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IKEA, Coca-Cola e McDonald’s: 5 campagne estive per lasciarti ispirare

Le campagne estive sono un modo utile ed efficace per i marchi per rendersi visibili alle persone, potenziali clienti e affezionati, e attirare l’attenzione del pubblico in modi nuovi ed entusiasmanti.

Per questo spesso sono caratterizzate da un approccio creativo che permette loro di diventare memorabili.

Eccone alcune tra le più interessanti degli ultimi anni, raccolte qui per trovare l’ispirazione anche quando il conto alla rovescia verso il digital detox è già iniziato.

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Campagne estive: Coca-Cola Open for Summer

Nel 2021, Coca-Cola ha incoraggiato il pubblico, attraverso l’uso della poesia, a dare il benvenuto agli amati passatempi estivi.

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Le bottiglie di Coca-Cola e di Coca-Cola Zero Sugar presentavano brevi poesie che evocavano il senso di riunirsi per godersi l’estate. Questa campagna di marketing estiva è stata l’occasione per molte persone che avevano bisogno di alleggerirsi un po’, visto che l’anno precedente la possibilità di godersi l’estate insieme era stata resa impossibile a causa della Covid-19.

Le 24 poesie di Cola-Cola facevano riferimento ad attività come le gite in spiaggia con la famiglia, le grigliate in giardino e le gite al cinema.

Ricordavano alle persone di vivere la vita con i propri cari per l’estate e di creare ricordi insieme partecipando ad attività semplici, ma preziose.

In occasione del lancio della campagna, Melissa Schwartz, direttore di Coke & Meals, aveva dichiarato: “L’anno passato ha privato tutti delle opportunità di stare insieme ai propri cari, quindi questa iniziativa sembra quasi una ri-celebrazione dell’umanità. L’estate è un momento di gioia e di unione, e questo sentimento si è intensificato nel 2021 più che in qualsiasi altro anno a memoria recente“.

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Le librerie IKEA sulla spiaggia

Memorabile campagna estiva “Books on the Beach” di IKEA del 2010.

La campagna si basava sulla celebrazione di una delle loro librerie simbolo, BILLY, che quell’anno compiva 30 anni. IKEA allestì la propria libreria all’aperto sulla famosa spiaggia di Bondi, in Australia, attirando centinaia di persone.

La biblioteca sulla spiaggia offriva una gamma di libri tra cui scegliere; l’iniziativa prevedeva che si potesse scegliere un libro per sé e scambiarlo con uno già in possesso, facendo una donazione. Tutti i proventi sono stati devoluti alla Australian Literacy and Numeracy Foundation.

L’iniziativa non solo incoraggiava le persone a leggere e a scambiarsi le storie, ma poteva contare anche su una buona causa.

La campagna estiva di marketing ha avuto un enorme successo, anche perché le librerie BILLY di IKEA sono uno dei mobili moderni di maggior successo commerciale. Nel 2019 il Times ha riportato che sono state vendute più di 110 milioni di librerie Billy dal loro ingresso sul mercato e questa attività estiva ha incrementato notevolmente le vendite.

Walkers and Doritos: Only on holiday

campagna estiva doritos e walker

In questo caso parliamo di una collaborazione fra brand: la campagna di marketing estiva “Only On Holiday” è stata lanciata con il tour operator easyJet.

La campagna ci porta in viaggio in diverse destinazioni di vacanza in tutto il mondo, dove i vacanzieri sono incoraggiati a concedersi un po’ di svago mentre sono all’estero. Lo spot ricorda in modo giocoso il divertimento che può derivare dai viaggi.

Fernando Kahane, senior marketing director di Walkers, ha dichiarato: “Offrire ai britannici la possibilità di vincere un pacchetto vacanze ogni ora, per 90 giorni, è stata di gran lunga una delle nostre promozioni on-pack più grandi ed eccitanti di sempre“.

La campagna estiva è stata perfettamente in linea con i tempi, dato che il 2022 è in effetti il primo anno in cui i cittadini hanno potuto viaggiare liberamente all’estero. Lo spot celebra il ritorno delle vacanze. Ispirando le persone ad acquistare una confezione di Walkers e Doritos e a concedersi una vacanza tanto desiderata.

Campagne estive: una doccia Sprite human-size

Questa sì che è creatività.

Sprite ha davvero alzato l’asticella del livello delle campagne di marketing estive con l’idea di offrire ai frequentatori delle spiagge di Tel Aviv e Rio De Janeiro una doccia veloce nel distributore di bibite Sprite a grandezza umana.

sprite

Dopo aver fatto la doccia, alcuni ambassador di Sprite hanno anche regalato loro una bottiglia gratuita della bevanda. Come si può non avere fatto una buona impressione quando il brand ha soddisfatto tutte le esigenze dell’estate?

L’ombra di McDonald’s

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Individuare un cantuccio all’ombra nel caldo del calore estivo può regalare sensazioni fantastiche. McDonald’s lo ha reso possibile creando cartelloni pubblicitari “unici” per le fermate degli autobus.

Tendine verticali che si chiudono quando i sensori di movimento rilevano la presenza di persone sotto la pensilina, mostrando un annuncio che presenta le offerte speciali dedicate all’estate. Ecco come si raggiunge il target in modo davvero originale (e utile)!

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Al Giffoni si parla di mobilità elettrica e sostenibilità con Stellantis

Lasciare alle future generazioni un mondo più pulito  grazie alla strategia di elettrificazione che faciliterà il passaggio progressivo alla mobilità elettrica. Questo il focus sulla sostenibilità della Impact di Stellantis e-Mobility e Ds Automobiles all’interno della rassegna Giffoni Next Generation di Giffoni Innovation Hub.

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Gli speaker di Stellantis, Gabriele Catacchio, Head of Global e-Mobility Communication, e Simona Magnarelli Lifestyle, Digital & Premium Brands Pr Manager Ds Automobiles, hanno coinvolto gli under 30 in un vero e proprio viaggio verso la sostenibilità.

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La strategia per la mobilità elettrica è sensibilizzare i più giovani

La partnership con Stellantis e la sua presenza al Giffoni Film Festival confermano l’interesse e l’impegno dell’ecosistema Giffoni sulle tematiche legate alla transizione ambientale e alla sostenibilità.

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Allo stesso tempo riconoscono all’e-Mobility Business Unit del Gruppo Stellantis il ruolo da protagonista in fatto di elettrificazione e di strategie pensate per dare un forte contributo al raggiungimento della Carbon Neutrality nel 2038. Tutto grazie alla promozione della mobilità elettrica tra i giovani che, durante la Impact, non sono stati semplici auditori, ma coprotagonisti di un dibattito incentrato sulle nuove frontiere di una mobilità più sostenibile.

A chiudere il cerchio è DS Automobiles, nota per la capacità di utilizzare le tecnologie più sofisticate e avere, in soli cinque anni, presentato una gamma interamente elettrificata.

Ancora troppo poche le auto elettriche in Italia

La sfida per l’elettrificazione e la mobilità elettrica è in corso: dal 2019, le vendite globali di auto elettriche sono praticamente raddoppiate di anno in anno. Tutto questo anche grazie alla presenza di eco-incentivi che, ora ripristinati in Italia, porteranno a un ulteriore incremento per il 2022.

Ma non è ancora abbastanza.  Basti pensare che in Italia la percentuale di auto elettriche rispetto al totale delle auto vendute non ha superato il 3,6% nel 2022.

Una sfida da vincere, dunque, il cui risultato finale dipenderà dalla capacità di sensibilizzare le nuove generazioni spingendole a ‘sposare’ per prime la mobilità sostenibile come stile di vita.

Metaverso: cos'è e possibili applicazioni presenti e future

Metaverso: cos’è e possibili applicazioni presenti e future

A descrivere per la prima volta il concetto di metaverso è stato Neal Stephenson nel suo romanzo Snow Crash scritto nel 1992, dove del metaverso veniva fatta una descrizione distopica e non positiva. Il contributo alla popolarità del concetto è poi arrivato anche grazie al romanzo Ready Player One di Ernest Cline, in seguito trasformato in un film diretto da Steven Spielberg.

A farlo diventare un termine sempre più familiare però, possiamo dire essere stata la decisione di Mark Zuckerberg che nell’ottobre 2021 ha cambiato il nome Facebook, uno dei più popolari social network al mondo, trasformandolo in Meta.

La società infatti, come è stato più spesso dichiarato, punta molto allo sviluppo del metaverso e per la crescita dello stesso, ha già scelto di sostenere investimenti di diversi miliardi di dollari. Il cambio di nome rappresenta dunque solo un dettaglio rispetto ad un percorso decisionale basato su una nuova visione di Zuckerberg progettata per “dare vita al metaverso”, come spiega lo stesso fondatore del social network in una lettera aperta.

Ma cosa si intende esattamente quando si sente parlare di metaverso?

Un metaverso è un universo 3D virtuale e digitale formato dalla fusione di vari tipi di spazi virtuali, dove persone reali comunicano tra loro e vivono esperienze attraverso i loro avatar, ovvero delle ricostruzioni di se stessi con cui mostrarsi, interagire e costruire comunità virtuali. Possiamo affermare che il metaverso è una realtà che in qualche misura le persone possono “vivere”. Il metaverso è infatti un mondo virtuale che imita aspetti del mondo fisico, utilizzando molteplici tecnologie come la realtà virtuale (VR), la realtà aumentata (AR), l’intelligenza artificiale, i social media e la valuta digitale.

Nonostante il metaverso sia un mondo virtuale, è però bene chiarire come per l’utente che vi accede l’individualità sia sempre mantenuta e come al suo interno sia garantita la continuità dei dati ad esso legati, come:

  • oggetti
  • identità
  • diritti
  • interazioni
  • pagamenti
  • cronologia

Altro concetto fondamentale da comprendere e legato al metaverso è quello della proprietà. Relativamente al metaverso non esiste nessun singolo fornitore che possiede lo spazio, tuttavia sempre relativamente al concetto di proprietà, al suo interno è possibile acquisire delle proprietà, con tanto di atto digitale che garantisca il possesso, ma le transazioni che avvengono all’interno di un metaverso hanno luogo attraverso l’utilizzo di token non fungibili (NFT) e valute digitali.

Intanto questa semplice ma esaustiva descrizione apre le porte alla domanda successiva che è bene porsi per comprendere pienamente il concetto di metaverso: quali sono le possibili applicazioni presenti e future?

Alcune applicazioni del metaverso sono ben spiegate nella lettera aperta scritta da Zuckerberg in cui racconta: “Nel metaverso, sarai in grado di fare quasi tutto ciò che puoi immaginare – stare insieme con amici e familiari, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare – oltre a esperienze completamente nuove che non si adattano molto al modo in cui pensiamo computer o telefoni oggi. Abbiamo realizzato un film che esplora come un giorno potresti usare il metaverso”.

Zuckerberg, nella sua lettera, continua evidenziando come l’uso del metaverso possa tradursi in un ottenimento di vantaggi nell’ambito della vita professionale ma anche legati alla sostenibilità ambientale: “In questo futuro sarai in grado di teletrasportarti istantaneamente come ologramma per essere in ufficio senza fare il pendolare, a un concerto con gli amici o nel soggiorno dei tuoi genitori per recuperare il ritardo. Questo aprirà più opportunità, non importa dove vivi. Potrai dedicare più tempo a ciò che conta per te, ridurre il tempo nel traffico e ridurre la tua impronta di carbonio”.

Il metaverso ha molteplici potenzialità, sono infatti già molte le imprese che lo hanno compreso e che in questo mondo virtuale stanno già presenziando e investendo, sfruttando le potenzialità degli NFT, ovvero i token non fungibili, un elemento legato imprescindibilmente al metaverso e includendo l’NFT Marketing nelle proprie Digital Strategy.

Ma per capire di cosa si sta parlando quando ci si riferisce agli NFT ecco una breve descrizione per meglio comprendere questo concetto e cosa questo comporta: i token non fungibili o NFT rappresentano un elemento fondamentale del metaverso e si basano sulla stessa tecnologia blockchain che viene usata dalla criptovaluta. Questo significa che quando si parla di NFT si può intendere diverse cose come un’opera d’arte, una canzone o un immobile digitale e possedendo un NFT si ha come un contratto digitale attraverso cui si può provare la proprietà di un determinato bene.

Per quanto riguarda le prospettive future di questo mondo virtuale, lo sviluppo del metaverso avverrà attraverso il perseguimento di un obiettivo chiaro: ottenere un’interazione sempre più “materiale”. Affinché questo possa avvenire entrano in gioco diversi fattori e strumenti legati allo sviluppo del metaverso e sui quali si punterà per la crescita dello stesso. Tra questi troviamo: i device, la domotica, il lavoro, l’intrattenimento, i social media, la realtà aumentata. L’ottimizzazione di tutti questi elementi è funzionale a rendere l’interazione sempre più “materiale” è sarà la chiave per l’evoluzione del metaverso e la crescita degli utenti coinvolti.

Le tecnologie del metaverso

Il metaverso è abilitato da molte tecnologie diverse, come VR, AR, AI, 5G, 3D, cloud computing vocale, edge computing, blockchain, strumenti software, app, piattaforme e hardware. Tutti mezzi utili ed essenziali affinché gli utenti possano essere in grado di imitare aspetti del mondo fisico durante la loro permanenza nel mondo virtuale e possano avere una tutela a livello di sicurezza.

Ecco un esempio di come queste tecnologie saranno impiegate nello sviluppo del metaverso:

  • Il trasferimento di valore, la credibilità e l’archiviazione dei dati all’interno di un metaverso sarà convalidato dalla Blockchain.
  • La visualizzazione 3D di oggetti e l’interazione in tempo reale sarà consentita dall’AR.
  • Un’esperienza sensoriale sarà offerta grazie alla realtà virtuale.
  • Interazioni illimitate e integrazioni senza interruzioni dei dati saranno possibili grazie a intelligenza artificiale, apprendimento automatico e IoT.
  • Creare spazi virtuali realistici e dall’aspetto naturale sarà possibile grazie alla ricostruzione 3D.

Alcune di queste tecnologie sono più accessibili, come nel caso dell’implementazione AR per cui è necessario solo un dispositivo abilitato alla fotocamera, ma altre tecnologie, come nel caso della realtà virtuale, richiedono apparecchiature più costose come schermi multimodali e HMD. Nel futuro è possibile che nel Metaverso si impieghi una combinazione di diverse tecnologie  chiamata Extended Reality (XR), ovvero tre insiemi di tecnologie diverse che coinvolgono:

  • Realtà Virtuale (VR) dove gli utenti sono completamente immersi in un’esperienza sintetica.
  • Realtà aumentata (AR) dove gli utenti interagiscono  con il mondo fisico attraverso una sovrapposizione digitale.
  • Mixed Reality (MR) dove gli utenti interagiscono con il mondo fisico e quello virtuale.
metaverso web 3d

Immagine estratta da weforum.org

 

Riguardo all’uso di questi dispositivi sono state fatte delle stime, che ci aiutano a comprendere come potrebbe crescere l’uso del metaverso. Secondo queste stime pubblicate su bitkraft.vc in pochi anni si prevede che le spedizioni di cuffie per realtà estesa supereranno le vendite di console di 20 milioni di unità.

metaverso av vr

Immagine stratta da bitkraft.vc

Le competenze richieste

A conferma dell’enorme potenziale del metaverso si aggiunge anche Citi, la banca d’investimento afferma che vede un enorme potenziale nel concetto di realtà estesa e  in un rapporto, afferma che il metaverso rappresenta un’opportunità potenziale da 8 trilioni a 13 trilioni di dollari entro il 2030 e che potrebbe vantare fino a 5 miliardi di utenti (stima che include una base di utenti di telefoni cellulari. Se il metaverso è limitato ai dispositivi VR/AR, si prevede che il pubblico sarà più vicino a 1 miliardo.)

Visto le prospettive future, le aziende di tutto il mondo saranno quindi sempre più interessate al metaverso e per questo saranno competenze molto specifiche quelle ricercate dalle imprese e per cui i candidati dovranno farsi trovare pronti.

Tra le competenze più ricercate troviamo:

  • Modellazione 3D e Design, fondamentali per offrire esperienze agli utenti all’altezza delle aspettative e il più possibile vicine alla realtà. Concettualizzare, prototipare e costruire gli ambienti che gli utenti del metaverso esploreranno e  gli oggetti così come gli avatar con cui interagiscono saranno competenze essenziali per ottenere risultati ottimali;
  • Programmazione computer, per offrire esperienze nuove e coinvolgenti. Le competenze di programmazione saranno sicuramente skill molto apprezzate tra le aziende che desiderano essere all’avanguardia nello sviluppo del metaverso;
  • Sviluppo VR/AR. Per la costruzione di interfacce più coinvolgenti e per puntare all’obiettivo di colmare il divario esistente tra il mondo reale e quello virtuale, la realtà virtuale e la realtà aumentata giocheranno un ruolo molto importante, perciò le skill in questi ambiti seppur non essenziali per il metaverso sono certamente consigliate;
  • Blockchain / Ingegneria NFT: con l’uso della blockchain si potrà creare un’infrastruttura distribuita e decentralizzata per costruire mondi sotto il controllo dei loro proprietari, mentre creare asset unici o in edizione limitata sarà possibile grazie agli NFT, attraverso cui si potrà anche avere una prova della proprietà rispetto ad un bene;
  • Competenze sui dati, saper analizzare ogni dato, come quelli estrapolati dal comportamento degli utenti sarà fondamentale per la creazione di esperienze in linea con le aspettative degli utenti ed in grado di soddisfare ogni necessità;
  • Progettazione UI/UX per garantire che l’interfaccia utente (UI) sia naturale e che l’esperienza utente (UX) sia intuitiva, divertente e gratificante;
  • Project Management per lo sviluppo di esperienze coinvolgenti che saranno possibili grazie a diverse skill grazie a cui sarà possibile gestire un progetto nel metaverso;
  • Cyber Security per offrire garanzie di sicurezza, essenziale nel mondo cibernetico, proprio come in quello reale. La condivisione dei dati delle persone sarà destinata a crescere con lo sviluppo del metaverso e la crescita che si verificherà tra gli utilizzatori perciò dati preziosi come quelli  di una carta di credito o quelli legati alla propria salute saranno informazioni che sarà importante tutelare;
  • Marketing per sfruttare pienamente le molteplici possibilità di pubblicità e marketing offerte da questo mondo virtuale dove sarà necessario trovare nuovi modi coinvolgenti utili alla promozione di prodotti e servizi, oltre che alla creazione di una brand identity;
    Etica e Responsabilità Sociale per  ridurre la possibilità che ci siano conseguenze negative per gli individui o per la società e per l’ambiente.

15 esempi di aziende che investono nel metaverso

Il metaverso è un concetto che è entrato sempre più nella mente degli imprenditori che cercano di rendere le loro operazioni a prova di futuro. Per questo viene sempre più utilizzato, sono sempre di più le aziende che in qualche modo ne sfruttano le potenzialità e sempre di più i brand che vi presenziano includendolo nella propria strategia di marketing, così come sono sempre in numero maggiore le aziende che decidono di investire in questa visione del futuro diverse migliaia di dollari.

Vediamo di seguito 15 esempi di aziende che investono nel metaverso.

Meta

Prima tra tutte arriva Meta che come visto in precedenza, solo per il 2022 lo scorso anno aveva previsto di spendere 10 milioni di dollari nell’acquisizione e nello sviluppo di hardware e software che verranno utilizzati per fornire funzionalità VR all’interno del metaverso ed è fra le aziende che più di tutte crede nello sviluppo del metaverso, ormai punto focale della visione del suo fondatore Zuckerberg. Per rendere ciò possibile l’azienda sta lavorando incessantemente e ha realizzato diversi strumenti utili allo scopo come visori fondamentali per l’uso della realtà aumentata.

A sottolineare l’impegno profuso lo stesso Zuckerberg, nella sua lettera aperta in precedenza citata, annunciando il cambio del nome Facebook in Meta, ha sottolineato: “La nostra missione rimane la stessa: si tratta sempre di riunire le persone […] Ma tutti i nostri prodotti, comprese le nostre app, ora condividono una nuova visione: aiutare a dare vita al metaverso. E ora abbiamo un nome che riflette l’ampiezza di ciò che facciamo”.

In questo interessante video pubblicato dal The Guardian, Mark Zuckerberg ha rivelato uno scorcio dei piani di Facebook per costruire il “metaverso”, un mondo digitale costruito sopra il nostro, che comprende cuffie per realtà virtuale e realtà aumentata.

Microsoft

Microsoft che già nel 2016 aveva lanciato degli occhiali intelligenti per realtà mista chiamati HoloLens, ha dichiarato che nel 2022 rilascerà Mesh per Microsoft Teams, un servizio innovativo attraverso cui gli utenti di Teams situati in diverse posizioni fisiche potranno organizzare riunioni virtuali in cui partecipare grazie a esperienze olografiche collaborative e condivise. Grazie a Mesh gli utenti potranno stabilire una presenza virtuale usando un avatar personalizzato utilizzabile su qualsiasi dispositivo.

Nel gennaio 2022 inoltre, Microsoft ha chiuso un accordo da 70 miliardi di dollari che nei prossimi anni consentirà all’azienda di sviluppare giochi e software supportati da Microsoft all’interno del metaverso, grazie all’acquisizione di Activision Blizzard, l’enorme sviluppatore ed editore di videogiochi.

Google

Google è un altro grande investitore nel metaverso. Il suo investimento è pari a ben 39,5 milioni di dollari investiti in un fondo di private equity per tutti i progetti sul Metaverso, inoltre il CEO dell’azienda, Sundar Pichai, ha discusso più volte rispetto all’interesse di Google nei confronti della realtà aumentata, tanto che potrebbe anche inserire servizi come Maps e YouTube nel panorama virtuale.

Accenture

Accenture che assume più di 100.000 persone ogni anno, usando Mesh aiuta le aziende ad inserire nuovi dipendenti. Attraverso Microsoft Teams i nuovi assunti si incontrano per essere istruiti sulla creazione di un avatar digitale ed accedere in uno spazio virtuale condiviso, parte del processo di onboarding. Qui i nuovi assunti trovano una sala conferenze centrale, una sala riunioni virtuale e monorotaie digitali che i nuovi assunti utilizzano per viaggiare verso diverse mostre.

Il sostegno da parte di Accenture è ben chiaro ed espresso sullo stesso sito dell’azienda, dove si possono leggere le parole di Paul Daugherty – Group Chief Executive – Technology & Chief Technology Officer di Accenture che afferma:  “È vero che siamo ancora agli albori, ma il metaverso progredirà molto rapidamente. Se le aziende non agiscono subito, si troveranno a operare in mondi progettati da, e per, qualcun altro“.

Nike

Nike sta già investendo nel metaverso attraverso diverse scelte imprenditoriali utili a garantire all’azienda il suo posto in questo nuovo mondo digitale. La pianificazione del futuro del brand fatta dal gigante dell’abbigliamento sportivo può essere così riassunta:

  • Ad ottobre 2021 Nike ha presentato all’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti ben sette richieste  per proteggere i suoi marchi in “beni virtuali scaricabili” e servizi correlati;
  • Ha accettato di acquistare RTFKT, un’azienda che si occupa ella creazione di prodotti digitali come scarpe da ginnastica e utilizza la tecnologia blockchain per garantirne l’autenticità;
  • A novembre 2021, ha debuttato con Nikeland , il mondo del brand nel metaverso dove, grazie ad una collaborazione instaurata con la piattaforma di videogiochi Roblox, gli utenti che giocano possono vestire i propri personaggi con oggetti digitali firmati Nike.

McDonald’s

Anche McDonald’s intende investire nel metaverso e si sta preparando per aprire un negozio nel metaverso e ciò è presumibile dal fatto che la catena globale di fast food, ha presentato domande all’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti.

La scommessa che McDonald’s sta facendo sul metaverso non si limita però alla domanda di hamburger digitali ma include altro, ovvero la vendita dell’ordinazione a domicilio, in pratica vuole offrire ai clienti, attraverso il metaverso, un altro modo per ordinare cibo online, che sarà consegnato nel mondo fisico.

Coca-Cola

Coca-Cola è tra i brand che fin da subito ha scelto di investire nel metaverso, Coca-Cola Creations ha anche unito le forze con l’organizzazione di gioco PWR per creare Pixel Point, un’isola personalizzata nella modalità creativa di Fortnite dove chi la raggiunge può giocare ai minigiochi basati sul brand. Inoltre di recente ha rinnovato il suo investimento nel metaverso con la creazione di una bevanda “dal gusto pixellato”. La bevanda, chiamata Zero Sugar Byte, è stata lanciata nel metaverso ancora prima di essere disponibile, in edizione limitata, nei negozi a partire dal 2 maggio 2022. Oana Vlad, senior director of strategy di Coca-Cola spiega così la scelta: “Volevamo creare un gusto innovativo ispirato alla giocosità dei pixel, radicato nelle esperienze che il gioco rende possibili“.

Samsung

Samsung nel gennaio 2022, ha lanciato il suo primo negozio nel metaverso a Decentraland. Il negozio prende il nome di Samsung 837x ed è stato realizzato sul modello del negozio fisico a 837 Washington Street, New York City. All’interno gli utenti possono:

  • costruire la propria avventura;
  • interagire con altri personaggi di gioco;
  • portare a termine missioni.

Gucci

Gucci ha intrapreso diverse iniziative a manifestazione del suo interesse nell’investire nel metaverso. La casa di moda italiana, è infatti uno dei primi brand di moda che offre agli utenti:

  • Esperienze nel mondo digitale con collaborazioni di videogiochi;
  • La versione digitale del suo Gucci Garden su Roblox;
  • La possibilità di  acquistare capi Gucci con cui vestire i propri avatar grazie alla partnership stipulata con Zepeto.

Unity Software

Unity Software nel 2021 ha chiuso un accordo da oltre 1,6 miliardi di dollari per l’acquisizione di  Weta Digital, una società di effetti visivi digitali grazie alla quale Unity Software  potrà essere aiutata nello sviluppo della sua tecnologia RT3D grazie agli innovativi strumenti VFX di Weta Digital.

Shopify

Shopify è un’altra azienda che punta ad investire nel metaverso ed in particolare sullo shopping AR, che coinvolgerebbe gli utenti che provano vestiti o visualizzano oggetti nelle loro case virtualmente prima di effettuare un acquisto. Shopify ha anche avviato una versione beta del proprio marketplace NFT.

Roblox

L’investimento di Roblox consiste nello stringere diverse partnership con alcuni brand, così da ottenere una notevole presenza nel metaverso dove si concentrerà sullo sviluppo di un mondo virtuale in cui i giocatori possono giocare e interagire.

Qualcomm

Qualcomm che si concentra sull’ispirare più persone a prestare attenzione su questa nuova versione di Internet ha scelto di collaborare con Microsoft per un impegno condiviso nei confronti di XR e del metaverso.

Nvidia

Nvidia si sta impegnando nello sviluppo del suo strumento Omniverse, una piattaforma di sviluppo per simulazioni 3D e design che supporta gli sviluppatori nella creazione delle loro applicazioni e sta pianificando lo sviluppo di applicazioni che permettono di creare avatar realistici per il metaverso.

Tinder

Tinder sta già lanciando le proprie monete – Tinder Coins – attualmente in fase di test in diversi mercati. Inoltre Shar Dubey, CEO della società madre di Tinder Match Group in una lettera agli azionisti, rispetto all’interesse dell’azienda sul metaverso ha parlato di “un’interfaccia che consente agli utenti di connettersi con gli altri attraverso nuove esperienze oltre lo Swipe che era Tinder“.

Mentre rispetto alle loro monete ha dichiarato: “Le monete possono anche essere utilizzate per incentivare determinati comportamenti per aiutare i membri a stabilire connessioni più significative su Tinder, come verificare il loro profilo o aggiungere video alla loro biografia. E, forse la cosa più importante, le monete saranno essenziali per i beni virtuali e l’ecosistema commerciale pianificato per il 2022 e oltre”.

Victoria’s Secret

Victoria’s Secret, il noto brand di intimo,  avrebbe di recente depositato 4 nuove domande di marchio indicando che intende vendere ‘intimo virtuale, calzature e accessori moda, secondo quanto ha scritto in un tweet l’ avvocato specializzato in marchi Josh Gerben.

Le possibili applicazioni del metaverso

Le possibili applicazioni del metaverso spaziano in diverse direzioni, come è già possibile intuire visto anche gli usi che i brand ne stanno già facendo e grazie alle funzionalità offerte dallo stesso.

Funzionalità che sembrano essere molto appetibili specialmente dal punto di vista lavorativo. Come previsto dal co-fondatore di Microsoft Bill Gates, nei prossimi due o tre anni la maggior parte delle riunioni virtuali si sposterà da scatole quadrate bidimensionali al metaverso, uno spazio 3D con i partecipanti che appariranno come avatar digitali.

Le applicazioni nell’ambito della vita professionale sono forse quelle più vicine rispetto ad un ambito temporale di crescita e sviluppo del metaverso, infatti le aziende possono già sfruttare le funzionalità offerte da questa tecnologia per avere interazioni con gli esseri umani digitali per:

  • scopi aziendali;
  • inserire i dipendenti;
  • vendere;
  • fornire servizi ai clienti.

Gli utenti all’interno del metaverso invece possono creare, condividere e scambiare risorse o esperienze.

Il metaverso è il futuro del web?

Il metaverso sembrerebbe a tutti gli effetti essere l’evoluzione di ciò che fino ad ora è stato internet, convogliando tutto ciò che è possibile fare su internet ma permettendo di farlo in modo più intuitivo e coinvolgente. Grazie al metaverso le aziende amplieranno la possibilità di entrare in contatto con gli utenti, così come la possibilità di ricavare ed analizzare preziosi dati relativi al comportamento degli utenti, fondamentali per creare vantaggio supplementare per le proprie strategie di marketing.

Allo stesso tempo, le imprese avranno modo di creare e rafforzare la propria identità di brand ma anche di cogliere le opportunità e modelli di business decentralizzati, persistenti, interoperabili e collaborativi che aiuteranno le aziende a elevare il business digitale a livelli senza precedenti. Mentre gli utenti avranno la possibilità di fare molteplici esperienze virtuali fino ad ora neanche immaginate dematerializzando ogni cosa fino ad oggi presente solo nella realtà fisica.

Con il metaverso, infine, cresceranno le opportunità di carriera nell’ambito digitale, grazie alla richiesta di nuove competenze utili allo sviluppo del metaverso nel prossimo futuro. Secondo queste potenzialità e stando ai dati fin qui visti, possiamo essere certi che il metaverso non è un concetto da sottovalutare, ma è invece da tenere in forte considerazione per non farsi trovare impreparati nel momento in cui questo assumerà maggior rilievo con la crescita degli utenti che lo utilizzeranno.

Browser decentralizzati

Browser Web: le alternative (decentralizzate) a Chrome

L’era del Web 3.0 può definirsi iniziata, anche se per il momento sono per lo più investitori, venture capitalist, ingegneri e tecno-sognatori i veri pionieri di questa nuova frontiera che sarà certamente più aperta e democratica, libero da censure e vincoli, fondato su blockchain e protocolli decentralizzati. Il Web 3.0 promette di essere un luogo più inclusivo e concorrenziale, indipendente dalle Big tech e in grado di consentire a tutti di riappropriarsi dei dati e forse di monetizzare qualunque cosa su Internet. Premessa che può essere rafforzata anche dal cambiamento di operazioni quotidiane che tutti noi svolgiamo, come l’utilizzo di un browser web invece di un altro.

Browser decentralizzati: di cosa si tratta

Proprio nell’ottica sopra descritta sembra quasi un paradosso che in un web “libero” si debbano usare strumenti di navigazione “centralizzati” e il discorso riguarda proprio i nostri browser di navigazione che allo stato attuale non stanno solo sfruttando gli utenti, ma sono anche al limite per quanto riguarda la tutela della privacy.

Il Web 3.0 si configura come una rete dove i contenuti, i servizi e qualsiasi genere di informazione non verranno più conservati su server e piattaforme che appartengono a multinazionali di grandissime dimensioni, ma “sparpagliati in maniera omogenea” sulla rete tra infiniti nodi.

Proprio grazie alla decentralizzazione, gli utenti potrebbero finalmente monetizzare la condivisione dei dati. Infatti, ogni genere di contenuto, da un MP3, ad una foto delle vacanze resterebbe nelle mani dei legittimi autori, e non finirebbero più tra gli algoritmi delle varie piattaforme, come Tik Tok, Instagram e YouTube.

Nel Web 3.0, i dispositivi non si connetteranno più a server centrali, ma a registri distribuiti in rete sui quali si trovano tutte le informazioni desiderate, senza dover reperire dati sui server di alcuna azienda.

Perché ne parliamo

Lo strumento che trasferisce tutte queste informazioni alle strutture centralizzate e decentralizzate è il caro e amato browser, che ogni giorno utilizziamo per navigare nel web ed eseguire infinite operazioni.

L’importanza legata alla rivoluzione del Web 3.0 sta proprio nel protocollo IPFS che è il tassello che consentirà di rendere i contenuti web molto più a prova di errori e alle censure.

Come dichiarato da Molly Mackinlay, responsabile del progetto IPFS:

Oggi, gli utenti Web di tutto il mondo non sono in grado di accedere a contenuti con limitazioni, comprese, ad esempio, parti di Wikipedia in Thailandia, oltre 100.000 siti web bloccati in Turchia e l’accesso critico alle informazioni COVID-19 in Cina – Ora chiunque disponga di una connessione Internet può accedere a queste informazioni critiche tramite IPFS sul browser Brave“.

Un velocissimo chiarimento, il web tradizionale si fonda sul protocollo HTTP (o HTTPS) progettato per consentire ai browser di accedere alle informazioni sui server centrali, mentre il protocollo IPFS consente di accedere su una rete di nodi distribuiti.

Perché è importante

Sappiamo che i dati personali presenti all’interno di una blockchain non sono modificabili, ma può succedere (e la legge lo prevede) che un singolo utente possa richiedere la modifica di tali dati o di una parte di essi. In tale caso come possiamo modificare una struttura che per la sua dimensione è immutabile?

Altro aspetto da tenere presente sta nel fatto che i dati personali inseriti in una blockchain sono pubblici e consultabili da tutti i partecipanti, anche questo aspetto sembra in antitesi con il grado di sicurezza che la blockchain dovrebbe garantire.

Ancora, come esercitare il diritto all’oblio con i dati immessi in una blockchain data l’immutabilità della tecnologia blockchain?

Insomma, servirebbe una blockchain che possa essere compliant al G.D.P.R. il che rappresenta allo stato attuale un problema che porta i due argomenti privacy e blockchain a correre su due binari paralleli.

Una soluzione potrebbe essere la creazione di un sistema di crittografia dei dati personali con successiva eliminazione delle chiavi de-crittografiche, in modo tale che possano essere lasciati unicamente i dati indecifrabili oppure l’utilizzo dei cosiddetti modelli di memoria “fuori catena” o ancora l’impiego di “smart contract”.

Insomma il dibattito è aperto e oggetto di evoluzioni all’ordine del giorno.

Browser decentralizzati, cosa c’è da sapere

I nuovi browser che garantiscono la privacy degli utenti nascono con l’intento di consentire la navigazione nel Web 3.0, ma i problemi a cui abbiamo accennato sono tutt’altro che risolti.

Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza.

Molte aziende, proprietarie dei browser più noti come Opera, Google, Microsoft stanno già dando luogo ad upgrade dei loro browser per consentire agli utenti di navigare nel Web 3.0 o per lo più di accedere ai propri portafogli o wallet digitali, fornendo un modo più sicuro per proteggere le proprie informazioni e la propria privacy.

I browser pensati per il Web 3.0 sono fondamentalmente delle applicazioni decentralizzate dette anche dApp, che consentono di utilizzare le tradizionali funzioni dei browser, ma permettono di mantenere il controllo dei propri dati e di trattenere la maggior parte delle relative monetizzazioni attraverso i dati.

Proprio in ottica di protezione dati e privacy nel Web 3.0 va citato il browser Klever, sconosciuto a molti, ma più avanti rispetto ai più blasonati competitor, che consente di connettersi a portafogli blockchain di Ethereum e Tron in modo molto sicuro e protetto, esplorare l’ universo dei protocolli finanziari decentralizzati, scoprire siti e social media di nuova generazione, accedere a token, raccogliere NFT e trovare i migliori strumenti di sviluppo blockchain.

Altro browser sviluppato per il Web3.0, primo ad integrare nativamente il protocollo peer-to-peer IPFS (InterPlanetary File System), che stravolgerà radicalmente il funzionamento di Internet, è Brave.

Come possiamo ben vedere, questi browser non risolvono i problemi di cui discusso sopra tra privacy e blockchain, il modo attraverso il quale tutelano la privacy degli utenti è data da sistemi che bloccano annunci e tracker così da evitare che questi possano seguirci da un sito all’altro.

Sono forniti poi da sistemi che in totale autonomia eliminano i cookie non necessari, rendendo in questo modo il proprio browser difficile da riconoscere e, come se non bastasse, bloccano i codici e siti dannosi aggiornando le connessioni sicure sui siti che le supportano.

Ninja Upshot

Browser come Mozilla, Opera Crypt, Brave, Klever integrano wallet o portafogli digitali connessi alle più note blockchain come Ethereum, Solana per effettuare in totale sicurezza qualsiasi operazione legata all’utilizzo delle cripto valute e alla gestione di asset digitali come gli NFT.

Il vero passaggio che determinerà l’evoluzione dei browser di navigazione verso le blockchain con la possibilità di utilizzare quest’ultime per veicolare e modificare i dati sensibili degli utenti, è un discorso ancora lontano, legato comunque alla necessità di risolvere i conflitti tra blockchain, GDPR e privacy.

Il discorso è comunque aperto e si cerca di rendere la normativa sulla privacy e il GDPR sempre più vicino al mondo delle blockchain, man mano che anche queste evolvono tecnologicamente avvicinandosi sempre più a risolvere le esigenze quotidiane di tutti.

Perché il futuro dell’Influencer Marketing è la Community

Nel corso degli anni l’Influencer Marketing si è evoluto. Da novità che genera curiosità a tattica di marketing ormai radicata nelle aziende e nelle organizzazioni che puntano alla visibilità online.

Questa trasformazione ha fatto sì che anche il modo in cui le campagne di Influencer Marketing vengano gestite con più consapevolezza.

Dieci anni fa i brand hanno iniziato a collaborare con gli influencer per raggiungere il proprio target sui social media e creare programmi di marketing più autentici come alternativa al tradizionale Paid Advertising. Spesso senza troppa cognizione di causa, senza dare troppa importanza alle capacità comunicative dei creator e sottovalutando ciò che poi si è rivelato essere molto più di un trend.

Oggi vediamo aziende, imprese, professionisti e organizzazioni espandere il loro potenziale di visibilità riducendo la loro dipendenza da alcune piattaforme per sperimentare altri canali emergenti.

Luoghi digitali che permettono una rapida crescita organica nel momento in cui il brand riesce a gestire community diverse che rispondono a una specifica organizzazione, diversa dal tradizionale presidio dei classici social.

Ad esempio ciò significa creare prodotti, offrire esperienze e raccontare storie create insieme alla community del brand.

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futuro dell'influencer marketing è la community creator ninja marketing

È sempre una questione di dialogo

Ogni volta che si invia un messaggio, questo deve offrire valore al destinatario per poter riscuotere successo. Comunicare in maniera genuina e sinceramente attenta alle persone è il modo più diretto per entrare in contatto con il proprio pubblico.

Dato che i brand cercano di approfondire le relazioni con i clienti, una community rappresenta il canale più potente per questo scopo.

I referral generati all’interno di una community hanno un valore 3 volte superiore rispetto a quelli che derivano da altri canali e azioni di marketing.

Investire in una community – invece di limitarsi solo alla pubblicità a pagamento – favorisce la fidelizzazione dell’utente e sostiene una solida crescita organica a lungo termine.

Dalla transazione allo storytelling

Gli ultimi due anni hanno costretto anche i marketer a fare i conti con restrizioni e distanziamenti.

Un momento storico in cui spingere con energia alla vendita diretta non è esattamente la mossa migliore per un brand.

Ecco perché è fondamentale investire le proprie risorse su una tipologia di marketing che aiuta a entrare davvero in contatto con le persone potenzialmente interessate ai prodotti o servizi di un’azienda. Mettere a frutto i proprio sforzi comunicativi di brand attraverso la creazione di una community significa:

  • chiedere quali contenuti sono più preziosi e utili al proprio target di riferimento;
  • cosa vogliono vedere le persone in relazione ai prodotti o i servizi di un’azienda;
  • proporre offerte personalizzate e che rispettano le esigenze e le necessità – soprattutto in seguito a un periodo così difficile e faticoso.

In sostanza, adattare i messaggi del brand affinché riflettano il desiderio e le aspirazioni delle pubblico di riferimento significa lavorare per cementificare le basi della propria community.

futuro dell'influencer marketing è la community brand ninja marketing

Significa che l’Influencer Marketing è morto?

No affatto!

Sia gli influencer che i brand seguono lo stesso funnel di marketing per intercettare e convertire l’utente finale. Presidiano le stesse piattaforme, parlano allo stesso pubblico, lavorano con strutture e dinamiche comunicative spesso molto simili.

La collaborazione temporanea tra brand e influencer ha ancora senso di esistere soprattutto nel momento in cui una campagna one-shot è focalizzata su una nicchia estremamente verticale e ben circoscritta.

Tuttavia, esiste un modo migliore con cui brand e influencer possono collaborare tra loro per ottenere performance di marketing (ovvero engagement) più durature nel tempo: lavorare verso la creazione di community.

Significa integrare due forze comunicative di grande impatto in un’unica strategia di marketing online. Un po’ come quando i supereroi decidono di unire le proprie forze, i propri strumenti e i propri superpoteri per salvare l’umanità da una minaccia insuperabile.

Aziende e influencer, insieme per la costruzione di una brand community!

Marketing autentico oggi e domani

Oggi i consumatori vogliono essere coinvolti nel processo di sviluppo di un brand. Non si tratta solo di umanizzare l’azienda e adottare un approccio customer-centric.

Costruire relazioni autentiche tra brand, creator e il loro pubblico è il punto di partenza.

L’Influencer Marketing ha raggiunto uno scenario standard in cui gran parte del semplice posizionamento di prodotto avviene su Instagram mentre le connessioni più profonde e autentiche si trovano su YouTube o su piattaforme più verticali, come Twitch o TikTok.

Influencer Marketing

Ecco perché le aziende dovrebbero iniziare a ottimizzare gli strumenti con cui cercare e ingaggiare gli influencer delle campagne di marketing per catalizzare le loro potenzialità di visibilità e costruire – proprio a partire da loro – una robusta fanbase.

I migliori risultati derivano dalla creazione di contenuti unici, fatti su misura, personalizzati per un pubblico specifico. Ecco il valore aggiunto che può dare l’Influencer Marketing verso la costruzione di una brand-community.

I brand moderni hanno l’opportunità di offrire esperienze e raccontare storie, co-creandole con creator, ambassador e influencer in grado di cementare le relazioni con i loro clienti.

Influencer Marketing: la vera sfida della creazione di una Community

Il vantaggio di lavorare con gli influencer a lungo termine supera il ritorno generato da una collaborazione una tantum. Ma ci sono alcuni fattori da considerare. In primo luogo, la costruzione di una community implica la sua costante manutenzione e gestione.

Un brand deve essere capace di ascoltare efficacemente la community e guidare gli influencer al suo interno affinché da semplici follower diventino brand ambassador e sostenitori.

Perciò il processo di selezione, verifica, comunicazione e tracciamento non può essere lasciato al caso. Diversamente, non sarebbe possibile quantificare i risultati e poter decidere quale strada intraprendere per una comunicazione davvero incisiva dell’azienda sulle piattaforme social.

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onboarding come si fa copertina

Come fare onboarding di nuova generazione ed evitare i costi aziendali di un’esperienza negativa

  • Un quarto dei neoassunti in media non rimane più di un anno in azienda
  • Onboarding digitale, reale o ibrido? Le scelte strategiche per assicurare la retention di giovani e adulti
  • L’incontro cruciale tra generazioni e cultura del lavoro è proprio alla porta di ingresso in azienda

Il modo in cui le persone accedono o cambiano lavoro sta subendo grandi trasformazioni, così come le loro aspettative sui loro futuri luoghi e datori di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni. Dalle opportunità di sviluppo professionale e di crescita personale chiare e continuative, a un forte senso di scopo, i desiderata dei lavoratori del prossimo futuro sono sempre più incisivi, ma possono stimolare concretamente anche il cambiamento culturale dei modelli di lavoro in azienda.

Nel ciclo di vita aziendale, spesso si tende a sottovalutare un momento cruciale di incontro tra generazioni differenti: l’onboarding.

Il lavoro è oggi sempre di più il touchpoint reale in cui generazioni distanti hanno non solo modo di entrare in contatto (come avviene in maniera distante o addirittura facinorosa nelle discussioni sui social network), ma addirittura di collaborare insieme, molto più che nelle dinamiche di relazione familiare.

Oggi l’approccio all’onboarding in molte aziende non è molto strutturato. La maggior parte delle organizzazioni utilizza un approccio da “check list”, con una serie di pendenze organizzative da smarcare, informazioni da trasmettere, policy da dettagliare. Ma l’onboarding è molto più di un pacchetto informativo, di un manuale della qualità o di un programma introduttivo standard. Fare un onboarding destrutturato è estremamente negativo per le aziende, e negativo per le persone, soprattutto in questo momento storico così delicato, dove il contrasto culturale tra aspettative di generazioni diverse di lavoratori e datori di lavoro tende a emergere con estrema nitidezza.

onboarding come si fa 01

Employee e newbie si aspettano sempre di più dalle aziende e, se non si sentono connessi e coinvolti, facilmente potrebbero intraprendere nuove strade professionali, anche dopo pochi mesi di vita aziendale.

LEGGI ANCHE: Employer branding: guida aggiornata al 2022

L’impatto economico diretto e indiretto che un cattivo onboarding ha per l’azienda è molto elevato: ai costi del recruiting si sommano infatti quelli di formazione e upskilling dei neoassunti e tutti i costi amministrativi dei periodi di ingresso in azienda, insieme al tempo investito nel training e quello dedicato dai colleghi per il “percorso iniziatico” all’interno del contesto organizzativo.

Le criticità che un’esperienza negativa di onboarding può attivare sono molteplici, anche perché banalmente significa dover spendere nuove energie per un’attività che non si immaginava di dover sostenere ricominciando da capo il processo di selezione. Perdere un/una dipendente troppo presto è un problema reale (giovane o adulto che sia).

D’altro canto, se implementato con successo, l’onboarding può garantire un maggiore coinvolgimento, una prontezza organizzativa e una vera fidelizzazione tra azienda e neoassunti, minimizzando i livelli di stress e ovviamente migliorando performance, profitti e benessere generale.

Tuttavia, pochissime aziende adottano un approccio di onboarding ben disegnato e sfruttano solo una parte del pieno potenziale di questa fase cruciale dell’employee experience.

L’Onboarding del futuro (e del presente)

Secondo gli studi di Christian Harpelund:

  • il 25% dei nuovi assunti lascia l’azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si è dimesso entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per i nuovi assunti;
  • il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio;
  • l’average tenure, ovvero la media di tempo di permanenza in azienda per le nuove generazioni è inferiore ai 2 anni e le aziende con processi di onboarding strutturati e ben progettati riescono ad ottenere una produttività superiore del 54% dai loro nuovi assunti  contemporaneamente a un doppio livello di engagement.

Dalle sue ricerche emerge in maniera piuttosto costante che il costo di assunzione di un nuovo lavoratore arriva ad un break-even point dopo 6 mesi e se 1 su 4 “abbandona l’“aereo aziendale lanciandosi con il paracadute” in meno di 12 mesi, è facilmente comprensibile che il contributo che può dare al valore netto per l’organizzazione è davvero esiguo.

I dati si riferiscono a indagini sul mercato americano, pre-pandemia e prima delle dinamiche attivate dalla great resignation, ma già guardando a quei numeri è piuttosto tragico verificare che tra i giovani dimissionari si riscontra che un 20% prende questa decisione entro i primi 45 giorni e un 4% dopo il primo giorno di lavoro.

Nel mio riscontro personale ho avuto modo di sapere di alcuni casi di giovani che hanno addirittura stralciato la lettera di intenti già firmata per grandi realtà aziendali.

Secondo Headway, una società di consulenza per le risorse umane di Barcellona, il 75% dei nuovi dipendenti che decide di lasciare dopo 45 giorni confessa di non essersi sentito a proprio agio nella fase d’inserimento in azienda e il 67% afferma che la realtà aziendale non aveva molto a che fare con ciò che era stato spiegato loro prima di iniziare il proprio lavoro.

Harpelund insieme ai suoi collaboratori, in uno dei volumi più completi sul tema, “Onboarding: Getting New Hires off to a Flying Start” (2015), descrive un modello a 6 dimensioni che intreccia cultura, regole, rete, collaborazione, competenze e prestazioni per disegnare accuratamente il processo di ingresso dei nuovi assunti in azienda.

Tra le dinamiche osservate è interessante citare l’effetto “Honeymoon” che rappresenta una “curva emozionale” dei nuovi assunti che iniziano un nuovo lavoro, che percorre un tracciato prevedibile che va dall’alto al basso e poi di nuovo in alto durante il periodo di onboarding.

Quello che mostra questo effetto “luna di miele” è che i nuovi assunti iniziano sempre con molte aspettative e generalmente sperimentano un’energia e delle emozioni positive al principio del percorso, che però perde intensità entro i primi 3 mesi. Al di là delle diverse interpretazioni, è piuttosto ovvio che in questi primi mesi i nuovi assunti iniziano a conoscere la complessità del lavoro e del loro ruolo, creando un senso di attrito, che erode parte della spinta con cui avevano iniziato, ma ci spiega anche che ci vuole fisiologicamente del tempo per ristabilire l’energia e l’elevata esperienza emotiva.

Misurare questo effetto offre a un’organizzazione diversi vantaggi. In primo luogo, si può capire quando e dove incidere nel processo di supporto ai nuovi assunti. In secondo luogo, se si inizia riconoscere quando arriva la “pendenza” della curva, è possibile migliorare la definizione delle aspettative.

In altri ambiti internazionali, come ad esempio suggerisce SHRM, si tende a modellizzare gli aspetti chiave per un onboarding efficace attraverso le dimensioni della Compliance (ovvero il meccanismo con cui i dipendenti si conformano alle linee guida legali e organizzative all’azienda), della Clarification (quando l’azienda spiega ai dipendenti il lavoro e le aspettative sul ruolo), della Culture (che riguarda anche iter e prassi non scritte di tipo informale) e della Connection (ovvero la facilitazione delle connessioni e del networking interno al contesto organizzativo).

LEGGI ANCHE: Come ottimizzare l’Employee Retention con l’Onboarding Aziendale

Ma oltre all’allineamento con la missione, la strategia e le pratiche organizzative, vi sono degli aspetti cruciali che sono emersi distintamente nell’ultimo periodo che non possono più essere prescindibili: l’utilizzo della tecnologia per rendere più scorrevole e semplice l’inserimento dei nuovi collaboratori e proprio la configurazione di programmi che facilitino la creazione di reti all’interno dell’organizzazione; per aiutare i neo-assunti a superare le preoccupazioni personali e professionali all’inizio di un nuovo lavoro.

Favorire le dinamiche di socializzazione (all’interno o all’esterno del posto di lavoro) e l’innesco di dinamiche peer-to-peer o di buddy sono elementi importanti per costruire le reti, andando oltre i tradizionali perimetri gerarchici o di funzione.

onboarding come si fa

Molte di queste situazioni di solito si sviluppano in maniera naturale e non è sempre necessario assegnare un “buddy” in maniera forzata, ma può essere importante, ad esempio, mappare competenze e conoscenze di chi è a bordo per poterle offrire e metterle a disposizione dei nuovi arrivati, affinché le “reclute” possano orientarsi sul know who e sapere a chi fare riferimento per i diversi momenti del proprio percorso di inserimento.

Digitale o reale? Tra Remote Onboarding e Onboarding Bootcamp

Forse più che in altri esercizi di riprogettazione dei processi aziendali, l’onboarding può diventare un’ottima palestra di riconoscimento dei segnali distonici che l’organizzazione trasmette tra comunicazione esterna ed interna, di focus sulla cura della reputazione e dell’attenzione ai valori e ai significati del lavoro (che abbiamo visto anche in altre occasioni non sono più un “nice to have”), di capacità di distinguere nei contenuti di un processo quelli che possono essere pre-registrati e digitalizzati, da quelli che inevitabilmente avranno bisogno dello “human touch” e probabilmente della presenza fisica.

Sono tantissimi i neoassunti che nel periodo della pandemia hanno lamentato la difficoltà di integrarsi ed entrare nella sintonia aziendale solo esclusivamente attraverso il “full remote” e il lavoro a distanza. Ma è altrettanto vero che il remote onboarding può essere mantenuto in parte per permettere ai nuovi arrivati di “studiare” e informarsi su tutti quei contenuti di carattere pratico, sulle policy, sugli organigrammi, sui progetti ma anche sulle storie delle persone e sugli aneddoti aziendali.

Detto questo anche l’onboarding, come le altre pratiche aziendali per provare a direzionarsi verso un futuro trasformativo, non può che essere centrato sul people caring, sul wellbeing e sulla work-life integration, perché per cogliere le nuove sfide con i nuovi arrivati, ogni azienda deve mettersi (e metterli) nelle condizioni di poter dialogare in modo inclusivo.

Non a caso, tra  le best practice di onboarding che solitamente vengono segnalate c’è quella di Facebook (Meta), che con un vero e proprio Bootcamp di 6 settimane ha l’obiettivo di portare la cultura aziendale ai nuovi assunti e dove, durante il processo, i dipendenti hanno la possibilità di connettersi alla missione dell’azienda e coltivarne i principi per iniziare a essere da subito produttivi e armonizzati con il contesto di riferimento.

C’è un passaggio fondamentale che andrebbe sottolineato in questo frangente. La cultura è complessa perché può essere invisibile: se un nuovo dipendente deve essere ben inserito in una cultura organizzativa, è necessario che l’organizzazione se ne curi attivamente e si sforzi di renderla visibile, chiara e senza fraintendimenti di linguaggio e azioni.

Senza scomodare troppo i modelli di Edgar Schein sugli “strati” della cultura organizzativa, è palese che l’onboarding non può riguardare solo gli “Artefatti” culturali visibili e (dove si riesce a rappresentarli efficacemente) i Valori aziendali.

Sono proprio gli “Assunti” sotto la superficie culturale della piramide ribaltata di Schein su cui oggi si gioca la partita della retention, ma anche dell’attraction di nuove leve: poiché l’unicità di certe dinamiche culturali può davvero caratterizzare in maniera distintiva un’azienda al posto di un’altra, e può essere il motivo per comunicare autenticamente alle nuove generazioni in maniera vincente, oltre che ad assottigliare le possibilità di disillusione e di gap che abbiamo descritto in principio.

Forse serve davvero l’antropologo o l’etnografo cultura in azienda, poiché la cultura è complessa e perché può essere inconscia. È l’ironia delle norme di cui spesso siamo inconsapevoli finché gli altri non le seguono: improvvisamente diventano visibili a tutti e si formano proprio a partire da quei comportamenti che spesso non sono osservati ed esplicitati.

Spesso, queste distonie tra regole e comportamenti formali e informali, emergono con forza proprio al momento dell’onboarding e dell’avvicendamento di culture “esterne” che subentrano nell’organismo organizzativo. E sia le “norme” che abbiamo come organizzazione, sia le “norme” che il nostro nuovo assunto porta con sé, hanno a che fare con l’inclusione culturale e… generazionale.

Intergenerazionalità e storytelling nelle nuove strategie di onboarding

Pensateci per un secondo. Ogni volta che si parla di “ricambio generazionale” in azienda o di importanza di trasmettere la cultura organizzativa dei “senatori” aziendali c’è alla base il momento cruciale dell’onboarding.

Fino a qualche tempo fa era consueto anche sentir parlare di “aziendalizzazione” dei nuovi assunti, un termine infelice ma che rappresentava significativamente che per fare un percorso evoluto di carriera in un contesto organizzativo di una certa rilevanza in termini numerici, era necessario acquisire un mindset allineato ad una determinata cultura organizzativa, poiché il mondo aziendale sa essere,se vuole, un mondo a sé stante e anche piuttosto scollato dalle altre realtà del lavoro.

Come abbiamo visto il paradigma ha però bisogno di cambiare per evitare una fuga prematura dei nuovi assunti, in un contesto di mercato così fluido ma anche fragile. Abbiamo visto quanto sia rilevante indagare gli assunti organizzativi più profondi e le dinamiche etnografiche per raccontarle e trasmetterle con autenticità ed efficacia alle nuove generazioni.

Ma proprio perché di conflitto generazionale si tratta, tra una cultura del lavoro che ha dei valori maturati in decine di anni di azienda, a volte tramandate direttamente dai fondatori o dai padri dei fondatori con quelle nuove, acerbe, ma inevitabilmente più vicine al presente e alla realtà, il lavoro da compiere è proprio quello di mettere in contatto queste anime culturali dell’azienda per poter disegnare un onboarding che tenga conto dei principi e dei valori da tramandare, delle buone pratiche e dei rituali di successo, ma anche dello stile giusto per poter raggiungere al meglio il cuore e la mente di chi inizia un percorso in un nuovo contesto ambientale.

Come nei trasferimenti all’estero è fondamentale la relazione con i nativi e le loro storie, anche nell’onboarding diventa imprescindibile lo storytelling come strumento di inclusione culturale.

Raccontare gli aneddoti, le vicissitudini, le imprese che team di lavoro o intere funzioni sono riuscite ad affrontare dalla viva voce dei protagonisti è una ricchezza immensa. Avere una “mediateca” di queste storie da far fruire ai neofiti, giovani o adulti che siano, può essere una leva strategica non indifferente. Magari attraverso il potere dell’ascolto e del podcasting, oppure attraverso momenti di buddy time dedicati alle narrazioni, o anche solo attraverso la possibilità di sviluppare un networking sociale strutturato all’interno dell’organizzazione.

Ma permettiamo in azienda di far disegnare tutto questo a senior e junior insieme. Giovani che hanno appena vissuto la candidate experience e possono segnalare tutti i touchpoint di miglioramento del processo, del linguaggio e degli stili da rendere meno “cringe”, insieme ad adulti di lungo corso aziendale o opinion leader informali di tutte le generazioni che possano veicolare appieno la ricchezza dell’esperienza lavorativa e del micro-universo di ogni realtà.

Ogni azienda può essere è un vero e proprio romanzo da suggerire a chi la vuole studiare in profondità.

Employer branding - guida aggiornata al 2022

Employer branding: guida aggiornata al 2022

L’employer branding, con il tempo sta acquisendo sempre maggiore importanza per le aziende perché rappresenta una parte fondamentale del processo di assunzione e fidelizzazione. Sono infatti sempre di più le aziende che ormai colgono il valore, le potenzialità e i benefici nell’implementare una buona strategia di employer branding.

Prova dell’importanza di applicare una buona strategia di employer branding è nel fatto che se questa non è stata ideata, nonostante ciò, il tuo Employer Brand esiste comunque e viene sperimentato ogni giorno da coloro che sono all’interno e all’esterno della tua azienda. 

Senza una strategia ben strutturata è quindi possibile che il tuo marchio venga percepito in modo diverso rispetto a come desideri e questo aspetto non è da sottovalutare in un contesto come quello attuale in cui la reputazione di un’impresa è un fattore più che mai importante.

Ma cosa intendiamo quando parliamo di employer branding? E perché è importante?

L’employer branding si traduce nei valori, gli approcci e la personalità della tua organizzazione rappresentando quindi tutto ciò che l’azienda ha da offrire ai suoi collaboratori ed è da ritenere estremamente importante per le aziende perché apporta molteplici benefici, primo fra tutti la possibilità di attirare i talenti migliori e di trattenere quelli già parte dell’azienda.

Ma vediamo insieme i diversi aspetti per cui è importante avere una strategia di employer branding.

LEGGI ANCHE: Come Google si sta impegnando per rendere il marketing più inclusivo

Perché è importante avere una strategia di employer branding

Secondo una ricerca di Randstad infatti, l’86% delle persone non farebbe domanda per lavorare o continuare a lavorare per un’azienda che ha una cattiva reputazione, mentre  secondo un recente studio di LinkedIn ha dimostrato che oltre il 75% delle persone in cerca di lavoro fa ricerche sulla reputazione di un’azienda prima di procedere alla candidatura.

Se questo dato non bastasse a comprendere l’importanza di strutturare una buona strategia di employer branding è bene sapere che attraverso questa è possibile per le imprese ottenere anche diversi benefici. 

Tra i fattori più evidenti dei vantaggi acquisibili grazie ad una strategia di employer branding troviamo i seguenti motivi:

  • serve a costruire una buona reputazione
  • è utile per attirare i talenti migliori grazie ad una maggiore attrattività del datore di lavoro 
  • è essenziale per la crescita aziendale
  • crea una maggiore motivazione tra i dipendenti esistenti che si vedono legati ai valori del marchio
  • offre una forza lavoro sostenitrice e promotrice in maniera attiva del marchio
  • attira nuovi potenziali clienti grazie alla promozione attiva dei dipendenti
  • riduce del 28% il tasso di ricambio dei dipendenti
  • riduce i costi legati all’assunzione di nuovi talenti 
  • velocizza il tempo di assunzione
  • permette di ottenere il 50% in più di candidati qualificati
  • offre una visione comune della direzione da seguire chiara e unificata
  • permette una riduzione del 50% dei costi di assunzione

infografica employer branding

Fonte immagine: Linkedin

Come si sviluppa una strategia efficace di employer branding

Seppure è bene sottolineare come sviluppare una strategia di Employer Branding assuma un’importanza ed un valore maggiore nel caso delle grandi aziende che necessitano di procedere ad un alto numero di assunzioni, è comunque sempre consigliabile adoperarla per accertarsi che la propria impresa abbia una buona reputazione.

Come detto in precedenza infatti, sia che la si adotti oppure no, la tua azienda svilupperà comunque sia una reputazione. Meglio dunque che sia costruita nel migliore dei modi ed in modo consapevole.

Come si sviluppa una strategia efficace di employer branding quindi?

Pianificare, sviluppare e implementare una strategia di employer branding  non è un compito facile. Per farlo è quindi bene puntare ad alcuni obiettivi, attraverso cui offrire una proiezione della propria impresa esattamente come si desidera che sia.

Gli elementi principali da tenere in considerazione, ovvero gli obiettivi da raggiungere sono definiti da tre passaggi:

  • creare una distinzione positiva della propria offerta rispetto a quella dei competitor 
  • offrire buone motivazioni per cui si dovrebbe voler lavorare nella propria organizzazione
  • mostrare i modi in cui il marchio si sta sviluppando e rafforzando nel tempo

Prima di sviluppare la strategia in base agli obiettivi definiti è bene però partire seguendo alcuni step precisi, utili a darci una visione della situazione da cui si sta partendo.

Ecco allora punto per punto 10 step da seguire per sapere cosa fare per sviluppare una strategia di employer branding.

guida aggiornata all'employer branding, come attrarre i talenti

Definisci gli obiettivi

Il primo punto non poteva che essere la definizione degli obiettivi, ovvero cosa si vuole ottenere attraverso la strategia che si mette in atto, perché sarà proprio in base alla definizione di questi che si potrà andare a costruire una strategia che includa i passaggi  necessari per ottenere quanto desiderato.

Tra i possibili obiettivi che con una strategia di employer branding è possibile ottenere troviamo:

  • attirare maggiori candidati e più in linea con la ricerca
  • migliorare il coinvolgimento online
  • aumentare il livello di consapevolezza del brand
  • trasmettere fiducia ai candidati 
  • ampliare la visibilità degli annunci di lavoro inseriti sul sito
  • attrarre candidati dai canali social 
  • aumentare la percentuale di candidati che accettano la posizione offerta
  • ridurre i costi relativi alle spese dei dipendenti che lasciano la posizione
  • ridurre i costi e i tempi necessari a provvedere alle nuove assunzioni

Verifica la percezione del marchio

Per verificare la percezione che le persone hanno del tuo marchio è necessario un controllo approfondito che può essere fatto in diversi modi e attraverso diversi canali.

Tra i posti da esaminare ci sono:

  • i siti di recensioni in cui le persone lasciano i loro giudizi sull’azienda e sulle sue politiche
  • i social media attraverso cui tenere traccia delle menzioni ricevute dalle persone che parlano dell’azienda
  • i feedback dei dipendenti ottenibili attraverso sondaggi o riunioni aperte per identificare i problemi da risolvere per riuscire ad attrarre e trattenere nuovi talenti
  • alert di Google che è possibile impostare con il nome del marchio per essere avvisati con una mail ogni qualvolta il nome del marchio viene fatto sul web 

Definisci il tuo candidato ideale

Conoscere chi è il candidato ideale è uno step fondamentale per sapere con chi si sta comunicando e per farlo è bene sapere alcune informazioni rilevanti quali:

  • la personalità che hanno
  • le cause che hanno a cuore
  • le motivazioni che spingono le loro scelte
  • le loro fonti di informazioni
  • i ruoli desiderati
  • da chi sono influenzate le loro decisioni
  • attraverso quali canali cercano lavoro (social media, siti di annunci di lavoro…)
  • cosa li spinge a cambiare lavoro
  • come cercano lavoro (attivamente o passivamente)

Questi dati sono una fonte di informazioni molto utile da impiegare nella costruzione di una strategia di employer branding sviluppata per attirare in questo modo candidati più profilati, ottenendo così talenti in linea con la ricerca fatta e una diminuzione del tempo dedicato alle assunzioni.

Stabilisci gli elementi distintivi della tua azienda

Gli elementi che contraddistinguono la tua azienda sono un elemento fondamentale da individuare e da mostrare per la creazione di una storia relativa al tuo marchio che raccolga i valori aziendali,  le responsabilità sociali e la cultura della stessa.

Un’analisi della concorrenza è in questo senso essenziale per avere un quadro degli elementi da cui è possibile differenziarsi rispetto ai competitor e attraverso cui costruire una propria ed unica strategia.

Scegli i canali attraverso cui promuovere il tuo Employer Branding

I canali scelti per raggiungere e comunicare con i potenziali candidati sono un altro elemento importante da valutare nella costruzione di una strategia e per fare una scelta adeguata è necessario conoscere quali sono i canali a cui questi si collegano così da ottimizzare la propria strategia che potrebbe prevedere ad esempio una comunicazione attraverso:

  • sito Web
  • campagne adv sui media
  • social media
  • i dipendenti attuali dell’azienda
  • inbound recruiting

Crea la tua proposta di valore

La proposta di valore si traduce nella promessa che l’azienda fa ai dipendenti attuali e a quelli futuri e rappresenta il valore aggiunto che si va a costruire nonché la possibile motivazione che si offre ai talenti e per cui dovrebbero voler lavorare nella tua azienda rispetto a quella della concorrenza.

Affinché la proposta di valore sia motivante per i candidati dovrà quindi includere i maggiori interessi manifestati degli stessi e tra questi elementi troviamo:

  • opportunità di crescita
  • Indennità ferie
  • cultura aziendale
  • Benefici sanitari
  • flessibilità degli orari di lavoro
  • flessibilità delle modalità di lavoro (smart working, ibrido)
  • Bonus
  • ambiente confortevole
  • inclusività
  • momenti di team building
  • beneficenza e responsabilità d’impresa

Per costruire una proposta di valore valida inoltre bisognerà partire dal porsi le giuste domande:

  • perché i tuoi collaboratori hanno scelto te?
  • perché decidono di restare nella tua azienda?
  • quali sono gli elementi da loro più apprezzati?

Partendo dal porsi queste domande e includendo le motivazioni principali che spingono un candidato a scegliere un’azienda rispetto ad un’altra, definire un’offerta di valore risulterà molto più semplice.

Investi nella formazione del tuo team

Sostituire i dipendenti costa molto alle aziende, nello specifico secondo uno studio di Employee Benefits News sulla fidelizzazione dei dipendenti, il costo medio della perdita di un dipendente corrisponde al 33% del loro stipendio annuale.

Questo aspetto può però essere controllato offrendo le giuste opportunità di crescita al team attraverso piani di formazione. I dipendenti che si vedono crescere durante la loro permanenza in un’azienda sono infatti più portati a rimanerci. Corrisponde infatti al 20% in più la possibilità che i dipendenti rimangano nelle loro aziende tra un anno se ottengono da queste una formazione.

Ottieni feedback dai dipendenti creando advocacy internamente

Avere un feedback da parte dei dipendenti è fondamentale per migliorarsi e per far sì che i dipendenti sentendosi ascoltati rimangano in azienda. Secondo TINYpulse infatti, i dipendenti che non si sentono a proprio agio nel poter fornire un feedback hanno il 16% di probabilità in meno di rimanere nelle loro aziende.

Per dar voce ai dipendenti e avere da loro un feedback è possibile fare riunioni regolari o focus group con persone selezionate. Così si avrà modo di conoscere gli aspetti importanti per i dipendenti e regolare la propria strategia per andare incontro a questi.

I tuoi dipendenti inoltre non solo devono potersi esprimere senza timore ma devono essere i primi a credere nella strategia aziendale, affinché questa possa essere reputata credibile dai tuoi possibili candidati.

La promozione attiva dell’azienda fatta dagli stessi dipendenti ha infatti un valore maggiore rispetto a quella autoreferenziale dell’azienda e risulta sempre uno strumento molto potente da utilizzare per la promozione del marchio e per attirare nuovi talenti. Secondo una statistica di Linkedin infatti,  i candidati si fidano dei dipendenti tre volte di più rispetto ai datori di lavoro. Appare dunque chiaro come i dipendenti dell’azienda abbiano un ruolo cruciale in ogni strategia e come sia importante imparare a sfruttarne le potenzialità nel migliore dei modi.

Prevedi il formato video nella tua strategia

Per comunicare trasmettendo le emozioni e l’esperienza di lavorare in un determinato post, i video rappresentano il mezzo migliore, perché a differenza dei testi che un candidato può leggere sui siti, questi riescono meglio delle parole scritte a coinvolgere lo spettatore e a trasmettere il messaggio che l’azienda vuole che venga comunicato, dando anche un volto all’azienda, che specialmente nei casi delle aziende più grandi difficilmente si riesce a dare.

Perciò il suggerimento è quello di integrare sempre i video all’interno della propria strategia di employer branding.

Valuta il successo della tua strategia

Valutare la propria strategia esaminando il successo delle iniziative di employer branding in atto rispetto ai KPI predefiniti, è un passo magari scontato ma a cui bisogna riservare la giusta importanza, infatti è l’unico modo per valutarne i benefici e per decidere se implementarne alcuni aspetti al fine di migliorarne le performance.

Per fare una corretta valutazione è bene prendere in esame tre fattori:

  • Consapevolezza, ovvero capire quante persone conoscono il tuo marchio e quale opinione hanno in merito a questo
  • Attrazione, visibile dall’attrazione che il tuo marchio esercita sui candidati, il cui metro di misura corrisponde al numero dei candidati che si è riusciti ad attrarre e dalle qualifiche di questi
  • Esperienza, cioè l’esperienza che i dipendenti hanno del marchio, va monitorata per essere migliorata, poiché con l’aumento della consapevolezza del marchio, a crescere ci saranno anche le aspettative a cui l’azienda andrà incontro

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guida 2022 all'employer branding

5 esempi di employer branding di successo

Un esempio per lo sviluppo di una strategia di employer branding al fine di vedere i passaggi seguiti e i benefici ottenuti sono le tante e diverse imprese che in tutto il mondo continuano a  massimizzare in modo costante il loro potenziale al fine di attrarre, riuscire a reclutare e trattenere i talenti migliori disponibili, ma anche i dipendenti già assunti.

Per farlo usano i loro messaggi, che vedremo nel dettaglio, per trarre ispirazione dal loro operato. Ecco 5 esempi di employer branding di successo.

Vodafone

Vodafone ha compreso la propria mancanza relativamente ad alcune aree, perciò per meglio comprendere le possibilità di miglioramento, ha deciso di indagare sul sentiment che le persone avevano sviluppato nei confronti dell’azienda.

Per farlo ha utilizzato un approfondito sondaggio svolto su ben 40.000 persone ed attraverso questo strumento ha avuto modo di ottenere utili dati da utilizzare per una proposta di valore nuova e più efficace allo scopo di attrarre talenti nuovi ed esistenti.

L’Oreal

L’Oreal ha sfruttato la grande visibilità ottenuta da tutto il mondo grazie ai 300.000 follower su LinkedIn per mostrare le storie e le capacità dei membri del suo team.

Attraverso questa tattica l’Oreal ha potuto far vedere ai potenziali candidati le opportunità lavorative disponibili nell’azienda e ha utilizzato le stesse voci dei suoi dipendenti per farlo, che come ormai assodato hanno un valore percepito maggiore rispetto a quella aziendale, perché riescono a creare maggiore fiducia nel marchio.

Google

Google rappresenta un ottimo esempio di employer branding e la prova sono i circa 3 milioni di curriculum che ogni anno Google riceve dai candidati. Questo ottimo feedback ricevuto dai candidati è il frutto di diversi aspetti che caratterizzano la strategia di Google, tra cui:

  • l’ottimo approccio ai dipendenti
  • la bravura nel costruire una proposta di valore forte
  • i diversi vantaggi come lo spazio di lavoro in stile campus

Un modo per mostrare tutti questi aspetti ai candidati potrebbe essere quello di organizzare un open day pubblicizzandolo sui diversi canali presidiati, nel quale studenti e potenziali candidati possono avere l’occasione di vedere come potrebbe essere la loro vita lavorativa all’interno dell’azienda  visitandola e parlando con i dipendenti.

Hubspot

Elementi che contraddistinguono Hubspot e su cui basa la sua strategia di employer branding sono:

  • una cultura aziendale divertente
  • flessibilità degli orari di lavoro
  • rimborso delle tasse scolastiche

Unitamente a questo, Hubspot si differenzia dalle altre aziende per il suo modo di approcciarsi ai propri follower sui canali social, in quanto tende a incoraggiare chi li segue a lasciare commenti utili da usare come punto di partenza per ispirare i futuri contenuti.

Heineken

La strategia di employer branding attuata da Heineken riserva molta importanza all’aspetto visivo, infatti nel 2019 Heineken ha creato la campagna “Going Places“, incentrata sull’acquisizione di nuovi talenti, che ha incentrato sulla celebrazione delle storie e dello sviluppo di 33 dei suoi dipendenti in tutto il mondo.

La sua strategia si basa sull’uso delle storie dei dipendenti per:

  • creare un orgoglio da parte dei dipendenti nel lavorare per l’azienda
  • aumentare la consapevolezza e il coinvolgimento tra i potenziali candidati
  • migliorare la qualità dei talenti attratti

Prima di ciò però, Heineken ha condotto ricerche in tutto il mondo in 15 dei suoi mercati con l’obiettivo di capire su cosa  il marchio avrebbe dovuto concentrarsi.

Per prendere esempio dalla strategia usata da Heineken si può quindi mettere in conto di dar vita a storie e valori aziendali attraverso un video che con immagini e parole coinvolga e racconti l’azienda.

Perchè l’employer branding non è una moda

Secondo un sondaggio realizzato da Statista tra le società di ricerca esecutiva pubblicato nel 2022, l’employer branding si trova, con una percentuale del 23%, al terzo posto tra le priorità per il 2021, superato solo dall’automazione e digital transformation e dall’acquisizione di candidati, ai primi due posti nei risultati.

Questi dati, unitamente a molti altri, dimostrano chiaramente come l’employer branding stia acquisendo da parte delle aziende sempre più importanza e rilevanza, tanto da essere ormai ai vertici delle classifiche inerenti alle priorità di cui le imprese devono tenere conto nell’ottica di una strategia di crescita del business e non è una tendenza momentanea.

Una motivazione ulteriore che spiega bene perché un’impresa dovrebbe prestare la giusta attenzione alla percezione che si ha della propria azienda e a sviluppare una strategia di employer branding utile a gestirla consapevolmente è data inoltre dal notevole risparmio a cui l’azienda va incontro rispetto ai costi e ai tempi di ricerca e di selezione del personale.

Motivazione che rende molto chiaro il perché l’employer branding non è una moda, bensì è una necessità per le aziende.

Conclusioni

L’importanza dell’employer branding non può in nessun caso essere sottovalutata dalle aziende in quanto è fondamentale per aumentare la consapevolezza della tua organizzazione e attirare i migliori talenti, oltre che a mantenere quelli esistenti.

Essendo la reputazione, come abbiamo visto dai dati raccolti a seguito di diverse ricerche, l’elemento alla base preso in considerazione dai candidati alla ricerca di lavoro nel momento della scelta di inviare o meno la propria candidatura ad un’azienda, questa è quindi alla base del successo o meno di un’impresa.

Per questo motivo darle il giusto valore ed impegnarsi nella costruzione di una strategia di employer branding adeguata risulta essere oggi più che mai essenziale per qualsiasi azienda che punti ad una crescita costante grazie ad una forza lavoro di qualità, unita e attiva nella sponsorizzazione della propria azienda.

intervista a kevin roberts al wobi 2021

Intervista a Kevin Roberts: per abbracciare il cambiamento devi perdere il controllo

Quella che stai per leggere è una di quelle interviste che rimangono nel cassetto per un po’ di tempo, in attesa di trovare il momento giusto per essere pubblicate, o di avere il giusto spazio nella frenetica programmazione redazionale. Eppure le parole che Kevin Roberts, storico CEO di Saatchi & Saatchi e ora leader dell’agenzia di consulenza Red Rose Consulting, sono di quelle che andrebbero lette e rilette, quasi come un classico della letteratura, perché dentro è possibile scoprirci sempre qualcosa di nuovo.

Kevin Roberts è colui che ha inventato l’idea di lovemarks, ossia di quei marchi a cui siamo legati da una relazione affettiva, da un rapporto che coinvolge tutti i nostri sensi, e che sono capaci di instaurare un senso di lealtà, in grado di attrarci al di là di ogni forma di razionalità, economica o pratica. Parliamo quindi di puro marketing.

Quando lo abbiamo incontrato, durante l’edizione 2021 del WOBI, le gambe un po’ tremavano, ma come tutti i Grandi ci ha messo subito a nostro agio, con una battuta e i suoi modi gentili. Contestualizzare con questo grado di dettaglio ci serve a sottolineare che questo è uno di quei casi in cui forma e sostanza sono un tutt’uno e in quest’ottica andrebbero lette le parole che seguono, le indicazioni, i concetti e i pensieri che questo guru del marketing ci ha regalato.

intervista a kevin roberts - wobi

Cambiamento e creatività per coinvolgere le persone

Come possiamo creare una cultura delle idee e come possiamo identificare una grande idea tra centinaia di idee non significative?

«Viviamo nell’era delle idee, ma negli ultimi due anni è stato piuttosto difficile per noi andare avanti. Non possiamo tornare a una nuova normalità, come in tanti avevano annunciato dopo la prima fase della pandemia. Siamo tutti cambiati, abbiamo tutti nuove storie e l’unico modo per andare avanti è il cambiamento.

Ci sono tre tipi di cambiamento:

  • incrementale, cioè un miglioramento continuo come il kaizen giapponese;
  • trasformazionale;
  • dirompente.

Dobbiamo sapere quale di questi tipi di cambiamento adottare. La cosa più importante per tutti noi, in ogni caso, è la creatività.

Ma che cos’è la creatività esattamente?  È la capacità di guardare qualcosa, la stessa cosa che guardano tutti, ma pensare qualcosa di diverso.

Pensare qualcosa di diverso inizia con una regola: come aziende dobbiamo imparare a fallire velocemente, imparare velocemente e risolvere velocemente, quindi dobbiamo avere il coraggio di fallire e imparare bene.

Solo in questo modo le idee possono fiorire. Si tratta, in fondo, di tornare un po’ bambini, a quando eravamo molto creativi perché ognuno vedeva le cose a modo proprio, in modo diverso. Solo dopo, a scuola, nelle università, nelle aziende, siamo stati addestrati. Quando avevi cinque anni eri molto creativo perché vedevi le cose e le vedevi in modo diverso, ma poi sei stato addestrato a vedere le cose nello stesso modo di tutti gli altri.

Oggi, abbiamo bisogno di creare una cultura in cui vada bene anche fallire. Solo fallendo, si impara e si diventa capaci di aggiustare il tiro, si capisce quando si ha una buona idea, una grande idea o una pessima idea.

Alla fine si tratta di ascoltare l’istinto, ascoltate il cuore. Sì, possiamo avere tonnellate di dati; sì, possiamo fare i test; ma non è questa la fonte magica. Il segreto è avere fiducia nel proprio istinto per sentire il mercato, per sentire il cliente, per sentire il consumatore.

Quindi bisogna essere là fuori e si deve ascoltare. Non parlare, ma ascoltare e guardare bene. Non si può fare tutto sullo schermo, non si può fare tutto a distanza. Bisogna vivere lo stesso mondo dei nostri consumatori e dei nostri clienti».

Quanto è importante la creatività nel business?

«È la singola caratteristica che definisce un business. La creatività ha un potere irragionevole.

Non c’è niente di più importante della magia di arrivare prima al futuro ed eseguirlo con eccellenza. È l’unica cosa che differenzierà l’idea.

Guardiamo, ad esempio, il valore delle idee di Elon Musk. La sua compagnia vale più di Toyota e General Motors messe insieme e questo è il potere di un’idea».

LEGGI ANCHE: Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Il ruolo dei leader di oggi secondo Kevin Roberts

intervista a kevin roberts - wobi - fabio casciabanca - kevin roberts

Come si fa a passare dallo storytelling allo storysharing?

«Rolf Jensen ha detto che i leader del 21° secolo sarebbero stati degli “story tellers”, ma si sbagliava. Sono degli “story sharers”. Oggi infatti vogliamo essere coinvolti, nel personaggio e nella storia. Ci buttano così tanta roba addosso che stiamo affogando nelle informazioni e più ne sai di qualcosa, meno interessante questa cosa diventerà.

Pensa al matrimonio, pensa a qualsiasi relazione, tutti noi abbiamo bisogno di mistero, abbiamo bisogno di sensualità, abbiamo bisogno di intimità. Tutti oggi abbiamo una voce, sia su Twitter, che su Instagram, o su qualsiasi altro social. Ma tutti vogliamo essere coinvolti nella storia. Io ho sei figli e nove nipoti, quando parlo con loro mi rendo conto che non posso più semplicemente raccontare loro una storia. Vogliono essere nella storia, vogliono agire, vogliono essere parte di essa.

Dal punto di vista del business questo significa che dobbiamo rinunciare al controllo del marchio e dare quel controllo al consumatore».

Come può il marketing creare un movimento che la gente vuole condividere?

«Sì, penso che questo sia il ruolo del Marketing Manager. Non è più quello di creare un marchio, ma di creare un movimento. Ognuno di noi vuole essere parte di qualcosa di più grande di se stesso. Per questo se scegli Nike contro adidas o adidas contro Nike, non stai scegliendo semplicemente delle sneakers invece di altre sneakers. Stai scegliendo ciò che ti rappresenta, stai scegliendo se vuoi essere come Nike o vuoi essere come un fantastico giocatore del Manchester City o vuoi essere parte di qualcosa di più grande di te.

Per questo dico che il ruolo del Brand Manager è cambiato: non gestisce più il marchio, ne cede il controllo e ispira tutti a vedere cosa c’è dietro il marchio. Si tratta di avere uno scopo.

Quindi devi pensare molto più in grande se sei nel marketing. Questo è il momento migliore nella storia dell’umanità per essere un marketer, perché non si tratta più di gestione del marchio, ma di creare un movimento. Qualcosa di molto eccitante, quindi».

Kevin Roberts e il futuro del business

Quanto è complicato essere creativi in un momento fortemente influenzato dal politacally correct?

«Io sono politicamente scorretto e orgoglioso di questo, perché penso che la politica sia assolutamente terribile. Parlo ovviamente di quella politica che resta solo un’idea, che non si può mettere in pratica.

La politica che il mondo sta seguendo oggi è una politica di estremismo e una politica di tensione. Per questo dico di essere politicamente scorretto. Perché abbiamo bisogno che i creativi abbiano piena fiducia che il loro ruolo è quello di ispirare pace, amore e armonia.

Il ruolo del business non dovrebbe essere quello di creare valore per gli azionisti, né di creare un cliente, ma dovrebbe essere quello di creare un mondo migliore per tutti. Il futuro dovrebbe essere quello del capitalismo inclusivo. Nessun altro -ismo funziona, infatti: oggi abbiamo bisogno di includere, non di continuare ad escludere e il problema con l’attuale “correttezza politica” è che è molto esclusiva e molto giudicante rispetto alla minoranza. Quindi non sono assolutamente a favore di questa idea come persona creativa, perché questo limita la creatività».

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Open Days Ninja nel Metaverso: esplora in anteprima le novità formative 2023

Ninja lancia i Ninja Academy Metaverse Days, il primo Open Day nel Metaverso: un evento unico nel suo genere, per esplorare in anteprima tutte le novità in ambito formazione, aggiornamento e certificazione delle competenze per il 2023.

Si partirà con l’evento inaugurale del 29 giugno dalle 12 alle 15, con il Ninja Team e con ospiti tra i migliori esperti di Digital, Formazione e Lavoro. Dal 29 giugno al 1° luglio dalle 17:30 alle 18:30 saranno poi organizzate tre sessioni di orientamento nel Metaverso con il Team di Ninja per approfondire i percorsi, le opportunità formative e gli sbocchi professionali.

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Il Metaverso non è solo un trend

Il Metaverso sta influenzando diversi settori, dal mondo dell’arte a quello della moda, senza interruzioni.

Molto vicino all’idea di cyberspazio, il Metaverso ricrea mondi virtuali in 3D per connettere le persone: basta entrare in questi “luoghi” usando avatar o rappresentazioni digitali di se stessi.

Un trend, senza dubbio, destinato a diffondersi sempre di più. In molti si domandano se il Metaverso, dopo aver saturato il mondo del gaming e dell’intrattenimento, invaderà le nostre quotidianità. Vivremo davvero in realtà virtuali in cui le persone potranno interagire tra loro e con oggetti digitali in maniera abitudinaria e del tutto spontanea? Ai posteri l’ardua sentenza. Di certo questi spazi, montati a regola d’arte, sono molto affascinanti e sono in grado di suscitare l’interesse di chiunque.

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Per questa ragione Ninja Academy presenta un evento inconsueto, una vera e propria experience per coinvolgere il proprio pubblico e mostrare la nuova offerta formativa in una veste innovativa e futuristica.

Perché seguire i Ninja Academy Metaverse Days

Lo scopo degli Open Days è quello di far conoscere meglio il mondo Ninja, l’evoluzione che sta perseguendo per andare incontro alla trasformazione digitale e alle rinnovate esigenze del mercato. L’orientamento in campo Digital è sempre al centro. La nuova offerta formativa intende rispondere ai bisogni più urgenti che vengono riconosciuti nei professionisti digitali o aspiranti tali. Parliamo di formazione, esperienza sul campo, certificazione delle competenze e costante aggiornamento.

ninja metaverse day

I Ninja Academy Metaverse Days sono rivolti a studenti universitari, neolaureati, freelance, consulenti, manager e a chi lavora in ambito HR.

Per l’occasione saranno presentati i nuovi Corsi e Master dell’Academy in collaborazione con vari enti e istituti formativi e universitari, tra cui CEPAS e Unipegaso.

Nuove certificazioni in arrivo, ma anche tanti appuntamenti imperdibili per orientarsi e cogliere tutte le opportunità di formazione in ambito digitale.

Il Metaverso di Ninja si arricchisce con un parterre d’eccezione a cui prenderanno parte: Andrea Quintiliani, docente di Strategia d’Impresa Unipegaso, Esther Intile, Head of Employer Branding People and Organization Enel GroupLuca Clementi, Community Manager The Sandbox, Martina Capozza, Launch Consultant Shopify, Rossella Laface, Sales & Innovation Manager CEPAS, Barbara Reverberi, Mentor/Coach e Founder Freelance Network Italia e Maurizio Fiengo, Orientatore e Consulente Personal Branding.

E, dal Ninja Team:
Mirko Pallera, CEO e Founder 
Adele Savarese, General Manager
Federica Bulega, Corporate Training Manager
Marco Adinolfi, Customer Success
Marian Pascariu, Responsabile Prodotto
Emiliano Ruozzo, Learning Consultant

Ecco il programma:

29 giugno dalle 12.00 alle 15.00
ore 12:oo
– saluti e introduzione di Mirko Pallera

ore 12:10
– Esperienza sul campo: la nuova Factory eCommerce con Shopify
Il Laboratorio Pratico Ninja che comprende il Master eCommerce e un project work reale con top brand della Industry

ore 12:40
Formazione riconosciuta: il nuovo Master Ninja Academy / Unipegaso
Un Master di I Livello in Digital Marketing, Social Media Communication & eCommerce Management per un totale di 1.500 ore formative (60 CFU)

ore 13:10
– Aggiornamento: All Access Digital e nuovi corsi
Il Pass per accedere per 365 giorni a oltre 300 ore di contenuti di Alta Formazione e Informazione PRO e i nuovi Corsi HR Marketing, Digital Project Manager, Cryptoverse Marketing

ore 14.00
– Placement: il servizio Ninja Talents
– La formula Placement per trasformare l’esperienza formativa in concreta opportunità di occupazione nel settore digitale

ore 14.20
– Certificazione delle competenze: le qualifiche CEPAS
Il primo Schema di Certificazione delle professioni digitali per ottenere le qualifiche di Specialist e Manager in ambito Digital, Social ed eCommerce

29 – 30 giugno e 1° luglio ore 17.30 – 18.30
Orientamento nel Metaverso con il Ninja Team su:

– eCommerce Factory
– Servizio Placement
– Master Ninja Academy/ Unipegaso
– Nuovi Corsi
– All Access Digital
– Qualifiche CEPAS
– Ninja For Business e corsi B2B

Non perdere quest’occasione, i posti sono solo limitati: iscriviti subito!

talent acquisition

Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Oggi quando si parla di assunzioni e mercato del lavoro, ci troviamo davanti a un cambiamento significativo. Le aziende si trovano davanti a una grande sfida: attrarre talenti capaci di potenziare il valore economico e umano del brand.

Quello che una volta era un compito strettamente legato al dipartimento Risorse Umane è ora una funzione centrale per qualsiasi tipo di organizzazione che crede nello sviluppo del business attraverso le persone.

Perché parliamo di Talent Acquisition

Le aziende sono dinanzi a un’enorme carenza di talenti. Fenomeni conosciuti a livello globale come “Le Grandi Dimissioni” stanno investendo il mondo del lavoro con una forza inaspettata.

In un recente sondaggio condotto da Manpower Group, nel 2021 oltre due terzi delle aziende di vari settori hanno riscontrato la mancanza del giusto talento per specifici ruoli e condizioni sempre più complesse per la loro assunzione.

manpower - talent shortage over time

Mentre il mondo cerca di riprendersi dagli impatti a lungo termine della pandemia, il mercato del lavoro affronta una carenza di talenti di dimensioni storiche.

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Secondo la ricerca, questo è il tasso di difficoltà di assunzione più alto mai conosciuto da oltre 15 anni.

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Perché è importante per noi

Se il recruiting è semplicemente quel processo di ricerca e selezione dei candidati ideali per i colloqui di un’organizzazione, la Talent Acquisition va decisamente oltre. È un cambiamento paradigmatico in quanto la ricerca di nuovi collaboratori non è semplicemente legata alle direttive strategiche del management.

Si tratta di un assetto organizzativo olistico, in totale sintonia con la mission e la vision aziendali che coincide con la cultura e i tratti caratteristici del brand. Ciò consente di attirare l’attenzione di persone che desiderano lavorare in un determinato contesto perché in sintonia con quello che il brand rappresenta per loro.

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Cosa c’è da sapere

Attirare il personale migliore per la propria azienda grazie alla Talent Acquisition non è qualcosa che si attiva con un semplice interruttore.

Sebbene il recruiting resti un’attività importante per colmare i posti vacanti nell’immediato, l’acquisizione di talenti è una strategia a lungo termine che rende le assunzioni più efficienti e più produttive.

Un nuovo ingresso che rispetta le caratteristiche della Talent Acquisition è da considerare come un driver di successo e prosperità per l’organizzazione perché la persona si sente esattamente lì dove desidera trovarsi a livello lavorativo.

Ninja Upshot

L’evoluzione della Talent Acquisition porta le aziende a ripensare i propri schemi di placement: esigenze di dipendenti specifici richiedono soluzioni di acquisizione di talenti differenti e particolari.

manpower holistic talent strategy

Ciò significa che anche i responsabili del reparto Risorse Umane dovranno comportarsi meno come rappresentanti commerciali (che sono lì per promuovere la propria azienda) e più come strategist aziendali.