PLINFT è una piattaforma di marketing e comunicazione innovativa che ha deciso di supportare la community NFT. Il suo scopo è quello di far conoscere i progetti NFT più interessanti servendosi di eventi, organizzati a Times Square nel cuore di New York, e trasmessi su scala mondiale.
NFT: piccolo ripasso
Il termine NFT è un acronimo, il suo significato è non-fungible token e rappresenta qualcosa di unico, inimitabile, non replicabile e nemmeno sostituibile. Sentiamo parlare sempre più degli NFT perché rappresentano un nuovo modo per acquistare e vendere arte e oggetti da collezione in formato digitale.
Qualsiasi media, può essere venduto sotto forma di NFT, e con questi progetti che emergono ogni giorno, il mercato è subito diventato frammentato e difficile da gestire e seguire.
L’obiettivo di PLINFT è quello di trovare un modo per focalizzare l’attenzione di chi crea gli NFT e chi li segue ma senza soffocare la creatività e il potere della community NFT.
L’idea è quella di portare il nascente e fiorente mondo NFT nel mainstream, usando il più iconico cartellone digitale di Times Square, come portale. Solitamente appannaggio d’inserzionisti multinazionali, PLINFT sta introducendo un innovativo modello di pubblicità frazionata per permettere ai singoli proprietari di NFT di mostrare a tutto il mondo le proprie creazioni.
L’evento a Times Square
La piattaforma Web3 PLINFT ha annunciato un evento memorabile, in diretta e in live-streaming, da Times Square appunto, il 7 marzo alle ore 19:00.
Più di 20 collezioni, e oltre 500 creatori di NFT si riuniranno per mostrare le loro creazioni sullo schermo più iconico del mondo. L’esposizione di ogni opera non è fissa ma momentanea. La prova della sua apparizione però verrà raccolta e verificata sotto forma di un NFT commemorativo, coniato da PLINFT, e spedito nel portafoglio di ogni partecipante.
NFT e mondo dell’arte
L’ascesa fenomenale del NFT ha catalizzato la più grande esplosione di espressione artistica, produzione e distribuzione in oltre un secolo. In precedenza, l’esclusivo e illustre mondo del collezionismo e della vendita d’arte era qualcosa che generalmente accadeva negli spazi fisici. Con gli NFT significa che il collezionismo d’arte ha potuto spostarsi online, aprendosi a molti artisti, su scala globale, che potrebbero non aver avuto in precedenza la possibilità di vendere il proprio lavoro agli acquirenti.
Allo stesso modo può essere davvero difficile mantenere un reddito stabile senza far lavori saltuari o non correlati all’arte. La stabilità è una crescita lenta che può essere trovata nella propria community, ma se non sei già ben affermato, può essere difficile. L’immediatezza con cui un NFT può generare reddito potrebbe, in teoria, aprire un’ondata di opportunità per un numero enorme di creativi, soprattutto quelli meno privilegiati.
È possibile ottenere davvero l’attenzione giusta?
Come i social media, le piattaforme NFT garantiscono ai designer un accesso immediato a un pubblico globale. Spesso, avere un seguito online preesistente, aiuterà gli artisti a ottenere visibilità nel mercato NFT. La parte difficile per i designer è capire come convertire il proprio pubblico in acquirenti. Questo perché si tratta pur sempre di un contesto in cui l’attenzione delle persone, che è ormai frammentata, si assottiglia rapidamente tanto che diventa impossibile far crescere l’interesse, anche per un’opera eccezionale.
Il ruolo di PLINFT
PLINFT sta quindi sperimentando un modo per accendere l’interesse e ottenere l’attenzione delle persone per queste opere NFT.
Harris Salat, co-fondatore di PLINFT, spiega che gli NFT sono delle opere che rappresentano la vera essenza dell’artista, il proprio spirito e la community d’appartenenza. Ma se restano solo nel proprio portafoglio di criptovalute, nessuno può vederle.
PLINFT è quindi un progetto che vuole aiutare i designer a far conoscere le proprie opere, accendendo un riflettore su questi incredibili progetti per dare loro visibilità in un mercato discontinuo, aggiunge il co-fondatore Nicolas Roope. Inoltre quest’ultimo sottolinea che gli NFT stanno rivoluzionando l’arte e l’espressione creativa e che loro, con PLINFT, sono davvero orgogliosi di contribuire a questo processo.
Piccola curiosità: che significa PLINFT
Il nome PLINFT è ispirato al plinto, un piedistallo per sollevare, presentare e sostenere un’opera d’arte tridimensionale, separandola dal contesto in modo che possa essere vista e apprezzata al meglio.
Possiamo quindi dire che PLINFT sta creando un piedistallo digitale per mostrare le collezioni NFT e le community che le fanno vivere a tutto il mondo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/03/PLINFT-low.jpg475852Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2022-03-09 12:39:522022-03-10 13:08:48PLINFT debutta a Times Square in anteprima mondiale con una mostra di NFT
La Giornata Internazionale della Donna quest’anno propone il tema #BreakThe Bias, promuovendo la rottura di ogni genere di pregiudizio.
Una giornata che fa da eco alla celebrazione di un mondo equo e inclusivo a favore delle donne, una società libera da stereotipi e discriminazioni. Un mondo in cui la diversità non è più messa da parte ma al contrario, valorizzata.
Nella società, nel lavoro, nei rapporti sociali. Per questo le immagini simbolo di #BreakTheBias sono quelle di una donna, di una madre, di una lavoratrice, di una manager, che rifiuta questi preconcetti che non la rendono al pari degli uomini.
Anche i brand hanno celebrato la donna con diversi messaggi di incoraggiamento, spronando ognuna di loro a realizzarsi e ad affrontare tutte le fasi naturali della vita senza mai mettersi da parte.
BARBIE | Role Models
Il brand di bambole più famose al mondo è da sempre vicino alle bambine e ai loro sogni. Già nel 2018 ha istituito il Barbie Dream Gap Project, un’iniziativa globale nata per aumentare la consapevolezza sui limiti che impediscono alle ragazze di raggiungere il loro potenziale.
In questo progetto, Barbie si è legata ad organizzazioni senza scopo di lucro, investendo oltre un milione di dollari per incrementare l’istruzione e la capacità di leadership a favore dell’equità di genere.
Per la Giornata Internazionale della Donna 2022, Barbie ha presentato Role Models, la sua collezione di 12 bambole ispirate ad altrettante donne pioneristiche scelte in tutto il mondo. Attraverso le loro storie di successo, queste donne fungono da esempio per responsabilizzare la prossima generazione di leader femminili. Nei settori di tecnologia, benessere, istruzione, moda, lifestyle, riconosciamo leader come:
Sonia Peronaci (Italia) – Fondatrice di “GialloZafferano”;
Shonda Rhimes (Stati Uniti) – Fondatrice della società di produzione televisiva americana Shondaland;
Ari Horie (Stati Uniti/Giappone) – Fondatrice e CEO Women’s Startup Lab e Women’s Startup Lab Impact Foundation;
Pat McGrath (Regno Unito) – Truccatrice e fondatrice di Pat McGrath Labs; Melissa Sariffodeen (Canada) – CEO e co-fondatrice di Canada e Ladies Learning Code;
Adriana Azuara (Messico) – Fondatrice di All4Spas; Doani Emanuela Bertain (Brasile) – Docente e Fondatrice di Sala 8; Jane Martino (Australia) – Presidente e co-fondatrice di Smiling Mind; Lan Yu (Cina) – Stilista;
Butet Manurung (Indonesia) – Fondatrice e Direttore di SOKOLA; Tijen Onaran (Germania) – CEO e fondatrice di Global Digital Women e co-fondatrice di ACI Diversity Consulting; Lena Mahfouf (Francia) – Creatrice digitale, videografa e autrice di “Always More”.
LEGO | Designer Stories
Lego continua il suo progetto “Rebuilt the world”. Per la Giornata Internazionale della Donna 2022 il brand di costruzioni celebra il fondamentale contributo delle donne nel design dei suoi prodotti.
A supporto delle potenzialità femminili delle prossime generazioni, Lego condivide le storie di designer e le difficoltà nel relativo settore dovute ai diversi pregiudizi di genere.
Ci fa notare inoltre l’enorme mancanza femminile nel campo ingegneristico. Partendo da una progettazione non stereotipata si potranno creare prodotti molto più inclusivi e che aiutino il mondo a rispondere al meglio alla necessità di equità di genere.
PREGA NEWS India | #SheCanCarryBoth
Prega News, il brand di test di gravidanza più conosciuto in India, fa di nuovo sentire la sua voce. Quest’anno la sua campagna #SheCanCarryBoth incoraggia le donne a combattere il pregiudizio della gravidanza nel mondo del lavoro. Questo è un argomento molto discusso ultimamente.
Una donna non deve sentirsi costretta a scegliere tra costruire un suo percorso lavorativo e costruire una famiglia, diventare madre. Il brand sprona dunque le donne a rompere gli stereotipi della dicotomia carriera\famiglia.
Nello spot sono rappresentate tre diverse personalità: la prima ambiziosa e dedita completamente alla carriera, un’altra è una neo mamma e l’ultima, indecisa e insicura su una possibile scelta tra i due ambiti.
Ciò che si evincerà è che l’unica scelta giusta è quella di non rinunciare alle proprie aspirazioni e assecondare ogni singola ambizione.
ADIDAS | I’mPossible
È di recente uscita la campagna Adidas per promuovere la sua vasta gamma di reggiseni. Criticata, apprezzata, discussa: sicuramente di grande effetto. Il brand ha voluto dare la sua visione di inclusività nello sport, senza vergogna, senza discriminazione.
I seni mostrati riflettono la realtà di qualunque donna per cui “Niente è impossibile”. A favore delle donne, contro il body shaming. Ogni seno ha bisogno del suo sostegno: #SupportIsEverything.
We believe women’s breasts in all shapes and sizes deserve support and comfort. Which is why our new sports bra range contains 43 styles, so everyone can find the right fit for them.
La celebrazione della donna per Adidas continua, regalandoci uno spot le cui protagoniste sono atlete e donne di successo che, nonostante le diversità oggettive, di genere e di identità, sono riuscite ad abbattere le barriere discriminatorie.
Forte il claim che trasforma la parola “Impossible” in “I’mPossible”. Lo sport unisce, costruisce una comunità basata sull’inclusione, crea l’azione “Per me è possibile” contro quella “è Impossibile”.
Giornata Internazionale della Donna 2022: VIVO India | #JoyOfEquality
È ora di smettere di dire alle donne come porsi nella società. È ora di combattere quei pregiudizi che le accompagnano. È ora di andarecontro una società preconfezionata che si aspetta che la donna rispetti ogni ruolo stereotipato.
Giocare con le bambole, tingersi i capelli, rimanere un passo dietro l’uomo: tutto questo deve essere (eventualmente) una libera scelta e non una gabbia sociale discriminatoria.
Ogni donna ha il diritto di scegliere come porsi: solo iniziando da questo possiamo parlare di equità di genere.
La creative agency di Londra ha collaborato con l’agenzia di ricerca Perspectus Global per capire come i bambini siano ancora influenzati dagli stereotipi sociali e di genere.
La ricerca ha evidenziato come i diversi ruoli vengano percepiti in modo distinto: “I dottori sono uomini, le infermiere sono donne”. Su 1000 bambini tra i 6 e gli 11 anni, il 45% ritiene che il lavoro di infermiera sia prettamente femminile, Il 60% ritiene che un elettricista sia un uomo, il 39% pensa che chi si debba occupare della casa sia la mamma e il 38% ritiene giusto che sia il papà ad andare al lavoro.
CPB ha creato così la sua campagna “Imagine” in cui, date situazioni comuni e ruoli, suggerisce a chi siano rivolte, rispecchiando il più delle volte il pregiudizio sociale.
ALEXA | Donna del Giorno
“Alexa qual è la donna del giorno?”, basterà fare questa domanda per conoscere ogni giorno, a partire dall’8 Marzo, le eccellenze femminili tutte italiane.
Alexa celebra le donne e ci racconterà di Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Bebe Vio e tantissime altre che si sono distinte nel proprio campo, dallo sport, alla letteratura, alla tecnologia.
COCA-COLA Filippine | Kababae mo’ng tao(2021)
“Kababae mo’ng tao” significa “Sei una donna” ma… ancora esiste un ma. Nello spot vediamo donne nella loro semplice quotidianità in cui però aleggia il solito pregiudizio di genere e di comportamento.
Sei una donna ma “non comportarti in modo così sconveniente, non tornare tardi la sera”, si sente ripetere nel video mentre scorrono le immagini di donne che lavorano, che inseguono i loro sogni, che si mettono in situazioni pericolose per seguire le loro passioni.
Coca-Cola è fortemente convinta che le donne abbiamo un ruolo fondamentale nella creazione di comunità ed economie proficue. Infatti, il brand ritiene che per creare un mondo più inclusivo ed abbattere le diseguaglianze, sia necessario lasciare spazio alle donne e costruire una società in cui è gli sia possibile raggiungere il successo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/01/PSD-Template-20.jpg10801920Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2022-03-08 12:29:082022-03-09 12:42:08Giornata Internazionale della Donna 2022: le campagne contro pregiudizi e stereotipi
L’innovazione chiave del lavoro è nella “ripensabilità” della leadership
I modelli di leadership cambiano verso l’adattività e lo scambio tra generazioni
Una “Age-ile Leadership” per il futuro intergenerazionale
Più di cento anni fa, i manager e i leader sapevano esattamente cosa fare: trovare persone che svolgessero il lavoro richiesto, dire loro cosa fare e accertarsi che seguissero con precisioni gli ordini.
L’approccio ingegneristico gestionale di Taylor rese scientifico questo approccio: gli ingegneri industriali mappavano i processi di lavoro efficienti e i capi si accertavano che il lavoro venisse svolto. Col passare del tempo le cose sono cambiate e i lavoratori hanno portato nuove abilità e attitudini al lavoro, con tutta la reticenza nell’accettare delle istruzioni in maniera passiva.
La famosa teoria Y di Douglas Mc Gregor rappresentava già negli anni ‘80 uno stile diverso: ascoltare, avere fiducia nei dipendenti, incoraggiare, far assumere delle responsabilità erano i mantra; ma per quanto se ne sia parlato negli anni, la versione applicata fino ad oggi è forse un ibrido, dove in molti casi si alza meno la voce e non si impartiscono degli ordini militareschi, ma non ci sono dubbi su chi è che prende le decisioni e quale sia la piramide gerarchica delle responsabilità.
C’è da dire che i manager degli ultimi trent’anni non potevano comportarsi in modo diverso, poiché si è continuato a giudicarli e a premiarli in base a indicatori di risultato (obiettivi di vendita, di costo e i budget, etc.) Ed è così che i manager, come i capi fabbrica di cento anni fa, hanno continuato a interpretare il loro ruolo di “leader” assicurandosi che gli altri facessero il loro lavoro; in molte occasioni si sono messi a lavorare senza sosta e facendo lavorare anche gli altri nello stesso modo, indicando dettagliatamente i compiti ai propri sottoposti e addirittura, facendo alcune mansioni al posto loro.
Gli stili di leadership che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare le organizzazioni odierne, esprimono sostanzialmente la capacità di dare stabilità a dei piani prestabiliti, sintetizzabile nella parola “execution”.
Le pratiche di management su cui si fonda la leadership, la cultura che ne deriva, i sistemi di misurazione e controllo e (non ultimo) il processo decisionale collegato alle responsabilità, non sono state disegnate per configurarsi negli attuali sistemi valoriali che sono invece altamente dinamici, interconnessi e complessi, ma processi che hanno come principio la massima efficienza ed efficacia, dovuto proprio all’approccio “predict and control”, che si è sviluppato con la visione tayloristica delle organizzazioni produttive, imprese-macchina.
Oggi è palese che non è più possibile mantenere questo stile di gestione.
Il business è cambiato radicalmente e più volte: alcune realtà sono crollate, mentre l’ecosistema startup è cresciuto a dismisura. Per imprevedibilità degli eventi, mutevolezza degli obiettivi, velocità dell’innovazione e della tecnologia, ma anche soprattutto per cambiamento culturale.
Come ricorda Matteo Sola nella prefazione al volume di Michael Lopp, oggi la leadership è in crisi. L’idea di un capo superuomo, che ha sempre la decisione giusta in tasca e che vede più lontano di tutti è un’illusione che tutti abbiamo compreso.
I “capi” di oggi sono sfiniti, inarrivabili, affannati e appesantiti da una mole di perdite di tempo, di gangli burocratici e politici all’interno dell’organizzazione. Le soluzioni che vengono continuamente proposte e i “modelli” di leadership sono ormai centinaia e il “Leader” deve assurgere a decine di ruoli attitudinali in contemporanea: attento ai risultati ma anche alle persone, deciso ma gentile, visionario ma situazionale, aperto ma carismatico, innovatore ma garante della tradizione culturale aziendale, e così via.
Il cambiamento epocale è stato segnato anche da alcuni effetti inevitabili che oggi si palesano ancora di più.
Come veniva espresso nel 2015 dagli studi Gallup, il 75% delle persone lasciava il lavoro per “allontanarsi dal proprio manager” a un certo punto della propria carriera. Molte persone che abbandonano il proprio lavoro continuano a farlo anche a causa di un cattivo manager.
In pratica, i dipendenti possono essere attratti dai brand (e oggi forse meno di prima) ma fuggono dai manager.
Oggi potremmo dire che con la vita “pandemica”, la causa non sia solo nella cattiva leadership. Questa è solo l’esemplificazione di quello che è un modello manageriale e organizzativo che negli anni non ha tenuto conto del benessere psico-fisico, della complessità e dell’evoluzione culturale a cui siamo arrivati.
Leadership = Management?
Un peccato originale che viene spesso compiuto in ambito aziendale è quello di utilizzare Management e Leadership come sinonimi.
Considerare la leadership come la caratteristica di chi ha il compito di guidare dei “follower” e quindi proporzionarla semplicemente alla gestione delle anime che lavorano in un team, o in un dipartimento, può essere fuorviante.
Fino a non molto tempo fa, la leadership era considerata come un ambito con competenze e caratteristiche molto distanti da quelle che contraddistinguevano il management. Principalmente a causa del tipo di funzione attribuita ai due ambiti: il management, più focalizzato sulla ricerca delle modalità operative ottimali e della corretta pianificazione per svolgere precise attività (come l’efficientamento dei processi, con orizzonti temporali definiti e guidati dal rispetto dei piani operativi); la leadership, invece, interessata a trovare il perché delle cose e con un orizzonte più ampio, alla ricerca di nuovi spazi e con una prospettiva visionaria.
Ma il vero nodo cruciale sta nel concetto di responsabilità: questa sempre di più riguarda decisioni prese in condizioni di incompletezza informativa, di incertezza e dubbio.
Quando i manager non possiedono strumenti per essere certi dell’esito delle strategie, e devono comunque decidere senza essere sicuri di poter allineare gli altri, allora in quei momenti possono dimostrare di essere anche dei leader. Si tratta di quei meccanismi di presa delle decisioni che non è il sistema (o le regole dell’organizzazione) a richiedere: perché fanno sì che il “leader” debba prenderle senza che derivino da richieste precise, e dal fatto che si deve andare oltre il confine dell’esistente, come quando si innescano i trigger dell’innovazione.
Quest’ultima, infatti, richiede l’applicazione di una leadership dalle caratteristiche più condivise e condivisibili: sfidare lo status quo, avere una visione di lungo periodo, favorire il cambiamento, saper ispirare, lavorare con le idee e le persone, e così via.
Ma come cambiano le prospettive con le situazioni, ormai consolidate, di gestione di una forza lavoro sempre più multigenerazionale?
Per la maggior parte delle loro carriere, ai Baby Boomers e alla Gen X è stato detto di fare le cose, raggiungere i risultati, indipendentemente da ciò che dovevano sacrificare a livello di processo. I leader sono stati identificati con quelli che lavorano a tarda notte e nei fine settimana a scapito del sonno, dell’esercizio fisico, del tempo personale e familiare.
Poiché questo è tutto ciò che sanno e che hanno imparato con l’esperienza, spesso si aspettano lo stesso dai loro dipendenti: il che purtroppo li fa apparire insensibili e indifferenti e contribuisce inevitabilmente alla discordia tra le generazioni.
Un primo cambiamento di mindset dovrebbe mirare ad aiutare i leader a capire che il loro approccio al lavoro non è salutare o sostenibile. A causa del modo in cui sono stati cresciuti e della pressione che hanno esercitato su sé stessi, le generazioni più anziane hanno un forte senso del dovere e credono che il loro team si aspetti che siano le prime a presentarsi “in ufficio” e le ultime ad andarsene, come un sergente o un capitano di una nave (tra l’altro oggi un numero significativamente inferiore di giovani ha esperienza o familiarità con la leva militare, il che aiuta a spiegare perché in strutture e luoghi di lavoro formali e gerarchici potrebbero non sentirsi a loro agio).
Spesso i senior manager non comprendono che per trovare l’energia per soddisfare le crescenti richieste della loro squadra, devono diventare più sensibili ai propri bisogni.
Colmare il divario tra generazioni deve iniziare con la convinzione che tutti i dipendenti, indipendentemente dall’età, hanno un bisogno innato di trovare uno scopo e un equilibrio nella loro vita.
Il ricambio generazionale come motore del cambiamento
Purtroppo, la maggior parte dei Baby Boomers e della Gen X è cresciuta con l’idea distorta che queste cose non siano importanti (i problemi di salute mentale, ad esempio, fino a poco tempo fa, e tuttora in molti contesti, sono considerati un tabù e non è opportuno parlarne) e questo impedisce loro di entrare in connessione con le nuove generazioni.
Se i leader hanno uno scopo e trovano un significato in ciò che fanno, influenzeranno l’intera squadra.
Se i leader hanno un’elevata energia che gestiscono bene attraverso l’alimentazione, il sonno e l’equilibrio tra lavoro e vita, desidereranno lo stesso anche per i loro dipendenti. Sfortunatamente, in pochi sono in grado di ammetterlo per paura che questo influisca negativamente sulla propria carriera.
Naturalmente, questo provoca danni su più fronti: i dipendenti senior, induriti da queste pratiche “tossiche”, si concentrano nel fare solo ciò che sanno fare meglio, sentendosi inadatti se vengono inseriti in nuovi ruoli, perdendo interesse e motivazioni. I giovani dipendenti, attratti dalla promessa di leader stimolanti che sosterranno il loro sviluppo, si sentono ingannati e se ne vanno.
Le nuove generazioni al lavoro oggi, non si accontentano di certo di una relazione “benefattore-beneficiario”, (“caro giovane, ti faccio un favore a farti crescere e lavorare con noi”): vogliono lavorare al fianco di leader che possano ispirarli, che siano autentici, con cui possono relazionarsi informalmente, e che possano sfruttare i loro attributi unici dati dall’esperienza per aiutarli a sbloccare il loro vero potenziale e diventare dei “leader del futuro”.
Da bambini, molti Millennial hanno ricevuto più attenzione da genitori e insegnanti rispetto alle generazioni precedenti. Inoltre, le nuove generazioni sono più istruite ma con meno esperienza lavorativa.
E può capitare che, al di là delle figure scolastiche e accademiche, non abbiamo mai avuto un “capo”. Questo influisce sulle loro aspettative relative a feedback, tutoring, supporto da parte dei leader e altre esperienze sul posto di lavoro.
Ricordiamo inoltre che, sebbene Internet e i social media abbiano avuto un impatto su tutte le generazioni, i Millennial e la Generazione Z non hanno mai conosciuto un mondo senza il riconoscimento immediato e continuo e l’infinita disponibilità di informazioni a cui ora abbiamo accesso. Questo non può che contribuire alle aspettative dei giovani dipendenti di una comunicazione e una conoscenza più continue e coerenti.
Secondo Lindsey Pollak, lo stile di leadership più efficace per ottenere i migliori risultati da tutte le generazioni è quello di essere dei coach. Gli allenatori guidano e supportano (invece di comandare e controllare) ogni persona per il suo più grande sviluppo del potenziale e per ottenere un risultato vincente condiviso.
Come suggerisce inoltre Rachele Focardi per far crescere tra le nuove generazioni in azienda nuovi leader è importante:
Non “modellarli” alle regole aziendali ma aiutarli a scoprire i loro veri potenziali.
Fare loro Empowerment e farli sentire “al sicuro”.
Offrire loro un percorso multidimensionale verso la leadership e attraverso le esperienze di più stili manageriali diversi fra loro.
Dare loro visibilità interna e consentire loro di avere un impatto: dalla partecipazione ai board meeting alle challenge interne su progetti trasversali.
In merito a quest’ultimo punto, come illustra Alessia Canfarini, sarà capitato a molti di essere stati coinvolti in compiti più grandi rispetto alla mansione principale del proprio lavoro: ad esempio partecipare a un evento aziendale riservato a un livello organizzativo più alto, far parte di una community professionale su temi di innovazione o a una task force per risolvere un problema specifico.
Sono queste le situazioni nelle quali per l’individuo è necessario determinare una responsabilità personale importante. In questi contesti, la capacità di esprimere “leadership” da parte di chi ha una minore seniority o esprime una posizione manageriale subalterna è soprattutto fondata sulla competenza e sulla capacità di portare un nuovo punto di vista nella risoluzione di un problema.
Le distanze organizzative si riducono fino ad annullarsi in queste circostanze e il contributo dato dal singolo viene valorizzato a prescindere da quelli che sono i job title e gli anni di vita aziendale.
In definitiva, l’abbinamento di successo tra manager e dipendente è un processo delicato, che richiede tempo e un’attenta considerazione. Non si tratta solo di obiettivi e competenze condivisi, ma di interessi, valori, rituali e stili di comunicazione complementari comuni.
Senza queste accortezze, l’organizzazione finisce per perdere sia le singole risorse senior che i giovani talenti ad alto potenziale. Allo stesso tempo, le esperienze critiche rafforzano la sfiducia reciproca e il velato risentimento tra le generazioni e, per finire, il brand subisce un enorme danno.
I leader di domani dovranno affrontare una serie completamente nuova di sfide e richiederanno una serie completamente nuova di skills per prosperare, in particolare in un mondo post-Covid. Sarà particolarmente importante essere in grado di identificare manager con una visione per il futuro e una forte mentalità intergenerazionale per supportarli in questo viaggio. Soprattutto perché le generazioni più anziane dovranno preparare le nuove generazioni a sfide che loro stesse non hanno mai dovuto affrontare.
Una “Age-ile Leadership” per il futuro intergenerazionale nelle organizzazioni
La realtà è che se il mondo è così VUCA, anche la formula magica del leader probabilmente non esiste.
Iniziano a vedersi casi in cui alcune organizzazioni hanno deciso di disfarsi della figura mitologica del leader, puntando su una crescita delle dinamiche di self-management, di governance distribuita, di gruppi di lavoro che funzionano anche senza un manager “preposto”.
Già qualche anno fa Frederic Laloux descriveva le “Teal organizations” come modello di integrazione che a “matrioska” non si pone in alternativa ai modelli già esistenti ma li racchiude e integra attraverso una visione sistemica e olistica fondata sui principi di self-management, pienezza e di proposito evolutivo.
Mentre le organizzazioni si trovano ad affrontare sfide sempre più complesse, la leadership può iniziare ad assumere caratteristiche più collaborative, assicurando una comunicazione aperta e fondata sulla fiducia, che renda possibile una vera innovazione umana e non solo tecnologica.
Edgar e Peter Schein invitano a una forma ripensata di leadership che richiama addirittura all’umiltà, basata su una profonda comprensione delle complessità legate alle relazioni interpersonali, e dove l’attenzione si focalizza sulle dinamiche di gruppo.
Sta poi prendendo forma nell’ultimo periodo anche la declinazione di una leadership “gentile”, caratterizzata dallo spirito di squadra, dal riconoscimento dei fallimenti, dal raggiungimento degli obiettivi senza imposizione di idee e metodi, non colpevolizzante e che sa ascoltare e gratificare.
Ed ecco che le parole chiave come fiducia, sincerità, trasparenza, pazienza, sensibilità e gentilezza sembrano essere gli ingredienti per una nuova leadership a più livelli: una vera chiave di volta per favorire la creatività, l’adattabilità, e l’agilità di cui le organizzazioni hanno bisogno per sopravvivere e crescere, accompagnata necessariamente da buone pratiche di feedback e delega, di gestione del tempo, dei meeting, dei one-to-one periodici, ma anche dello storytelling, della gamification e del networking.
Ma il cambio di passo per rendere attuative e concrete queste linee tracciate dagli studiosi di leadership risiede nella prospettiva intergenerazionale unita ai principi di adattività Agile HR. Tutte le generazioni vogliono, in fondo, la stessa cosa: essere riconosciute e vivere il proprio lavoro con crescita e benessere.
La disciplina Agile propone di gestire le organizzazioni sempre di più come organismi dotati di comportamenti circostanziati e le pratiche di leadership dovranno fare sempre più riferimento all’adattività e sempre meno a strutture gerarchiche rigidamente definite.
E un gruppo dirigente agile è una componente essenziale per un’impresa che sia davvero intergenerazionale.
I membri, infatti, che agiscono come un team di strategia agile sono dediti al bene superiore piuttosto che agli interessi dei propri silos e il loro scopo è quello di aiutare l’intera organizzazione ad avere successo, agendo in maniera inclusiva, comunicando in maniera autentica e trasparente, facendo da allenatori e costruendo cicli continui di apprendimento. La collaborazione trasversale tra expertise dei senior e nuove conoscenze dei junior rappresenterà sempre di più l’ibridazione delle competenze che richiedono le nuove dinamiche di mercato.
La transizione “age-ile” dei leader passa anche sulla riflessione in termini di creazione di valore per i propri team: aiutare le persone ad imparare facendo, a renderli autonomi e capaci di gestire l’azienda, concentrandosi sulla definizione delle priorità e sulla rimozione delle barriere che ostacolano i team.
Infine, abbracciare il fallimento come strada di apprendimento e miglioramento continuo rappresenta ormai il quotidiano per le organizzazioni che vogliono essere costantemente alla ricerca di un purpose: insegnare a fallire nello sviluppo di iniziative senza esporre a rischi troppo alti la propria organizzazione è un obiettivo che può essere seguito se si lavora sul cambiamento culturale tra la prospettiva di performance senza fragilità della visione adulta con la vulnerabilità e l’incertezza propria dell’impulso giovanile senza esperienza.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/03/leadership-intergenerazionale-copertina.jpg6441148Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2022-03-03 12:27:422022-03-04 16:57:38Come sarà leadership del futuro? Gentile e Intergenerazionale
Il posizionamento SEO come cuore della strategia digitale di un brand ad alta notorietà. Quali sono i segreti e le sfide di un SEO Specialist di un colosso delle telecomunicazioni?
Ne abbiamo parlato con Eduardo Del Gado, Specialista SEO di TIM, una delle organizzazioni protagoniste dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy.
Quali sono le funzioni e le sfide del posizionamento SEO per un brand leader di settore?
Agire sulla parte on-site del sito di una grande azienda non è un’attività che può essere facilmente gestita dall’esterno. Inoltre, per un leader di settore, la principale sfida non si riduce all’acquisizione di backlink che, al contrario, proliferano con una certa spontaneità, dato l’alto livello di notorietà del marchio e di conseguenza al lancio delle nuove offerte.
Per questo motivo diventa assolutamente determinante gestire alla perfezione quello che lo spider di Google recepisce durante la fase di scansione e sfruttare, quindi, al massimo la popularity che deriva dalla brand awareness per lo sviluppo dei posizionamenti.
Quante figure concorrono alla strategia SEO dell’azienda?
Attualmente la parte di strategia viene gestita dal SEO Specialist, che è parte del team che si occupa della performance su tutti i canali digital. Questo ci permette di portare avanti un approccio universale nell’ottimizzazione, che a mio avviso è una prerogativa fondamentale per ottenere risultati sia sul breve che sul lungo periodo.
Per quanto riguarda la parte operativa, di chi effettivamente si occupa dell’implementazione degli interventi, possiamo dire che tutti i gruppi della Tribe che gestisce il sito sono coinvolti nelle attività SEO. Inoltre, per quello che riguarda i contenuti e la strategia keyword, vengono coinvolti anche i settori di Marketing, Comunicazione e Legali.
Quali sono i fattori di posizionamento SEO e quanto è importante oggi aggiornare periodicamente la strategia?
Gli ultimi studi sui fattori di posizionamento portati avanti dai principali blog di settore hanno dovuto adottare delle tavole periodiche degli elementi per classificarli e sintetizzarli.
Si parla di oltre 200 elementi per cui si è costruito un indice di correlazione basato sugli esperimenti e le osservazioni degli esperti del settore. Le ultime risposte ufficiali di Google sull’argomento parlano di un numero infinito di fattori che variano di ricerca in ricerca.
Per mia esperienza, la prerogativa fondamentale per lo sviluppo del posizionamento organico è appunto l’aggiornamento periodico della strategia keyword. In parole povere: puntare la giusta keyword con la giusta pagina. Fermo restando che lo stesso vale per gli aspetti legati ai link esterni, quindi, il monitoraggio e la pulizia continui del profilo off-site.
Quali sono i principali ostacoli a un buon posizionamento e come eluderli?
Il principale problema che noto analizzando siti grandi e piccoli riguarda l’architettura delle informazioni e il modo in cui vengono organizzati i contenuti e la navigazione fra le diverse sezioni.
Soprattutto nel caso in cui l’aggiornamento sia frequente, risulta spesso difficile rispettare una struttura razionale e coerente nel tempo. La ricetta più efficace, a mio avviso, risiede nello studio di una strategia a lungo termine, aggiornata periodicamente, che garantisca la copertura dei diversi topic di posizionamento.
Best practice e strumenti per la ricerca keywords
Personalmente trovo determinante l’utilizzo dei dati forniti da Google sui volumi di ricerca medi mensili. La copertura di tutte le ricerche che rientrano nella stessa macro-categoria con le diverse pagine di una sezione, a mio avviso, è l’unica strada per vincere la concorrenza sulle ricerche più competitive.
Tutta questa analisi diventa ancora più efficace se si ha la possibilità di conoscere i volumi effettivi guardando i dati relativi agli annunci di Google Ads.
Oggi gli UGC possono essere preziosi alleati del posizionamento: come integrarli efficacemente?
Credo che l’integrazione di contenuti generati dagli utenti sia ormai una necessità imprescindibile, soprattutto per un sito di eCommerce. Ci sono specifiche piattaforme che sono cresciute tanto negli ultimi anni, seguendo il modello di Tripadvisor, e diventa quindi altrettanto determinante aggregare più dati possibili, per fornire recensioni efficaci ed affidabili.
Questo comporta però sicuramente l’utilizzo di ulteriori chiamate javascript che vanno ottimizzate rispetto alla timeline di caricamento della pagina. Inoltre, diventa anche importantissimo l’utilizzo di Schema.org per trasferire queste informazioni direttamente sui risultati di ricerca ed influenzarne quindi positivamente il CTR.
Quanto è utile l’auto referenziamento esterno?
Le citazioni del proprio brand sono parte fondamentale dello sviluppo del profilo off-site. In passato si lavorava nello specifico per ottenere link in corrispondenza delle citazioni. Con l’avvento degli aggiornamenti dell’algoritmo che puntavano a penalizzare i link non naturali (Penguin ed i suoi vari roll-out), a mio avviso è diventato rischioso.
Rimane però fisiologico citare il proprio brand in occasione, ad esempio, di un’intervista, quanto può apparire poco naturale inserire un link che punti al proprio sito. In determinate circostanze, però, quando risulta utile all’utente, può avere senso farlo e lo stesso Google ne è stato protagonista.
Come condurre una corretta analisi dei competitor lato SEO?
La questione fondamentale fa sempre capo alla strategia keyword, bisogna infatti selezionare le giuste keyword non-brand che abbiano significativi volumi di ricerca. In secondo luogo, occorre selezionare i fattori di posizionamento da indagare per capire come fanno i competitor a posizionarsi più in alto su determinate ricerche oppure gli elementi che ci consentono di vincere la competizione.
Infine, il risultato di quest’analisi risiede nella definizione dei giusti interventi per l’aumento del traffico e delle conversioni dai risultati organici dei motori di ricerca.
Quali competenze non possono mancare oggi a uno specialista SEO?
La pazienza. Perché è sempre difficile trovare il tempo ed il budget necessari per l’implementazione degli interventi tecnici. Inoltre, bisogna svolgere la funzione del cane da guardia per evitare che ulteriori azioni inficino i risultati raggiunti.
La perseveranza. Perché molto spesso il valore del proprio lavoro e dei risultati ottenuti si osservano sul lungo periodo.
La versatilità. Perché questa è indispensabile per confrontarsi con le varie figure che lavorano alla realizzazione delle pagine di un sito internet.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/posizionamento-seo-copertina-TIM.jpg9211641Ninja Academyhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Academy2022-02-28 15:47:322022-02-28 15:47:32TIM e la SEO che fa da "cane da guardia" ai risultati
Ci chiediamo spesso cosa i consumatori si aspettino dai brand perché vogliamo capire come andare incontro alle loro esigenze. Ci siamo mai davvero chiesti però cosa invece vogliono le aziende?
Cosa desiderano, più di tutto, i brand? Non solo essere scelti rispetto ai propri competitor, ma soprattutto essere ricordati. Potremmo dire che oggi i brand vogliono essere letteralmente amati.
Essere un Love Brand significa conquistare il cuore dei consumatori e costruire un rapporto forte e duraturo con ciascuno di essi. Sono molti i marchi che stanno trasformando le loro relazioni con i clienti e riadattando la loro strategia di marketing per ottenere questo ambito status.
Un Love Brand è quindi un marchio che attrae i clienti e li cattura emotivamente, resta nel cuore e nella testa, vi si radica e non se ne va mai. Questi marchi generano un’attrazione così forte nei consumatori che l’acquisizione dei loro prodotti avviene non solo perché sono i preferiti del momento, ma perché le persone che scelgono di affidarsi a quel servizio o acquistare quel prodotto ne sono completamente innamorati.
Perché diventare un Love Brand
In un momento storico di cambiamenti importanti come questo, in cui la dimensione emotiva gioca un ruolo sempre più importante nelle meccaniche di consumo, diventare un Love Brand si sta rivelando uno degli obiettivi primari di molte realtà.
Per rendertene conto ti basta pensare a come è cambiato il tuo rapporto con un’azienda o il modo in cui fai anche il più semplice degli acquisti. Qualche anno fa acquistavamo un prodotto perché era utile, poi perché era il migliore e oggi, invece, perché ci offre un’esperienza unica.
Cosa fa un Love Brand per distinguersi dagli altri?
Più che limitarsi a commercializzare i propri prodotti o servizi, i marchi stanno cercando di raccontare la loro storia e di farlo nel modo più originale possibile.
Affermandosi come love brand, un’azienda può conquistare potenziali clienti attraverso l’empatia e le emozioni. Sembra semplice a dirsi, ma è davvero complicato riuscirci!
Le attività che scelgono di seguire questa strada devono rispondere in modo profondo e molto mirato alle esigenze dei propri clienti. Essere un Love Brand significa anche essere irresistibili e memorabili. Bisogna comprendere l’asperità emotiva dei clienti in modo che essi non prendano in considerazione nessun’altra alternativa. E perché dovrebbero farlo? Perché sono coinvolti emotivamente dall’azienda, da ciò che vende, ma soprattutto da ciò che rappresenta.
Distinguersi dalla concorrenza
Diventare Love Brand permette prima di tutto di distinguersi dalla concorrenza ed essere più visibili nel proprio settore. Ma al di là della necessità di differenziare il proprio marchio dagli altri, in una società in cui le persone hanno bisogno di distinguersi, d’identificarsi con valori forti, l’obiettivo è diventare un vero e proprio punto di riferimento.
Fidelizzare i clienti
Come in una vera e propria storia d’amore, la relazione tra un cliente e il suo brand deve essere stuzzicante, travolgente, emozionante e, sì, paradossalmente comprendere anche a una certa routine.
Mantenere relazioni reali con i clienti richiede attenzione e sforzi che dimostrino che il brand li ascolti e, soprattutto, li conosca davvero. La fedeltà si basa anche sul prestare particolare attenzione alle loro richieste, alle loro aspettative e alle loro domande.
I Love Brand hanno quindi bisogno di conoscere i loro clienti e di personalizzare le relazioni con essi per garantirsi un successo duraturo.
L’importanza dell’Influencer Marketing
Un’altra strategia che le aziende dovrebbero tener presente è l‘importanza dell’Influencer Marketing. Gli influencer possono davvero venirci in aiuto per quanto riguarda i rapporti con i clienti.
Coinvolgendoli nella tua strategia digitale non solo stai potenzialmente ottenendo nuovi clienti o una maggiore visibilità, ma hai anche l’opportunità di aumentare un interesse spontaneo per il tuo marchio partendo da un pubblico già esistente e fidelizzato di un influencer.
La strategia di TERRITORY Influence: le persone al centro
Le campagne di influencer marketing sono quindi essenziali nel processo per diventare un Love Brand grazie alla connessione umana e al senso di comunità che un influencer può scatenare intorno alla tua azienda.
TERRITORY Influence, agenzia d’Influencer Marketing a 360° che opera sul mercato da ben 15 anni, lo sa bene. La strategia che propone alle aziende per diventare Love Brand è proprio quella di (ri)mettere le persone al centro del marketing, offrendo collaborazioni rilevanti con brand-influencer.
TERRITORY identifica il giusto mix di categorie d’influencer (nano, micro, macro e/o star) sulle sue piattaforme e le propone ai propri clienti. Inoltre mette a servizio tutte le proprie risorse: dalla consulenza alle attività operative, può gestire tutto in modo fluido e senza limitazioni di canale.
Diversi brand riconoscono il potere e la portata degli influencer e non solo dei personaggi più famosi e conosciuti dal grande pubblico.
Anche i micro influencer sono sempre più considerati nella strategia delle aziende per diventare vere e proprie Love Brand, perché sono in grado di aumentare il coinvolgimento grazie a un seguito che risulta spesso anche più coinvolto rispetto a una fanbase di un influencer già famoso.
Con mercati così saturi e una forte concorrenza tra i vari marchi, le persone sono in una posizione di potere con offerte che arrivano loro da tutte le parti. E a causa di questa abbondanza di scelta, si aspettano molto di più in termini di coinvolgimento. Quale brand sceglieresti tra 2 che offrono servizi quasi identici? Naturalmente quello che si è sforzato d’interagire con te in modo significativo e memorabile, senza dubbio!
Le persone amano i marchi che agiscono nel modo più umano e personale possibile. Vogliono un impegno emotivo, un rapporto fatto di lealtà, onestà, affidabilità, longevità e impegno.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/PSD-Template-2-2-2.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2022-02-22 12:54:262022-02-22 12:54:26Love Brand: come far innamorare le persone del tuo brand
Nel Metaverso c’è una vera e propria corsa a prendersi i propri spazi. A posizionarsi. Sembra un discorso fuori da ogni logica, visto che stiamo parlando di realtà e di spazi potenzialmente infiniti, ma questo è ciò che sta accadendo.
Succede per i terreni in vendita, per le case, per i videogames ed ora anche per due grandi brand: Nike e Adidas. La loro rivalità a livello mondiale dura ormai da decenni e ora si sta spostando nel metaverso.
Il passo decisivo per entrambi i brand è stato fatto sul finire dello scorso anno, quando hanno dato un’accelerata definitiva alla loro entrata nel metaverso. In questo caso è molto interessante capire come lo abbiano fatto. Sono state due strade diverse.
Da una parte abbiamo Adidas che ha deciso di seguire un percorso più guidato dalla comunità e collaborativo con una serie di aziende affermate nello spazio Web 3. Dall’altra parte, Nike, inizialmente ha sposato la piattaforma Roblox e il Web2 per poi cambiare rotta strategica acquisendo la nota azienda di abbigliamento digitale, RTFKT.
La scelta di Nike
La prima mossa di Nike è stata quella del lancio di Nikeland.
Un mondo virtuale persistente estremamente impressionante con esperienze, mini giochi e abbigliamento.
La prima scelta fatta non è stata di certo rivoluzionaria ma piuttosto basata sulla sicurezza di un terreno già sondato con successo da altri marchi di abbigliamento come Vans e Gucci.
Nello scorso dicembre, invece, Nike diventa il principale creatore di sneaker virtuali nel metaverso, nonché co-creatore della collezione NFT più scambiata su OpenSea (prima del lancio BAYC di Adidas). Questa seconda strada intrapresa è sicuramente più rischiosa ma mette Nike nella condizione di poter essere un’azienda all’avanguardia e di successo anche nel metaverso.
Adidas e il suo percorso “virtuale”
Mentre Nike ha dovuto bruscamente virare per cercarsi un posto più d’elitè (ed esporsi comunque a più rischi ma anche a più profitti) Adidas perseguiva su una strada precisa, delineata. Il gigante dell’abbigliamento sportivo ha inizialmente acquistato Bored Ape Yacht Club (BAYC) NFT #8774 nel settembre 2021, qualcosa che qualsiasi individuo (di certo con un patrimonio netto elevato) potrebbe fare.
Migliorando ulteriormente le sue credenziali Web3, Adidas ha acquistato un terreno nel The Sandbox per costruire AdiVerse: pensalo come un rivale decentralizzato di Nikeland.
I suddetti NFT serviranno come token di accesso per il merchandising virtuale in AdiVerse, quindi i possessori possono equipaggiare i loro avatar Sandbox con un abbigliamento unico. Secondo quanto riportato da The Verge, la risposta è arrivata nella notte italiana tra il 17 e il 18 dicembre 2021, dato che Adidas ha ufficializzato tramite un tweet.
Perché nel metaverso
“Il Metaverso è il luogo in cui chiunque può esprimere le proprie idee più originali ed il proprio sé più autentico, in qualunque forma possa assumere” – ha dichiarato il Senior Director of Digital Growth di Adidas, Tareq Nazlawy .
“Adidas è nel metaverso e vogliamo capire quale sia la cosa più innovativa da fare in questo spazio e iniziare a coinvolgere la community. Abbiamo intrapreso la nuova era dell’originalità, abbiamo detto fin dall’inizio che se vogliamo essere il brand che rappresenta e aiuta nella diffusione dei valori della Z generation, allora dobbiamo muoverci alla stessa velocità e con lo stesso dinamismo. Questo spirito si fonde perfettamente con i principi di Adidas, dove abbracciamo il limite, apriamo la porta al nuovo e agiamo con ottimismo ribelle”.
Insomma, la sfida nel metaverso è appena iniziata e c’è tutto un mondo ancora da esplorare. I numeri però ci sono già (ogni singolo NFT legato alla collezione Adidas è stato proposto a 0,2 ETH (Ethereum), che attualmente equivale a circa 692 euro) (approfondisci qui l’andamento NFT di Adidas).
Adesso non ci resta che attendere impazienti le prossime mosse. I grandi marchi dell’abbigliamento sportivo stanno investendo con fondi e con idee. Il finire del 2021 è stato pirotecnico e ha indicato la direzione. Ma siamo sicuri che in un mondo così in evoluzione, come lo è il metaverso, i cambi di strategia saranno all’ordine del giorno in questo 2022.
Non ci resta che stare sul pezzo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/Nike-e-Adidas-nel-Metaverso.jpg6461151Riccardo Angelo Colabattistahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRiccardo Angelo Colabattista2022-02-22 11:22:422022-02-22 20:04:44Nike e Adidas: la sfida si è spostata nel Metaverso
Qual è oggi l’apporto del Digital al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione non profit? Lo abbiamo chiesto a Simon Fedrigo, Head of Individual Giving Marketing e Raccolta Fondi del Comitato Italiano per l’Unicef – Fondazione Onlus.
Unicef Italia è stata una delle organizzazioni protagoniste dell’edizione 2021 della Digital Factory del Master Online in Digital Marketing di Ninja Academy. Il focus del brief, in particolare, è stato su Lead Generation & Growth Hacking. Vediamo insieme come queste attività concorrono alla doppia finalità del Comitato: raccogliere fondi per sostenere i programmi a difesa dei bambini e delle donne e promuovere quanto stabilito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.
Cosa rappresenta la lead generation per un’organizzazione non profit?
La lead generation nel profit è una delle tecniche fondamentali per avvicinare il prospect alla vendita dei prodotti.
Nella Raccolta Fondi per il non profit e in particolar modo in organizzazioni come la nostra che hanno a disposizione competenze per gestire una molteplicità di canali, una brand awareness rilevante e database consistenti, tradizionalmente si è lavorato di più ad un approccio one-step, tramite appelli diretti alla donazione.
Semplificando, la comunicazione da manuale è sempre stata la richiesta di un contributo per risolvere un problema urgente, veicolata in modo semplice e sintetico, mostrando la soluzione e un impatto misurabile.
Tuttavia, valutando l’efficienza, la logica del two-step è una strada sempre più percorribile grazie ai canali digitali. Petizioni, value exchange, quiz sono strumenti legati alla mission dell’organizzazione, tecniche che consentono di ottenere buoni cost per lead, consentendoci di avviare un percorso di comunicazione con i potenziali donatori che costruisca un percorso di approfondimento, in modo da coinvolgere gradualmente anche le persone più estranee alla causa, le più lontane da noi.
La lead generation ci aiuta a comunicare tematiche, avvicinando le persone alla mission senza chiedere subito una donazione, ma avviandole in un percorso di creazione di valore.
La lead generation è inoltre un potente strumento per raffinare le informazioni di marketing e sviluppare nuove strategie. Profilazione, selezione dei pubblici: attraverso di essa possiamo raccogliere informazioni utili a definire meglio le caratteristiche delle nostre campagne, raccogliendo pubblico qualificato da convertire in donazioni e attirando e coltivando per il futuro le giovani generazioni che, soprattutto in Italia, oggi hanno una capacità economica inferiore.
In che modo si sostanzia il concetto di lead generation in UNICEF Italia, quali sono gli strumenti a cui fate ricorso?
Come già accennato, petizioni, value echange, quiz legati alla mission dell’organizzazione e alle sue iniziative sono tutti ottimi strumenti che consentono di ottenere buoni Cost per lead (CPL) e buoni costi di trasformazione finale dei donatori.
Le petizioni in particolare ci consentono di assolvere non solo alla funzione di raccolta fondi, raccogliendo contatti da convertire in donazioni, ma anche di esporre al pubblico tematiche di interesse sociale, nazionale e internazionale.
Oltre alle petizioni, mirate alla consegna all’istituzione di un certo numero di sottoscrizioni di sostegno ad una richiesta, la nostra esperienza di lead generation si basa su campagne con value exchange e quiz. I lead raccolti attraverso queste diverse tipologie di azioni mostrano differenti livelli di engagement verso il passo finale verso la donazione.
Nel caso dei quiz, ad esempio, abbiamo la forbice più grande tra efficienza nella generazione (alta) ed efficienza nella conversione (bassa, ma dipende), nel caso delle petizioni tendenzialmente avviene il contrario.
A livello di meccaniche utilizziamo molto le Facebook e Instagram Lead Ads, abbiamo anche testato i moduli di Google e LinkedIn. Altra meccanica di lead generation che usiamo molto è l’instant call back, form presente in genere su landing page di donazione con il quale il potenziale donatore, se non convinto dal voler effettuare una donazione online, può chiedere di essere ricontattato telefonicamente per avere informazioni su come aiutarci.
Possiamo gestire questi ricontatti praticamente in tempo reale. I lead che raccogliamo, opportunamente divisi per tipologia di iniziativa e generazione, sono fondamentali per il targeting delle nostre azioni di raccolta dirette con obiettivo di acquisizione dei donatori. E ci permettono di far crescere la nostra house list per il direct mail, canale fondamentale durante le emergenze umanitarie e che riusciamo ad attivare in modo estremamente rapido 7 giorni su 7. Facciamo tantissimo testing su questo canale da molti anni e i frutti cominciano a vedersi.
Qualche esempio di campagna di lead generation riuscita?
Tra i casi di successo, una petizione che ha chiesto il rinnovo del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne, lanciata in occasione dell’8 marzo scorso e prolungata anche oltre, con la raccolta di oltre 42 mila firme presentata al Ministro delle Pari Opportunità.
Tipico esempio di una campagna di advocacy e lead generation. Abbiamo sempre lanciato campagne per l’8 marzo, ma è la prima volta che abbiamo una esplosione di risultati di questo tipo. Da un punto di vista di marketing, questo tipo di iniziative ci aiutano a coinvolgere anche personalità del mondo dello spettacolo, il magico mondo degli influencer, oltre ai nostri tradizionali testimonial e ambasciatori vip (in questo caso ci hanno fornito un aiuto davvero prezioso Serena Rossi, i Pozzolis, Stefano De Martino e Alessia Marcuzzi).
Da parte nostra c’è interesse ad amplificare la reach: noi non investiamo in influencer marketing, coinvolgiamo persone in una causa ed è importantissimo amplificare la visibilità in termini di pro bono. Nell’ultimo anno abbiamo costruito un piano intorno agli influencer, collegandoli alle campagne e cercando di trovare le persone giuste per le cause giuste, che potessero rappresentarle efficacemente.
Stiamo trovando sempre più attenzione e interesse, perché riusciamo a coltivare queste relazioni, sia attraverso l’area Social che Corporate.
Come si inserisce il Growth Hacking nella vostra strategia di marketing? E come si conciliano gli obiettivi di scaling con il codice etico di una organizzazione senza scopo di lucro?
Stiamo lavorando molto sull’approccio del Growth Hacking, non solo sul digital ma per quanto possibile su tutti i canali, è un approccio vincente. Da 4 anni a questa parte abbiamo progressivamente inserito nel team Digital marketing nuovo personale specializzato per gestire la strategia, il delivery e l’analisi dei dati delle campagne online, persone giovani, ma con già tanta esperienza e voglia di fare la differenza per come professionisti nell’ambito del no profit e per l’UNICEF.
Complessivamente abbiamo rifondato la strategia per i nostri principali prodotti di donazione: donazione regolare, donazione singola, lasciti e 5×1000, assumendo sempre più un approccio di campagna always on, avviando processi di miglioramento iterativo, testing continuo, di ottimizzazione del contenuto per i diversi pubblici. Abbiamo ancora molto da lavorare per affinare il processo e integrarlo perfettamente nel nostro planning.
Il Growth Hacking risponde come metodo non solo all’esigenza di avere risultati migliori, ma credo anche in modo specifico al principio che dobbiamo usare con estrema attenzione quella parte di fondi raccolti che possiamo reinvestire nei programmi di raccolta fondi. Ottenere efficienza ed efficacia nella raccolta fondi attraverso un giudizioso utilizzo degli investimenti e garantire uno scaling sostenibile.
Cosa significa comunicare i valori di una organizzazione internazionale come Unicef?
La struttura internazionale ha sempre fornito ai Comitati Nazionali linee guida per la comunicazione e sempre di più negli ultimi anni anche contenuti di campagna più strutturati, compresi gli specifici formati creativi.
Le linee guida sono molto precise e mirate alla costruzione di messaggi orientati a preservare la grande storia e il prestigio dell’Agenzia delle Nazioni Unite, una storia basata su credibilità, trasparenza ed efficacia: il tono di voce è positivo e determinato a creare con coraggio cambiamenti concreti per le realtà in cui opera, mirando a costruire un’immagine empatica dell’organizzazione.
L’UNICEF è un’agenzia delle Nazioni Unite e spesso al mondo ONU vengono associati connotati diametralmente opposti rispetto alla piccola organizzazione che sviluppa piccoli progetti a livello locale e che non ha una rete di partnership articolata.
Il nostro lavoro consiste nel conferire un carattere di forte umanità ad un’organizzazione che lavora a livello mondiale, che ha uno staff ampio e dislocato e che ha accumulato una grande esperienza basata sulla precisione dei processi che gestisce globalmente, come logistica, organizzazione finanziaria, delivery degli aiuti nelle situazioni più difficili, dai teatri di guerra alle emergenze umanitarie alle calamità naturali.
Noi dobbiamo tradurre questo lavoro estremamente complesso in messaggi efficaci, semplici e richieste precise, affinché possa essere comprensibile al maggior numero di persone possibile.
Com’è si inserisce l’approccio comunicativo di Unicef Italia nel solco dell’organizzazione internazionale?
Le linee guida internazionali ci lasciano una certa libertà di declinare i contenuti per meglio rispondere al nostro contesto specifico. La mission del Comitato Italiano è la raccolta fondi e la promozione dei diritti dell’infanzia e lo fa attraverso campagne internazionali ma anche campagne che esistono solo in Italia, come ad esempio la campagna per il 5×1000. Possiamo anche decidere se affidarci a contenuti creativi nazionali o a contenuti provenienti dall’head quarter se pensiamo possa funzionare meglio.
Non c’è in UNICEF dal punto di vista della raccolta fondi un approccio così fortemente top down come in altre realtà e questo è un bell’aspetto del nostro lavoro. Non siamo declinatori: possiamo essere creativi, definire la strategia. Svolgiamo periodicamente ricerche di mercato per comprendere i nostri pubblici di riferimento e declinare le nostre comunicazioni in base ai sistemi di valore e alle abitudini di consumo.
Ciò che è sempre più vero è che il nostro lavoro si concentra sul preservare il tono di voce dell’Unicef ma cercare di differenziare il modo di comunicare in base alle audience di riferimento. Rispetto al passato, siamo sempre più attenti, in particolare con il Digital, a offrire un’esperienza diversificata rispetto ai canali di raccolta fondi tradizionali, nel tentativo di attrarre anche audience più giovani rispetto ai Baby Boomer o la GenX, che sono il core della nostra base donatori.
Per ogni prodotto di donazione cerchiamo di usare uno stile adatto all’interlocutore, che sarà diverso se promuoviamo un regalo solidale per San Valentino o il programma sui lasciti testamentari. Altro stile ancora è quello durante le emergenze umanitarie, che è ancora più diretto e orientato a veicolare chiaramente il bisogno e l’urgenza.
Qual è oggi l’incidenza del Digital nella strategia Unicef Italia? E quanto ha inciso la pandemia sulla modalità delle campagne?
Fino a pochi anni fa molte campagne di raccolta fondi esistevano soltanto mediante affissioni, stampa cartacea, un po’ di TV, direct mail e un piccolo investimento nell’online; oggi molte esistono prevalentemente o esclusivamente online.
Nel giro di pochi anni per noi l’apporto del Digital è passato da poco meno del 5% al 15% in termini di raccolta fondi, con punte 20% nel 2020.
Un anno particolare, perché abbiamo dovuto stoppare alcune campagne field, per noi molto importanti e prioritarie, per esempio il face to face, i dialogatori, che per noi sono uno strumento di raccolta fondi centrale che offre un’ottima profittabilità: nel 2020 ci sono stati due mesi in cui non abbiamo proprio potuto farlo.
Abbiamo fatto degli spostamenti di budget su TV e Digital con ottimi risultati.
Nel 2020 abbiamo più che raddoppiato il risultato del Digital rispetto al 2019 e abbiamo visto che le persone volevano continuare a donare anche in una situazione di emergenza e offrendo loro più stimoli in un canale adatto a farlo la risposta è stata forte.
Abbiamo fatto una campagna per la consegna dei materiali sanitari per la risposta al Covid-19 in Italia, che è andata molto bene, dimostrando al contempo che UNICEF non aiuta solo i paesi a basso e medio reddito, ma è attenta anche ove necessario alle emergenze anche in paesi più ricchi, che normalmente non hanno bisogno dell’intervento di un’organizzazione come la nostra.
Diciamo che il 2020 è stato un outlier nel marketing mix, ma allo stesso tempo ha velocizzato come per molti altri processi già in atto di sviluppo e incremento del canale Digital, che lo confermano al centro delle strategie di crescita per il futuro.
Il Digital oggi è un protagonista del nostro marketing mix e il canale con il più grande potenziale di crescita.
Quanto conta la presenza sui Social Media nella riuscita delle campagne?
Il Social media marketing per noi è molto importante nell’ambito dei diversi canali a disposizione nel Digital marketing. Google, Facebook e Instagram fanno la parte dei leoni. Tutte le campagne pianificate hanno una componente Social paid, con rare eccezioni, come le emergenze umanitarie di medio livello e purtroppo spesso non grandissimo eco mediatico, dove in genere inviamo solo azioni di direct email ai nostri donatori e lead.
Nell’ambito social utilizziamo soprattutto Facebook e Instagram, ogni tanto anche Twitter e LinkedIn. Parliamo sempre di sponsorizzate, in quanto oggi l’organico come sappiamo ha poco impatto. Abbiamo campagne molto strutturate, che stanno facendo lavorare l’algoritmo da anni, quindi riusciamo ad avere nel tempo efficienze considerevoli.
Quello che è cambiato nel tempo è il fatto di saper dosare attese sui risultati immediati di una campagna con una logica di ottimizzazione nel lungo periodo, prendendo un prodotto di donazione, come ad esempio la donazione regolare o le informazioni sui lasciti testamentari, e far lavorare la campagna con refresh di contenuti e lavoro nel tempo sulle audience. Questo ci ha aiutato ad aumentare l’efficienza, potendo di conseguenza aumentare gradualmente gli investimenti.
Lavoriamo sui pubblici tradizionali: su custom audience, lookalike audiences (LAL) che possano essere alimentate da segmenti sempre più mirati e facciamo continuo scouting di nuove audience.
Ci sono audience collaudate che funzionano molto bene per il no profit, quelle legati ai temi sociali (solidarietà, volontariato, beneficenza, cause internazionali) e altre che usiamo solo per determinate campagne in base al collegamento tra interessi e tematiche specifiche promosse. C’è un lavoro continuo di raffinamento.
Come integrate gli strumenti online e offline?
Il Digital per noi corre a stretto contatto con altri canali, in particolare con la TV. La chiamiamo la “combo”: TV e Digital si rinforzano a vicenda, si pensi alle campagne di Direct Response Television (DRTV) o al nostro show televisivo “Prodigi”, in onda dal 2016 su Rai 1 nel mese di novembre.
Dal punto di vista marketing sono sfide che si giocano sul filo della progettazione minuziosa senza possibilità di errore: lo show televisivo in particolare dura solo circa tre ore e il Digital deve apportare tutto quello che può attraverso il second screen. Deve essere tutto perfetto, dalla journey e la gestione del traffico sul sito al fatto che le campagne di Search Ads abbiamo il budget giusto e portino nel luogo giusto per arrivare alla conversione della CTA televisiva.
Un altro canale molto collegato al Digital è il telemarketing, che serve da punto nodale di gestione di tutti i nostri processi di interazione programmata con i nostri sostenitori e di donor care, nonché da canale d’elezione per la conversione delle lead generate online.
Quali le principali sfide future di Unicef Italia nel Digital?
La sfida principale è quella tecnologica: garantire qualità e integrazione dei dati tra CRM e piattaforme di marketing automation in maniera più funzionale alle strategie digitali, la tracciabilità, le possibilità di analisi e di implementazione di modelli, la personalizzazione delle customer journey collegate alle diverse audience, l’efficientamento delle transazioni digitali e l’allargamento delle opzioni di donazione.
Recentemente abbiamo adottato, grazie ad un finanziamento internazionale, la Google Marketing Platform: una sfida molto interessante che ci consentirà ad esempio di gestire meglio le audience con Analytics 360 e rendere più agevoli i processi di testing con Optimize.
Quali consigli dareste ai giovani che si avvicinano al Digital Marketing per il terzo settore per farne una professione?
La raccolta fondi è una professione molto particolare perché acquisisce le tecniche del marketing ma come elemento fondativo ha nel suo DNA le relazioni interpersonali. È una professione basata per vocazione sulla customer/donor centricity: mettere al centro i donatori è determinante per costruire la fiducia su progetti che spesso essi non possono vedere direttamente e non sono prodotti che hanno per il consumatore un valore diretto tangibile. Ma il contributo che possiamo dare a beneficio di tutti nei grandi temi, la cultura, l’ambiente, la sanità, nel migliorare le condizioni di vita delle persone più svantaggiate, nel nostro caso i bambini, è una motivazione professionale che per noi fundraiser non ha pari.
Il fundraiser contribuisce allo sviluppo di una nuova economia basata sulla circolazione della solidarietà e l’investimento per cause diverse dal profitto. Proprio per questo, l’efficienza è un dovere morale, reinvestire al meglio parte dei fondi raccolti in ogni operazione di marketing spinge ad un approccio data-driven con una passione che va oltre ogni descrizione.
L’efficienza sta al cuore del nostro lavoro e c’è tanto bisogno di nuovi professionisti del Digital Marketing per supportare la crescita del terzo settore in un momento in cui la competizione del mercato si fa sempre più accesa. Non è semplice oggi emergere, soprattutto nelle piccole organizzazioni, gli stipendi non sono al livello del settore profit, ma di contro c’è una ricchezza nell’accumulo di esperienze emozionanti.
Si arriva forse spesso in ambienti meno strutturati, ma questo comporta che c’è più possibilità di costruire le cose e dare vita ai propri progetti, per migliorare la propria organizzazione e il ruolo del Digital nel settore. Il terzo settore è una realtà molto viva e collaborativa e ciò rende questo lavoro pieno di stimoli e potenziale per la crescita professionale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/Unicef-la-sfida-di-fare-Lead-Generation-e-Growth-Hacking-per-il-non-profit.jpg6441147Ninja Academyhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Academy2022-02-21 11:55:362022-02-22 11:23:23Unicef: la sfida di fare Lead Generation e Growth Hacking per il non profit
Dalla liberalizzazione del mercato energetico alle tecnologie orientate alla sostenibilità, con Ivan Lupelli, Chapter Unit Leader | Data Management Market Analysis & Segmentazione e Maria Vittoria Destefanis, Head of Commercial Communications Planning, esploriamo le principali sfide del Gruppo Enel e la loro declinazione nel Digital Advertising.
Enel è stata partner dell’edizione 2021 della Digital Factory di Ninja Academy e, dopo il successo della collaborazione, la ritroveremo anche nella nuova Factory.
Quali i principali canali e attività su cui si sviluppa il Digital Advertising di Enel?
(Risponde Maria Vittoria Destefanis)
I canali attraverso i quali i clienti possono entrare in contatto con noi sono molteplici, sia offline che online. Poiché ogni occasione di contatto, dal punto di vista marketing, si traduce in un’occasione di vendita (ma anche in una occasione di fidelizzazione/caring e riduzione del churn), dobbiamo fare in modo di valorizzare al meglio ogni momento di contatto, assicurando al cliente la migliore experience, che deve essere il più possibile continua e fluida. E questo è ancora più vero per tutto ciò che è digitale, dove è veramente possibile sfruttare appieno le potenzialità del mezzo per gestire il cliente in modo trasversale, affiancandolo in tutti i suoi touch point, su tutti i device e in tutti i punti del funnel, dall’awareness alla conversion al post acquisition.
Pertanto il Digital Advertising in Enel ormai è pervasivo e ha l’obiettivo di affiancare il cliente, assecondando le sue esigenze a seconda del ciclo di vita nel quale si trova e delle ricerche che svolge. Questo offrendo informazioni relative al brand e offerte nella fase di awareness e consideration (video, formati impattanti, social, drive to store, etc); sfruttando il retargeting per massimizzare le performance nella fase di decisione dell’acquisto (banner display, search) e il cross selling/ upselling/ retention nel post acquisition (dem, sms).
Tutto questo si traduce poi in una ottimizzazione, non solo nella gestione della relazione con i clienti ma anche di budget: mostrare determinati contenuti a coloro che potenzialmente ed effettivamente sono più interessati agli stessi garantisce una minore dispersione di budget e una conseguente ottimizzazione dei costi, ritorno degli investimenti ma soprattutto una maggiore soddisfazione del cliente online che trova le risposte alle sue esigenze.
Come si inseriscono i dati e come vengono utilizzati nella vostra strategia di Advertising?
(Risponde Ivan Lupelli)
Abbiamo cominciato a utilizzare i dati proprietari di Enel nel Digital Adv, i cosiddetti first-party data, a fine 2019, da quando abbiamo consolidato il nostro stack tecnologico con l’internalizzazione della Data Management Platform. Questa piattaforma ha rappresentato il vero e proprio abilitatore tecnologico per raggiungere il nostro obiettivo di avere una segmentazione digitale centralizzata e azionabile sui diversi canali (video social display e search) e supportare le attività di Digital Advertising e di personalizzazione della Customer Experience sul nostro portale eCommerce.
Questo anche per garantire coerenza tra quello che il cliente/prospect vede in termini di creatività e il messaggio lato paid media e lato owned media come sito e landing. Come primo passo, abbiamo reso disponibili in piattaforma i dati proprietari provenienti da varie fonti come CRM e Data-Lake, dati provenienti dai canali offline come i negozi fisici, chiamate customer care, preferenze di privacy sino ovviamente ai dati relativi ai comportamenti sulle nostre digital properties per creare una descrizione unica del cliente. Successivamente, abbiamo creato in DMP le varie audience usate nelle campagne digitali always-on di Enel Energia, che quotidianamente sottoponiamo a continui test & learn all’interno della Room Digital ADV & DMP.
Il dato di prima parte è stato fondamentale per raffinare le audience utilizzate per la conversion (segmentazione per remarketing su display/social e persino sulla SEA), ma anche per razionalizzare il prospecting ed evitare di “sparare i nostri messaggi nel mucchio” come si dice. Questo lavorando molto sulla ricerca sul web di audience qualitative ma senza over-segmentare: persone che cercano attivamente contratti di commodity luce/gas o fibra, informate, digitali & tech, ad alto valore potenziale e “fedeli” in prospettiva perché in sintonia con i nostri valori e con la nostra user experience. Il dato di prima parte ha ovviamente supportato le logiche di up-selling cross-selling sui nostri clienti più digitali, mitigando il rischio di esporli a messaggi non interessanti e vantaggiosi per loro.
Le piattaforme di Advertising sanno parecchio sui target, ma ne sanno molto meno di noi sui clienti del settore energia. In sostanza, il dato di prima parte ci ha permesso di ottimizzare media mix, budget spending e ovviamente performance come nessuna piattaforma o algoritmo avrebbe potuto fare in autonomia. Stiamo andando verso uno scenario post cookie di terza parte in cui il dato proprietario per i brand sarà ancor più centrale. Ci stiamo attrezzando sia dal punto di vista tecnologico che strategico all’interno della Room in modo che questa transizione sia una opportunità per fare ancora meglio rispetto a quanto fatto fino ad ora.
Enel si muove sul doppio binario B2C e B2B: quali i principali elementi di differenziazione del messaggio pubblicitario?
(Risponde Ivan Lupelli)
Per il segmento consumer il web è altamente competitivo, una vetrina utilizzata dai trader per spingere le loro offerte di punta con focus su prezzo aggressivo e proposition a sconto. All’interno di questo contesto la nostra strategia B2C sul web è quella di comunicare la facilità della convenienza dell’offerta del nostro prodotto flessibile spinto anche in campagna ATL: una proposition che parla di sconto differenziato in base al mercato di provenienza, con particolare attenzione ai clienti ancora serviti in Maggior Tutela. A questo affianchiamo poi i nostri prodotti innovativi, che sfruttano le potenzialità dei nuovi Smart Meters e si rivolgono alla clientela più esigente e smart, proponendo soluzioni altamente differenzianti: ad esempio con la possibilità di scegliere ogni giorno 3 ore di componente energia gratuita.
Sul web, per il segmento Business, vogliamo essere delle calamite che attraggono con contenuti personalizzati e sorprendenti gli imprenditori e le aziende con bisogni più digitali. Alle piccole e medie imprese comunichiamo in modo semplice e trasparente un abbonamento mensile che permette al cliente di pagare l’energia come la paga Enel. Sul business la parola d’ordine è essere “open” e quindi “aprire” nuove possibilità, nuove modalità per accedere all’energia. Abbiamo voluto veramente centrare realmente e non sulla carta il famoso obiettivo di “mostrare sul web il messaggio giusto al pubblico giusto al momento giusto“ aggiungendo anche “rispettando il cliente/prospect” e “raggiungere i nostri obiettivi di business”. Questo è stato possibile lavorando su dati e piattaforme in maniera sinergica con le Tribe Consumer e Business del Marketing guidate da Alessio Pasqui e Luca Rainero.
Il green rappresenta oggi un focus centrale nella promozione del brand: quanto fa la differenza?
(Risponde Maria Vittoria Destefanis)
La sostenibilità, oggi, per le aziende, è sicuramente una conditio sine qua non fondamentale per restare nel mercato. La crisi sanitaria ha accelerato un processo di cambiamento già in atto, modificando ulteriormente l’attenzione e la sensibilità delle persone verso i temi ambientali e sociali. Oggi i consumatori sono sempre più disposti ad acquistare prodotti e servizi, anche a un prezzo leggermente più alto, da quelle aziende impegnate nella sostenibilità. Ma si aspettano che queste utilizzino processi a basso impatto ambientale e che lavorino con il sistema sociale complessivo per uno sviluppo sostenibile. Promuovere il green non è più un elemento differenziante della proposta commerciale di un brand come poteva essere qualche anno fa.
Oggi più che mai, la comunicazione legata alla sostenibilità, e non solo nel settore delle utilities, è un’area sovraffollata. Per essere efficaci e fare in modo che la sostenibilità possa essere comunicata in modo coerente e credibile occorre prima di tutto che questa sia radicata, abbracciata e adottata nei comportamenti aziendali. Ecco perché la sostenibilità è un fattore chiave non solo del nostro posizionamento commerciale ma, in senso più ampio, del nostro Purpose di gruppo: Open Power for a brighter future. We empower sustainable progress.
Il nostro piano è Purpose driven: guidato da uno scopo, che è quello di abilitare un progresso sostenibile. Tutto questo rafforza la percezione dei consumatori rispetto al brand. Non a caso, secondo il Ranking BrandZ di Kantar, che considera la sostenibilità come uno dei driver centrali per la valutazione, Enel si classifica al secondo posto tra i brand italiani di maggior valore e primo tra le utilities.
Quali aspetti del mondo Energia sono più difficili da comunicare e riscontrano maggiori criticità nella ricezione?
(Risponde Maria Vittoria Destefanis)
Il settore nel quale operiamo è molto complesso e fortemente regolamentato. Ciò implica che le nostre comunicazioni non possano mai prescindere dal prevedere sempre anche una parte informativa ed educativa (oltre che adeguata e compliant con la normativa in vigore), questo anche per andare incontro ai nostri valori di vicinanza e trasparenza verso i clienti. Cosa che però spesso contrasta con il desiderata di avere messaggi corti e immediati che siano allo stesso tempo esplicativi e commercialmente accattivanti. La stessa distinzione tra operatori del mercato libero e del servizio di maggiore tutela non sempre è chiara ai consumatori, come anche le voci che compongono la fattura o determinati processi di acquisizione o di switch.Per questo motivo, abbiamo creato una serie di tool finalizzati proprio a rispondere alle domande più frequenti dei consumatori.
Oltre alla classica sezione delle FAQ nel nostro sito, abbiamo ideato “lo Spazio delle risposte”: uno spazio virtuale che risponde a tutte le domande più frequenti sul mondo dell’energia. Nasce attraverso un’analisi SEO dettagliata (più ricerche di mercato) riguardante tutte le tematiche più cercate sui motori di ricerca su: bolletta, mercato libero e servizio di maggior tutela, contratto, servizi Vas (a valore aggiunto) e offerte.
Anche sui nostri canali social abbiamo uno stream dedicato, “Help”, che comprende diverse rubriche e che funge da aiuto ai clienti su diverse tematiche: abbiamo ad esempio le energy word, una sorta di glossario dell’energia (cosa è il POD/PDR, cosa significa kWh, il PUN etc), le green word, a tema sostenibilità, etc. Quest’anno abbiamo un obiettivo in più: cominciare a veicolare il servizio di Enel non più come commodity ma come fattore abilitante alla transizione sostenibile, come guida del cambiamento.
L’estate scorsa avete lanciato una grande campagna online e offline sulla ripartenza con Saatchi e Saatchi. Che cambiamenti ha portato l’emergenza Covid nella vostra strategia di Advertising e che risposta avete avuto?
(Risponde Maria Vittoria Destefanis)
Da quando è iniziato il periodo dalla pandemia, abbiamo deciso da subito di non bloccare le nostre comunicazioni. Anzi, abbiamo affrontato le diverse fasi, del lockdown prima e della ripartenza poi, con comunicazioni mirate e in linea con il periodo che si stava vivendo. Nel periodo più difficile, abbiamo affrontato una fase di comunicazione in “emergenza”. Era stata istituita una task force, che ha lavorato per mettere in evidenza e comunicare tutte le iniziative concrete che come azienda avevamo messo a disposizione dei clienti. E in TV siamo andati on air ad aprile, durante il picco della crisi, con una campagna che aveva l’obiettivo principale di trasmettere la solidarietà e la vicinanza dell’azienda al paese.
Durante l’estate, abbiamo poi fronteggiato la fase di restart, spostando la comunicazione su temi di positività che i clienti manifestavano e ricercavano, con contenuti focalizzati sulla ripartenza, rilevanti e che proponevano vantaggi concreti. La campagna sulla ripartenza aveva dunque un duplice obiettivo: rendere concreto il supporto dell’azienda con un’offerta che potesse contribuire alla ripartenza del Paese (volutamente indirizzata sia al Consumer che allo Small Business), mettendo a disposizione tre mesi di componente energetica gratuita ed evidenziare come questo supporto avesse anche un valore sostenibile: a livello ambientale ma soprattutto sociale.
La campagna, pur lavorando in coerenza con il posizionamento dell’azienda, voleva raccontare di una nuova energia. Per questo motivo aveva un tono di voce tutto in positivo, senza fare riferimento alle difficoltà vissute. Ci si è focalizzati sul momento in cui tutti ricominciavano a fare quello che facevano sempre, raccontando i piccoli gesti cui eravamo abituati, sia dal punto di vista della “famiglia” che delle imprese. In generale l’emergenza Covid ha determinato una attenzione e un supporto crescente verso il territorio. Abbiamo circa 1.200 negozi su tutto il territorio nazionale e i nostri imprenditori sono quelli che più di tutti hanno sofferto delle restrizioni dettate dall’emergenza. Per questo motivo, nella strategia di Advertising (offline e online) di quest’anno, tutte le campagne che metteremo in piedi quest’anno avranno una declinazione locale.
Quali i principali obiettivi di Digital Advertising per il futuro prossimo e quali canali e attività intendete implementare?
(Risponde Ivan Lupelli)
Come obiettivi abbiamo dei target molto sfidanti in termini di adesioni e cpa sia sul segmento consumer che sul business. Per quanto riguarda canali e attività, il nostro mantra è mantenere un media mix efficientee performante che ci permetta di raggiungere audience che “risuonino con il nostro brand”. Continueremo sicuramente a sperimentare in maniera continua con approccio few-in few-out riguardo a canali e piattaforme per le campagne always-on, ma non vogliamo neanche provare tutto per la paura di perdere opportunità o perché “ci dobbiamo essere” con il rischio di frammentare messaggi e budget senza impatto significativo sulle performance.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/ENEL-DIGITALIZZAZIONE.jpg7721371Ninja Academyhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Academy2022-02-16 12:08:182022-02-16 12:08:18Enel: “La nostra sfida? Abilitare un progresso sostenibile con il digitale”
Illimity, il gruppo bancario ad alto tasso tecnologico fondato e guidato da Corrado Passera, ha presentato pochi giorni fa una nuova realtà ideata per un innovativo ecosistema di servizi finanziari dedicati alle PMI che hanno un fatturato compreso tra i 2 e i 10 milioni di euro.
Stiamo parlando di B-ilty, una piattaforma bancaria di servizi finanziari e di credito, costruita sulla base dei suggerimenti di centinaia d’imprenditori e pensata proprio per agevolare la quotidianità di questi professionisti. Una piattaforma di ultima generazione, completamente digitale.
Che cos’è B-ilty
B-ilty è una banca che nasce con l’obiettivo di semplificare la vita agli imprenditori grazie a una piattaforma di ultima generazione che unisce competenze specialistiche e tecnologia all’avanguardia. Offre ai clienti tutti quei prodotti e i servizi di una banca completa, con l’immediatezza che solo una user experience evoluta può garantire.
Raccoglie in un unico ecosistema l’operatività bancaria, integrando gli strumenti per supportare la crescita dei clienti con soluzioni che si adeguano alle esigenze della singola azienda e dei singoli settori dell’economia di riferimento.
I servizi offerti da B-ilty: una banca su abbonamento
La particolarità di B-ilty è la sua speciale formula ad abbonamento per accedere alla piattaforma e a tutti i servizi bancari che sono disponibili in modo illimitato.
L’offerta comprende tutte le più diffuse transazioni bancarie, carte di credito e debito, credito a breve termine, factoring per finanziare il capitale circolante, credito a medio-lungo termine per finanziare gli investimenti, coperture assicurative per tutelare l’imprenditore e l’impresa e molti altri prodotti e servizi forniti direttamente dal Gruppo Illimity o da partner qualificati.
L’abbonamento costa 40 euro al mese con formula try and buy per i primi 3 mesi. In questo modo le PMI interessate potranno provare con calma tutti i servizi e, nel caso, procedere ad abbonarsi successivamente.
Un servizio digitale ma allo stesso tempo fatto da persone
B-ilty è una banca digitale di semplice utilizzo proprio per consentire all’imprenditore, al CFO, e al commercialista, di gestire le finanze dell’azienda quando vuole. Può farlo dal proprio ufficio, senza carta o bisogno di recarsi in filiale, ma soprattutto senza dipendere dagli orari altrui.
Questo però non significa che sia priva del lato umano, tutt’altro. Allo stesso tempo è fatta anche di persone. Ogni cliente avrà a disposizione un Relationship Manager. Ogni azienda infatti avrà uno o 2 responsabili dedicati, in modo da garantire sempre la disponibilità. Inoltre il call center di B-ilty è operativo 24/7.
Dinamicità continua e credito veloce
B-ilty fornisce sia credito a breve che a medio-lungo termine. Gli imprenditori vogliono risposte immediate e chiare, e ogni settore è diverso dall’altro. Ecco perché con un approccio fortemente basato sui dati e le competenze industriali della divisione Growth Credit di Illimity, B-ilty propone un’offerta di credito costruita su una valutazione delle diverse imprese e dei settori specifici in cui operano.
È infatti in grado di analizzare rapidamente decine d’indicatori che si adegueranno progressivamente alle caratteristiche di ogni singolo settore economico e saranno poi condivisi con gli stessi clienti.
Tutti i conti in un unico punto
Grazie alle funzionalità della PSD2 sulla piattaforma B-ilty possono essere visualizzati il saldo e i movimenti di tutti i conti correnti posseduti di un’azienda anche presso altri intermediari. Inoltre, sempre dalla stessa piattaforma, si possono effettuare anche le operazioni su tutti gli altri conti.
Maggiore collaborazione tra le persone
B-ilty metterà a disposizione dei propri clienti tutte le informazioni che possiede sugli andamenti finanziari sia di ciascuna azienda che del settore di appartenenza. Sarà il capo dell’impresa a decidere quali informazioni condividere e con chi.La piattaforma semplifica la collaborazione sia all’interno dell’azienda sia con il proprio commercialista e altri professionisti esterni.
Una realtà fatta apposta per le PMI
B-ilty è una vera e propria rivoluzione nel mondo dei servizi finanziari. È una realtà che nasce e vuole rimanere digitale, quindi di facile accesso e sempre disponibile per i propri clienti. Non importa che ora sia o che giorno della settimana, l’obiettivo di B-ilty è d’impegnarsi ad ascoltare le necessità e i desideri delle PMI, sempre.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/Illimity-bank-copertina.jpg535956Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2022-02-16 10:52:022022-02-17 11:32:09Ecco B-ilty: nasce la banca di Illimity per le PMI
Quando tutti gli occhi sono puntati sul campionato di football americano più importante, i brand sono pronti ad investire cifre astronomiche pur di comparire con i loro spot durante il Super Bowl 2022.
Nella 56esima edizione della finale NFL, la sfida tra i Cincinnati Bengals e i Los Angeles Rams, ha tenuto attaccati allo schermo più di 100 milioni di spettatori. Un ghiotto bottino per le aziende che attendono altissime prospettive di visibilità e di vendite. Un prezzo caro da pagare però, letteralmente. Infatti, 30 secondi di passaggio sono costati circa 6,5 milioni di dollari, un milione in più rispetto al 2021.
Negli spot del Super Bowl 2022 sono comparse celebrità come Seth Rogan, Scarlett Johansson, Salma Hayek, Kevin Hart, Demi Moore, Snoop Dogg, Schwarzenegger e molti altri. Abbiamo sentito la l’assenza di grandi brand, come Coca-Cola ma sorriso ai nuovi Meta-addicted.
Pepsi Halftime Show | The Call
Lo spettacolare e luminosissimo Halftime Show del SoFi Stadium è stato aperto da Pepsi con i big della scena Hip Hop: Snoop Dogg, Eminem, Mary J. Blige, Dr Dre e Kendrick Lamar.
Il video diretto dal regista F. Gary Gray vede il riunirsi dei rapper accompagnati dalle loro canzoni più conosciute L’incontro è sottolineato dalla pezzo California Love, del grande e rimpianto 2Pac insieme a Dr. Dre.
Amazon Alexa |Mind Reader
Alexa è talmente smart da anticipare e programmare la domotica di casa. Conosce le nostre abitudini tanto da sembrare che legga nella nostra mente. È una cosa fantastica! O forse no?
Frito Lay’s |Golden Memories
I due (famosi) amici ripercorrono diversi ricordi insieme. E le patatine sono di compagnia e sostegno, in ogni occasione.
BIC EZ Reach Lighter | Smoke Turkeys
“Non sapevo ti piacesse” dice Snoop Dogg ammiccando a Martha Steward avvolta da una nuvola di fumo. “Cosa, affumicare il tacchino?” risponde la conduttrice di rubriche di cucina. Tutto il dialogoa doppio senso si svolge attorno all’utilità dell’accendino a collo lungo che evita di bruciarsi le dita. Perfetto per candele, grill e molte altre cose, che per chi conosce il rapper sa a cosa alluda…
Doritos & Cheetos Flamin’Hot | Push It
Qual è il verso che facciamo quando assaggiamo qualcosa di terribilmente piccante? A quanto pare è lo stesso che fanno questi protagonisti dopo aver assaggiato queste Doritos piccanti. E si scatenano. Premio al cervo che fa il Moonwalk e all’orso che twerka.
Budweiser |A Clydesdale’s Journey
Chi ricorda la storia di amicizia tra un cagnolino ed il cavallo del ranch? Era lo spot di Budweiser del Super Bowl 2014, Clydesdale-Puppy Love. Ecco, per il Super Bowl 2022 i due amici sono cresciuti e continuano a vivere in simbiosi, mostrando forza, emozione e sensibilità.
BMW USA | Zeus & Hera
Zeus Schwarzy è letteralmente scarico di energia: questo mondo terreno lo ha prosciugato. Ci pensa sua moglie Era a fargli fare ritrovare la scintilla giusta.
Uber Eats | Uber Don’t Eats
Simpatico spot del Super Bowl 2022 in cui vediamo i clienti del food delivery addentare cose decisamente poco affini con il nostro palato. Ad esempio, Gwinnet Paltrow addenta la candela al suo (discutibile) gusto intimo, Non tutto ciò che viene consegnato da Uber si può mangiare: i protagonisti manifestano così il loro disappunto verso un food delivery a cui si sono sempre affidati. “L’avvelenamento” di Uber è solo una mossa efficace per far conoscere il suo nuovo servizio di delivery di beni di altro genere.
Meta Quest 2 | Old Friend New Fun
Anche se i luoghi fisici scomparissero, ci sarà sempre modo di interagire con i vecchi amici in un altro ambiente.
Quello ibrido del Metaverso. Così questa animatronic band degli anni ’80 si ritrova oggi su Horizon Worlds per nuovi, virtuali esperienze. Incontrarsi in un “mondo immersivo e incorporato che consenta esperienze sociali digitali migliori di qualsiasi cosa esista oggi”, parola di Zuckerberg.
Cosa c’è di più grande dell’amore di un cane per il suo padrone? Quello di un robot che insegue il sogno di libertà. Elettrica.
Miller Lite | Meta Lite Bar
Il brand di birra apre il suo primo bar nel Metaverso, nello spazio digitale di Decentraland. Il Meta Lite Bar è l’unico luogo dove durante la finale del Super Bowl 2022 è stato possibile vedere lo spot Miller Lite. I visitatori della meta-taverna, aperta fino al 13 febbraio, hanno potuto interagire con l’ambiente ed i giochi presenti. Giocare a freccette, scattare un meta-selfie, scegliere la musica dal jukebox e vincere premi in denaro, vero.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2022/02/Super-bowl-2022.jpg538959Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2022-02-14 09:50:132022-02-22 11:30:55Gli Spot più belli visti durante il Super Bowl 2022
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