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5 brand sostenibili che hanno scelto l’ultimo trend della moda: la canapa

  • I dati relativi all’impatto ambientale della moda fast-fashion hanno dimostrato come questo modello di business non sia sostenibile sul lungo periodo;
  • La risposta di molti brand a questa crisi è l’utilizzo di materie prime che riducano le emissioni, prima tra tutte la fibra di canapa tessile.

 

Da tempi immemori vittima del proibizionismo e oggetto di innumerevoli controversie, la pianta di canapa si conferma sempre di più una preziosa risorsa nei più svariati settori industriali (bioedilizia, alimentare, tessile, e via dicendo), in un momento storico in cui la necessità di una svolta sostenibile appare lampante come mai prima d’ora.

L’enorme potenziale di questa materia prima non è sfuggito ai brand di moda più attenti alle problematiche ambientali, che vogliono mantenere alti gli standard qualitativi dei loro prodotti, e allo stesso tempo adottare un approccio sostenibile per ridurre le emissioni inquinanti.

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito alla crescita smisurata del fenomeno fast fashion, denunciata da Giorgio Armani nella sua lettera aperta al quotidiano americano Women’s Wear Daily come responsabile non solo di un netto abbassamento della qualità dei capi sul mercato, ma anche di aver fatto dell’industria tessile una vera e propria minaccia per il pianeta.

La moda fast, si sa, alimenta costantemente l’impulso all’acquisto ed è caratterizzata da un sempre più rapido ricambio di capi d’abbigliamento, economici e fatti per non durare troppo a lungo (chi produce fast fashion arriva a lanciare fino a 50 collezioni in un anno). Questa logica di produzione ha degli effetti a dir poco devastanti per il pianeta, in termini di sovrapproduzione e conseguente difficoltà di smaltimento della mole di invenduto, oltre che impiego di materie prime e tecniche di lavorazione ad alto impatto ambientale.

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Per citare solo qualche dato relativo ai materiali maggiormente impiegati, il cotone occupa da solo il 3% dei terreni coltivati in tutto il mondo e richiede il 25% di pesticidi e fertilizzanti impiegati in totale; mentre per la produzione di poliestere, fibra che da sola copre il 47% dell’intera produzione d’abbigliamento a livello mondiale, ogni anno viene rilasciato nell’atmosfera l’equivalente delle emissioni di gas serra generate da 185 centrali elettriche e a carbone.

La coltivazione della canapa industriale, invece, richiede meno di un terzo delle risorse idriche e dei pesticidi impiegati per la produzione del cotone, con una resa di fibre estratte per ettaro del 250% in più. Rispetto al lino, si calcola addirittura una resa maggiore del 600%.

Senza contare che netta riduzione di CO2 nell’atmosfera a cui si andrebbe incontro, incrementando la coltivazione di questa pianta che, in fase di crescita, si stima che assorba una quantità di anidride carbonica pari a 4 volte quella immagazzinata dagli alberi.

Gli indumenti realizzati a base di fibre di canapa sono circa 2,5 volte più resistenti dei tessuti sintetici oltre che completamente biodegradabili: proprio per questo, molti brand che fanno della sostenibilità un punto focale della propria mission, continuano ad investire nella ricerca e sviluppo di materiali e tecnologie per la realizzazione di capi hemp-based.

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Tra i brand più eco-friendly, ecco quelli che si sono distinti negli ultimi anni per aver ideato e realizzato intere linee che vedono come protagonista questa pianta dalle innumerevoli risorse.

Levi’s Wellthreat x Outerknown

Marchio per antonomasia del jeans in denim, Levi Strauss & Co, ha presentato alla fine della scorsa estate una nuova collezione, realizzata in collaborazione con il brand d’abbigliamento Outerknown, interamente a base di cottonized-hemp, una fibra ottenuta dalla miscela cotone e canapa.

Con un occhio rivolto all’innovazione e l’altro alla responsabilità sociale e ambientale, il colosso californiano del blue jeans apre così la strada a un nuovo denim più green, puntando a ridimensionare in maniera significativa l’utilizzo di acqua e pesticidi nelle coltivazioni destinate alla produzione.

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Patagonia

Il noto brand di abbigliamento tecnico e sportivo outdoor, da sempre attento ad offrire ai suoi clienti solo capi di prima scelta, presenta la sua prima linea di hemp clothing nel 2017, a base di fibre di canapa miste a cotone organico, poliestere riciclato e tencel.

L’azienda, impegnata sul fronte sostenibilità, mira a recuperare un antico know how in materia di coltivazione e lavorazione delle fibre di canapa, in particolar modo dopo l’approvazione del “2018 Farm Bill” che sancisce l’erogazione di incentivi per la coltivazione e la ricerca sulla canapa industriale.

L’obiettivo di Patagonia è sfruttare a pieno il potenziale di quest’opportunità di business, come dichiarato da Alexandra La Pierre, responsabile ricerca e sviluppo materiali di Patagonia:

“Non abbiamo coltivato la canapa negli USA da così tanti anni da aver perso parte di questa tradizione e della nostra conoscenza storica. Ora è il momento di recuperare”.

Jungmaven

Brand d’abbigliamento casual, per Jungmaven la moda sostenibile è una vera e propria vocazione, e fin dalle sue origini ha puntato sulla canapa come materia prima per la sua capacità di rigenerarsi rapidamente e gli enormi benefici sull’ambiente.

Con un’esperienza ultraventennale in ambito hemp clothing, oggi Jungmaven è un marchio d’alta moda eco-consapevole, i cui capi sono sfoggiati da molte celebrità.

Utilizzare la canapa è una scelta etica, un atto di responsabilità verso il pianeta, che diventa parte di un cambiamento a tutto tondo, che implica un ripensamento di un stile di vita culturalmente e socialmente determinato.

Recreator

Street e irriverente, Recreator non si accontenta di adottare la canapa come materia prima, ma sfida ogni pregiudizio giocando con gli stereotipi sulla pianta, con delle grafiche sulle sue t-shirt che di certo non mancano di creatività.

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Coniugando le tradizionali tecniche di coltivazione della pianta con le tecnologie di lavorazione più innovative, e condendo tutto con uno stile underground, l’azienda di Los Angeles trasforma la canapa da hippie a hipster.

Hempy’s

Come suggerito dal nome del brand, anche il modello di business adottato in casa Hempy’s mette in primo piano la salute del nostro pianeta, proponendo capi di qualità a prezzi comunque accessibili.

Tutti gli articoli firmati Hempy’s sono realizzati in canapa e cotone organico, per poter garantire capi resistenti, traspiranti e che non provochino prurito o irritazione.

Casual e confortevoli, i prodotti Hempy’s si adattano a qualsiasi stile e spaziano dall’abbigliamento agli accessori, e constano anche di una linea di cosmetici bio, naturalmente, anche questi hemp-based.

Decreto liquidità, accordo Banca Sella-Credimi per finanziamenti “Liquidità 100”

In questi giorni abbiamo compreso sempre meglio quanto sia essenziale questo aspetto per le aziende per un reboost di tutte le attività.

Banca e Fintech oggi sono insieme per favorire l’accesso alla liquidità alle ditte individuali, in modalità totalmente digitale, senza andare in succursale, e in tempi molto veloci. Banca Sella, già attiva nell’open banking, nell’ambito delle iniziative che sta avviando per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza covid-19, ha firmato un accordo con la Fintech Credimi, leader europeo del finanziamento digitale alle imprese, nella quale detiene anche una partecipazione.

Grazie a questa partnership Banca Sella potrà garantire ai propri clienti, che svolgono attività economica rientrante nel perimetro previsto dal cosiddetto decreto liquidità, tempi ancora più rapidi per la gestione delle domande di finanziamento previste dal decreto, che prevede la possibilità di richiedere un prestito fino a 25 mila euro o comunque non superiore al 25% dei ricavi 2019, con la copertura del Fondo di garanzia del 100%.

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Credits: Depositphotos #79691248

Come funziona l’accordo

Le ditte individuali, clienti di Banca Sella, potranno richiedere questo finanziamento direttamente dall’internet banking, senza passaggi in filiale e senza presentare alcun modulo o documento cartaceo. A questo punto la domanda verrà presa in carico dai sistemi di Credimi, che processerà la richiesta in maniera quasi automatica, interfacciandosi digitalmente con il Fondo Centrale di Garanzia, senza alcun aggravio per il cliente, escluse le firme (tutte digitali) richieste dalla legge. La risposta arriverà sempre in pochi giorni e l’erogazione avverrà immediatamente dopo il rilascio della garanzia. Questo processo di lavorazione – dedicato alla partnership con Banca Sella – è stato messo a punto e rilasciato in una settimana.

“L’accordo con Credimi – ha dichiarato Andrea Massitti, Head of Corporate and Small Business di Banca Sella – rientra nell’ambito delle iniziative che la nostra Banca ha messo in campo nelle ultime settimane per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza Covid-19. In particolare, rispetto alle domande di finanziamento previste dal decreto liquidità, ci siamo organizzati per garantire ai nostri clienti tempi rapidi nella gestione delle richieste sia al nostro interno che attraverso la partnership strategica con Credimi. Questa organizzazione ci permette di rispondere alle esigenze dei clienti ed evadere le richieste nel minor tempo possibile”.

Da Gucci a FCA, quali sono stati i brand italiani che hanno riconvertito la produzione durante l’emergenza

  • Tanti brand si sono ritrovati, a seguito della pandemia da Coronavirus, a dover riconvertire la propria attività producendo mascherine, camici e gel igienizzanti;
  • Circa 180 aziende italiane del settore moda (ma non solo) si sono unite e hanno creato delle filiere per aiutare il personale sanitario.

 

In questi mesi, il mondo è cambiato. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha modificato le vite e le abitudini di ognuno di noi, ha trasformato il nostro lavoro e riadattato le nostre priorità, ha messo a dura prova la nostra resistenza, la forza d’animo ed economica di ogni singolo individuo e ogni singola famiglia. Adesso la ripartenza sembra sempre più vicina, anche se molto lenta e graduale.

Tutti, in un modo o nell’altro, hanno fatto la propria parte e dato il proprio contributo alla causa. Dal più piccolo gesto di solidarietà alla più grande e “rumorosa” donazione economica, chi ha potuto aiutare – in linea di massima – in questo periodo, lo ha fatto.

Sono tantissimi, ad esempio, i brand italiani che hanno riconvertito la propria attività e si sono messi a produrre mascherine, camici e gel igienizzanti da fornire gratuitamente al personale sanitario, in prima linea per affrontare l’emergenza, e ai cittadini italiani.

Vediamone alcuni.

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Il settore fashion: da Fendi a Calzedonia

Sono state circa 180 le aziende italiane della moda che si sono unite ed hanno creato due filiere per produrre ben 2 milioni di mascherine al giorno, per la maggior parte pro bono. Grandi brand come Fendi, Gucci, Armani, Valentino e Ferragamo hanno riconvertito – almeno in parte – la propria produzione, per fronteggiare l’emergenza Coronavirus

La casa di moda Ermanno Scervino ha acquisito a pieno la modalità di lavoro in smart working per i propri dipendenti e gli ha chiesto di realizzare mascherine da destinare alle aziende sanitarie della Toscana. Ogni giorno, alcuni addetti consegnano alle sarte di Scervino il cosiddetto “tessuto non tessuto” per realizzare le mascherine e ritirano i prodotti già confezionati.

Ancora, Prada ha realizzato 80 mila camici e 110 mila mascherine. 

Gucci ha donato 1 milione e 100 mila mascherine chirurgiche e 55 mila camici alla Regione Toscana. E Giorgio Armani, dopo aver donato 2 milioni di euro agli ospedali, ha convertito tutti i propri stabilimenti produttivi per realizzare camici monouso per gli operatori sanitari. 

Anche Calzedonia ha riconvertito la propria produzione e formato il proprio personale per realizzare materiale monouso da donare a chi lavora in trincea contro il Covid-19.

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Da Menarini a #RaiseYourSpirits di Bacardi

Non soltanto camici e mascherine, ma anche gel igienizzanti e prodotti disinfettanti per ambienti. Ad occuparsene, ai tempi del Covid, sono state tantissime aziende italiane che hanno – in parte o completamente – riconvertito la propria produzione e aiutato tantissime persone e strutture.

Il colosso farmaceutico Menarini ha deciso di produrre 5 tonnellate di gel disinfettante a settimana da donare agli ospedali. Bulgari ha prodotto gel disinfettante per un totale di 6000 pezzi al giorno, 200.000 pezzi in circa due mesi.

E ancora, L’Erbolario e l’azienda Davines di Parma hanno lavorato per produrre e consegnare enormi quantità di gel e disinfettanti per ospedali e strutture sanitarie.

Tra i tanti, Bacardi si è distinto non solo per aver utilizzato il suo alcol per realizzare gel disinfettanti, ma anche per l’iniziativa #RaiseYourSpirits attraverso la quale ha messo a disposizione dei membri della comunità dei bartender di tutta l’Europa occidentale 1,5 milioni di euro. 

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Ma sono ancora tantissime le piccole e grandi aziende e le industrie che si sono messe alla prova e hanno dato una mano ad un’Italia fortemente provata dall’emergenza sanitaria. Gli ingegneri di FCA e Ferrari, ad esempio, stanno collaborando con l’azienda Siare Engineering – una delle poche produttrici di respiratori – per aiutarli ad aumentare la produttività.

Ancora, industrie tessili come Confindustria Moda e Bc Boncar che hanno intercettato i materiali idonei alla realizzazione di camici e mascherine e hanno cominciato a produrne per dare una mano alla comunità.

C’è poi il caso di Apulia Stretch che ha sperimentato un nuovo tessuto idrorepellente all’esterno e idrofobico all’interno, molto simile al “tessuto non tessuto” (Tnt) che sarà distribuito alle sartorie e utilizzato per produrre mascherine.

Insomma, esiste un’Italia che davvero non si ferma e non lascia solo chi ne ha bisogno. Sono i brand conosciuti in tutto il mondo per l’alta qualità delle proprie produzioni e il grande cuore che mettono nel proprio lavoro, anche quello che prescinde la quotidianità. 

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La plastica biodegradabile offre una nuova prospettiva al riciclo, grazie agli scarti di cibo

  • Gli effetti della plastica riversata negli ambienti ha spinto le aziende a rimediare ai danni che tutti noi da troppi anni abbiamo recato all’ecosistema;
  • Anche gli scarti delle nostre tavole potranno essere trasformati in oggetti di uso comune grazie ad alcune colonie di batteri.

 

La plastica biodegradabile ha iniziato a segnare punti contro la plastica derivata da petrolio. La “guerra” è iniziata già da diversi anni e le grandi aziende insieme a biologi collaudano e sperimentano tecniche di riciclo sempre più affinate.

La green economy si sta imponendo sempre più, sensibilizzando non solo l’intero processo produttivo ma coinvolgendo anche nuovi attori in nuovi ruoli. L’intento è ovviamente quello di scusarsi con tutto l’ecosistema per i danni provocati fino ad ora.

La plastica ad oggi è uno dei maggiori inquinanti tra tutti i rifiuti di cui ci liberiamo e che riversiamo nell’ambiente – soprattutto marino – con le catastrofiche conseguenze sulla fauna che non possiamo più far finta di ignorare. Questa volta, però, parliamo dei rifiuti alimentari: una volta finiti in discarica, la loro decomposizione produce emissioni di carbonio, complici insieme ad altre materie inquinanti di agevolare il disastroso cambiamento climatico

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Cosa hanno in comune le bucce di banana e la plastica?

Da qualche anno si stanno perfezionando dei processi dedicati proprio ai rifiuti alimentari. Da questi infatti è possibile ottenere un tipo di plastica biodegradabile, “naturale”, che dà vita a materiali completamente compostabili. E così le bucce della frutta, l’olio di frittura, le patate e altre materie prime, invece di essere lasciate libere di trasformarsi in carbonio e gas serra, avranno una nuova vita tutta degna di stima. Oggetti o prodotti di uso comune, come stoviglie o imballaggi, decomponibili ed ecologici.

Le bioplastiche in questione, non provenienti dal petrolio e totalmente naturali, sono i PHA (poliidrossialcanoati) – polimeri poliesteri termoplastici – cioè catene lineari di molecole combinate tra loro e facilmente malleabili grazie al calore. 

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Batteri produttori di plastica

Il tipo di plastica tutta naturale deriva, in parole povere, dal processo di digestione di diverse colonie di batteri. I PHA nient’altro sono che il prodotto di questi esseri unicellulari, ottenuto attraverso il processo di sintetizzazione di zuccheri e lipidi in particolari condizioni di coltura come l’eliminazione di azoto, zolfo e fosforo.

La trasformazione in PHA avviene in circa sette giorni e sono coinvolte varie specie batteriche (Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas,etc) che, come in una catena di montaggio, hanno ognuna il proprio ruolo produttivo. Una coltura di batteri si occuperà di scomporre i rifiuti alimentari in minuscoli blocchi di carbonio. Il ruolo della seconda coltura sarà quello di mangiare il carbonio e immagazzinarlo nelle proprie cellule. Il prodotto finale, che per i batteri è accumulo di energia, a noi si presenta sotto forma di granuli che opportunamente estratti daranno vita a materia plastica biodegradabile.

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La plastica biodegradabile che si crea e che si distrugge

Questa nuova alternativa vede come protagonista la startup canadese Genecis. L’azienda biotecnologica, nata nel 2016, intende creare plastica biodegradabile ad uso commerciale e lanciarla presto a prezzi relativamente bassi, aprendo così la strada ad una nuova consapevolezza verso l’economia circolare. Il nuovo materiale ha una bassa permeabilità all’acqua e un’alta resistenza termica ma presenta le medesime proprietà della plastica a base di petrolio. La sua degradazione però è veloce: circa un anno in ambiente terreno e marino.

Inoltre, in partnership con Sodexo, società di servizi alimentari, Genecis si vede impegnata a riconvertire gli sprechi delle mense aziendali in prodotti compostabili riutilizzabili dalle mense stesse. Un interessante progetto a dimostrazione della funzionalità della tecnologia a favore delle economie circolari.

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Una tecnologia dunque che servendosi di materie naturali e grazie al prezioso aiuto dei batteri potrebbe risollevare le sorti dell’ambiente. Un ricircolo di materie che provengono dalla terra e ad essa ritornano dopo diverse vite vissute sotto differenti forme. Si spera in questa alternativa responsabile che probabilmente non cambierà le nostre abitudini al monouso ma che ci abituerà a fare scelte di acquisto più sostenibili, come è giusto che sia.

Nel tech per le donne ci sono ancora stereotipi da abbattere e insicurezze da vincere

  • È un dato di fatto: le aziende che assumono donne sono più produttive, ciononostante il gender gap continua a persistere;
  • Le insicurezze e gli stereotipi influenzano i percorsi lavorativi delle donne nel settore tech;
  • Il report della Commissione europea dimostra che gli uomini – a parità di esperienza – valutano con più ottimismo le proprie competenze rispetto alle donne.

 

Prima di approfondire la tematica “donne in tech”, è necessario citare gli studi della Columbia University secondo i quali aziende con alte percentuali di dipendenti donne superano i loro concorrenti in termini di redditività. Nonostante ciò, posizioni di vertice, promozioni e salari più alti non sono equamente distribuiti tra i generi. I motivi attribuiti al divario sono diversi, tra cui le barriere burocratiche e le differenze culturali. Numerosi studi, inoltre, dimostrano come la carenza di fiducia nei propri mezzi delle donne le spinga spesso a sottovalutarsi e a frenarsi.

La disparità per le donne in tech

Women in the digital age, il report della Commissione Europea sulla disparità di genere nel settore tecnologico, dimostra che il divario tra uomo e donna è ancora grande. Il gender gap nelle alte posizioni dell’high-tech è ancora quasi il doppio rispetto agli altri settori.

Al giorno d’oggi, nel settore della programmazione, le developer di sesso femminile sono sotto-rappresentate. Il digital report conferma il cosiddetto “confidence-gap” ovvero che le donne – a parità di anni di esperienza dei colleghi maschi – sottovalutano le loro capacità. Su una scala da 1 a 10, più del 70% dei developer maschi hanno valutato le loro abilità nella programmazione con voto 7 o più, mentre solo la metà delle donne ha scelto di darsi un voto uguale o superiore al 7.

Report "Women in the digital age"

Statistica tratta dal report della Commissione europea “women in the digital age”

Gli stereotipi di genere hanno fatto sì che le donne tendano molto meno degli uomini a pubblicizzare i risultati ottenuti.

La scrittrice e giornalista di ABC News Claire Shipmann, nel suo libro “The Confidence Code”, racconta che inizialmente giustificava il suo successo avuto come corrispondente della CNN con un semplice “sono solo fortunata”, essendosi trovata a suo parere nel posto giusto al momento giusto.

Inconsciamente credeva che i suoi colleghi di sesso maschile, in quanto più sicuri di sé, dovessero parlare di più in televisione rispetto a lei. Ma erano davvero più competenti?

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Donne in tech: l’insicurezza alla base delle scelte lavorative

La carenza di fiducia femminile è sempre più quantificata e documentata. Nel 2011, l‘Institute of Leadership and Management, nel Regno Unito, ha effettuato un sondaggio tra i dirigenti britannici sulla fiducia che hanno nelle loro competenze. La metà delle donne intervistate ha espresso dubbi su prestazioni lavorative e carriera, rispetto a meno di un terzo degli intervistati di sesso maschile. 

Hewlett-Packard (HP) diversi anni fa ha condotto degli studi per cercare di capire come portare più donne nelle posizioni di vertice. La revisione dei documenti interni ha rilevato che le donne assunte da HP hanno presentato domanda di promozione solo quando ritenevano di soddisfare il 100% delle qualifiche elencate per la posizione offerta. Gli uomini invece erano felici di candidarsi quando pensavano di poter soddisfare il 60% delle esigenze lavorative. Vari studi antecedenti a quelli di HP confermano l’ipotesi che la maggioranza degli uomini, seppur sotto-qualificati e sotto preparati per una certa mansione, non pensano due volte prima di lanciarsi in una nuova sfida.

Il cosiddetto “sesso debole” in realtà non lo è. È forse debole chi passa ore ed ore in sala parto per mettere al mondo un figlio? È debole colei che mensilmente si reca al lavoro seppur abbia il ciclo con forti dolori mestruali? È debole chi giostra famiglia-lavoro-casa?

Storia di una donna in tech: Mada Seghete, dal fallimento al successo

La carriera di Mada Seghete, oggi CEO di una startup della Silicon Valley, è iniziata quando ha lasciato la sua città natale in Romania per studiare ingegneria informatica negli Stati Uniti. Rimasta poi all’università per ottenere anche un master in economia aziendale, il suo primo tentativo di avviare un’azienda è stato un fallimento, ma proprio in quel momento di crisi ha scoperto una lacuna sul mercato, trasformando così la sua impresa.

Seghete racconta d’aver trovato equilibrio e supporto in gruppi di imprenditrici, dove ha potuto esprimere liberamente dubbi e insicurezze.

“Credi nel fatto di potercela farce. Credi che solo il cielo sia il limite. Credi che puoi fare più di quanto pensi di poter fare”.

In questa video-intervista racconta la sua carriera come donna in tech.

Il femminismo non è contro il genere maschile

Il femminismo ideologicamente non combatte per togliere diritti al genere maschile, ma combatte per ricevere equamente gli stessi diritti. Scende in strada anche per i diritti degli uomini, dei padri. Perché anche i neo-papà, al giorno d’oggi, non possono automaticamente prendersi un periodo di paternità, a meno che le circostanze non lo richiedano.

Ciononostante, molte persone alla parola “femminista” storcono ancora il naso o rispondono con un semplice “il mondo ha altri problemi”. Parlando di problemi, vogliamo citarne solo alcuni:

  • I dati del rapporto Eures 2019 su Femminicidio e violenza di genere mostrano che in Italia nel 2018 sono state 142 le donne uccise, +0,7% rispetto all’anno precedente, il valore più alto mai censito in Italia;
  • Il senato del Missouri nel 2019, composto maggiormente da uomini, ha deliberato che l’aborto dopo la 6a settimana rappresenta un reato, anche di fronte a stupro o incesto. Un giudice federale ha poi bloccato l’entrata in vigore della norma.
  • Il gender gap persisterà nel mondo in media per altri 99 anni. In Italia ci vorranno circa 54 anni per superare il divario;
  • Oggi, oltre ai femminicidi e alle violenze domestiche, non mancano innumerevoli episodi di insulti e l’uso di linguaggi violenti. Non basterebbe un articolo per completare la lista. L’avversario dei femministi e delle femministe non sono dunque gli uomini, ma è un sistema di ideologie discriminatorie.

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Genau das! ???

Pubblicato da EDITION F su Martedì 13 agosto 2019

L’educazione è fondamentale

La società odierna educa maggiormente le bambine ad essere gentili, perfette e diligenti, mentre i bambini ad essere più forti e più combattivi, ad avere successo, ad osare.  I media, i libri e le pubblicità negli scorsi anni – con le dovute eccezioni – suggerivano alle bambine di aspirare ad una vita da principesse in attesa di un principe che le salverà. Ai bambini invece ad essere forti come i supereroi. L’esperimento della BBC spiega come gli stereotipi di genere possono involontariamente educare i bambini e le bambine a comportasi in un certo modo.

Insegniamo il coraggio, non la perfezione

Reshma Saujani, una delle più conosciute donne in tech, CEO e fondatrice di Girls who code, insiste sull’importanza di educare ogni ragazza a essere coraggiosa: è necessario uscire dalla logica della perfezione, perché è proprio questo tipo di educazione che favorisce atteggiamenti arrendevoli ed eccessivamente prudenti. “Dobbiamo insegnare loro ad avere fiducia, a osare e a credere nelle proprie capacità. È ormai famoso il discorso tenuto da Saujani al TEDx, da vedere e rivedere:

“Insegnate alle giovani donne il coraggio piuttosto che la perfezione”.

Anche il detto “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna” è fuori luogo, non è più al passo con i tempi. Le grandi donne hanno diritto di stare affianco ad un grande uomo, non dietro. (Per par condicio: I grandi uomini hanno diritto di stare affianco ad una grande donna, non dietro).

Coronavirus e Digital Transformation: spinte evolutive per la direzione HR

  • Le HR si configurano come il vero driver dell’innovazione e della digital transformation;
  • Le aziende devono ridisegnare i processi aziendali e al tempo stesso rassicurare le persone per accompagnarle verso un nuovo modo di lavorare.

 

L’emergenza sanitaria in corso, scatenata dalla pandemia COVID-19, ha cambiato in poco tempo, e probabilmente cambierà per sempre, le abitudini di vita e di lavoro delle persone. Ha cambiato anche le strategie aziendali e, in particolar modo, ha modificato la gestione e l’organizzazione delle persone verso una modalità di lavoro delocalizzata e sempre più digital.

Questo veloce cambiamento ha portato le Human Resource ad essere il vero driver dell’innovazione e della digitalizzazione. Le HR, infatti, sono state chiamate (dalla sera alla mattina) a reinventare processi organizzativi per consentire all’impresa di proseguire l’attività lavorativa; non hanno solo modificato il modo di lavorare delle persone ma sono profondamente cambiate anche nel loro interno, mettendo in luce in poco tempo skill come leadership e change management.

Digital transformation, digital tools

La prima scelta delle HR, imposta anche dal Governo, è stata quella di implementare velocemente:

Attraverso l’utilizzo di questi strumenti le organizzazioni sono riuscite a dare continuità all’attività lavorativa. La risposta lato umano è stata ottima, passando a una riorganizzazione del privato per accogliere il lavoro all’interno dell’ambiente domestico.

Non solo, le persone hanno dovuto sviluppare differenti capacità: autonomia, collaborazione, condivisione e responsabilizzazione. Perché una modalità di lavoro agile passa, in primis, da un rivoluzione organizzativa d’impresa e poi da un cambiamento personale dell’individuo.

In poco tempo, le HR hanno dovuto creare processi digital che consentissero alle aziende di continuare ad operare, e ai lavoratori delocalizzati di gestire il lavoro in autonomia pur rispettando le scadenze prefissate.

Sfida non facile, perché comporta un cambio culturale e organizzativo obbligato e veloce, legato a questi due fattori:

  • Change management. Con questo termine inglese (traducibile come “gestione del cambiamento”) si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato. Il change management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per riconoscere, comprendere e gestire l’impatto umano di una transizione, ad esempio dovuto all’innovazione tecnica o a una variazione nella gestione operativa.
  • Employee experience. Racchiude tutto ciò che un lavoratore osserva e percepisce durante l’intera esperienza di lavoro con una determinata azienda. La qualità di questa esperienza viene influenzata da elementi come gli spazi di lavoro e la flessibilità nella gestione del tempo e degli obiettivi, le interazioni con colleghi e dirigenti, il work-life balance (ovvero l’equilibrio ideale tra lavoro e vita personale, che per ogni lavoratore si trova su un punto diverso), la dotazione di strumenti tecnologici per rendere più efficiente e semplice il lavoro e, ovviamente la remunerazione e la presenza di benefit.

Si va quindi verso una cooperazione forte tra HR (driver) ed employee, ossia verso una visione persona-centrica.

Come le HR modificheranno l’ambiente di lavoro

La pandemia inevitabilmente cambierà le organizzazioni, i metodi di lavoro e le relazioni con le persone.

Ecco come le Risorse Umane diventeranno il driver della digitalizzazione.

Si investirà nell’HR

Il Coronavirus ci sta mostrando la centralità delle risorse umane in tandem con la digital transformation.

Mai come in questa situazione abbiamo visto che investire in questo binomio, ha consentito di dare continuità all’attività lavorativa utilizzando la digitalizzazione come medicina contro il virus, consentendo altresì, in alcuni casi, anche di aumentare le performance dei collaboratori.

Si andrà verso un modello employee-centric

Le HR lavoreranno per:

  • Un coinvolgimento importante dei lavoratori partendo dai punti di forza di ciascuno. In questo modo si otterrà maggiore produttività anche in situazione di lavoro a distanza;
  • KPI innovativi, tra cui: la capacità di progressione, ossia l’abilità di sapersi evolvere velocemente quando necessario, ridefinendo spazi, tempo ed energie, la leadership ecologica, che va in ottica di una valorizzazione della crescita e dell’evoluzione delle persone, la ricerca di Ambassador della Positività, persone che sanno trasformare un momento critico in un’occasione di vicinanza, cioè persone con una buona dose di intelligenza emotiva, empatia e ottimismo.

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Si continuerà verso lo smart working ma solo insieme al team building

Non sarà sicuramente possibile far rientrare massivamente le persone sul posto di lavoro, per questo motivo lo smart working sarà ancora, per molto tempo, il protagonista assoluto.

Lo smart working, per funzionare nel modo corretto, dovrà necessariamente essere supportato da un importante lavoro di team building al fine di ottenere una comunicazione efficace, fluida e condivisa in tutti i reparti. Eliminare i protagonismi per dare spazio al lavoro di squadra.

Una grande sfida per le HR.

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Si ridisegnerà la formazione

Il ritorno in aula per i consueti appuntamenti formativi rimane ancora un miraggio, per cui è il momento questo di puntare sull’innovazione e sul digital learning.

Le HR dovranno quindi spingere in questa direzione per creare percorsi formativi personalizzati sulle esigenze degli employee in un’ottica di community, come il social learning, ad esempio.

Occorrerà ripensare tutta l’esperienza di apprendimento investendo su metodi sempre più innovativi, gamification e AR su tutti.

Pianificazione e riorganizzazione degli spazi aziendali

Le HR dovranno anche ridisegnare gli spazi aziendali, per accogliere le persone mantenendo la distanza di sicurezza che la legge impone.

Occorrerà strutturare un lavoro su turni, per esempio, oppure creare per alcune tipologie di lavoro (come i commerciali) degli spazio di lavoro virtuali (digital desk).

Cushman & Wakefield, società americana di servizi immobiliari globali, ha elaborato delle linee guida per un corretto rientro in ufficio. “The 6 feet office”, questo il nome del progetto, sta per “6 piedi” (i nostri 2 metri), ovvero la distanza consigliata dagli esperti per evitare la trasmissione del virus da persona a persona. È composto da sei punti chiave.

  1. un’analisi dell’attuale ambiente di lavoro nell’ottica di migliorarlo per impedire la diffusione del virus;
  2. l’introduzione di un codice di condotta che tutti devono rispettare per mantenere l’ambiente in sicurezza;
  3. la creazione di un percorso unico per ogni ufficio con un sistema di segnalazione visivo;
  4. l’individuazione delle figure chiave che possano verificare che tutto il processo si svolga correttamente;
  5. il conseguimento di una certificazione di sicurezza: un attestato vero e proprio che determini la sicurezza del luogo di lavoro;

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Le sfide delle HR per il prossimo futuro

Ridisegnare i processi aziendali e, al tempo stesso, rassicurare le persone accompagnandole verso un nuovo modo di lavorare non è una sfida semplice.

Le organizzazioni dovranno inevitabilmente sostenere dei costi per potersi adeguare a questa trasformazione obbligata. Le realtà che hanno già iniziato, nel passato, il percorso di digital transformation sono meno impreparate, ma purtroppo sono ancora tante quelle che non hanno intrapreso questa strada.

Le HR possiedono competenze gestionali e, da un po’ di tempo a questa parte, anche digitali e sono quindi il driver più importante per accompagnare le imprese verso una nuova e mai provata operatività. Appare oramai piuttosto scontato che la modalità di lavoro a distanza sarà ancora per molto tempo la forma di lavoro preponderante in molti settori, per cui le istituzioni dovranno intervenire per introdurre strumenti agevolativi per consentire a tutti di adeguarsi a questa trasformazione in ottica di abbattimento dei costi.

Giovani imprenditori ai tempi del COVID-19: le nuove idee ci salveranno

  • Il 2020 lo ricorderemo, oltre che per la sua bisestilità, anche per uno dei più grandi stravolgimenti prima sanitari e poi economici della storia: il COVID-19
  • I settori trend trainanti, i rapporti sociali, il modo di essere imprenditore: ancora una volta si punta sui giovani per idee innovative che ci guideranno in questo nuovo mondo post apocalittico

 

Alcuni la definiscono come un periodo di crisi mai visto per il nostro tessuto economico, una crisi sanitaria che si è trasformata velocemente anche in crisi economica e dell’imprenditoria, una situazione in cui non si riesce a vederne la via d’uscita certa, ma nella quale oggi ci si sta muovendo per tentativi. Tutto vero, ma poi si legge e si guarda di come, in una situazione così buia, il popolo italiano abbia ritrovato senso di unione e umanità e si sia fatto valere per quello che è: una Nazione piena di innovazione e di idee, che salvano anche la vita, come quelle di alcuni giovani imprenditori.

Ecco che possiamo citare un caso emblematico: Issinnova con il team bresciano guidato da Cristian Fracassi con le sue valvole stampate in 3D che ha trasformato un hobby, lo snorkeling, nella soluzione creando una partnership con Decathlon. O ancora parlare di Copan, guidata dall’italianissima Stefania Riva, a cui è stato chiesto di incrementare la produzione di tamponi per far fronte all’emergenza.

Continuare ad essere un brand di successo convertendo le produzioni per fare la propria parte è forse quello che ci si aspettava, ma essere un neo imprenditore in un contesto come quello attuale è una mossa coraggiosa e cosa più importante di nomi ce ne sono!

Il trend economico per il 2020, previsioni e settori “caldi”

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È importante partire da dove saremmo se il 2020 fosse stato l’anno che tutti si aspettavano. In particolare guardando a quelli che sono e saranno i settori caldi.

Lo scenario previsto all’inizio di quest’anno vedeva tutti gli economisti d’accordo su una crescita del PIL ed una decrescita della disoccupazione nella maggior parte dei Paesi con un ruolo delle banche centrali sempre più defilato.
Insomma si era considerato il 2020 come un anno di rinascita e crescita dopo l’ultima crisi finanziaria.

Sul fronte Globalizzazione, invece, seppur pareva un trend in continua crescita, i dati parlavano di slowbalisation e a questo punto sarà il vero trend economico rilevante: ossia la condizione per il quale tutte le economie del mondo continueranno ad essere interconnesse, ma con meno accelerazione rispetto agli anni passati. Il tessuto locale su cui fare focus si fa un’esigenza sempre più importante e questo sia per i dazi imposti all’import-export di alcuni beni, ma anche per lo sviluppo economico in crescita dei cosiddetti Paesi Emergenti.

Dopo aver inquadrato lo scenario macro, vediamo quelli che sono i settori trend e trainanti dell’economia 2020.

Se i sistemi di pagamento via smartphone sono uno dei comparti in crescita costante da qualche anno, vedi Apple Pay o Google Wallet, e uno dei settori trainanti del Fintech, non solo in Italia, con il raddoppio degli utenti che ne utilizzano le funzionalità anche la sezione bot e chatbot non scherza. Tecnologia sempre più “umana” con un’attenzione particolare alla loro interazione con l’uomo e al fatto che possano rendere interattivi gli oggetti più comuni.

Al terzo e quarto posto un grande tema: l’alimentazione. Non solo per le tecnologie blockchain, ma anche perché forse siamo pronti, o no, al cambiamento: da carne da animali alla farina di insetti. Ce lo dice Fucibo, startup italiana, che per metà maggio ha in programma il lancio della sua linea di pasta con 100% farina di insetti.
Quando invece si preferisce ancora la carne tradizionale, ecco che al quarto posto, si fa strada l’eticità dell’allevamento: focus sugli allevamenti attenti agli animali, al bio o anche solo all’aria aperta; Slowfood ha lanciato una vera e propria campagna di sensibilizzazione verso una riduzione di consumo di carne e di un prodotto di qualità migliore

Quinto e sesto per l’economia della cura così suddivisa: il tech nel beauty e l’attenzione per il prossimo, per altro vero trend del 2020 ad oggi.
L’acquisto di prodotti online di beauty ha un valore attuale di 22,1 miliardi di dollari con una previsione di crescita a 27,8 miliardi nel 2022. Con più mercato per i giovani imprenditori che vogliano partire da un eCommerce per fare la loro fortuna e un diffuso impiego della realtà aumentata per “la prova” sul proprio viso del prossimo makeup.
La cura per gli altri invece, si sta concretizzando in startup come Ugo, in grado di incrociare domanda ed offerta nel campo dell’assistenza alla persona, soprattutto per le esigenze quotidiane come la spesa o il trasporto in ospedale per le visite di routine.

Ultimo, ma legato a quello che il tema ecologia e green, è il settore legato al mondo vegetale, non solo alimentare, ma anche giardinaggio, cura del verde, architettura con nuovi modi di riportare gli alberi in città. Ci basta pensare al lancio del famoso Hashtag #urbanjungle.

Le startup nate con il COVID, l’innovazione non si ferma

Se queste erano le previsioni, probabilmente qualcosa andrà rivisto o solamente adattato, il fintech e la cura del prossimo sono anche in questa situazione COVID oriented tra i settori più di interesse per le nuove startup che si fanno avanti.

Si parla già di economia del confinamento e chi fa o vuol fare impresa la deve conoscere al meglio per sfruttare quelle che sono nuove o vecchie leve che porta con sè.

Questa emergenza, primariamente sanitaria, ha portato al coinvolgimento in una situazione di limitazione delle libertà umane di praticamente tutta la popolazione mondiale e anche quando il lock-down avrà termine le abitudini umane avranno subito un notevole cambiamento, tutto si concentrerà ancora di più sul demand, l’on-line e la consegna a domicilio, gli italiani potrebbero, per una volta, essere un popolo freddo e distaccato.

Se ai grandi brand vogliamo dire di farsi ricordare come chi ha fatto del bene durante l’emergenza e non solo inventando ed implementando format anche social di intrattenimento per i clienti rinchiusi, ma anche, e soprattutto, come colui che ha donato, che ha riconvertito la propria produzione per produrre il materiale utile ai soccorsi e che ci ha messo la faccia nel fare qualcosa per il suo Paese e i suoi dipendenti.
Tranquilli, finita l’emergenza i risultati saranno tangibili: la clientela avrà ben presente su che brand investire e i migliori talenti sapranno qual è l’azienda per cui vogliano lavorare.

E per i giovani imprenditori?

I giovani imprenditori sono sempre una delle risorse più importanti del tessuto economico perché con sé portano nuovi bagagli di conoscenze, nuove idee, la fame di successo e la flessibilità di adattamento.

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Ecco allora che sbucano bandi, sia della commissione Europea sia di Innova, per chi è in grado di creare tecnologie ed idee al servizio del periodo di emergenza, che possano essere anche rivoluzionari nel bel mezzo della pandemia.
La Commissione Europea ha messo a disposizione 164 milioni di euro e chiama startup e PMI puntando sul comparto tecnologico e innovativo per il monitoraggio o la misurazione del contagio.
Il bando di Innova, concluso a fine marzo, ha preso in considerazione 3 settori di provenienza dei candidati:
l’ambito DPI, dispositivi di protezione individuale, e respiratori o componentistica per chi è in grado di produrne in quantità:

  • l’ambito diagnosi con i soggetti in grado di produrre tamponi o kit innovativi che misurino il contagio
  • l’ambito monitoraggio e prevenzione includendo tutte quelle app o tecnologie che possano registrare gli spostamenti dei cittadini e relativi comportamenti

Ecco, quindi, che vogliamo citare, dopo aver già citato in apertura Issinova e Fracassi, altre due startup guidate da giovani imprenditori che in questo periodo hanno avuto l’idea, hanno saputo prendere il bello anche da questa situazione come solo dei giovani imprenditori sanno fare.

Il primo caso è quello di Webtek, guidata dal 35enne Piasini, che ha convertito parte della sua azienda di software nella creazione di un’app in grado di tracciare gli spostamenti e con chi è venuto a contatto un paziente positivo al Covid.
La app ha un nome chiaro “Stop Covid 19” e sarà in grado, tramite incrocio di tracciati GPS, di fornire una mappa quasi precisa degli spostamenti del soggetto andando quindi ad intercettare e avvisare chi negli ultimi giorni è venuto in contatto con lui.
E sul tema privacy? L’utente deve fornire autorizzazione, per 2 volte, dell’utilizzo della sua geolocalizzazione ed è obbligato solo a fornire il suo numero di telefono.
Ovviamente questi arresti forzati non danno grande evidenza del funzionamento in quanto la maggior parte dei soggetti è confinata, ma alla riapertura potrebbe rappresentare davvero uno strumento molto utile.

La seconda startup è Pharmap, nata nel 2017 da una coppia di oggi trentenni premiati da Forbes per il 2020 e che sostanzialmente fonda il suo business sulla consegna a domicilio dei farmaci.
Pharmap è un servizio importantissimo per i cittadini che possono ricevere a casa propria i farmaci da loro acquistati abitualmente o occasionalmente anche quelli con prescrizione medica, ma altrettanto importante per la farmacia aderente: una via nettamente utile per incrementare clientela e fidelizzazione.
La startup che già aveva la strada segnata, con un incremento del 200% nel 2019 degli utenti, ha visto incrementare con questa emergenza la sua popolarità garantendo anche la consegna gratuita per un periodo limitato. I piani per il futuro vedono l’azienda proiettata in altri Paesi d’Europa, quindi stiamo a vedere.

Classifiche: i talenti Under 30 del 2020

Ecco quindi che, come da tradizione, spunta la classifica dei 100 talenti under 30 di Forbes sia America che Italia. Sono praticamente 200 ragazzi che con le loro idee stanno cambiando il mondo.

Tra i 100 USA ci sono anche tre nomi italiani: i primi due sono di due sorelle, Recchi che hanno creato un chatbot-tutor per gli studenti universitari (EdSight) e quello di un italoamericano, Stefano Daniele, impiegato nella ricerca medica per quella che parrebbe una vita cerebrale dopo la morte.

Ma la classifica completa la trovi qui

Per gli italiani, invece, abbiamo già citato Pharmap, ma i settori dei giovani talenti sono tra i più diversi, non solo quindi il settore Healthcare, ma anche intrattenimento, finanza, food&drink e marketing che mettono in luce talenti.
I candidati non devono necessariamente essere startupper, ma anche o giovani imprenditori che, presa l’azienda del padre, ne hanno cambiato l’immagine o hanno puntato su nuove feature per renderla al passo coi tempi.

Ragazzi su cui puntare e ai quali verranno affidati tutor d’eccellenza del loro settore di operatività che li aiuteranno “a diventare grandi”.

La classifica la puoi leggere sul sito di Forbes.

email marketing

L’eCommerce ai tempi del Coronavirus: numeri, trend, scenari e strategie

Casaleggio Associati è al lavoro sulla nuova ricerca E-commerce in Italia 2020 – Vendere online ai tempi del Coronavirus. Giunta alla XIV edizione la ricerca verrà presentata il 19 maggio alle ore 15.00 durante un evento digitale trasmesso in streaming.

Come ogni anno, la ricercaE-commerce in Italia” di Casaleggio Associati farà il punto su numeri, trend e strategie adottate dai principali operatori del mercato.

Lo studio mette in luce l’andamento del commercio online al dettaglio nel Mondo, in Europa e nel nostro Paese, in crescita a doppia cifra anche nel 2019. Non mancheranno dettagli sui principali trend, che fanno emergere sempre di più l’importanza della digitalizzazione e delle tecnologie esponenziali per l’evoluzione e l’innovazione delle aziende italiane dei vari settori.

eCommerce coronavirus

Il focus sull’eCommerce nella fase dell’emergenza

Un focus, in particolare, verrà dedicato all’eCommerce ai tempi del Coronavirus. Se da una parte, infatti, gli acquisti online stanno garantendo grandi performance alle aziende impegnate ad esempio nei settori merceologici dell’alimentare, molti altri settori sono fortemente in crisi e solo un’adeguata strategia può permettere un rilancio. La pandemia e il lockdown stanno cambiando ancora più velocemente le dinamiche di acquisto e i mercati, anche quelli online.

La ricerca di quest’anno punta anche ad evidenziare quali sono le strategie che le aziende stanno applicando e che possono applicare per far fronte alla situazione, ed eventualmente, accelerare la ripresa.

Nel rapporto verranno raccontati casi aziendali nazionali di successo, che potranno essere d’ispirazione per tutte quelle piccole e medie imprese che ancora non hanno saputo cogliere il vantaggio della vendita online.

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Per partecipare allo streaming

La partecipazione è riservata ai merchant eCommerce: imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, responsabili marketing, responsabili e-commerce e responsabili Internet.

Per iscriversi alla presentazione e ricevere gratuitamente il report basta registrarsi sulla pagina dedicata all’evento: https://www.casaleggio.it/e-commerce/

contact tracing app immuni privacy

5 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation

  • A causa della pandemia, le persone sono meno inclini a toccare con mano i contanti e a digitare i tasti di un touchpad;
  • Sta anche spopolando la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi spostamenti diffondendo il virus negli ospedali;
  • Più in generale ci sono settori nei quali la Digital Transformation ha subito una decisa accelerazione, complici tecnologie già testate.

 

L’emergenza Coronavirus ha messo l’acceleratore sul progresso tecnologico. In molti ambiti i cambiamenti che si sarebbero verificati nel corso dei prossimi anni hanno preso vita nel giro di qualche settimana.

In che senso la digital transformation ha subito una accelerazione e quali sono le principali trasformazioni in atto? Le abbiamo analizzate una per una.

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#1 eCommerce e pagamenti digitali

Più spazio ai pagamenti digitali: considerando che attualmente la maggior parte degli acquisti vengono effettuati online la moneta elettronica prende piede a livello globale. Basti pesare agli  Stati Uniti dove, nel corso dell’ultimo decennio, il mondo del retail non si è lasciato coinvolgere dalla diffusione delle nuove tecnologie di pagamento che si sono diffuse in Europa e in Asia.

Con il COVID-19 si nota un inversione di tendenza, le persone per paura del contagio non sono molto propense a maneggiare contanti e a toccare i tasti di un touchpad. I sistemi che consentono di effettuare le transazioni mediante il proprio dispositivo mobile sembrano avere la meglio. Catene alimentari come Publix stanno accelerando sul lancio di terminali in cui non è necessario il contatto e l’introduzione di servizi come Apple Pay e Google Pay.

#2 Telemedicina

La pandemia globale in corso ha costretto le istituzioni sanitarie e gli organismi di regolamentazione a ricorrere a metodi alternativi per offrire assistenza sanitaria limitando il contagio del virus.

È così entrata in gioco la telemedicina, una valida possibilità per limitare gli spostamenti dei pazienti.

Le soluzioni di telemedicina possono essere descritte come prodotti e servizi progettati per migliorare e coordinare l’assistenza ai pazienti mediante la tecnologia. Gli strumenti e le soluzioni emerse negli ultimi anni sono state sviluppate e concepite per migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria, per consentire ai pazienti di essere monitorati da remoto e per facilitare l’accesso alle informazioni sanitarie elettroniche.

Nell’attuale scenario mondiale, così come le aziende e persino le scuole adottano la soluzione dello smart working, i robot aiutano a monitorare i pazienti infetti per limitare il contatto con il personale medico e anche la telemedicina gioca la sua parte, acquisendo una nuova luce. La consultazione medica a distanza diventa un’opzione sempre più attraente.

La tele-health si rivela essere un valido strumento nella lotta al virus, che sta colmando il gap tra persone, medici e sistemi sanitari, consentendo a tutti, soprattutto ai pazienti sintomatici, di rimanere a casa e comunicare con i medici attraverso canali virtuali, contribuendo a ridurre il contagio. Non solo, grazie alla consulenza medica a distanza è possibile addirittura filtrare i potenziali casi COVID-19 da remoto.

La telemedicina sta incontrando l’interesse sia delle istituzioni che dei pazienti.

Anche l’OMS sta sostenendo la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi che con gli spostamenti diffondano il virus negli ospedali.

Il numero di persone che si affida alle consulenze mediche virtuali è sempre più alto.

Nel 2018 la Commissione europea aveva stimato che il mercato globale della telemedicina avrebbe raggiunto i 37 miliardi di euro entro il 2021, con un tasso di crescita annuale del 14%. Questi numeri possono essere decisamente superati in quanto con la diffusione della pandemia la domanda è nettamente in crescita.

La pandemia COVID-19 è un banco di prova impegnativo per tutte le aziende che offrono soluzioni di telemedicina. Oltre a dover dimostrare affidabilità, una delle sfide più grandi è la scalabilità dei sistemi. L’opportunità di aumentare il numero di utenti in poche ore è il requisito principale e le soluzioni basate su cloud hanno meno problemi in questo senso. Con così tanti nuovi pazienti interessati, le soluzioni proposte dovrebbero essere uno strumento di facile utilizzo ed essere disponibili attraverso i dispositivi degli utenti stessi come computer, smartphone, notebook e tablet.

Il punto di forza della telemedicina sta nella sua capacità di riunire diverse organizzazioni mediche in un’unica rete virtuale, guidata da un’unità centrale. Questa rete può includere diverse località fisiche: cliniche centrali e remote, cliniche statali e private, centri di riabilitazione e centri di prevenzione, studi privati dei medici e tutti i pazienti registrati all’interno delle loro sedi. Le funzionalità prioritarie dei sistemi di Telehealth devono essere: audio / videoconferenza, messaggistica sicura, programmazione elettronica, analisi e report, fatturazione e pagamento online, upload di immagini e file, prescrizioni digitali. Un aspetto cruciale per i sistemi di telemedicina è legato alla protezione e alla sicurezza relativa allo scambio e alla conservazione dei dati.

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#3 Gli eventi digitali rappresentano la nuova normalità

webinar coronavirus

La diffusione del COVID-19 ha causato la chiusura di frontiere e affari, nonché la cancellazione di eventi a livello globale. È qui che arriva ancora una volta in aiuto la tecnologia. Con l’ausilio di tool digitali e del web, gli eventi diventano virtuali.

Webinar, live, sono ormai entrati appieno nel mondo degli eventi coinvolgendo il popolo della rete.

Seppur vero che molti aspetti degli eventi di persona non possono essere replicati in forma digitale, organizzare un evento virtuale può avere anche i suoi lati positivi, in primo luogo si abbattono le distanze e si può coinvolgere un pubblico più ampio, si eliminano i costi relativi alla realizzazione dell’evento stesso e quelli legati agli spostamenti e ai viaggi.

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#4 Al delivery ci pensano i droni

droni walmart coronavirus

Oggi, una delle sfide più grandi per l’industria dell’eCommerce è limitare il contatto umano legato alle consegne. Quale soluzione adottare per far fronte a questa criticità? La risposta per molte aziende è stata quella di effettuare consegne mediante i droni.

C’è già chi ha iniziato a testare questa strada, parliamo di Amazon, Walmart, UPS e Domino’s Pizza che hanno avviato un servizio di delivery via droni per recapitare generi di prima necessità, medicine e cibo, offrendo così un servizio sicuro e al tempo stesso riducendo i costi di consegna.
Operando con i droni, le persone vulnerabili che sono in quarantena o malate possono ricevere tutti i beni essenziali di cui hanno bisogno senza rischi per l’operatore che dovrebbe recapitare la merce.

Secondo eMarketer, nel corso del 2020 assisteremo ad un aumento di 24.900 spedizioni effettuate mediante droni per il retail, con una proiezione di 122.000 entro il 2023.

La consegna automatizzata al momento risponde ad una delle preoccupazioni maggiormente diffuse ossia limitare i contatti.

Ci sono buone probabilità che, finita la pandemia, l’utilizzo dei droni potrebbe affermasi come un’opzione valida e vantaggiosa. I brand che decideranno di continuare ad adottare questa soluzione per il delivery potranno da un lato risparmiare denaro e dall’altro ottimizzare l’organizzazione dei dipendenti reindirizzando gli addetti alle consegne verso altre aree e mansioni.

#5 Il mondo del fitness diventa social

È evidente come palestre e centri fitness hanno subito un impatto negativo relativo alle restrizioni imposte che prevedono la chiusura di queste attività.

Tuttavia il fitness è un ambito che sorprendentemente si è adatto abbastanza bene alla trasformazione digitale. Molti business operanti in questo campo si sono reinventati aprendo le porte al pubblico mediante i social network. Diverse palestre e aziende che vendono attrezzature sportive hanno messo a disposizione degli utenti che desiderano mantenersi in forma da casa  lezioni online.

Un caso di successo che vale la pena citare è quello della catena americana Planet fitness, che vista la situazione ha subito modificato la propria strategia di comunicazione sui canali social adattandola alle esigenze attuali. Il brand sin dall’inizio del lockdown ha ospitato lezioni di allenamento gratuito tramite Facebook live, iniziativa che ha subito riscosso un enorme successo tra le persone bloccate a casa.

L’azienda ha inoltre collaborato con il giocatore di football Julian Edelman trasmettendo live una sua lezione di 20 minuti. Risultato? Più di 2000 persone coinvolte in un solo giorno. 

Jeremy Tucker, CMO di Planet Fitness, ha dichiarato in un’intervista a USA Today: 

Le lezioni di fitness virtuali offrono strumenti per combattere lo stress, fornendo al contempo motivazione e ispirazione per farci stare fisicamente e mentalmente in forma.

Startup innovative in Italia: i numeri, ma anche il contesto geografico per capirne l’evoluzione

  • Al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente;
  • Con il termine ”scale up” si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura;
  • Tre filosofie distinte in Italia, secondo i dati del report: mettere radici a Milano, investire in altre grandi città italiane oppure creare il proprio rifugio in centri geograficamente più piccoli;

 

Alcuni mesi fa, prima dello scoppio dell’emergenza mondiale da COVID-19, sono stati analizzati la situazione e l’andamento delle startup innovative in Italia durante l’ultimo trimestre del 2019.

Il primo giorno di gennaio 2020 è stato pubblicato dal Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico, il “Report con dati strutturali Startup innovative – 4° trimestre 2019”: osservando i dati pubblicati, è interessante constatare che al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente.

+2,6% vuol dire 272 nuove startup innovative: questo dato significa che, nel trimestre che è andato da ottobre a dicembre 2019, ben 272 idee hanno avuto la possibilità di concretizzarsi, con una media aritmetica di 13,6 nuove imprese a regione italiana.

I numeri del report

Di queste startup innovative, il 73,7% ha lo scopo di fornire servizi alle imprese come la produzione di software e la consulenza informatica, 2.153 o il 19,8% sono a prevalenza giovanile (under 35) e il 13,5% del totale (numericamente 1.468) è a prevalenza femminile, vale a dire startup in cui le quote e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne.

Il dato più interessante, e su cui ci si può soffermare, è quello inerente alla distribuzione geografica del fenomeno, in quanto analizzandolo emerge un vero e proprio leader di questa speciale classifica: considerando che la Lombardia è la Regione da cui partono più di un quarto di tutte le startup italiane (26,9%), è da sottolineare che solo la Provincia di Milano, con 2.075 società (il 19,1%) ospita quasi un quinto delle startup innovative italiane, superando i numeri di qualsiasi regione d’Italia.

A seguire, in questa classifica territoriale, Roma con 1.110 startup innovative e al terzo posto Napoli con 423. Scorrendo qualche posizione nella classifica territoriale è facile notare come si siano concentrati dei poli innovativi anche in città con meno abitanti come Padova, Bergamo e Salerno, tutte e tre in “top ten”.

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La distribuzione geografica delle startup

Scegliere il contesto territoriale giusto per fondare una startup innovativa è uno dei momenti critici ed essenziali di un business plan. Per quanto si tenda maggiormente all’offerta di servizi e quindi in maniera inevitabile all’utilizzo degli strumenti digitali, che “internazionalizzano in rete” una startup, è pur vero che il contesto di inserimento geografico di quest’ultima può essere determinante nella sua trasformazione in una scale-up.

Per una definizione internazionale, con scale-up si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: insomma una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura.

La scelta dello scenario territoriale per fondare una startup non è governata da una regola. Tuttavia, in base ai dati del Report, è forse possibile interpretare tre filosofie distinte in Italia:

  • Mettere radici a Milano– Questa città merita un capitolo a parte! Se quasi 1/5 degli startupper innovativi italiani ha deciso di partire dalla città meneghina per piantare il seme della propria idea, allora vi saranno tanti validi motivi. Milano rappresenta un formidabile ed enorme incubatore di startup: partendo da questa città, si può sfruttare lo scenario internazionale, l’efficienza e la potenza delle infrastrutture e dei trasporti, l’esposizione mediatica, il network a disposizione e i collegamenti che possono nascere anche durante un semplice aperitivo a Corso Sempione (appena sarà possibile!).
  • Investire in grandi città italiane – Investire, con la propria idea, in città metropolitane come Roma, Napoli, Torino e Bologna: grandi scenari con altrettanto grandi tradizioni storiche dove è davvero facile farsi ispirare ed affascinare da turismo, territorio e popolazione. Si tratta di grandi compromessi fra modernità e tradizione. C’è tanto spazio per il turismo ma allo stesso tempo una grande varietà di risorse umane, c’è cultura gastronomica ma anche tanta ricerca di trend e novità. Queste città rappresentano dei punti di riferimento per tutti i territori limitrofi.
  • Creare il proprio rifugio – Per alcuni startupper è sempre valido il detto che recita: “Nella botte piccola c’è il vino buono”. Scegliere come base città geograficamente più piccole o con meno abitanti, sia del Nord che del Sud Italia, sembra essere apprezzato: la conoscenza diretta di eventuali partner, collaboratori e delle usanze di un territorio può rappresentare un vantaggio non indifferente per chi decide di fare impresa. Puntare sul cosiddetto “fattore umano” può rivelarsi davvero vincente quando si opera in un territorio più circoscritto. Per esempio Bergamo e Salerno sono entrambe città con meno di 150mila abitanti ma con rispettivamente 209 e 193 startup innovative all’attivo.

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Italia, culla di creatività

Non va dimenticato che l’Italia è storicamente un paese di creativi e di straordinari ideatori, che man mano si sta approcciando sempre di più ai metodi digitali, sfruttandone le potenzialità: lo dimostra la diffusione dello smartworking, l’interesse incalzante verso gli strumenti digitali o verso le ultime tendenze di marketing. La storia insegna che con strumenti, impegno e coraggio si possono compiere delle opere straordinarie e colmare gap anche profondi.

È importante trasmettere dati e andamenti positivi, anche se relativi ad un periodo (leggermente) precedente all’emergenza da Coronavirus, che ha fortemente scosso l’economia italiana e mondiale. Mai come in questo periodo è estremamente importante utilizzare tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione al fine di riprendere, al più presto, il percorso di crescita tecnologica nazionale e far sì che delle semplici ma efficaci idee possano trasformarsi in grandi startup innovative.