Sotto-tag Imprenditore di personas

customer marketing - il cliente al centro delle relazioni

Guida all’Evoluzione del Customer Marketing

Guardare alle vecchie pratiche del marketing ci consente di osservare quanta strada abbiamo fatto e quanta strada dobbiamo ancora percorrere per raggiungere l’obiettivo primario di qualsivoglia team marketing: instaurare una relazione pertinente, unica e duratura con ciascun cliente.

Sembra molto lontano il tempo in cui il mass marketing era la pratica più utilizzata, caratterizzata dai marchi che si rivolgevano ai consumatori in maniera indifferenziata e con un’offerta concepita per generare un desiderio. Alcune tracce di questo approccio sono presenti ancora oggi, nonostante prevalga l’approccio customer centrico.

Il marketing personalizzato, o il cosiddetto marketing segmentato, che ad oggi va per la maggiore, spesso riunisce gli individui in gruppi di persone che condividono alcune caratteristiche comuni, con il risultato di inviare numerosi messaggi non sempre pertinenti.

È diventato quindi necessario ripensare a un approccio marketing che parta realmente dal singolo individuo e che si basi sulle sue esigenze specifiche. Grazie alle innovazioni e tecnologie presenti sul mercato, oggi è finalmente possibile rivolgersi in modo individualizzato verso ciascuno delle centinaia di migliaia, o addirittura milioni di clienti e potenziali presenti nel database. Questo è realizzabile grazie all’Individuation® Marketing. Un nuovo approccio, sviluppato da Splio, che consente alle aziende di rivolgersi realmente a ogni singolo individuo in tutta la sua singolarità, in modo pertinente e rispettoso grazie all’intelligenza artificiale.

In questo articolo vi presentiamo una guida inedita a cura di Splio sull’evoluzione del customer marketing. Un white paper che ci offre un viaggio nel tempo per ripercorrere l’evoluzione del marketing e le sue tappe principali: dal mass marketing, al marketing segmentato, fino al marketing individualizzato per instaurare finalmente una relazione one-to-one con la clientela grazie all’IA.

<<Scarica la guida di Splio e fai il salto verso il marketing individualizzato>>

customer marketing 01

1990 – 2010 – Il marketing di massa: alle origini del customer marketing

Alle origini del marketing verso il cliente troviamo il marketing di massa – “one-to-many”: il marchio si rivolge indistintamente ai clienti, tramite un messaggio destinato a raggiungere il maggior numero di persone possibile.

L’offerta di prodotti e servizi è pensata unicamente per creare un desiderio, più che rispondere a una necessità. La comunicazione è di conseguenza incentrata principalmente sul prodotto ed è basata su una logica puramente quantitativa: sensibilizzare un numero elevato della popolazione per incentivare l’acquisto, poiché più saranno gli invii, maggiori saranno i ritorni! In questa fase la comunicazione è rappresentata per lo più dal cartaceo, in seguito i canali si estenderanno all’e-mail marketing e agli SMS.

I limiti di questo approccio non tardano ad arrivare; i consumatori cominciano a provare insofferenza verso ogni tipo di pubblicità e a non fidarsi più dei marchi. Le aziende ottengono perciò il risultato opposto e sentono l’esigenza di un cambiamento, dettato anche dall’evolversi delle piattaforme a disposizione sul mercato per la gestione dei dati.

customer marketing

2010 – 2020 – Il marketing segmentato: la prima trasformazione offerta dal digital

Con il marketing segmentato, il “one-to-few”, il marchio si concentra su gruppi di persone con preferenze e gusti simili, per promuovere la combinazione (promozione, contenuto, canale) che avrà più opportunità di raggiungere il migliore risultato.

Il marketing personalizzato riesce a emergere grazie all’ascesa del digitale: i marketer ora hanno a disposizione maggiori strumenti per tracciare il customer journey e comprendono l’importanza crescente dei dati a disposizione sui loro clienti. Grazie a una conoscenza approfondita sul cliente, possono quindi creare dei segmenti di pubblico ai quali inviare delle comunicazioni ad hoc.

Il marketing personalizzato rimane tuttavia legato a una logica di prodotto e un invio collettivo. Seppur l’impressione sia di ultra-personalizzare l’offerta e la comunicazione per il singolo, in realtà le campagne sono implementate dai dipartimenti marketing con la combinazione che funzionerà meglio per il segmento, a partire dal prodotto che desiderano lanciare in quel momento e dalla stagionalità. E non necessariamente la combinazione giusta per l’intero segmento, con l’effetto di rinunciare a parte della clientela, inviando loro messaggi non pertinenti.

marketing insight

2020 – oggi  – Il marketing individualizzato: un nuovo approccio per un’activation one-to-one

Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale, nasce il marketing individualizzato: ogni cliente diventa un segmento a sé stante grazie all’IA.

La conoscenza del cliente, potenziata quotidianamente dagli algoritmi di apprendimento, rende finalmente possibile una relazione one-to-one con la clientela. Le nuove tecnologie disponibili consentono ai marketer di ogni settore di instaurare una relazione pertinente e rispettosa con ciascuno. La piattaforma di Individuation® Marketing sviluppata da Splio, tramite degli algoritmi di machine learning, raccoglie le numerose tracce ed interazioni dai diversi touch point dei clienti, e successivamente seleziona la giusta opportunità di comunicazione, il canale preferito, la persona giusta e il momento giusto. Inviare il contenuto più rilevante a ogni individuo, questa è a promessa del marketing individualizzato!

I team del marketing, in questa nuova fase del customer marketing, possono finalmente tornare al loro ruolo strategico e concentrarsi sulla tipologia contenuti che desiderano incoraggiare, stabilendo le regole di ogni campagna, e lasciando all’Intelligenza artificiale i compiti più ripetitivi, ovvero la scelta del canale e del messaggio idoneo per ciascun cliente.

il customer marketing

Customer Marketing: è tempo di un cambio di paradigma

Dal 2010 a oggi, abbiamo assistito a cambiamenti radicali nell’approccio al customer marketing.  Le esigenze del cliente, insieme alle nuove tecnologie, hanno guidato l’evoluzione e ci introducono oggi in una nuova fase: l’Individuation® Marketing. Grazie all’IA e agli algoritmi di apprendimento, ogni cliente diventa un segmento a sé stante e dispone di un piano marketing dedicato.

È giunto quindi il momento per i marchi di ripensare completamente alla loro strategia di marketing, per potersi finalmente a relazionare individualmente con ogni persona, in modo personalizzato e pertinente. Come? Grazie ad un nuovo approccio di marketing che parte davvero dal singolo individuo e che ti consente di generare entrate incrementali da ciascuno delle centinaia di migliaia, o addirittura milioni di prospect e clienti presenti nel database.

<<Scarica la guida completa di Splio e prendi ispirazione per conquistare ogni cliente in tutta la sua singolarità grazie all’IA>>

bitcoin

Bitcoin, tutti ne parlano, ma chi davvero ne ha compreso il potenziale?

L’8 luglio Palazzo Innovazione ospita l’associazione Digital South e Ninja Academy per un evento di divulgazione e formazione per comprendere il potenziale economico e sociale della blockchain e di Bitcoin.

Bitcoin, tutti ne parlano, ma chi davvero ne ha compreso il potenziale?

bitcoin come strumento per disinnescare il mondo

Sistema di pagamento, riserva di valore, ma anche strumento sociale che può aiutare comunità e persone a mantenere la libertà finanziaria e a trasferire valore senza intermediazione e censure.

Sarà la moneta universale del futuro? Che opportunità crea la blockchain per le aziende?

Ne discuteranno insieme a professionisti e imprenditori nel corso di un evento pubblico e gratuito che si terrà in presenza a Palazzo Innovazione, l’8 luglio dalle ore 17,30:

  • Riccardo Giorgio Frega, attivista, co-autore e voce insieme a Luca Berto di Bitcoin Italia Podcast, che terrà una masterclass dal titolo: “Bitcoin come strumento per disinnescare il mondo: fare impresa nel futuro che ci attende
  • Mirko Pallera, fondatore di Ninja, giornalista e imprenditore, modererà il dibattito finale.

L’evento è organizzato da Digital South, associazione che riunisce imprese e professionisti del digitale e da Ninja Academy, la digital business school di Ninja Marketing, focalizzata sul potenziamento delle competenze digitali avanzate.

<<Vuoi comprendere il vero potenziale di Bitcoin? Segui qui la diretta su LinkedIn>>

I relatori dell’evento

  • Riccardo Giorgio Frega, classe 1979, è un autore, divulgatore e attivista libertario italiano. Impegnato dal 2013 nella lotta antiproibizionista e da sempre appassionato di nuove tecnologie, è esperto delle possibili applicazioni della blockchain e in particolare di Bitcoin, che considera presidio importante di tutela dei diritti civili e delle libertà individuali. Dal 2018 è autore e voce del Bitcoin Italia Podcast, il primo e il più seguito podcast a tema in lingua italiana.
  • Laura Nori, communication designer e community manager di Bitcoin People, vede Bitcoin come il network di pagamento che rivoluzionerà la società a partire dal mondo del lavoro. Esperta di comunicazione nei social network, la sua missione è portare questa tecnologia nelle case e nelle attività di tutti.

L’evento si terrà in presenza nel Complesso Monumentale di Santa Sofia a Salerno, l’8 luglio, dalle ore 17:30. Per partecipare è necessario iscriversi all’evento a questo indirizzo.

Puoi anche seguire la diretta da questo articolo.

Google Analytics cosa dice il garante

Ecco cosa dice il Garante: no, non basta utilizzare Google Analytics 4 per essere in regola

Il 7 giugno 2022 la CNIL (Commission nationale de l’informatique et des libertés) ha inviato una diffida formale a diverse organizzazioni a conformarsi all’uso di Google Analytics, a causa del trasferimento dei dati negli Stati Uniti senza sufficienti garanzie per i diritti degli utenti europei. Quali sono le conseguenze per le organizzazioni?

Questa FAQ riguarda solo le decisioni di avviso formale della CNIL sull’uso di Google Analytics in seguito all’invalidazione del Privacy Shield.

La dichiarazione congiunta della Commissione europea e degli Stati Uniti del marzo 2022 su una futura decisione di regolamentare adeguatamente i flussi di dati verso gli Stati Uniti è al momento solo un annuncio politico.

Il 6 aprile il GEPD (Garante europeo della protezione dei dati) ha rilasciato una dichiarazione in cui chiarisce che tale dichiarazione non costituisce un quadro giuridico su cui le organizzazioni possono fare affidamento per trasferire i dati negli Stati Uniti.

Abbiamo programmato un webinar con un vero esperto in materia per comprendere meglio risvolti e potenziali alternative al GA Ban: Giovanni Maria Riccio, partner dello Studio Legale E-Lex.

webinar con Giovanni Maria Riccio

<<Venerdì 8 Luglio, alle 13.30 su Zoom. Clicca qui per partecipare>>

Cosa è successo in Italia

Il sito web che utilizza il servizio Google Analytics (GA), senza le garanzie previste dal Regolamento Ue, viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce negli Stati Uniti, Paese privo di un adeguato livello di protezione, i dati degli utenti.

garante della privacy - google-analytics

Lo ha affermato il Garante per la privacy a conclusione di una complessa istruttoria avviata sulla base di una serie di reclami e in coordinamento con altre autorità privacy europee. Dall’indagine del Garante è emerso che i gestori dei siti web che utilizzano GA raccolgono, mediante cookie, informazioni sulle interazioni degli utenti con i predetti siti, le singole pagine visitate e i servizi proposti.

Tra i molteplici dati raccolti, indirizzo IP del dispositivo dell’utente e informazioni relative al browser, al sistema operativo, alla risoluzione dello schermo, alla lingua selezionata, nonché data e ora della visita al sito web. Tali informazioni sono risultate oggetto di trasferimento verso gli Stati Uniti.

Nel dichiarare l’illiceità del trattamento è stato ribadito che l’indirizzo IP costituisce un dato personale e anche nel caso fosse troncato non diverrebbe un dato anonimo, considerata la capacità di Google di arricchirlo con altri dati di cui è in possesso.

All’esito di tali accertamenti il Garante ha adottato il primo di una serie di provvedimenti con cui ha ammonito Caffeina Media S.r.l. che gestisce un sito web, ingiungendo alla stessa di conformarsi al Regolamento europeo entro novanta giorni. Il tempo indicato è stato ritenuto congruo per consentire al gestore di adottare misure adeguate per il trasferimento, pena la sospensione dei flussi di dati effettuati, per il tramite di GA, verso gli Stati Uniti.

Il Garante ha evidenziato, in particolare, la possibilità, per le Autorità governative e le agenzie di intelligence statunitensi, di accedere ai dati personali trasferiti senza le dovute garanzie, rilevando al riguardo che, alla luce delle indicazioni fornite dall’EDPB (Raccomandazione n. 1/2020 del 18 giugno 2021), le misure che integrano gli strumenti di trasferimento adottate da Google non garantiscono, allo stato, un livello adeguato di protezione dei dati personali degli utenti.

Con l’occasione l’Autorità richiama all’attenzione di tutti i gestori italiani di siti web, pubblici e privati, l’illiceità dei trasferimenti effettuati verso gli Stati Uniti attraverso GA, anche in considerazione delle numerose segnalazioni e quesiti che stanno pervenendo all’Ufficio. E invita tutti i titolari del trattamento a verificare la conformità delle modalità di utilizzo di cookie e altri strumenti di tracciamento utilizzati sui propri siti web, con particolare attenzione a Google Analytics e ad altri servizi analoghi, con la normativa in materia di protezione dei dati personali.

Allo scadere del termine di 90 giorni assegnato alla società destinataria del provvedimento, il Garante procederà, anche sulla base di specifiche attività ispettive, a verificare la conformità al Regolamento Ue dei trasferimenti di dati effettuati dai titolari.

Fonte: Sito Ufficiale del Garante per la Protezione dei Dati Personali

Cosa dobbiamo imparare dalle comunicazioni formali emesse dalla CNIL

Il contesto

Il 16 luglio 2020, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso un’importante sentenza: il Privacy Shield, che regolava i trasferimenti di dati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, è stato invalidato perché non offriva garanzie adeguate contro il rischio di accesso illecito da parte delle autorità americane ai dati personali dei residenti europei.

Solo se le organizzazioni adottano ulteriori garanzie tecniche, legali e organizzative per impedire tale accesso, tali trasferimenti potrebbero essere effettuati nella pratica.

Nell’agosto 2020, NOYB ha presentato 101 reclami a varie autorità europee per la protezione dei dati su siti web che utilizzano, tra gli altri, il diffusissimo strumento di analisi web Google Analytics, la cui società madre ha sede negli Stati Uniti.

La decisione

Nella comunicazione formale emessa il 10 febbraio 2022 in merito a una di queste organizzazioni, la CNIL ha ritenuto che :

  • le misure messe in atto da Google non sono sufficienti a escludere la possibilità di accesso ai dati dei residenti europei; i dati degli utenti
  • europei di Internet vengono quindi trasferiti illegalmente attraverso questo strumento.

Perché l’avviso pubblicato online è stato reso anonimo?

Una delle comunicazioni formali relative all’uso di Google Analytics è stata pubblicata in forma anonima sul sito web della CNIL il 16 febbraio 2022.
La decisione è stata resa anonima perché non è sembrato utile nominare un particolare editore di siti web, dato che lo strumento è ampiamente utilizzato.

L’obiettivo è che tutti i responsabili del trattamento dei dati che utilizzano questo strumento siano conformi.

Le organizzazioni hanno una scadenza per la conformità?

Le organizzazioni notificate hanno un mese di tempo per conformarsi e giustificare tale conformità alla CNIL. Questo periodo di un mese può essere rinnovato su richiesta delle organizzazioni interessate.

Tutti i responsabili del trattamento dei dati che utilizzano Google Analytics in modo simile a queste organizzazioni devono ora considerare questo uso come illegale ai sensi del GDPR.

Dovrebbero quindi rivolgersi a un fornitore che offra sufficienti garanzie di conformità

Questa interpretazione delle conseguenze della sentenza “Schrems II” della CNIL è condivisa a livello europeo?

Al fine di armonizzare le decisioni e fornire certezza giuridica alle parti interessate, le autorità europee che hanno ricevuto reclami dall’associazione NOYB (none of your business) sul tema dei trasferimenti di Google Analytics si sono organizzate in un gruppo di lavoro per esaminare insieme le questioni legali sollevate in questi casi e coordinare le loro posizioni e decisioni.

La decisione della CNIL non è la prima a livello europeo: un mese prima della CNIL, l’autorità austriaca per la protezione dei dati ha emesso a gennaio una prima decisione che va nella stessa direzione di quella dell’autorità francese.

Perché i reclami presentati dall’associazione NOYB non sono stati trattati contemporaneamente?

Tutti i reclami presentati dall’associazione NOYB e deferiti alla CNIL sono stati esaminati in modo coordinato: tuttavia, le situazioni sono state esaminate caso per caso e in base alle risposte fornite dalle organizzazioni.

Tutte le organizzazioni francesi il cui utilizzo di Google Analytics è stato oggetto di reclami da parte della NOYB hanno ricevuto una notifica formale.

Esistono clausole contrattuali standard e garanzie aggiuntive per consentire l’utilizzo di Google Analytics?

Gli intervistati avevano stabilito con Google clausole contrattuali standard, che Google offre di default agli utenti di questa soluzione. Queste clausole contrattuali standard non possono da sole fornire un livello di protezione sufficiente in caso di richiesta di accesso da parte di autorità straniere, in particolare se tale
accesso è previsto dalle leggi locali.

Nella sua risposta alle richieste della CNIL, Google ha indicato di aver messo in atto misure legali, organizzative e tecniche aggiuntive, che tuttavia sono state ritenute insufficienti a garantire
l’effettiva protezione dei dati personali trasferiti, in particolare contro le richieste di accesso ai dati da parte dei servizi segreti statunitensi.

È possibile impostare lo strumento Google Analytics in modo che i dati personali non vengano trasferiti al di fuori dell’Unione Europea?

No. In risposta al questionario inviato dalla CNIL, Google ha indicato che tutti i dati raccolti tramite Google Analytics sono ospitati negli Stati Uniti.

Anche in assenza di trasferimento, l’utilizzo di soluzioni offerte da aziende soggette a giurisdizioni extra-UE può comportare difficoltà in termini di accesso ai dati. In effetti, le organizzazioni
possono essere obbligate dalle autorità di paesi terzi a divulgare i dati personali ospitati su server situati nell’UE.

L’articolo 48 del GDPR limita tale divulgazione ai casi in cui il Paese terzo richiedente e l’UE o lo Stato membro interessato siano parti di un accordo internazionale che preveda tale divulgazione.

È possibile impostare Google Analytics in modo che trasferisca solo dati anonimi negli Stati Uniti?

Nel contesto della comunicazione formale, Google ha indicato che utilizza misure di pseudonimizzazione, ma non di anonimizzazione. Google offre l’anonimizzazione degli indirizzi IP, ma non è applicabile a tutti i trasferimenti. Inoltre, dalle prove fornite da Google non è chiaro se questa anonimizzazione avvenga prima del trasferimento negli Stati Uniti.

Inoltre, il semplice utilizzo di identificatori univoci per differenziare gli individui può rendere i dati identificabili, soprattutto se combinati con altre informazioni come i metadati del browser e del sistema operativo. Questi dati consentono di tracciare con precisione gli utenti, in alcuni casi su più dispositivi.

Se il GEPD ammette nelle sue raccomandazioni del 18 giugno 2021 la possibilità di utilizzare la pseudonimizzazione come misura supplementare, il suo utilizzo è soggetto a un’analisi volta a garantire che tutte le informazioni trasmesse non consentano in alcun modo la reidentificazione della persona, anche tenendo conto dei mezzi sostanziali a disposizione delle autorità che potrebbero voler effettuare tale reidentificazione.

Infine, l’uso congiunto di Google Analytics con altri servizi di Google, in particolare con i servizi di marketing, può aumentare il rischio di tracciamento. In effetti, questi servizi, molto diffusi in Francia, possono consentire un controllo incrociato dell’indirizzo IP e quindi tracciare la cronologia di navigazione della maggior parte degli utenti di Internet su un gran numero di siti.

Differenza tra anonimizzazione e pseudonimizzazione

La pseudonimizzazione è il trattamento dei dati personali in modo tale che non sia più possibile attribuirli a una persona fisica senza ulteriori informazioni. In pratica, la pseudonimizzazione consiste nel sostituire i dati direttamente identificativi (cognome, nome, ecc.) in un set di dati con dati indirettamente identificativi (alias, numero sequenziale, ecc.).

L’anonimizzazione consiste nell’utilizzare un insieme di tecniche in modo tale da rendere impossibile, in pratica, l’identificazione della persona con qualsiasi mezzo e in modo irreversibile. I dati anonimizzati non sono più soggetti al GDPR.

La crittografia potrebbe essere una garanzia aggiuntiva sufficiente?

Sì, ma a determinate condizioni. L’implementazione della crittografia dei dati da parte di Google si è rivelata una misura tecnica insufficiente, in quanto Google LLC stessa cripta i dati ed è obbligata a consentire l’accesso o a fornire i dati importati in suo possesso, comprese le chiavi di crittografia necessarie per rendere i dati intelligibili. Poiché Google LLC mantiene la possibilità di accedere ai dati delle persone in chiaro, tali misure tecniche non possono essere considerate efficaci in questo caso.

La crittografia è quindi una garanzia aggiuntiva insufficiente se l’organizzazione soggetta alle richieste delle autorità statunitensi può accedere ai dati personali in chiaro.

Affinché la crittografia sia considerata una salvaguardia aggiuntiva sufficiente, le chiavi di crittografia dovrebbero, tra l’altro, essere tenute sotto il controllo esclusivo dell’esportatore dei dati o di altri soggetti stabiliti in un territorio che offra un livello di protezione adeguato.

Ci sono sufficienti garanzie aggiuntive per continuare a utilizzare il solo strumento di Google Analytics?

Nessuna delle garanzie aggiuntive presentate alla CNIL nel contesto della messa in mora impedirebbe o renderebbe inefficace l’accesso dei servizi di intelligence statunitensi a i dati personali degli utenti europei quando si utilizza esclusivamente lo strumento Google Analytics.

Tuttavia, può essere possibile una soluzione che preveda il coinvolgimento di un server proxy per evitare il contatto diretto tra il terminale dell’utente Internet e i server dello strumento di misura. Tuttavia, occorre garantire che questo server soddisfi una serie di criteri per poter ritenere che questa misura aggiuntiva sia in linea con quanto previsto dal GEPD nelle sue raccomandazioni del 18 giugno 2021.

È possibile continuare a trasferire i dati con il consenso esplicito delle persone?

Il consenso esplicito degli interessati è una delle possibili deroghe previste per alcuni casi specifici dall’articolo 49 del GDPR. Tuttavia, come indicato nelle linee guida del Comitato europeo per la protezione dei dati su queste deroghe, esse possono essere utilizzate solo per trasferimenti non sistematici e non possono costituire una soluzione permanente e a lungo termine, in quanto il ricorso a una deroga non può diventare la regola generale.

Esistono strumenti alternativi?

La CNIL ha pubblicato un elenco di strumenti di misurazione dell’audience che, se correttamente configurati, possono essere esenti dal consenso.

Questo elenco comprende strumenti che hanno già dimostrato alla CNIL di poter essere configurati in modo da limitarsi a quanto strettamente necessario per la fornitura del servizio, e quindi di non richiedere il consenso dell’utente, ai sensi dell’articolo 82 della legge sulla protezione dei dati.

Tuttavia, questo elenco non prende attualmente in considerazione le questioni sollevate dai trasferimenti internazionali, comprese le conseguenze della sentenza “Schrems II”.

Come garantire che gli strumenti di misurazione dell’audience non trasferiscano i dati a un paese terzo non appropriato?

Nel caso in cui lo strumento previsto trasferisca dati al di fuori dell’Unione Europea o la società che pubblica lo strumento abbia legami patrimoniali o organizzativi con una società madre situata in un paese che prevede la possibilità per i servizi di intelligence di richiedere l’accesso a dati personali situati in un altro territorio, è necessario valutare il quadro giuridico del paese terzo.
Questa valutazione può basarsi su :

  • decisioni della CGUE o della Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno potuto valutare la conformità di determinate legislazioni agli standard europei di protezione dei dati;
  • le raccomandazioni della CNIL europea, che hanno, ad esempio, dettagliato le garanzie essenziali che devono essere presenti nel Paese terzo quando si valuta il livello di protezione dei dati.

È inoltre possibile utilizzare il metodo della proxyfication che, se correttamente configurato, consente di inviare a un server al di fuori dell’Unione europea solo dati pseudonimizzati.

I responsabili del trattamento possono adottare un approccio basato sul rischio, tenendo conto della probabilità di richieste di accesso ai dati?

No. I dati personali trasferiti in un Paese al di fuori dell’Unione Europea devono beneficiare di un livello di protezione “sostanzialmente equivalente” a quello garantito nell’UE.

In particolare, la possibilità di un accesso illegale ai dati personali che vada oltre quanto necessario e proporzionato in una società democratica da parte delle autorità pubbliche mina gravemente i diritti e le libertà fondamentali degli interessati.

Nel caso in cui tale accesso sia possibile (e non solo quando l’accesso è probabile) e le garanzie che circondano l’emissione di richieste di accesso ai dati non siano sufficienti ad assicurare un livello di protezione dei dati sostanzialmente equivalente a quello garantito nell’UE (si vedano le raccomandazioni del GEPD sulle garanzie essenziali), sono necessarie misure tecniche aggiuntive per rendere tale accesso impossibile o inefficace.

Queste misure sono previste dalle raccomandazioni sulle misure complementari ai trasferimenti del Comitato europeo per la protezione dei dati.

Browser decentralizzati

Browser Web: le alternative (decentralizzate) a Chrome

L’era del Web 3.0 può definirsi iniziata, anche se per il momento sono per lo più investitori, venture capitalist, ingegneri e tecno-sognatori i veri pionieri di questa nuova frontiera che sarà certamente più aperta e democratica, libero da censure e vincoli, fondato su blockchain e protocolli decentralizzati. Il Web 3.0 promette di essere un luogo più inclusivo e concorrenziale, indipendente dalle Big tech e in grado di consentire a tutti di riappropriarsi dei dati e forse di monetizzare qualunque cosa su Internet. Premessa che può essere rafforzata anche dal cambiamento di operazioni quotidiane che tutti noi svolgiamo, come l’utilizzo di un browser web invece di un altro.

Browser decentralizzati: di cosa si tratta

Proprio nell’ottica sopra descritta sembra quasi un paradosso che in un web “libero” si debbano usare strumenti di navigazione “centralizzati” e il discorso riguarda proprio i nostri browser di navigazione che allo stato attuale non stanno solo sfruttando gli utenti, ma sono anche al limite per quanto riguarda la tutela della privacy.

Il Web 3.0 si configura come una rete dove i contenuti, i servizi e qualsiasi genere di informazione non verranno più conservati su server e piattaforme che appartengono a multinazionali di grandissime dimensioni, ma “sparpagliati in maniera omogenea” sulla rete tra infiniti nodi.

Proprio grazie alla decentralizzazione, gli utenti potrebbero finalmente monetizzare la condivisione dei dati. Infatti, ogni genere di contenuto, da un MP3, ad una foto delle vacanze resterebbe nelle mani dei legittimi autori, e non finirebbero più tra gli algoritmi delle varie piattaforme, come Tik Tok, Instagram e YouTube.

Nel Web 3.0, i dispositivi non si connetteranno più a server centrali, ma a registri distribuiti in rete sui quali si trovano tutte le informazioni desiderate, senza dover reperire dati sui server di alcuna azienda.

Perché ne parliamo

Lo strumento che trasferisce tutte queste informazioni alle strutture centralizzate e decentralizzate è il caro e amato browser, che ogni giorno utilizziamo per navigare nel web ed eseguire infinite operazioni.

L’importanza legata alla rivoluzione del Web 3.0 sta proprio nel protocollo IPFS che è il tassello che consentirà di rendere i contenuti web molto più a prova di errori e alle censure.

Come dichiarato da Molly Mackinlay, responsabile del progetto IPFS:

Oggi, gli utenti Web di tutto il mondo non sono in grado di accedere a contenuti con limitazioni, comprese, ad esempio, parti di Wikipedia in Thailandia, oltre 100.000 siti web bloccati in Turchia e l’accesso critico alle informazioni COVID-19 in Cina – Ora chiunque disponga di una connessione Internet può accedere a queste informazioni critiche tramite IPFS sul browser Brave“.

Un velocissimo chiarimento, il web tradizionale si fonda sul protocollo HTTP (o HTTPS) progettato per consentire ai browser di accedere alle informazioni sui server centrali, mentre il protocollo IPFS consente di accedere su una rete di nodi distribuiti.

Perché è importante

Sappiamo che i dati personali presenti all’interno di una blockchain non sono modificabili, ma può succedere (e la legge lo prevede) che un singolo utente possa richiedere la modifica di tali dati o di una parte di essi. In tale caso come possiamo modificare una struttura che per la sua dimensione è immutabile?

Altro aspetto da tenere presente sta nel fatto che i dati personali inseriti in una blockchain sono pubblici e consultabili da tutti i partecipanti, anche questo aspetto sembra in antitesi con il grado di sicurezza che la blockchain dovrebbe garantire.

Ancora, come esercitare il diritto all’oblio con i dati immessi in una blockchain data l’immutabilità della tecnologia blockchain?

Insomma, servirebbe una blockchain che possa essere compliant al G.D.P.R. il che rappresenta allo stato attuale un problema che porta i due argomenti privacy e blockchain a correre su due binari paralleli.

Una soluzione potrebbe essere la creazione di un sistema di crittografia dei dati personali con successiva eliminazione delle chiavi de-crittografiche, in modo tale che possano essere lasciati unicamente i dati indecifrabili oppure l’utilizzo dei cosiddetti modelli di memoria “fuori catena” o ancora l’impiego di “smart contract”.

Insomma il dibattito è aperto e oggetto di evoluzioni all’ordine del giorno.

Browser decentralizzati, cosa c’è da sapere

I nuovi browser che garantiscono la privacy degli utenti nascono con l’intento di consentire la navigazione nel Web 3.0, ma i problemi a cui abbiamo accennato sono tutt’altro che risolti.

Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza.

Molte aziende, proprietarie dei browser più noti come Opera, Google, Microsoft stanno già dando luogo ad upgrade dei loro browser per consentire agli utenti di navigare nel Web 3.0 o per lo più di accedere ai propri portafogli o wallet digitali, fornendo un modo più sicuro per proteggere le proprie informazioni e la propria privacy.

I browser pensati per il Web 3.0 sono fondamentalmente delle applicazioni decentralizzate dette anche dApp, che consentono di utilizzare le tradizionali funzioni dei browser, ma permettono di mantenere il controllo dei propri dati e di trattenere la maggior parte delle relative monetizzazioni attraverso i dati.

Proprio in ottica di protezione dati e privacy nel Web 3.0 va citato il browser Klever, sconosciuto a molti, ma più avanti rispetto ai più blasonati competitor, che consente di connettersi a portafogli blockchain di Ethereum e Tron in modo molto sicuro e protetto, esplorare l’ universo dei protocolli finanziari decentralizzati, scoprire siti e social media di nuova generazione, accedere a token, raccogliere NFT e trovare i migliori strumenti di sviluppo blockchain.

Altro browser sviluppato per il Web3.0, primo ad integrare nativamente il protocollo peer-to-peer IPFS (InterPlanetary File System), che stravolgerà radicalmente il funzionamento di Internet, è Brave.

Come possiamo ben vedere, questi browser non risolvono i problemi di cui discusso sopra tra privacy e blockchain, il modo attraverso il quale tutelano la privacy degli utenti è data da sistemi che bloccano annunci e tracker così da evitare che questi possano seguirci da un sito all’altro.

Sono forniti poi da sistemi che in totale autonomia eliminano i cookie non necessari, rendendo in questo modo il proprio browser difficile da riconoscere e, come se non bastasse, bloccano i codici e siti dannosi aggiornando le connessioni sicure sui siti che le supportano.

Ninja Upshot

Browser come Mozilla, Opera Crypt, Brave, Klever integrano wallet o portafogli digitali connessi alle più note blockchain come Ethereum, Solana per effettuare in totale sicurezza qualsiasi operazione legata all’utilizzo delle cripto valute e alla gestione di asset digitali come gli NFT.

Il vero passaggio che determinerà l’evoluzione dei browser di navigazione verso le blockchain con la possibilità di utilizzare quest’ultime per veicolare e modificare i dati sensibili degli utenti, è un discorso ancora lontano, legato comunque alla necessità di risolvere i conflitti tra blockchain, GDPR e privacy.

Il discorso è comunque aperto e si cerca di rendere la normativa sulla privacy e il GDPR sempre più vicino al mondo delle blockchain, man mano che anche queste evolvono tecnologicamente avvicinandosi sempre più a risolvere le esigenze quotidiane di tutti.

Perché il futuro dell’Influencer Marketing è la Community

Nel corso degli anni l’Influencer Marketing si è evoluto. Da novità che genera curiosità a tattica di marketing ormai radicata nelle aziende e nelle organizzazioni che puntano alla visibilità online.

Questa trasformazione ha fatto sì che anche il modo in cui le campagne di Influencer Marketing vengano gestite con più consapevolezza.

Dieci anni fa i brand hanno iniziato a collaborare con gli influencer per raggiungere il proprio target sui social media e creare programmi di marketing più autentici come alternativa al tradizionale Paid Advertising. Spesso senza troppa cognizione di causa, senza dare troppa importanza alle capacità comunicative dei creator e sottovalutando ciò che poi si è rivelato essere molto più di un trend.

Oggi vediamo aziende, imprese, professionisti e organizzazioni espandere il loro potenziale di visibilità riducendo la loro dipendenza da alcune piattaforme per sperimentare altri canali emergenti.

Luoghi digitali che permettono una rapida crescita organica nel momento in cui il brand riesce a gestire community diverse che rispondono a una specifica organizzazione, diversa dal tradizionale presidio dei classici social.

Ad esempio ciò significa creare prodotti, offrire esperienze e raccontare storie create insieme alla community del brand.

<< Cerchi un sistema per gestire la presenza sui social dalla A alla Z in un’unica piattaforma? Tieni traccia di ogni singolo contenuto con Ubu! >>

futuro dell'influencer marketing è la community creator ninja marketing

È sempre una questione di dialogo

Ogni volta che si invia un messaggio, questo deve offrire valore al destinatario per poter riscuotere successo. Comunicare in maniera genuina e sinceramente attenta alle persone è il modo più diretto per entrare in contatto con il proprio pubblico.

Dato che i brand cercano di approfondire le relazioni con i clienti, una community rappresenta il canale più potente per questo scopo.

I referral generati all’interno di una community hanno un valore 3 volte superiore rispetto a quelli che derivano da altri canali e azioni di marketing.

Investire in una community – invece di limitarsi solo alla pubblicità a pagamento – favorisce la fidelizzazione dell’utente e sostiene una solida crescita organica a lungo termine.

Dalla transazione allo storytelling

Gli ultimi due anni hanno costretto anche i marketer a fare i conti con restrizioni e distanziamenti.

Un momento storico in cui spingere con energia alla vendita diretta non è esattamente la mossa migliore per un brand.

Ecco perché è fondamentale investire le proprie risorse su una tipologia di marketing che aiuta a entrare davvero in contatto con le persone potenzialmente interessate ai prodotti o servizi di un’azienda. Mettere a frutto i proprio sforzi comunicativi di brand attraverso la creazione di una community significa:

  • chiedere quali contenuti sono più preziosi e utili al proprio target di riferimento;
  • cosa vogliono vedere le persone in relazione ai prodotti o i servizi di un’azienda;
  • proporre offerte personalizzate e che rispettano le esigenze e le necessità – soprattutto in seguito a un periodo così difficile e faticoso.

In sostanza, adattare i messaggi del brand affinché riflettano il desiderio e le aspirazioni delle pubblico di riferimento significa lavorare per cementificare le basi della propria community.

futuro dell'influencer marketing è la community brand ninja marketing

Significa che l’Influencer Marketing è morto?

No affatto!

Sia gli influencer che i brand seguono lo stesso funnel di marketing per intercettare e convertire l’utente finale. Presidiano le stesse piattaforme, parlano allo stesso pubblico, lavorano con strutture e dinamiche comunicative spesso molto simili.

La collaborazione temporanea tra brand e influencer ha ancora senso di esistere soprattutto nel momento in cui una campagna one-shot è focalizzata su una nicchia estremamente verticale e ben circoscritta.

Tuttavia, esiste un modo migliore con cui brand e influencer possono collaborare tra loro per ottenere performance di marketing (ovvero engagement) più durature nel tempo: lavorare verso la creazione di community.

Significa integrare due forze comunicative di grande impatto in un’unica strategia di marketing online. Un po’ come quando i supereroi decidono di unire le proprie forze, i propri strumenti e i propri superpoteri per salvare l’umanità da una minaccia insuperabile.

Aziende e influencer, insieme per la costruzione di una brand community!

Marketing autentico oggi e domani

Oggi i consumatori vogliono essere coinvolti nel processo di sviluppo di un brand. Non si tratta solo di umanizzare l’azienda e adottare un approccio customer-centric.

Costruire relazioni autentiche tra brand, creator e il loro pubblico è il punto di partenza.

L’Influencer Marketing ha raggiunto uno scenario standard in cui gran parte del semplice posizionamento di prodotto avviene su Instagram mentre le connessioni più profonde e autentiche si trovano su YouTube o su piattaforme più verticali, come Twitch o TikTok.

Influencer Marketing

Ecco perché le aziende dovrebbero iniziare a ottimizzare gli strumenti con cui cercare e ingaggiare gli influencer delle campagne di marketing per catalizzare le loro potenzialità di visibilità e costruire – proprio a partire da loro – una robusta fanbase.

I migliori risultati derivano dalla creazione di contenuti unici, fatti su misura, personalizzati per un pubblico specifico. Ecco il valore aggiunto che può dare l’Influencer Marketing verso la costruzione di una brand-community.

I brand moderni hanno l’opportunità di offrire esperienze e raccontare storie, co-creandole con creator, ambassador e influencer in grado di cementare le relazioni con i loro clienti.

Influencer Marketing: la vera sfida della creazione di una Community

Il vantaggio di lavorare con gli influencer a lungo termine supera il ritorno generato da una collaborazione una tantum. Ma ci sono alcuni fattori da considerare. In primo luogo, la costruzione di una community implica la sua costante manutenzione e gestione.

Un brand deve essere capace di ascoltare efficacemente la community e guidare gli influencer al suo interno affinché da semplici follower diventino brand ambassador e sostenitori.

Perciò il processo di selezione, verifica, comunicazione e tracciamento non può essere lasciato al caso. Diversamente, non sarebbe possibile quantificare i risultati e poter decidere quale strada intraprendere per una comunicazione davvero incisiva dell’azienda sulle piattaforme social.

<< Coinvolgi ora la tua community con Ubu e ottieni uno sconto del 15%>>

onboarding come si fa copertina

Come fare onboarding di nuova generazione ed evitare i costi aziendali di un’esperienza negativa

  • Un quarto dei neoassunti in media non rimane più di un anno in azienda
  • Onboarding digitale, reale o ibrido? Le scelte strategiche per assicurare la retention di giovani e adulti
  • L’incontro cruciale tra generazioni e cultura del lavoro è proprio alla porta di ingresso in azienda

Il modo in cui le persone accedono o cambiano lavoro sta subendo grandi trasformazioni, così come le loro aspettative sui loro futuri luoghi e datori di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni. Dalle opportunità di sviluppo professionale e di crescita personale chiare e continuative, a un forte senso di scopo, i desiderata dei lavoratori del prossimo futuro sono sempre più incisivi, ma possono stimolare concretamente anche il cambiamento culturale dei modelli di lavoro in azienda.

Nel ciclo di vita aziendale, spesso si tende a sottovalutare un momento cruciale di incontro tra generazioni differenti: l’onboarding.

Il lavoro è oggi sempre di più il touchpoint reale in cui generazioni distanti hanno non solo modo di entrare in contatto (come avviene in maniera distante o addirittura facinorosa nelle discussioni sui social network), ma addirittura di collaborare insieme, molto più che nelle dinamiche di relazione familiare.

Oggi l’approccio all’onboarding in molte aziende non è molto strutturato. La maggior parte delle organizzazioni utilizza un approccio da “check list”, con una serie di pendenze organizzative da smarcare, informazioni da trasmettere, policy da dettagliare. Ma l’onboarding è molto più di un pacchetto informativo, di un manuale della qualità o di un programma introduttivo standard. Fare un onboarding destrutturato è estremamente negativo per le aziende, e negativo per le persone, soprattutto in questo momento storico così delicato, dove il contrasto culturale tra aspettative di generazioni diverse di lavoratori e datori di lavoro tende a emergere con estrema nitidezza.

onboarding come si fa 01

Employee e newbie si aspettano sempre di più dalle aziende e, se non si sentono connessi e coinvolti, facilmente potrebbero intraprendere nuove strade professionali, anche dopo pochi mesi di vita aziendale.

LEGGI ANCHE: Employer branding: guida aggiornata al 2022

L’impatto economico diretto e indiretto che un cattivo onboarding ha per l’azienda è molto elevato: ai costi del recruiting si sommano infatti quelli di formazione e upskilling dei neoassunti e tutti i costi amministrativi dei periodi di ingresso in azienda, insieme al tempo investito nel training e quello dedicato dai colleghi per il “percorso iniziatico” all’interno del contesto organizzativo.

Le criticità che un’esperienza negativa di onboarding può attivare sono molteplici, anche perché banalmente significa dover spendere nuove energie per un’attività che non si immaginava di dover sostenere ricominciando da capo il processo di selezione. Perdere un/una dipendente troppo presto è un problema reale (giovane o adulto che sia).

D’altro canto, se implementato con successo, l’onboarding può garantire un maggiore coinvolgimento, una prontezza organizzativa e una vera fidelizzazione tra azienda e neoassunti, minimizzando i livelli di stress e ovviamente migliorando performance, profitti e benessere generale.

Tuttavia, pochissime aziende adottano un approccio di onboarding ben disegnato e sfruttano solo una parte del pieno potenziale di questa fase cruciale dell’employee experience.

L’Onboarding del futuro (e del presente)

Secondo gli studi di Christian Harpelund:

  • il 25% dei nuovi assunti lascia l’azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si è dimesso entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per i nuovi assunti;
  • il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio;
  • l’average tenure, ovvero la media di tempo di permanenza in azienda per le nuove generazioni è inferiore ai 2 anni e le aziende con processi di onboarding strutturati e ben progettati riescono ad ottenere una produttività superiore del 54% dai loro nuovi assunti  contemporaneamente a un doppio livello di engagement.

Dalle sue ricerche emerge in maniera piuttosto costante che il costo di assunzione di un nuovo lavoratore arriva ad un break-even point dopo 6 mesi e se 1 su 4 “abbandona l’“aereo aziendale lanciandosi con il paracadute” in meno di 12 mesi, è facilmente comprensibile che il contributo che può dare al valore netto per l’organizzazione è davvero esiguo.

I dati si riferiscono a indagini sul mercato americano, pre-pandemia e prima delle dinamiche attivate dalla great resignation, ma già guardando a quei numeri è piuttosto tragico verificare che tra i giovani dimissionari si riscontra che un 20% prende questa decisione entro i primi 45 giorni e un 4% dopo il primo giorno di lavoro.

Nel mio riscontro personale ho avuto modo di sapere di alcuni casi di giovani che hanno addirittura stralciato la lettera di intenti già firmata per grandi realtà aziendali.

Secondo Headway, una società di consulenza per le risorse umane di Barcellona, il 75% dei nuovi dipendenti che decide di lasciare dopo 45 giorni confessa di non essersi sentito a proprio agio nella fase d’inserimento in azienda e il 67% afferma che la realtà aziendale non aveva molto a che fare con ciò che era stato spiegato loro prima di iniziare il proprio lavoro.

Harpelund insieme ai suoi collaboratori, in uno dei volumi più completi sul tema, “Onboarding: Getting New Hires off to a Flying Start” (2015), descrive un modello a 6 dimensioni che intreccia cultura, regole, rete, collaborazione, competenze e prestazioni per disegnare accuratamente il processo di ingresso dei nuovi assunti in azienda.

Tra le dinamiche osservate è interessante citare l’effetto “Honeymoon” che rappresenta una “curva emozionale” dei nuovi assunti che iniziano un nuovo lavoro, che percorre un tracciato prevedibile che va dall’alto al basso e poi di nuovo in alto durante il periodo di onboarding.

Quello che mostra questo effetto “luna di miele” è che i nuovi assunti iniziano sempre con molte aspettative e generalmente sperimentano un’energia e delle emozioni positive al principio del percorso, che però perde intensità entro i primi 3 mesi. Al di là delle diverse interpretazioni, è piuttosto ovvio che in questi primi mesi i nuovi assunti iniziano a conoscere la complessità del lavoro e del loro ruolo, creando un senso di attrito, che erode parte della spinta con cui avevano iniziato, ma ci spiega anche che ci vuole fisiologicamente del tempo per ristabilire l’energia e l’elevata esperienza emotiva.

Misurare questo effetto offre a un’organizzazione diversi vantaggi. In primo luogo, si può capire quando e dove incidere nel processo di supporto ai nuovi assunti. In secondo luogo, se si inizia riconoscere quando arriva la “pendenza” della curva, è possibile migliorare la definizione delle aspettative.

In altri ambiti internazionali, come ad esempio suggerisce SHRM, si tende a modellizzare gli aspetti chiave per un onboarding efficace attraverso le dimensioni della Compliance (ovvero il meccanismo con cui i dipendenti si conformano alle linee guida legali e organizzative all’azienda), della Clarification (quando l’azienda spiega ai dipendenti il lavoro e le aspettative sul ruolo), della Culture (che riguarda anche iter e prassi non scritte di tipo informale) e della Connection (ovvero la facilitazione delle connessioni e del networking interno al contesto organizzativo).

LEGGI ANCHE: Come ottimizzare l’Employee Retention con l’Onboarding Aziendale

Ma oltre all’allineamento con la missione, la strategia e le pratiche organizzative, vi sono degli aspetti cruciali che sono emersi distintamente nell’ultimo periodo che non possono più essere prescindibili: l’utilizzo della tecnologia per rendere più scorrevole e semplice l’inserimento dei nuovi collaboratori e proprio la configurazione di programmi che facilitino la creazione di reti all’interno dell’organizzazione; per aiutare i neo-assunti a superare le preoccupazioni personali e professionali all’inizio di un nuovo lavoro.

Favorire le dinamiche di socializzazione (all’interno o all’esterno del posto di lavoro) e l’innesco di dinamiche peer-to-peer o di buddy sono elementi importanti per costruire le reti, andando oltre i tradizionali perimetri gerarchici o di funzione.

onboarding come si fa

Molte di queste situazioni di solito si sviluppano in maniera naturale e non è sempre necessario assegnare un “buddy” in maniera forzata, ma può essere importante, ad esempio, mappare competenze e conoscenze di chi è a bordo per poterle offrire e metterle a disposizione dei nuovi arrivati, affinché le “reclute” possano orientarsi sul know who e sapere a chi fare riferimento per i diversi momenti del proprio percorso di inserimento.

Digitale o reale? Tra Remote Onboarding e Onboarding Bootcamp

Forse più che in altri esercizi di riprogettazione dei processi aziendali, l’onboarding può diventare un’ottima palestra di riconoscimento dei segnali distonici che l’organizzazione trasmette tra comunicazione esterna ed interna, di focus sulla cura della reputazione e dell’attenzione ai valori e ai significati del lavoro (che abbiamo visto anche in altre occasioni non sono più un “nice to have”), di capacità di distinguere nei contenuti di un processo quelli che possono essere pre-registrati e digitalizzati, da quelli che inevitabilmente avranno bisogno dello “human touch” e probabilmente della presenza fisica.

Sono tantissimi i neoassunti che nel periodo della pandemia hanno lamentato la difficoltà di integrarsi ed entrare nella sintonia aziendale solo esclusivamente attraverso il “full remote” e il lavoro a distanza. Ma è altrettanto vero che il remote onboarding può essere mantenuto in parte per permettere ai nuovi arrivati di “studiare” e informarsi su tutti quei contenuti di carattere pratico, sulle policy, sugli organigrammi, sui progetti ma anche sulle storie delle persone e sugli aneddoti aziendali.

Detto questo anche l’onboarding, come le altre pratiche aziendali per provare a direzionarsi verso un futuro trasformativo, non può che essere centrato sul people caring, sul wellbeing e sulla work-life integration, perché per cogliere le nuove sfide con i nuovi arrivati, ogni azienda deve mettersi (e metterli) nelle condizioni di poter dialogare in modo inclusivo.

Non a caso, tra  le best practice di onboarding che solitamente vengono segnalate c’è quella di Facebook (Meta), che con un vero e proprio Bootcamp di 6 settimane ha l’obiettivo di portare la cultura aziendale ai nuovi assunti e dove, durante il processo, i dipendenti hanno la possibilità di connettersi alla missione dell’azienda e coltivarne i principi per iniziare a essere da subito produttivi e armonizzati con il contesto di riferimento.

C’è un passaggio fondamentale che andrebbe sottolineato in questo frangente. La cultura è complessa perché può essere invisibile: se un nuovo dipendente deve essere ben inserito in una cultura organizzativa, è necessario che l’organizzazione se ne curi attivamente e si sforzi di renderla visibile, chiara e senza fraintendimenti di linguaggio e azioni.

Senza scomodare troppo i modelli di Edgar Schein sugli “strati” della cultura organizzativa, è palese che l’onboarding non può riguardare solo gli “Artefatti” culturali visibili e (dove si riesce a rappresentarli efficacemente) i Valori aziendali.

Sono proprio gli “Assunti” sotto la superficie culturale della piramide ribaltata di Schein su cui oggi si gioca la partita della retention, ma anche dell’attraction di nuove leve: poiché l’unicità di certe dinamiche culturali può davvero caratterizzare in maniera distintiva un’azienda al posto di un’altra, e può essere il motivo per comunicare autenticamente alle nuove generazioni in maniera vincente, oltre che ad assottigliare le possibilità di disillusione e di gap che abbiamo descritto in principio.

Forse serve davvero l’antropologo o l’etnografo cultura in azienda, poiché la cultura è complessa e perché può essere inconscia. È l’ironia delle norme di cui spesso siamo inconsapevoli finché gli altri non le seguono: improvvisamente diventano visibili a tutti e si formano proprio a partire da quei comportamenti che spesso non sono osservati ed esplicitati.

Spesso, queste distonie tra regole e comportamenti formali e informali, emergono con forza proprio al momento dell’onboarding e dell’avvicendamento di culture “esterne” che subentrano nell’organismo organizzativo. E sia le “norme” che abbiamo come organizzazione, sia le “norme” che il nostro nuovo assunto porta con sé, hanno a che fare con l’inclusione culturale e… generazionale.

Intergenerazionalità e storytelling nelle nuove strategie di onboarding

Pensateci per un secondo. Ogni volta che si parla di “ricambio generazionale” in azienda o di importanza di trasmettere la cultura organizzativa dei “senatori” aziendali c’è alla base il momento cruciale dell’onboarding.

Fino a qualche tempo fa era consueto anche sentir parlare di “aziendalizzazione” dei nuovi assunti, un termine infelice ma che rappresentava significativamente che per fare un percorso evoluto di carriera in un contesto organizzativo di una certa rilevanza in termini numerici, era necessario acquisire un mindset allineato ad una determinata cultura organizzativa, poiché il mondo aziendale sa essere,se vuole, un mondo a sé stante e anche piuttosto scollato dalle altre realtà del lavoro.

Come abbiamo visto il paradigma ha però bisogno di cambiare per evitare una fuga prematura dei nuovi assunti, in un contesto di mercato così fluido ma anche fragile. Abbiamo visto quanto sia rilevante indagare gli assunti organizzativi più profondi e le dinamiche etnografiche per raccontarle e trasmetterle con autenticità ed efficacia alle nuove generazioni.

Ma proprio perché di conflitto generazionale si tratta, tra una cultura del lavoro che ha dei valori maturati in decine di anni di azienda, a volte tramandate direttamente dai fondatori o dai padri dei fondatori con quelle nuove, acerbe, ma inevitabilmente più vicine al presente e alla realtà, il lavoro da compiere è proprio quello di mettere in contatto queste anime culturali dell’azienda per poter disegnare un onboarding che tenga conto dei principi e dei valori da tramandare, delle buone pratiche e dei rituali di successo, ma anche dello stile giusto per poter raggiungere al meglio il cuore e la mente di chi inizia un percorso in un nuovo contesto ambientale.

Come nei trasferimenti all’estero è fondamentale la relazione con i nativi e le loro storie, anche nell’onboarding diventa imprescindibile lo storytelling come strumento di inclusione culturale.

Raccontare gli aneddoti, le vicissitudini, le imprese che team di lavoro o intere funzioni sono riuscite ad affrontare dalla viva voce dei protagonisti è una ricchezza immensa. Avere una “mediateca” di queste storie da far fruire ai neofiti, giovani o adulti che siano, può essere una leva strategica non indifferente. Magari attraverso il potere dell’ascolto e del podcasting, oppure attraverso momenti di buddy time dedicati alle narrazioni, o anche solo attraverso la possibilità di sviluppare un networking sociale strutturato all’interno dell’organizzazione.

Ma permettiamo in azienda di far disegnare tutto questo a senior e junior insieme. Giovani che hanno appena vissuto la candidate experience e possono segnalare tutti i touchpoint di miglioramento del processo, del linguaggio e degli stili da rendere meno “cringe”, insieme ad adulti di lungo corso aziendale o opinion leader informali di tutte le generazioni che possano veicolare appieno la ricchezza dell’esperienza lavorativa e del micro-universo di ogni realtà.

Ogni azienda può essere è un vero e proprio romanzo da suggerire a chi la vuole studiare in profondità.

evento salesforce 2022

Salesforce Live 2022: cosa abbiamo visto all’evento della piattaforma di CRM numero uno al mondo

Salesforce ha umanizzato il MiCo Centro Congressi di Milano, tornando dal vivo con il suo evento annuale che ha riunito il vasto ecosistema di agenzie e aziende che ruotano intorno alla piattaforma di CRM numero uno al mondo, seguendo una linea data driven, così da mettere realmente al centro delle strategie gli esatti stakeholder.

51 sessioni verticali per un totale di oltre 30 clienti on stage: Salesforce Live Milano si è ripreso la scena della locomotiva del Paese, dove parlare di CRM è anche riduttivo, visto che Salesforce è un set di strumenti digitali attraverso il quale è possibile personalizzare e scalare l’intera company tenendo traccia dell’evoluzione in termini di sales, brand awareness e reputation lungo il funnel da un’unica vista.

Sales, comunicazione e dati per eccellere

Il gotha della comunicazione al salesforce milano

Salesforce Live 2022, Milano

L’evento ha richiamato leader di settore, innovatori, aziende e partner per parlare degli ultimi trend in fatto di business tecnology, digitale e innovazione, ma soprattutto è stata l’occasione per concretizzare quella comunicazione Human To Human e face to face che fa da ponte alle relazioni di valore.

Il keynote di apertura di questa edizione si è contraddistinto per la presenza di nomi prestigiosi che si sono alternati sulla scena per uno scambio di idee e opinioni ad alto valore. A fare gli onori di casa Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia, che ha presentato accolto sul palco alcuni clienti di successo che hanno indossato le vesti di “Trailblazer”, innovatori che aprono nuove vie per il business.

Ne ha dato dimostrazione Iren Luce e Gas che, grazie a una demo dedicata al proprio percorso di trasformazione digitale, ha mostrato come ha instaurato una nuova relazione tra azienda e clienti.

Miroglio ha poi portato sul palco un vero e proprio negozio del futuro rendendo in modo efficace come l’omnicanalità e il nuovo ruolo dello store assistant siano un binomio essenziale per personalizzare l’esperienza di shopping dei clienti di oggi.

Roboze, azienda pugliese che sviluppa, produce e vende soluzioni innovative di stampa 3D, ha portato un esempio virtuoso di come la scalabilità del cloud consente ad aziende di tutte le dimensioni di diventare grandi e competitive a livello globale.

Non sono mancati temi da sempre cari a Salesforce Italia: formazione e competenze digitali.

L’esempio di Generation Italy, fondazione no-profit di McKinsey & Company, ha così permesso di ricordare i tanti progetti in essere delle Digital Talent Factory, un luogo virtuale dove informarsi, ispirarsi e scoprire tutte le realtà, da quelle universitarie a quelle delle aziende partner, che offrono percorsi di formazione ideati appositamente per contribuire a colmare il gap di competenze digitali e alla creazione di nuovi posti di lavoro all’interno dell’ecosistema Salesforce.

Secondo la ricerca IDC Salesforce Economy infatti, entro il 2026 l’ecosistema Salesforce in Italia avrà un impatto stimato in 33,9 miliardi di dollari di nuovi ricavi e 21.360 nuovi posti di lavoro diretti e 93.300 posti di lavoro indiretti. Un volano importante a vantaggio di tutto il sistema economico italiano.

LEGGI ANCHE: Intervista a Kevin Roberts: per abbracciare il cambiamento devi perdere il controllo

Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia: “Oltre lo stop il progresso”

Salesforce punta sull’Italia: ora spingere sulla digitalizzazione

Mauro Solimene, (Salesforce), ha spostato il focus sulla comprensione dei bisogni di ciascuna persona.

 

Il successo di questa edizione di Salesforce Live Milano è sorprendente – ha commentato Mauro Solimene, Country Leader di Salesforce Italia. – La fame di digitalizzazione delle aziende italiane si riflette bene nelle presenze qui in sala oggi. Sebbene questo evento sia fisicamente mancato per due anni, in questi due anni è come se ne avessimo vissuti dieci per progressi raggiunti e passi in avanti compiuti insieme ai nostri clienti e al nostro prezioso ecosistema per dare una svolta ai processi di accelerazione digitale del nostro Paese”.

L’evento è stato la vetrina inoltre per palesare due importanti novità: il nuovo accordo di partnership per l’Italia siglato tra Salesforce e TIM, con la propria cloud company Noovle, che mira a supportare i processi di trasformazione digitale di aziende e pubbliche amministrazioni per renderle più efficienti e competitive, e i dati italiani della quinta edizione del report “State of the Connected Customer, l’indagine che mira a comprendere il livello di engagement dei consumatori nel nuovo mondo digital first, dalla quale è emerso che: per l’89% dei consumatori italiani l’esperienza è importante tanto quanto il prodotto, infatti fiducia dei consumatori è misurata  dalla qualità delle interazioni con il brand di riferimento. 

Inoltre, non è mancata la presenza dell’ecosistema dei partner, tra i quali: Accenture, Deloitte Digital, PWC, Reply Arlanis, Lutech, KPMG, Capgemini, Balance, Brainpull, Jakala e Lobra, che hanno partecipato attivamente attraverso l’incremento di relazioni e scambi di vedute rapportandosi anche con i media.

Mettere al centro il cliente

Domingo Iudice: Salesforce è insito nel nostro modo di lavorare

Domingo Iudice – Brainpull

Domingo Iudice, CEO di Brainpull, agenzia partner, ha sottolineato come sia stimolante la presenza fisica, dove la competizione è vista come un elemento di evoluzione umana e professionale. “Attraverso Salesforce è possibile massimizzare tutta l’area inerente la brand awareness, concretizzando e cristallizzando contatti, che da lead diventano contattabilii in modo più efficace. Si lavora con grandi aziende, specialmente nel settore eCommerce e si è avuto un incremento del fatturato sfruttando tutte le potenzialità del Direct Marketing”.

Matteo Banfi, Senior Manager presso PwC, ha sottolineato che i feedback della clientela come user experience di Salesforce è eccellente in tutte le industry in particolare modo nel fashion e luxury retail. “Anche lato metaverso viene ampliata la strategia e ci sono già brand come Hogan con la quale è stato già organizzato un evento”.

Marta Piedrafita Baudin Regional VP Enterprise Sales EMEA South – Slack / Salesforce, ha posto l’accento sull’integrazione e su una visione molto ampia del project management attrverso Salesforce, andando a semplificare tutti i processi di gestione. “La clientela è internazionale, e la tecnologia Slack si abbina perfettamente a tutti i settori,  armonizzando, la comunicazione nell’HR, amministrazioni, marketing, IT, e engineering”.

Andrea Percio, Partner Deloitte Digital, ha dichiarato che la partnership Salesforce ha sempre dato e stando eccellenti risultati. “Deloitte ha un presenza massiccià in tutti i settori con un ruolo di primaria importanza nell’automotive, con un’incisività nel retail lato eCommerce, nei processi abbiamo una visione strategica integrata al Marketing condividendo gli studi e la la parte di Customer Experience. Oggi si sta andando verso un’esperienza, e i consulenti sono chiamati a dare soluzioni che hanno a cuore la risoluzione di problematiche come tempistiche e innovare i processi”.

Domingo Iudice: Salesforce è insito nel nostro modo di lavorare

Roberto Borghi – Jakala

Roberto Borghi, Principal di JAKALA, ha posto l’accento sull’evento lato relazione, dunque comunicazione come momento tecnologico e scambio di vedute con i competitor. “Sia per quanto riguarda il B2B e il B2C, il mercato sta valorizzando il dato, che è il vero valore aggiunto per il cross selling e tutta la parte di sales, andando a targettizzare il giusto pubblico. Il dato grezzo deve essere pulito strutturato ed organizzato, ed oggi le competenze devono essere sia lato business che innovative, per avere il perfect match nello start e nella fidelizzazione della clientela”.

L’evento dunque, è stata l’occasione per riportare al centro della strategie di Marketing e Comunicazione il fattore umano, rispetto a relazioni di valore come leva di business.

intervista a kevin roberts al wobi 2021

Intervista a Kevin Roberts: per abbracciare il cambiamento devi perdere il controllo

Quella che stai per leggere è una di quelle interviste che rimangono nel cassetto per un po’ di tempo, in attesa di trovare il momento giusto per essere pubblicate, o di avere il giusto spazio nella frenetica programmazione redazionale. Eppure le parole che Kevin Roberts, storico CEO di Saatchi & Saatchi e ora leader dell’agenzia di consulenza Red Rose Consulting, sono di quelle che andrebbero lette e rilette, quasi come un classico della letteratura, perché dentro è possibile scoprirci sempre qualcosa di nuovo.

Kevin Roberts è colui che ha inventato l’idea di lovemarks, ossia di quei marchi a cui siamo legati da una relazione affettiva, da un rapporto che coinvolge tutti i nostri sensi, e che sono capaci di instaurare un senso di lealtà, in grado di attrarci al di là di ogni forma di razionalità, economica o pratica. Parliamo quindi di puro marketing.

Quando lo abbiamo incontrato, durante l’edizione 2021 del WOBI, le gambe un po’ tremavano, ma come tutti i Grandi ci ha messo subito a nostro agio, con una battuta e i suoi modi gentili. Contestualizzare con questo grado di dettaglio ci serve a sottolineare che questo è uno di quei casi in cui forma e sostanza sono un tutt’uno e in quest’ottica andrebbero lette le parole che seguono, le indicazioni, i concetti e i pensieri che questo guru del marketing ci ha regalato.

intervista a kevin roberts - wobi

Cambiamento e creatività per coinvolgere le persone

Come possiamo creare una cultura delle idee e come possiamo identificare una grande idea tra centinaia di idee non significative?

«Viviamo nell’era delle idee, ma negli ultimi due anni è stato piuttosto difficile per noi andare avanti. Non possiamo tornare a una nuova normalità, come in tanti avevano annunciato dopo la prima fase della pandemia. Siamo tutti cambiati, abbiamo tutti nuove storie e l’unico modo per andare avanti è il cambiamento.

Ci sono tre tipi di cambiamento:

  • incrementale, cioè un miglioramento continuo come il kaizen giapponese;
  • trasformazionale;
  • dirompente.

Dobbiamo sapere quale di questi tipi di cambiamento adottare. La cosa più importante per tutti noi, in ogni caso, è la creatività.

Ma che cos’è la creatività esattamente?  È la capacità di guardare qualcosa, la stessa cosa che guardano tutti, ma pensare qualcosa di diverso.

Pensare qualcosa di diverso inizia con una regola: come aziende dobbiamo imparare a fallire velocemente, imparare velocemente e risolvere velocemente, quindi dobbiamo avere il coraggio di fallire e imparare bene.

Solo in questo modo le idee possono fiorire. Si tratta, in fondo, di tornare un po’ bambini, a quando eravamo molto creativi perché ognuno vedeva le cose a modo proprio, in modo diverso. Solo dopo, a scuola, nelle università, nelle aziende, siamo stati addestrati. Quando avevi cinque anni eri molto creativo perché vedevi le cose e le vedevi in modo diverso, ma poi sei stato addestrato a vedere le cose nello stesso modo di tutti gli altri.

Oggi, abbiamo bisogno di creare una cultura in cui vada bene anche fallire. Solo fallendo, si impara e si diventa capaci di aggiustare il tiro, si capisce quando si ha una buona idea, una grande idea o una pessima idea.

Alla fine si tratta di ascoltare l’istinto, ascoltate il cuore. Sì, possiamo avere tonnellate di dati; sì, possiamo fare i test; ma non è questa la fonte magica. Il segreto è avere fiducia nel proprio istinto per sentire il mercato, per sentire il cliente, per sentire il consumatore.

Quindi bisogna essere là fuori e si deve ascoltare. Non parlare, ma ascoltare e guardare bene. Non si può fare tutto sullo schermo, non si può fare tutto a distanza. Bisogna vivere lo stesso mondo dei nostri consumatori e dei nostri clienti».

Quanto è importante la creatività nel business?

«È la singola caratteristica che definisce un business. La creatività ha un potere irragionevole.

Non c’è niente di più importante della magia di arrivare prima al futuro ed eseguirlo con eccellenza. È l’unica cosa che differenzierà l’idea.

Guardiamo, ad esempio, il valore delle idee di Elon Musk. La sua compagnia vale più di Toyota e General Motors messe insieme e questo è il potere di un’idea».

LEGGI ANCHE: Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Il ruolo dei leader di oggi secondo Kevin Roberts

intervista a kevin roberts - wobi - fabio casciabanca - kevin roberts

Come si fa a passare dallo storytelling allo storysharing?

«Rolf Jensen ha detto che i leader del 21° secolo sarebbero stati degli “story tellers”, ma si sbagliava. Sono degli “story sharers”. Oggi infatti vogliamo essere coinvolti, nel personaggio e nella storia. Ci buttano così tanta roba addosso che stiamo affogando nelle informazioni e più ne sai di qualcosa, meno interessante questa cosa diventerà.

Pensa al matrimonio, pensa a qualsiasi relazione, tutti noi abbiamo bisogno di mistero, abbiamo bisogno di sensualità, abbiamo bisogno di intimità. Tutti oggi abbiamo una voce, sia su Twitter, che su Instagram, o su qualsiasi altro social. Ma tutti vogliamo essere coinvolti nella storia. Io ho sei figli e nove nipoti, quando parlo con loro mi rendo conto che non posso più semplicemente raccontare loro una storia. Vogliono essere nella storia, vogliono agire, vogliono essere parte di essa.

Dal punto di vista del business questo significa che dobbiamo rinunciare al controllo del marchio e dare quel controllo al consumatore».

Come può il marketing creare un movimento che la gente vuole condividere?

«Sì, penso che questo sia il ruolo del Marketing Manager. Non è più quello di creare un marchio, ma di creare un movimento. Ognuno di noi vuole essere parte di qualcosa di più grande di se stesso. Per questo se scegli Nike contro adidas o adidas contro Nike, non stai scegliendo semplicemente delle sneakers invece di altre sneakers. Stai scegliendo ciò che ti rappresenta, stai scegliendo se vuoi essere come Nike o vuoi essere come un fantastico giocatore del Manchester City o vuoi essere parte di qualcosa di più grande di te.

Per questo dico che il ruolo del Brand Manager è cambiato: non gestisce più il marchio, ne cede il controllo e ispira tutti a vedere cosa c’è dietro il marchio. Si tratta di avere uno scopo.

Quindi devi pensare molto più in grande se sei nel marketing. Questo è il momento migliore nella storia dell’umanità per essere un marketer, perché non si tratta più di gestione del marchio, ma di creare un movimento. Qualcosa di molto eccitante, quindi».

Kevin Roberts e il futuro del business

Quanto è complicato essere creativi in un momento fortemente influenzato dal politacally correct?

«Io sono politicamente scorretto e orgoglioso di questo, perché penso che la politica sia assolutamente terribile. Parlo ovviamente di quella politica che resta solo un’idea, che non si può mettere in pratica.

La politica che il mondo sta seguendo oggi è una politica di estremismo e una politica di tensione. Per questo dico di essere politicamente scorretto. Perché abbiamo bisogno che i creativi abbiano piena fiducia che il loro ruolo è quello di ispirare pace, amore e armonia.

Il ruolo del business non dovrebbe essere quello di creare valore per gli azionisti, né di creare un cliente, ma dovrebbe essere quello di creare un mondo migliore per tutti. Il futuro dovrebbe essere quello del capitalismo inclusivo. Nessun altro -ismo funziona, infatti: oggi abbiamo bisogno di includere, non di continuare ad escludere e il problema con l’attuale “correttezza politica” è che è molto esclusiva e molto giudicante rispetto alla minoranza. Quindi non sono assolutamente a favore di questa idea come persona creativa, perché questo limita la creatività».

open days metaverso ninja academy

Open Days Ninja nel Metaverso: esplora in anteprima le novità formative 2023

Ninja lancia i Ninja Academy Metaverse Days, il primo Open Day nel Metaverso: un evento unico nel suo genere, per esplorare in anteprima tutte le novità in ambito formazione, aggiornamento e certificazione delle competenze per il 2023.

Si partirà con l’evento inaugurale del 29 giugno dalle 12 alle 15, con il Ninja Team e con ospiti tra i migliori esperti di Digital, Formazione e Lavoro. Dal 29 giugno al 1° luglio dalle 17:30 alle 18:30 saranno poi organizzate tre sessioni di orientamento nel Metaverso con il Team di Ninja per approfondire i percorsi, le opportunità formative e gli sbocchi professionali.

<< Vuoi essere il primo a partecipare a un Open Day nel Metaverso? Iscriviti subito >>

Il Metaverso non è solo un trend

Il Metaverso sta influenzando diversi settori, dal mondo dell’arte a quello della moda, senza interruzioni.

Molto vicino all’idea di cyberspazio, il Metaverso ricrea mondi virtuali in 3D per connettere le persone: basta entrare in questi “luoghi” usando avatar o rappresentazioni digitali di se stessi.

Un trend, senza dubbio, destinato a diffondersi sempre di più. In molti si domandano se il Metaverso, dopo aver saturato il mondo del gaming e dell’intrattenimento, invaderà le nostre quotidianità. Vivremo davvero in realtà virtuali in cui le persone potranno interagire tra loro e con oggetti digitali in maniera abitudinaria e del tutto spontanea? Ai posteri l’ardua sentenza. Di certo questi spazi, montati a regola d’arte, sono molto affascinanti e sono in grado di suscitare l’interesse di chiunque.

LEGGI ANCHE: Lavorare nel Metaverso è possibile? Lo abbiamo chiesto al mondo degli HR italiani

Per questa ragione Ninja Academy presenta un evento inconsueto, una vera e propria experience per coinvolgere il proprio pubblico e mostrare la nuova offerta formativa in una veste innovativa e futuristica.

Perché seguire i Ninja Academy Metaverse Days

Lo scopo degli Open Days è quello di far conoscere meglio il mondo Ninja, l’evoluzione che sta perseguendo per andare incontro alla trasformazione digitale e alle rinnovate esigenze del mercato. L’orientamento in campo Digital è sempre al centro. La nuova offerta formativa intende rispondere ai bisogni più urgenti che vengono riconosciuti nei professionisti digitali o aspiranti tali. Parliamo di formazione, esperienza sul campo, certificazione delle competenze e costante aggiornamento.

ninja metaverse day

I Ninja Academy Metaverse Days sono rivolti a studenti universitari, neolaureati, freelance, consulenti, manager e a chi lavora in ambito HR.

Per l’occasione saranno presentati i nuovi Corsi e Master dell’Academy in collaborazione con vari enti e istituti formativi e universitari, tra cui CEPAS e Unipegaso.

Nuove certificazioni in arrivo, ma anche tanti appuntamenti imperdibili per orientarsi e cogliere tutte le opportunità di formazione in ambito digitale.

Il Metaverso di Ninja si arricchisce con un parterre d’eccezione a cui prenderanno parte: Andrea Quintiliani, docente di Strategia d’Impresa Unipegaso, Esther Intile, Head of Employer Branding People and Organization Enel GroupLuca Clementi, Community Manager The Sandbox, Martina Capozza, Launch Consultant Shopify, Rossella Laface, Sales & Innovation Manager CEPAS, Barbara Reverberi, Mentor/Coach e Founder Freelance Network Italia e Maurizio Fiengo, Orientatore e Consulente Personal Branding.

E, dal Ninja Team:
Mirko Pallera, CEO e Founder 
Adele Savarese, General Manager
Federica Bulega, Corporate Training Manager
Marco Adinolfi, Customer Success
Marian Pascariu, Responsabile Prodotto
Emiliano Ruozzo, Learning Consultant

Ecco il programma:

29 giugno dalle 12.00 alle 15.00
ore 12:oo
– saluti e introduzione di Mirko Pallera

ore 12:10
– Esperienza sul campo: la nuova Factory eCommerce con Shopify
Il Laboratorio Pratico Ninja che comprende il Master eCommerce e un project work reale con top brand della Industry

ore 12:40
Formazione riconosciuta: il nuovo Master Ninja Academy / Unipegaso
Un Master di I Livello in Digital Marketing, Social Media Communication & eCommerce Management per un totale di 1.500 ore formative (60 CFU)

ore 13:10
– Aggiornamento: All Access Digital e nuovi corsi
Il Pass per accedere per 365 giorni a oltre 300 ore di contenuti di Alta Formazione e Informazione PRO e i nuovi Corsi HR Marketing, Digital Project Manager, Cryptoverse Marketing

ore 14.00
– Placement: il servizio Ninja Talents
– La formula Placement per trasformare l’esperienza formativa in concreta opportunità di occupazione nel settore digitale

ore 14.20
– Certificazione delle competenze: le qualifiche CEPAS
Il primo Schema di Certificazione delle professioni digitali per ottenere le qualifiche di Specialist e Manager in ambito Digital, Social ed eCommerce

29 – 30 giugno e 1° luglio ore 17.30 – 18.30
Orientamento nel Metaverso con il Ninja Team su:

– eCommerce Factory
– Servizio Placement
– Master Ninja Academy/ Unipegaso
– Nuovi Corsi
– All Access Digital
– Qualifiche CEPAS
– Ninja For Business e corsi B2B

Non perdere quest’occasione, i posti sono solo limitati: iscriviti subito!

talent acquisition

Talent Acquisition vs Recruitment: non sottovalutare il cambio di paradigma nel mercato del lavoro

Oggi quando si parla di assunzioni e mercato del lavoro, ci troviamo davanti a un cambiamento significativo. Le aziende si trovano davanti a una grande sfida: attrarre talenti capaci di potenziare il valore economico e umano del brand.

Quello che una volta era un compito strettamente legato al dipartimento Risorse Umane è ora una funzione centrale per qualsiasi tipo di organizzazione che crede nello sviluppo del business attraverso le persone.

Perché parliamo di Talent Acquisition

Le aziende sono dinanzi a un’enorme carenza di talenti. Fenomeni conosciuti a livello globale come “Le Grandi Dimissioni” stanno investendo il mondo del lavoro con una forza inaspettata.

In un recente sondaggio condotto da Manpower Group, nel 2021 oltre due terzi delle aziende di vari settori hanno riscontrato la mancanza del giusto talento per specifici ruoli e condizioni sempre più complesse per la loro assunzione.

manpower - talent shortage over time

Mentre il mondo cerca di riprendersi dagli impatti a lungo termine della pandemia, il mercato del lavoro affronta una carenza di talenti di dimensioni storiche.

Talent Acquisition manpower 01

Secondo la ricerca, questo è il tasso di difficoltà di assunzione più alto mai conosciuto da oltre 15 anni.

Talent Acquisition manpower 02

Perché è importante per noi

Se il recruiting è semplicemente quel processo di ricerca e selezione dei candidati ideali per i colloqui di un’organizzazione, la Talent Acquisition va decisamente oltre. È un cambiamento paradigmatico in quanto la ricerca di nuovi collaboratori non è semplicemente legata alle direttive strategiche del management.

Si tratta di un assetto organizzativo olistico, in totale sintonia con la mission e la vision aziendali che coincide con la cultura e i tratti caratteristici del brand. Ciò consente di attirare l’attenzione di persone che desiderano lavorare in un determinato contesto perché in sintonia con quello che il brand rappresenta per loro.

talent-acquisition-ninja-marketing

Cosa c’è da sapere

Attirare il personale migliore per la propria azienda grazie alla Talent Acquisition non è qualcosa che si attiva con un semplice interruttore.

Sebbene il recruiting resti un’attività importante per colmare i posti vacanti nell’immediato, l’acquisizione di talenti è una strategia a lungo termine che rende le assunzioni più efficienti e più produttive.

Un nuovo ingresso che rispetta le caratteristiche della Talent Acquisition è da considerare come un driver di successo e prosperità per l’organizzazione perché la persona si sente esattamente lì dove desidera trovarsi a livello lavorativo.

Ninja Upshot

L’evoluzione della Talent Acquisition porta le aziende a ripensare i propri schemi di placement: esigenze di dipendenti specifici richiedono soluzioni di acquisizione di talenti differenti e particolari.

manpower holistic talent strategy

Ciò significa che anche i responsabili del reparto Risorse Umane dovranno comportarsi meno come rappresentanti commerciali (che sono lì per promuovere la propria azienda) e più come strategist aziendali.