Per capire chi è il Chief Digital Officer bisogna partire da un presupposto: negli ultimi anni è emerso un interrogativo comune tra i manager di PMI, istituzioni pubbliche o grandi aziende: “in che modo possiamo affrontare il cambiamento imposto dal digitale?”.
Rispondere in modo efficace a questa domanda presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che deve essere guidato da una figura professionale capace di:
comprendere lo scenario del cambiamento in atto;
attuare un framework di transizione verso il digitale in grado di porre al centro le persone prima ancora delle tecnologie.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il processo di convergenza tra tecnologie e piattaforme digitali ha contribuito a cambiare radicalmente le esperienze quotidiane di ciascuno di noi, sia nella vita privata che sul lavoro. Oggi il rapporto tra ecosistema digitale e mondo imprenditoriale è caratterizzato da due fattori critici sui quali occorre lavorare:
da una parte troviamo le aziende. Molte delle innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie contribuiscono a erodere quote di mercato consolidate in decenni di attività, se non addirittura a sfaldare modelli di business diventati rapidamente obsoleti perché non sono in grado di sostenere le rapide accelerazioni imposte sul mercato dal digitale;
dall’altro lato troviamo i professionisti, e in particolare le figure di middle e top management che sono chiamate a un urgente upskilling o reskilling in ambito digitale delle proprie competenze; azione indispensabile per non restare esclusi dalla competizione sul mercato del lavoro.
Upskilling nel mondo digitale
La trasformazione digitale alla quale ci troviamo di fronte determina una forte riduzione dei tempi di adozione delle innovazioni tecnologiche, che oggi tendono a raggiungere in tempi rapidi ampie quote di mercato, per poi decrescere altrettanto rapidamente sotto la spinta di prodotti/servizi aggiornati e, per questo, più competitivi.
Vuoi saperne di più sul ruolo del Chief Digital Officer?
Se vuoi approfondire l’argomento e saperne di più su chi è e quale è il ruolo del Chief Digital Officer, puoi scaricare la Guida Interattiva Ninja dedicata ai membri PRO.
Se non sei ancora iscritto, approfitta del free risk trial period, potrai scoprire attraverso video, questionari, pareri di esperti e self-assessment:
perché la tecnologia ci impone un nuovo mindset digital first;
dove stiamo andando e come stanno cambiando i modelli organizzativi e di business;
le aree di intervento del Chief Digital Officer in azienda;
quali sono gli step fondamentali per guidare il processo di Digital Transformation.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/chief-digital-officer-guida.jpg480693Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-04-15 16:16:172020-04-16 17:08:15Qual è il ruolo del Chief Digital Officer in azienda? Scopri la Guida Interattiva Ninja
Dalle misure rivolte ai dipendenti, alle raccolte fondi, sino alle riconversioni, la Corporate Social Responsibility si esprime in tanti modi al tempo del Coronavirus
Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari quando il management sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.
Sono molte le aziende che si stanno impegnando socialmente per far fronte all’emergenza COVID-19. Un senso di responsabilità che si è inizialmente espresso grazie allo smart working, come soluzione per le imprese impiegate nel settore dei servizi. Anche molte compagnie che non avevano mai previsto il lavoro da casa si sono adoperate per garantire la salute e il benessere dei propri dipendenti.
Altri hanno optato per non chiudere il luogo di lavoro, prevedendo però una quotidiana sanificazione degli impianti, una turnazione del personale per rispettare le distanze di sicurezza e l’acquisto di prodotti per la protezione individuale.
Numerosi gli aiuti economiciarrivati da parte delle aziende e degli stessi imprenditori e manager, in favore di ospedali, Croce Rossa e Protezione Civile. La maggior parte di queste offerte sono state utilizzate per comprare macchinari o per riadattare le strutture all’emergenza.
Non dimentichiamo che alcune fabbriche hanno deciso di interrompere la produzione di beni non necessari per cambiare o accelerare la produzione di materiali essenziali per contrastare il virus.
Se da anni si parla ormai di come le aziende debbano avere uno scopo sociale e rispondere a un insieme di valori, o di quanto abbiano a cuore i loro dipendenti e gli altri stakeholder, ora è il momento di portare avanti questo impegno. Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari solo quando vedono il management prendere una decisione che sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.
Gli esempi più significativi di Corporate Social Responsibility
Moda
Gucci invita tutti i suoi follower a diventare #GucciCommunty, dando un contributo economico per combattere la situazione di crisi che stiamo affrontando, attraverso due campagne di crowdfunding.
Una dedicata al nostro paese, a sostegno della Protezione Civile “per sostenere il servizio sanitario italiano e la creazione di nuovi posti letto nelle terapie intensive”. È possibile partecipare alla raccolta fondi attraverso la piattaforma di Intesa SanPaolo ForFunding o tramite la story salvata sul profilo Instagram del brand.
L’altra campagna esorta a fare una donazione al Fondo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sempre grazie alla funzione “donate” nella IG Stories del canale www.instagram.com/Gucci.
Al momento del lancio, Gucci ha devoluto 1 milione di euro in favore della campagna per l’Italia e un altro milione alCOVID-19 Solidarietà Response Fund della fondazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo finale è di arrivare a raccogliere 10 milioni per entrambi i progetti. Facebook si impegnerà a doppiare la cifra complessiva delle donazioni.
L’iniziativa fa seguito al progetto del gruppo Kering (di cui Gucci fa parte), ossia produrre oltre 1 milione di maschere e camici per il personale sanitario, in risposta all’appello della regione toscana.
Questa pandemia ci chiama a un compito inaspettato, ma è una chiamata alla quale rispondiamo con decisione, supportando il lavoro straordinario del personale sanitario, dei medici e degli infermieri che sono ogni giorno in prima linea nella lotta contro l’epidemia di Covid-19, in Italia e nel resto del mondo. Sostenendoci a vicenda saremo in grado di superare questa crisi: uniti, ancora più di prima.
Queste le parole di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, e Marco Bizzarri, Presidente e CEO.
Bizzarri, inoltre, ha donato 100 mila euro a favore dell’azienda sanitaria di Reggio Emilia, sua città d’origine.
Giorgio Armani è stato il primo a riconoscere la gravità del problema, decidendo di sfilare a porte chiuse. In principio con aiuti in favore della Protezione Civile e degli ospedali di Milano, Roma, Bergamo, Piacenza e Versilia, per un valore complessivo di 2 milioni di euro. A partire dal 26 marzo tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. È così che lo stilista piacentino decide di rimane vicino al nostro paese.
Moncler ha offerto 10 milioni per mettere in moto il progetto promosso dalla Regione Lombardia. Realizzare un polo ospedaliero con 400 posti di rianimazione nell’ex Fiera di Milano.
Milano è una città che ha regalato a tutti noi un presente straordinario. Non possiamo e non vogliamo abbandonarla. È un dovere di tutti restituire alla città ciò che fino ad ora ci ha dato.
Pronuncia con orgoglio Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato dell’azienda tessile.
In tanti hanno elargito ingenti somme di denaro e convertito la produzione delle loro fabbriche in materiali essenziali per contrastare il virus. Dalle mascherine, ai camici, fino agli igienizzanti per le mani. Valentino, Versace, Trussardi, Dolce & Gabbana, Bulgari, Prada, Gruppo Miroglio, Geox, Calzendonia e The Ferragnez, solo per citarne alcuni.
C’è chi come Trussardi ha deciso di destinare anche il 100% dei ricavi dell’eCommerce all’acquisto di respiratori e ventilatori polmonari.
FCA e Ferrari, insieme a Marelli, metteranno i loro impianti e dipendenti a disposizione di Siare Engineering International, leader nella progettazione e produzione di apparecchiature medicali a livello mondiale.
L’obiettivo è la fabbricazione di nuovi respiratori polmonari per i pazienti.
Pirelli, grazie alla collaborazione con China Construction Bank, ha deciso di donare 65 ventilatori per la terapia intensiva, 5.000 tute protettive per chi lavora negli ospedali e 20.000 mascherine alla Lombardia.
In un momento di così grande difficoltà, vogliamo stare vicini alla nostra regione e al nostro paese. Dobbiamo dunque ringraziare tutti i nostri partner che ci hanno aiutati in questa iniziativa, per supportare il sistema sanitario in modo rapido ed efficace.
Spiega Marco Tronchetti Provera, CEO della società.
Il gruppoAponte segue le orme della Gnv Splendid, ovvero la “nave ospedale” ferma a Genova, offrendo la disponibilità di stazionare al porto di Palermo una nave MSC. Un piano B per la quarantena di coloro che risultano positivi al tampone o per i casi confermati di COVID-19.
Settore farmaceutico
La Bayer dona 1 milione di euro agli ospedali della Lombardia per acquistare macchinari per la terapia intensiva.
Menarini ha prodotto tonnellate di gel disinfettante da offrire agli ospedali.
La Roche si impegna a fornire gratuitamente il suo farmaco contro l’artrite, per il tempo necessario e a tutte le Regioni che lo richiedono. Infatti secondo la comunità scientifica questo prodotto sembra migliorare la capacità respiratoria nei pazienti positivi al virus.
C’è un tempo per ogni cosa, e questo per tutti è il tempo per restare a casa, per essere responsabili, per proteggere noi stessi, i nostri cari, le persone più deboli, il Paese.
Queste sono le prime parole del comunicato stampa di Sky del 17 marzo.
L’emittente mostra la sua vicinanza agli italiani e il suo incoraggiamento a stare in casa tramite una programmazione aperta a tutti gli abbonati (nessun limite di pacchetto), senza costi aggiuntivi e lancia una campagna di raccolta fondi per sostenere la Protezione Civile.
Per ora non si sa con certezza fino a quando l’offerta rimarrà valida, l’unico aggiornamento è che dal 4 aprile ci saranno due nuovi canali creati ad hoc. Sky CinemaIoRestoACasa 1, con film per tutta la famiglia e Sky CinemaIoRestoACasa 2, indirizzato a un pubblico più adulto.
Infinity, la piattaforma streaming on demand del Gruppo Mediaset, offre due mesi gratuiti per provare il servizio.
MYmovies mette a disposizione (fino al 5 aprile e a costo zero) 50 film da visionare tramite la prenotazione di posti digitali nelle sale web.
In un momento così difficile per l’Italia, destiniamo alla ricerca sul Covid-19 un milione di euro, una misura che si aggiunge alle donazioni alla sanità nazionale, al sostegno economico a privati e imprese, a iniziative di raccolta fondi per progetti meritori.
“Insieme ce la faremo!” è lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, ha presentato l’iniziativa che si è tenuta il 19 marzo. Un approfondimento circa le previsioni economiche e finanziarie della crisi, grazie ai commenti di esperti del settore. Inoltre la Banca ha effettuato donazioni per l’emergenza sanitaria e organizzato una raccolta fondi.
UBI Banca ha devoluto 5 milioni di euro a istituti ospedalieri e centri di ricerca direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza.
Sport
La Roma ha raccolto 50 mila euro grazie alla fondazione RomaCares, il presidente Pallotta ha donato altri 50 mila euro e il club ha aperto una pagina su GoFundMe (piattaforma di crowdfunding americana) per la raccolta fondi in favore dell’Istituto Spallanzani di Roma.
Anche altre società come Inter, Milan e Parma si sono impegnate con importanti donazioni, senza dimenticare gli aiuti economici da parte dei singoli giocatori tra cui DyBala, Pazzini, Balotelli, Donnarumma, Ilicic e allenatori come Filippo Inzaghi.
L’ex calciatore invita i suoi follower ad agire tutti insieme, ognuno in base alla proprie possibilità.
Il valore della Corporate Social Responsibility
Questi sono solo alcuni esempi di Corporate Social Responsibility nel nostro paese.
Dall’attenzione ai dipendenti, a chi combatte in prima linea negli ospedali, a ogni singolo cittadino chiamato a stare in casa per proteggere se stesso e gli altri. Alle aziende che davanti a difficoltà come questa non si fermano. Ciò che non va dimenticato è che in questo momento così critico, le imprese hanno la possibilità di mostrare l’autenticità dei propri valori e in tante lo stanno facendo nel modo giusto, nel modo che non sarà facile dimenticare.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/corporate-social-responsibility-2.jpg520936Maria Vittoria Angeluccihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMaria Vittoria Angelucci2020-04-14 10:22:542020-04-15 16:20:17Il Coronavirus sta mettendo alla prova la Corporate Social Responsibility (e il risultato è sorprendente)
Emergenza sanitaria. Il Governo chiede ai cittadini di rimanere in casa e invita le aziende a facilitare le persone a lavorare dalla propria abitazione. Non parliamo di un ipotetico futuro fantascientifico, ma del presente. Si passa così in poco meno di una settimana dai 570mila smart worker censiti a ottobre dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, a 8 milioni di home worker.
Dopo quasi un mese trascorso in questa condizione obbligata, è possibile fare le prime valutazioni su vantaggi e svantaggi del lavoro da casa ed è quello che ha fatto l’Osservatorio Copernico sullo Smart Working, nuove tendenze nei luoghi di lavoro e lifestyle.
L’home working funziona, il sistema sta reggendo ma ormai tutti abbiamo compreso che questo modo di lavorare e lo smart working non sono due facce della stessa medaglia, né due modi diversi di esprimere uno stesso concetto. Semmai il primo può essere una parte marginale del secondo perché praticare lo smart working solo tra le quattro mura domestiche non è efficace.
Se l’home working, grazie alle tecnologie che permettono di essere connessi anche dalla propria abitazione, ha fornito una risposta efficace a una condizione di emergenza, ha creato però anche alcune difficoltà.
Se da un lato la maggiore autonomia e responsabilità ha favorito nel lavoratore un certo senso di appagamento, dall’altro ha reso difficile il work-life balance e, soprattutto per chi abita in città o in un appartamento, la sensazione più comune è stata quella di vivere in una casa che scoppia.
Infatti, se con lo smart working possiamo decidere da dove lavorare e quali attività dedicare alle giornate fuori ufficio, ora siamo costretti a vivere lo spazio domestico in una soluzione di continuità e ad adattarlo perché risponda nel corso della giornata a molteplici funzioni, condividendolo anche con altre persone che possono avere bisogni diversi.
Come dice Francesco Scullica, architetto, professore del politecnico di Milano e direttore scientifico del Master Interior Design del Politecnico gestito da POLI.design e autore del libro Living, Working, Travelling: “Il nostro spazio domestico è improvvisamente inadeguato: i modelli di open space, di spazi a pianta libera, che ha avvantaggiato negli ultimi anni la zona living a scapito di quella più privata, sono messi in discussione”.
La casa: un modello da rivalutare?
Le case, insomma, non si adattano molto bene al lavoro continuativo da remoto. Dopo anni in cui la casa era stata poco vissuta – soprattutto dai più giovani – a favore di spazi pubblici, luoghi culturali, ristoranti e palestre, ora invece tutto accade nelle quattro mura domestiche e l’intero nucleo familiare è costretto a vivere insieme ogni giorno. E sebbene sia una situazione temporanea (che durerà si spera solo ancora qualche settimana), è pur vero che in futuro l’home working inevitabilmente sarà sempre più diffuso.
Tuttavia, è bene ricordare che lo spazio abitativo è pensato per delle funzioni diverse dal lavoro: non possiamo progettare totalmente l’architettura delle nostre case in funzione dell’home working perché perderebbero la loro funziona principale: quella di accogliere noi e le nostre famiglie nei momenti informali, di relax, di vita domestica condivisa.
“La casa non può sostituire completamente un ufficio o uno spazio di coworking. Spesso per ragioni tecnologiche, ma soprattutto per la mancanza del fattore umano. Gli uffici sono infatti spazi relazionali dove si costruiscono comunità. Sono luoghi di incontri, opportunità e scambi di idee, sono acceleratori di relazioni. Ma è probabile che si lavorerà uno o due giorni a settimana da casa” continua Scullica.
E allora, come possiamo organizzare al meglio il lavoro da casa?
In questo specifico frangente, laddove possibile, si è optato per adibire una stanza o un angolo della casa per l’attività lavorativa (magari con una scrivania, una sedia ergonomica e la giusta illuminazione) ma è il massimo che si è potuto fare in una situazione di quarantena.
Se vogliamo in un futuro rendere le nostre case più adatte ad accogliere alcune nostre giornate lavorative, possiamo provare a ripensare la distribuzione degli spazi, in particolare la suddivisione tra quello pubblico e quello privato.
“Dovremmo innanzitutto stabilire quali potrebbero essere le stanze della casa aperte a tutti, sempre, e quali gli spazi dedicati al raccoglimento e al lavoro individuale” – ha dichiarato Isadora De Pasquale, architetto progettista di Copernico – “Non sarà come lavorare da un ufficio attrezzato o da uno spazio dedicato allo smart working – che abilita il networking, offre eventi e servizi, favorisce la creatività – ma sicuramente diventerà parte di un progetto più ampio che unisce agli uffici flessibili o agli uffici delle proprie aziende anche un momento tra le quattro mura di casa”.
La parola d’ordine del futuro nell’interior design sarà insomma flessibilità, negli spazi e negli arredi. Se negli ultimi anni il lavoro di architetti e designer si era concentrato per rendere gli uffici adatti sia al lavoro sia alle relazioni, in funzione di un migliore bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa, ora è il momento di fare lo stesso all’interno delle nostre abitazioni.
Ecco allora qualche proposta del Prof. Scullica e dell’Arch. Isadora De Pasquale per trasformare (dove possibile) le nostre case in funzione dell’home working, che sempre più farà parte delle nostre abitudini.
Trasformare la casa in un ufficio?
Se trasformare la casa in un ufficio è impossibile, possiamo però quantomeno cercare di trasferire in casa alcune delle buone pratiche che solitamente adottiamo nell’arredamento funzionale degli uffici. Ecco alcuni esempi:
Avere uno spazio personale dedicato al lavoro. Se in ufficio questo si traduce, nella maggior parte dei casi, in una scrivania, in casa significa trovare un angolino che possiamo allestire appositamente. Può essere anche uno spazio molto piccolo, ma deve essere accogliente e confortevole, adeguato al lavoro. Uno spazio in cui non ci siano disturbi esterni, per quanto possibile. E non dimentichiamoci di creare anche uno sfondo adatto alle videoconferenze! Lo sfondo dice molto di noi e delle nostre abitudini.
Dare importanza ai luoghi di transizione. Come le hall negli uffici, gli spazi condivisi e i corridoi sono luoghi “neutri” in cui la mente può cambiare orizzonte e riposare: Anche se si lavora da casa è bene avere uno spazio di transizione simile. Inevitabilmente, molto spesso nelle abitazioni questa funzione è svolta dall’ingresso e dai corridoi tra le stanze. Che riacquisiscono così l’importanza che avevano perso nel tempo, tanto che in molte case oggi vengono aboliti in virtù della creazione di soggiorni open più ariosi. Ecco che nella situazione attuale, l’ingresso delle case diventa fondamentale, perché funge da filtro, sia verso l’esterno, ma soprattutto rispetto alle altre stanze della casa (così come i corridoi). Diventeranno i “cuscinetti” tra la zona di lavoro e il resto dell’abitazione, e miglioreranno il famoso work-life balance.
Scegliere arredi ergonomici per le zone di lavoro, senza rinunciare però allo stile della propria casa. È importante ricordare ancora una volta che una cosa è l’ufficio, altra cosa è la casa: questa distinzione resterà fondamentale alla fine di questa emergenza, quando potremo tornare ai nostri usuali luoghi di lavoro. Quindi, la scelta migliore sarà, da un lato, rendere confortevole il luogo della casa deputato al lavoro – con una seduta adatta, uno schermo sufficientemente grande e una scrivania della giusta altezza – ma, dall’altro, non dimenticare che i colori e i materiali di questa zona devono integrarsi con quelli dell’abitazione, per non spezzare l’armonia generale dell’arredamento.
Scegliere arredi flessibili e mobili può essere un’idea funzionale agli spazi più piccoli o più aperti. Ad esempio, tavoli che possono essere anche scrivanie o sedute leggere che possono essere spostate facilmente. Non tutti hanno la possibilità di creare uno spazio dedicato esclusivamente al lavoro, ma già cambiare la sedia o trasformare il tavolo può aiutare la concentrazione. Introdurre degli elementi di verde. Piante verdi da interno, fiorite o grasse, oppure una vista dalla finestra su un parco o un giardino (per i più fortunati): gli elementi naturali aiutano la concentrazione, stimolano la creatività e l’energia. Dovrebbero essere presenti in ogni ufficio e in ogni casa.
Infine, ricordiamoci che anche l’arte è un acceleratore di creatività. In questi giorni di quarantena si possono sfruttare i tour virtuali messi a disposizione da tanti musei, ma si potrebbe anche pensare di introdurre elementi artistici in casa, come fonte d’ispirazione. Perché la bellezza, in casa o in ufficio, non è mai abbastanza.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/Home-working_Copernico.jpeg10301359Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-04-08 12:50:052020-04-10 12:36:18Home Working: le nostre case sono pronte al lavoro da remoto?
I motivi di esclusione dalle cosiddette ICT, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, possono essere molteplici: la condizione economica, l’età, la mancanza di competenze digitali e la provenienza geografica
È importante non lasciare indietro nessuno, fornendo le stesse possibilità digitali a tutti, formando le persone all’utilizzo di questi nuovi strumenti e fortificando le skill di chi è già dentro il mondo digitale
In un momento delicato e di isolamento, come quello che sta attraversando da febbraio tutta Italia, le possibilità di connettersi con le persone care o di poter condividere un hashtag o una battuta per sdrammatizzare la situazione, rappresentano un barlume di speranza e stanno mettendo in risalto il lato più caloroso e orgoglioso del popolo italiano: ci si fa compagnia dai balconi e da tutte le terrazze e si organizzano contest sui social network, pur di non darla vinta a questo nemico invisibile.
Connessione è unione, e come recita il famoso detto “l’unione fa la forza”.
Il Digital Divide in Italia
Purtroppo oggi, ma anche in altri momenti, una parte della popolazione italiana non può accedere a questi servizi. Questa disuguaglianza sociale è conosciuta come Digital Divide e con una formula ormai standard, è possibile definirlo come “il divario esistente tra chi ha possibilità di accesso effettivo alla tecnologia e chi invece no, parzialmente o completamente”.
Secondo il Report dell’Istat“Cittadini e ICT” (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), pubblicato a dicembre 2019, la percentuale di famiglie italiane che dispongono di una connessione a banda larga è pari al 74,7%, mentre la percentuale degli individui che hanno utilizzato Internet, negli ultimi 3 mesi precedenti l’intervista, è pari al 67,9% (entrambi dati in crescita rispetto alla medesima rilevazione dell’anno precedente).
Indipendentemente dal numero o dalla percentuale, nel 2020 tutti dovrebbero avere accesso a questo genere di opportunità, colmando questo gap, in quanto il non poterlo fare comporta una serie di conseguenze negative su questa parte di popolazione, che possono essere sintetizzate in due enormi svantaggi:
il primo di natura culturale: si immagini di non poter ascoltare un interessante podcast, di non poter leggere un quotidiano digitale o di non conoscere gli ultimi trend sui social network (anche un meme ritrae l’attualità e l’attualità è cultura)
il secondo di carattere economico: dall’implementazione di una suite mail fino all’installazione di un repositor file condiviso con i colleghi, passando per tutti gli strumenti che rendono possibile lo smart working. Beh, le conclusioni in questo caso sono ancora più immediate.
I motivi di esclusione dalle cosiddette ICT, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, possono essere molteplici: la condizione economica, l’età, la mancanza di competenze digitali e la provenienza geografica.
Ad esempio, una delle categorie più colpite dal Digital Divide è la fascia che comprende i soggetti anziani (65+): questo fenomeno è anche conosciuto come “digital divide intergenerazionale”. Infatti tra le famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni, solo il 34,0% ha accesso a una connessione internet a banda larga.
Una sorta di paradosso se si pensa che una delle categorie che più avrebbe bisogno dei vantaggi del digitale, è quella che ne ha meno accesso.
Gli italiani e il mondo digitale
A sostenere l’importanza della connessione fra le persone, è un altro dato emerso dall’ultimo Report dell’Istat “Cittadini e ICT”, secondo cui i servizi di messaggeria istantanea rappresenterebbero le attività digitali più diffuse fra le famiglie italiane.
Indipendentemente dal device (smartphone, pc, tablet o wearable), le attività legate all’utilizzo di servizi di comunicazione, che consentono di entrare in contatto con più persone contemporaneamente, sono le più comuni, forse perché sono quelle che riescono a far sentire gli utenti come parte di un unico mondo: più di otto internauti su dieci hanno utilizzato, nei tre mesi prima della rilevazione Istat, servizi di messaggeria istantanea e circa il 64,5% ha effettuato chiamate via Internet.
A seguire in questa classifica sui servizi del web più utilizzati dalle famiglie italiane:
Lettura di informazioni e notizie (57,0%)
Intrattenimento (film, musica e/o giochi) (47,3%)
Home banking (46,4%).
Inoltre più della metà degli utenti di Internet (di almeno 14 anni) ha effettuato almeno un acquisto online: precisamente il 57,2%, pari a 20 milioni 403 mila persone.
Ora chi vuol provare ad immaginare questo periodo di isolamento domestico, senza la possibilità di connettersi ad una linea veloce internet? Questo vuol dire senza serie tv on demand, senza videochiamata multipla (un must di questo periodo), senza tutto quello che prevede una connessione con una certa potenza.
Si può partire da questo dato (Istat 2019): fra le famiglie che per scelta non hanno a casa una connessione a banda larga, la maggior parte indica come principale motivo la mancanza di capacità (56,4%) mentre il 25,5% di esse non considera Internet uno strumento interessante.
Osservando i dati del Report emerge che gli utenti (che invece hanno una connessione internet domestica) che hanno competenze digitali basse sono il 41,6%, di base il 25,8% e nulle il 3,4% (pari a 1 milione e 135 mila). Il 29,1% ha competenze digitali elevate.
Va ricordato che dal 2015 la Commissione Europea, in accordo con gli Istituti nazionali di statistica, ha definito un metodo per calcolare la qualità delle competenze digitali degli utenti. Infatti le capacità degli utenti devono corrispondere (con una graduatoria da 0 a 2) a quattro domini di competenza:
Information skill: identificare ed utilizzare di informazioni digitali
Communication skill: comunicare in ambienti digitali (attraverso strumenti digitali)
Problem solving skill: risolvere problemi tecnici, aggiornare le proprie e le altrui competenze.
Software skills for content manipulation: creare ed elaborare contenuti digitali.
Ad esempio per essere un utente con capacità digitali avanzate, bisogna ottenere un livello 2 per tutti i domini di competenza.
L’Italia sta percorrendo la strada della digital transformation, implementando le ultime tecnologie in molti campi professionali e nei servizi al cittadino.
Sarebbe altrettanto importante non lasciare indietro nessuno, fornendo le stesse possibilità a tutti, formando le persone all’utilizzo di questi nuovi strumenti e fortificando le skills di chi già fa parte di questo meraviglioso meccanismo tecnologico.
Anche chi ha competenze elevate può aiutare gli altri: forse ora è proprio il momento giusto.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/digital-divide-1.jpg593943Luca Maucionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maucione2020-04-03 16:30:532020-04-04 13:21:08Digital Divide e competenze digitali in Italia: a che punto siamo
Produttività individuale e produttività aziendale sono due universi che tendiamo a vedere (e a vivere) come elementi di una sommatoria;
Ispirandosi alle startup è possibile trovare i punti chiave e le strategie da adottare per diventare più produttivi in tutte le attività lavorative.
Avete presente quando eravate semplici studenti e, tornati dai colloqui scolastici, vostra madre vi rimproverava con la solita frase che ogni professore amava ripetere: “è intelligente, ma non si impegna?” Una cosa del genere potremmo associarla al concetto di produttività di un’azienda. In che senso?
Nella sua forma più elementare, il concetto di produttività è il rapporto tra la quantità prodotta in una data unità di tempo e i mezzi impiegati per produrla. Una definizione abbastanza semplice da capire, ma le strategie per ottimizzarla sono cambiate e si sono evolute negli ultimi due decenni. La tecnologia ha consentito enormi guadagni di produttività personale: computer, fogli di calcolo, email e altri progressi hanno reso possibile per un knowledge worker produrre apparentemente di più in un giorno di quanto in precedenza fosse possibile in un anno.
È allettante concludere che, se gli individui sono in grado di svolgere il proprio lavoro meglio e più rapidamente, la produttività complessiva, quindi aziendale, dovrà essere in forte aumento. Ma non è così. I dati del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti mostrano che, nonostante il boom tecnologico, la produttività complessiva del lavoro è cresciuta solo dell’1-2% all’anno. Con trilioni di dollari investiti durante questo periodo di tempo, è abbastanza alienante come risultato. Non è che forse ci stiamo concentrando sul tipo sbagliato di produttività e, a sua volta, sul tipo sbagliato di gestione?
Il paradosso della produttività sul posto di lavoro
La produttività aziendale è diversa dalla semplice somma della produttività personale. La maggior parte dei dirigenti ritiene che la produttività aziendale sia semplicemente la somma della produttività dei singoli dipendenti. Si sbaglia di grosso. Per migliorare davvero la produttività è necessario avere un livello di autocoscienza organizzativa per capire quale lavoro spinga effettivamente il valore della propria azienda e indirizzare, di conseguenza, i dipendenti verso questi compiti.
Produttività individuale
La produttività individuale può assumere significati diversi secondo ognuno di noi. C’è chi crede che essere produttivi significa portar a termine più compiti possibili in poco tempo. Chi crede sia semplicemente raggiungere i propri obiettivi personali. Ma in realtà può essere la somma delle due cose.
La produttività individuale sul posto di lavoro significa portare a termine compiti che ci avvicinano al raggiungimento degli obiettivi prefissati in modo tempestivo e aiutano a portare più equilibrio e semplicità nella propria vita lavorativa. Ogni azienda dovrebbe incoraggiare e rendere possibile la produttività individuale fornendo l’ambiente lavorativo e la tecnologia giusta. Raggiungere la produttività personale significa che i dipendenti hanno maggiore attenzione e sono in grado di produrre più risultati e più velocemente.
Produttività aziendale
La produttività aziendale viene anche definita produttività organizzativa e rientra nella sfera delle prestazioni aziendali. Abbiamo diversi termini per indicarla, ma non esiste una definizione precisa per descriverla.
Come per la produttività individuale, le definizioni organizzative variano. Alcuni credono che la produttività aziendale ruoti intorno all’efficienza e al lavoro svolto nel modo più smart possibile, mentre altri pensano che avvenga quando si bilanciano correttamente i maggiori profitti con un uso efficace delle risorse.
Al di là delle definizioni, ciò che conta, per un manager, è porsi questa domanda: quale lavoro porta valore all’azienda? I dipendenti possono essere altamente produttivi individualmente, ma una gran produttività individuale non è necessariamente convertibile come valore assoluto per l’azienda.
Come promuovere la produttività aziendale e quella personale?
L’attenzione alla produttività individuale è un obiettivo necessario perché significa avere dipendenti altamente coinvolti e felici, mentre l’attenzione alla produttività aziendale è ciò che rende le imprese competitive e sostenibili.
I dirigenti aziendali sono costantemente sotto pressione per aumentare la produttività e la crescita sul posto di lavoro, ottimizzando al contempo le loro risorse. Ovviamente le due tipologie di produttività non potranno mai essere in competizione, ma devono essere complementari. È chiaro che l’obiettivo deve essere quello di promuovere la produttività sia individuale che aziendale per offrire un vantaggio competitivo tanto necessario nel mondo degli affari.
Quindi da dove iniziare? Quali passi intraprendere per incoraggiare entrambi i tipi di produttività?
1. Passare ad una mentalità organizzativa
Gli atteggiamenti di chi è al capo di un’attività influenzano quelli di tutti gli altri. Bisogna smettere di pensare alla produttività a livello individuale, o di pensarci a livello di squadra. Abbiamo bisogno di una mentalità organizzativa e dobbiamo far in modo che ogni dipendente faccia lo stesso. La natura umana è un po’ egoista e si preoccupa solo di quali attività vengono svolte in un giorno o come fare per far raggiungere al proprio team gli obiettivi prefissati. Portare i propri dipendenti verso una mentalità organizzativa sarà un beneficio sia individuale che per l’intera azienda.
2. Utilizzare strumenti che consentono una visibilità totale della gestione del lavoro
Gli strumenti giusti aiutano a svolgere un lavoro nel migliore dei modi. E in questo caso, sono necessari strumenti che offrano una visibilità completa sul lavoro quotidiano svolto e sulla creazione o meno del valore. Sarà indispensabile un sistema di gestione e un modo per tenere traccia del tempo dei dipendenti in modo che tutti abbiano una comprensione migliore e più chiara delle attività quotidiane della propria azienda. Questa visibilità avrà un ampio impatto sulla struttura e sui processi aziendali.
3. Avere una comunicazione efficace
La necessità di visibilità ci porta ad avere una comunicazione efficace. Una comunicazione chiara ed efficace consente una maggiore visibilità. Se i dipendenti riferiscono regolarmente ai capi dipartimento e i team tengono riunioni regolari per discutere dei progressi sui progetti, allora tutti restano aggiornati e sanno cosa sta accadendo intorno a loro. Investire in strumenti di collaborazione, come app di comunicazione in tempo reale e software di gestione delle riunioni, per facilitare un migliore lavoro di squadra, comporterà una migliore produttività individuale e aziendale.
L’obiettivo finale, sebbene difficile da raggiungere, è una grande organizzazione in cui tutti i lavoratori hanno pieno contesto, strumenti e supporto per concentrare il loro tempo sui principali aspetti di valore dell’azienda. Ciò è entusiasmante non solo per gli effettivi guadagni di produttività che si tradurranno a livello organizzativo, ma anche per ogni dipendente che avrà finalmente un chiaro senso di ciò che conta e di come avere successo nel proprio ambito.
Una società saprà di aver raggiunto questo stato quando i guadagni di produttività personale si sommeranno a quelli aziendali.
Ispirazione startup: come incrementare la produttività aziendale
Se avete un’azienda già consolidata, ma credete sia fondamentale non smettere mai d’imparare, dovete assolutamente dare un’occhiata al modo di fare delle piccole startup. Come fanno a incrementare la propria produttività nel mondo competitivo delle aziende?
Le start-up più ambiziose lavorano, giorno dopo giorno, per raggiungere agilità, efficienza e innovazione a livello mondiale. Quella che segue è una lista di 27 punti, differenziati in base ai casi di utilizzo in cui vengono descritti processi e tecniche che hanno generato un aumento delle prestazioni in diverse imprese. Parliamo dei settori più disparati, da quello high-tech, a quello bancario, per poi passare da quello sanitario fino ai settori produzione e ricerca. Gli ambiti presi in considerazione sono 4:
1. Casi di utilizzo generale: aumentare le prestazioni in tutte le discipline attraverso comunicazioni più convenienti e organizzate meglio della posta elettronica.
2. Casi d’uso DevOps: per le aziende in cui la tecnologia è vitale per il successo, i casi d’uso DevOps accelerano lo sviluppo, aumentando al contempo qualità e affidabilità (comunicazione, collaborazione e integrazione tra sviluppatori e addetti alle operations della information technology).
3. Casi di utilizzo organizzativo: per le grandi organizzazioni, questi casi di utilizzo semplificano la collaborazione con un elevato numero di parti interessate.
4. Casi d’uso di automazione avanzata: quando c’è la necessità che i propri team lavorino con tecnologie all’avanguardia, considerare questi casi d’uso avanzati per raggiungere le massime prestazioni.
Consolidare i sistemi di messaggistica istantanea con un unico e moderno sistema progettato per raggiungere chiunque lavori in azienda o anche i clienti. Connettersi con chiunque, ovunque. Un singolo messenger riduce la ridondanza, semplificando al contempo la verifica della disponibilità, facilitando le chat di gruppo in tempo reale, inviando messaggi privati e comunicando in modo asincrono con chiunque e su qualsiasi dispositivo. Tutte le comunicazioni vengono archiviate per creare una cronologia persistente disponibile su tutti i dispositivi con funzionalità di ricerca istantanea e avvisi unificati.
2. Formazione per nuovi assunti
Invitare i nuovi assunti a unirsi ai canali chiave in modo che possano leggere rapidamente la cronologia delle chat e aggiornarsi da soli sui lavori e i progetti in atto. Una volta che un nuovo assunto si unisce a canali pertinenti, può rendersi conto del lavoro del team e capire rapidamente come interagisce e opera il proprio gruppo di lavoro.
3. Omologazioni e feed
Allo stesso modo, si può utilizzare la messaggistica per aiutare i revisori e i manager a valutare con precisione lo sviluppo di un progetto o un’iniziativa in un dato momento. Chi si occupa della revisione di un lavoro, potrebbe semplicemente rivedere i progressi compiuti leggendo la cronologia dei canali quando e dove vuole, secondi i suoi tempi.
4. Creazione di notizie e avvisi
È possibile creare canali autonomi per pubblicare e archiviare notizie e avvisi che vengono automaticamente pubblicati tramite bot o aggiunti manualmente dalle parti interessate.
5. Monitoraggio aziendale
Aumentare la consapevolezza e accelerare il processo decisionale collegando le applicazioni aziendali, come SAP o Oracle, ai canali di messaggistica in tempo reale per gli ultimi aggiornamenti. Ad esempio, è possibile trasmettere in streaming i report di vendita giornalieri per una specifica linea di prodotti attraverso aree geografiche in un canale per monitorare l’attività aziendale e porre domande agli stakeholder sull’azienda e avviare piani di reazione e ottimizzazione. Può essere fatto per l’assistenza clienti, per i social media e molte altre funzioni aziendali standard, facilmente gestibili canale per canale.
6. Gruppi specifici dell’argomento
Creare canali specifici per gruppi specifici in base agli argomenti in modo che le parti interessate possano facilmente condividere le informazioni pertinenti tra loro. Questi canali dedicati possono fungere da comunità in cui professionisti appassionati potranno apprendere e condividere le conoscenze reciproche discutendo suggerimenti e trucchi, informazioni sulle tendenze del settore, notizie su nuovi strumenti e gadget che supportano le funzioni lavorative e altro ancora. Ciascuno di questi canali potrebbe pullulare di dipendenti che parlano di come diventare più produttivi e più influenti nei propri campi. Come bonus aggiuntivo, i canali potrebbero anche essere utilizzati per organizzare eventi e incontri di team building.
DevOps Use Cases
7. ChatOps
ChatOps è un modo nuovo di lavorare che riunisce persone, strumenti e discussioni per aumentare la produttività e aiutare le aziende a muoversi più velocemente. Monitoraggio automatizzato, risoluzione del sistema con supervisione e analisi per massimizzare i tempi di attività e di efficienza. Fornisce maggiore affidabilità, tempi di risposta agli incidenti più rapidi e migliaia di ore di risparmio in termini di produttività.
8. Codifica sociale
Negli ultimi anni, il social coding è diventato un modello di grande successo nella comunità open source, in cui gli sviluppatori si incoraggiano reciprocamente a contribuire ai progetti più importanti. La messaggistica consente alle aziende di sfruttare internamente il potere della codifica sociale. Qualità, coerenza e velocità sono notevolmente migliorate quando gli sviluppatori possono richiedere e condividere in modo efficiente feedback su approcci tecnici.
9. War rooms
Quando si verificano le crisi, le persone sanno dove andare. Ciò consente di risparmiare tempo cruciale, consentendo alle aziende di riunire rapidamente team dinamici per raggiungere obiettivi specifici (es. come ripristinare la rete online).
10. Ops Theater
Durante un’interruzione critica, è fondamentale che gli stakeholder di un’azienda ne comprendano lo stato. In un’interruzione, i canali di messaggistica fungono da Ops Theater, dove gli ingegneri stanno lavorando per risolvere il problema mentre centinaia di parti interessate monitorano il canale di aggiornamento in tempo reale per fornire aggiornamenti ai clienti. Ops Theater offre una consapevolezza efficace, su larga scala e in tempo reale, all’interno di un’azienda da qualsiasi luogo e dispositivo.
11. NoOps
NoOps entra in gioco quando i team hanno implementato sistemi altamente automatizzati per operazioni, monitoraggio e ripristino. Quando si verificano interruzioni o i bug vengono identificati da un bot, un processo automatizzato esegue le procedure per il ripristino. La messaggistica consente alle organizzazioni di avvicinarsi a NoOps, passando da persone che monitorano attivamente macchine e flussi di lavoro, a robot che le monitorano, con persone che supervisionano i bot secondo necessità.
12. Hub di notifica
Le soluzioni di messaggistica open source sono completamente personalizzabili. È possibile integrare sistemi standard, personalizzati nell’interfaccia di messaggistica centrale per fungere da hub di notifica e allo stesso tempo ottimizzare i flussi di lavoro. Ciò comporta una riduzione del “rumore” da un panorama di comunicazioni ingombro eliminando il rischio di mancate notifiche.
13. Osservazione e coaching
Le piattaforme di messaggistica sono anche strumenti preziosi per la gestione delle prestazioni dei team. Invece di dover faticosamente intervistare i membri del team, i manager e altri esperti possono usare i loro messaggi per esaminare i flussi di lavoro ai fini di osservazione e coaching. Ciò avvantaggia la trasparenza. I manager possono utilizzare una piattaforma di messaggistica con una cronologia persistente per rivedere occasionalmente le cronologie delle chat e diagnosticare problemi di comunicazione per migliorare i processi in futuro. La piattaforma può anche essere utilizzata per valutazioni e coaching sia formali che informali, fornendo feedback in tempo reale.
Casi di utilizzo organizzativo
Questi casi d’uso condividono esempi di come i canali di messaggistica possono essere utilizzati per semplificare le comunicazioni per scopi diversi.
14. Progetti
Creare canali dedicati per progetti specifici e invitare tutti i membri e le parti interessate a partecipare. In questo modo, tutti coloro che sono coinvolti sanno dove si svolgono le discussioni e dove sono archiviati i file e le altre risorse pertinenti.
L’idea in più è quella di organizzare riunioni e facilitare le discussioni apertamente, all’interno del canale e direttamente sulla piattaforma. Ciò consente di risparmiare tempo che sarebbe speso per rispondere alle richieste o riferire su aggiornamenti o altre tipologie di notizie. I partecipanti alla riunione possono controllare il canale a loro piacimento per vedere che cosa ha fatto l’intero team. I manager possono imparare quali sono i problemi che possono frenare i lavoratori e tutto in tempo reale.
15. Team e sottogruppi
Creare canali per ciascun team e ciascun sotto-team che collaborano a un progetto. I sottogruppi consentono conversazioni efficaci e specifiche per il team secondario. I nuovi assunti possono anche unirsi ai canali del team per aggiornarsi rapidamente su cosa si sta lavorando.
16. Canali di discussioni
La creazione di canali per argomenti di discussione specifici, per esempio, un canale sull’intelligenza artificiale, o un canale che facilita le discussioni sul marketing degli sviluppatori.
Funzionano allo stesso modo delle chat room basate su argomenti, ma aggiungono il vantaggio della comunicazione in tempo reale. I partecipanti possono porre domande urgenti a un pubblico di esperti coinvolti e appassionati che possono quindi rispondere immediatamente.
17. Occhio alla geografia
Ogni azienda ha un team distribuito i vari parti del mondo, che siano persone che lavorano in sede, ma anche da casa o che si collegano con il resto del team da una caffetteria. Può essere utile utilizzare una piattaforma di messaggistica per riunire i dipendenti in regioni geografiche simili, creando canali per ogni posizione. Questa funzionalità è utile per eventi di rete o memo amministrativi. I nuovi arrivati possono anche vedere facilmente cosa sta succedendo nelle vicinanze e unirsi.
18. Riunioni
Le riunioni non sono necessariamente produttive. Tutti devono viaggiare dal punto A al punto B e arrivarci contemporaneamente. Si possono spostare le riunioni per risparmiare tempo, aumentare il coinvolgimento e migliorare la produttività. Come? Si può impostare un canale specifico per una riunione ricorrente, pubblicare i nuovi argomenti sul canale prima dell’inizio della riunione, in modo che i dipendenti abbiano il tempo di porre domande.
19. Help Desk
La piattaforma di messaggistica può essere utilizzata per aiutare i lavoratori a imparare come fare tutte le operazioni. Creare un canale di Help Desk esclusivo per indirizzare ad esso tutti i dipendenti. In questo modo, ogni volta che qualcuno non è sicuro di come agire o ha una domanda su argomenti o sistemi particolari, saprà esattamente dove andare. Successivamente, si possono raccogliere tutte le informazioni per compilare un documento FAQ.
20. Outsider Onboarding
Usare la piattaforma di messaggistica per far accedere un consulente, o un membro del team in visita ogni volta che è necessario un aiuto esterno, mettendoli su un piano di parità con il resto del team. Invitare il consulente a entrare temporaneamente in un canale pertinente in modo che possa leggere cosa sta succedendo prima di offrire i propri consigli e iniziare il proprio lavoro. Una volta terminato il lavoro del consulente, ne si può limitare l’accesso.
Casi d’uso di automazione avanzata
21. Monitoraggio dei problemi chiave
Creare bot per monitorare sistemi o altre code per determinate parole chiave e far filtrare automaticamente le informazioni alle persone giuste al momento giusto. Utilizzare la messaggistica sul posto di lavoro per individuare problemi specifici nei sistemi, ad esempio, bug critici. In questo modo i dipendenti verranno avvisati solo quando è necessario.
22. Notifiche
La messaggistica sul posto di lavoro può essere utilizzata per notificare automaticamente ai team i principali eventi di sistema e altri errori. I bot possono pubblicare automaticamente queste informazioni, consentendo ai dipendenti di concentrarsi su altre attività. Si possono creare bot per intensificare i problemi che potrebbero essere stati persi. Come avvisare i team leader se nessuno risponde a un problema/notifica entro un tot di tempo.
23. Domande e risposte automatizzate
Creare un bot che fornisca automaticamente informazioni su uptime, statistiche di sistema e record basati su ID o attributi. Così i dipendenti chiedono al bot e quest’ultimo risponde automaticamente. Questa funzionalità è particolarmente utile per le discussioni in chat. Nessuno deve lasciare la piattaforma per rintracciare le informazioni di cui necessita.
24. Rimedio automatizzato
Utilizzare i bot per riparare automaticamente i servizi e informare le parti interessate su ciò che è accaduto. Ad esempio, un bot può rilevare errori in base alle notifiche in un canale specifico e riavviare automaticamente un servizio senza richiedere input umani. Il risanamento automatico è un altro modo per recuperare i tempi aumentando la produttività e garantendo una migliore esperienza utente.
25. Aggiornamenti di sistema in linea
I bot possono anche essere usati per trasformare messenger in un’interfaccia di chat per ticketing e altri sistemi di stato del lavoro. Gli utenti possono digitare semplici comandi per aggiornare direttamente i ticket all’interno del proprio strumento di chat. Un ulteriore vantaggio derivante dall’impostazione degli attributi in linea è che tutti possono, in seguito, vedere la cronologia delle operazioni, proprio nella cronologia della chat.
26. Diagnostica
Creare un bot e usare la messaggistica sul posto di lavoro per eseguire la diagnostica e pubblicare i risultati quando richiesto. Questi possono riferire in base a un orario programmato o possono essere attivati su richiesta dell’utente. Questa funzionalità è utile sia per il monitoraggio di routine che per la risoluzione dei problemi.
27. Verificare lo stato di salute
I bot possono anche segnalare gli stati del sistema all’interno della piattaforma di messaggistica, fornendo collegamenti a dashboard pertinenti. Ciò è utile per controlli a campione e iniziative di automazione in corso per assicurarsi che tutto funzioni in modo ottimale e come progettato.
L’epidemia ci ha costretti a fermarci ma anche ad accelerare, per dare una risposta nuova alla sfida della produttività da casa;
Smart working, telelavoro, videoconferenze ed eLearning sono diventati gli strumenti più utili per fronteggiare l’emergenza e hanno dato una scossa alla digital transformation.
È venerdì mattina e come ogni venerdì mattina suona la sveglia, ma è venerdì e sorridi pensando al weekend, al carnevale. Davanti al primo caffè della giornata, come di consueto, apri il tablet controlli l’agenda del lavoro e quella personale, poi apri un quotidiano online per i soliti aggiornamenti tra economia, cultura, sport e cronaca.
Il Coronavirus è argomento che tiene banco da qualche tempo, preoccupa, in parte inquieta ma Wuhan è distante. Tante polemiche, tanto razzismo, tanta disinformazione, tanti luoghi comuni.
Pensi a come la loro economia stia risentendo di una situazione da film apocalittico, di come le persone siano obbligate a non uscire e a non avere contatti, a come le aziende abbiano modificato le loro organizzazioni per continuare a produrre, non cedendo allo stato di immobilismo creato dal virus stesso.
Per un attimo ribalti la situazione di Wuhan qua, per un attimo fai un parallelismo, come gestiremmo la situazione qui in Italia?
Inizi a pensare a delle soluzioni ma ti fermi, non è qui.
Non è così.
Venerdì 21 Febbraio 2020
È venerdì 21 febbraio, mattina, il Coronavirus, non più distante, è a pochi km da te.
In un attimo cambia tutto.
La notizia si diffonde, inizia il tam tam mediatico in pochissimo tempo si parla di contagi che salgono, ospedali al collasso, zone rosse, zone gialle, quarantena, isolamento, chiusura di uffici, scuole, esercizi pubblici.
Si blocca la provincia di Lodi, in poco tempo si blocca la zona metropolitana di Milano, si blocca una regione si blocca una nazione.
Evitare gli assembramenti! Provvedimento doveroso, precauzionalmente corretto ma le conseguenze sono altrettanto importanti.
L’economia italiana, in generale, è composta primariamente da piccole e medie aziende (anche di grandi aziende, in minoranza). Nella zona del primo focolaio, il lodigiano, l’economia è composta primariamente da aziende legate all’agricoltura.
La Lombardia traina gran parte dell’economia italiana insieme alle altre regioni del nord, anche loro rallentate, fermate.
Come affrontare uno stop così pesante? Come garantire continuità lavorativa?
Le persone entrano nel panico, non vogliono raggiungere il posto di lavoro, non prendono i mezzi pubblici, anzi è il governo che invita tutte le imprese a fermarsi, invita le persone a non uscire di casa.
Stop. Fermiamoci. Ma il nord produttivo, come dicono spesso, si sa non si ferma.
Non si ferma per mentalità, per orgoglio, per deformazione professionale perché il passato agricolo legato al sacrificio è sempre vivo.
Non si ferma la produttività, intendiamoci, nel rispetto delle regole imposte dal governo.
Ecco che l’emergenza virus diventa un’occasione da cogliere, se il virus blocca gli spostamenti e svuota gli uffici, la tecnologia è pronta per essere messa sotto stress e diventare essa stessa virale.
Ecco che in meno di due giorni, il weekend per intenderci, cambia la mentalità, cambia la prospettiva. Parte la rivoluzione culturale.
Perché la digital transformation è innanzitutto questo, cambiare prospettiva.
E quale occasione migliore se non un’emergenza di questo tipo, per poter assimilare e interiorizzare un cambio culturale che stavamo faticando a recepire?
Nei settori produttivi ove ciò è possibile.
In un weekend le aziende attivano in poco tempo:
Smartworking
Telelavoro
Task force tramite chat
Videoconferenze
Si creano VPN, desktop remoti, si configurano pc, si testano connessioni lo si fa in estrema naturalezza e non lo fanno solo i manutentori delle infrastrutture IT lo fanno direttamente le risorse interne alle aziende, quelle che nella quotidianità non hanno mai creato un tunnel vpn.
Perché la digital transformation parte dalla consapevolezza interna delle persone, dall’accettazione del cambiamento come naturale, dalla presa di coscienza che certe digital skill si apprendono anche senza averle già nel proprio background, che una volta apprese aprono le porte al cambiamento e la tecnologia ci segue, si adatta a noi e non viceversa.
Al fine di limitare i contatti e gli assembramenti i datori sono invitati ad attivare, velocemente, la modalità di lavoro smartworking anche in assenza di accordo individuale (DPCM 11 Marzo 2020).
È importante la continuità lavorativa in un momento così difficile per evitare che le aziende vadano in crisi.
Secondo l’art. 2, c.1, lett. r) del DPCM 8/03/2020, è possibile applicare lo smart working, senza ricorrere all’accordo di cui alla Legge 81/2017, per tutta la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020. Lo stato di emergenza dovuto a coronavirus, ha una durata di 6 mesi decorrenti dal 31 gennaio 2020. Ne consegue che il termine ultimo per la durata degli smart working non può essere superiore al 31/07/2020 (ossia la scadenza dei 6 mesi).
Salva la deroga dell’accordo individuale, rimangono tutti gli altri adempimenti legati all’attivazione dello smart working individuati dalla Legge 81/2017.
Al fine di semplificare questo adempimento, vista la particolarità del periodo in corso, il DPCM 8/03/2020 prevede che quest’obbligo “possa essere assolto in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile dall’INAIL”. Invece l’accordo individuale può essere sostituito con una semplice lettera da consegnare ai lavoratori e da un file excel. Quest’ultimo va inoltrato al Ministero del lavoro con la procedura telematica (Fonte: lavorofacile.it).
Formazione aziendale/professionale a distanza
In un periodo di limitata mobilità e di riduzione del contatto sociale la formazione tradizionale, in aula, viene messa da parte per lasciare spazio alla formazionein modalità e-learning.
Consulenti del Lavoro, Commercialisti e professionisti in genere che necessitano di formazione aggiornata e costante possono continuare a formarsi, anche in questo momento difficile. Possono fare rete, porre quesiti e confrontarsi con gli esperti del settore e dare quindi continuità al loro lavoro e risposte alle aziende.
Non solo formazione per l’aggiornamento professionale normativo, ma anche formazione per sviluppare le digital skill, ora che oltre ad apprenderle, si possono da subito provare direttamente sul campo.
Riunioni vietate, ma call e meeting online sono forse gli strumenti che da più tempo fanno parte della nostra routine lavorativa.
È possibile organizzare e partecipare alle riunioni in un click via web.
Sono tool davvero molto evoluti, che vanno ben oltre la semplice telefonata, si possono condividere schermi e lavorare su documenti a più mani, da più pc.
Cloud
Il cloud, i nostri dati dove e come vogliamo i server online ci salvano in questo periodo di difficoltà.
Le informazioni organizzate in un unico punto, raggiungibile anche all’esterno dell’aziende, permettono una corretta circolazione delle informazioni e un processo lavorativo continuo e condiviso.
Le software house che hanno investito in questa direzione stanno oggi dando un servizio di valore aggiunto, aiutando i loro clienti a recuperare documentazione e a condividerla in libertà e sicurezza (da qualsiasi dispositivo).
Tele-assistenza
In un momento così delicato l’utilizzo di strumenti di teleassistenza consente alle aziende di potersi affiancare ai propri clienti dando supporto tecnico e pratico senza la presenza fisica dell’operatore.
La configurazione di un pc, di un server può avvenire a distanza così come il supporto sui macchinari.
Scuola Online
Le scuole di ogni genere e grado sono chiuse. Le università sono quelle che da tempo hanno adottato strumenti di distance learning e, quindi, quelle che in meno tempo e con un minor sforzo hanno potuto dare continuità alla didattica.
Discorso differente per primarie, medie e superiori.
Ogni scuola si è organizzata autonomamente, chi con video su YouTube, chi con video sui social, chi con Skype ma c’è chi ha osato utilizzando strumenti evoluti quali Google Classroom o WeSchool di Tim.
La scuola online è un tema delicato, spesso gli studenti della primaria necessitano di un affiancamento costante di un adulto che molto probabilmente sarà accanto al figlio, in smartworking e quindi impegnato nella sua attività lavorativa.
Il nostro sistema scolastico è pronto per essere digitalizzato ma, forse non è pronto per organizzarsi in così poco tempo.
Le Università da diversi anni utilizzano sistemi di insegnamento a distanza, con ottimi risultati e con soddisfazione alta degli utenti.
Primarie, medie e superiore hanno più che altro sperimentato pillole di insegnamento online, per un periodo limitato ma mai per un periodo di emergenza così prolungato nel tempo (salvo piccole eccezioni).
Grazie alle iniziative promosse dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e l’Agenzia per l’Italia digitale, è stata creata una bellissima iniziativa denominata “solidarietà digitale” attraverso la quale le aziende, privati e associazioni mettono a disposizione servizi tecnologici gratuiti per affrontare al meglio l’emergenza.
Tra questi servizi si annoverano anche strumenti per la didattica a distanza, utili anche per le scuole di grado inferiore.
Il 26 Marzo la minstra dell’Istruzione Azzolina, ha affermato che la didattica ha distanza ha raggiunto più di 6,7 milioni di alunni e che il 67% delle scuole che hanno attivato l’attività a distanza, prevede per essa specifiche forme di valutazione.
L’89% delle scuole ha anche predisposto attività e materiali specifici per gli alunni con disabilità. Il 48% delle scuole ha svolto riunioni degli organi collegiali a distanza. Per spingerla ulteriormente sono stati stanziati 85 milioni (Fonte: Ilsole24ore).
Scuola online digital transformation coronavirus
Solidarietà digitale
Alla luce degli aggiornamenti contenuti nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, che amplia le zone soggette a restrizioni per le misure di emergenza sanitaria a contrasto della diffusione del Coronavirus (SARS-CoV-2), MID e AGID hanno trovato un accordo aziende e associazioni per consentire a queste ultime di mettere a disposizione servizi gratuiti utili a:
Agevolare il lavoro da remoto, con connettività veloce e attraverso corrette piattaforme di Smart working;
Promuovere la didattica a distanza nelle scuole (su consiglio del MIUR);
Permettere lo svolgimento della vita quotidiana come: fare la spesa, attività sportiva, vita politica o religiosa;
Permettere la lettura di libri e quotidiani tramite smartphone o tablet.
A questa iniziativa possono partecipare tutte le aziende, che erogano servizi digitali, da fornire gratuitamente per un periodo limitato di tempo a tutta la popolazione.
Tutti i cittadini italiani possono usufruire dell’iniziativa.
I medici si stanno attrezzando per contattare virtualmente i pazienti in quarantena domiciliare, per poterli assistere anche a distanza, soprattutto in un momento in cui la sanità è al collasso e tutto il personale medico sanitario è impegnato h24 per affrontare l’emergenza.
La tecnologia ci viene incontro anche per istituire task force tra medici, scienziati e ricercatori. Analizzare i dati del contagio, attraverso evoluti sistemi di Intelligenza Artificiale, aiuterà gli addetti ai lavori a comprendere come il virus muta e si comporta e per prevedere quali cure sono più efficaci.
Come riporta il Mise, partono i nuovi incentivi previsti dal Decreto #CuraItalia per la produzione e fornitura di dispositivi medici e di protezione individuale per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19.
In tutto 50 milioni di euro per sostenere le aziende italiane che vogliono ampliare o riconvertire la propria attività per produrre ventilatori, mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza.
Si tratta di risorse che, rientrando nel regime degli aiuti di Stato, sono state autorizzate in meno di 48 ore dalla Commissione europea, dopo che la scorsa settimana il Ministero dello Sviluppo economico aveva immediatamente notificato alla Ue la misura introdotta nel Dl Cura Italia, in modo da consentirne un veloce utilizzo.
Problemi di Connessione
La viralità della DT ha certamente evidenziato evidenti problemi di stabilità della connessione, di copertura della connessione sul territorio nazionale e di saturazione delle reti dati.
Le nostre reti non erano pronte ad uno smart working forzato e di massa.
Secondo una ricerca della giornalista Manuela Gabbanelli, circa 11 milioni di italiani si trovano a lavorare da casa in assenza di connessione.
Questo è un tema importante e cha va affrontato subito. Essere pronti a remotizzare il lavoro passa anche da connettività efficaci ed efficienti.
In questo l’Italia sembra essere ancora indietro rispetto agli altri paesi europei.
Il commissario UE per il mercato interno per evitare il sovraccarico di rete, ha alle piattaforme di streaming video di non utilizzare l’alta definizione in questo periodo. Netflix ha risposto riducendo la definizione dei suoi contenuti per circa 30 giorni, lo stesso ha fatto Youtube.
La viralità non convenzionale della digital transformation
L’Italia in questa emergenza si è dimostrata pessima per alcuni comportamenti irrispettosi e irresponsabili ma, come sempre, ha mostrato il suo lato creativo e pragmatico.
Sono nate differenti iniziative che hanno portato la digitalizzazione e la tecnologia in settori dove la socialità e l’aggregazione sono il punto forte.
Ristoranti o servizi di ristorazione
Le attività di ristorazione, bar, locali sono stati duramente colpiti dalle misure restrittive, emanate dal Governo, e si sono attivate per trovare nuove modalità di lavoro.
Menù smartworking, ordina su whatsapp e ricevi il tuo smartlunch a domicilio, chiusi al pubblico attivi direttamente da te: queste alcune delle iniziative intraprese da bar, ristoranti e locali.
La consegna? Rigorosamente con guanti, mascherina e distanza di sicurezza.
Supporto psicologico online
Iniziativa di Luca Mazzucchelli per dare supporto alla prima zona rossa del lodigiano, quelli che sono stati subito “chiusi” per 15 giorni al fine di contenere il contagio.
Un utile supporto per chi ha visto cambiare la sua vita in poco tempo.
Sport online
Palestre e centri sportivi chiusi, ma l’allenamento non è compromesso!
Sono numerose le iniziate legate alle lezioni online, ai workout personalizzati, alle sessioni di allenamento via skype, zoom ecc.
I coach analizzano le attrezzature a disposizione e creano il corretto mix di esercizi. Il tutto diventa virale, perché la socialità fisica è inibita, ma la socialità virtuale no.
Ecco che quindi i centri sportivi spingono a condividere l’allenamento, a mostrarsi attivi nonostante il virus tenda invece a collocarci sul divano.
Spesa OnLine
Qui nulla di nuovo ma solo un’impennata di richiesta di consegne a domicilio che hanno stressato il sistema portandolo in alcuni casi al collasso. Esselunga, Amazon, Carrefour e Bennet ecc si sono trovate subissate di richieste.
Quando cambiamento vuol dire digital transformation
La grave situazione di emergenza sanitaria che si è abbattuta sull’Italia ha rivoluzionato, in poco tempo, il tempo di vita e il tempo di lavoro di tutti gli italiani. Ha però evidenziato quanto siamo capaci di adattarci velocemente ai cambiamenti, sfruttando la tecnologia in modo attivo e non passivo.
Questo passaggio mostra un forte cambio culturale, quello necessario per intraprendere il percorso di digitalizzazione.
Nella crisi ci siamo trasformati, abbiamo appreso nuove skill digitali ci siamo evoluti e se il virus ci ha chiuso nelle nostre case (#iorestoacasa) la tecnologia ci ha aperto verso nuove frontiere. Verso un nuovo modo di lavorare.
In un modo o in un altro, usciremo da questa crisi cambiati.
Certamente la tecnologia non avrà aiutato la maggior parte delle attività che hanno un contatto, quasi esclusivo, con il pubblico. Il danno economico rimane, quello non si cancella ed è anche grande.
Il governo deve vigilare e intervenire subito, con interventi reali a sostegno dell’economia, delle imprese e delle famiglie.
L’Europa deve fare cerchio su questa situazione, tutelare il mercato interno, tutelare le persone.
Gli altri siamo noi, non solo uno spot ma una vera attualità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/man-using-laptop-on-table-against-white-background-257897.jpg12632102Elisa Bonatihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElisa Bonati2020-03-31 10:17:382020-04-06 16:20:25Il Coronavirus ci obbliga ad accelerare e così la digital transformation diventa virale
MSD Italia si schiera al fianco delle Istituzioni italiane con la donazione di tecnologie e strumenti che consentono il monitoraggio, il trattamento e il controllo dei pazienti cronici da remoto per un valore di mercato fino a 1,5 milioni di euro.
“Come ricordato dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro – ha dichiara Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore di MSD Italia – se vogliamo che la curva dei contagi scenda, dobbiamo fare in modo che le misure di distanziamento sociale funzionino anche grazie al supporto fondamentale che le nuove tecnologie di telemedicina e tecno-assistenza sono in grado di garantire grazie alla possibilità, per il paziente, di farsi curare da casa”.
Gli strumenti per fronteggiare l’emergenza
L’emergenza sanitaria creata dalla pandemia del coronavirus sta generando una serie di pericolosi corollari, tra i quali la difficoltà di accesso alle strutture ospedaliere e territoriali da parte dei pazienti, soprattutto quelli più fragili, anziani, cronici e con comorbidità. Difficoltà di accesso che riguardano anche la medicina generale, primo punto di ingresso dei pazienti italiani alle prestazioni e servizi sanitari, come più volte segnalato sia dalla FIMMG che dalla SIMG.
Ma oltre alla difficoltà di accesso, c’è un aspetto ancor più grave. È il sacrificio di tante vite umane – trentanove tra medici specialisti e di famiglia – vittime del contagio da coronavirus.
Strumenti come il telemonitoraggio domiciliare, il consulto a distanza, il video consulto – come recentemente dichiarato dal Segretario Generale Nazionale della FIMMG Silvestro Scotti – possono servire a fermare questa strage. La criticità dei sistemi di telemonitoraggio domiciliare e di tecnoassistenza è stata opportunamente rilevata anche dal progetto “Innova per l’Italia”, recentemente lanciato dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano, insieme al Ministro dello Sviluppo EconomicoStefano Patuanelli, al Ministro dell’Università e Ricerca Gaetano Manfredi e a Invitalia, a sostegno della struttura del Commissario Straordinario per l’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri.
La donazione nasce da una peculiarità distintiva del Gruppo MSD Italia al cui interno opera la società Vree Health, azienda leader nella progettazione, sviluppo e commercializzazione di servizi innovativi e soluzioni di Connected Health per migliorare la qualità di vita e la salute dei pazienti.
Le piattaforme, le app e i kit di telemonitoraggio con device certificati consentono soluzioni di Disease Management in grado di assistere il paziente cronico e supportare il medico nel monitoraggio costante dello stato di salute e nella migliore gestione delle condizioni cliniche.
“MSD Italia – prosegue Nicoletta Luppi – ha deciso di rispondere alla call for action del Governo con un atto di responsabilità sociale che è nel DNA della nostra Azienda. Vogliamo offrire un contributo distintivo e coerente con le richieste del nostro Governo e annunceremo presto i primi soggetti istituzionali beneficiari della nostra donazione. Il contributo che MSD Italia intende offrire non si esaurisce con questa significativa donazione che rappresenta solo il primo sprint di una ‘maratona di donazioni’ per testimoniare la vicinanza della nostra Azienda al Sistema Paese in questa grave situazione di emergenza sanitaria, sociale ed economica”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/msd-italia.jpg499947Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-03-27 16:36:092020-05-04 16:50:59MSD Italia dona tecnologie e strumenti per supportare le Istituzioni Italiane nell’emergenza COVID-19
Il 41% delle aziende analizzate nel report “The 2019 State of Digital Marketing” pubblicato da Altimeter afferma che la skill più richiesta in ambito di assunzione è l’analisi dei dati
Più del 60% conferma di studiare in profondità il Customer Journey per implementare strategie basate sulla personalizzazione del messaggio e customizzazione dei prodotti
Il 32% dei consumatori intervistati da PwC ammette che per abbandonare un brand – anche se molto apprezzato – può bastare anche una sola brutta esperienza
Tra Generazione Y, Millennial, Gen Z e i nuovi Centennial, i marketer si trovano ad affrontare quotidianamente una evoluzione continua e rapida del proprio target di riferimento. Questo significa che, insieme all’età dei consumatori, cambiano anche loro i gusti e le loro richieste.
Per questo studiare il comportamento degli stessi è fondamentale per riuscire ad elaborare una strategia di Marketing basata su degli Insight reali ma soprattutto puntuali. Proprio da qui nasce il concetto di Insight-driven Marketing, che in realtà è basato su un’altra specifica strategia ovvero il Data-driven Marketing.
Consiste nell’utilizzare i dati sulle abitudini di consumo e le informazioni sugli utenti – raccolti in precedenza tramite attività di Social Listening, ad esempio – per ottimizzare le strategie di comunicazione sul digital o, in casi più complessi, guidare decisioni importanti come può essere il lancio di un nuovo prodotto.
Secondo il report “The 2019 State of Digital Marketing” pubblicato da Altimeter, il 41% delle aziende analizzate afferma che la skills più richiesta in ambito di assunzione è appunto l’analisi dei dati.
Inoltre, più del 60% conferma di studiare in profondità il Customer Journey per implementare strategie basate sulla personalizzazione del messaggio e customizzazione dei prodotti.
I vantaggi nell’utilizzare tecniche di Insight-driven Marketing si riscontrano soprattutto in un aumento della soddisfazione da parte dei consumatori, che di conseguenza sono maggiormente propensi ad essere più fedeli al Brand.
Senza una buona base di dati non si va da nessuna parte
Come accennato all’inizio dell’articolo, per poter lavorare con questo impianto strategico è fondamentale partire dal dato: per avere degli Insight utili per elaborare creatività funzionali, i marketer devono prima analizzare e comprendere i dati che hanno a disposizione.
Non parliamo ovviamente di dati di puro contatto, ma dati demografici, istruzione, interessi, stile di vita, esperienza professionale: tutto può essere utile per estrapolare una strategia in grado di colpire nel segno.
La quantità di informazioni che si possono reperire sul consumatore è davvero immensa, per questo saperla organizzare e ordinare è altrettanto importante. Esistono DMP (ovvero Data Management Platforms) – come ad esempio Lotame, Clearbit e la più famosa Oracle Data Cloud – pensate proprio per facilitare i marketer in questo compito.
Dalla parte dell’utente per migliorare la sua Customer Experience
Una ricerca condotta da PwC dal titolo “Experience is Everything” riporta che in tutto il mondo il livello di qualità dell’esperienza di consumo è fondamentale per guidare gli utenti nella loro Customer Journey.
Il 32% dei consumatori, infatti, ammette che per abbandonare un brand – anche se molto apprezzato – può bastare anche una sola brutta esperienza. Inoltre, il 63% degli intervistati dichiara di essere più propenso a condividere informazioni personalicon Brand che offrono una esperienza customizzata in base alle loro esigenze.
Un dato molto importante che emerge da questa ricerca è che, ovviamente, il target che maggiormente apprezza questo tipo di personalizzazione della Customer Experience è la Generazione Z.
Una ricerca condotta da Walker nel “lontano” 2013, infatti, prevedeva già che nel 2020 proprio il livello di qualità della Customer Experience sarebbe stato l’elemento chiave della differenziazione del brand rispetto ai competitor, superando addirittura il prezzo del prodotto o servizio stesso.
Oggi più che mai, i consumatori si aspettano che i Brand comprendano nel profondo le loro esigenze, anche a livello individuale. Per compiere queste aspettative, per i marketer è imprescindibile basarsi sull’Insight-driven Marketing.
McKinsey & Company riporta che il Marketing personalizzato può aumentare le vendite totali di un prodotto del 15-20% – dato che aumenta per le vendite online – migliorando significativamente il ROI sulla spesa di Marketing.
Dalla parte del Brand per uno sviluppo di prodotto più avanzato
L’Insight-driven Marketing non solo è fondamentale per migliorare la Customer Experience, ma può aiutare i Brand nello sviluppo di un nuovo prodotto o nella definizione di un nuovo servizio.
Quando un prodotto non si adatta alle esigenze dei consumatori, infatti, le probabilità che il lancio sul mercato sia fallimentare sono molto alte: riuscire a raccogliere in una prima fase di sviluppo informazioni e insight reali sul target di riferimento permette di ridurre significativamente queste possibilità di fallimento.
Ma proviamo ora a pensare al Digital Sales Funnel e a come il giusto contenuto, nella giusta fase, riesca a guidare più facilmente i potenziali consumatore verso il processo finale di conversione.
Non sono proprio gli Insight ad aiutare i marketer a produrre il contenuto perfetto? Esattamente. Grazie all’analisi dei dati è possibile identificare quali specifici contenuti stanno performando meglio e quali ottengono feedback non in linea con il desiderata, riuscendo così ad ottimizzare le campagne di comunicazione.
Dalla parte dei marketer per la comunicazione online
Sono molti i Brand che basano sull’Insight-driven Marketing le loro strategie di comunicazione, come ad esempio Apple, Nike o Spotify.
Tra le più recenti, possiamo trovare la campagna natalizia di Hotels.com “Xmas Excape” che ha avuto un grande successo in Inghilterra.
Il brand ha condotto una ricerca basata su oltre 7000 Millennial in tutto il mondo, in 20 Paesi, approfondendo in particolare le conversazioni che avvengono all’interno delle famiglie durante il periodo delle vacanze di Natale. Dalla ricerca emerse che i Millennial single erano vittime di fastidiosi interrogatori sulla loro vita sentimentale e lavorativa da parte dei loro parenti durante il pranzo natalizio.
Il risultato di questo studio ha ispirato la campagna “Xmas Excape” nella quale Hotels.com ha concesso ai Millennial una “via di fuga”offrendo il 50% di sconto sugli hotel a partire dal 26 Dicembre, per godersi un po’ di tempo da soli e riprendersi dal traumatico pranzo di Natale con i parenti.
Emma Tagg, Senior Global Brand Communications Manager di Hotels.com, ha commentato così l’idea della campagna:
“La ricerca ci ha permesso di identificare il momento esatto in cui i Millennials desideravano fuggire dal Natale in famiglia, e i motivi principali per cui la gente viveva il periodo festivo come un dramma familiare”.
Concludendo, i marketer oggi hanno accesso più che mai a dati e informazioni sui loro consumatori: riuscire a sfruttarli per l’implementazione di strategie di Insight-driven Marketing può rivelarsi un vero vantaggio competitivo per riuscire a differenziare il proprio brand dalla concorrenza.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/insight-driven-marketing.jpg634864Daniela Chiorbolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniela Chiorboli2020-03-23 17:17:332020-03-25 22:46:29Insight-driven Marketing: che cos’è e perché è la chiave per il successo
“Non torneremo alla normalità. Questa è la nuova normalità”. Mi cade l’occhio sull’oggetto dell’ultima newsletter del MIT Technology Review. È vero, in queste settimane abbiamo cambiato radicalmente come lavoriamo, come ci alleniamo, come compriamo, socializziamo ed educhiamo i nostri figli. Alcune cose torneranno come prima, ma altre forse no.
YouTube ha annunciato una serie di cambiamenti alla luce della pandemia, tra cui il fatto che da ora e fino a tempo indeterminato saranno principalmente dei sistemi automatizzati e non più degli esseri umani ad autorizzare o a rimuovere contenuti dalla piattaforma.
“Con l’evolversi di COVID-19, stiamo facendo del nostro meglio per supportare chi guarda, crea e monetizza contenuti su YouTube. Molte delle nostre risorse umane sono impossibilitate a lavorare come al solito, quindi ridurremo lo staff in alcuni uffici. Visto che ora sono disponibili meno persone per valutare e filtrare i contenuti, è il momento per i nostri sistemi automatizzati di fare il loro dovere e garantire la sicurezza di YouTube”.
Via la componente umana, in quarantena. Al suo posto, algoritmi ed intelligenze artificiali.
Chi lavora nel digitale si è posto almeno una volta nella vita la domanda “Quando arriverà la singolarità tecnologica?”. Quale sarà la killer application, l’intelligenza artificiale rivoluzionaria che cambierà la civiltà umana così rapidamente al punto da dare il via a scenari incomprensibili ed ineffabili per le generazioni precedenti? Quand’è che i robot pervaderanno gli ambiti di consumo, di esperienza, di vita e di lavoro?
No, era un’altra la domanda che dovevamo farci. E cioè: “Quale sarà il seme della singolarità? Cosa dovrà avvenire affinché la singolarità tecnologica possa ottenere il giusto terreno fertile per la sua inevitabilità?”.
Come sarà la singolarità
La singolarità è sempre stata vista come un punto di non ritorno nella storia dell’uomo, una cesura, un punto di partenza da collocare in un futuro più o meno lontano. Ma quello che sta succedendo in queste settimane prelude ad uno scenario diverso: la singolarità non sarà un dispiegamento nuovo, una rivelazione o un’epifania. La singolarità sarà la conseguenza inevitabile di un seme originale ed unico, di una tempesta tanto “perfetta” quanto rara. Più che un punto di partenza, la singolarità sarà un punto di arrivo ineluttabile – a condizione che se ne verifichino le giuste condizioni.
E ci siamo arrivati, ci voleva un virus che creasse una pandemia senza precedenti. Un virus in grado di piegare il mondo sulle ginocchia in una ola verso il basso, un’onda non di esultanza ma di distanza sociale. Un virus-cigno nero che ci fa evocare scenari distopici in cui veniamo privati di libertà personali e relazionali. Per riprendere il titolo di questo articolo: no, non è la singolarità ad essere arrivata ma il suo seme. Credo questa sia la precondizione necessaria alla singolarità, ad una nuova era in cui le AI obbligheranno il genere umano a seguirle in una strada incognita ed inesorabile.
Per far arrivare la singolarità è forse necessario passare da questa tappa obbligata in cui ci troviamo oggi, in cui l’espressione delle nostre libertà pubbliche, la soddisfazione dei nostri bisogni primari e la gratificazioni di tutti i desideri privati sono possibili in maniera crescente solo grazie alla tecnologia. Una tecnologia via via sempre più scevra e autonoma dalle componenti umane, in grado di dematerializzare quante più dinamiche possibile.
Come dice il futurologo Kevin Kelly, la tecnologia è un gioco infinito: un gioco il cui unico obiettivo è quello di continuare a giocare. E in questi mesi a venire la tecnologia si andrà sempre più ad inserire nei vuoti creati dal distanziamento sociale, da questo allentamento – seppur solo fisico e tangibile – della maglia relazionale del mondo. Un distanziamento di cui oggi nessun paese può prevedere con esattezza la fine. In questi mesi, la tecnologia si comporterà come un liquido che si insinua tra le fughe dei mattoni, ricostruendo le connessioni fisiche mancanti con la sua linfa digitale.
Mi chiedo quante persone in questi giorni si siano convertite per la prima volta agli acquisti online, impauriti da file piene e scaffali vuoti ma disposti ad incontrare una sola persona, un corriere umano con guanti e mascherina. E poi mi chiedo quanto questo scenario velocizzerà il lancio a vasta scala dei robot di delivery urbana.
Mi chiedo quanti allestitori di eventi fisici finiranno inevitabilmente a progettare mondi immersivi per la realtà virtuale e quanti invece finiranno sul lastrico.
Mi chiedo quanti negozianti restii ai POS invocano ora pagamenti cashless e dematerializzati – spaventati dal possibile contagio tramite banconote.
Quanti cinema siano stati chiusi e quante case di produzione stanno decidendo di trasmettere le premiére dei film direttamente in streaming a casa delle persone.
Quanti autisti di Uber stiano soffrendo il contraccolpo della pandemia sulla gig economy e quanti invocano le auto a guida autonoma come soluzione fondamentale per il sistema di trasporti.
Mi chiedo quanti stiano capendo che la sharing economy non ruota affatto intorno alla condivisione, ma intorno alla dialettica hegeliana servito – servitore. Nelle parole di Lauren Smiley di Wired, “Nel nuovo mondo in cui tutti è on demand, o fai parte di un’elite servita, riverita e isolata – o sei uno schiavo del 21esimo secolo”. L’effetto della pandemia sulla gig economy è solo questo: mostrarne le profonde disuguaglianze alla base per capire come e se correggerle: Airbnb ha deciso di rimborsare tutti i clienti che disdicono una prenotazione nelle prossime settimane; gli host non subiranno penali di cancellazione, ma dovranno rinunciare a quello che fino a ieri era un loro flusso di ricavi costante.
Tutto questo per ribadire che la precondizione per l’arrivo della singolarità è proprio quello che sta avvenendo adesso: il mondo, i suoi legami, i suoi consumi e le sue esperienze vanno prima digitalizzati il più possibile, affinché le AI e le tecnologie autonome possano iniziare a presidiare quanti più meandri della nostra vita. È questa la vera rivoluzione digitale, la più efficace spinta mai vista prima all’alfabetizzazione digitale mondiale. Serviva un darwiniano “di necessità virtù”.
Il nuovo coronavirus dimostra anche come le grandi aziende del tech, anche se disgiunte, abbiano davvero in mano gli snodi critici ma pratici della nostra vita. Pensate alla capillarità distributiva di un kit di testing distribuito da Amazon Prime, al real time del Safety Check di Facebook, alla potenza investigativa dei grafi sociali di LinkedIn ed Instagram per ricostruire le catene dei contagi, alla geolocalizzazione dei nostri spostamenti tramite Google o la rete cellulare. Questa è anche l’opportunità per le aziende del tech di dimostrarci che coi dati possono anche fare del reale, etico e civico bene comune – non solo costruire Custom Audience.
Cosa può allentare la nostra percezione della privacy? Forse proprio la volontà di sopravvivenza personale e dei nostri cari può farci cambiare idea sui dati che siamo disposti a cedere ad aziende e governi. Immaginiamo un mondo in cui per imbarcarci su un aereo dovremo essere registrati ad un servizio che traccia i nostri spostamenti tramite telefono. La compagnia aerea non spierà i nostri percorsi, ma potrebbe essere allertata se sei stato vicino a persone infettate o luoghi ad alto contagio. Potrebbero esserci requisiti simili all’ingresso di grandi eventi, uffici pubblici o stazioni.
Scanner di temperatura ovunque, datori di lavoro che richiedono il monitoraggio della temperatura corporea ed altre metriche vitali. Un mondo in cui per entrare nei locali non ti sarà chiesto un documento di identità ma un documento di immunità – magari validato da blockchain. Ci adatteremo ed accetteremo di buon grado misure del genere, proprio come ci siamo adattati a regole di sicurezza più stringenti negli aeroporti dopo gli attacchi terroristici.
Oggi, come allora, ci sentiamo come dentro un film. Poco dopo l’11 settembre Baricco scriveva “La ripetiamo [questa frase] perché lì dentro stiamo cercando di pronunciare una paura ben precisa, una paura inedita, mai avuta prima: non è il semplice stupore di vedere la finzione diventare realtà: è il terrore di vedere la realtà più seria che ci sia accadere nei modi della finzione”. In virtù di questo terrore un’eventuale sorveglianza tecnologica fino a ieri intrusiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare in cambio della basilare libertà di poter stare con altre persone.
Nel libro The New Digital Age: Reshaping the Future of People, Nations and Business,Erich Schmidt insieme all’executive manager di Google Jared Cohen scrivevano: “Quello che Lockheed Martin è stato per il ventesimo secolo, aziende tecnologiche e di cybersecurity come Google lo saranno per il ventunesimo”. Che lo scenario della Vita 3.0 ipotizzata da Max Tegmark sia positivo grazie alle Friendly AI – o negativo e apocalittico, la profonda alterazione delle strutture sociali così come sta avvenendo oggi apre la strada ad inedite integrazioni uomo-macchina.
Invece che aspettare noi la singolarità, dovevamo realizzare che era la singolarità ad aspettare il suo evento scatenante.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/singolarità.jpg548944Aikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAiko2020-03-20 13:18:592020-03-24 11:55:54La singolarità è arrivata senza avvisare (e non è come la immaginavamo)
Quello di Digital Workplace è un concetto in evoluzione, che parte da alcune definizioni chiave basate non solo sulla tecnologia, ma anche sulle connessioni tra le persone;
da Jeff Bier a Jane McConnell, ecco le principali teorizzazioni su quella che deve essere prima di tutto una strategia organizzativa.
Sempre più spesso si sente parlare di Digital Workplace (DWP), ma cosa si intende esattamente con questa espressione? La traduzione letteraria, “luogo di lavoro digitale”, ci aiuta poco a catturarne il concetto; e allora, di cosa stiamo parlando quando parliamo di Digital Workplace?
La definizione di Digital Workplace
La prima definizione ha cercato di darla Jeff Bier (fondatore di Edge AI & Vision Alliance, partnership industriale che comprende oltre 50 aziende tecnologiche leader con l’intento di fornisce agli ingegneri hardware e software il know-how pratico di cui hanno bisogno per integrare efficacemente la tecnologia di visione integrata nei loro progetti), nei primi anni Novanta. Bier ha delineato cinque criteri del DWP:
favorisce l’apprendimento e l’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici;
è “contagioso”, ovvero favorisce il coinvolgimento delle persone delle diverse funzioni organizzative;
è al di sopra delle barriere geografiche perché grazie alla tecnologia permette di lavorare da ogni luogo;
è integrato e completo: ogni comunicazione, dato e informazione deve essere raccolta, distribuita e accessibile;
è connesso e diffuso a tutte le persone dell’azienda.
Oltre la dimensione tecnologica
Successivamente, andando oltre alla mera dimensione tecnologia, Martin White (amministratore delegato di Intranet Focus Ltd., consulente di strategia di ricerca e gestione delle informazioni aziendali, nell’articolo Digital workplaces:Vision and reality del 2010) suggerisce altri cinque criteri per definire il DW:
deve essere in grado di adattarsi ai continui cambiamenti nelle organizzazioni;
deve fornire soluzioni conformi alle leggi e alle regolamentazioni, quindi nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente;
favorisce la creatività offrendo un ambiente e modi alternativi per lavorare e stimolare l’innovazione;
deve essere predittivo, cogliendo in anticipo le esigenze delle persone e delle organizzazioni;
White suggerisce inoltre il che il DWP non possa essere definito sulla base di ciò che è, ma piuttosto di quello che consente di fare: completare un’attività, condividere informazioni e lavorare come parte di una team in maniera totalmente indipendente dal luogo in cui si trovano le persone.
Il framework del DWP
Un’altra definizione è quella di Jane McConnell, analista franco-statunitense. In seguito alla raccolta di dati provenienti da numerosi studi e analisi in tutto il mondo, nel report del 2017, The Organization in the Digital Age, delinea un framework che evidenzia il DWP come ecosistema di piattaforme e servizi aziendali che permettono alle persone di lavorare, collaborare, comunicare, sviluppare servizi e prodotti per servire al meglio i clienti, facilitando creatività e innovatività, l’attrazione di talenti e il consolidamento dell’Employer Branding.
Foundational Framework 2017, The Organization in the Digital Age, Jane McConnell
Il Foundational Framework di Jane McConnell illustra l’intersezione di persone, spazi di lavoro e tecnologia nel Digital Workplace, in cui anche la cultura organizzativa, le pratiche, le prassi e i comportamenti devono essere analizzate se si vuole operare per un Workplace Design efficace.
L’importanza delle connessioni e della leadership
Con approccio simile, Kristine Dery e Ina M. Sebastian del MIT Sloan Center for Information Systems Research con Nick van der Meulen dell’università di Amsterdam, nell’articolo del 2017, The Digital Workplace Is Key to Digital Innovation, presentano il DWP come l’insieme delle disposizioni fisiche, culturali e digitali che facilitano le attività all’interno dell’ambiente di lavoro complesso, dinamico e spesso non strutturato. La loro definizione sottolinea due dimensioni fondamentali del DWP: la connessione tra persone e la “leadership reattiva”.
La prima dimensione consiste nel grado di interazione che le persone posso avere fra loro, con i clienti, con fornitori e partner, con le informazioni, le conoscenze e le idee. Il focus è dunque sulla comunicazione digitale e fisica, da incoraggiare e facilitare tramite tre fattori: il fattore tecnologico (che consiste nell’introduzione delle ultime soluzioni tecnologiche); il fattore sociale (la cultura della collaborazione e della condivisione); il fattore spaziale (disegnando spazi fisici aperti, flessibili e basati sulle attività, con lo scopo di supportare la collaborazione e creare nuove connessioni interpersonali).
Mentre, la seconda dimensione si riferisce alla misura in cui il management dà priorità alle attività che si focalizzano sullo sviluppo e sul miglioramento continuo dell’Employee Experience, aspetto che include la creazione nuove policy e norme comportamentali di cui la leadership deve farsi promotrice: la leadership organizzativa assume su di sé il ruolo di sostenere l’utilizzo di nuove tecnologie e di innovativi approcci al lavoro grazie a meccanismi di apprendimento sistemico e continuativo (per mezzo di data driven e evidence based management e una comunicazione che renda proficuo il collegamento tra gli obiettivi strategici e il Workplace Design).
Ancora l’aspetto della cultura organizzativa è preponderante nell’articolo pubblicato da Harvard Business Review, How to create a digital workplace (2016), in cui Paul Miller, fondatore e CEO del Digital Workplace Group (partnership di aziende di consulenza, aziende private e istituti pubblici per il design degli ambienti di lavoro) definisce il DWP per mezzo di tre caratteristiche principali:
il Workplace non è un luogo – in quanto l’attività lavorativa si può svolgere in luoghi, ambienti e momenti diversi ogni giorno;
l’ambiente di lavoro è dunque digitale, non fisico;
ed infine la produttività è misurata sulla base degli obiettivi raggiunti non sulla presenza sul luogo di lavoro, e dunque richiede una cultura e un management results-based e non process-based.
Nel manuale Digital Workplace Strategy & Design: A step-by-step guide to an empowering employee experience, Berg e Gustafsson definiscono il DWP come un ambiente da progettare con un approccio mirato e olistico che metta al centro l’utente. Anche loro sostengono la necessità di non concentrarsi eccessivamente sulla tecnologia, ma che, al contrario, sia imprescindibile l’analisi e la comprensione del l’intero ambiente di lavoro dal punto di vista della persona, al fine di progettare il Workplace in maniera tale che l’ambiente possa risultare stimolante: ciò richiede una strategia organizzativa comune nella definizione degli spazi, oltre che coordinamento e controllo.
Le caratteristiche del DWP
Altro contributo interessante è quello di Susan Petra Williams e Schubert dell’Università di Koblenz-Landau (in Germania), le quali, nell’articolo Designs for the Digital Workplace, prendono in esame le definizioni di Digital Workplace maggiormente utilizzare da professionisti e studiosi.
L’analisi ha portato ad evidenziare quindici caratteristiche comuni del DWP, raggruppate in tre categorie:
la strategia organizzativa e il design;
le persone e il lavoro;
la piattaforma tecnologica (vedi tabella sotto).
Nella prima categoria, il DWP è visto come una strategia organizzativa coordinata, pianificata e orientata al futuro. La si definisce una strategia coordinata in quanto deve essere pianificata e progettata in coerenza con le altre strategie di gestione aziendale e le più importanti regolamentazioni, come ad esempio le leggi a tutela dei dipendenti e dell’archiviazione di dati e informazioni. Deve essere progettata in maniera tale che fornisca sia il giusto comfort, sia le condizioni per consentire lo sviluppo della piattaforma tecnologica al fine di supportare il lavoro collaborativo e flessibile.
Caratteristiche del Digital Workplace
Il DWP si trova dunque all’intersezione tra la le persone, l’organizzazione e la tecnologia, ed è duttile e capace di adattarsi ai nuovi requisiti e alle nuove tecnologie future dell’organizzazione.
Un concetto in evoluzione
Ciò che viene evidenziato dal passare in rassegna i tentativi di definizione, è che il concetto di Digital Workplace sia ancora troppo in evoluzione per poter essere definito in maniera precisa e definitiva. L’ambiente di lavoro digitale è un’entità non semplice da racchiudere in quanto comprende sia l’ambiente fisico che quello digitale, con tutte le opportunità ma anche le criticità che ciò comporta.
Nel prossimo articolo, analizzeremo quali approcci, strategie e metodologie di design siano più adatte per far sì che il Workplace per le organizzazioni nell’era digitale risponda ai requisiti necessari e apporti valore all’azienda e all’esperienza quotidiana delle persone.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/digital-workplace-definizione.jpg474918Adriano Solidorohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAdriano Solidoro2020-03-16 10:39:512020-03-18 19:31:36Cosa si intende per Digital Workplace e quali sono le sue caratteristiche
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