Un eCommerce che voglia cavalcare l’ondata di piena degli acquisti online non può prescindere dal creare esperienze di acquisto su misura.
Una ricerca di Global Index rivela le aspettative più comuni degli online shopper e le strategie più efficaci per fidelizzare i clienti.
Ancor prima che arrivasse la crisi sanitaria del Covid-19, il panorama dello shopping online era già un luogo molto affollato e competitivo.
Il lockdown ha reso ancora più saturo il mondo eCommerce. Un dato particolarmente interessante ci viene in soccorso: in ben 17 mercati, il 36% dei potenziali clienti abituati a fare acquisti in luoghi fisici hanno spostato il loro interesse negli acquisti online.
La causa di questa saturazione è dovuta in grossa parte alla necessità di chiusura dei negozi fisici e alla conseguente fioritura spasmodica di eCommerce di categorie merceologiche un tempo lontane dal mondo digitale.
In alcuni casi, tuttavia, questa necessità sbatte con una poco valutata presenza online e una capacità di attrazione lontana dalle aspettative dei consumatori.
I consumatori sono molto meno disposti ad accettare un approccio generale all’acquisto, e a tutto ciò che lo anticipa. Pertanto, i marchi che si sforzano di offrire un’esperienza di acquisto online più personale sono i più attrezzati per resistere alla concorrenza.
Qui approfondiamo il motivo.
L’attuale panorama dello shopping online
È troppo presto per esprimere un giudizio analitico su cosa accadrà nel mondo e nella mente dei consumatori una volta superato questo momento di crisi globale ma possiamo certamente analizzare l’attuale panorama dello shopping online.
All’apice della gerarchia dei gruppi che acquista maggiormente ci sono sempre loro: i Millennial. Dall’inizio della pandemia la crescita degli acquisti è salita del 50% circa, le categorie merceologiche di riferimento sono pressoché tutte.
Dovendo analizzare l’andamento per genere troviamo che gli uomini concentrano i loro acquisti in alcol ed elettrodomestici, mentre le donne sono in vantaggio per i prodotti di bellezza e cosmetici. Ma qual è la motivazione che li spinge a scegliere questo o quel negozio online?
Perché la personalizzazione è un vantaggio per qualsiasi rivenditore
La personalizzazione è la risposta. Nell’ambito eCommerce consiste nel sfruttare il potere dei dati dei consumatori per fornire percorsi su misura agli acquirenti online. L’obiettivo finale è fornire un’esperienza che piaccia agli individui in base alle loro esigenze, priorità e preferenze. In altre parole, incentivare i clienti presentando un’offerta che non si può rifiutare.
Pertanto, la personalizzazione è fondamentale per attrarre, acquisire e incoraggiare i clienti ad effettuare un acquisto.
Un ricerca di global web index sugli utenti degli shop online sostiene che:
Il 16% scopre i marchi tramite raccomandazioni di acquisto personalizzate sui siti Web.
Il 50% tende a optare per premi fedeltà dei marchi.
Il 24% sarebbe più motivato a promuovere un marchio online quando i prodotti/servizi è rilevante per i propri interessi.
La segmentazione del cliente è la porta di accesso alla personalizzazione
I consumatori trascorrono circa 6 ore al giorno online, distribuiti equamente tra cellulari e PC. Mentre sono online, i consumatori passano in media 2 ore e mezza al giorno sui canali social.
Sebbene l’opportunità di raggiungere un pubblico diverso stia crescendo, specialmente online, non c’è dubbio che i consumatori stanno diventando sempre più esperti ed esigenti.
Il loro rifiuto della pubblicità globale non è nuovo ma è pur vero che si aspettano:
Più contenuti su misura.
Customer journey senza soluzione di continuità.
Una relazione uno a uno con i marchi.
Fortunatamente il marketing personalizzato può aiutare i rivenditori a superare queste sfide.
Ogni segmento di consumatore (o “gruppo”) garantisce il proprio approccio personalizzato, determinato dai gusti, dai bisogni e dalle motivazioni di coloro che vi si trovano al suo interno.
In pratica, ciò significa fornire un’esperienza di acquisto eCommerce end-to-end su misura in ogni punto di contatto.
Sottoponendosi alla segmentazione, i marchi possono scoprire nuove opportunità per rafforzare il loro rapporto con i consumatori.
Ma non basta, poiché sebbene sia semplice da definire, è quasi impossibile cambiare o influenzare i comportamenti attraverso la pubblicità basata solo sulla segmentazione demografica. I consumatori sono semplicemente molto più complessi della loro età, reddito o posizione.
È possibile cambiare o influenzare i comportamenti attraverso la pubblicità basata sulla segmentazione comportamentale, ma solo fino a un certo punto. Piuttosto che osservare semplicemente le loro azioni, gli esperti di eCommerce devono sapere perché i consumatori fanno le cose, poiché questa è la chiave per raggiungerli a livello emotivo. Come? In questo caso, la segmentazione attitudinale aiuterà i marketer a scoprire in dettaglio ciò che i clienti apprezzano di più in un’esperienza di shopping online.
I rivenditori online devono adattarsi al proprio pubblico
Nonostante l’aumento della concorrenza e un mercato eccessivamente saturo, il profitto nelle vendite online si ottiene solo attraverso una corretta personalizzazione.
La segmentazione attitudinale consente di attingere alle cose che interessano ai clienti e di amplificare questi fattori attraverso la funzionalità del sito Web.
Ma la personalizzazione non si limita nello sfruttamento della conoscenza dei potenziali clienti ma a mostrare come ci si adatta e si cambia con loro.
Gli atteggiamenti e le motivazioni dei consumatori sono influenzati da una varietà di fattori, il che significa che i loro tratti non sono mai fissati. I segmenti target e i mercati in cui vivono cambiano costantemente, quindi vale la pena stare in allerta.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/shopping-online-3.jpg590865Federico Gambinahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederico Gambina2020-07-02 12:01:222020-07-06 21:14:49La personalizzazione è la chiave dello shopping online (e le persone non vogliono più farne a meno)
Cosa sono le mappe mentali? Uno strumento intelligente e creativo per raggiungere i propri obiettivi.
Quali sono i progetti che possono essere semplificati tramite l’utilizzo delle mappe mentali.
Dopo un periodo di stasi come quello che abbiamo vissuto, riprendere i progetti sospesi sembra la cosa più difficile da fare. Cala la notte, e come ogni sera, ci rigiriamo nel letto in preda a un vortice di pensieri. Riusciremo davvero a raggiungere tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati a inizio anno? Certo è che questi mesi non ci hanno aiutato per niente, e nell’aria si respira ancora un certo timore, più che altro paura di ripartire, con il dubbio che una possibile, nuova paralisi sia dietro l’angolo. Perché, in fondo, chi poteva prevedere tutto ciò?
Ma stare fermi ad aspettare che il prossimo ostacolo piombi improvvisamente sul nostro cammino non ci aiuterà, e quando ci dicono che è tutta questione di punti di vista, lo è davvero.
Forse non siamo ancora realmente pronti a camminare, ma è passo dopo passo che si costruiscono le cose, dopo una caduta ci si rialza, dopo il temporale arriva l’arcobaleno, e dopo una pausa si ricomincia a vivere, anche se adesso abbiamo più l’impressione di sopravvivere.Una lunga ripresa ci aspetta, ma come possiamo raggiungere i nostri obiettivi e avviare nuovi progetti?
La maggior parte dei progetti inizia con lo stabilire un obiettivo, che sia creare un nuovo sito web, scrivere un libro o pianificare una vacanza. Gli obiettivi non sono difficili da definire, ma il bello viene quando non riusciamo a capire come raggiungerli.
Un’idea per semplificare i processi necessari per arrivare al nostro scopo è quella di utilizzare le mappe mentali. Per quale motivo?
Facilitano la suddivisione dei passaggi da fare riducendoli in attività realizzabili. Accendono la creatività, aiutano a generare e a catturare idee e ci consentono di valutare più opzioni in modo da poter prendere le decisioni migliori.
Sono uno strumento prezioso per la pianificazione di un progetto. Promuovono un libero flusso d’idee, un po’ come avviene durante un brainstorming. Si parte da un concetto centrale, che riguarda l’obiettivo da raggiungere e mano mano si creano delle associazioni di concetti che, a primo impatto, sembrano totalmente scollegati con il nostro piano finale. Si lascia vagare la mente dove vuole e lungo la strada, si raccolgono nuove intuizioni in un diagramma: quello schema è la mappa mentale, una rappresentazione grafica del nostro libero pensiero.
Le mappe mentali hanno una struttura gerarchica e associativa. Gerarchica perché si serve di rami per collegare ciascuno elemento all’altro. Associativa perché opera tramite associazioni di concetti. Furono inventate per caso, come accade quasi sempre per le cose più geniali, dallo psicologo cognitivista Tony Buzan.
Come funzionano le mappe mentali
La creazione di una mappa mentale in sostanza è piuttosto semplice. Si comincia con un cerchio in cui inserire l’argomento centrale, e da lì partono tutte le associazioni delle più svariate idee che ci vengono in mente. Includeremo argomenti secondari, i rami e tutte le connessioni di cui abbiamo bisogno. Possiamo rappresentarla su un foglio con penne e pastelli di diversi colori, su una lavagna o tramite degli appositi software disponibili, sia gratuiti che a pagamento.
Questi programmi ci consentono di trascinare e rilasciare bolle e sezioni su diverse aree della mappa o su altri argomenti, facilitando il collegamento dei diversi concetti in qualsiasi momento. Ci permettono di allegare file e collegarci a diverse fonti. Inoltre possiamo invitare anche altre persone a parteciparne alla creazione e a collaborare con noi. Possiamo commentare il progetto e comunicare con tutti i partecipanti tramite chat.
Ovviamente, una volta terminato, possiamo condividere il tutto esportandolo come immagine, PDF o presentazione.
Credits: Zapier
Quali progetti realizzare con le mappe mentali
Quasi tutti i progetti, sia personali che professionali, beneficiano della mappatura mentale nelle loro fasi iniziali, soprattutto quando si ha un obiettivo ma non un piano per raggiungerlo, o quando dobbiamo collaborare e raccogliere idee da tante persone.
Lavorare in team
Se dobbiamo portar avanti un progetto con il nostro team, la stesura di una mappa mentale potrà esserci davvero utile. Partiamo da un’idea centrale ossia il nostro obiettivo, un problema, l’argomento o il nome del progetto e collochiamolo al centro della mappa.
Confrontiamoci con il nostro gruppo di lavoro, chiedendo ai nostri collaboratori le loro impressioni. Annotiamo tutto ciò che viene detto, è un momento di ricerca, di raccolta, in seguito ci sarà la fase di revisione. Scriviamo e colleghiamo tutto, tramite dei rami, al concetto principale.
In corso d’opera le cose possono cambiare, possono accadere eventi, importanti revisioni di cui tener conto. Siamo flessibili. Dopo aver terminato la sessione di mappatura mentale, ci sono diversi modi per valutare e utilizzare le idee raccolte, anche attraverso discussioni con commenti, allegati e link di riferimento. Infine possiamo pubblicare la nostra mappa mentale come immagine o presentazione per condividerla e mostrarla a tutti, sia al team che ai clienti.
Ma quali sono effettivamente i progetti che possiamo semplificare attraverso una mappa mentale? Diamo un’occhiata da vicino.
1. Definizione dei requisiti del progetto
Perfetto per designer UX, analisti e team di sviluppo
Definito l’obiettivo, che sia sviluppare un’app o perfezionare la user experience per ridurre i tassi di abbandono di un sito, con le mappe mentali cercheremo di capire come raggiungerlo.
Ogni componente del team ha delle soluzioni e attraverso la mappa le metteremo insieme dando a tutti una voce nella direzione del progetto.
Questo brainstorming visivo, ci consentirà di avere davanti elementi che magari non avremmo mai preso in considerazione, sollevando dubbi e domande sin dall’inizio, permettendo di focalizzare e risolvere piccoli ostacoli prima che possano diventar insormontabili.
2. Creazione di una tabella di marcia del prodotto
Perfetto per i product manager.
La mappa è uno strumento molto utile anche per creare una roadmapping, una tabella di marcia, per prodotti di alto livello. I responsabili di prodotto possono essere incaricati della creazione di tabelle di marcia dei prodotti, ma non solo loro.
Le parti interessate, i rappresentanti del servizio clienti, i rappresentanti di vendita e i clienti hanno anche un prezioso contributo su quale direzione dovrebbe prendere un prodotto in futuro.
La mappa mentale collaborativa consente di raccogliere input da più gruppi e di considerare tutto quando si crea una nuova tabella di marcia, rendendo a tutti chiara la strategia da adottare.
3. Sviluppo e perfezionamento di una strategia di marketing
Perfetto per responsabili del content marketing e altri team di marketing
Un’altra funzione essenziale delle mappe è quella di aiutare i team di marketing a valutare meglio le strategie e le tattiche da scegliere in un progetto.
La creazione di una mappa mentale che considera tutte le opzioni rende meno complessa la messa a punto di una strategia, e avere a portata di mano tutte le idee insieme rende più facile selezionare la migliore.
La mappatura mentale consente di raccogliere le idee di tutti per le principali strategie, i canali da indirizzare e le tattiche specifiche da provare.
Inoltre è utile per raccogliere più idee e creare anche una procedura di fallback da considerare in seguito se una delle linee d’azione selezionata fallisce. Questo ci aiuterà a muoverci meglio con le procedure da adottare.
4. Definire gli obiettivi e le priorità del team
Perfetto per i manager
Possiamo usufruire della mappa per elaborare specifici obiettivi individuali e dipartimentali. Lavorare insieme per rivedere gli obiettivi organizzativi o suggerire quelli che desideriamo definire come team.
Organizzare la mappa pensando a come raggiungere il nostro scopo finale in modo SMART, e tenendo presente l’opinione di tutti.
5. Definizione di flussi di lavoro e processi
Perfetto per i project manager.
In una piccola organizzazione, i processi sono più semplici: uno scrittore scrive il contenuto e un editore lo rivede e lo pubblica, un CEO lavora direttamente con uno sviluppatore per aggiungere una nuova funzionalità al sito. Ma nelle grandi organizzazioni, i processi sono più complessi.
Prima di cominciare, bisogna documentare i processi complessi e i flussi di lavoro, indicare ai responsabili quali passi adottare, in quale ordine e chi coinvolgere in diverse fasi per assicurarsi che nessuno venga escluso.
Riunire manager e leader di tutta l’organizzazione per una sessione di mappatura mentale per sollecitare input su chi deve essere coinvolto e in quale fase introdurre una specifica risorsa.
Dopo aver raccolto tutto, possiamo organizzare la mappa mentale in un diagramma di flusso ben dettagliato.
6. Gestione di nuovi software
Perfetto per IT support.
L’onboarding relativo a nuovi software non è un processo semplice. Non si tratta solo di installare software e migrare i dati da qualsiasi sistema esistente, ma bisogna anche formare gli utenti su come utilizzarlo, incoraggiarne l’adozione e fornire supporto a chi si approccia a sistemi che non conosce.
In questo caso la mappatura mentale è un modo semplice per identificare i problemi che potremmo incontrare.
Riunire tutti per discutere delle loro maggiori preoccupazioni, consentirà di prevedere e trovare soluzioni ad ogni eventuale impedimento nel riuscire a usufruire dei nuovi sistemi.
7. Pianificare un evento
Perfetto per organizzatori di eventi ed esperti di marketing
Poche cose sono complesse come cercare di pianificare un evento, che si tratti di una conferenza di settore o di una festa per piccoli uffici.
Una mappa ci darà l’opportunità di focalizzare contemporaneamente i compiti da svolgere e le persone necessarie, creando ordine e affidando ad ognuno il proprio incarico.
8. Creazione di un calendario editoriale
Perfetto per scrittori e content editor
Alzi la mano chi ha elaborato qualcosa di sensato fissando svogliatamente uno schermo vuoto. Leggere appunti che altre persone hanno trascritto, stimola il nostro cervello ad essere più produttivo.
Riunirsi e scambiare opinioni con il nostro team per mettere insieme un calendario editoriale è un modo eccellente per generare idee. Interfacciandosi insieme, riusciremo a sviluppare associazioni e a generare idee che non avremmo mai immaginato stando da soli.
9. Catturare idee per progetti personali
Le mappe mentali sono efficaci non solo per progetti lavorativi, ma sono decisive anche per progetti personali. Un trasferimento in un’altra città, la pianificazione di un matrimonio, un nuovo lavoro, ogni sogno, ogni progetto può essere rappresentato con una mappa mentale.
Prendiamoci 15 minuti per pensare in modo mirato ai nostri buoni propositi e trascriviamo tutto ciò che ci balena in mente. Possiamo condividere il nostro schema con chi ci conosce bene, e farci aiutare nel definire il tutto.
Una volta completato, osserviamolo con attenzione, revisioniamolo, eliminiamo il superfluo o aggiungiamo qualche dettaglio. Utilizziamo la mappa mentale per elaborare un piano dettagliato del nostro “disegno”, comprese le scadenze.
Come utilizzare un software per la creazione di mappe mentali
Uno dei software più utilizzati è MindMeister, uno strumento che permette la creazione di mappe mentali online che consente di acquisire, sviluppare e condividere idee graficamente.
Il brainstorming con mappe mentali online è risultato ancora più efficace delle tradizionali sessioni di persona. In effetti, l’uso di mappe mentali online può aumentare l’output creativo di circa il 50%. Dopo aver raccolto le idee, bisogna revisionarne il contenuto. In che modo?
Rimuovere gli argomenti con idee inapplicabili;
Spostarli e posizionarli nel posto giusto per creare una struttura adeguata dello schema;
Aggiungere spiegazioni e dettagli alle idee sotto forma di note, collegamenti, immagini e file;
Conferire maggior enfasi agli argomenti scegliendo stili e icone appropriati.
Importante è avviare anche un’analisi di costi e benefici che ci aiuterà a decidere se è davvero una buona idea intraprendere il progetto pianificato. Per eseguire un’analisi costi benefici in una mappa mentale:
Aprire una mappa mentale vuota;
Creare un ramo per gli obiettivi del progetto;
Creare un ramo per le risorse stimate necessarie per eseguire il progetto;
Crea un terzo ramo per i benefici previsti.
Successivamente calcolare il valore attuale netto del progetto e usare il risultato per decidere se andare avanti o meno.
Inoltre possiamo riutilizzare questa mappa mentale come tabella di marcia del progetto semplificandola e condividendola con il team e le parti interessate. Una tabella di marcia è un ottimo strumento per rivedere rapidamente gli obiettivi e assicurarsi di essere ancora nei tempi previsti. Ovviamente, possiamo aggiornarla per tutta la durata del progetto se le nostre priorità cambiano o bisogna perfezionare le stime precedenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/mappe-mentali.jpg545853Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2020-06-29 11:38:302020-07-01 22:02:58Come usare le mappe mentali per avviare nuovi progetti
Il digitale è stata una grande rivelazione per molte piccole aziende negli ultimi mesi. Imprenditori e proprietari hanno scoperto che restare in contatto con i propri clienti grazie al web può essere non solo un’alternativa al negozio fisico o all’attività face-to-face, ma una parte complementare del business, oggi necessaria più che mai.
Certo, nessuno ha detto che costruire un business online (che si parta de zero, o che si voglia digitalizzare un’impresa esistente) sia un’attività semplice e lineare. Ma partendo preparati e conoscendo tutti gli step e i fattori in campo, questa nuova avventura può trasformarsi nella strada per il successo.
Scopriamo insieme, quindi, le dieci cose che dovresti assolutamente conoscere prima di lanciare un business online.
Scoprirai come sfruttare al meglio le tecniche e gli strumenti del Digital marketing per migliorare la tua presenza online e farti trovare dai potenziali clienti.
1. La scelta dell’hosting
Molte aziende iniziano a costruire la propria presenza online con una semplice pagina Facebook o un negozio su piattaforme come Etsy. Qui, tuttavia, non si avrà il pieno controllo e si avranno dei limiti in termini di possibilità e di attività consentite.
Ecco perché spesso si arriva alla decisione di avere un proprio sito web, magari anche un eCommerce.
Il primo passo per farlo è scegliere l’hosting giusto per le proprie esigenze.
L’host di un sito web (talvolta indicato come fornitore di hosting di siti web) è una società che offre la tecnologia e i servizi necessari per la visualizzazione di un sito web su Internet. Il servizio collega il nome di dominio al provider di hosting in modo che quando gli utenti visitano il tuo indirizzo web, venga mostrato loro il tuo sito.
A seconda del tipo di tecnologia e di supporto scelto i costi di questi servizi possono variare, ma ci sono alcuni aspetti fondamentali da considerare quando si sceglie un hosting.
Hosting condiviso vs. server dedicato. Avere un hosting condiviso significa che si sta condividendo un server e le sue risorse con altri clienti. Il limite maggiore in questo caso sono possono essere le prestazioni limitate del sito, o maggiori rischi rispetto alla cybersecurity, ma potrebbe comunque essere una valida scelta se si è ancora agli inizi e si vogliono testare le performance del proprio business online. Avere un piano server dedicato significa, invece, che la macchina server fisica è interamente dedicata al tuo sito; quindi, tutte le risorse sono dedicate. Tuttavia si tratta di una soluzione in genere più costosa che non tutte le piccole imprese sono disposte a pagare. Infine, esiste una via di mezzo tra i due, ossia il VPS o “server privato virtuale”. Si tratta di un piano hosting che offre il meglio delle due soluzioni, poiché un VPS è una macchina partizionata per lavorare come se si trattasse di macchine multiple, con un prezzo simile a quello di un hosting condiviso, ma con una sicurezza e prestazioni simili a quelle di un server dedicato.
Supporto e assistenza. Nella scelta di un hosting non si dovrebbe dimenticare di verificare anche la possibilità di ricevere supporto telefonico o via chat, in modo da poter essere aiutati rapidamente in caso di problemi. Anche il supporto via email può essere utile, ma in genere richiede tempi di risposta più lunghi e questo può diventare frustrante quando un problema deve essere risolto rapidamente.
L’interfaccia server semplice da usare. Soprattutto per chi è agli inizi e vuole fare tutto da sè senza il supporto di un professionista o di un’agenzia, è molto utile valutare anche la facilità di utilizzo e configurazione del pannello di controllo dell’hosting, in modo da essere certi di poter apportare tutte le modifiche necessarie al proprio progetto.
La sicurezza del server. Come dicevamo, un aspetto da non trascurare in un business online, è la cybersecurity. Ad esempio, per un progetto eCommerce è necessario installare i certificati Secure Sockets Layer (SSL). Assicurati, inoltre, che la società di hosting effettui una regolare manutenzione della sicurezza. Idealmente il protocollo di sicurezza dovrebbe essere pubblico, per poter conoscere come vengono gestiti i server.
2. La scelta del nome dominio
Il dominio è la parte dell’indirizzo web che viene dopo il www. Ad esempio: www.ninjacademy.it
Per un’azienda, un nome a dominio può anche essere legato a un indirizzo e-mail professionale. In questo modo:
support@ninjacademy.it
Diciamo che sto cercando un idraulico a Roma, utilizzando Google digiterò “idraulico a Roma” e otterrò come risposta un elenco di risultati di ricerca che includono siti web rilevanti identificati dai loro nomi di dominio.
Il tuo dominio è l’insegna della tua azienda sul web, quindi fai attenzione a scegliere un nome dominio che rappresenti la tua azienda e che sia facile da ricordare. Puoi seguire questi cinque suggerimenti:
Sii breve, per assicurarti di restare impresso.
Rendilo facile da digitare. Evitate i trattini e le grafie insolite.
Includi le parole chiave. Cerca di usare termini semplici che le persone potrebbero inserire quando cercano il tuo tipo di attività online.
Localizza il tuo business. Specie per le piccole imprese può essere utile includere anche il nome della propria città o della propria regione nel dominio, per attirare i clienti locali.
Scegli l’estensione giusta. L’uso e l’estensione del nome di dominio (la parte che viene dopo il “punto”) dovrebbe essere specifico per il settore o per la zona geografica. In Italia ad esempio, andrebbe scelto il .it o il .com se si tratta di un eCommerce, ad esempio.
Quando stai cercando un dominio, fai una piccola ricerca per assicurarti che il nome che hai in mente non esista già, non sia un marchio registrato, protetto da copyright o in uso da un’altra azienda.
3. La creazione del sito e del suo design
Dopo aver scelto un dominio sarai pronto a iniziare a pensare nel concreto al sito web. Un po’ di pianificazione è fondamentale per garantire che il sito funzioni come immaginavamo e presenti tutti i prodotti o i servizi in modo chiaro.
Parti quindi dagli obiettivi: vuoi che il sito informi, che ispiri o vuoi generare conversioni di vendita?
È sufficiente che il sito web mostri i tuoi prodotti e servizi, o vuoi che i visitatori possano acquistarli direttamente dal sito? Se è così, dovrai progettare un sito eCommerce, prevedendo anche carrello, metodi di pagamento, registrazione del cliente…
Quando avrai ben chiaro cosa vuoi che faccia il tuo sito per il tuo business online, potrai iniziare a costruirlo seguendo gli obiettivi che ti sei prefissato.
Anche se non sei un esperto informatico, potrai utilizzare piattaforme e strumenti facilmente installabili per costruire il tuo website.
Un esempio che avrai già sentito nominare molte volte è quello dei siti web in WordPress. Si tratta di un CMS (content management system) che non richiede la conoscenza di HTML, PHP o altri linguaggi di programmazione, ma che ti consente un ottimo livello di personalizzazione anche se sei non sei esattamente un pro!
Puoi scegliere tra una miriade di temi gratuiti o a pagamento (cioè il design per lo stile generale del tuo sito web). Inoltre hai a disposizione moltissimi plugin per aumentare e diversificare le funzionalità del sito.
In alternativa puoi assumere un professionista o un’agenzia e commissionare la costruzione del tuo sito. In questo caso prevedi con l’esperto che ti seguirà anche le diverse opzioni di assistenza e implementazione: una volta messo online il sito potrai occupartene da solo o avrai bisogno di un’assistenza dedicata costante?
Una volta che avrai pensato alla struttura e al design, ossia al contenitore, potrai iniziare anche a capire cosa metterai dentro il tuo sito, cioè ai contenuti.
Per far conoscere e lanciare il tuo business online, puoi raccontare la tua storia, spiegare come hai iniziato, dire qualcosa di te e del tuo lavoro ai potenziali clienti, spiegare quale problema puoi risolvere per loro, la tua mission e la tua passione.
Tra le pagine da includere tra i contenuti del tuo sito ci sarà la Home (pagina iniziale su cui atterreranno digitando il tuo nome dominio), un Chi siamo, la pagina dei Prodotti/Servizi, i Contatti e se possibile una pagina con recensioni e testimonianze di altri clienti. Quest’ultima comunicherà fiducia ai nuovi potenziali clienti.
Oltre ai testi, dovrai prevedere anche immagini (foto, logo, icone…) ed eventualmente uno o più video.
Cerca di mantenere un tono di voce coerente tra tutti i diversi contenuti, e prevedi anche colori e grafiche coordinate, ricordando che potresti anche condividere sui social le tue pagine web.
5. L’uso della SEO
Una volta creati contenuti rilevanti per i tuoi potenziali clienti, è il momento di fare un passo in più per aumentare la visibilità del tuo business online.
Per farlo devi utilizzare la SEO, vale a dire l’ottimizzazione per i motori di ricerca.
L’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) è il processo di perfezionamento di un sito web per ottenere un posizionamento più alto nei risultati sui motori di ricerca e portare visitatori organici al tuo sito, senza pagare per annunci in evidenza.
A differenza degli annunci a pagamento – annunci pubblicitari che vengono visualizzati in aree sponsorizzate – i risultati di ricerca organici sono “gratuiti” e basati, tra le altre cose, sul contenuto del sito e su quanto si avvicina alle parole chiave ricercate. Si tratta quindi di risultati molto rilevanti per gi utenti.
Anche se ogni motore di ricerca ha il proprio set di criteri di posizionamento, tutti guardano agli stessi elementi di base:
Contenuto della pagina rilevante.
Parole chiave.
Meta tag.
Sitemap.
Link building.
Ottimizzazione delle immagini.
6. L’uso dei canali social
Stabilire una presenza commerciale sui social media, cioè lì dove si trovano i tuoi clienti e potenziali clienti, è un po’ come allestire uno stand alla più grande fiera virtuale del mondo.
Certamente anche i tuoi competitor saranno lì, in fila per attirare l’attenzione dei potenziali clienti, con foto, video e offerte. Per questo, il segreto per usare al meglio i social media per comunicare con il tuo pubblico è creare contenuti di valore che ti permettano di costruire una relazione duratura.
Sviluppando un seguito sui social, potrai entrare in contatto con i tuoi clienti e potenziali clienti e condividere contenuti con un gran numero di persone. Il social inoltre rende facile indirizzare le domande o i problemi specifici dei clienti, rendendo le stesse informazioni disponibili anche per tutti gli altri.
Qui avrai anche la possibilità di costruire la tua brand awareness, ossia di condividere informazioni sulla tua attività e di mostrare la tua personalità. Oltre alla possibilità di guidare il traffico verso il sito web includendo link al sito nei post social e nelle varie bio.
Oltre a vendere, potrai renderti credibile. Condividendo contenuti rilevanti ti mostrerai come un leader di settore e creerai una presenza online solida per il tuo business.
Per utilizzare al meglio i social media, dovrai innanzitutto capire qual è il tuo target e scoprire su quali piattaforme spende il suo tempo. Non è detto che tu debba essere presente su qualsiasi social, potresti scegliere anche solo i più rilevanti e concentrarti su quelli.
7. L’advertising online
Proprio come la pubblicità sui giornali o sui manifesti per strada, anche l’advertising online gioca un ruolo importante per farti conoscere sul web. Ovviamente si tratta di un canale a pagamento, per il quale dovrai prevedere un certo investimento, per poter vedere risultati tangibili.
Gli annunci online, i post “sponsorizzati” sui social e tutte le altre opzioni a pagamento sono progettate per mettere le tue informazioni commerciali in primo piano e per guidare il traffico verso il tuo sito web.
Tra i vantaggi della pubblicità online puoi valutare questi di seguito:
è veloce e più economica di quella offline. Gli annunci online costano una frazione degli annunci tradizionali sulla stampa, ed è possibile eseguirli rapidamente.
Pubblico in target. Gli annunci saranno presentati solo a consumatori mirati sui social, sui media online o tra i risultati di ricerca.
È facile da misurare. Avrai a disposizione molte metriche per misurare il successo delle tue campagne pubblicitarie online, per capire cosa funziona e cosa no.
8. La lead generation
Guidare il traffico verso il tuo sito web è fondamentale, ma convertire i visitatori in lead è il modo per far crescere il business online. Questo significa capire chi sta visitando il sito e contattarlo direttamente, in modo da poterlo convertire in cliente.
Includi il numero di telefono o l’indirizzo email della tua azienda in ogni pagina del tuo sito web.
Chiedi ai visitatori di lasciare il loro nome e indirizzo email, per restare in contatto. Questo è tutto ciò di cui hai bisogno per iniziare la conversione, e la maggior parte delle persone sono abituate a dare queste informazioni online.
Per raccogliere informazioni di contatto (sempre nel rispetto delle le linee guida del GDPR), puoi utilizzare i moduli di contatto, ossia form presenti sul sito che vengono compilati ogni qualvolta l’utente vuole porti una domanda, ha bisogno di informazioni e vuole essere ricontattato.
Puoi anche aggiungere un modulo di iscrizione alla newsletter per ricevere informazioni su prodotti e servizi, aggiornamenti, sconti, ecc. o fare un’offerta speciale per l’iscrizione alla mailing list.
Una volta ottenuti i loro indirizzi, l’email marketing ti offrirà un approccio mirato al contatto con i clienti attuali e potenziali.
9. La misurazione dei risultati
Ora che hai un sito web e dei profili sociali, oltre al know-how per guidare il traffico verso il tuo sito, coinvolgere i follwer con i contenuti e generare lead, sei in una posizione ideale per far crescere il tuo business online.
Ma come fai a valutare se sta andando tutto bene? Misurando i risultati ovviamente.
Come dicevamo, nel digital misurare i risultati è molto più semplice e ti permette di capire se hai bisogno di modificare il tuo sito, la strategia social, implementare la strategia di content marketing o la SEO.
Per sapere come sta andando poniti queste domande:
Quali tipi di contenuti ottengono la risposta più positiva?
Quando i tassi di coinvolgimento sono i più alti?
È il momento di provare l’adv a pagamento?
Quali sono i social network che sembrano funzionare meglio per la tua azienda?
In questa fase i tuoi alleati migliori saranno Google Analytics, gli insight delle piattaforme social e Google Search Console.
10. L’implementazione e la manutenzione
Un sito web non dovrebbe essere creato e poi abbandonato a se stesso. Per avere un sito web di successo e far crescere il tuo business online, dovresti sempre manutenerlo e implementarlo.
Per farlo:
controlla i dati della Search Console almeno una volta al mese;
utilizza i dati sul traffico per saperne di più sul tuo pubblico e sui contenuti più ricercati e apprezzati;
utilizza i dati sulle prestazioni per ottimizzare e correggere gli avvisi e gli errori;
assicurati che tutti i software siano sempre aggiornati;
esegui scansioni di sicurezza in modo da sapere se il sito è pulito da malware e non è stato violato;
utilizza gli A/B test per vedere se le prestazioni di un prodotto o di una pagina cambiano con piccole variazioni sulla pagina (copy diversi, tasti di colori differenti…);
continua a monitorare anche la concorrenza;
fai costanti backup del sito in modo da avere sempre una versione aggiornata conservata;
permetti agli utenti di fornirti feedback sul sito e sui prodotti.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/4.jpg443689Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-06-26 12:00:342020-06-29 22:09:1410 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online (e come impararle)
L’anno in corso potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per il mondo della formazione
Verso un modello ibrido di educazione: non per forza a distanza ma sicuramente connesso
Potrebbe nascere una nuova economia dell’educazione, flessibile e dinamica
a cura di Thomas Ducato
“Per costruire la scuola del futuro non bastano nuovi strumenti, serve una visione”. Titolava così un articolo a firma di Impactscool pubblicato qui, sulle pagine online di Ninja Marketing, in tempi non sospetti, nel novembre del 2019, prima dell’emergenza Covid-19 e di lunghi mesi di lockdown, distanziamento sociale e DAD, acronimo di didattica a distanza.
Una rivoluzione, quella della scuola digitale, che sembrava lenta e lontana dal concretizzarsi e che invece, nel giro di qualche settimana, si è trasformata in una realtà inevitabile per milioni di studenti e per tutti i loro insegnanti.
Dalle lavagne alle video lezioni, dai libri ai materiali in pdf, dai compiti in classe alle interrogazioni attraverso uno schermo: i docenti di ogni ordine e grado si sono trovati, per via della pressante necessità, a dover trasformare la propria attività non sempre con una conoscenza integrata e completa sulla didattica digitale, così come senza sufficienti competenze per usare e scegliere strumenti efficaci e affidabili.
Un esperimento la cui riuscita è difficile da giudicare, troppo soggetta alle molteplici differenze che un sistema così complesso e articolato come quello scolastico ed educativo può presentare.
Ma cosa resterà di questo enorme esperimento a settembre quando, così sembra, la scuola tornerà ad essere anche un luogo in cui recarsi e non “solo” un’attività fatta di relazioni e connessioni vissute fisicamente distanti?
Se sapremo cogliere le opportunità e imparare dalla nostra esperienza degli ultimi mesi, l’anno scolastico 2019-2020 potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione per tutto il mondo della formazione, non solo quella dei giovani. Da un lato non dobbiamo perdere l’occasione, dall’altro però è importante che nessuno resti indietro.
Rivedere l’insegnamento: verso un modello ibrido
L’incontro tra tecnologia ed educazione viene spesso definito con il termine Education Technology, o EdTech.
Questo approccio non prevede solo l’insegnamento di materie tecnologiche ma anche l’introduzione di strumenti che favoriscano l’apprendimento. Non necessariamente una didattica a distanza, dunque, ma la possibilità di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare l’insegnamento e offrire un servizio migliore agli studenti.
L’esperienza degli ultimi mesi, in questo frangente, potrebbe essere preziosa, perché ha costretto migliaia di docenti ad esplorare un nuovo modo di fare scuola anche attraverso questi sistemi digitali, che offrono nuove opportunità di collaborazione, co-creazione e progettazione.
Un tema, questo, molto caro anche a Cristina Pozzi, Ceo e Co-founder di Impactscool. “La scuola del futuro – ha dichiarato in una recente intervista – è liberamente partecipativa, aperta e situata a livello locale nel proprio contesto, ma anche in quello planetario. In un termine che va di moda possiamo dire che è “glocal”, una globalizzazione più matura, consapevole delle particolarità degli elementi che la costituiscono e in grado di creare rapporti virtuosi tra di esse”.
Una scuola che, indipendentemente dal fatto che sia a distanza o in presenza, dovrà adattarsi al suo contesto di riferimento ed essere (inter)connessa. “Qualunque sia la distanza fisica staremo insieme – spiega Pozzi – Gli strumenti digitali amplificano e massimizzano la capacità di collaborare. Credo nel mix tra le due cose: off line e on line. Possiamo usare gli strumenti digitali anche seduti uno a fianco all’altro e ottenerne grandi vantaggi se li utilizziamo al meglio. L’allenamento fatto con la didattica a distanza potrebbe spingerci a velocizzare l’introduzione di giochi e metodi collaborativi che migliorano l’apprendimento (anche in presenza), nonché l’attenzione dei ragazzi, la motivazione e l’interesse”.
Imparare è un gioco da ragazzi (e non solo)
Il cuore della rivoluzione risiede proprio nelle metodologie didattiche, che devono adattarsi alle nuove esigenze di un pubblico, quello degli studenti, sempre più condizionato da una grande varietà di stimoli. Il mondo dell’intrattenimento, dai giochi al cinema e serie TV, rappresenta un settore importante da esplorare e sfruttare per avvicinare le nuove generazioni a cultura e apprendimento.
Ne abbiamo parlato con Massimiliano Tarantino, direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e responsabile della comunicazione istituzionale del gruppo Feltrinelli.
“La cultura – ci ha detto – deve reinventarsi per continuare ad aggiornare la sua utilità”. Non tutti, però, sono dello stesso avviso. “Nel mondo culturale – ha proseguito – c’è chi tende a derubricare il mondo delle serie TV, dei canali a pagamento, del mondo dei videogiochi o del gaming in generale come veicolo di cultura e di contenuto. Io credo siano strumenti straordinari e grandi opportunità di lavoro per tutti i soggetti coinvolti. Farsi una cultura, ottenere una laurea, avere un percorso serio, organico e solido nei campi delle science o delle humanities e poi trasformali in prodotti dell’entertainment, traducendo e trasformando i linguaggi con i quali entriamo in contatto con i pubblici, è il vero futuro dell’editoria. Significa conoscere e scegliere contenuto e avere il know how per padroneggiare le tecniche che ci consentano di trasformare questo contenuto in un prodotto in grado di garantire ingaggio di pubblico”.
Strumenti e metodi, questi, che possono essere particolarmente efficaci anche nei contesti aziendali o, in generale, per un pubblico adulto e che ben si sposano con la necessità di formazione continua che si sta delineando nel mondo del lavoro.
Reskilling e formazione continua: come impareranno i “grandi”?
Secondo le stime dell’OCSE, più di 1 miliardo di posti di lavoro, quasi un terzo del totale globale, saranno trasformati dalla tecnologia nel prossimo decennio. Il World Economic Forum stima che entro il 2022 saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro nelle principali economie per soddisfare le esigenze della quarta rivoluzione industriale. Due dati che esprimono in modo chiaro la necessità da parte dei lavoratori di aggiornare le proprie conoscenze e competenze, in quello che in inglese viene definito Reskilling e che si concretizza attraverso una formazione continua da parte dell’individuo nel corso della sua vita.
Come far convivere, però, questa formazione con il lavoro e la vita personale?
La strada da percorrere è quella di un’educazione sempre più flessibile e su misura, in grado di adattarsi alle esigenze di apprendimento e di tempo dei singoli individui.
Verso una gig economy della formazione?
Abbiamo conosciuto il termine gig economy con i fattorini della consegna a domicilio o gli autisti di servizi come Uber. Si tratta di una delle nuove forme di lavoro, gestito da piattaforme digitali attraverso l’attività di freelance. Un modello che si è imposto per attività ripetibili, standardizzate, facilmente controllabili e misurabili, mentre fatica a farsi largo, nonostante i costi molto più bassi, in altri ambienti e contesti come il mondo della conoscenza. Ma oggi qualcosa potrebbe cambiare, non grazie a una nuova tecnologia ma per il cambio di paradigma imposto dalla pandemia. Un modello, quella della gig economy del sapere, che sembra difficile possa applicarsi in modo trasversale al mondo accademico o della formazione tradizionale, ma la cui flessibilità ben si sposa con le necessità di formazione extracurricolare degli studenti (come per le ripetizioni), lo studio delle lingue, l’aggiornamento professionale o di competenze dei dipendenti.
Educazione e formazione del futuro devono iniziare da oggi
Siamo di fronte a un passaggio epocale: ci sarà un “prima” e un “dopo” Covid-19 ed è il momento perfetto per iniziare a costruire il futuro. Questi mesi ci lasciano un’eredità, che è importante custodire e utilizzare per porre solide basi alla realtà che vogliamo creare. Il mondo dell’educazione non fa eccezione in questo senso.
Dobbiamo capire cosa ha funzionato della didattica a distanza, ma soprattutto gli errori commessi e da non ripetere: le scelte che prendiamo da oggi devono essere funzionali alla costruzione del sistema educativo che verrà. “La scuola del futuro non sarà già attiva a settembre, ma con una visione chiara nel lungo termine, ogni azione e cambiamento che faremo sarà un passo verso la sua realizzazione”, ha concluso Cristina Pozzi.
Alcune sfide, come abbiamo visto, sono sul fronte didattico e metodologico, altre, invece, sul piano tecnico e di infrastruttura: l’obiettivo imprescindibile è quello di garantire l’accesso alla formazione, da un lato supportando le famiglie per la dotazione di pc e tablet, dall’altra costruendo un’infrastruttura di banda ultralarga che porti la rete veloce su tutto il territorio nazionale, offrendo così a tutti gli studenti quella connettività base che rischia altrimenti di diventare discriminatoria.
La formazione del futuro inizia oggi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2014/02/education-future.jpg426662Impactscoolhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngImpactscool2020-06-25 12:04:102020-06-26 12:48:33Educazione e formazione: è il momento di costruire il futuro
Assegnate risorse per 1 miliardo di euro, con quattro fondi già attivi e ulteriori due in avvio per favorire l’innovazione.
Deliberati investimenti per oltre 100 milioni di euro nei quattro mesi dall’avvio della SGR che avranno un impatto su circa 160 startup.
Il Consiglio Amministrazione di CDP Venture Capital, presieduto da Francesca Bria, ha approvato il Piano Industriale 2020-2022 “Dall’Italia per innovare l’Italia” presentato dall’amministratore delegato e direttore generale Enrico Resmini.
Nel prossimo triennio, l’obiettivo è di rendere il Venture Capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese investendo rapidamente e in modo efficace i capitali assegnati e creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’intero ecosistema.
I fondi per l’innovazione
La dotazione dei fondi della SGR è di circa 1 miliardo di euro (di cui circa 800 milioni di euro già sottoscritti), grazie alle risorse allocate pariteticamente dal Governo – in particolare dal Ministero dello Sviluppo Economico – e dal Gruppo CDP (attraverso la sua controllata CDP Equity).
Ad oggi la sottoscrizione è prossima a raggiungere circa 800 milioni di euro, di cui 260 milioni di euro attraverso il Fondo di co-investimento Mise (dotazione target pari a 310 milioni di euro), che co-investirà sistematicamente con i fondi gestiti da CDP Venture Capital.
Quattro i fondi già attivi, con un equilibrato mix di investimenti diretti e indiretti:
Fondo Italia Venture I: operativo dal 2015, investe in start up e PMI innovative in Italia. Opera principalmente nei settori digitale, biotech, medicale e high tech. Ha una dotazione pari a 80 milioni di euro e attualmente gestisce un portafoglio di 20 aziende in fase growth.
Fondo Italia Venture II – Fondo Imprese Sud: il fondo ha l’obiettivo di accelerare la competitività e lo sviluppo di start up e PMI innovative nel Mezzogiorno. Investe in tutte le fasi del ciclo di vita di un’impresa, dal seed al growth/expansion. Dispone di una dotazione di 150 milioni di euro.
Fondo di Fondi VenturItaly: investe in fondi di Venture Capital, inclusi first time team/first time fund, allo scopo di generare nuovi operatori sul mercato e nuovi team all’interno di gestori già attivi sul mercato, nonché supportare i fondi successivi di gestori esistenti. Ha una dotazione di 300 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e dal fondo di co-investimento MISE).
Fondo Acceleratori: il fondo, diventato operativo a fine maggio 2020, ha lo scopo di aiutare la creazione e/o lo sviluppo di programmi di accelerazione verticali su settori strategici, investendo nelle start up che partecipano ai programmi supportati dal Fondo. Il fondo interverrà, in modo diretto e indiretto, per dare sostegno finanziario e/o manageriale a favore di acceleratori di impresa e di startup innovative ad alto contenuto tecnologico, operanti in settori ad elevato potenziale di crescita. Il Fondo ha una dotazione iniziale di 125 milioni di euro (sottoscritti da CDP Equity e attraverso le risorse del fondo di co-investimento MISE).
Nei prossimi mesi CDP Venture Capital lancerà, inoltre, due nuovi fondi:
il Fondo Corporate Venture Capital, che coinvolgerà direttamente come Limited Partners alcune tra le principali aziende partecipate dal Gruppo CDP e che investirà direttamente in start up focalizzate su alcuni degli ambiti strategici del Paese. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
Il Fondo Tech Transfer, con l’obiettivo di supportare la filiera del trasferimento tecnologico mediante il co-investimento selettivo nelle start up più promettenti e l’investimento in fondi verticali specializzati. Il Fondo avrà una dotazione iniziale di 150 milioni di euro.
Nei primi mesi del 2021, è previsto, infine, il lancio del Fondo Late Stage, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, con lo scopo di sostenere direttamente le start up già in fase “matura” che necessitino di capitali per ulteriore consolidamento ed espansione sui mercati internazionali, contribuendo così allo sviluppo di aziende ad alto contenuto tecnologico, con potenziale prospettico anche per la grande industria.
Complessivamente la SGR ha oggi in valutazione una pipeline di oltre 200 opportunità e conta di deliberare, complessivamente, investimenti per oltre 250 milioni di euro entro la fine del 2020.
Cosa è stato già fatto per l’innovazione in Italia
Da febbraio 2020 sono state approvate e sono in corso nuove importanti iniziative che portano ad oltre 100 milioni di euro il totale degli investimenti deliberati – che avranno un impatto sulla vita di circa 160 startup – e che includono alcune azioni di sostegno nate dalla situazione di emergenza Covid-19 e dalla conseguente forte difficoltà nell’ecosistema start up:
AccelerORA: intende finanziare, entro settembre 2020, prevalentemente start up in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro, tramite il Fondo Acceleratori per un ammontare complessivo fino a circa 9 milioni di euro.
Seed al Sud: mira a finanziare, sempre entro settembre 2020, start up basate al Sud Italia in fase seed/pre-seed con interventi fino ad un massimo di 300mila euro tramite il Fondo Italia Venture II, per un ammontare complessivo fino a 6 milioni di euro.
ItaliaXStartup: Web Series settimanali per favorire la condivisione di esperienze di start up che stanno affrontando la fase CoVid-19 e per creare opportunità di business/investimento su specifiche filiere.
Da oggi sono inoltre disponibili il sito web e la pagina LinkedIn di CDP Venture Capital che riporteranno le principali attività e iniziative della SGR.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/innovazione.jpg604835Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-06-24 12:13:242020-06-24 12:13:24Fondo Nazionale Innovazione, presentato il Piano Industriale 2020-2022
Il Covid-19 ha insegnato ai brand una necessaria modifica delle strategie di produzione e comunicazione.
La solidarietà globale ha creato aspettative più alte anche per la sostenibilità.
La pandemia di Coronavirus ha spinto aziende e governi a mobilitarsi rapidamente per qualcosa che non è mai accaduto prima: fronteggiare in tempi rapidissimi un’emergenza sanitaria, economica e sociale che non ha eguali nella società moderna, con chiusure di negozi e ordini a domicilio che si protraggono da mesi.
Alcuni analisti ritengono che la risposta alla crisi sia una sorta di anteprima di come la società potrebbe affrontare il peggioramento dei cambiamenti climatici, anche se questo non è un pensiero prioritario per i consumatori.
L’altro lato della medaglia: un mondo sostenibile
Per gli esperti di marketing, i cambiamenti climatici e la sostenibilità dovrebbero essere al centro dell’attenzione sia per costruire la fiducia dei clienti durante un periodo di profonda incertezza, sia per proteggersi da future catastrofi ambientali legate sicuramente all’inquinamento.
Guardando l’altro lato della medaglia la diminuzione dell’impatto nocivo ambientale e il ritorno in città degli animali selvatici hanno fatto sì che la pandemia in realtà creasse l’opportunitàdi orientarsi più rapidamente verso strategie orientate alla sostenibilità.
Con la pandemia sono emersi effetti positivi sull’ambiente. Alcune analisi di Axios prevedono un calo fino al 6% su base annua delle emissioni globali di CO2 per il 2020.
Prima, il tema sostenibilità era molto vicino ai giovani Millennial e della Gen Z, il Coronavirus sembra abbia allargato il raggio di interesse a tutti i gruppi demografici.
È quindi questo il momento propizio per i brand di creare un impatto comunicativo forte, strettamente legato alla sostenibilità. I marchi hanno concretamente l’opportunità di essere parte di un cambiamento forte per la comunità e i consumatori.
Raramente c’è una causa che risuona così profondamente con così tante persone contemporaneamente.
ha affermato Julia Wilson, vicepresidente responsabile della sostenibilità di Nielsen.
Investire nella sostenibilità e nella responsabilità sociale è un buon business
I marketers potrebbero fare un passo in avanti investendo nella sostenibilità, nonostante le pressioni economiche della pandemia. Una ricerca congiunta condotta tra lo Stern Center for Sustainable Business e l’IRI della NYU, ha rilevato che i prodotti sostenibili commercializzati sono stati responsabili del 50% della crescita del mercato tra i prodotti confezionati tra il 2013-2018.
Pre-pandemia, secondo i dati di Nielsen c’era anche un tasso di crescita dell’8% per gli attributi o le rivendicazioni dei prodotti di responsabilità sociale.
Al momento non è chiaro se aree come i prodotti sostenibili torneranno a quei livelli nei prossimi mesi, ma è possibile che l’interesse potrebbe effettivamente essere più alto di prima.
Se i brand contribuissero davvero al bene pubblico e si assumessero la responsabilità di una risposta concreta al benessere del pianeta, potremmo ipotizzare un futuro diverso.
Per esempio, se l’incremento di utilizzo di biciclette in Italia (dovuto a diversi fattori come il bonus del Governo o la necessità di non utilizzare l’auto o i mezzi pubblici sovraffollati) cambierà la percezione delle necessità dei singoli e di conseguenza della comunità, in quel caso staremo compiendo un primo passo importante.
Il marketing del futuro potrebbe essere autentico
Riuscite a immaginarlo? Potrebbe realmente raccontare i valori migliori di un brand, contribuire al contenimento dell’inquinamento, garantire diritti equi dei lavoratori e sbandierare con orgoglio ogni passaggio della catena produttiva.
La pandemia ha provocato una solidarietà globale mai vissuta in precedenza: il malessere e le mancanze sanitarie ed economiche hanno rafforzato la necessità di condivisone dei diritti, di cui probabilmente in precedenza non ci preoccupavamo troppo.
Un recente studio di Accenture ha suggerito che le abitudini di acquisto dei consumatori potrebbero essere modificate dalla pandemia e che il “consumo etico” è in aumento. Il 45% degli intervistati ha riferito di fare scelte più sostenibili e probabilmente continuerà a farlo in futuro.
“L’ampiezza dei cambiamenti identificati nei nostri risultati suggerisce chiaramente che si tratta di un cambiamento a lungo termine“, ha dichiarato Oliver Wright, Ad di Accenture, “Mentre osserviamo queste tendenze da un po’ di tempo, ciò che sorprende è il ritmo: comprimere in settimane i cambiamenti che probabilmente avrebbero richiesto anni“.
Allo stesso tempo, le aspettative dei consumatori riguardo alla sostenibilità saranno probabilmente più alte di prima. È come se la pandemia avesse ribaltato totalmente le aspettative dei consumatori, rendendo tutto possibile. Di conseguenza i brand se non vorranno perdere in termini di credibilità dovranno adattarsi.
Il continuo e prolungato degrado ambientale, tra cui la deforestazione, l’estrazione mineraria dilagante, lo sfruttamento intensivo dei terreni, renderà le pandemie più frequenti e più dannose per l’economia futura. Ignorare tutto questo, oggi, significherebbe pagarne conseguenze disastrose in futuro. I consumatori cercheranno qualità e longevità e ridefiniranno il rapporto con gli acquisti. Il cambiamento dovrà essere rapidissimo.
I consumatori hanno modificato alcune abitudini di acquisto durante il lockdown, favorendo il km zero, le botteghe di quartiere e le aziende agricole, ove presenti, in prossimità.
Alcuni colossi hanno già annunciato i primi cambiamenti come la sostituzione di bicchieri di plastica con quelli di carta e confezioni per cibo da asporto riciclabili ed ecosostenibili.
Altre categorie, incluso il settore della vendita al dettaglio gravemente compromesso, potrebbero dover esaminare più attentamente le opzioni di prodotti riciclabili o riutilizzabili.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/no-planet-b.jpg382573Claudia Liccardohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngClaudia Liccardo2020-06-24 10:05:592021-01-05 15:38:35Investire su sostenibilità e responsabilità sociale oggi è ancora più importante per i brand
Siamo entrati nella fase 3: perché nessuno compra?
La Customer Experience come asset per fare riemergere il business
Tre traiettorie dove orientare gli sforzi di marketing e business
Siamo entrati da qualche settimana nella fase 3, ma aziende e business faticano ad accorgersene. Si chiama ‘Effetto Caverna’ e può essere riassunto così: in queste condizioni e dopo 3 mesi di stanziamento domestico, chi ha più voglia di rimettere la testa fuori casa?
E così, soprattutto in Europa, mentre ci sarebbe gran bisogno di spendere e tornare (con senno e nel rispetto delle regole) a uscire e consumare per fare ripartire l’economia, noi fatichiamo. Se aggiungiamo poi i timori del futuro imminente, il pranzo è servito.
E allora, cosa possiamo fare come marketer, imprenditori, consulenti e business strategist? La risposta finora ha un nome, ho meglio un acronimo: CX, ovvero Customer Experience. Tutto, o almeno la maggior parte, sta lì. Se le crisi sono gravi ma offrono tante opportunità ai pensatori laterali, comprendere per davvero cosa vogliono i consumatori e come deliziare le persone oggi – qualcosa di molto diverso rispetto a 3 mesi fa – è decisivo.
Cosa significa Customer Experience e perché oggi più che mai è decisiva
Partiamo dai fondamentali, ovvero da cosa significa CX.
Per Customer Experience intendiamo le reazioni emotive che i nostri utenti hanno quando entrano in contatto con noi attraverso una comunicazione, un’interazione, un touchpoint, …
il 53% degli executive intervistati valutava la CX una leva di vantaggio competitivo;
di conseguenza, il 45% considerava la gestione della CX una priorità strategica;
nonostante tutto, la stessa percentuale (45%) valutava difficile misurarne il ROI.
Oltre a queste statistiche sfidanti, capiamo un altro motivo per cui oggi, rispetto alla CX, è davvero il tempo di passare dal dire al fare. Perché è cambiato tutto!
I consumatori sono sul divano;
Anche se possono muoversi, valutano questa opzione ancora poco conveniente;
Amazon ha scardinato tanti indecisi digitali, facendo capire loro che con 2 soli click possono avere a casa e il giorno dopo (quasi) tutto ciò che serve;
[Potrei continuare con decine di altre motivazioni…]
Una notizia positiva, è che il consumatore comunque non è sparito; come citato nel punto uno, è ‘semplicemente’ a casa e vuole buoni motivi per spostarsi dalla conca del divano che si è comodamente creato in queste settimane di remote working e social distancing. Dopo le settimane dell’empatia digitale, dove tutte le ricerche – in primis, quella di McKinsey legata a come declinare la Customer Experience al tempo del Coronavirus – erano concordi sulla necessità di rimanere digitalmente vicini ai clienti, dobbiamo adesso passare all’azione.
Tre stimoli di Customer Experience a prova di Covid-19
Ne abbiamo sentiti tanti, forse troppi: webinar, consigli, white paper, ricerche più o meno solide contenenti le linee guida per reinventare il dialogo con i customer.
Ma poi, cosa funziona davvero? Da tutto questo mare magnum di stimoli e contenuti, ti riporto tre pensieri su cui consiglio di ragionare e iniziare a lavorare.
Pensa poli-canale, non (più) omni-canale
Ivan Ortenzi – Chief Innovation Evangelist del Gruppo BIP – ha provato a tracciare una nuova architettura dell’esperienza. Tra gli stimoli, uno mi sembra particolarmente efficace: almeno per un po’ di tempo, sarà difficile pensare omni-canale.
Se per anni abbiamo disegnato e progettato con il cliente al centro, semplicemente adesso il cliente al centro non vuole stare. Ha paura, preferisce mettersi di lato o non esserci proprio. Alcuni canali, dunque, saranno molto meno efficaci rispetto a prima: uno tra tutti lo store fisico. Il suo suggerimento è di pensare invece poli-canale, dando la precedenza ad alcuni touch-point rispetto ad altri.
Tieni comunque il mindset omni-canale nel tuo cassetto in ufficio: tornerà, tornerà. ?
Ripensa gli spazi
A proposito di precedenze, è indubbio che gli spazi fisici stanno soffrendo. Già soffrivano in parte prima del Coronavirus, ora fanno proprio fatica a riemergere. Non parlo solo del +400% che ha segnato l’eCommerce nelle ultime settimane: come anticipato le persone hanno paura, temono il contatto diretto, e in generale non vivono una bella esperienza in store con tutta quell’amuchina e quei guanti.
L’ultima trimestrale Inditex – il gruppo di Zara, per intenderci – non lascia spazio a dubbi ed è ben analizzata sul suo blog da Romano Cappellari, Professore di Marketing e Retailing: saranno chiusi nel triennio 1.000-1.200 punti vendita (il 13-16% della rete attuale e il 10-12% della superficie complessiva), ma nonostante queste chiusure la superficie complessiva della rete fisica è destinata a crescere del 2,5% annuo per effetto di 450 nuove aperture. Saranno negozi più grandi, più belli, più sostenibili e in grado di offrire una migliore Customer experience completamente integrata con l’esperienza online.
Già, l’online… non pensare che anche gli spazi digitali non debbano essere rivisitati. Come ho avuto modo di sottolineare in un recente articolo pubblicato sul mio blog, qualsiasi trasformazione digitale deve partire dai disobbedienti. Troppo spesso progettiamo per noi, o anche solo per una personas ‘media’: di ceto medio, di consapevolezza digitale media, e così via. Dobbiamo invece progettare per coloro che di digitale non capiscono molto, che fanno fatica ad avvicinarsi per via delle paure che solo il nome mette. La UI di Amazon è brutta, diciamocelo. Ma funziona benissimo. Pensa a spazi digitali a prova di… chiunque.
Rispetta il cliente
Una banalità, vero?
Quello del(la) cliente al centro è un grande mantra, che ogni tanto si perde in moda o in semplice linguaggio. Basta dire ‘Customer Centricity’ e pouf, ci sentiamo in pace verso il customer: stiamo facendo la cosa giusta, qualunque cosa sia. Tale dinamica ci fa perdere il contatto reale con le persone. Altre volte, il troppo successo ci rende sbruffoni e poco rispettosi, quasi come di così tanti clienti non ne avessimo bisogno. Quante volte abbiamo dovuto fare la fila, al caldo, per entrare in un posto? E quante volte abbiamo avuto a che fare con un front office poco cortese? Tutti abbiamo notato il cambio di orientamento della forza vendita nel post Covid-19: grandi saluti, grandi cerimoniali, grandi sorrisi (nascosti dalla mascherina, ma l’occhio non mente). Il problema, è che questo dovrebbe essere lo standard!
Approfitta di queste settimane per fare formazione di Customer Centricity ai sales assistant e a tutte le persone che si interfacciano giornalmente con gli utenti: è una buona occasione per allacciare i rapporti con clientela nuova, o per riscoprire un ‘pezzo’ di customer base che se ne stava lì, dormiente.
Magari seguendo casi eccellenti come Gucci, che ha nella boutique Gucci Wooster di New York ha sperimentato un nuovo modello di vendita attivando i Gucci Connectors. I visitatori sono infatti accolti da questo gruppo di ambasciatori della marca, il cui scopo sarà quello di coinvolgere i clienti nel brand storytelling. Il loro scopo? Non è solo la vendita, ma piuttosto la creazione di un legame profondo fra Gucci e il cliente.
Il rispetto del(la) cliente passa anche però da tutte le variabili che compongono il prodotto, prezzo compreso. L’economia ci insegna che il rapporto tra il prezzo di un servizio e il suo costo determina il markup che desideriamo ottenere. La riorganizzazione degli spazi, dei servizi e di molto altro che Covid-19 ha reso necessaria ha comportato per tutti investimenti più o meno ingenti, certamente sostanziosi. Diversi giornali hanno riportato una presunta tassa Covid-19 che alcuni commercianti e imprenditori hanno esplicitamente incluso nello scontrino mostrato al cliente finale.
Mi trovo ancora una volta pienamente d’accordo con l’analisi di Romano Cappellari: se certamente le spese ci sono state a discapito dell’efficienza e dei margini, considerare i costi il principale riferimento per determinare il prezzo è sbagliato. Il cliente oggi compra la maggior parte dei prodotti e dei servizi perché vuole sentirsi coccolato, servito, e desidera vivere un’esperienza. Paga volentieri per questo motivo; considera invece implicito che il prezzo copra anche il fatto che vengano adottate tutte le precauzioni e le norme attualmente in vigore per la migliore igiene, qualunque esse siano e qualunque cosa esse comportino.
In effetti, è anche generalmente poco interessato a capire che impatto abbiano tali precauzioni sui costi di chi gli fornisce il servizio. Evita dunque di mostrare la tassa Covid-19 e concentrati al contrario su come incrementare il valore percepito dell’offerta attraverso l’esperienza più opportuna: se il cliente è disposto già a pagare 40 Euro per un servizio completo, forse puoi proporgli un’esperienza ancora più ricca capace di inglobare implicitamente i costi sostenuti? Così facendo, tra l’altro, quando in futuro i protocolli di sicurezza consentiranno di tornare a una maggiore efficienza potrai anche godere di un incremento del markup.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Starbucks.jpg5121024Alberto Maestrihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlberto Maestri2020-06-23 14:54:472020-06-24 18:04:16La roadmap e il mindset per reinventare la tua Customer Experience
Finalmente è arrivata la possibilità di aprire il proprio eCommerce sui social media.
Facebook Shops è una super novità facile da attivare, gratuita, intuitiva e che ci aspettiamo porti un’evoluzione nel mondo del social commerce.
È stato annunciato in una diretta Facebook da Mark Zuckerberg a metà maggio e non è ancora attivo in Italia, ma manca veramente pochissimo… Oggi vediamo nel dettaglio Facebook Shops.
Facebook in questo periodo di pandemia ha pensato soprattutto a strumenti per piccoli business e attività locali che possono aver bisogno di supporto ed ecco che arriva un’altra super novità, per chi ancora non ha un vero e proprio eCommerce, ma vorrebbe buttarsi nella vendita online.
A brevissimo sarà possibile crearsi il proprio Shop sui i social media, direttamente su Facebook e Instagram, ma in un prossimo futuro integrando anche Messenger e Whatsapp.
Le persone spendono sempre più tempo sui social media e perché non trovare un modo per mostrargli anche i propri prodotti preferiti da acquistare. Facebook non si è lasciato sfuggire questa opportunità di business, ora che le vendite online continuano a crescere.
È uno strumento gratuito, facile ed intuitivo da creare e si discosta dalla tab Vetrina che abbiamo visto fino ad ora sulla pagine e che ci permette di avere il nostro catalogo prodotti condiviso anche su Instagram per i tag shopping. Ha un’interfaccia pensata per il consumatore sempre più attivo da mobile che in modo veloce potrà acquistare i suoi prodotti preferiti.
Come funziona Facebook Shops e chi lo può attivare
L’apertura dello Shop è gratuita, ma diventa fondamentale gestire i nostri account social con Business manager, lo strumento che ci mette a disposizione Facebook per avere sotto controllo tutte le nostre risorse collegate alle sue piattaforme social.
Per settare Facebook Shops si deve infatti essere:
Amministratore della pagina Facebook (o della pagina Facebook collegata all’account Instagram sul quale si vuole lavorare)
Amministratore del Business Manager
Gestire pagina Facebook e Catalogo nello stesso Business Manager
Sembra infatti che questa funzione si attiverà gradualmente per tutti, dando priorità a chi già gestisce un catalogo prodotti e Instagram Shopping.
Arriverà una notifica e tutto sarà gestibile tramite ‘Gestore delle vendite’ che avrete già iniziato a vedere impostato e dovrete configurare.
Gestore delle vendite include una serie di strumenti pensati per vendere prodotti, gestire l’inventario ed evadere gli ordini della tua azienda su Facebook e Instagram.
Cosa potremo fare con Facebook Shops
Sarà possibile caricare un numero illimitato di prodotti sul proprio catalogo e personalizzare il look and feel del negozio a livello base.
Si potranno organizzare i prodotti in collezioni e categorie.
I consumatori potranno comunicare direttamente con noi tramite la pagina. Potranno sfogliare i prodotti e salvarli.
Potremo vedere statistiche di vendita, di visite e altro ancora.
I nostri prodotti appariranno anche nel Facebook Marketpalce, dandoci sicuramente più possibilità di visibilità.
In Italia il check out non sarà diretto su Facebook, ma verremo ancora rimandati ad un sito web esterno dove concludere l’ordine, negli Stati Uniti invece è disponibile anche la funzione di check out diretto. Sono molte però le integrazioni possibile e tra i partner più accreditati Shopify, piattaforma per creare eCommerce.
Altra novità molto interessante legata a Facebook Shops è la feature Live Shopping: a breve sarà possibile taggare i propri prodotti prima di andare Live sia su Facebook che su Instagram e quindi venderli direttamente durante la diretta stessa, nella quale verrà mostrato sempre il prodotto in questione sulla parte inferiore del video, con possibilità di acquisto immediato.
“I prodotti e i servizi venduti su Facebook e Instagram devono rispettare i nostri Standard della community e le Normative sulle vendite di Facebook. Le nostre Normative sulle vendite forniscono regole su quali tipi di prodotti e servizi possono essere offerti per la vendita su Facebook e Instagram. I venditori sono anche responsabili del rispetto di tutte le leggi e le normative applicabili. La mancata osservanza può comportare una serie di conseguenze, fra cui la rimozione dei contenuti pubblicati. Se pubblichi ripetutamente contenuti contrari alle normative di Facebook, potremmo intraprendere ulteriori azioni nei confronti del tuo account. Ci riserviamo il diritto di rifiutare, approvare o rimuovere gli annunci per qualsiasi ragione, a nostra esclusiva discrezione”.
Trovate qui l’elenco di tutti i prodotti vietati, al momento non è infatti possibile mettere in vendita:
Servizi
Medicine
Contenuti scaricabili e in abbonamento
Prodotti per adulti di carattere espressamente sessuale
Alcolici
Animali
Parti del corpo o fluidi corporei
Offerte di lavoro
Integratori quali vitamine, chitosano, barrette proteiche
Abbonamenti e prodotti digitali
Dispositivi medici e per smettere di fumare
Prodotti a base di tabacco
Esplosivi, munizioni e veleni
È inoltre limitata la vendita di buoni regalo, voucher e biglietti per eventi.
Ora non ci resta che aspettare di ricevere la notifica per poi iniziare ad impostarlo e capire cosa ci aspetta.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Facebook-Shops.jpeg501890Michela Fenilihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMichela Fenili2020-06-23 12:05:322020-06-24 18:11:28Facebook Shops: come funziona nel dettaglio la nuova opzione per vendere online
Anche il comparto del lusso ha subito forti contraccolpi a causa della pandemia, con fatturati che sono calati fino al 30%.
La Cina, primo mercato di riferimento, però, è in piena fase revenge spending, con numeri che fanno ben sperare.
Big news: anche il lusso finalmente si apre al digitale puntando alle esperienze d’acquisto personalizzate.
Da questa pandemia stiamo uscendo cambiati e sicuramente non fa eccezione l’economia, con abitudini del consumatore mutate, aziende ancora non del tutto operative, nuove misure di “distanziamento sociale”.
Non è da meno il comparto del lusso, un mercato in cui la crisi è bivalente: brand e subappaltatori italiani in difficile ripartenza e il miglior e maggior cliente, la Cina, con forti conseguenze da totale lockdown.
Ma nulla è perduto! Le stime confermano un trend di crescita positivo, seppur meno del previsto e viene finalmente sdoganato lo shopping online per i beni di lusso.
Il mercato del lusso ha, negli ultimi anni, attirato milioni di investimento e il trend si conferma in questo periodo di neo post lockdown con previsioni di incremento fino al 70% di nuovi fondi che stanno guardando a questo comparto come la prossima mossa per il 2020.
Perché? I dati parlano chiaro: il settore prevede una crescita del 10% iniziata nel 2019 fino al 2025 con un +1,9% annui e, dopo questa pandemia, con ampia manovra di sviluppo in campi come digital, shop online e tech inesistente prima del febbraio 2020.
I settori che vedranno arrivare più capitali sono quelli del beauty come la cosmetica e i profumi, gli accessori moda e il lusso digitale e sono anche i settori che hanno tenuto di più durante il periodo COVID, mentre contraccolpo negativo per hôtellerie, auto ed orologi.
Se da una parte i nuovi investimenti nel settore non sembrano rallentare, dall’altra, inevitabilmente, i consumi e le produzioni hanno subito una brusca frenata, con un calo del 30%. Questo è dovuto soprattutto al fatto che la clientela del settore è rappresentata per il 35% dalla Cina, Paese primo ad entrare in lockdown con forti conseguenze sulla sua capacità di spesa e potere di acquisto.
In periodi come questi è fisiologico che le priorità di acquisto cambino, seppur possedere ed acquistare beni di lusso rappresenti anche l’appartenere ad uno status quo, è necessario procedere per priorità, le spese per nuovi beni impossibili però sembrano solo posticipate, niente cancellazione quindi soprattutto tra i giovani e la Gen Z, i maggiori acquirenti del mercato.
In Cina, infatti, sono le nuove generazioni e le zone emergenti ad essere affamate di beni nuovi grazie anche all’influenza dei social, un pubblico che in questo momento è pessimista per il peggioramento della loro condizione economica a causa del lock-down, ma che dichiara anche di voler tornare a comprare come prima appena tutto sarà finito.
Due cose il comparto dovrebbe imparare dopo questo trimestre: il lusso al giusto prezzo e che l’online non è il diavolo, ma un’opportunità.
Il lusso al giusto prezzo, infatti, ha dato un segnale al mercato importante sul fatto che potrebbe essere l’occasione per ampliare la clientela con una corretta segmentazione il settore potrebbe rispondere in maniera più solida ai contraccolpi di cali di fatturato.
L’online è un’opportunità soprattutto per chi non lo ha ancora esplorato e questa è un’inevitabile conseguenza che ci porteremo tutti dietro dopo questa pandemia, d’altronde se non si può stare “vicini” come prima è necessario trovare un altro modo, un’esperienza d’acquisto online personalizzata, store digitali con assistenti reali che guidino il cliente nel suo shopping o un processo d’acquisto online che si finalizzi nello store, ma il negozio fisico seppur di alto livello ormai non è più sufficiente.
Una cosa mi ha stupita, lo “store” in cui avvengono i maggiori acquisti del comparto sono gli aeroporti e con il turismo limitato è il punto vendita che ha in assoluto registrato numeri negativi ed è da sempre stata la fonte maggiore di guadagno per il settore.
La luce a fine tunnel c’è e si vede. Gli esperti dichiarano che tra il 2022 e il 2023 si ritornerà al livello di spesa pre Covid con la Cina sempre in testa nella ripresa, anche per il 2020 anno in cui sarà l’unica a chiudere in positivo.
Insomma, la situazione non è così nera come ci si aspetta, ma sicuramente sarà una nuova ripresa, diversa e che avrà cambiato anche un settore così tradizionale ad ancorato agli store fisici.
Si sa, gli autoregali e la voglia di avere qualcosa di nuovo sono i migliori antidoti a malumore e depressione. Anche con l’apertura delle attività post Covid si conferma questo trend che ha un vero e proprio nome: Revenge Spending, la voglia di riscattarsi dopo un periodo di limitazioni attraverso lo shopping, insomma il classico shopping consolatorio.
Tra i settori più colpiti da questo shopping compulsivo ci sono ristoranti, viaggi, locali e, naturalmente, i negozi, brand del lusso compresi.
Non solo Cina, anche il mercatoindiano è sotto la lente d’ingrandimento dei brand di lusso che si aspettano da questo altro Paese emergente una crescita di volume d’affari tra il 10 e il 15 percento, ma non solo nell’ambito “grandi marchi internazionali” che sicuramente traineranno il comparto, ma anche dai luxury brand indigeni come abbigliamento e accessori sotto il marchio Indian Apparel, ma anche servizi, turismo, auto e beni immobili con un settore che vale circa il 30% del mercato totale.
Il mercato asiatico, ma più in generale il mercato dei beni di lusso, oltre a registrare le sue maggiori vendite nel contesto turistico ed aeroportuale, rappresenta per l’acquirente l’occasione di essere arrivato, di ostentare, anche, il suo potere di acquisto e di sentirsi parte di un’élite.
Se in India la fetta più ampia di clientela è rappresentata dagli uomini di affari e dalle loro famiglie, per il popolo cinese è la Generazione Z, oltre ai Millennials, quella che guida la classifica con previsioni di spesa che si aggirano sui 43 miliardi di dollari entro il 2024.
Per questo segmento, infatti, non è più l’ostentazione la motivazione d’acquisto, ma il “social capital” sentirsi, cioè, parte di un gruppo. Vedetela come: per noi in adolescenza se non avevi il motorino non eri nessuno, ora gli adolescenti nel 2020 se non hanno l’ultimo paio di scarpe droppato da Nike o un bell’orologio importante si sentono ai margini del loro gruppo.
Sicuramente il periodo che stiamo attraversando ha significato un parziale cambio di rotta e di regole per i player del settore che, pur di non perdere il loro mercato principale, hanno abbassato prezzi e tassazione puntando sul comparto digitale, pensate che Burberry, Guerlain o La Mer hanno deciso di aprire un loro store su Alibaba.
Queste scelte strategiche, fatte anche di acquisti di prossimità, hanno portato fin dal mese di aprile ad una ripresa, per marchi come Louis Vitton, Dior ed Hermès i dati parlano già di +50%.
Oltre a ciò un trend importante viene avanti: la valorizzazione di marchi cinesi coppia della volontà di ridurre, soprattutto dopo questa pandemia, la dipendenza del Paese dal mercato estero che per i brand stranieri, anche quelli più conosciuti vuol dire prendere in considerazione una distribuzione diretta in Cina o ad installare parte della produzione direttamente sul territorio asiatico.
Dopo questo Covid si parlerà, insomma, di Km0, o quasi, anche per lo shopping di alto livello.
Una promettente ripartenza dei più grandi marchi del comparto del lusso
I veri imprenditori non rimangono mai con le mani in mano e ce lo hanno dimostrato anche e soprattutto i grandi nomi della moda e del lusso durante questa emergenza, c’è chi ha convertito la propria produzione per offrire un prodotto utile alla comunità e c’è chi ha voluto fare donazioni alle strutture sanitarie. Insomma tutti hanno voluto dare una mano.
Per citare alcuni degli esempi più chiacchierati: Dior e Armani hanno convertito le loro produzioni tessili, la prima per mascherine produttive e la seconda per camici monouso; lo stesso gruppo Armani e l’omonima squadra di basket hanno voluto donare dei capitali alle terapie intensive milanesi e lombarde; lo stesso ha fatto il gruppo OTB devolvendo in beneficenza il 10% del ricavato di ogni vendita, Valentino, Geox e Diadora anche loro protagonisti di cospicue ed utili donazioni; Gucci e Prada forzando la loro produzione alla realizzazione di mascherine e camici monouso; LVMH, invece è passata dai profumi al gel disinfettante distribuito in modo gratuito agli ospedali.
Ma se anche i big del Made in Italy e non solo hanno registrato cali di fatturato causati da pandemia e contrazione dei consumi, il settore più colpito sarà quello dei piccoli artigiani a cui i grandi brand subappaltano parte della produzione per garantire la qualità del fatto a mano.
Un esempio rilevante viene dalla produzione del cuoio, scorte accantonate su stime del periodo che però ora non possono essere lavorate per mancanza di richiesta. Quindi cosa fare? Comprare i piccoli produttori o lasciarli fallire?
Come già detto sopra i segnali positivi di ripresa ci sono, come le cifre record incassate da Hermès nella sola giornata dell’11 aprile: 2,5 milioni di euro registrati dalla boutique locale di Canton. E per l’occasione non volevamo lanciare la nuova Birkin tempestata di diamanti?
Sicuramente questi dati incoraggianti avvalorano di nuovo la tesi della Revenge Spending, i consumatori si sono stufati di spendere solo per le spese essenziali, c’è voglia di ritornare a concedersi qualche vizio in più.
Dopo ogni momento di cambiamento è necessario capire quali sono le nuove strategie e i nuovi comportamenti da adottare per non farsi cogliere impreparati e rimanere il più possibile sul mercato.
Sicuramente dopo questa pandemia i brand, non solo del lusso, si sono resi conto di due leve ancora forse inesplorate: le vendite online e le vendite di prossimità.
La vendita online rappresentava prima del 2020, per alcune aziende, una strategia di mercato lontana o inesplorata, ma i lock-down ha portato i consumatori in modo più o meno consapevole ad accelerare le loro abitudini e il loro salto culturale verso il digitale, sia in termini lavorativi con lo smart-working, sia in termini di abitudini d’acquisto con la preponderanza dello shopping online.
In netta contrapposizione, le vendite di prossimità, che non significa solo lo store fisico dietro l’angolo, ma anche l’iniziare a pensare al proprio cliente come persona ricca di valori e necessità e non solo un numero da mettere a budget. Questo vuol dire che le comunicazioni e le strategie pubblicitarie devono iniziare ad apprendere un tone of voice più umano portavoce di valori aziendali veri e condivisi
Sicuramente i grandi brand del comparto del lusso stanno sperimentando queste due nuove leve, con l’apertura di esperienze di shopping online prima impensabili e con la creazione di store fisici o esperienze d’acquisto più personali e personalizzabili.
La luce in fondo al tunnel c’è, basta vederla.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/luxury-mercato-ripresa.jpg453636Emikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmiko2020-06-22 17:39:012020-06-22 17:39:03Il comparto del lusso: dalle riconversioni alla ripresa nelle vendite grazie alla Cina
C’è chi, come Oberalp, trasforma i materiali di scarto delle tute da sci in cinture e accessori. Chi, come Loop, realizza packaging riutilizzabili. E chi, come Flowe, si serve di gaming ed educazione finanziaria per spingere le persone ad acquisti più consapevoli e per riforestare il Pianeta.
Esperienze diverse tutte accomunate da una parola: brand activism, ovvero la ricerca di uno scopo, di un impatto positivo sugli altri e sull’ambiente, che superi la mera logica del guadagno.
L’espressione è immortalata in un libro, considerato uno dei testi più importanti sulla materia, “Brand Activism. From purpose to action”, scritto da due guru del marketing come Philip Kotler e Christian Sarkar, per i quali il brand activism è la responsabilità che l’azienda si assume in ambito sociale, con una serie di iniziative volte al raggiungimento di un bene comune.
Dalla teoria alla pratica: abbiamo raccolto cinque esempi di “brand activism” nel mondo, dall’Italia, agli Stati Uniti, fino all’Australia. Li raccontiamo in questo articolo.
1. Oberalp lotta contro i perfluorocarburi
Gruppo storico di Bolzano, nato nel 1846 e specializzato nei prodotti di abbigliamento e attrezzature per sport alpini, da circa un decennio ha deciso di puntare fortemente sulla sostenibilità ambientale. Per farlo ha creato un gruppo di lavoro interno dedicato proprio alla Corporate Social Responsibility, che sta lavorando su più fronti.
La riduzione dei perfluorocarburi (si tratta di composti sintetici molto impiegati nell’abbigliamento sportivo) con un impatto dannoso sull’ambiente: l’azienda ha, per esempio, deciso di non utilizzare fluorocarburi nel 65% della sua produzione. Inoltre, ha puntato sul riutilizzo, trasformando i materiali di scarto delle divise di sci in cinture e altri accessori, e sul riciclo di vecchi appendiabiti, che diventano oggetti di design grazie alla collaborazione con l’Università di Bologna.
2. Burwood Brickworks e i carrelli di bottiglie riciclate
Nato a Melbourne, in Australia, il Burwood Birckworksè il centro commerciale più sostenibile del Pianeta, secondo una classifica di Living Future Institute.
A partire dall’utilizzo dell’acqua, che viene riciclata nell’edificio per il sistema di raffreddamento o per l’irrigazione dell’orto sul tetto, aperto ai visitatori che possono coltivare liberamente verdure e mangiarle. L’elettricità necessaria arriva da pannelli solari e da centri di energia pulita, situati nei pressi della struttura. Nel parcheggio esterno sono installate stazioni di ricarica per auto elettriche. Oltre a soluzioni davvero originali: come il carrello della spesa fatto di bottiglie di latte riciclate.
3. Flowe e la better being economy
Apri un conto via app in otto minuti, ottieni una carta in legno certificato e pianti un albero nella regione del Pèten in Guatemala. Questo e tanto altro è Flowe, la startup guidata da Ivan Mazzoleni, che opera all’interno di BancaMediolanum, il gruppo guidato da Massimo Doris.
L’app fintech, pensata per attrarre i giovanissimi, ambisce a creare un nuovo mercato unendo finanza, educazione, sostenibilità e gaming. Grazie a partnership con altre startup, consente di tracciare l’impatto economico generato dai propri consumi, contribuire alla riforestazione del Pianeta, finanziare progetti idrici in villaggi bisognosi.
“Abbiamo creato un ecosistema, una better being economy, dove l’individuo impara ad avere uno stile di vita più sostenibile, a vivere in armonia con gli altri e con la natura. Il nome stesso del brand e il pittogramma riconducono gli esseri umani a una goccia d’acqua, unica ma parte di un flusso”, spiega Mazzoleni nel giorno della presentazione della startup al Campus Mediolanum, alla presenza del già citato Doris, e di Oscar di Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum.
Di Montigny evidenzia nel suo intervento come “Flowe non vuole essere un’azienda, ma una piattaforma, un ecosistema, che aiuta i suoi utenti ad avere consapevolezza dell’impatto dei loro comportamenti sugli altri e sull’ambiente. E sulla base di questa consapevolezza possono migliorarsi continuamente”.
Per coinvolgere un pubblico di giovanissimi, Flowe ha attinto dal linguaggio del gaming. Gli utenti, sulla base di alcune azioni virtuose, ottengono delle gemme, cioè dei punti premio, che possono poi convertire per comprare gift card su Amazon, Decathlon, Media World.
“Rispetto ai competitor abbiamo costruito una dimensione comunitaria, un senso di appartenenza forte che va ben oltre il mondo finanziario. Oggi abbiamo già 15mila utenti sulla piattaforma”, conclude Massimo Doris.
4. Loop e il ritorno del fattorino del latte
“Abbiamo chiesto alle aziende di considerare il packaging come un asset e non come un costo”, spiega a Fast Company, Tom Szaky, imprenditore del New Jersey, fondatore di Loop, specializzata nell’ideazione di packaging riutilizzabili.
Il concetto è un po’ simile a quello del “fattorino del latte” che portava la bevanda in bottiglie di vetro riciclabili direttamente dietro la porta di casa. Il cliente usa il prodotto in un packaging originale e alla fine, quando l’ha consumato, chiama Loop che va a ritirare gratuitamente la confezione, pronta per essere riutilizzata.
L’iniziativa ha già visto l’adesione di brand come Procter & Gamble, Unilever, Mars, Nestlé, PepsiCo e Coca-Cola, tra gli altri.
5. Refurbed rigenera dispositivi elettronici
Innovazione e sviluppo tecnologico devono vivere in totale armonia con la natura. Questo è il credo di Kilian Kaminski, austriaco, ideatore di Refurbed, piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici.
I vecchi telefoni sono riparati, testati, reimballati e rimessi in vendita. Ex Amazon, Kilian ha iniziato sviluppando un programma di vendita per prodotti rigenerati, internamente al gruppo di Jeff Bezos. Ma poi ha compreso che il colosso non aveva interesse a investire nel settore. Allora ha scelto di “mettersi in proprio”.
I numeri gli hanno dato ragione: in tre anni, l’azienda ha superato i 100 mila clienti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/brand-activism.jpg452596Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-06-19 14:19:422021-01-05 15:27:065 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione
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