Tracker, che presenta visualizzazioni dell’epidemia globale utilizzando un repository di dati aperto gestito dalla Johns Hopkins University, e COVID-19 Scenarios, una dashboard di analisi per modellare le traiettorie dell’epidemia e la domanda ospedaliera.

5.1 Solidarietà digitale e open source

Il designer di user interface Michele Memoli ha realizzato, nel suo tempo libero, un’app per tracciare i contatti anonimi e l’ha aperta su GitHub. L’app automatizza la registrazione delle informazioni di contatto, avvisa le persone di una famiglia o di un gruppo se qualcuno si ammala e calcola i livelli di rischio in base ai contatti effettuati dagli utenti, preservando la privacy. Costruito con un budget pari a zero, il software utilizza un database grafico backend donato da Neo4j Inc. e un account di web hosting gratuito da Digital Ocean Inc. Memoli ha scritto il codice di base sul framework open source Gatsby.js con i linguaggi di query GraphQL e Cypher di Neo4j. Ha pubblicato il progetto in un canale Slack e circa una dozzina di collaboratori sono intervenuti per aiutarlo. Il codice open source e la collaborazione globale hanno dato vita a questo incredibile progetto in poche settimane.

Postman Inc., che commercializza un ambiente di sviluppo API, ad esempio, ha raccolto un ampio elenco di database a cui gli sviluppatori possono collegarsi. IBM ha rilasciato una versione del suo IBM Watson Assistant for Citizens specificamente indirizzato alle inchieste COVID-19 e sta lavorando con numerose organizzazioni governative su implementazioni personalizzate. Lo sviluppatore di software di riconoscimento vocale Deepgram Inc. ha donato 1 milione di dollari di riconoscimento vocale automatico agli operatori sanitari da utilizzare nel corso del prossimo anno.

Google LLC sta rendendo disponibile gratuitamente un repository ospitato di set di dati pubblici relativi alla pandemia sulla sua piattaforma cloud per query e formazione linguistica. Anche Amazon Web Services Inc. ha una risorsa simile, così come Microsoft Corp.

6. Sicurezza zero-trust

La sicurezza zero-trust ribalta le tradizionali difese perimetrali supponendo che nessuno e nulla siano attendibili. I dispositivi e gli utenti devono fornire un’ulteriore prova dell’identità quando accedono a informazioni sempre più sensibili, anche se sono già connessi alla rete. Con milioni di persone che si connettono alle reti aziendali da casa, utilizzando apparecchiature sconosciute alle loro organizzazioni IT, molte aziende stanno rivalutando la propria sicurezza informatica.

Un approccio zero trust offre un ulteriore livello di protezione contro visitatori sconosciuti. Può anche aiutare a proteggersi dai difetti di nuove app che vengono lanciate nella produzione per far fronte alla pandemia senza il solito rigore di sicurezza.

McAfee LLC ha registrato un aumento del 50% nel numero di porte Remote Desktop Protocol esposte a Internet, che consentono l’accesso esterno a una rete a causa di sistemi online con controlli di sicurezza minimi.

Barracuda Networks Inc. ha dichiarato di aver registrato nel mese di Marzo un picco del 667% negli attacchi di phishing relativi a COVID. Un sondaggio di Pulse Secure LLC ha scoperto che solo il 4% delle aziende ha implementato la segmentazione della rete e le pratiche di autenticazione a più fattori, mentre il 69% prevede di farlo in futuro.

7. Database di prossima generazione

Gli strumenti per tracciare e contenere il virus hanno tutti una cosa in comune: i dati.

Applicazioni su come tracciare i dati e ricavarne le informazioni necessarie fanno aumentare la domanda di nuovi motori di database in grado di funzionare su vasta scala. L’interesse è particolarmente elevato nei database di grafici, che sono ottimali per il monitoraggio delle relazioni. Il mercato raddoppierà i guadagni ogni anno per almeno i prossimi due anni, ha sottolineato Gartner all’inizio del 2019.

Lo sviluppatore del motore grafico Neo4j Inc. ha creato COVID-19-Community, un’applicazione di tracciamento dei contatti di crowdsourcing, che utilizza il monitoraggio del telefono cellulare per identificare rapidamente gli utenti che sono entrati in un hotspot e per avvisare gli operatori sanitari.

Un’applicazione sviluppata per l’annuale Graphs4Good GraphHack della società, denominata Project Domino, monitora i post di Twitter di COVID-19 per contrassegnare le truffe, tracciare la disinformazione clinica e infine aiutare i responsabili politici a comprendere la conformità del comportamento e la non conformità tra demografia e regioni.

TigerGraph Inc. offre un kit gratuito ai funzionari governativi e sanitari che viene fornito con un set di dati di esempio, schema e query che possono essere utilizzati per rilevare i centri di infezione e tenere traccia dei movimenti di potenziali spargitori.

La pandemia sta anche alimentando la domanda di motori di database in tempo reale e cosiddetti translytical, che possono eseguire calcoli analitici sui dati di produzione senza perdere troppo tempo.

8. Il cloud computing è fondamentale

Una tendenza già ben collaudata e affermata da tempo e che sta avendo un forte implemento con l’accelerazione digitale è quella di riunire tutti i dati in cloud. Gartner ha previsto che il 75% di tutti i database aziendali sarà distribuito o migrato su una piattaforma cloud entro il 2022.

Oltre ai vantaggi di disponibilità e scalabilità, le piattaforme cloud hanno anche il beneficio di una portata globale. Clemens Mewald di Databricks ha sottolineato l’importanza della raccolta dati e delle esigenze da parte delle aziende di avere software ideali per avere l’erogazione di servizi sempre reperibili e nello stesso posto. Dopo l’esperienza di questa pandemia, ci rendiamo sempre più conto che il cloud è vitale.

Le imprese europee hanno bisogno di e-commerce per superare la recessione

In Europa l’epidemia di Coronavirus ha avviato la corsa verso la digitalizzazione degli acquisti, grazie all’accelerazione digitale in molti settori, anche se è stata una strada molto lenta fino a poco tempo fa. Secondo Eurostat, solo il 17% delle aziende con 249 o meno dipendenti vende online. Per aiutare ad accelerare la transizione, verranno destinati dei fondi, un pacchetto salvataggio con 750 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture tra cui: intelligenza artificiale, dati, cloud e reti mobili 5G.

Il vicepresidente della Banca centrale europea, Luis de Guindos ha chiaramente espresso che è necessario investire nella digitalizzazione delle aziende per renderle più competitive. Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia dell’UE si ridurrà quest’anno del 7,1%. Le aziende che sono attive digitalmente hanno avuto più vantaggi durante la pandemia e continueranno ad averne poiché le restrizioni di distanza sociale limiteranno le interazioni quotidiane anche nei prossimi mesi.

Lucia Cusmano che è a capo della divisione PMI e imprenditorialità dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico afferma infatti che ci sono prove concrete che le aziende che erano già abilitate digitalmente, anche con l’uso base di piattaforme o strumenti, stanno affrontando meglio la crisi. Gli economisti della Banca centrale spagnola dichiarano che durante la pandemia gli acquisti online sono saliti al 22% rispetto al precedente 15%.

Cosa possiamo imparare da chi lavorava già da remoto

Per chi non fosse abituato a lavorare da casa, gli ultimi mesi devono essere sembrati davvero terribili. Non tutti erano pronti e disponevano degli strumenti giusti, e presto ci siamo dovuti abituare allo smart working, che in realtà il nostro non lo è stato davvero, ma aveva solo alcune caratteristiche in comune con esso. Ci sono state persone che non hanno avuto modo di gestire adeguatamente il carico di lavoro, anzi hanno avuto l’impressione di aver lavorato il doppio rispetto ai ritmi a cui erano abituati in ufficio. C’è però anche chi può ritenersi soddisfatto e vorrebbe continuare il proprio lavoro in questo modo.

Con più aziende che vogliono convertisti allo smart working e permettere il lavoro a distanza, è tempo di fare un nuovo passaggio con la possibilità che diventi una realtà a lungo termine grazie all’accelerazione digitale che sta investendo il mondo del lavoro. Per prepararsi a questo possibile scenario, bisogna tenere a mente alcune cose e imparare da chi già lavorava da remoto.

Abbiamo dedicato una Guida Interattiva all’argomento: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni 

Stabilire linee guida chiare

I team che lavorano in posti diversi sono più espliciti nello stabilire processi e norme di gestione. In un ufficio tanti punti non vengono delineati. Chi lavora da remoto documenta tramite un plan gli obiettivi raggiunti e i compiti che deve ancora completare per mostrarli al proprio superiore e ai colleghi.

Adattare gli strumenti di comunicazione al messaggio

Le procedure per le comunicazioni devono essere chiare. Strumenti altamente interattivi come le videoconferenze tendono ad essere stancanti, mentre le interazioni su app come Slack sono brevi e mirate. I team dovrebbero stabilire abitudini sane e sostenibili per prevenire il burnout causato da un eccessivo tempo trascorso su Zoom e piattaforme simili. Si potrebbero utilizzare le videochiamate per le riunioni del team, su Slack lasciarsi andare a qualche chiacchiere libera durante il giorno e usare le mail per decisioni o istruzioni importanti.

Per le comunicazioni urgenti dopo l’orario di chiusura, molti team hanno come regola quella di chiamare o inviare messaggi, quindi nessuno si aspetta che un dipendente controlli costantemente la posta elettronica. Ciò dà a tutti la possibilità di disconnettersi.

Essere flessibile e trasparente sulla pianificazione

Lavorando in home working possiamo stabilire i nostri orari e quando essere reperibili. Considerando che durante il lockdown bisognava gestire anche la presenza di bambini e varie esigenze personali, non tutti potevano essere presenti nello stesso orario. È importante dare ai lavoratori la possibilità di definire le proprie ore ed essere flessibili e trasparenti sulla pianificazioni dei plan.

Fare attenzione quando l’ufficio si riapre

Stiamo assistendo ad un graduale ritorno in ufficio e questo potrebbe comportare una sorta di esclusione non volontaria per chi invece sta ancora lavorando da casa. Man mano che i luoghi di lavoro iniziano a riaprire, una comunicazione chiara diventerà più importante per far funzionare i team senza intoppi.

Michael Jordan Back

L’icona e il successo: Michael Jordan in 23 citazioni

  • Scopriamo i valori dietro al successo di Michael Jordan, entrato in tutte le case degli italiani insieme ai suoi Bulls grazie a The Last Dance, diventata la serie TV Netflix più vista in Italia;
  • Competitività, fame di vincere, consapevolezza e fiducia in sè stesso. Jordan era (ed è) un fenomeno a dir poco iconico, in grado di distinguersi come nessun altro dentro e fuori dal campo. L’icona mediatica dello sport per eccellenza, un personaggio che ha fatto la storia, un vero e proprio punto di riferimento per moltissime persone; 
  • Recentemente, ha donato 100 milioni di dollari da destinare nell’arco di 10 anni a diverse organizzazioni negli USA.

 

11 settembre 2009, Springfield, Massachussetts.

One day you might look up and see me playing the game at 50“. Risate dal pubblico. “Oh, don’t laugh, don’t laugh! Never say never, because limits, like fears, are often just an illusion“.

Il discorso di Michael Jeffrey Jordan, alla cerimonia per la sua entrata nella Basketball Hall of Fame, termina con queste parole. Un discorso che ne ha forse consacrato la leggenda non solo come giocatore di pallacanestro, ma come vera e propria icona mediatica. Chi se non Jordan poteva pronunciare certe parole con una tale sfrontatezza come per dire “non ridete, perché sapete che ne sono capace per davvero”. E se c’era uno che poteva tornare sul campo da pallacanestro a 50 anni, quello era proprio lui.

Per chi non fosse esperto di basket o non avesse seguito la carriera di quello che è entrato di diritto nell’olimpo dello sport, basta accendere la televisione, aprire il proprio PC o tablet, e accedere a Netflix. Tra “I titoli del momento” o “I più popolari su Netflix”, c’è di sicuro The Last Dance, la serie TV che è diventata un vero e proprio fenomeno mediatico, arrivando a superare addirittura La Casa di Carta come serie più vista in Italia sulla piattaforma streaming.

Oltre a diventare un esempio lampante di come lo storytelling sportivo sia cambiato, gli episodi della serie non solo sono in grado di raccontare come mai prima d’ora una delle avventure più straordinarie della storia dello sport, quella dei Chicago Bulls del 1997/1998, ma anche di far comprendere ai più Michael Jordan come personaggio e non solo come miglior giocatore di quella squadra. Un campione indiscusso, uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi, considerato una divinità dai fan più accaniti.

La serie, tra le altre cose, fa anche trasparire alcuni degli aspetti solitamente più nascosti dell’icona di Jordan, raccontando anche del suo incessabile agonismo e della sua competitività, che hanno raggiunto livelli a dir poco impensabili nel corso della sua carriera. Tuttavia, come ha affermato lui stesso in numerose occasioni, è proprio questo suo mindset che l’ha fatto diventare chi è diventato.

Michael Jordan è sempre stata una figura capace di trascendere la dimensione sportiva. Non solo diventò un vero e proprio modello per molti, in campo e fuori: Jordan fu il protagonista di una rivoluzione mediatica. Prima di lui, alcuni sportivi erano sì considerati delle “star”, ma nessuno di loro ebbe il suo impatto. Indubbiamente, nessun altro sportivo fu seguito dal mondo giornalistico come nel suo caso. Lui, d’altronde, si dimostrò sempre molto preparato ad affrontare la situazione, diventando un grandissimo comunicatore nel corso della sua carriera.

Uno dei motivi dietro a tutto questo, oltre alla popolarità nella NBA e sul campo da gioco, è, ovviamente, Nike. Se fino al 1984 veniva considerata una società emergente, ma non ai livelli di Converse o Adidas, è grazie a Jordan che il brand iniziò a crescere guadagnando la popolarità che ha tutt’oggi. La cifra folle di due milioni e mezzo di dollari offerta a un giovane Michael Jordan quando non era (quasi) nessuno per diventare l’immagine di Nike, si tramutò in un marchio (Air Jordan, appunto) che oggi vale più di 10 miliardi di dollari, generandone ben di più in termini di profitti nel corso di questi 35 anni. D’altronde, quale miglior modo per cercare di essere come la leggenda del basket, se non indossando un paio di sue scarpe?

Essere come Jordan era l’ambizione di moltissime persone, che riconoscevano in lui un’icona da seguire, un punto di riferimento. Immaginario che viene costruito in numerose occasioni anche dagli spot pubblicitari che l’hanno reso ancora più famoso, come “Be Like Mike” di Gatorade o “Let your game speak” di Nike, per citare solo due esempi.

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Un personaggio senza precedenti (e senza successori?), che ha rivoluzionato il mondo dello sport e dell’intrattenimento. Un’icona così importante da creare su di sè una pressione mediatica senza precedenti. Jordan ne rimase colpito in più di un’occasione (gli scandali sul gioco d’azzardo e le scommesse sportive ne sono un esempio), ma riuscì a riemergerne sempre. Chi potrebbe ritirarsi per poi tornare a vincere, ritirarsi ancora per poi calcare di nuovo il parquet a 40 anni? D’altronde, il ruolo dei media nella costruzione di un’icona mediatica è solo uno dei tanti elementi. Fra le caratteristiche più importanti vi sono il carisma e la personalità dell’individuo: solo Michael Jordan può essere Michael Jordan.

Si impara dai fallimenti. In cattedra, Michael Jordan

Michael Jordan nasce a New York il 17 febbraio 1963. Dopo i primi anni passati a Teachey, North Carolina, la famiglia si trasferì a Wilmington. Il rapporto con i genitori fu da sempre contraddistinto, in tenera età, da un trascinante amore materno e da un difficile rapporto col padre, sfociato spesso in ostilità. Fu proprio questa ostilità che avrebbe poi contribuito ad alimentare la sua determinazione al miglioramento costante. Si racconta, infatti, che “Mike” venisse criticato dal padre per i suoi limiti nei lavori “pratici”. Ogni tentativo di eguagliare il padre finiva con la frase “tornatene a casa con le donne!”.

Anche il rapporto con il fratello Larry non fu tra i più semplici. Quest’ultimo era il figlio prediletto dal padre, e fu il primo membro della famiglia a innamorarsi della pallacanestro. James Jordan comprò la prima palla da basket quando Michael aveva undici anni, dando così vita a continui confronti tra i due fratelli. Non c’era storia: il giovane Mike perdeva sempre. Nonostante l’altezza giocasse a suo favore, prima che riuscisse a spuntarla passarono degli anni. È dalla sua famiglia, quindi, che nasce questa instancabile voglia di competere.

Uno dei fallimenti più noti di Jordan, però, arrivò ai tempi del liceo. Al suo secondo anno, non venne ritenuto idoneo a vestire la maglia della Laney High School. Il coach Clifton “Pop” Herring, infatti, lo escluse dalla squadra nel 1978, a favore di Leroy Smith, meno talentuoso ma più prestante fisicamente. Michael dichiarò in più di un’occasione che la vicenda gli cadde addosso come un macigno, ma che ogni volta che ci pensava gli veniva voglia di lavorare per migliorare. A differenza di quanto si possa pensare, Jordan ha fallito molte volte nel corso della sua carriera. È proprio questa, però, la sua grande forza: cadere, per guadagnare motivazione e rialzarsi più forti di prima.

1. “Nella mia carriera ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito davvero molte volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto.”

2. “Posso accettare di fallire, tutti falliscono in qualcosa. Ma non posso accettare di non provarci.”

3. “Per imparare a vincere, devi prima imparare a fallire.”

4. “So che la paura può essere un ostacolo per molti, ma per me è un illusione. Fallire mi ha sempre fatto impegnare di più la volta dopo.”

5. “Mai dire mai, perché i limiti, come le paure, sono spesso solo un’illusione.” 

Michael Jordan title father

Credits: Esquire

La fame di vincere, l’ambizione e la competitività di Jordan

Dopo i suoi primi anni in NBA, in cui si affermò come una star che non aspettava altro che conquistare il mondo (della pallacanestro e non solo), era chiaro che il destino di Jordan sarebbe stato quello di diventare uno dei più grandi di sempre. Per farlo, però, non era sufficiente far diventare grande una società fino a quel momento ignorata come i Chicago Bulls, o conquistare titoli di capocannoniere della lega. Doveva vincere.

Era spesso criticato come quello che non poteva arrivare ai livelli di colossi come Larry Bird o Magic Johnson. Ma erano proprio affermazioni come queste a motivare Jordan per superarli. Gli allenatori di quegli anni cercavano in tutti i modi di fermarlo sul campo, anche con metodi ai limiti del regolamento, ma erano solo espedienti che alimentavano la fame di competizione del 23 dei Bulls. Nemmeno Chuck Daily, il coach dei Detroit Pistons che inventò le cosiddette “Jordan Rules“, o tutti i giornalisti che tentarono di mettere sotto pressione Jordan con polemiche su scommesse sportive e altre vicende, ci riuscirono. Numerose volte MJ ha dichiarato che tutto ciò che ha fatto nella sua carriera lo ha fatto per vincere. È proprio la sua irrefrenabile fame di competizione che, infatti, gli ha fatto nascere il vizio delle scommesse sportive per cui è tanto stato criticato.

Jordan cercava di vincere sempre, in qualsiasi cosa. Fu uno dei pochi giocatori a vincere tre titoli NBA di fila (1991-1993), per poi ritirarsi, rientrare e vincerne altri tre (1996-1998). Ma non si parla solo di basket: esilaranti, ad esempio, le clip di The Last Dance in cui gioca con gli addetti alla sicurezza al “lancio della monetina” scommettendo decine e centinaia di dollari solo per il gusto di vincere. Questo atteggiamento, però, è la chiave per capire la personalità di Jordan. Senza questo mindset, non sarebbe mai arrivato al successo.

6. “Devi aspettarti grandi cose da te stesso, prima ancora di farle.”

7. “Alcune persone vogliono che accada, alcune desiderano che accada, altri lo fanno accadere.”

8. “Il mio atteggiamento consiste nel fatto che se mi spingi verso qualcosa che pensi sia una mia debolezza, allora trasformerò quello che pensi sia una debolezza in un punto di forza.”

9. “Gioco per vincere, che sia una partita vera o un allenamento. E non lascerò mai che nulla si metta tra me e il mio essere competitivo, la mia voglia di vincere.” 

Michael Jordan golf

Credits: GOLF.com

Parliamo di mindfulness

Michael Jordan è però arrivato a essere la persona e l’icona che è con un’altra componente fondamentale: una straordinaria fiducia e consapevolezza dei propri mezzi. Jordan vinse tre titoli consecutivi, nel 1991, nel 1992, e nel 1993. Dopo quell’ultima stagione scelse di ritirarsi, scosso dalla morte del padre. Dichiarò, però, che avrebbe preso la stessa decisione anche con James accanto, per l’eccessiva pressione mediatica e la stanchezza mentale, più che fisica. Molti arrivarono a sostenere che volesse ritirarsi perché era diventato “più grande della NBA stessa”. Dopo un breve periodo di tempo passato nelle minor league di baseball, sport di cui Jordan era da sempre appassionato, tornò in NBA. Nel 1996, nel 1997, e nel 1998 fu in grado di trascinare i Bulls a un altro “three-peat”, confermando le sue doti sovrumane. Ritiratosi, fece ritorno nel 2001 con i Washington Wizards, per dimostrare a tutti che poteva calcare il parquet ed essere decisivo anche all’età di 40 anni. Jordan si ritirò poi nel 2003. Ora è proprietario della franchigia NBA degli Charlotte Hornets.

Quello che permise a Jordan di compiere imprese così straordinarie è la cosiddetta “mindfulness“, un’alta consapevolezza di sè unita a una mentalità vincente, orientata al risultato. Tutto ciò lo ha fatto diventare il giocatore di pallacanestro più forte di sempre, con sei finali vinte su sei finali disputate e sei titoli di MVP delle finali, cinque MVP della stagione regolare, un premio di difensore dell’anno, un premio di rookie dell’anno, e dieci premi di capocannoniere dell’NBA. Il noto giornalista Federico Buffa afferma però che Jordan è talmente grande che “non c’è bisogno dei numeri” per descriverlo, “i numeri lo offendono”.

10. “Fai diventare sempre una situazione negativa una situazione positiva.” 

11. “Non farti buttare giù dalle voci, fai quello in cui credi.”

12. “Se accetti le aspettative degli altri, soprattutto quelle negative, allora non cambierai mai il risultato.”

13. “Una volta che prendo una decisione, non ci penso di nuovo un’altra volta”

14. “Se stai cercando di raggiungere un obiettivo, ci sarà sempre qualcosa che ti blocca la strada. È capitato a me, capita a tutti. Ma gli ostacoli non devono fermarti. Se incontri un muro, non girarti e arrenderti. Scopri come scalarlo, oltrepassarlo, o girarci attorno.”

15. “Non ho mai guardato alle conseguenze di sbagliare un tiro importante… quando pensi alle conseguenze, pensi sempre a un risultato negativo.”

Jordan and Scottie Pippen

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“There’s no I in TEAM”“But there’s in WIN!”

In The Last Dance si è visto chiaramente: nonostante Jordan fosse una personalità e un giocatore fuori dal normale, non sarebbe arrivato a ottenere i risultati che ha ottenuto da solo. Scottie Pippen, Dennis Rodman, Steve Kerr, Phil Jackson, sono solo alcuni dei nomi che si affiancano a quello di MJ.

Lui stesso, in numerose occasioni, ha dichiarato come senza il lavoro di squadra, senza la fiducia di compagni come Pippen o la mentalità di un allenatore come Jackson, non avrebbe ottenuto ciò che ha ottenuto. Per arrivare al vero successo, per vincere, si deve pensare come un team, si deve volere arrivare a un risultato insieme, indipendentemente dal talento dei singoli. Tuttavia, la sua filosofia segue anche un concetto molto interessante: per arrivare a ottenere buoni risultati si deve collaborare, ma allo stesso tempo si deve mantenere una grande integrità personale. Nessun altro può vivere la tua vita al posto tuo.

16. “Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere i campionati.”

17. “Per avere successo, devi essere egoista, devi volerlo, altrimenti non lo raggiungerai mai. Ma una volta ottenuto, devi essere altruista. Resta raggiungibile. Tieni i contatti. Non isolarti.”

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Michael Jordan mindfulness

Credits: Andrew D. Bernstein

Come diventare “GOAT” (Greatest Of All Time)? Lavorando duro

Con la tragedia della morte di Kobe Bryant si è parlato molto della sua “mamba mentality”, dell’etica del lavoro che lo contraddistinse. Riguardo a questa dimensione, una delle principali fonti d’ispirazione di Kobe era proprio Michael Jordan.

Nella nota biografia di Jordan scritta da Roland Lazenby si cita un episodio molto singolare. Nel 1972, la Nazionale americana aveva perso in finale ai Giochi Olimpici di Monaco contro l’Unione Sovietica. Un giovane Michael guardò perdere gli americani e andò in cucina a dire a sua madre “Un giorno parteciperò alle Olimpiadi, e riuscirò a farci vincere!”. Deloris rispose sorridendo “Tesoro, non sai quanto bisogna lavorare per vincere una medaglia d’oro”. Al di là dell’ambizione di un ragazzo che in quel momento aveva solo 9 anni, è proprio il duro lavoro e lo spirito di sacrificio che fece arrivare Jordan a vincere non una ma ben due medaglie d’oro olimpiche.

Un altro esempio, per non fare riferimenti solo a fatti sul parquet, si può ricercare negli anni passati a giocare a baseball. Non solo faticò molto per guadagnare credibilità in uno sport totalmente diverso dal suo, ma dichiarò di essere stato “così a lungo sul piedistallo” che aveva dimenticato “gli sforzi che bisogna fare per arrivarci”. Un’etica del lavoro che però non è mai mancata a Jordan, che riuscì a diventare il più grande di sempre grazie soprattutto agli sforzi in palestra.

Un approccio maniacale al gioco e al lavoro, unito a un’immensa fiducia nei propri mezzi e a una leggendaria voglia di competere e di vincere: sembrerebbe la ricetta perfetta per arrivare al successo. Di sicuro, è ciò che ha reso Michael Jordan un modello e un’icona da seguire, sia sul campo da pallacanestro che al di fuori.

18. “Se smetti di fare qualcosa PER UNA VOLTA diventa un’abitudine. Non smettere mai!”

19. “Se lavori duramente, verrai ricompensato. Non ci sono scorciatoie nella vita.”

20. “Se viene fuori che il mio meglio non è stato abbastanza, almeno non mi potrò guardare indietro e dire che avevo paura di provarci.”

21. “Sii fedele al basket, perché il basket sarà fedele a te. Se provi una scorciatoia, nel basket, allora il basket ti taglierà le gambe. Se ci metti impegno e duro lavoro, allora ti saranno elargite delle belle ricompense. È davvero così, se si pensa al basket, e in un certo senso anche nella vita.” 

22. “Imparare è un regalo, anche quando è il dolore a essere il tuo insegnante”. 

23. “I campioni non diventano campioni quando vincono qualcosa, ma nelle ore, le settimane, i mesi, gli anni, che impiegano per prepararsi a vincere. La vittoria di qualcuno è solo la mera dimostrazione del suo atteggiamento da campione.” 

mappe mentali

Come usare le mappe mentali per avviare nuovi progetti

  • Cosa sono le mappe mentali? Uno strumento intelligente e creativo per raggiungere i propri obiettivi.
  • Quali sono i progetti che possono essere semplificati tramite l’utilizzo delle mappe mentali.

 

Dopo un periodo di stasi come quello che abbiamo vissuto, riprendere i progetti sospesi sembra la cosa più difficile da fare. Cala la notte, e come ogni sera, ci rigiriamo nel letto in preda a un vortice di pensieri. Riusciremo davvero a raggiungere tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati a inizio anno? Certo è che questi mesi non ci hanno aiutato per niente, e nell’aria si respira ancora un certo timore, più che altro paura di ripartire, con il dubbio che una possibile, nuova paralisi sia dietro l’angolo. Perché, in fondo, chi poteva prevedere tutto ciò? 

Ma stare fermi ad aspettare che il prossimo ostacolo piombi improvvisamente sul nostro cammino non ci aiuterà, e quando ci dicono che è tutta questione di punti di vista, lo è davvero.

Forse non siamo ancora realmente pronti a camminare, ma è passo dopo passo che si costruiscono le cose, dopo una caduta ci si rialza, dopo il temporale arriva l’arcobaleno, e dopo una pausa si ricomincia a vivere, anche se adesso abbiamo più l’impressione di sopravvivere. Una lunga ripresa ci aspetta, ma come possiamo raggiungere i nostri obiettivi e avviare nuovi progetti?

Un modo c’è, possiamo avvalerci delle mappe mentali.

competenze

Cosa sono le mappe mentali

La maggior parte dei progetti inizia con lo stabilire un obiettivo, che sia creare un nuovo sito web, scrivere un libro o pianificare una vacanza. Gli obiettivi non sono difficili da definire, ma il bello viene quando non riusciamo a capire come raggiungerli.

Un’idea per semplificare i processi necessari per arrivare al nostro scopo è quella di utilizzare le mappe mentali. Per quale motivo?

Facilitano la suddivisione dei passaggi da fare riducendoli in attività realizzabili. Accendono la creatività, aiutano a generare e a catturare idee e ci consentono di valutare più opzioni in modo da poter prendere le decisioni migliori.

Ma cosa sono le mappe mentali?

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Sono uno strumento prezioso per la pianificazione di un progetto. Promuovono un libero flusso d’idee, un po’ come avviene durante un brainstorming. Si parte da un concetto centrale, che riguarda l’obiettivo da raggiungere e mano mano si creano delle associazioni di concetti che, a primo impatto, sembrano totalmente scollegati con il nostro piano finale. Si lascia vagare la mente dove vuole e lungo la strada, si raccolgono nuove intuizioni in un diagramma: quello schema è la mappa mentale, una rappresentazione grafica del nostro libero pensiero.

Le mappe mentali hanno una struttura gerarchica e associativa. Gerarchica perché si serve di rami per collegare ciascuno elemento all’altro. Associativa perché opera tramite associazioni di concetti. Furono inventate per caso, come accade quasi sempre per le cose più geniali, dallo psicologo cognitivista Tony Buzan.

Come funzionano le mappe mentali

La creazione di una mappa mentale in sostanza è piuttosto semplice. Si comincia con un cerchio in cui inserire l’argomento centrale, e da lì partono tutte le associazioni delle più svariate idee che ci vengono in mente. Includeremo argomenti secondari, i rami e tutte le connessioni di cui abbiamo bisogno. Possiamo rappresentarla su un foglio con penne e pastelli di diversi colori, su una lavagna o tramite degli appositi software disponibili, sia gratuiti che a pagamento. 

Questi programmi ci consentono di trascinare e rilasciare bolle e sezioni su diverse aree della mappa o su altri argomenti, facilitando il collegamento dei diversi concetti in qualsiasi momento. Ci permettono di allegare file e collegarci a diverse fonti. Inoltre possiamo invitare anche altre persone a parteciparne alla creazione e a collaborare con noi. Possiamo commentare il progetto e comunicare con tutti i partecipanti tramite chat.

Ovviamente, una volta terminato, possiamo condividere il tutto esportandolo come immagine, PDF o presentazione.

Credits: Zapier

Quali progetti realizzare con le mappe mentali

Quasi tutti i progetti, sia personali che professionali, beneficiano della mappatura mentale nelle loro fasi iniziali, soprattutto quando si ha un obiettivo ma non un piano per raggiungerlo, o quando dobbiamo collaborare e raccogliere idee da tante persone. 

Lavorare in team

Se dobbiamo portar avanti un progetto con il nostro team, la stesura di una mappa mentale potrà esserci davvero utile. Partiamo da un’idea centrale ossia il nostro obiettivo, un problema, l’argomento o il nome del progetto e collochiamolo al centro della mappa.

Confrontiamoci con il nostro gruppo di lavoro, chiedendo ai nostri collaboratori le loro impressioni. Annotiamo tutto ciò che viene detto, è un momento di ricerca, di raccolta, in seguito ci sarà la fase di revisione. Scriviamo e colleghiamo tutto, tramite dei rami, al concetto principale.

In corso d’opera le cose possono cambiare, possono accadere eventi, importanti revisioni di cui tener conto. Siamo flessibili. Dopo aver terminato la sessione di mappatura mentale, ci sono diversi modi per valutare e utilizzare le idee raccolte, anche attraverso discussioni con commenti, allegati e link di riferimento. Infine possiamo pubblicare la nostra mappa mentale come immagine o presentazione per condividerla e mostrarla a tutti, sia al team che ai clienti.

Ma quali sono effettivamente i progetti che possiamo semplificare attraverso una mappa mentale? Diamo un’occhiata da vicino.

mappe mentali

1. Definizione dei requisiti del progetto

Perfetto per designer UX, analisti e team di sviluppo

Definito l’obiettivo, che sia sviluppare un’app o perfezionare la user experience per ridurre i tassi di abbandono di un sito, con le mappe mentali cercheremo di capire come raggiungerlo.

Ogni componente del team ha delle soluzioni e attraverso la mappa le metteremo insieme dando a tutti una voce nella direzione del progetto.

Questo brainstorming visivo, ci consentirà di avere davanti elementi che magari non avremmo mai preso in considerazione, sollevando dubbi e domande sin dall’inizio, permettendo di focalizzare e risolvere piccoli ostacoli prima che possano diventar insormontabili.

2. Creazione di una tabella di marcia del prodotto

Perfetto per i product manager.

La mappa è uno strumento molto utile anche per creare una roadmapping, una tabella di marcia, per prodotti di alto livello. I responsabili di prodotto possono essere incaricati della creazione di tabelle di marcia dei prodotti, ma non solo loro.

Le parti interessate, i rappresentanti del servizio clienti, i rappresentanti di vendita e i clienti hanno anche un prezioso contributo su quale direzione dovrebbe prendere un prodotto in futuro.

La mappa mentale collaborativa consente di raccogliere input da più gruppi e di considerare tutto quando si crea una nuova tabella di marcia, rendendo a tutti chiara la strategia da adottare.

3. Sviluppo e perfezionamento di una strategia di marketing

Perfetto per responsabili del content marketing e altri team di marketing

Un’altra funzione essenziale delle mappe è quella di aiutare i team di marketing a valutare meglio le strategie e le tattiche da scegliere in un progetto.

La creazione di una mappa mentale che considera tutte le opzioni rende meno complessa la messa a punto di una strategia, e avere a portata di mano tutte le idee insieme rende più facile selezionare la migliore.

La mappatura mentale consente di raccogliere le idee di tutti per le principali strategie, i canali da indirizzare e le tattiche specifiche da provare.

Inoltre è utile per raccogliere più idee e creare anche una procedura di fallback da considerare in seguito se una delle linee d’azione selezionata fallisce. Questo ci aiuterà a muoverci meglio con le procedure da adottare. 

4. Definire gli obiettivi e le priorità del team

Perfetto per i manager

Possiamo usufruire della mappa per elaborare specifici obiettivi individuali e dipartimentali. Lavorare insieme per rivedere gli obiettivi organizzativi o suggerire quelli che desideriamo definire come team.

Organizzare la mappa pensando a come raggiungere il nostro scopo finale in modo SMART, e tenendo presente l’opinione di tutti.

customer journey strategy free masterclass salesforce

5. Definizione di flussi di lavoro e processi

Perfetto per i project manager.

In una piccola organizzazione, i processi sono più semplici: uno scrittore scrive il contenuto e un editore lo rivede e lo pubblica, un CEO lavora direttamente con uno sviluppatore per aggiungere una nuova funzionalità al sito. Ma nelle grandi organizzazioni, i processi sono più complessi.

Prima di cominciare, bisogna documentare i processi complessi e i flussi di lavoro, indicare ai responsabili quali passi adottare, in quale ordine e chi coinvolgere in diverse fasi per assicurarsi che nessuno venga escluso.

Riunire manager e leader di tutta l’organizzazione per una sessione di mappatura mentale per sollecitare input su chi deve essere coinvolto e in quale fase introdurre una specifica risorsa.

Dopo aver raccolto tutto, possiamo organizzare la mappa mentale in un diagramma di flusso ben dettagliato.

6. Gestione di nuovi software

Perfetto per IT support.

L’onboarding relativo a nuovi software non è un processo semplice. Non si tratta solo di installare software e migrare i dati da qualsiasi sistema esistente, ma bisogna anche formare gli utenti su come utilizzarlo, incoraggiarne l’adozione e fornire supporto a chi si approccia a sistemi che non conosce.

In questo caso la mappatura mentale è un modo semplice per identificare i problemi che potremmo incontrare.

Riunire tutti per discutere delle loro maggiori preoccupazioni, consentirà di prevedere e trovare soluzioni ad ogni eventuale impedimento nel riuscire a usufruire dei nuovi sistemi.

7. Pianificare un evento

Perfetto per organizzatori di eventi ed esperti di marketing

Poche cose sono complesse come cercare di pianificare un evento, che si tratti di una conferenza di settore o di una festa per piccoli uffici.
Una mappa ci darà l’opportunità di focalizzare contemporaneamente i compiti da svolgere e le persone necessarie, creando ordine e affidando ad ognuno il proprio incarico.

8. Creazione di un calendario editoriale

Perfetto per scrittori e content editor

Alzi la mano chi ha elaborato qualcosa di sensato fissando svogliatamente uno schermo vuoto. Leggere appunti che altre persone hanno trascritto, stimola il nostro cervello ad essere più produttivo.

Riunirsi e scambiare opinioni con il nostro team per mettere insieme un calendario editoriale è un modo eccellente per generare idee. Interfacciandosi insieme, riusciremo a sviluppare associazioni e a generare idee che non avremmo mai immaginato stando da soli.

mappe mentali

9. Catturare idee per progetti personali

Le mappe mentali sono efficaci non solo per progetti lavorativi, ma sono decisive anche per progetti personali. Un trasferimento in un’altra città, la pianificazione di un matrimonio, un nuovo lavoro, ogni sogno, ogni progetto può essere rappresentato con una mappa mentale.

Prendiamoci 15 minuti per pensare in modo mirato ai nostri buoni propositi e trascriviamo tutto ciò che ci balena in mente. Possiamo condividere il nostro schema con chi ci conosce bene, e farci aiutare nel definire il tutto.

Una volta completato, osserviamolo con attenzione, revisioniamolo, eliminiamo il superfluo o aggiungiamo qualche dettaglio. Utilizziamo la mappa mentale per elaborare un piano dettagliato del nostro “disegno”, comprese le scadenze.

Come utilizzare un software per la creazione di mappe mentali

Uno dei software più utilizzati è MindMeister, uno strumento che permette la creazione di mappe mentali online che consente di acquisire, sviluppare e condividere idee graficamente.

mappe mentali

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Il brainstorming con mappe mentali online è risultato ancora più efficace delle tradizionali sessioni di persona. In effetti, l’uso di mappe mentali online può aumentare l’output creativo di circa il 50%. Dopo aver raccolto le idee, bisogna revisionarne il contenuto. In che modo?

  • Rimuovere gli argomenti con idee inapplicabili;
  • Spostarli e posizionarli nel posto giusto per creare una struttura adeguata dello schema;
  • Aggiungere spiegazioni e dettagli alle idee sotto forma di note, collegamenti, immagini e file;
  • Conferire maggior enfasi agli argomenti scegliendo stili e icone appropriati.

Importante è avviare anche un’analisi di costi e benefici che ci aiuterà a decidere se è davvero una buona idea intraprendere il progetto pianificato. Per eseguire un’analisi costi benefici in una mappa mentale:

  • Aprire una mappa mentale vuota;
  • Creare un ramo per gli obiettivi del progetto;
  • Creare un ramo per le risorse stimate necessarie per eseguire il progetto;
  • Crea un terzo ramo per i benefici previsti.

Successivamente calcolare il valore attuale netto del progetto e usare il risultato per decidere se andare avanti o meno.

Inoltre possiamo riutilizzare questa mappa mentale come tabella di marcia del progetto semplificandola e condividendola con il team e le parti interessate. Una tabella di marcia è un ottimo strumento per rivedere rapidamente gli obiettivi e assicurarsi di essere ancora nei tempi previsti. Ovviamente, possiamo aggiornarla per tutta la durata del progetto se le nostre priorità cambiano o bisogna perfezionare le stime precedenti.

tempo libero

Come riorganizzare il tuo tempo e renderlo “più libero”

  • Consapevolezza, organizzazione e adattamento sono le abilità necessarie per pianificare al meglio il proprio tempo
  • Identificare le attività “perditempo” e ridurle rispondendo ad alcune domande chiave
  • Solo chi ha una mente libera potrà trarre benefici dal tempo libero

 

Si avvicinano le scadenze, l’elenco di cose da fare sembra allungarsi ogni giorno di più – queste esperienze sono fin troppo comuni sia nella vita che nel lavoro. Non mancano i consigli di libri, blog e app, tutti pensati per ottimizzare la gestione del tempo. Questi strumenti presuppongono un insieme di abilità.

In parole povere, il semplice acquisto di una macchina fotografica non fa della persona un fotografo professionista. Allo stesso modo, è improbabile che l’utilizzo di un’app di pianificazione produca risultati positivi senza le competenze di gestione del tempo. Diversi studi hanno dimostrato che sono necessarie alcune abilità per strutturare e pianificare il proprio tempo:

  • la consapevolezza: trattare il proprio tempo come una risorsa limitata
  • l’organizzazione: gestire il tempo in maniera strutturata
  • l’adattamento: il monitoraggio del tempo garantisce l’adattamento delle priorità ed il cambio dei piani

Il concetto di urgenza e importanza

Evita il mero effetto di urgenza. Come riportato da Harvard Business Review, urgenza e importanza sono concetti correlati ma distinti: compiti urgenti richiedono un’azione immediata, mentre compiti importanti hanno conseguenze più significative e a lungo termine.

I compiti che sono sia urgenti che importanti dovrebbero essere eseguiti per primi. Se utilizzi il calendario digitale, etichetta le tue attività con colori diversi per distinguerle a prima vista. Pianifica un lasso di tempo riservato a te stesso.

Inseriscilo nel calendario per assicurarti un tempo ininterrotto da dedicare ai tuoi progetti nel tempo libero.

 

 

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Hello everyone ? I disappeared a bit during the weekend, but everything I did was rest ? after the test on Saturday I went to the mall with my boyfriend, and then to the movies. Then, on Sunday I went to the movies again with my mom, and during the night I tried to be productive but ended up falling asleep at 7pm. Very well deserving rest I’d say? I’m just mentioning this, because I’m not a studying machine, and the fact that I almost never show what I do on my free time it doesn’t mean I’m always being productive. I don’t want for people to look at my studygram and feel stressed or discouraged because they don’t make “pretty “ notes or to feel like they’re not a good student because they’re not studying all the time. The truth is I barely share with you 1/4 of my life, but don’t worry, I want for this page to be as relatable as possible so I’m planning on posting more about my real life? • I’m using the Google Calendar app on my iPad, and on my laptop the Google Calendar website! -Natasha?

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Rintracciare i “perditempo” per ricavare più tempo libero

Per godere di più tempo libero nella vita, è necessario analizzare i compiti svolti quotidianamente sia a casa che al lavoro, valutandone la durata. Le app di tracciamento del tempo possono essere utili per identificare i “perditempo”.

Stabilisci delle fasce orarie dedicate a te stesso, ad esempio bloccando le notifiche sul telefono.

Limita l’utilizzo dei social e fai una scelta mirata delle pagine e siti che consulterai: scorrere il feed di Instagram e Facebook più volte al giorno potrebbe bruciare del tempo prezioso.

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Riordinare le idee

Lo scrittore e productivity coach Matt East suggerisce di usare dieci domande guida per identificare le priorità ogni mattina. I quesiti hanno lo scopo di far fluire le idee:

  1. Se potessi ottenere solo una cosa oggi, quale sarebbe?
  2. Qual è la seconda cosa più importante che devo realizzare?
  3. Qual è la terza attività più importante?
  4. Ci sono altre attività da svolgere?
  5. Cosa potrei completare oggi che mi renderebbe felice riflettendo sulla mia giornata?
  6. Cosa posso fare per avvicinarmi al raggiungimento dei miei obiettivi?
  7. Ci sono progetti o attività di altri che dovrei seguire?
  8. Quali relazioni chiave nella mia vita hanno bisogno della mia energia oggi?
  9. Cosa posso fare oggi per rimuovere lo stress dalla mia vita?
  10. Quali attività posso delegare a qualcun altro oggi?

Matt East consiglia: “Avere chiarezza sulle nostre priorità è un modo per garantire l’efficacia nella gestione del tempo. Tuttavia, gli scienziati comportamentali rivelano che le nostre abitudini occupano il 40% della giornata. […] Il modo in cui siamo intenzionali sulle nostre abitudini può contribuire a far sì che il nostro tempo sia usato nel modo più significativo e produttivo possibile”.

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gestione del tempo

Prendersi il tempo per allontanare i pensieri negativi

Il tempo libero è inteso come tempo realmente libero, libero dunque anche da pensieri, preoccupazioni e dal lavoro. Ognuno è il manager di se stesso, nessuno ci ordinerà di rilassarci o fare attività fisica.

Le incombenze quotidiane o i problemi irrisolti al lavoro possono influire sullo stato d’animo. Quando “staccare” diventa un’impresa impossibile, è necessario trovare una soluzione per favorire la libertà mentale.

Il tempo libero, quello vero, inizia da te. Fino a quando non sarà libera la tua mente, non lo sarà neanche il tuo tempo.

Educazione futura

Educazione e formazione: è il momento di costruire il futuro

 

  • L’anno in corso potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per il mondo della formazione 
  • Verso un modello ibrido di educazione: non per forza a distanza ma sicuramente connesso
  • Potrebbe nascere una nuova economia dell’educazione, flessibile e dinamica

a cura di Thomas Ducato

“Per costruire la scuola del futuro non bastano nuovi strumenti, serve una visione”. Titolava così un articolo a firma di Impactscool pubblicato qui, sulle pagine online di Ninja Marketing, in tempi non sospetti, nel novembre del 2019,  prima dell’emergenza Covid-19 e di lunghi mesi di lockdown, distanziamento sociale e DAD, acronimo di didattica a distanza.

Una rivoluzione, quella della scuola digitale, che sembrava lenta e lontana dal concretizzarsi e che invece, nel giro di qualche settimana, si è trasformata in una realtà inevitabile per milioni di studenti e per tutti i loro insegnanti.
Dalle lavagne alle video lezioni, dai libri ai materiali in pdf, dai compiti in classe alle interrogazioni attraverso uno schermo: i docenti di ogni ordine e grado si sono trovati, per via della pressante necessità, a dover trasformare la propria attività non sempre con una conoscenza integrata e completa sulla didattica digitale, così come senza sufficienti competenze per usare e scegliere strumenti efficaci e affidabili.
Un esperimento la cui riuscita è difficile da giudicare, troppo soggetta alle molteplici differenze che un sistema così complesso e articolato come quello scolastico ed educativo può presentare.

Ma cosa resterà di questo enorme esperimento a settembre quando, così sembra, la scuola tornerà ad essere anche un luogo in cui recarsi e non “solo” un’attività fatta di relazioni e connessioni vissute fisicamente distanti?

Se sapremo cogliere le opportunità e imparare dalla nostra esperienza degli ultimi mesi, l’anno scolastico 2019-2020 potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per tutto il mondo della formazione, non solo quella dei giovani. Da un lato non dobbiamo perdere l’occasione, dall’altro però è importante che nessuno resti indietro.

 

Rivedere l’insegnamento: verso un modello ibrido

L’incontro tra tecnologia ed educazione viene spesso definito con il termine Education Technology, o EdTech.

Questo approccio non prevede solo l’insegnamento di materie tecnologiche ma anche l’introduzione di strumenti che favoriscano l’apprendimento. Non necessariamente una didattica a distanza, dunque, ma la possibilità di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare l’insegnamento e offrire un servizio migliore agli studenti.

L’esperienza degli ultimi mesi, in questo frangente, potrebbe essere preziosa, perché ha costretto migliaia di docenti ad esplorare un nuovo modo di fare scuola anche attraverso questi sistemi digitali, che offrono nuove opportunità di collaborazione, co-creazione e progettazione.
Un tema, questo, molto caro anche a Cristina Pozzi, Ceo e Co-founder di Impactscool. “La scuola del futuro – ha dichiarato in una recente intervista – è liberamente partecipativa, aperta e situata a livello locale nel proprio contesto, ma anche in quello planetario. In un termine che va di moda possiamo dire che è “glocal”, una globalizzazione più matura, consapevole delle particolarità degli elementi che la costituiscono e in grado di creare rapporti virtuosi tra di esse”.

Una scuola che, indipendentemente dal fatto che sia a distanza o in presenza, dovrà adattarsi al suo contesto di riferimento ed essere (inter)connessa. “Qualunque sia la distanza fisica staremo insieme – spiega Pozzi – Gli strumenti digitali amplificano e massimizzano la capacità di collaborare. Credo nel mix tra le due cose: off line e on line. Possiamo usare gli strumenti digitali anche seduti uno a fianco all’altro e ottenerne grandi vantaggi se li utilizziamo al meglio.  L’allenamento fatto con la didattica a distanza potrebbe spingerci a velocizzare l’introduzione di giochi e metodi collaborativi che migliorano l’apprendimento (anche in presenza), nonché l’attenzione dei ragazzi, la motivazione e l’interesse”.

 

Imparare è un gioco da ragazzi (e non solo)

Il cuore della rivoluzione risiede proprio nelle metodologie didattiche, che devono adattarsi alle nuove esigenze di un pubblico, quello degli studenti, sempre più condizionato da una grande varietà di stimoli. Il mondo dell’intrattenimento, dai giochi al cinema e serie TV, rappresenta un settore importante da esplorare e sfruttare per avvicinare le nuove generazioni a cultura e apprendimento.

Ne abbiamo parlato con Massimiliano Tarantino, direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e responsabile della comunicazione istituzionale del gruppo Feltrinelli.
“La cultura – ci ha detto – deve reinventarsi per continuare ad aggiornare la sua utilità”. Non tutti, però, sono dello stesso avviso. “Nel mondo culturale – ha proseguito – c’è chi tende a derubricare il mondo delle serie TV, dei canali a pagamento, del mondo dei videogiochi o del gaming in generale come veicolo di cultura e di contenuto. Io credo siano strumenti straordinari e grandi opportunità di lavoro per tutti i soggetti coinvolti. Farsi una cultura, ottenere una laurea, avere un percorso serio, organico e solido nei campi delle science o delle humanities e poi trasformali in prodotti dell’entertainment, traducendo e trasformando i linguaggi con i quali entriamo in contatto con i pubblici, è il vero futuro dell’editoria. Significa conoscere e scegliere contenuto e avere il know how per padroneggiare le tecniche che ci consentano di trasformare questo contenuto in un prodotto in grado di garantire ingaggio di pubblico”.

Strumenti e metodi, questi, che possono essere particolarmente efficaci anche nei contesti aziendali o, in generale, per un pubblico adulto e che ben si sposano con la necessità di formazione continua che si sta delineando nel mondo del lavoro.

 

Reskilling e formazione continua: come impareranno i “grandi”?

Secondo le stime dell’OCSE, più di 1 miliardo di posti di lavoro, quasi un terzo del totale globale, saranno trasformati dalla tecnologia nel prossimo decennio. Il World Economic Forum stima che entro il 2022 saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro nelle principali economie per soddisfare le esigenze della quarta rivoluzione industriale. Due dati che esprimono in modo chiaro la necessità da parte dei lavoratori di aggiornare le proprie conoscenze e competenze, in quello che in inglese viene definito Reskilling e che si concretizza attraverso una formazione continua da parte dell’individuo nel corso della sua vita.

Come far convivere, però, questa formazione con il lavoro e la vita personale?

La strada da percorrere è quella di un’educazione sempre più flessibile e su misura, in grado di adattarsi alle esigenze di apprendimento e di tempo dei singoli individui.

 

Verso una gig economy della formazione?

Abbiamo conosciuto il termine gig economy con i fattorini della consegna a domicilio o gli autisti di servizi come Uber. Si tratta di una delle nuove forme di lavoro, gestito da piattaforme digitali attraverso l’attività di freelance. Un modello che si è imposto per attività ripetibili, standardizzate, facilmente controllabili e misurabili, mentre fatica a farsi largo, nonostante i costi molto più bassi, in altri ambienti e contesti come il mondo della conoscenza. Ma oggi qualcosa potrebbe cambiare, non grazie a una nuova tecnologia ma per il cambio di paradigma imposto dalla pandemia. Un modello, quella della gig economy del sapere, che sembra difficile possa applicarsi in modo trasversale al mondo accademico o della formazione tradizionale, ma la cui flessibilità ben si sposa con le necessità di formazione extracurricolare degli studenti (come per le ripetizioni), lo studio delle lingue, l’aggiornamento professionale o di competenze dei dipendenti.

 

Educazione e formazione del futuro devono iniziare da oggi

Siamo di fronte a un passaggio epocale: ci sarà un “prima” e un “dopo” Covid-19 ed è il momento perfetto per iniziare a costruire il futuro. Questi mesi ci lasciano un’eredità, che è importante custodire e utilizzare per porre solide basi alla realtà che vogliamo creare. Il mondo dell’educazione non fa eccezione in questo senso.

Dobbiamo capire cosa ha funzionato della didattica a distanza, ma soprattutto gli errori commessi e da non ripetere: le scelte che prendiamo da oggi devono essere funzionali alla costruzione del sistema educativo che verrà. “La scuola del futuro non sarà già attiva a settembre, ma con una visione chiara nel lungo termine, ogni azione e cambiamento che faremo sarà un passo verso la sua realizzazione”, ha concluso Cristina Pozzi.

Alcune sfide, come abbiamo visto, sono sul fronte didattico e metodologico, altre, invece, sul piano tecnico e di infrastruttura: l’obiettivo imprescindibile è quello di garantire l’accesso alla formazione, da un lato supportando le famiglie per la dotazione di pc e tablet, dall’altra costruendo un’infrastruttura di banda ultralarga che porti la rete veloce su tutto il territorio nazionale, offrendo così a tutti gli studenti quella connettività base che rischia altrimenti di diventare discriminatoria.

La formazione del futuro inizia oggi.