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connessione satellitare su iPhone14

Apple potrebbe portare la connessione satellitare su iPhone14

Secondo l’analista di Apple Ming-Chi Kuo, l’azienda sta lavorando alla connessione satellitare su iPhone 14 e ha completato i test hardware per questa funzione prima della produzione di massa.

Kuo ha infatti affermato che Apple ha già dotato il nuovo modello del supporto hardware per la connessione satellitare su iPhone 14, ma se il device sarà effettivamente in grado di supportare le comunicazioni satellitari dipende dal fatto che Apple e gli operatori riescano a trovare un accordo sul modello di business.

La questione non è trascurabile perché in realtà, anche iPhone 13 dispone di hardware satellitare, ma la connettività non è stata implementata proprio perché il modello di business non era stato negoziato.

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connessione satellitare su iPhone14 - cosa sappiamo

La connessione satellitare su iPhone14

Secondo l’analista, è difficile prevedere precisamente quando iPhone offrirà servizi di comunicazione satellitare, ma l’opzione è in programma ed è prevedibile che i tempi non saranno troppo lunghi. Quando sarà implementata la connessione satellitare su iPhone14, la connettività sarà utilizzata per gli sms di emergenza e i servizi vocali.

Mark Gurman di Bloomberg ha affermato che gli utenti potranno utilizzarla per segnalare le emergenze alle autorità in aree prive di servizio cellulare e inviare brevi messaggi ai contatti in caso di emergenza.

La partnership con Globstar e la mossa di anticipo di Starlink

Secondo alcune indiscrezioni, Apple starebbe lavorando con Globalstar, e secondo Kuo è proprio questo l’operatore con cui è più probabile che Apple collabori. Tim Ferrar, consulente per le comunicazioni satellitari, ha dichiarato venerdì che si aspetta che Apple e Globalstar rendano l’accordo pubblico a breve.

La scorsa settimana T-Mobile e Starlink hanno annunciato un piano per fornire connettività agli smartphone ovunque negli Stati Uniti utilizzando un servizio “satellite-cellulare”, e la tempistica dell’annuncio potrebbe essere stata pianificata per anticipare l’annuncio di Apple relativo al satellite. Starlink e T-Mobile prevedono di lanciare una versione beta del servizio nel 2023, che probabilmente non richiederà l’acquisto di un iPhone 14.

tornare al lavoro senza stress

6 consigli per tornare al lavoro senza stress

Tornare al lavoro dopo una lunga pausa per le vacanze non è mai facile. Quest’anno le vacanze sono state diverse dal solito, considerate le restrizioni che hanno caratterizzato gli ultimi tempi.

Molte persone hanno deciso di viaggiare e visitare nuovi luoghi e paesi lontani, ma una grande fetta di persone ha aderito al trend chiamato “staycation”, trascorrendo le vacanze nella propria città ma in totale relax.

Indipendentemente da questa scelta, rimettersi in carreggiata può essere impegnativo e, in alcune occasioni, si può incorrere nel cosiddetto “post vacation blues”, uno stato d’animo di tristezza e sofferenza emotiva dovuto al rientro al lavoro e alle responsabilità.

Non si tratta di che tipo di ruolo si occupa o qual è la mansione svolta in azienda: la sindrome post vacanza può colpire tutti, anche se il tuo lavoro ti piace moltissimo. Ecco quindi alcuni consigli per un ritorno al lavoro ottimale.

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Tornare al lavoro: cos’è la sindrome post-vacanze

Conosciuta anche come “holiday blues“, la sindrome post-vacanze è uno stato d’animo negativo che si presenta dopo un periodo di emozioni intense. Alcuni dei principali sintomi della sindrome post-vacanze sono insonnia, scarsa energia, mancanza di concentrazione e ansia.

La sindrome post-vacanze può essere descritta come il risultato di un improvviso rilascio di ormoni dello stress dopo un evento importante, come un matrimonio o le vacanze.

Da un sondaggio è emerso che l’87% delle persone ha ammesso di essere in apprensione al momento del rientro al lavoro dopo le ferie. Ecco alcuni delle cause principali che motivano i risultati:

  • Tornare alla routine, 37%;
  • recuperare il lavoro arretrato, 31%;
  • il volume delle email non lette, 26%.

Queste cifre possono sembrare spaventose; tuttavia, la depressione post-vacanze può essere prevenuta attuando alcuni consigli specifici.

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6 consigli per un rientro al lavoro senza stress

È sempre una buona idea avere un piano per evitare l’opprimente sensazione di stress al rientro dalle vacanze. Ecco alcuni consigli efficaci per tornare al lavoro con le batterie cariche:

1. Stabilisci una lista di cose da fare prima di partire per le vacanze

È vero: bisognava pensarci prima, ma è un ottimo consiglio da tenere a mente per evitare lo stress alla prossima occasione. Prima di partire per le vacanze, è importante stabilire un ordine di priorità dei compiti da svolgere al rientro.

È fondamentale fare un elenco accurato ma bisogna evitare di creare una lista con centinaia di compiti, perché potrebbe aumentare i livelli di stress prima della partenza e complicare il distacco dal lavoro.

2. Ricomincia in modo soft almeno per la prima giornata

Tornare al lavoro con una giornata piena di riunioni può impedire di portare avanti i compiti accumulati durante l’assenza. Bloccare il calendario per il rientro ti aiuta a dare un’occhiata generale a ciò che è successo durante la tua assenza, a organizzare un piano d’azione e a stabilire le priorità dei compiti.

3. Pianifica una strategia per le email

consigli per rientrare al lavoro

Le email sono lo strumento di comunicazione predominante per le aziende. Secondo Statista, entro il 2025 saranno inviate e ricevute 376 miliardi di e-mail in tutto il mondo.

Un consiglio essenziale è quello di evitare di stressarsi per la quantità di email ricevute durante l’assenza, perché nell’inbox potrebbe esserci davvero di tutto: annunci, flussi di conversazioni infinite o spam. Il modo migliore per esaminarle è invece organizzarle categorizzandole e dividendole per compiti e priorità; in questo modo si avrà un quadro migliore della casella di posta senza annegare nei numeri.

4. Interagisci con i colleghi

Anche se il carico di lavoro può essere elevato, un modo eccellente per staccare la spina per un paio di minuti è fare una pausa caffè con i colleghi. Parlare di vacanze, esperienze e aneddoti aiuta a ridurre i livelli di stress e ad aggiornarsi su ciò che accade nell’organizzazione.

La comunicazione nel team ha un impatto positivo sul luogo di lavoro: una conversazione con i colleghi può rendere più sopportabile la prima settimana dopo le vacanze.

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5. Non esagerare: tornare al lavoro non vuol dire dover fare tutto subito

Dopo un’assenza, è facile pensare che per recuperare sia necessario prolungare l’orario di lavoro. Tuttavia, questa attitudine può portare a un ulteriore stress e molto probabilmente avrà un impatto negativo sulla produttività a lungo termine, anche se si ha la sensazione di fare di più nel breve periodo.

Le ferie sono una parte importante dell’equilibrio tra lavoro e vita privata. Per questo motivo, è necessario eliminare qualsiasi senso di colpa per il fatto di essersi presi delle ferie ed evitare di sovraccaricarsi di lavoro al rientro per mantenere il più a lungo possibile l’energia positiva accumulata durante le vacanze.

È qui che entra in gioco il lavoro di squadra; tutte i team devono essere in grado di andare avanti nonostante l’assenza di alcune persone in diversi periodi dell’anno. Assicurarsi di avere un piano per delegare i compiti e far avanzare i progetti mentre si è lontani può aiutare a mitigare la necessità di sforzi supplementari al ritorno.

6. Dai priorità alla cura di te stesso

Il ritorno alla routine quotidiana può facilitare il processo di adattamento al rientro al lavoro. Cerca di tornare a casa dalle vacanze un paio di giorni prima di ricominciare a lavorare; questo ti permetterà di avere un po’ di tempo per completare le attività quotidiane come la spesa o le pulizie di casa. Immagin di arrivare a casa la domenica sera, senza cibo in frigo, con una casa disorganizzata e di doverti svegliare presto la mattina per andare al lavoro: sembra stressante, vero?

Invece organizza un aperitivo con gli amici, sistema e goditi la casa, fai una bella passeggiata o una sessione di yoga, cerca di svegliarti presto per riadattare le vostre ore di sonno e riprendi a seguire una dieta sana. Questi piccoli trucchi possono aiutare a facilitare il processo di ritorno alla routine.

Horizon di Meta

Tegola sul Metaverso: il vice presidente di Horizon di Meta lascia la società

Il capo della piattaforma di realtà virtuale Horizon di Meta , la principale porta d’accesso al metaverso che l’azienda sta costruendo con miliardi di dollari, lascia il suo incarico per una nuova opportunità, secondo quanto dichiarato a Reuters.

Un portavoce di Meta ha confermato la partenza del vicepresidente Vivek Sharma e ha detto che il suo team riferirà direttamente a Vishal Shah, vicepresidente del Metaverse. Sharma non ha voluto approfondire con ulteriori motivazioni.

Il vice presidente Horizon di Meta lascia la società

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Di cosa si occupa Sharma in Horizon di Meta

Sharma è stato fino ad ora responsabile dello sviluppo dell’ambiente virtuale immersivo che gli utenti sperimentano all’interno del metaverso di Meta, accessibile principalmente tramite i dispositivi di realtà virtuale dell’azienda, come i visori Oculus.

Sebbene il business associato ai mondi virtuali dell’azienda sia ancora in fase nascente, l’obiettivo è quello di rendere questi mondi il luogo principale in cui i marchi e gli sviluppatori di terze parti possano raggiungere la base di utenti di Meta. Alla base del successo, naturalmente, c’è il presupposto che il metaverso decolli diventando mainstream.

Tra le piattaforme create dal team di Sharma ci sono Horizon Worlds, una vasta piattaforma di costruzione di mondi VR, e Horizon Venues, incentrata sugli eventi virtuali e già disponibile anche in Italia.

Horizon Workrooms, è invece una tecnologia per conferenze virtuali rivolta ai clienti aziendali, è gestita dalla divisione “casa e lavoro” di Meta, focalizzata sulle imprese.

La partenza di Sharma arriva a seguito di un episodio imbarazzante per Meta che ha coinvolto Horizon Worlds, in cui i critici hanno deriso la qualità grafica dell’avatar dell’amministratore delegato Mark Zuckerberg che aveva postato uno screenshot su Facebook scatenando immediatamente critiche e ironia e sollevando anche diverse perplessità sullo stato di maturità del progetto. Il post era però particolarmente rilevante per l’annuncio dell’apertura del mondo virtuale della corporate di Facebook in Spagna e Francia; l’ingresso in Europa di Horizon Worlds è infatti attesissimo.

Giorni dopo, Zuckerberg ha poi pubblicato una seconda immagine che mostra un avatar più sofisticato e un mondo virtuale decisamente più elaborato. Ha ammesso francamente che l’immagine precedente era “piuttosto elementare” e ha promesso “importanti aggiornamenti a Horizon e alla grafica degli avatar in arrivo“.

Sharma, che lavora per Meta da più di cinque anni, è stata in precedenza vicepresidente dei prodotti per Facebook Gaming e Facebook Marketplace.

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pubblicità su Netflix

In arrivo la pubblicità su Netflix: prezzi in calo e catalogo ridotto

Prepariamoci per l’arrivo della pubblicità su Netflix. Secondo un report di Bloomberg pubblicato nel fine settimana, l’abbonamento di Netflix con contenuti pubblicitari potrebbe costare da 7 a 9 dollari al mese. Per fare un confronto, negli Stati Uniti il servizio di streaming offre un piano base a schermo singolo per 9,99 dollari al mese, mentre il piano più venduto, che offre lo streaming full HD su due schermi, costa 15,99 dollari al mese.

Come sarà la pubblicità su Netflix

Il rapporto di Bloomberg ha sottolineato che Netflix prevede di mostrare circa quattro minuti di pubblicità per  ogni ora di programmazione, una quantità comunque pari o inferiore a quella dei suoi concorrenti. Il rapporto afferma inoltre che la società potrebbe mostrare annunci pubblicitari prima e durante uno spettacolo, ma non mostrerà nulla dopo la fine di un episodio.

Ad aprile, il gigante dello streaming aveva dichiarato di prevedere l’uscita dell’abbonamento ad-supported nel 2023. Da allora, diverse fonti hanno sottolineato che l’azienda potrebbe lanciare questo piano entro la fine dell’anno in almeno una mezza dozzina di mercati nell’ultimo trimestre del 2022.

pubblicità su Netflix - 2

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Pubblicità su Netflix: cosa cambia con il piano ad-fueled

Durante la recente conferenza stampa sugli utili, Netflix ha confermato che gli utenti che si abboneranno al piano ad-supported non avranno inizialmente accesso a tutto il catalogo, cosa che potrebbe dipendere dai suoi accordi di licenza con diversi studios. Recenti informazioni hanno anche rivelato che Netflix potrebbe consentire la visione offline del contenuti anche in questo nuovo tipo di piano.

Bloomberg ha anche suggerito che Netflix potrebbe non inserire pubblicità nei contenuti dedicati ai bambini, anche nel piano ad-supported e nella sua programmazione cinematografica originale.

Il gigante dello streaming sta cercando di raccogliere più utenti sperimentando piani più economici, come quelli per soli cellulari disponibili in India, Malesia, Nigeria, Kenya e Sudafrica.

Tuttavia, il piano ad-supported potrebbe diventare disponibile a livello globale dopo il lancio. Le stime indicano che gli annunci pubblicitari su Netflix genereranno entrate per 8,5 miliardi di dollari entro il 2027. Uno studio pubblicato a maggio da Digital TV Research suggerisce che il mercato globale dei video on demand supportati da pubblicità (AVOD) crescerà fino a 70 miliardi di dollari entro il 2027, con gli Stati Uniti che genereranno 31 miliardi di dollari.

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Anche Disney+ e Warner Bros. puntano sulla pubblicità

Netflix non è l’unico servizio di streaming che intende affidarsi a un piano di supporto pubblicitario per espandere la propria base di utenti. A marzo, Disney+ ha confermato l’intenzione di introdurre un sistema simile entro la fine dell’anno.

Durante la presentazione degli utili per il secondo trimestre del 2022, anche Warner Bros. Discovery ha dichiarato che sta esplorando un piano di supporto pubblicitario per il nuovo servizio creato dalla fusione di HBO Max e Discovery+ il cui lancio è previsto per il 2023.

messy middle model

Messy Middle Model: il nuovo modello che descrive processo di acquisto dei clienti

Il processo di acquisto è da sempre oggetto di studio e analisi da parte di coloro che sono impegnati nella funzione del marketing, alla ricerca di un modello che possa descrivere questo processo al fine di codificarlo per il proprio business di riferimento.
La teoria ha formulato negli anni tanti modelli ultimo dei quali il “Messy Middle Model”, che descrive le varie fasi del percorso d’acquisto, spesso molto confuse, che avvengono tra il primo trigger e l’acquisto effettivo e che rappresentano oggi la grande sfida di chiunque sia impegnato nel digital marketing.

Tutti sappiamo che il covid ha dato un forte impulso alle vendite online e gli stessi analisti di Google hanno stilato vari modelli preposti ad aggiornare la prospettiva sul processo decisionale dei consumatori ricorrendo ad esperti nel campo delle scienze comportamentali, “The Behavioural Architects”.

Il lavoro svolto da questi professionisti ha delineato un percorso per decifrare il modo in cui i consumatori decidono cosa acquistare, portando a comprendere il modo in cui i consumatori prendono decisioni in un ambiente online con innumerevoli opzioni e infinite informazioni a disposizione.

La prima cosa presa in considerazione è stata che le persone sfruttano i bias cognitivi, o distorsioni cognitive, radicati a fondo nella propria mente per affrontare e gestire i concetti complessi e su larga scala. Questi bias non sono una novità, esistono da molto prima di Internet, ed influiscono sulle decisioni di acquisto delle persone.

La ricerca condotta da Google, ha alla fine portato ad un aggiornamento del modello decisionale del consumatore, dove al centro regna il caos, uno spazio complesso tra il primo trigger e l’acquisto finale, in cui i consumatori sono sopraffatti e confusi, il Messy Middle.

Le persone cercano informazioni su prodotti e brand di una categoria e poi valutano tutte le opzioni a loro disposizione. Questo si riflette in due schemi mentali diversi che prendono forma nel Messy Middle del percorso di acquisto

  • esplorazione, un’attività espansiva; 
  • valutazione, un’attività riduttiva. 

Qualsiasi cosa stia facendo una persona, in un’ampia varietà di fonti online, come motori di ricerca, social media, aggregatori e siti web di recensioni, può essere classificata in una di queste due mentalità.

Percorso di acquisto dei consumatori

Fin qui è chiaro il fine o meglio l’essenza del “Messy Middle model” come nuovo modello di marketing per decodificare il processo di acquisto di un cliente, ma in che modo questi si antepone ai precedenti modelli ? 

Questo framework prevede che la fase awareness non va interpretata semplicemente come la fase top del customer journey, infatti un potenziale cliente va esposto continuamente al messaggio comunicativo. 

Altra aspetto di rottura rispetto ai precedenti modelli è dato dal processo di valutazione, attivato dal cliente prima dell’acquisto. Un tempo era interpretato come un momento  statico, oggi va visto come un loop continuo e per questo motivo le nostre opzioni di acquisto devono essere sempre presenti nei momenti più rilevanti. Nello svolgimento di questo step è fondamentale disporre di strumenti di machine learning.

Dai due punti appena esposti va da sé che l’esperienza d’acquisto deve essere semplice e veloce per finalizzare il risultato.

Chiunque abbia affrontato un esame di marketing strategico all’università oppure abbia seguito un corso di specializzazione si sarà imbattuto in un modello che da oltre un secolo descrive il funzionamento della pubblicità, il modello AIDA (Attention o Awareness, Interest, Desire, Action) introdotto da Lewis, rivisto da Strong e in ultimo da Kotler.

Il confronto del Messy Middle Model con AIDA

Dal modello AIDA deriva il funnel Awareness-Consideration-Conversion che raggruppa due fasi così da potersi adattare meglio agli strumenti di misurazione digitale per via delle difficoltà che avremmo nella valutazione tramite KPI “l’interesse” ed il “desiderio”.

Che relazione c’è tra il “Messy Middle Model” e il modello AIDA ? semplice è una sua moderna e più dettagliata rivisitazione alla luce dell’introduzione della multicanalità e dei canali digitali che bombardano il cliente di informazioni. 

AIDA vs Messy middle model

Con il “MMM” viene abbandonando il concetto di fasi sequenziali ad imbuto per una rappresentazione ricorsiva e circolare, aspetto che coloro che analizzano i percorsi di conversione su Google Analytics possono confermare quando vedono i lunghissimi conversion path:

Google Analytics convertion path

Google Analytics convertion path

Confrontando il modello AIDA con il MMM possiamo ben vedere che non ha molto senso interpretare la fase di awareness come uno specifico momento al top del modello, ma ha più senso vederla come una fase ricorsiva che va presentata più volte al potenziale cliente durante il suo “viaggio”. 

Infatti affinché un prodotto o un brand restino impressi nella mente del consumatore è necessario che il messaggio venga riproposto di continuo. 

Una domanda che ci poniamo a questo punto è, in un modello ricorsivo quando inizia la fase che innesta il processo di acquisto?

Tale processo inizia con uno o più trigger, dove in informatica un trigger è una condizione che scatena un evento. Se ad esempio mi invitano ad una festa e ho bisogno di un jeans, questa condizione scatena il trigger della ricerca del  prodotto, se il costo della bolletta telefonica è altro inizierò a cercare una compagnia più economica.

Analizzando queste situazioni risulta palese che il processo di acquisto non inizia con la fase dell’ awareness e che le condizioni sopra descritte si presentino prima della fase di “esplorazione” e “valutazione”.

Riprendendo il lunghissimo conversion path di cui sopra è curioso vedere quante volte quel potenziale cliente sia stata ingaggiato dalla campagna di brand e da quante altre campagne a differenti livelli del funnel prima di convertire. Quanti ripensamenti prima di procedere alla conversione! Ed è evidente che vi sono tantissimi touchpoint e di conseguenza dati da analizzare che possono essere elaborati solo da una macchina e da un algoritmo di machine learning. 

Messy Middle Model

I vari ripensamenti appena accennati scaturiscono dai bias cognitivi che vedremo tra poco.

Le fasi del Messy Middle Model

Passiamo adesso a descrivere le varie fasi del MMM:

Esposizione, prima che inizi il processo di acquisto del consumatore è necessario essere già presenti nella sua mente per far parte di quell’insieme di brand tra i quali effettuerà la scelta. Questo richiederebbe, da un punto di vista strategico, l’utilizzo di una campagna ADV always-on oppure attivare campagne ADV in determinati micro momenti.

Esplorazione e Valutazione sono due fasi che camminano di pari passo. Il cliente mentre esplora effettua delle valutazione e durante queste fasi dobbiamo essere presenti tramite campagne basate sul machine learning, “smart” utilizzando una terminologia cara a Google.

Queste campagne si basano sull’intento di ricerca del cliente e non sul modello classico legato alle keyword. Anche Facebook utilizza campagne adatte a questo scopo basate sull’utilizzo del lookAlike. 

Durante questa fase assumono un ruolo importantissimo i “bias cognitivi” perché non solo modellano il comportamento di acquisto dei clienti, ma  influiscono sui motivi che li spingono a scegliere un prodotto rispetto a un altro.

I bias cognitivi rappresentano il modo con cui il nostro cervello distorce di fatto la realtà, sono dei pregiudizi.

I bias cognitivi nel percorso d’acquisto

Di seguito l’elenco dei bias individuati da Google a seguito di una serie di esperimenti:

Euristica di categoria: brevi descrizioni di informazioni chiave del prodotto possono semplificare le decisioni di acquisto.

Potere dell’immediatezza: più tempo bisogna aspettare per usufruire di un prodotto e minore diventa l’intenzione di acquistarlo.

Prova sociale: consigli e recensioni da altre persone possono rivelarsi molto efficaci.

Bias di scarsità: un prodotto diventa più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce

Bias di autorità: l’opinione di un esperto o di una fonte attendibile è particolarmente influente.

Potere della gratuità: un regalo incluso con un acquisto, anche se non correlato al prodotto acquistato, può essere un ottimo incentivo.

Ritornando alle fasi del MMM abbiamo:

Esperienza, il riferimento è all’esperienza di acquisto online che, inutile dirlo, effettuata attraverso un mezzo digitale deve essere semplice e immediata. Questa fase va piantonata tramite campagne di search brand e retargeting.

Acquisto, il processo è terminato e si innescano altri processi legati al delivery, al post vendita, customer service, fidelizzazione, ecc. .

Resta quindi assolutamente consigliabile tenere sempre presente questi elementi, cercare di intuirne il loro funzionamento e la loro correlazione in modo da costruire delle esperienze che sempre più si avvicinano al reale comportamento del cliente.

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Basta Greenwashing: perché il tuo business deve essere davvero sostenibile

Negli anni 70’, il biologico era appannaggio di pochi visionari, spesso derisi dai “padroni del cibo” – così vengono definite le multinazionali che determinano l’andamento del mercato alimentare globale, influenzando le nostre abitudini.

Oggi, quelle che all’inizio sembravano api solitarie in un alveare di vespe, si sono riunite in sciami, sempre più grandi e rumorosi. La pandemia da COVID-19, infatti, ha accelerato una tendenza già in atto: la “conversione” di un numero crescente di persone al biologico.

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Solo nel 2021, secondo i dati elaborati dall’Osservatorio SANA, il mercato italiano del biologico ha raggiunto un valore di 4,6 miliardi di euro, pari al +5% rispetto all’anno precedente.

E fra le motivazioni che avrebbero spinto il 54% delle famiglie italiane ad acquistare prodotti a certificazione biologica in modo ricorrente – anche più volte alla settimana – ci sarebbero: le garanzie sulla qualità, i benefici per la salute e la sostenibilità ambientale.

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Il biologico, dunque, racchiude in sé un insieme di valori etici che hanno una grande capacità attrattiva sul consumatore finale: molte persone acquistano “bio” anche perché si sentono moralmente appagate.

Consapevoli che l’emozione gioca un ruolo importante nel processo decisionale d’acquisto e attratti dalle allettanti prospettive di guadagno, i “Big” dell’Industria Alimentare hanno escogitato un sistema per favorire le vendite dei propri alimenti convenzionali, senza modificarne l’asset produttivo.

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Colore “verde” e claim allusivi alla sostenibilità: così alcune aziende ingannano i consumatori

Come? Cambiando semplicemente il packaging. Passeggiando tra le corsie del supermercato non è difficile accorgersi che, sugli scaffali, il verde è diventato il colore predominante.

Secondo gli psicologi, che ne studiano gli effetti sulla mente umana, ogni colore provoca un’emozione e il verde rimanda a quella pace e tranquillità che solo la natura riesce a trasmettere.

Involontariamente, quindi, alle tonalità del verde tendiamo ad associare un significato particolarmente eco-friendly. Si tratta, a tutti gli effetti, di una manipolazione emotiva invisibile, spesso rafforzata da slogan vaghi e approssimativi, non supportati da un impegno concreto in materia di sostenibilità.

Frasi come “impatto zero”, “meno CO2 e gli stessi acronimi ECO e BIO, perdono di credibilità nel momento in cui non coinvolgono certificazioni specifiche.

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Greenwashing: comunicazione a scopo di lucro

Un fenomeno sempre più diffuso, che prende il nome di greenwashing, un neologismo indicante l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste e salutiste da parte di alcune aziende – perlopiù multinazionali – che, dietro green claims, nascondono il reale impatto delle loro scelte/azioni produttive e commerciali.

Si tratta, quindi e a tutti gli effetti, di una strategia di marketing ingannevole: una truffa ai danni del consumatore, che mina la trasparenza della filiera alimentare – già fortemente compromessa.

Sul web è possibile trovare diversi esempi di aziende che sono state accusate di greenwashing. In particolare, sono tre i casi più sospetti e vicini a noi.

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Antitrust: 3 casi di greenwashing

Coca-Cola

Coca-Cola è uno dei brand più controversi dell’Industria Alimentare e, più volte, è stata al centro di accese polemiche per pratiche commerciali scorrette.

L’ultima accusa, in termini di tempo, è quella avanzata dalla Changing Market Foundation che, in un recente report, avrebbe inserito la Coca-Cola nella “lista nera” delle aziende che fanno greenwashing

Nel sito ufficiale di Coca-Cola Italia, sotto la voce “sostenibilità”, si legge di una nuova collaborazione con The Ocean Cleanup, una fondazione con sede a Rotterdam, nata per ripulire fiumi ed oceani dalla plastica, con un innovativo sistema di raccolta, che sfrutta le correnti marine.

Una partnership che, a prima vista, potrebbe sembrare virtuosa e sulla cui promozione l’Azienda di Atalanta ha speso milioni di dollari. In realtà, le bottiglie sarebbero costituite solo per il 25% da “plastica marina” riciclata, come afferma George Harding-Rolls, Campaign Manager della Changing Market Foundation.

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Una quota irrisoria che, di certo, non è sufficiente a porre rimedio agli ingenti danni ambientali di cui l’Azienda è colpevole. The Coca-Cola Company, infatti, è considerata una delle aziende più inquinanti al mondo in termini di rifiuti di plastica prodotti, come rivela l’inchiesta “Brand Audit 2021” pubblicata dall’organizzazione no-profit Break Free From Plastic.

I sospetti, quindi, che quello di Coca-Cola non sia un impegno concreto verso un futuro più sostenibile sono molteplici e all’orizzonte si fa strada l’ipotesi che si tratti di una strategia comunicativa a mero scopo di lucro, alla quale i media – spesso corrotti – fanno da megafono.

San Benedetto

Non serve necessariamente guardare oltre oceano per imbattersi in aziende che fanno greenwashing. Nel Gennaio del 2010, ad esempio, il Gruppo San Benedetto – leader nella produzione di acqua minerale e altre bevande analcoliche – è stato condannato a pagare una multa di 70.000 euro per aver presentato, nei messaggi pubblicitari, la propria bottiglia di plastica come “amica dell’ambiente”.

I messaggi di San Benedetto, pubblicati tra il 2008 e il 2009 su diversi giornali nazionali, insistevano sull’eco-sostenibilità delle nuove bottiglie “prodotte con meno plastica, meno energia e più amore per l’ambiente”, e sui contenitori classificati come eco-friendly che avrebbero permesso di “ridurre almeno del 30% la quantità di plastica impiegata e quindi di contenere il consumo di energia”.

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Negli stessi anni, per rafforzare la propria immagine green, la società di Scorzé (VE) arrivò addirittura a stringere un accordo con il Ministero dell’Ambiente – all’epoca presieduto dall’Avv. Alfonso Pecoraro Scanio – assumendo una serie di impegni in accordo con il Protocollo di Kyoto, tanto da essere stata premiata nel progetto Coop for Kyoto, come una delle aziende più virtuose nel risparmio delle emissioni di CO2.

In realtà, come segnalato dall’Antitrust, all’epoca l’effettivo risparmio di energia e anidride carbonica non era stato calcolato: pertanto, risultava difficile quantificare i benefici per l’ambiente.

Amadori

Nel vortice impietoso del greenwashing è caduta anche una delle più celebri aziende agroalimentari d’Italia: Amadori. L’azienda di San Vittore (FC) è stata costretta dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) a modificare la comunicazione relativa ai propri allevamenti di pollame, ritenuta ingannevole.

Sul proprio portale, Amadori pubblicizzava – con particolare enfasi – l’impegno della cooperativa nell’assicurare il benessere animale in ogni fase della filiera, suggerendo che tali condizioni erano riferibili a tutti i polli allevati.

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Invece, tali riguardi, sono riservati esclusivamente a due linee di prodotto premium: Pollo Campese e Pollo 10+. Per altro, anche nel caso dei Polli 10+, non sono mancate le critiche verso un claim promozionale che recitava “maggiore spazio in allevamento rispetto ai limiti di legge: le indagini, infatti, hanno dimostrato come l’azienda si limitasse a garantire la soglia massima di densità, pari a 33Kg/mq.

Tuttavia, dopo le segnalazioni ricevute, Amadori si è impegnata a correggere le informazioni false riportate sul proprio sito, accusando le associazioni dei diritti animali – L’ENPA , in particolare – di aver strumentalizzato la vicenda.

Come difendersi dal rischio di greenwashing

Di casi analoghi, ce ne sono innumerevoli e riferibili a più settori – dall’agroalimentare, alla moda, fino all’elettronica. In Italia, per contestare un green claim – e contribuire alla tutela dei consumatori – è possibile: fare denuncia all’autorità competente (AGCM), instaurare un giudizio civile o segnalare il caso all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP).

Mentre per non cadere in “trappola” è raccomandabile osservare la corrispondenza tra diciture green e certificazioni riportate in etichetta, andando oltre il semplice colore del packaging.

Il greenwashing resta, ad oggi, una problematica seria e spesso impunita, che gioca a svantaggio di quelle aziende realmente impegnate sul fronte della sostenibilità, per limpide convinzioni etiche e non torbidi interessi economici.

smart tv

Il gaming sulle smart tv rappresenta la nuova frontiera della pubblicità

Il gaming sulle smart tv rappresenta la nuova frontiera della pubblicità. A dirlo è un rapporto di Samsung dal titolo “Behind the screens: gaming trends report” che mostra chiaramente quanto stia crescendo il gaming delle CTV, i televisori connessi a Internet per la riproduzione di video e musica in streaming.

I gamer, definiti come i nuovi heavy streamer della tv intelligente, trascorrono davanti lo schermo il 45% in più di tempo rispetto a chi non gioca.

“Il valore crescente del gaming e il continuo engagement dell’audience post pandemia rivelano come il gioco sia diventata una vera e propria abitudine quotidiana degli utenti dei televisori Samsung. E la nostra posizione unica e privilegiata nel settore del gaming ci permette di comprenderne i fruitori sia dal punto di vista dell’hardware che da quello del comportamento”, ha commentato Alex Hole, vicepresidente di Samsung Ads Europe.

Dai numeri dell’azienda emergono dati positivi per gli investitori e per il mercato pubblicitario che si sta muovendo in tal senso. Per i brand è importante capire dove i consumatori fruiscono i contenuti, per entrare direttamente in contatto con loro.

Essere attenti all’evoluzione dei comportamenti degli utenti è l’elemento chiave per essere presenti, aumentare la copertura e non perdere terreno rispetto ai concorrenti.

L’aumento delle vendite delle CTV apre quindi nuovi possibili scenari. Vediamoli nel dettaglio analizzando qualche dato.

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La crescita delle CTV

I dati del rapporto Samsung Ads parlano chiaro: nel primo trimestre 2022 le smart tv utilizzate per giocare hanno mostrato un aumento del 12% annuo rispetto al primo trimestre dell’anno precedente, registrando di fatto un passaggio da 4,8 milioni di utenti a 5,4 milioni.

In particolare, in Italia si registra un +10%, equivalente esattamente a 786.000 tv Samsung utilizzate per il gioco.

Un valore che sta crescendo anche in Europa. In particolare, nell’EU5 (Francia, UK, Germania, Spagna, Italia), le ore passate a giocare con una smart tv sono aumentate del 9%, passando da 530 milioni di ore nel primo trimestre 2021 a 576 milioni di ore nello stesso trimestre del 2022. Aumenta del 2% anche il tempo medio delle singole sessioni di gioco.

Gamer batte streamer

I numeri rendono il mercato dei gamer sempre più attraente: dal rapporto emerge che i giocatori trascorrono il 45% in più di tempo di fronte allo schermo rispetto ai non giocatori; per il 51% del loro tempo sono presenti in ambienti streaming, per il 32% in ambienti lineari, con fruizione di contenuti video in diretta con abbonamento via cavo/satellite/antenna, come la tv tradizionale.

I soggetti che giocano ai videogiochi su smart tv infatti raggiungono in media 195 ore di streaming a trimestre, rispetto ai non gamer, con 101 ore di fruizione lineare.

Nel nostro Paese, il 25% risulta essere un giocatore “heavy streamer”, cioè molto forte in considerazione del tempo dedicato all’attività, e viceversa il 44% degli heavy streamer italiani è un giocatore.

I gamer sono “sul pezzo”

Non solo heavy streamer, i gamer risultano essere anche heavy adopter, pronti ad adottare con repentinità nuove tecnologie.
Tra i giocatori con tv connesse Samsung risulta che la maggioranza utilizza ancora console di prima generazione (PS4, Switch, Xbox One), parliamo del 79% della totalità delle console nei territori EU5, ma il numero è destinato a cambiare in fretta. Le console di nuova generazione (PS5, Xbox Series X e S), lanciate nel novembre 2020, si stanno facendo largo con prepotenza nel mercato. In Italia, Samsung ha registrato una crescita del 150% nel primo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021.

Quest’ultimo non è un dato da sottovalutare, considerando che il gioco con le nuove console ha infatti portato ad un aumento del tempo trascorso davanti allo schermo: nei primi tre mesi di quest’anno, il tempo medio giornaliero di gioco con una smart tv Samsung è salito ad 1 ora e 36 minuti, rispetto ai 38 minuti dell’anno scorso.

L’atteggiamento dei consumatori di fronte ad un nuovo prodotto dipende dalle proprie inclinazioni. Generalmente gli innovatori, disposti ad assumersi il rischio, oscilla intorno al 2%, secondo il libro “Marketing, Il Management orientato al mercato”, Pastore, Mattiacci.

Il fenomeno, nelle caso delle console, è probabilmente dovuto alla curiosità per la novità, ma non solo:

“La superiorità del tempo trascorso dai gamer davanti alle nostre TV non può, però, essere attribuita solo al gaming. È più probabile che accedano ad una serie di opzioni Smart TV, dalla TV lineare alle piattaforme di streaming on-demand. Ed è così che per i gamer, le Smart TV diventano il fulcro della casa”, ha specificato il Vicepresidente Hole.

Il valore del gaming per la pubblicità

Il 34% delle ore di streaming sulle tv dei giocatori è rappresentato dalla fruizione di contenuti in ambienti AVOD (ad-supported video on demand), piattaforme di streaming a cui gli utenti accedono gratuitamente grazie al supporto della pubblicità. Il tempo che vi passano i giocatori registra il 41% in più rispetto ai non giocatori.

L’approccio degli utenti verso tali piattaforme appare positivo, dimostrando di accettare di buon grado i messaggi pubblicitari. YouTube è ancora la regina indiscussa del settore, ma altre piattaforme, come Samsung Tv Plus, Pluto e Rakuten, vedono aumentare l’apprezzamento nei loro confronti in Europa.

Nell’EU5, i giocatori hanno il 10% di probabilità in più di guardare Samsung Tv Plus (il servizio streaming di proprietà Samsung, supportato proprio dalla pubblicità). Per quanto riguarda la tipologia di contenuti, i preferiti sulla piattaforma dell’azienda, nel primo trimestre dell’anno in corso, sono stati l’intrattenimento, le news e l’istruzione.

Con la raccolta dei dati relativi al rapporto emesso il 19 luglio, provenienti da circa 30 milioni di Samsung Smart Tv, l’azienda ha presentato una visione olistica dei comportamenti dei telespettatori, senza dubbio di grande utilità per gli inserzionisti pubblicitari dell’Advanced Tv.

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L'importanza del linguaggio inclusivo

Il marketing inclusivo come valore aggiunto per il business

Marketing inclusivo e comunicazione che toccano tutte le sfere dell’unicità di ciascun individuo, sono i trend sociali che stanno modificando le strategie di business delle organizzazioni. Effetto dell’onda comprensiva e accogliente che si è sviluppata negli ultimi anni che sta modificando i messaggi pubblicitari dei brand. A luglio 2020 Microsoft ha pubblicato lo studio “The Psychology of Inclusion and the Effects in Advertising: Gen Z” svelando due realtà fondamentali:

  1. Il 70% dei giovani intervistati ha dichiarato di fidarsi maggiormente di brand che rappresentano la diversità nella loro comunicazione
  2.  Il 49% ha affermato di aver smesso di comprare i prodotti dei marchi che non rispettano i valori in cui credono

Il Marketing inclusivo parte dall’identificazione dei bisogni

“Rappresentare l’unicità”, è quello che oggi viene definito Marketing Inclusivo, quell’approccio che, come spiega MJ DePalma, responsabile del marketing multiculturale e inclusivo per Microsoft Advertising: “Evidenzia o risolve un aspetto della diversità dove si verifica l’esclusione“. Ma le differenze devono includere!

Per unicità non si intendono solo fattori come l’orientamento sessuale, il genere e l’etnia, ma ogni singola sfumatura individuale: dalla lingua al reddito, dagli hobby all’età, dalle passioni fino all’aspetto fisico.

Come esperti di marketing, amiamo mettere il nostro pubblico in piccole scatole soddisfacenti, indirizzando i nostri messaggi a quel cliente ideale che soddisfa una manciata di dati demografici predeterminati.

Incorporare strategie di marketing inclusive significa uscire da queste scatole e capire che le persone hanno identità multiple.

Il Marketing Inclusivo persone con background diversi o storie a cui tutti possono relazionarsi.

Il marketing inclusivo tocca le sfere dell’età, della religione, dell’etnia e non esclude nulla. Fonte: Thunder Tech

Il pubblico sta diventando sempre meno omogeneo, soprattutto nelle nazioni occidentali. Le persone vogliono vedersi rappresentate rispetto alla Brand Purpose, e dal marketing che viene fatto, e ci sono due ragioni principali per cui è necessario incorporare strategie di marketing inclusive per qualsiasi azienda che cerca di crescere e mantenere un punto d’appoggio all’interno del proprio settore.

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Marketing inclusivo, quando i brand sposano l’unicità

Quando celebriamo le persone nel mondo reale, vincono tutti. Nel 2020, l’US Census Bureau ha rilevato oltre il 42% degli americani come non bianchi, rispetto al 36% nel 2010 e il Pew Research Center stima ha stimato che gli Stati Uniti non avranno un gruppo razziale maggioritario entro l’anno 2055.

In effetti, è nella natura umana cercare modelli e personaggi con cui possiamo relazionarci e con cui entrare in empatia. Un segmento di PBS Newshour del 2019 ha parlato a 100 studenti delle scuole medie e superiori della rappresentazione nei media e ha scoperto che gli studenti delle minoranze hanno segnalato un colpo alla loro salute mentale e una lotta per modellare la propria identità quando non si vedevano rappresentati nella cultura pop. Il cinquantotto percento dei telespettatori crede che i media svolgano un ruolo nel far rispettare gli stereotipi e noi come marketer abbiamo l’opportunità e l’obbligo etico di sostenere una rappresentazione sana della realtà.

IKEA: un caso virtuoso

Per Ikea un ambiente di lavoro davvero inclusivo stimola la creatività e migliora i risultati del business.

La campagna inclusiva lanciata da IKEA. Fonte: Pinterest

Un esempio virtuoso di marketing inclusivo è IKEA: un brand che ha costruito la propria immagine sull’impegno sociale e la lotta per i diritti.

Già nel 2011, 5 anni prima che la legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso fosse approvata, e in anticipo rispetto a ogni trend, IKEA lanciò la campagna “Siamo aperti a tutte le famiglie in occasione dell’inaugurazione di un nuovo negozio a Catania.

Il Marketing inclusivo fa bene agli affari

Secondo Google, il 69% dei consumatori neri ha maggiori probabilità di acquistare da un marchio che riconosce e parla della loro etnia. Lo stesso articolo rivela che il 71% dei consumatori LGBTQ+ ha maggiori probabilità di interagire con un marchio che li rappresenta autenticamente e parla del loro orientamento sessuale, (ad esempio AKA un marchio che non sventola solo la bandiera arcobaleno dal 1° al 30 giugno).

Il Marketing inclusivo parte dai piccoli gesti

L’attenzione alle peculiarità non sta nel rimarcare le differenze etniche creando esclusione. Fonte: Thunder Tech

Le persone chiedono il riconoscimento delle diversità da parte dei media dei quali sono fruitori. Nel 2021, l’UCLA ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla diversità che analizza i media dell’anno precedente. Il rapporto ha rilevato che i film in cui meno dell’11% del cast era rappresentativo di gruppi minoritari erano quelli con la performance più bassa al botteghino nel 2020. Al contrario, le vendite dei biglietti erano più alte quando oltre il 20% del cast era costituito anche da minoranze.

LEGGI ANCHE: Da dove cominciare per portare le diversità (e il talento) nel mondo del lavoro

Come rendere il tuo marketing inclusivo nel 2022

Qualsiasi azienda, qualsiasi dimensione e in qualsiasi settore può implementare strategie di marketing inclusive. Bisogna incorporare i principi chiave nella campagne, negli elenchi di lavoro oppure nei progetti web.

1. L’accessibilità è fondamentale

L’accessibilità digitale è la pratica per garantire che tutte le persone possano utilizzare un prodotto digitale, come un sito Web, indipendentemente dalle capacità e performance individuali rispetto alla vista, all’udito, al livello cognitivo, di lettura e di coordinazione motoria.

Ci sono 285 milioni di persone in tutto il mondo che soffrono di disabilità visive e questa comunità dovrebbe essere in grado di accedere ad un sito web come gli altri. Allo stesso modo, oltre 430 milioni di persone soffrono di problemi di udito e desiderano godersi i contenuti video per cui si è lavorato duramente.

L’accessibilità digitale include, ma non si limita a:

  • Usare il testo alternativo sulle immagini per descriverle a parole
  • Selezione di colori di facile lettura per le risorse creative, in particolare per gli utenti ipovedenti
  • Didascalie nei video 
  • Posizionamento delle etichette all’esterno del campo modulo
  • Scelta di immagini ad alto contrasto

2. La rappresentanza conta

Questo è rivolto a tutti i team creativi là fuori, in particolare quelli che utilizzano immagini e video di stock. Marketing inclusivo significa lavorare per garantire che le risorse finali siano diverse e pienamente rappresentative di tutto il pubblico, anche quando richiede maggiore lavoro.

La maggior parte dei siti di foto d’archivio, ampiamente utilizzati dai team creativi, presentano principalmente modelli bianchi e normodotati e hanno opzioni limitate di tutte le altre razze, dimensioni e abilità. La scrittrice Nisha Mody ha scritto un eccellente commento su questo argomento, che puoi leggere per intero qui.

I designer dovrebbero fare uno sforzo per includere BIPOC, donne, corpi di diverse dimensioni e persone con disabilità nelle risorse creative. Le immagini che abbiamo diffuso nel mondo definiscono ciò che è normale per il cervello umano vedere e la diversità dovrebbe essere la norma.

3. Espandi le tue vacanze

I team dei social media amano balzare sui contenuti relativi alle vacanze, ma tendono ad avere difficoltà ad andare oltre le festività statunitensi ed eurocentriche come il 4 luglio, il Ringraziamento e il Natale.

C’è da considerare che nel 2020, il 92% degli americani ha celebrato il Natale, il 5% ha celebrato Hanukkah e il 3% ha celebrato Kwanzaa. Un totale del 5% ha celebrato più di una di queste festività. Il 3% dell’America può sembrare minuscolo, ma si tratta comunque di una fetta consistente, circa 4,8 milioni di persone.

L'analisi dei dati è fondamentale per il Marketing inclusivo

Includere vuol dire analizzare i dati, perché nulla è marginale. Fonte: Thunder Tech

Al di fuori dei mesi invernali, sarebbe proficuo chiedere al team Social Media, di celebrare in modo rispettoso e appropriato festività come Juneteenth, Chinese New Year ed Eid al-Fitr.

4. Non dare per scontato il proprio pubblico

Identificare e parlare correttamente con il pubblico di riferimento, piuttosto che presumere da chi sia composto e comprendere cosa le singole persone vogliono sentire. I pregiudizi subdoli possono indurci ad appoggiarci a nozioni preconcette di genere, razza e altri identificatori.

Il modo migliore per evitare ipotesi è condurre il lavoro interno individuale. L’Harvard Implicit Association Test (IAT), scopre i pregiudizi inconsci esistenti all’interno del candidato. L’uso di strumenti come questo rende i pregiudizi impliciti più trasparenti. Conoscere questi pregiudizi è il primo passo per superarli e impedire che si riversino nel lavoro.

Infine, diventa cruciale basare le Buyer Personas e i profili dei clienti solo su fatti e realtà.

5. Evitare gli stereotipi nella pubblicità

Gli stereotipi sono ancora diffusi nel mondo del marketing, soprattutto quando le organizzazioni presumono di conoscere il proprio pubblico. Ad esempio, nel 2021 una copia del New York Times mette in luce gli autori del libro “Brandsplaining: Perché il marketing è (ancora) sessista e come risolverlo”, affermando che:

Nel 2019, il Geena Davis Institute on Gender in Media ha scoperto che le pubblicità per i premi al prestigioso festival pubblicitario di Cannes Lions raffiguravano personaggi maschili che lavoravano quasi il doppio dei personaggi femminili. I personaggi maschili erano anche più numerosi dei personaggi femminili di due a uno e avevano il doppio del tempo sullo schermo e sul tempo di parola. Un altro studio condotto da Ebiquity, una società di consulenza mediatica, ha rilevato che, degli annunci trasmessi nel 2016, solo il 4% mostrava donne in posizioni di leadership”.

“Sì, il marketing è ancora sessista” (The New York Times)

Dunque possiamo affermare che gli stereotipi hanno un fondamento che poi ritroviamo nella realtà. Ma gli stereotipi non sono la realtà. Il modo migliore per evitare gli stereotipi nel marketing è fare ricerche, scandagliare dati e controllare sempre il lavoro.

6. Usare un linguaggio accessibile a tutte le persone

L'importanza del linguaggio inclusivo

L’inclusione parte dal linguaggio

Tutti i messaggi (aziendali e di marketing) dovrebbero utilizzare un linguaggio inclusivo, che mira a evitare qualsiasi implicazione sessista, razzista od offensiva nelle comunicazioni.

L’American Psychological Association ha una guida completa del linguaggio inclusivo che è possibile usare come riferimento, sono 3 i parametri da osservare:

  • Un linguaggio neutrale rispetto al genere (“persona addetta alla posta” invece di “postino”)
  • Lingua prima persona (“persona senza casa” invece di “senzatetto”)
  • Termini relativi all’identità (“persona anziana” invece di “anziano”, “utente sulla sedia a rotelle” invece di “in sedia a rotelle”)

7. Misurare l’impatto

Dopo aver implementato le strategie di Marketing inclusive e aver iniziato a lanciare campagne con l’inclusività al primo posto, risulta fondamentale misurare l’impatto piuttosto che l’intenzione.

Si dovrebbe comunque fare un debriefing internamente per discutere di come ciascuna campagna ha raggiunto gli obiettivi e di come è possibile migliorare per la prossima volta. Solo il pubblico al quale ci rivolgiamo può dare un feedback corretto sull’impatto. Anche le migliori intenzioni possono sfociare in modi sbagliati.

8. Essere intenzionali e trasparenti

Per creare unicità ed equità nel posto di lavoro, bisogna essere intenzionali e trasparenti attraverso la definizione degli obiettivi. Gli obiettivi di diversità, equità e inclusione (DEI) variano a seconda dell’azienda, ma i traguardi comuni includono:
  • Quote di leadership (es. il 50% del team esecutivo deve essere composto da donne)
  • Quote di candidati (es. 50% degli intervistati devono essere minoranze)
  • Creazione di un consiglio interno per la diversità
  • Ospitare regolarmente seminari DEI per i dipendenti

Intenzionalità significa anche parlare apertamente di come rendere le campagne e le strategie più inclusive. Ogni campagna dovrebbe essere valutata da un obiettivo di marketing inclusivo prima del lancio, per garantire che le strategie DEI siano state adeguatamente integrate.

Spetta ai marketer e ideatori della campagna, adempire alle task ed evadere le pratiche.

Come Marketer controlliamo ciò che il nostro pubblico vede e consuma, quindi l’inclusività deve essere la norma ed essa parte dall’analisi dei dati. Non a caso oggi si parla molto di Precision Marketing.

La coerenza e le azioni deliberate, grandi e piccole che siano, rappresentano l’unico strumento per azionare un cambiamento duraturo e positivo nel settore.

TERNA SBARCA SU TIKTOK

Terna sbarca su TikTok con una campagna di talent attraction

Terna sbarca su TikTok con una campagna di “talent attraction” per il primo Master in Digitalizzazione del sistema elettrico per la transizione energetica, organizzato dal gestore della rete di trasmissione elettrica nazionale con le Università di Cagliari, Palermo e Salerno, nell’ambito del progetto Tyrrhenian Lab, in partenza il 14 novembre.

Terna sbarca su TikTok: l’obiettivo

L’obiettivo è quello di parlare alla Generazione Z e attrarre talenti al servizio del complesso processo di transizione verso le energie rinnovabili, attraverso i centri di alta formazione del Tyrrehenian Lab. Per questo, il gruppo guidato da Stefano Donnarumma ha deciso di approdare per la prima volta sul social media più frequentato dai ragazzi.

Proprio i giovani, con la loro sensibilità ambientale, con il desiderio di incidere sulla realtà, con l’orgoglio di essere “nerd”, come spesso accade agli studenti STEM (Science, Technologies, Engineering and Mathematics), sono i destinatari dei due temi della campagna, “Are you nerd?” e “Fuga di cervelli”.

I video sono stati realizzati da tiktoker particolarmente seguiti sui temi della sostenibilità e della formazione: Andrea Borello, alias “il politoker” (andreaborello_), Francesco Centemeri, studente in ingegneria (frartenzo) ed Elisa Negrisolo, neoingegnere e
influencer (elisavittoria).

terna sbarca su tiktok

Terna su TikTok: Are you nerd?…

Gli short video dal titolo “Are you nerd?” sono incentrati sull’orgoglio tecnologico e sulla crescente consapevolezza che la passione per le nuove tecnologie è diventata uno strumento imprescindibile per il successo.

Nella complessità del presente e con l’attuale sfida energetica, le competenze distintive di uno studente STEM sono, e saranno, fondamentali per la tutela del pianeta.

Nella generazione Z, quindi, ‘nerd’ non è più sinonimo di ‘solitario’ ma è parte attiva di una comunità di giovani innovatori con una spiccata vocazione per l’ambiente.

…e Fuga di cervelli

I video di “Fuga di cervelli” partono invece dal pregiudizio per cui un giovane italiano che voglia mettere a frutto le proprie competenze e trovare un lavoro all’altezza delle proprie aspettative sia costretto ad andare all’estero perché in Italia non c’è una sufficiente consapevolezza sui temi ambientali e sulla necessità di impegnarsi nella transizione energetica per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

Il protagonista prepara le valige per partire, ma poi viene a conoscenza di un innovativo master grazie al quale può rafforzare le proprie competenze scientifiche, messo a disposizione da un’azienda che investe nel futuro del Paese, per di più a Cagliari, Palermo e Salerno.

Il talento è al cuore del Tyrrhenian Lab, il progetto per il quale Terna investirà complessivamente 100 milioni di euro nei prossimi cinque anni: un centro di formazione di eccellenza, realizzato in stretta collaborazione con le Università di Cagliari, Salerno e Palermo e distribuito nelle città in cui approderanno i cavi del Tyrrhenian Link, l’elettrodotto sottomarino che unirà la Campania, la Sicilia e la Sardegna.

Terna selezionerà e formerà, tra l’autunno del 2022 e il 2025, più di 150 giovani di elevata professionalità, ai quali sarà erogato un master universitario di 12 mesi incentrato sullo sviluppo di competenze tecnologiche e strategiche funzionali alla trasformazione digitale e alla transizione energetica.

Gli studenti, una volta completati i 12 mesi di master, potranno essere poi assunti nelle sedi territoriali Terna delle tre città.

Terna è presente su tutti i principali canali social come Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, LinkedIn, nonché sulle principali piattaforme audio, come Spotify e Spreaker, con “Nora, il futuro dell’energia è il nostro mestiere”, il podcast in nove puntate che racconta proprio il progetto del Tyrrhenian Lab agli appassionati dei temi dell’energia.

 

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