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contact tracing app immuni privacy

Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

  • La discussione sui rischi legati alla privacy delle contact tracing app potrebbe essere una “distrazione” da ciò che è davvero importante;
  • Il funzionamento dell’app ha già preso in considerazione i rischi per la privacy ed è conforme alle normative;
  • Ci sono problematiche diverse che rischiano di rendere l’app poco efficace, specialmente se non si riesce a coinvolgere davvero il cittadino.

 

Sì, la cosa si fa sempre più simile a un film di fantascienza. Se qualcuno avesse avuto, solo qualche mese fa, l’idea di scrivere una sceneggiatura su una società in cui le persone sono obbligate a restare a casa o a utilizzare i propri dispositivi tecnologici per verificare i propri contatti, sarebbe entrato di diritto nella lista dei grandi autori a fianco di Orwell con 1984.

Ma si sa, la vita è molto più creativa del più creativo degli esseri umani, e a volerla guardare esclusivamente dal punto di vista tecnologico il Coronavirus ha reso realtà i film fantascientifici che ci dilettavamo a guardare su Netflix.

L’ultima evoluzione è quella che, con scelta altrettanto hollywoodiana, è stata definita “Fase 2”. Ebbene sì, una delle soluzioni che ci aiuteranno ad attuarla, ormai è ufficiale, è la contact tracing app sui nostri smartphone: Immuni, dell’azienda tecnologica italiana Bending Spoons.

Chiaramente, come era più che prevedibile, ancora prima che l’annuncio fosse ufficiale, l’app ha attirato più critiche e teorie complottiste che proseliti. Si sono susseguite teorie di tutti i tipi, sia sugli usi che potrebbe farne il governo, sia sulla legittimità dell’azienda scelta.

Da una parte è lecito che sia così: si tratta di una soluzione talmente ampia e inedita che non possiamo semplicemente accettarla passivamente. Soprattutto visto che siamo tra i Paesi con più leggi a tutela della privacy, e che come UE abbiamo sottoscritto solo due anni fa il famoso GDPR.

Dall’altra, come al solito, pare che il dibattito si concentri più su temi politici che su quelli di reale importanza, e quindi per l’appunto la discussione sulla privacy è l’unica (o quasi) che sembra aver monopolizzato le prime pagine dei giornali.

Ma è davvero questo il punto? O si tratta, come spesso capita, di una “distrazione” da temi ben più sensibili? Proprio quelli che possono davvero mettere a rischio il successo o meno non solo dell’app, ma dell’intera Fase 2?

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La privacy come “distrazione” dai veri problemi dell’app

A suggerirlo è qualcuno che di privacy, sorveglianza tecnologica e simili temi ne sa qualcosa: Zak Doffman, CEO di Digital Barriers, azienda internazionale che sviluppa soluzioni avanzate di sorveglianza per la difesa, la sicurezza nazionale e l’anti-terrorismo.

In un lungo articolo apparso su Forbes, Doffman esplora proprio la risposta a questa domanda: dobbiamo davvero preoccuparci della privacy con queste app, o è appunto una “distrazione” dai veri problemi che potrebbero renderle inefficaci? È possibile che qualcuno o qualcosa le utilizzi per spiarci, in uno scenario orwelliano?

“C’è un vecchio adagio nel settore della sorveglianza: se hai troppe informazioni, non ne hai abbastanza“, spiega nell’articolo. “L’idea che le contact tracing app siano il sogno di qualche spia è insensata. Se lo Stato volesse controllarvi, avrebbe metodi molto più pratici già a portata di mano. Qualcosa come un cellulare, che ha un sistema di accensione e spegnimento, non sarebbe efficace. Qualunque ‘persona di interesse’ potrebbe semplicemente disattivarlo, è inutile”.

Inoltre, aggiungo io, se qualche organizzazione malintenzionata volesse approfittarsi della situazione per ottenere i nostri dati, presumibilmente non lo farebbe in questo contesto: la contact tracing app di Stato sarà probabilmente la cosa più controllata (e criticata) a cui si possa pensare. E dove ci sono i riflettori di tutti puntati, solitamente non c’è abbastanza ombra per operare inosservati.

Infine, consideriamo che quello della privacy è spesso un “falso problema”, che vediamo come terribile nel futuro ma a cui siamo ciechi nel presente. Se siamo preoccupati dei dati di tracciamento che qualche azienda potrebbe avere su di noi, proviamo a dare un’occhiata a quelli che Google Maps raccoglie sui nostri spostamenti, a meno che non si siano rimossi i relativi permessi.

Quindi, posto che la privacy non è un problema di cui dovremmo preoccuparci quando parliamo di app ufficiali per il tracciamento per contrastare il Coronavirus, di cosa dovremmo preoccuparci?

problemi app di tracciamento

Come funzionerà (e ci tutelerà) la contact tracing app nostrana

Per fortuna (almeno sotto certi punti di vista), al contrario che in altri Paesi, in Italia e in Europa ci si sta orientando verso soluzioni tecnologicamente più rispettose della privacy.

E forse il fatto che giganti come Google e Apple abbiano deciso non solo di intervenire, ma anche di unire le forze, potrebbe rendere il tutto paradossalmente più sicuro: cane e gatto non potranno che controllarsi a vicenda.

In Cina (e in misura diversa in altri Paesi, come la Corea del Sud e Singapore) la contact tracing app designata è stata introdotta e utilizzata in maniera estremamente pervasiva, non solo per notificare ai diretti interessati un possibile contatto con un contagiato, ma anche per verificare l’isolamento e le attività svolte.

Qui la grande differenza tra Oriente e Occidente, per quanto riguarda la lotta “tecnologica” al Coronavirus. E paradossalmente uno dei motivi per cui noi arriviamo a parlare solo adesso di un’app di tracciamento, quando è realtà da diverse settimane nei sopra elencati Paesi.

contact tracing app italia

Ecco alcuni degli elementi che, in Italia in particolare con Immuni, verranno messi in campo per garantire la sicurezza della privacy e la libertà dei cittadini:

  • L’adesione all’app sarà su base totalmente volontaria, anche se si stanno valutando diversi tipi di incentivi
  • Si è scelto di utilizzare unicamente la tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE), che non contiene informazioni di localizzazione ma solo di prossimità (si saprà che due dispositivi sono stati vicini, ma non dove né per quanto tempo)
  • Per aumentare la privacy, la sicurezza dei dati e andare incontro alle indicazioni di GoogleApple, si segue il progetto Decentralised Privacy-Preserving Proximity Tracing (DP-3T) che si è separato da Pepp-Pt perseguendo un modello più decentralizzato (e quindi più sicuro)
  • Quando due cellulari si avvicinano a una determinata distanza e per un tempo definito, si scambiano il proprio codice anonimo generato localmente e crittografato (quindi un numero casuale senza alcun dato sensibile sulla persona a cui è associato)
  • I codici degli altri device con cui si entra in contatto verranno conservati nella memoria del dispositivo
  • Qualora uno dei soggetti che ha scaricato l’app risulti positivo al virus, gli operatori sanitari gli forniscono un codice di autorizzazione con il quale l’utente può scaricare su un server ministeriale il proprio codice anonimo
  • Se l’app riconosce tra i codici anonimi resi noti uno di quelli con cui è entrata in contatto, invia una notifica all’utente (quindi senza possibilità di sapere chi/come/quando era il contagiato) – sarà poi sua responsabilità auto-isolarsi di conseguenza
  • Il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione si impegna a rendere il codice dell’applicazione open source, quindi non solo utilizzabile da altri governi nella lotta contro il virus, ma anche verificabile e revisionabile (ma NON modificabile) da chiunque vi abbia interesse

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Per tutelare la privacy, mettiamo a rischio la Fase 2 in altri modi

Quindi, messa da parte la preoccupazione legata alla privacy, siamo a posto, giusto? Quest’app ci permetterà di tornare praticamente alla vita di prima?

Purtroppo non è così facile, in parte proprio perché, per riuscire a rendere l’app il più rispettosa della privacy, abbiamo almeno parzialmente dovuto compromettere la sua efficacia, in vari modi.

Il primo scoglio sarà l’adozione da parte della popolazione, essendo totalmente libera e volontaria. Che non significa solo scaricarla, ma accettare tutte le impostazioni sulla privacy, non disattivare le notifiche, continuare a utilizzarla, etc. Consideriamo che, a detta degli esperti, per essere davvero efficace il sistema dovrebbe essere utilizzato almeno dal 60-70% della popolazione. In Italia nel 2019 si collegava almeno una volta al mese da mobile il 66.6% degli italiani, quindi dovrebbe utilizzare l’app praticamente la totalità dei possessori di smartphone. Già così è complicato.

Poi c’è un tema di funzionamento: non avendo finalità di controllo, l’efficacia del sistema si baserà quasi totalmente sul senso di responsabilità del singolo, che dovrà auto-isolarsi quando notificato. Bastano pochi falsi-positivi o problemi simili per compromettere l’intero sistema, facendo perdere agli utenti fiducia nel processo e quindi vanificando il senso di responsabilità civica necessario perché il tutto funzioni.

Inoltre, il sistema basato sul Bluetooth non è così sensibile nel calcolare l’esatta distanza tra due dispositivi (saranno essenziali i contributi di Apple e Google per ridurre questo problema quanto possibile). Un sistema misto (blended), che comprenda sia Bluetooth che dati GPS, sarebbe più accurato in questo senso perché permetterebbe di avere informazioni aggiuntive oltre alla semplice vicinanza; ma, come dicevamo, per maggiore privacy non sarà possibile usare il GPS e quindi identificare informazioni quali la durata del contatto o la località – rendendo praticamente identico il livello di rischio di uno sconosciuto incrociato per strada e di un collega di lavoro con cui si condivide l’ufficio.

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Infine, come ha reso chiaro il successo nel contenimento dell’epidemia in Corea del Sud, la soluzione tecnologica può avere successo solo se associata agli altri due elementi dell’ormai ben noto paradigma delle “tre T”: Testing, Tracing, Treating. L’app potrà funzionare, quindi, solo se il sistema complessivo sarà in grado di effettuare tamponi a tappeto per individuare i positivi, trattare i malati e isolare i meno gravi, implementando anche un’assistenza sanitaria quanto più possibile a distanza. E su questi ulteriori due punti, complice anche l’acceso dibattito che è divampato sui temi della privacy, il governo non ha ancora fatto chiarezza.

Insomma, le scelte fatte finora, più politiche che tecnologiche, hanno dato priorità alla sicurezza dei nostri dati; e questa linea, pur essendo comprensibile e anche eticamente giusta, rischia di compromettere almeno in parte il successo dell’app, del sistema e quindi, per estensione, dell’intera Fase 2.

Specialmente se la disinformazione e il “panico da privacy” contribuiranno a ridurre l’adozione dell’app da parte della popolazione.

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Quindi sarà davvero utile l’app di tracciamento?

Nessuno può rispondere a questa domanda, ma è chiaro che difficilmente sarà “la soluzione a tutti i nostri mali”, come in certi ambiti si vorrebbe far passare.

Servirà un grande impegno da parte del governo, delle imprese, della cooperazione internazionale, e specialmente dei cittadini.

In ogni caso, pur con un’efficacia ridotta, l’importanza di questo tipo di app sarà massima nel prossimo futuro, per riuscire non solo come Paese ma come ecosistema globale a riprendere una parvenza di normalità, nell’attesa di soluzioni permanenti come un vaccino.

E per riprendere le parole di Luca Ferrari, l’amministratore delegato di Bending Spoons, l’app potrà essere davvero utile per aiutare a limitare la diffusione del Covid-19 e tornare a vivere una vita la più normale possibile, ma serve l’aiuto di tutti. Spero sia un motivo valido per unirci con spirito di solidarietà e anche un po’ di sano orgoglio nazionale, che talvolta ci è mancato. Mi piace l’idea di viverla come una gara e far vedere che la diffusione dell’app in Italia supererà quella di tutti gli altri Paesi. Noi ce la stiamo mettendo tutta, poi starà a ognuno fare la sua parte.

L’uomo che ha creato l’impero Disney: Bob Iger in 15 citazioni

  • Capacità di leadership innate, fiducia nella creatività e nella possibilità di crearsi opportunità per il futuro, un mindset orientato al rischio e ad abbandonare lo status quo. Tutto questo e molto altro è Bob Iger;
  • Torna alla guida di Disney il CEO che in 15 anni ha rivoluzionato l’azienda con le sue acquisizioni: Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox.

 

Lo scorso martedì 25 febbraio Robert “Bob” Iger ha annunciato il suo ritiro dall’incarico come CEO di Walt Disney Company. Una notizia sorprendente su una decisione inaspettata, dato che il suo mandato sarebbe durato fino a fine 2021. Si tratta comunque di una transizione graduale, con il testimone operativo che passa a Robert Chapek (direttore dei parchi a tema Disney dal 2015) e con Iger che prende il ruolo di Executive Chairman. L’incarico prevede di supervisionare il lavoro del suo successore fino a fine mandato, conservando comunque la delega alla gestione della produzione del contenuto. Un cambiamento “soft”, per così dire.

È con l’emergenza Coronavirus, però, che si sono rimescolate le carte in tavola. Meno di due mesi dopo questa fatidica decisione, infatti, Bob Iger è tornato alla guida di Disney, per gestire l’azienda in un periodo a dir poco preoccupante. Ecco quindi che si è dimostrato subito disponibile per aiutare attivamente il “nuovo” Bob, dopo aver gestito la multinazionale di Topolino per ben 15 anni. Quest’ultima, infatti, si trova attualmente in grande difficoltà, essendo una delle società in ambito media che più ha risentito della pandemia globale, tra uscite cinematografiche ritardate, produzioni di film e serie TV interrotte, oltre alla chiusura di parchi a tema e di altre numerose attività previste in questi mesi.

I numeri pre-Coronavirus di Disney, però, sono a dir poco impressionanti. Nel 2019 l’azienda ha prodotto da sola un terzo dei ricavi del box office USA. Nel 2005, quando Iger è diventato amministratore delegato, valeva 29 miliardi di dollari. Oggi, 15 anni dopo, quei miliardi sono diventati quasi 230, con i profitti che sono aumentati del 335%. Grazie alla guida del CEO che si era ritirato lo scorso febbraio, la Walt Disney Company è diventata la più grande azienda cinetelevisiva del mondo.

Bob Iger ha fatto sua la citazione di Walt DisneyIf you can dream it, you can do it“, ed è proprio con 15 sue citazioni che vogliamo raccontarlo.

La storia di Bob Iger

Nato a New York nel 1951, Bob Iger debutta sul piccolo schermo già da studente come conduttore di uno show televisivo della sua università, Campus probe. Si laurea in Scienze della televisione e della radio e poco dopo inizia a lavorare per ABC. Questa viene comprata da Disney nel 1996, e 4 anni più tardi Iger ne è già il numero due sotto il CEO e presidente Michael Eisner. Dal 2005, è alla guida della multinazionale.

Una scalata incredibile, contando che nel 1974 era un semplice assistente di produzione con uno stipendio da 700 dollari al mese. Nella sua biografia “The Ride of a Lifetime”, infatti, ha dichiarato:

A volte mi sento un concorrente in un reality show che probabilmente si chiamerebbe “L’Apprendista Sopravvissuto che è diventato Milionario”. 

Bob Iger ABC

(Credits: ABC)

I valori di un leader secondo Bob Iger

  1. «La vera autorevolezza e la vera leadership vengono dal sapere chi sei e non dal pretendere di essere qualcun altro.»
  2. «Nella sua essenza, la buona leadership non ha a che fare con l’essere indispensabile; ha a che fare con l’aiutare gli altri a essere preparati a mettersi al tuo posto, in caso di necessità […]»
  3. «Questi sono i 10 principi che penso siano necessari per la vera leadership: Ottimismo, Coraggio, Concentrazione, Capacità di prendere decisioni, Curiosità, Fantasia, Premura, Autenticità, implacabile Ricerca della Perfezione, e Integrità
  4. «Se i leader non articolano chiaramente le loro priorità, allora le persone attorno ad essi non sapranno quali dovrebbero essere le loro, di priorità».

Bob Iger è entrato nella lista delle 100 persone più influenti secondo Time, mentre lo scorso gennaio è stato anche inserito nella Hall of fame della televisione statunitense. Innegabile come in 15 anni ai vertici di Disney ci abbia dimostrato doti di leadership innate, diventando una tra le figure più importanti nel mondo dell’intrattenimento. La crescita della sua azienda, poi, è a dir poco mostruosa: con Iger ai vertici, i risultati che ha ottenuto si rivolgono “all’infinito e oltre”, come direbbe Buzz Lightyear. 

Gli elementi che ruotano intorno al suo concetto di leadership sono sicuramente riconducibili all’essenza stessa del guidare le persone, del farle sentire coinvolte. Un vero leader cerca di trasmettere al suo team i suoi valori personali, senza cercarne altrove, così da diventare un punto di riferimento per la vera persona che è. Così, ci si sente guidati da qualcuno che si conosce, lavorando come un unico sistema in grado di funzionare perfettamente anche senza una persona “al comando”.

Non c’è innovazione senza creatività

Sotto la gestione Eisner, Disney era diventata di nuovo grande dopo molte difficoltà. Agli inizi anni Duemila, però, entrò di nuovo in crisi quando il produttore Jeffrey Katzenberg lascia la compagnia per andare a fondare il dipartimento Animation di DreamWorks SKG.

Nel frattempo, un certo Steve Jobs rivoluzionava il mondo dell’animazione con l’azienda Pixar, sia dal punto di vista tecnico che creativo. Ed è proprio con il fondatore di Apple che Bob Iger aveva un feeling particolare. Egli succedette a Eisner con l’aiuto del nipote di Walt Disney, Roy Edward. Probabilmente, proprio perché il suo predecessore non fu in grado di gestire i rapporti con Jobs.

A inizio 2006, invece, il primo colpo di Iger fu proprio l’acquisizione della Pixar. L’operazione portò la famiglia Jobs e Apple ad acquisire un’importante fetta di azioni Disney, e il direttore creativo John Lasseter insieme al top management Pixar a prendere la guida di tutta la produzione animata dell’azienda di Topolino, che da quel momento iniziò a risalire velocemente.

Bob Iger, quindi, rivoluzionò l’azienda in un momento in cui rischiava di perdere tutto ciò di buono che aveva portato Pixar. Una visione che donò a Disney nuova linfa creativa, oltre a spianare la strada per numerosi ed enormi successi. Con questa acquisizione, costata 7,4 miliardi di dollari, Iger lasciava un’impronta indelebile per gli anni successivi, caratterizzata da una capacità indescrivibile di raccontare storie che sprigionano creatività da tutti i pori.

D’altronde, secondo lui è proprio la creatività uno dei valori principali per un’azienda, una qualità imprescindibile se si vuole davvero innovare

5. «Non c’è nulla di scientifico nella creatività. Se non ti dai la possibilità di fallire, non potrai portare innovazione.»

6. «Il cuore e l’anima di un’azienda sono la creatività e l’innovazione

Steve Jobs, Bob Iger

[Credits: Paul Sakuma]

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Come nacque l’impero: i segreti di Bob Iger per la crescita Disney

Dopo l’acquisizione della Pixar, Bob Iger non si è fermato. Nel 2009 ha comprato quello che sembrava il “nemico”, Marvel, per 4 miliardi, entrando in un mondo che dava a disposizione di Disney oltre 5mila personaggi usciti dalla testa di Stan Lee. È stato lo stesso Iger, poi, a contribuire alla pianificazione della saga degli Avengers, realizzando il franchise più redditizio della storia del cinema (28mld in 10 anni). Nel 2012, poi, un’altro colpo di scena: l’acquisizione della casa cinematografica di George Lucas, Lucasfilm, aka Star Wars e Indiana Jones.

Inutile dire i successi derivati da questa mossa strategica. Basti pensare che la nuova trilogia di Guerre Stellari ha incassato da sola circa 4 miliardi e mezzo di dollari. Disney, oggi, monopolizza i box office grazie a un’altra famosa acquisizione avvenuta a marzo 2019: 21st Century Fox. Un vero e proprio impero dell’entertainment, creato sotto la guida di Iger.

Lo scorso settembre ha dichiarato allo show “The Talk” che una delle ragioni per cui è riuscito ad acquisire realtà come Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox è che non si è mai preoccupato di proteggere lo status quo Disney.

Qui la chiave del nativo di New York per la crescita e il cambiamento: mai andare sul sicuro. Se non ci si prende dei rischi difficilmente si potrà ottenere grandi risultati. Il suo consiglio è quello di essere ambiziosi, così da crearsi le proprie opportunità senza aver timore di sbagliare o di non capire. C’è sempre possibilità di imparare. I rischi più grandi per lui, infatti, e quindi anche quelli da evitare, sono proprio affidarsi allo status quo e alla staticità, e non saper prendere rischi.

7. «Si guardi al mondo oggi e a quanto sconvolgimento si può trovare, a quanti cambiamenti sono in atto: penso che se si va sul sicuro, se in un modo o nell’altro si prova a proteggere lo status quo, non si va da nessuna parte.»

8. «Nulla è sicuro, ma come minimo a volte avrai bisogno di essere disposto a prenderti grandi rischi. Non puoi ottenere grandi risultati senza rischiare

9. «Non puoi lasciare che l’ambizione si allontani troppo dall’opportunità.»

10. «Chiedi ciò che ti serve sapere, ammetti senza timore ciò che non capisci, e fai in modo di imparare ciò di cui hai bisogno più velocemente che puoi.»

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Consumer-first. I bisogni delle persone sono il futuro

11. «Se approcci e coinvolgi le persone con rispetto ed empatia, quello che sembra impossibile può diventare reale.»

12. «È nei nostri migliori interessi lasciare perdere alcune vecchie regole, crearne di nuove e seguire i consumatori – quello che i consumatori vogliono e dove vogliono andare.»

13. «Le persone amano ancora una bella storia, e non credo che questo cambierà mai.»

Quando Bob Iger salì sul palco del keynote di Steve Jobs nell’ottobre 2005, durante il quale Apple presentava l’iPod video e la possibilità di guardare comodamente non solo film ma anche le serie TV ABC, disse che secondo lui quello sarebbe stato «il primo passo da gigante verso il rendere più contenuti disponibili a più persone online […] È il futuro, per quanto mi riguarda». Da lì a Disney+ sono passati 14 anni, ma il percorso che ha segnato Iger sin dall’inizio è ben chiaro.

Con la sua piattaforma di streaming, che ha avuto molta fortuna in Europa vista la quarantena causata dal fenomeno Coronavirus, Disney lancia un bel messaggio a Netflix e agli altri concorrenti, superando i 50 milioni di abbonati in 5 mesi. Disney+ è la dimostrazione che sotto la guida di Bob Iger l’azienda di Topolino non solo ha saputo destreggiarsi nello sviluppo creativo di nuovi prodotti, ma anche ascoltare il consumatore cercando di soddisfare al meglio i suoi desideri. Questi ultimi, secondo Iger, ruoteranno sempre attorno al racconto di una bella storia.

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La parola d’ordine per Bob Iger: ottimismo

Alcuni sostengono che l’addio di febbraio 2020 sia dovuto alla sensazione della fine di un periodo d’oro che difficilmente potrà continuare, per Disney. Probabile, ma ora come ora la realtà dei fatti ci dice che Bob Iger è tornato alla guida del suo gioiello in un momento difficile, di crisi, con pochi spiragli luminosi per il futuro. Come riemergere? Per Iger, la qualità più imprescindibile per un leader è l’ottimismo. D’altronde, chi seguirebbe una guida pessimista? Bisogna quindi crearsi tutte le opportunità con entusiasmo, guardando al futuro con la fiducia che le cose miglioreranno. Un pensiero che, oggi, può aiutare tutti noi anche nel nostro piccolo. Magari con una piccola spintarella made in Disney, che, come dice Iger, «produce felicità».

14. «Ottimismo. Una delle qualità più importanti per un grande leader è l’ottimismo, un entusiasmo pragmatico per quello che si può realizzare. Anche quando ci si trova davanti a scelte difficili e risultati non del tutto confortanti, un leader ottimista non si lascia condizionare dal pessimismo.»

15. «Il tono che tieni da leader ha un effetto enorme sulle persone attorno a te. Nessuno si ispira o viene motivato da un pessimista.»

European Green Deal

Dopo il Coronavirus, l’European Green Deal sarà ancora una priorità?

  • A dicembre 2019 è stato presentato L’European Green Deal, una strategia di crescita economica sostenibile
  • L’Unione Europea mette a disposizione 1000 miliardi di euro per una transizione green dell’Europa e nuove opportunità di lavoro e investimenti per cittadini e imprese
  • Ma qual è oggi il collegamento tra emergenza sanitaria ed emergenza climatica?

 

Dicembre 2019. La Presidente della commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, presenta ufficialmente il nuovo piano verde europeo, l’European Green Deal. Una strategia di crescita economica a favore dell’ambiente con l’obiettivo di trasformare l’UE nel primo territorio a zero emissioni di gas entro il 2050.

L’European Green Deal è la risposta concreta che l’Unione Europea mette in atto per fronteggiare i disastri climatici degli ultimi anni. La grande opportunità per gli stati è che ci saranno molti investimenti e ammodernamenti nelle infrastrutture, incentivi a progetti e startup green.

Il piano è davvero molto ambizioso, con l’obiettivo di includere tutti gli stati nel programma, anche quelli con economie più deboli, non lasciando nessuno indietro. Già qualcuno allora si chiede se l’Europa sarà pronta economicamente per l’European Green Deal, soprattutto oggi che sta fronteggiando l’emergenza sanitaria.

Nei prossimi paragrafi riepilogheremo l’European Green Deal, dalle iniziative dell’Europa per l’economia verde, alle opportunità e difficoltà di attuazione. Guarderemo infine al clima con gli occhi dell’emergenza sanitaria, analizzando il collegamento tra pandemia e alterazione degli ecosistemi secondo una recente report di WWF Italia.

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L’European Green Deal spiegato in maniera semplice

Prima di addentrarci nelle iniziative verdi dell’Europa un breve recap dell’European Green Deal.

Si tratta di una strategia di crescita per trasformare l’UE in una società equa e prospera, migliorando la qualità della vita delle generazioni attuali e future, con un’economia moderna, efficiente nell’impiego delle risorse e competitiva.

L’obiettivo è azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050 e arrivare a questo importante cambiamento non lasciando nessuno indietro. Altri obiettivi sono garantire che la transizione verso la neutralità climatica sia irreversibile e offra prevedibilità agli investitori e agli altri attori economici. Per raggiungere l’obiettivo, l’Unione europea mette in campo 1000 miliardi di euro e una tabella di marcia serrata con azioni e monitoraggi periodici dei progressi.

In sostanza quindi l’European Green Deal corrisponde a un piano di crescita economica sostenibile per l’Europa.

Tra le tappe importanti di questo percorso presentato ufficialmente lo scorso dicembre 2019:

  • gennaio 2020. Presentazione del piano di investimenti;
  • marzo 2020. Proposta di legge, alla quale hanno risposto positivamente tutti gli stati tranne la Polonia. Ogni cittadino europeo può inviare il suo feedback online alla proposta entro il 1 maggio;
  • marzo 2020. Patto climatico europeo. L’Unione Europea apre una consultazione pubblica online a cui tutti possono partecipare fino al 27 maggio, per esprimersi e progettare nuove azioni per il clima, condividere informazioni, avviare attività di base e proporre soluzioni che possono essere adottate anche da altri;
  • marzo 2020. Adozione di strategia industriale. Interessante il documento dedicato alle PMI;
  • marzo 2020. Proposta di un piano d’azione per l’economia circolare.

Le opportunità di lavoro e investimenti

Secondo un report di Green Italy, nel 2018 in Italia oltre 3,1 milioni di persone svolgevano lavori nella green economy (con un aumento del 3,4% rispetto il 2017) e 432 mila aziende negli ultimi 5 anni hanno investito in questo senso. Nel 2019, il numero di contratti di attivazione prevista dalle imprese per i green job è pari a circa 521.747 unità.

European green deal job

Con l’European Green Deal il numero di nuove professioni e posti di lavoro continuerà ad aumentare. Tra le nuove professioni presentate nel report:

  • cuoco sostenibile. Colui che presta attenzione ai marchi di qualità, alle produzioni biologiche e a chilometro zero e, soprattutto, ridurre gli sprechi e riciclare al massimo;
  • esperto in gestione dell’energia (ingegnere energetico). Progetta e gestisce impianti in maniera da ridurre i consumi di materie prime e di energia. I settori di applicazione sono quelli industriale, civile, agricolo e dei trasporti;
  • promotore edile di materiali sostenibili. Il suo ruolo è prevalentemente di consulenza e di supporto tecnico per favorire un corretto ed esteso utilizzo di materiali edili naturali, nelle applicazioni di tecnologie e tecniche costruttive per la riqualificazione energetica degli edifici;
  • meccanico industriale green. Il suo compito è installare o montare in ambito industriale, macchinari di nuova concezione e verificare gli ambiti dove tali impianti dovranno lavorare. In alcuni casi con adeguate specializzazioni la figura può evolvere in quella di un vero e proprio certificatore per il collaudo, la verifica e la certificazione secondo le ambientali dei sistemi installati;
  • informatico ambientale. Oggi le soluzioni del mercato nel settore della domotica e del cosiddetto “internet delle cose” sono in gran parte dedicate alla gestione di servizi energetici per ottimizzare i consumi. Per questo servono professionalità specializzate. Ma nell’ambito di informatico ambientale ci riferiamo anche al bioinformatico e il geoinformatico. Il primo ricercato nell’ambito della biologia e della genomica, il secondo ricercato per l’applicazione dell’informatica alle scienze geologiche.

Per quanto riguarda fondi e investimenti, come abbiamo detto il Green Deal mette a disposizione 1.000 miliardi di euro per l’economia verde in tutti gli stati. All’Italia andranno circa 400 milioni di euro.

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green building

Già sono presenti ad oggi progetti finanziati dall’Europa con questo scopo. L’European green Deal impatterà inoltre tutti i settori, tra i primi edilizia e trasporti.

Nel caso dell’edilizia per esempio si presterà particolare attenzione alla ristrutturazione degli alloggi sociali per aiutare le famiglie che faticano a pagare le bollette energetiche. Per i trasporti si incentiverà il trasporto merci con volume maggiore su rotaia o per vie navigabili. Entro il 2025 l’obiettivo è avere 1 milione di stazioni pubbliche di ricarica e rifornimento per i 13 milioni di veicoli a basse o zero emissioni.

Le difficoltà di attuazione

Un recente articolo di Forbes ha sollevato dei dubbi su quanto l’Unione Europea sia realmente pronta a sostenere il budget dell’European Green Deal.

Soprattutto in termini di controllo e rischi di corruzione, distribuzione equa, quantità di budget destinato alla transizione. L’articolo prende come riferimento eventi recenti per sostenere la tesi:

  • la scoperta di frode sulle aggiudicazioni dei fondi europei per l’agricoltura, emersa da un’inchiesta condotta dal New York Times, che vede anche l’Italia coinvolta;
  • l’investimento di 100 milioni di euro per il programma LIFE che finanzierà 10 progetti green per migliorare la qualità di vita dei cittadini preservando il territorio a Cipro, Grecia, Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Spagna e Lettonia;
  • la protesta sulla votazione contro la mozione di rifiutare una lista di progetti tra cui fino a 55 nuove infrastrutture di gas fossile.

European Green deal protesta EU

Il direttore di Climate Action Network Europe (CAN Europe), Wendel Trio, sostiene che l’intero budget EU dovrebbe essere destinato alla transizione invece che sovvenzionare ancora i combustibili fossili.

Il collegamento tra alterazione degli ecosistemi naturali e pandemie

Una domanda che è sorta in questi giorni è se l’European Green Deal sarà messo da parte a causa del Covid-19.

Si sta dando oggi priorità all’emergenza sanitaria e per i governi è complesso gestire contemporaneamente anche la crisi climatica. Tuttavia la salvaguardia degli ecosistemi è profondamente legata alla lotta delle pandemie. Quindi, in parole povere, l’European Green Deal e altre azioni a favore dell’ambiente non sono una forma nobile per salvare le generazioni future, ma una misura da adottare urgentemente per salvaguardare anche l’uomo di oggi e prevenire le pandemie.

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orso polare ecosistemi

Un report del WWF Italia, ci spiega proprio l’effetto boomerang delle nostre azioni sugli ecosistemi e la biodiversità e le conseguenze che queste hanno sulla diffusione di alcune malattie e quindi sulla salute pubblica, fino alle condizioni socio-economiche delle nostre società.

Negli ultimi anni sono aumentate in modo preoccupante le zoonosi, cioè malattie trasmesse all’uomo dagli animali, tra cui probabilmente c’è anche il Covid-19. Le zoonosi come malattie emergenti sono quelle che compaiono per la prima volta in una certa popolazione, o sono quelle che erano già presenti ma sono in rapido aumento per numero di casi o diffusione geografica.

Le zoonosi, tra cui HIV, MERS, SARS hanno un impatto importante sulla salute dell’uomo e sui sistemi sociali ed economici. Per esempio la SARS comparsa in Cina nel 2002 e trasmessa dai Chirotteri alle Civette delle Palme e successivamente all’uomo, ha provocato 774 vittime con un impatto economico di 40 miliardi.

L’aumento di malattie infettive emergenti secondo gli scienziati è causato dalla perdita di habitat, dalla creazione di ambienti artificiali, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e più in generale la distruzione della biodiversità.

La resilienza della natura

Lasciare da parte la lotta al cambiamento climatico e le iniziative verdi per fronteggiare l’emergenza sanitaria è come curare i sintomi di una malattia senza risalire alle cause. L’Europa ha già fatto grandi passi sulla sostenibilità, riducendo del 23% le emissioni di gas rispetto al 1990.

Siamo consapevoli anche che l’Unione Europea è una parte del mondo e da sola non può salvarlo, ma dimostrando che prosperità non significa distruzione della natura e scoraggiando il commercio di altri Paesi che perseguono politiche ad alto impatto ambientale, può con il tempo dare via a un cambiamento globale.

Green Chernobyl

Chernobyl, Pripyat, Ukraine

In questi giorni di quarantena stiamo vedendo i canali di Venezia di nuovo puliti, l’aria meno inquinata, gli animali selvatici camminare indisturbati tra le strade. Nel momento in cui stacchiamo la spina, la natura è pronta a rinascere, perfino lì dove sembrava che non ci sarebbe stata mai più la vita. Davvero vogliamo ancora chiudere gli occhi?

Bezos Earth Fund

Bezos Earth Fund: quali problemi vuole affrontare il CEO di Amazon investendo sull’ambiente

  • Bezos vuole investire in soluzioni innovative per proteggere il pianeta dai cambiamenti climatici
  • Il Bezos Earth Fund riceverà i primi finanziamenti a breve. La cifra totale stimata per ridurre le emissioni è pari a 50 trilioni di dollari
  • Resta da capire se gli sforzi congiunti, avviati dal CEO di Amazon, possano funzionare

 

Ha deciso di schierarsi apertamente nel contrasto all’emergenza climatica. Complice, forse, l’allarme globale per il Covid-19, Jeff Bezos ha compreso l’importanza di un pianeta in buona salute e dell’ecosostenibilità. Così, attraverso un post su Instagram, il CEO di Amazon ha annunciato che investirà 10 miliardi di dollari nel Bezos Earth Fund per “finanziare scienziati, attivisti, ONG” e altri esperti in un’operazione coordinata.

Lo scopo è contrastare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente. Questa, forse, è la prima volta che Jeff Bezos pone l’accento così decisamente sulla sua filantropia. Preoccupato per le epidemie, per il mondo stesso in cui viviamo e che stiamo “calpestando” nel modo più sbagliato, provocando conseguenze indirette sull’umanità? Forse, piuttosto, sta cercando di dare un contributo per arginare i fattori che mettono a rischio tanto l’economia, quanto il nostro pianeta e i vari ecosistemi.

Bezos Earth Fund

U.S. Department of Homeland Security (DHS) – Naturalization Ceremony

L’idea per contrastare il cambiamento climatico

“Il cambiamento climatico è la più grande minaccia per il nostro pianeta, ha dichiarato Bezos nel post pubblicato su Instagram. “Voglio lavorare con gli altri sia per ampliare gli strumenti noti, sia per esplorare nuove modalità per contrastare il devastante impatto del cambiamento climatico sul nostro Pianeta che noi tutti condividiamo”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Today, I’m thrilled to announce I am launching the Bezos Earth Fund.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ Climate change is the biggest threat to our planet. I want to work alongside others both to amplify known ways and to explore new ways of fighting the devastating impact of climate change on this planet we all share. This global initiative will fund scientists, activists, NGOs — any effort that offers a real possibility to help preserve and protect the natural world. We can save Earth. It’s going to take collective action from big companies, small companies, nation states, global organizations, and individuals. ⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ I’m committing $10 billion to start and will begin issuing grants this summer. Earth is the one thing we all have in common — let’s protect it, together.⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣ – Jeff

Un post condiviso da Jeff Bezos (@jeffbezos) in data:

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Il suo capitale basterà a salvare il pianeta?

In passato, a Bezos era stato contestato un minore interessamento alle organizzazioni umanitarie o senza scopo di lucro, al contrario di altri investitori. Ironia della sorte, l’annuncio arriva in un momento di difficoltà a livello globale, che non ha tardato a risvegliare l’attenzione degli uomini più ricchi del pianeta.

Il Bezos Earth Fund dovrebbe ricevere le prime sovvenzioni durante l’estate. Inizialmente, il CEO investirà 10 miliardi di dollari, dal 7 all’8% delle sue finanze. Ma la vera domanda è: i suoi soldi possono davvero salvare il mondo dall’inquinamento?

earth day bezos

Salvare la Terra, esplorare lo spazio

Con un patrimonio netto di circa 104 miliardi di dollari, erogare una parte dei suoi proventi a scopo benefico non sarebbe un problema, viste le spese effettuate negli ultimi anni. Nell’immediato, il miliardario potrà dare un contributo significativo agli sforzi di mitigazione, adattamento e costruzione di economie resilienti. L’Earth Fund darà l’avvio alle proprie attività in 5 step.

1. Riduzione delle emissioni di carbonio

Nonostante il ritiro formale degli USA dall’accordo di Parigi, il fondo può essere utile agli sforzi per superare le sfide politiche nel favorire il passaggio verso basse emissioni di carbonio, perché gli Stati Uniti producono buona parte delle emissioni inquinanti a livello globale.

Così, Bezos avrà l’opportunità di creare un influente fondo politico per contrastare l’industria dei combustibili fossili. Rimodellare le politiche economiche per scoraggiare le emissioni di carbonio sarà cruciale per il futuro. Ma la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio dovrebbe anche garantire di essere giusta ed equa. Pertanto, una parte considerevole del fondo dovrebbe essere destinata ad aiutare le regioni in via di sviluppo a compiere questa transizione. Un’accelerazione di comune accordo sulle politiche green per la diffusione di tecnologie più pulite avrà un impatto maggiore.

2. Innovazione e tecnologia

Il fondo dovrebbe ridurre significativamente i costi e rendere disponibili le tecnologie energetiche pulite già esistenti. Dirigere gli investimenti per ricerche verso soluzioni innovative e tecnologiche, generalmente molto costose, aiuterebbe a sviluppare soluzioni o a conoscere i rischi connessi al dispiegamento di queste nuove tecnologie.

3. Nuovi modelli di business

Amazon ha affrontato un grave contraccolpo per il suo impatto sulle emissioni di carbonio e l’inquinamento causato da spedizioni, imballaggi e data center. Anche se impegnata a potenziare le sue strutture globali con energia rinnovabile al 100% entro il 2030, e a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio entro il 2040, un’azienda di queste dimensioni potrebbe fare molto altro.

L’uso di una parte del fondo per avviare una filiera green globale potrebbe contribuire alla definizione di un modello replicabile da altre aziende.

4. Mobilitare il sostegno comune

Il fondo dovrebbe investire in ricerca, analisi e risorse nei paesi che hanno ridotto gli impegni a favore del clima, e che possono aiutare a superare le sfide per raggiungere emissioni nette pari a zero.

Segnalare gli impatti locali dei cambiamenti climatici e aiutare i media a contrastare la disinformazione aiuterebbe a costruire un supporto universale per l’azione a favore il clima.

5. Infrastruttura “resiliente”

A fronte di eventi meteorologici estremi indotti dall’inquinamento, sempre più dannoso, ha senso investire una quantità considerevole nella costruzione o nell’adeguamento di infrastrutture di vario tipo. Il vantaggio della resilienza climatica è ideale per le aziende come Amazon che, ad esempio, contribuiranno a potenziare le reti logistiche per le consegne dei pacchi.

Altre spese incredibili

Come molti imprenditori miliardari, il CEO di Amazon investe costantemente in centinaia di aziende e startup, ed è stato tra i primi azionisti di Google. Nel 1998 ha investito 250mila dollari sul motore di ricerca, e oggi ne ricava milioni.

Gran parte del suo patrimonio è stato già reinvestito in Blue Origin, la società di voli spaziali per cui sono previste missioni con equipaggio. Nel 2012 ha finanziato le operazioni di recupero dei motori del razzo che nel 1969 portò l’uomo sulla Luna, inabissati nell’Oceano Atlantico.

Bezos

E per quanto riguarda la distribuzione dei fondi del Bezos Earth Fund, un’altra ipotesi su come potrebbero essere impiegati arriva da nbcnews: Bezos afferma che questa estate il denaro inizierà ad essere erogato sotto forma di sovvenzioni a scienziati, attivisti e gruppi no profit per qualsiasi sforzo che offra una reale possibilità di aiutare a preservare e proteggere il mondo naturale. È quasi una controtendenza per il miliardario, che una volta dichiarò: ‘l’unico modo in cui posso concepire la distribuzione di questa grande risorsa finanziaria è convertire i successi riportati da Amazon in viaggi nello spazio'”.

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Sforzi comuni

Non mancano anche gli imprenditori italiani che fanno sentire la propria partecipazione per gli sforzi attuati a beneficio dell’ecosistema. Brunello Cucinelli, imprenditore umbro, ha risposto a Bezos con una corrispondenza di amicizia e stima, essendo unito all’iniziativa dall’amore per la Terra e dalla volontà di fare sforzi concreti per salvarla.

AncheBill Gates, il secondo uomo più ricco al mondo, ha destinato gran parte del suo patrimonio alle iniziative di beneficenza ma, probabilmente, Bezos oggi è “primo” perché non l’aveva ancora fatto allo stesso modo.

Eppure, l’iniziativa del CEO di Amazon, per quanto largamente provvisto di capitali, non basterà da solo a contenere l’emergenza climatica. Come già avvenuto in precedenza, è con l’unione di forze e risorse condivise che si può sperare di rimediare ai danni, altrettanto pandemici, di cui l’ecosistema ci sta restituendo il conto.

dirigente preoccupato lavoro remoto

La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti

  • Il lavoro da remoto in quarantena è una sfida per i tanti dirigenti che non erano preparati o interessati allo smart working (56%)
  • In un contesto in cui questa modalità di lavoro sembra essere qui per restare, è essenziale un cambio di paradigma, anche in ottica post-Coronavirus

 

Chi ha ruoli manageriali in azienda di questo periodo non ha certamente vita facile.

Stiamo vivendo uno dei momenti di massima incertezza che probabilmente non ha paragoni in questo secolo, con aziende fino a prima della crisi del Coronavirus in perfetta salute che ora annaspano in cerca di aria. E lo smart working “obbligato” che tutto il Paese sta affrontando, senza la giusta preparazione e pianificazione, non aiuta.

È una grande sfida per tutti, ma soprattutto per chi riveste ruoli dirigenziali. Si parla molto delle difficoltà per i dipendenti, per chi d’improvviso si ritrova a lavorare da casa e a fare i conti con i lati negativi di questa modalità (dato che quelli positivi, a causa della quarantena, è difficile percepirli). E così il web si è riempito di consigli su come sedersi in maniera corretta, come ottimizzare il tempo, come coltivare i rapporti con i colleghi anche a distanza.

Ma per i capi azienda? Soprattutto per quelli che lo smart working non è che fossero proprio in procinto di introdurlo, prima che diventasse l’unico modo per lavorare?

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Chi ha detto “smart” working?

In fondo le statistiche parlano chiaro: nel tessuto aziendale fatto di PMI del nostro Paese, prima di questa crisi, erano ancora pochi i responsabili aziendali interessati ad applicare lo smart working.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico, nel 2019 in questa categoria erano ben il 51% le aziende non interessate (con un 4% in più addirittura ignaro del fenomeno). Il motivo? Nel 23% dei casi, mancanza d’interesse e resistenza da parte dei capi.

smart-working-diffusione-flessibilita-infografica

Sarà interessante vedere, nella prossima edizione di questo report, come saranno cambiati i dati in seguito all’introduzione del Decreto Cura Italia e a tutte le sue conseguenze.

Ma per ora i dati parlano chiaro: questa situazione è “capitata” in maniera passiva, ricadendo nella maggior parte dei casi su aziende in cui lo smart working non era minimamente nei piani; anzi era spesso considerato come qualcosa di negativo, un grosso rischio di perdita di produttività, da evitare quanto più possibile.

Come confermava Methodos, società di consulenza specializzata proprio in questo campo, nell’intervista a Ninja Marketing raccolta in questo articolo, l’introduzione dello smart working richiede tempo e sforzi deliberati, ascolto e analisi, ma soprattuto volontà di farlo con successo.

Tutti elementi che sono mancati in questo frangente, e che pare ovvio ora portino molti dipendenti che lavorano da casa a lamentare, più ancora dei mal di schiena e degli altri “disturbi” da quarantena, la mancanza di comprensione e supporto da parte dei capi.

manager lavoro remoto

Che tipo di manager vuoi essere?

Il fatto è che, volontà o meno, interesse o meno, adesso l’opinione personale sullo smart working non conta più.

Non si tratta di poche settimane, visto che la durata del lockdown è stata già raddoppiata. Né di pochi mesi, presumibilmente, visto che è già stato chiaramente spiegato che la chiave per il successo della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus si baserà anche sullo smart working.

Adesso non si tratta di fare buon viso a cattivo gioco, ma di imparare a sfruttare questa situazione per migliorare la propria azienda e per migliorarsi come manager. Tutto dipende dalla risposta a una domanda: “che tipo di dirigente vuoi essere?“.

Credo che nessuno che si trovi in posizione di responsabilità pensi a se stesso come a un carceriere, eppure è quello che più spesso finisce per risultare come opinione tra i dipendenti, specialmente per quei dirigenti che basano sul “controllo” la propria idea di successo.

Come ha spiegato Maria Vittoria Mazzarini: La chiave del successo per lo smart working è la fiducia: avere un rapporto di fiducia con i responsabili, con i team, con i dipendenti, etc. È quella la leva che fa funzionare tutto, ed è una moneta che qualcuno deve giocare per primo”. 

Il dipendente, lavorando da casa, si deve impegnare a portare a termine i compiti che gli sono assegnati e a renderne conto ai propri dirigenti. Ma dall’altra parte? Qual è l’impegno del capo nei confronti delle risorse che dirige?

Deve essere una presa di posizione basata in primis sulla volontà, su un cambio di paradigma: chi lavora non lo fa perché controllato dall’alto come in una prigione, ma perché si sente valorizzato e motivato a farlo. È chiaro che l’approccio deve essere completamente diverso, con responsabili che credono nella buona fede dei dipendenti e dei colleghi e non il contrario.

Ma non si tratta solo di “fiducia incondizionata”: ci sono metodi e strumenti che si possono, anzi, si dovrebbero utilizzare per tenere traccia del lavoro svolto e della produttività personale, anche a distanza. Non sono strumenti “coercitivi” o di controllo remoto, come quello di registrare lo schermo del computer a distanza, ma tool e approcci di project management che sono stati definiti e implementati appositamente per questo.

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lavoro remoto coronavirus

Gli strumenti della fiducia nel lavoro da remoto

Una gestione dei compiti e delle attività ben definita, basata sulla verifica del raggiungimento degli obiettivi e non sul numero di ore di lavoro (che tra l’altro finiscono spesso per essere di più, quando si lavora in smart working e gli orari d’ufficio sfumano).

Utilizzare strumenti come Trello o Asana per tenere traccia delle attività poteva sembrare un simpatico escamotage all’inizio della quarantena, ma in un’ottica di mantenimento di lungo termine di questa modalità di lavoro e della produttività necessaria, diventa indispensabile.

Ed è il capo il primo a doversi fare paladino di questa modalità di lavoro, perché essa possa aver successo. Incoraggiare l’uso di questi strumenti, provandoli e mettendoli in pratica, perché è appunto lui/lei che ha la vision necessaria per sceglierli.

Allo stesso tempo, il rischio dello smart working, soprattutto se il management non lo sposa completamente, è quello di creare un senso di distanza sociale incolmabile, che finisce per rendere meno efficaci le comunicazioni e forzate le interazioni.

Compito dei dirigenti invece, anche qui, è riuscire a ricreare le dinamiche sociali dell’ufficio al di fuori di esso, grazie agli strumenti di comunicazione remota quali le videochiamate. Dinamiche che faccia a faccia possono essere spontanee, come le chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè da cui spesso nascono le migliori idee, ora dovrebbero essere introdotte volontariamente.

Non solo riunioni “produttive”, quindi. Pranzi o pause caffè social davanti alla webcam, canali di interazione libera su Slack dove si incoraggi la condivisione della vita quotidiana, comunicazioni leggere e “off-topic” sono linfa vitale per il senso di appartenenza e di partecipazione in azienda, quando queste diventano interamente dipendenti da un computer.

Esistono (quasi) più strumenti che necessità quando si parla di smart working, e se la parte difficile è trovare quelli che più si addicono alla singola realtà aziendale, la buona notizia è che sicuramente esistono. E probabilmente in questo periodo, grazie alla piattaforma Solidarietà Digitale, possono anche essere gratuiti o comunque fortemente scontati.

strumenti lavoro remoto

La vera sfida dello smart working è il post-Coronavirus

Quel che è certo è che le aziende dovranno ragionare su come rendere lo smart working uno strumento davvero efficace, e non ‘di riserva’, per non trovarsi impreparati di fronte a probabili altri periodi di isolamento, che secondo gli esperti seguiranno anche in futuro.

Per farlo, è necessario creare un’organizzazione e una cultura aziendale che non “capita”, ma che anzi si deve implementare volontariamente e consapevolmente con cambiamenti e sforzi specifici.

“La sfida futura per le aziendesecondo Simone Colombo, HR fractional ed esperto di direzione del personale in outsourcing – sarà quella di riuscire ad avere un sistema di gestione che definisca gli obiettivi per ogni area di lavoro e riesca a misurarli, ora che nella misurazione manca la variabile tempo e spazio e soprattutto non è possibile indire riunioni o verifiche quando si vuole, lasciando il lavoratore libero (ma al contempo solo) di autodeterminare la propria attività”.

È una sfida per i dipendenti, che dovranno imparare ad essere molto più autonomi e focalizzati, ricreando a casa le condizioni lavorative che li rendono efficaci in ufficio, con orari, abitudini e attività specifiche.

Ma è una sfida soprattutto per i manager e i responsabili, che si trovano praticamente costretti a rivedere il proprio stile di leadership. Continuare a fare muro contribuirà solo alla creazione di una cultura del lavoro sbagliata e controproducente, che nel lungo termine farà più danno che altro a qualsiasi organizzazione.

La chiave di volta, in questa situazione, è una sola: abbracciare il cambiamento invece di opporvisi, e trasformare questo periodo di crisi in una grande opportunità, una vera e propria scuola di management e leadership.

ecommmerce

Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

  • Il lockdown sta cambiando notevolmente le abitudini dei consumatori
  • La spesa nella GDO e la preferenza per gli acquisti eCommerce rispecchiano queste nuovi abitudini domestiche
  • Mentre l’Italia chiude, secondo le statistiche, esplodono gli eCommerce

 

Le misure imposte per arginare il diffondersi dell’epidemia da Coronavirus stanno cambiando profondamente le abitudini dei consumatori. Esercizi commerciali chiusi, smart working, quarantene forzate costringono le persone a condurre una vita molto più casalinga e gli effetti si leggono immediatamente sugli acquisti.

Cosa possiamo dire riguardo all’andamento delle vendite della GDO e degli eCommerce tra fine febbraio ed inizio aprile 2020? 

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ecommerce

La spesa nella GDO rispecchia le nuove abitudini domestiche

Secondo una ricerca di Nielsen le vendite della GDO hanno avuto un’impennata a partire dalla settimana tra lunedì 17 e domenica 23 febbraio, in particolare nei supermercati (+8,69%), negli ipermercati (+8,61%) e nei discount (+8,28%) del Nord Italia. Gli acquisti sono aumentati per via di due effetti: lo “stock”, che ha portato all’aumento degli acquisti di prodotti alimentari a lunga conservazione, quali riso (+33%), pasta (+25%), sughi e salse (+19%) e “prevenzione e salute”, che ha portato all’aumento delle vendite delle categorie della cura persona, come il comparto parafarmaceutico (+112%) e quello dell’igiene personale (+15%).

Nelle nostre rilevazioni – ha affermato Romolo de Camillis, di Nielsen Connect Italiasi può leggere l’apprensione per l’eventualità di una quarantena.

Durante le due settimane successive la crescita è dilagata anche al Sud, sempre trainata dai due effetti citati in precedenza, a cui se n’è aggiunto uno nuovo: #Restoacasa. Tra gli ingredienti base più acquistati si sono aggiunti il latte e la farina, mentre nel comparto surgelati, impanati, pesce e vegetali. In termini di valore assoluto sono i prodotti da forno a riscontrare una maggiore crescita, in particolare pasticceria e biscotti. Registrano una forte crescita anche l’acqua in bottiglia, la carta igienica, il sapone, la candeggina, le salviettine umidificate e i detergenti per le superfici. 

A seguito delle nuove misure restrittive, prese dal governo l’8 Marzo 2020, le vendite della GDO sono letteralmente esplose: la crescita di queste settimane risponde alla nuova esigenza di consumare i pasti esclusivamente in casa. Come nella settimana precedente, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+28,4%), seguito da Nord Est (+18,6 %) e Centro (16,8%). In particolare, il trend positivo si registra nei liberi servizi (+46,3%), nei supermercati (+30,4%) e nei discount (+22,5%).

Anche le vendite di prodotti ideali per un aperitivo home-made crescono, come mozzarelle (+43,4%), affettati (+32,4%), patatine (+31,3%), birre (+13,8%), ma anche di quelli che potremmo considerare “comfort food”, come creme spalmabili (+57,7%), pizza surgelata (+54,3%) e barrette di cioccolato (+21,9%). Sono tanti gli amici, i fidanzati, i colleghi, che nel primo weekend dopo la stretta si sono organizzati per vincere i momenti di noia e solitudine, tramite aperitivi e cene virtuali. Al contrario, il Cash & Carry ha subito un calo molto forte (-44,7%) e probabilmente questo andamento si protrarrà fino alla fine della quarantena, quando verranno riaperti bar e servizi di ristorazione. 

Ricerche prodotti di consumo coronavirus

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Durante la quinta e la sesta settimana (tra il 16 marzo e il 29 marzo), le vendite della Grande Distribuzione Organizzata continuano a crescere, ma in modo più contenuto, probabilmente a causa delle nuove procedure d’ingresso nei negozi e quelle relative allo spostamento (che può avvenire solo all’interno del comune di residenza). Secondo l’osservatorio Lockdown di Nomisma si prediligono ordini online, negozi di vicinato e prodotti a km zero, ma a differenza delle settimane precedenti è il Nord Est a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale (+8,9%).

Le categorie di prodotti maggiormente acquistate sono sempre legate ai tre “effetti” identificati da Nielsen: lo “stock” (farina, uova, zucchero, latte, burro, caffè, pasta, sughi e biscotti), la “prevenzione” (guanti, detergenti per le superfici, candeggina, sapone, termometri) e “resto a casa” (pizze surgelate, affettati, mozzarella, patatine, vino e gelato). In questo periodo aumenta la gente che si dedica alla preparazione di panificati e dolci in casa. Tutt’ora le vendite della GDO sono stabili, ma vista la proroga della quarantena fino al 3 Maggio, si pensa che ci sarà un nuovo incremento negli acquisti.

Mentre l’Italia chiude, esplodono gli eCommerce

In tutto questo caos, visti i moltissimi esercizi commerciali chiusi, le restrizioni all’entrata dei negozi aperti e la paura del contagio, moltissime persone hanno deciso di rivolgersi agli eCommerce per soddisfare i propri bisogni. Il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online è notevolmente cresciuto, passando da un 81,0% (rilevato da Nielsen tra lunedì 24 febbraio a domenica 1 marzo) ad un +162,1% (rilevato tra lunedì 23 a domenica 29 marzo). Da un’indagine di Netcomm, infatti, il 77% delle aziende che vende online nei diversi settori ha dichiarato di aver acquisito nuovi clienti, a dimostrazione che la crisi ha portato diversi consumatori ad avvicinarsi per la prima volta agli acquisti online. Secondo Romolo de Camillis, questa ascesa «rispecchia l’esigenza di evitare lunghi tragitti casa-negozio, nonché di evitare code e assembramenti».

Se si vanno a guardare bene i dati, però, il trend non è totalmente positivo: il boom negli acquisti online c’è stato, ma riguarda principalmente i beni di prima necessità.

Il trend di crescita riscontrato tra fine febbraio e inizio marzo, esattamente come quello del retail tradizionale, ha poi subito un lieve rallentamento: per molti player, sia B2B che B2C, il fattore determinante del calo è stato il decreto emanato il 22 marzo 2020, che ha applicato nuove restrizioni per limitare la diffusione del Coronavirus, ovvero il divieto di vendita dei prodotti non essenziali ed il conseguente ritardo o blocco dei sistemi di trasporto.

Attualmente, guardando i dati aggiornati delle spedizioni rilasciate da Qaplà, la situazione italiana per la logistica del commercio elettronico sembra abbastanza fluida: qualche corriere è in crisi, a causa delle filiali chiuse (in particolare nel Nord Italia) o degli scioperi degli spedizionieri che hanno paura ad andare a ritirare le merci nelle zone più colpite dal virus, ma molti altri stanno lavorando al meglio delle proprie risorse per garantire il flusso della distribuzione. Secondo l’indagine dell’Osservatorio Netcomm datata 31 marzo 2020, la percentuale di merchant che hanno riscontrato un problema nelle spedizioni (su 150 intervistati) è solo del 39,33%, ma un buon 80% non esclude di poter avere difficoltà nei prossimi mesi. 

logistica coronavirus

Andamento delle vendite online a seconda del settore

Analizzando i dati di Qaplà, a Marzo 2020 è stato evidenziato un netto miglioramento nel volume delle spedizioni totali, ma andando ad analizzare lo spaccato dei singoli settori ci si rende conto che le performance non sono per tutti uguali, anzi. 

Settori in crescita: spesa online, pharma, articoli sportivi e bricolage

La categoria che ha fatto segnare numeri da record, in particolare nei primi giorni di Marzo, è quella della spesa online. Tuttavia, nel giro di una decina di giorni il sistema ha fatto crash: nessun player era organizzato per far fronte a una domanda esplosa da un giorno all’altro. Il risultato è stato che molti siti erano diventati lentissimi, o addirittura inusabili, come quello di Carrefour, che bloccava la navigazione ogni qual volta si tentava di inserire un prodotto nel carrello, oppure chiedeva all’utente di rientrare a mezzanotte a saldare il conto della spesa. Altri player, come Iper ed Esselunga, invece, non sono riusciti a reggere il carico della logistica, facendo slittare la consegna di intere settimane.

Ecco quindi, che nelle ultime due settimane, alcune realtà si sono ingegnate per trovare delle soluzioni alternative: alcune realtà locali si sono impegnate nelle consegne a domicilio, magari approfittando della soluzione offerta da Nexi “Pay-by-link”, che consente di incassare l’importo dell’acquirente a distanza, tramite l’uso di un link. Anche molti eCommerce hanno ideato nuovi servizi, ad esempio Carrefour ha da poco lanciato “gli essenziali“, dei cesti precostituiti con alimenti in scatola, prodotti per la casa e per la cura della persona che vengono consegnati entro 4-5 giorni dall’ordine, in tutta Italia.

Trend ricerche spesa online coronavirus
Un altro settore destinato a una crescita esponenziale è quello delle farmacie online: secondo Qapla’ nella seconda metà di Marzo c’è stato un incremento degli ordini del +54%, rispetto allo stesso periodo del mese precedente, mentre Adabra ha registrato un 37% di fatturato in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia, anche in questo settore mostra un andamento simile a quello dei supermercati: un boom di vendite nelle prime settimane, che si è poi lentamente assestato su livelli tradizionali.

I dati positivi registrati tra fine febbraio ed inizio marzo sono stati trainati dalla ricerca di prodotti legati al COVID-19, ovvero i detergenti per le mani, le mascherine, i guanti ed i termometri (secondo IQVIA e Pharmacy Scanner +455%), di fatto introvabili nelle farmacie locali e nei supermercati. Durante il corso delle settimane c’è anche stato un incremento di ricerche anche per i termometri e per i pulsossimetri, ovvero strumenti utili per misurare la temperatura e l’ossigenazione del sangue, ma anche di vitamina C, causata da una fake news fatta circolare sui social network e ripostata da Belen Rodriguez.

Trend ricerca farmacie coronavirus

Dopo che Conte ha decretato il lockdown, l’attenzione degli utenti si è concentrata su altre due categorie di negozi online: eCommerce specializzati nella vendita di attrezzature per l’home fitness e del bricolage. Gli articoli sportivi sono molto ricercati e acquistati, in particolare da quando è stato vietato di passeggiare e correre all’aperto: fare sport tra le mura domestiche è diventata una vera e propria ossessione, sia per questioni di forma fisica, che per scaricare lo stress del momento.

E sicuramente l’offerta di video, app e tutorial messi a disposizione dagli influencer e dai personal trainer, ha notevolmente incrementato le vendite di questi prodotti, che secondo Adabra si aggira attorno ad un +48% di fatturato rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i negozi di bricolage, invece, se inizialmente la vendita è stata trainata dalla ricerca di mascherine ffp2 e ffp3, non sono mancati gli acquisti di vernici, utensili e materiali per i piccoli lavori di casa; secondo una ricerca di ManoMano e YouGov sulle nuove abitudini degli italiani, infatti, risulta che 4 persone su 10, in particolare di sesso maschile, durante la quarantena si sta dedicando ai piccoli lavori di manutenzione domestici.

trend ricerche sport coronavirus

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Rimangono alte anche le visite ai siti di elettronica di consumo, di giocattoli e di pet care. La necessità di seguire le lezioni e lavorare da remoto, ha incrementato l’acquisto di accessori quali webcam, monitor, cuffie e microfoni. Inoltre, la raccomandazione di evitare di toccare superfici condivise e di tenere puliti gli ambienti di casa, ha favorito le vendite di robot aspirapolvere, di dispositivi smart home.

Al contrario, secondo GfK hanno subito una decrescita prodotti quali smartphone (-6,7%), TV (-10,2%), macchine del caffè (17,4%), stampanti (-27%), condizionatori (-27,4%) e asciugatrici (-31,4%). E mentre i genitori lavorano, i bambini hanno bisogno di distrazioni, di conseguenza non sono mancate le impennate alle visite degli store di giochi e giocattoli; molti di essi però, purtroppo, rimangono chiusi fino a nuova ordinanza. Oltre i bambini, anche gli animali domestici in questo periodo reclamano le dovute attenzioni: il trend delle visite dei negozi di “pet care” è stabile, mentre gli ordini di cibo, integratori e peluche, secondo Qaplà, sono aumentati del 100% nel giro di un mese.

Ovviamente, in tutto questo periodo i marketplace sono rimasti il punto di riferimento per tutti gli italiani, in particolare Amazon ed Ebay. Inutile dire che, anche qui, i prodotti più cercati in assoluto sono state le mascherine e l’amuchina, il termometro ed il saturimetro. Nella top ten compaiono anche libri, accessori per bambini, il Risiko ed il Kindle. Anche l’acquisto su Amazon ha subito una lieve battuta d’arresto: secondo quanto riportato da Bloomberg, anche il grande colosso è rimasto spiazzato dall’enorme aumento delle domanda a livello globale e dal 21 Marzo, ha dovuto prendere la decisione di dare la priorità di consegna ai beni di prima necessità, appartenenti alle categorie della salute e degli alimenti. 

Settori in calo: fashion, lifestyle e travel

Secondo il Consorzio Netcomm, l’emergenza sanitaria ha causato un calo delle vendite degli eCommerce dell’abbigliamento, dell’arredamento e delle calzature. Nonostante le grandi catene di abbigliamento abbiano incentivano gli acquisti online con sconti e promozioni dedicate, il mercato sembra aver subito un calo pari all’84,62%. I motivi di questa tendenza potrebbero essere due.

In primis, alla preoccupazione e all’ansia dovuta alla pandemia in corso, si aggiungono i timori per le conseguenze economiche derivate dal lockdown. Nella nostra testa non c’è più spazio per sfizi ed acquisti accessori, ma solo per beni di prima necessità o articoli particolarmente scontati. A questo, si aggiungono i problemi legati all’operatività e alla logistica: ordinare senza sapere quando si riceverà la merce è un deterrente per molti consumatori. Il mondo del lusso, invece, ha deciso di convertire la propria produzione in strumenti di protezione individuale: sono molti i famosi brand di moda che hanno deciso di impegnarsi in questa causa: da Mango a Gucci, da Dior ad Armani.

Ma il settore che soffre di più in assoluto in termini di vendite online ed offline, è sicuramente quello del turismo. Arrivano a ritmo accelerato in questo periodo, cancellazioni e disdette in tutta Italia, mettendo in ginocchio il mercato. Secondo la rilevazione, realizzata dall’Istituto Demoskopika lo scorso 11 marzo, sarebbero almeno 14 milioni i cittadini che, al netto di una ulteriore proroga dei provvedimenti restrittivi, avrebbero già deciso di non trascorrere l’estate 2020 sotto l’ombrellone: un tasso che si ripercuoterebbe sul sistema turistico con una perdita di circa 5,8 miliardi di euro a cui si aggiungerebbero 3 miliardi, già calcolati per le festività pasquali.

Valori negativi anche per l’incoming turistico italiano, che potrebbe provocare una perdita di circa 15 milioni di turisti stranieri. Questi numeri trovano conferma nelle percentuali di prenotazione rilevate nel report di Darwin, che si assestano attorno al -84% per i viaggi organizzati, -80% per i voli, -73% per i trasporti e -67% per le strutture ricettive. D’altronde “del doman non v’è certezza”: nessuno sa se, come e quando la vita potrà tornare alla normalità

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Cosa aspettarsi dal prossimo futuro degli eCommerce?

Gli sviluppi dipendono sicuramente da più fattori. È probabile che per alcuni settori aumenti ancora la portata degli ordini, per via dell’esaurimento delle scorte in casa. Inoltre, dal momento in cui assisteremo alla riapertura dei punti vendita e le persone potranno tornare a circolare, con le dovute precauzioni per la tutela della salute, il ruolo del commercio online diventerà ancora più importante: molti preferiranno acquistare online, piuttosto che stare ore ed ore in fila al negozio o correre rischi per la propria salute. Perciò, i proprietari di eCommerce, dovranno rimboccarsi le maniche, per tenere sotto controllo tutta la filiera distributiva ed evitare intoppi nella fruizione del portale e nelle consegne.

Secondo la mia opinione, gli aspetti che devono e dovranno essere necessariamente tenuti sotto controllo sono: la comunicazione tempestiva degli aggiornamenti, l’usabilità del sito, la quantità di merci in magazzino, i prezzi e la scontistica, l’assistenza al cliente 24h e la garanzia di consegna. Se le reti di distribuzione continueranno a funzionare fluidamente durante le prossime settimane non dovrebbero presentarsi grossi problemi, ad eccezione della difficoltà dell’approvvigionamento: è un dato di fatto che già ora, in molti magazzini, la disponibilità di alcune merci è terminata e non sarà facile riassortirla nel breve periodo.

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Per alcuni settori sarà comunque necessario tenere conto che il fattore economico potrebbe impattare negativamente: molte aziende, che sono state costrette a rimanere chiuse, subendo ingenti perdite ai profitti, non saranno in grado di pagare i propri dipendenti, e a ciò si aggiungerà un tasso di disoccupazione molto elevato.

Questa preoccupazione è resa nota da una ricerca di SWG del 19 marzo scorso: il 53% degli intervistati teme che “la propria azienda o attività possa subire delle conseguenze” mentre il 44% ha paura di poter perdere il lavoro a causa di questa crisi. Sicuramente il potere di spesa di molti consumatori potrebbe essere notevolmente ridotto rispetto a prima. Purtroppo, avere il negozio migliore del mondo o le campagne di marketing più avvincenti potrebbe servire a poco, se le persone non avranno la possibilità di acquistare.

coronavirus

Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19

  • Il COVID-19 sta già cambiando la nostra vita e condizionerà anche le scelte di marketing
  • La forma di advertising più colpita è evidentemente l’outdoor, segue subito dopo il mercato delle sponsorizzazioni
  • Gli influencer hanno un ruolo positivo attivo, coinvolgendo i follower con le dirette da casa

 

Cosa accadrà al mondo del marketing post Covid-19? 

Abbiamo provato ad analizzare, partendo da alcuni dati, come il mondo del marketing potrà essere influenzato dal lockdown mondiale.

Alcune considerazioni, sono forse banali, ma vanno necessariamente sottolineate oggi: se le strade sono deserte, internet è in sovraffollamento; i social media sono diventati il luogo in cui rifugiarsi per ritrovare un senso di comunità e le piattaforme di video conference sono diventati i nuovi bar virtuali in cui incontrare amici e parenti.

Tutto il mondo si sta interrogando su domande da milioni di dollari: quanto durerà? Come sarà influenzata la mia vita e il mio lavoro? Noi queste risposte ovviamente non le abbiamo, ma abbiamo provato a capire come il Coronavirus influenzerà le scelte di marketing nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

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Il mondo marketing tradizionale

Mentre siamo chiusi nelle nostre case, il mondo intorno a noi sta cambiando. La comunicazione in TV è stata rivoluzionata nel giro di poche settimane, i programmi televisivi si sono adattati alle nuove disposizioni sanitarie e i brand più reattivi sono andati in onda con spot pubblicitari girati in case, mostrando un messaggio di vicinanza al pubblico.

Ma proprio dal mercato del marketing tradizionale arriva il primo grande paradosso: gli ascolti della TV esplodono ma i brand fanno retro-front sugli investimenti pubblicitari.

Secondo uno studio svolto in queste settimane recente studio, la penetrazione degli ascolti TV aumenta ogni giorno, mediamente un italiano su tre guarda la tv, la chiusura delle scuole aggiunge una bella fetta di bambini, che tuttavia rimane inferiore a quella degli adulti. Il picco di ascolto è alle 9 di sera con quasi la metà degli italiani davanti alla televisione, mentre il day time ha beneficiato maggiormente della situazione con un incremento del 17%.

Lo stesso dato di crescita, tra TV tradizional e streaming si registra inoltre in tutto il mondo, come mostrato da Statista.

statista crescita ascolti tv e streming coronavirus

Ma nonostante ciò, in Italia si stima una riduzione degli investimenti in acquisto di spazi televisivi. Un vero e proprio paradosso, spinto dall’ondata di crisi economica verso cui stiamo andando incontro.

spesa adverttising tv coronavirus

L’Out of Home potrebbe essere la forma di advertising più colpita. Ha ancora senso la pubblicità per strada? Nei prossimi mesi sarà sempre meno frequente camminare per strada, spostarsi da casa a ufficio, raggiungere da qualche parte un amico. E allora quanto saranno utili i cartelloni pubblicitari? Quale sarà l’effettivo ritorno dell’awareness di una pubblicità sugli un autobus, o in una stazione della metropolitana? C’è tuttavia da considerare che una buona fetta della spesa pubblicitaria in questo settore sia allocata alla fine dell’anno, per le festività natalizie.

Infine, anche il mercato delle sponsorizzazione ne risentirà: i grandi eventi sportivi, come il campionato di calcio e perfino le olimpiadi, sono sospesi e alcuni brand tenderanno a tagliare gli accordi di sponsorizzazione.

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coronavirus corporate social responsibility

La strada del Digital Marketing

A differenza delle forme di pubblicità tradizionali, gli investimenti in digital marketing potrebbero aumentare.

Da una ricerca di Dentsu Aegis Network, su 155 brand intervistati, il 14% ha dichiarato di spostare budget online, da media offline.

Nei prossimi mesi potremmo vedere un netto aumento della spesa pubblicitaria digitale poiché i consumatori trascorreranno naturalmente più tempo online, scegliendo di fare acquisti online anziché uscire di casa.

La ricerca di Global Web Index ha rilevato che stiamo assistendo a un netto aumento delle persone che accedono ai social media in tutte le fasce di età. Il 27% tra la Gen Z, il 30% tra i Millennials, il 29% tra la Gen X e il 15% tra i Boomer.

La spesa pubblicitaria sui social media è quindi destinata ad aumentare. Si ritiene che gli investimenti in social advertising potrebbero aumentare del 20%.

Sarà però fondamentale fare attenzione alla scelta del contenuto, capire e scegliere le parole e le immagini giuste per comunicare in questo momento di crisi. Come content creator, abbiamo la responsabilità di scegliere con consapevolezza i contenuti che pubblichiamo in questo momento. Le persone hanno bisogno del supporto dei brand che amano e i social media forniscono un ottimo veicolo per farlo.

Stiamo assistendo poi ad un enorme aumento dell’influencer marketing, con un recente studio che ha riscontrato un aumento del 76% dei Mi piace accumulati quotidianamente sui post #ad di Instagram nelle ultime due settimane. Le dirette Instagram sono all’ordine del giorno fra gli influencer che fanno compagnia agli italiani dalle loro case. Chiara Ferragni e Fedez sono un chiaro esempio di come gli influencer possano avere un ruolo da protagonisti positivi: la loro iniziativa di solidarietà, sfonda i 3 milioni di euro in meno di 48 ore.

Nulla sarà più come prima? Probabilmente sì, cambierà anche il mondo del marketing. Solo chi avrà la capacità di cambiare velocemente le sue strategie, dotandosi di strumenti e competenze adeguate, potrà evitare la crisi o almeno superarla indenne.

email marketing coronavirus

Post-covid: l’emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro

  • Nel post-covid ci sarà un sistema che cambierà per non morire, così come questa emergenza ha generato milioni di lavori flessibili.
  • Alla contrazione della domanda di servizi si contrapporrà, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

 

“Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare” sono le parole che ruberei a Fiorella Mannoia per descrivere il presente che si trasforma. Non solo nella testa o nel cuore. C’è un sistema che cambierà per non morire, dalla necessità all’abitudine. Così come questa emergenza Covid ha generato, sta generando e genererà milioni di lavori flessibili.

Oggi 9 su 10 freelancer su un campione esteso intervistato dalla piattaforma di business data Statista, dichiara aspettative crescenti di riduzione delle attività.

freelance lavoro post-covid
Una contrazione della domanda di servizi a cui si contrapporrà nel post-covid, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.

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Come è cambiato il nostro quotidiano (e cosa ci porteremo nel post-covid)

È bastato questo periodo di vacanze pasquali per i nostri ragazzi a farci scoprire quanto sia difficile lo smart working con un figlio completamente libero dalle call di Zoom della scuola e farci rimpiangere la colf appena licenziata e le babysitter last minute che popolano le rubriche telefoniche di tutte le mamme.

Due giorni fa un caro amico mi ha chiesto come sopperire ai mancati ricavi della sua attività ora che i clienti non entrano più in negozio per provare la vista e comprare un paio di occhiali. Nella stessa giornata, in una chat di scuola, alcuni genitori si lamentavano perché temono che il figlio ricomincerà a prendere brutti voti, non potendo più frequentare le ripetizioni . E per finire immagino, dal taglio improbabile di capelli che ho inflitto a me stesso e ho visto nelle video call di questi giorni, come sia in difficoltà il gentil sesso che non può accedere al proprio parrucchiere per un taglio e una piega.

In questi giorni ho provato ad aiutare queste persone e son partito da tre considerazioni prima di dar loro un consiglio.

emergenza covid

Prima considerazione

Le abitudini in questo momento sono alterate dallo stravolgimento di un’emergenza planetaria che ha imposto un regime di quarantena. Aziende e lavoratori non erano preparati e devono da oggi prendere in seria considerazione di sviluppare un “gruppo di continuità” a protezione della capacità di sostentamento in casi di emergenza (al di là di ammortizzatori sociali).

Al mio amico ottico, che aveva un cospicuo seguito nei social ho consigliato di dare un occhiata ad uno dei tanti sistemi di dropshipping che mettono a disposizione i prodotti più disparati da vendere alla propria community senza possedere in magazzino le merci. Magari dando un occhio ai prodotti da mettere in vetrina del suo eCommerce in questo periodo prima di aprirlo. E quando riaprirà la sua ottica, perché non continuare a vendere anche la nuova linea di prodotti scelti in queste settimane!

Non sarà diverso per chi vende servizi, per loro i portali non mancano, nati da tempo grazie al fenomeno noto come Nomadismo digitale ed ora meta di iscrizione anche da parte di freelancer rimasti a bocca asciutta.

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Seconda Considerazione

Quando la marea si ritrarrà rimarranno sulla spiaggia abitudini, bisogni e professioni nuove con una trasformazione dei vecchi modelli che mixeranno le soluzioni tampone adottate in tempo di Covid a quelle più tradizionali a cui la natura umana è più propensa.

In ogni caso se saremo costretti, o sceglieremo di lavorare in regime di smart working da casa, con figli piccoli da gestire, sarà utile sapere che ora le babysitter operano pure a distanza ed organizzano challenge digitali per i più piccoli. O se un figlio doveva scegliere tra gli allenamenti o le ripetizioni di matematica perché i trasferimenti dal docente al campo da gioco non consentivano di incastrare i due appuntamenti nello stesso pomeriggio, non è più necessario. Stanno letteralmente decollando i docenti a distanza, sono più di 23.000 e funzionano alla grande stando ai commenti degli utenti.

post covid emergenza

Terza considerazione

Da ultimo, se non si può velocemente passare a vendere on-line per qualsiasi motivo, forse si riesce almeno a prendersi cura dei clienti distribuendo forme di customer loyalty o coupon che accelerino il graduale ritorno alla normalità senza lasciare sul terreno i vecchi clienti attratti, sotto quarantena, dal vicino di saracinesca.

Sicuramente al fianco di forme di aggregazione che spingono frotte di signore a ritrovarsi in un salone di bellezza si svilupperà<strong> il servizio a domicilio. Sarà il lascito di questa pandemia, un’abitudine con cui le persone stanno prendendo confidenza con le provviste alimentari del bottegaio di fiducia. Fioriranno quindi portali come quello a cui ho consigliato la mia enoteca di fiducia di iscriversi.

Mentre ad un ristoratore dei vicoli di Genova ho fatto scoprire promettoditornare.it, il portale che aiuta i locali – settore particolarmente colpito da questa serrata – consentendogli di vendere dei coupon da riscattare appena la reclusione finirà. Un modo intelligente per ripartire e per chiamare a raccolta i tuoi clienti più cari.

Sempre che non possa accedere alle cucine del suo locale per cui il neonato RistoaCasa è portale ottimo e gratuito, al di fuori del circuito dei blasonati delivery, per servire piatti a domicilio.

Come sarà il post-Covid?

Nessuno può dirlo ma di una cosa sono certo, nel post-covid il livello di alfabetizzazione digitale del Paese sarà migliorato di molto aprendo le porte all’intraprendenza di molte professionalità che hanno scoperto nuovi lavori e un nuovo modo di vivere lavorando.

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Per capire chi è il Chief Digital Officer bisogna partire da un presupposto: negli ultimi anni è emerso un interrogativo comune tra i manager di PMI, istituzioni pubbliche o grandi aziende: “in che modo possiamo affrontare il cambiamento imposto dal digitale?”.

Rispondere in modo efficace a questa domanda presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che deve essere guidato da una figura professionale capace di:

  • comprendere lo scenario del cambiamento in atto;
  • attuare un framework di transizione verso il digitale in grado di porre al centro le persone prima ancora delle tecnologie.

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La trasformazione digitale

Per quanto riguarda il primo aspetto, il processo di convergenza tra tecnologie e piattaforme digitali ha contribuito a cambiare radicalmente le esperienze quotidiane di ciascuno di noi, sia nella vita privata che sul lavoro. Oggi il rapporto tra ecosistema digitale e mondo imprenditoriale è caratterizzato da due fattori critici sui quali occorre lavorare:

  • da una parte troviamo le aziende. Molte delle innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie contribuiscono a erodere quote di mercato consolidate in decenni di attività, se non addirittura a sfaldare modelli di business diventati rapidamente obsoleti perché non sono in grado di sostenere le rapide accelerazioni imposte sul mercato dal digitale;
  • dall’altro lato troviamo i professionisti, e in particolare le figure di middle e top management che sono chiamate a un urgente upskilling o reskilling in ambito digitale delle proprie competenze; azione indispensabile per non restare esclusi dalla competizione sul mercato del lavoro.

Upskilling nel mondo digitale

La trasformazione digitale alla quale ci troviamo di fronte determina una forte riduzione dei tempi di adozione delle innovazioni tecnologiche, che oggi tendono a raggiungere in tempi rapidi ampie quote di mercato, per poi decrescere altrettanto rapidamente sotto la spinta di prodotti/servizi aggiornati e, per questo, più competitivi.

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  • perché la tecnologia ci impone un nuovo mindset digital first;
  • dove stiamo andando e come stanno cambiando i modelli organizzativi e di business;
  • le aree di intervento del Chief Digital Officer in azienda;
  • quali sono gli step fondamentali per guidare il processo di Digital Transformation.

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linkedin algoritmo

Come ottimizzare il tuo profilo LinkedIn (ed essere premiato dall’algoritmo)

  • La piattaforma di LinkedIn è nata esattamente con lo scopo che ha oggi, ossia costituire un luogo d’incontro virtuale per professionisti
  • Sono 663,3 milioni le persone che possono esser raggiunte con l’advertising su LinkedIn, circa il 12% della popolazione mondiale
  • Oggi gli sviluppatori stanno lavorano per implementare numerose funzionalità che aumentino il grado di engagement nelle conversazioni

 

Quando si parla di social media la mente va immediatamente a Facebook, Instagram o – al più – a TikTok, trascurando erroneamente LinkedIn. Si tratta di un social network a tutti gli effetti, anzi è il social network nato per creare connessioni lavorative e nuove interazioni di business. Ecco perché è fondamentale non solo avere un profilo LinkedIn, ma curare le connessioni che si instaurano e lavorare affinché l’algoritmo ci premi.

Vediamo in questa guida non solo perché ottimizzare il proprio profilo su LinkedIn, ma anche e soprattutto come farlo sia che nel caso tu svolga sia un’attività di libero professionista, sia di dipendente all’interno di un’azienda.

linkedin numeri

I numeri di LinkedIn

LinkedIn non è uno dei satelliti della mente del fondatore di Facebook, ma è il prodotto del lavoro di Reid Hoffman, lo studioso laureato in Scienze cognitive nel 1990 all’Università di Stratford, specializzato in Filosofia ad Oxford e con una carriera nell’informatica, che dopo alterne vicende lavorative nel 2002 diede vita insieme a tre colleghi ad un social network nuovo.

La piattaforma di LinkedIn è nata esattamente con lo scopo che ha oggi, ossia costituire un luogo d’incontro virtuale per professionisti che qui potessero scambiarsi idee e pareri su argomenti di attualità e novità nella propria area di business.

Da allora LinkedIn ne ha fatta di strada, non solo per il numero di utenti iscritti, ma come strumento di marketing nel quale si è trasformato nel tempo: basti pensare che sono 663,3 milioni le persone che possono esser raggiunte con l’advertising su LinkedIn, circa il 12% della popolazione mondiale.

Su scala globale l’Italia è solamente al nono posto tra i paesi che utilizzano questo social network, seguita da Messico, Spagna, Australia e Germania; al primo posto gli immancabili Stati Uniti, seguiti da India e Cina.

Insomma, sembra proprio che il colosso acquisito da Microsoft sia diventato il più grande database di professionisti al mondo: sarà forse per questo che gli esperti stanno lavorano per implementare numerose funzionalità che aumentino il grado di engagement nelle conversazioni. In fondo, il rilascio della possibilità di eseguire dei video in diretta conferma quanto LinkedIn sia sulla cresta dell’onda e, anzi, stia lavorando alacremente per trasformare in maniera profonda il proprio algoritmo, in meglio.

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linkedin

Come i liberi professionisti possono usare LinkedIn

Se avere una pagina LinkedIn è fondamentale per le aziende, lo è altrettanto per i liberi professioni o chi ambisce ad esserlo. Anche per te ho alcuni preziosi suggerimenti:

  • il tuo profilo non è un curriculum online. Non confondere il tuo cv con il tuo profilo LinkedIn. Sebbene sia fondamentale inserire correttamente tutte le tue esperienze professionali e abilità, ricordati che la vera differenza viene fatta dalle interazioni e dalla rete di contatti che saprai creati. Emergere può essere difficile, ma con costanza otterrai risultati quasi insperati.
  • Conosci il tuo target. Come avviene in qualsiasi attività online, è fondamentale comprendere a chi ti rivolgi. Domandati quindi: qual è la persona che vorrei trovasse interessante il mio profilo? Quali sono le competenze che è importante inserisca e quali posso invece tralasciare perché non sono al 100% coerenti con le mie ambizioni?
  • Gli head hunter guarderanno il tuo profilo. Come vedremo nei paragrafi seguenti, LinkedIn è uno strumento fondamentale per le aziende che ricercano nuove figure da inserire all’interno del proprio team. Assicurati quindi che il tuo profilo sia aggiornato e con tutte le informazioni che occorrono.

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linkedin consigli

Come le aziende possono utilizzare LinkedIn

Troppo spesso mi trovo a lavorare con aziende che hanno un potenziale inespresso che non traspare minimamente, non solo dal proprio sito ma anche e soprattutto dal profilo LinekdIn aziendale.

Cominciamo quindi con alcuni punti fermi che devono essere tenuti ben presenti quando si parla di LinkedIn per le aziende: la pagina del tuo brand non può essere quella del suo fondatore. Per quanto la strategia di personal branding del CEO, del direttore marketing o qualsiasi altra figura designata debba rispecchiare i valori dell’azienda è fondamentale che questa possa vivere di vita propria su questo social.

Ecco quindi qualche suggerimento preliminare che ti aiuterà a mettere a fuoco come e soprattutto perché la tua azienda deve avere una pagina aziendale:

  • è uno strumento di marketing. Curare la pagina della propria azienda è come assicurarsi che il proprio sito internet funzioni, cioè è semplicemente indispensabile! Infatti, al pari della pagina web, è un importante biglietto da visita a livello commerciale e d’immagine per tutto il team che vi lavora. Inoltre, avevi mai sentito parlare di LinkedIn Advertising? Ne parleremo più avanti.
  • Selezionare le risorse utili per ampliare il tuo team. LinkedIn è come se fosse una piazza in cui ciascuno mostra le proprie caratteristiche, evidenziando pregi e soprattutto aspettative lavorative. Ecco quindi che la tua pagina aziendale è uno strumento da una parte per attirare candidati qualificati e in target con le tue aspettative; dall’altra per procedere concretamente nell’iter selettivo, attraverso il tuo referente risorse umane.
  • Creare una community. Se il target della tua azienda è Business To Business e il tuo interlocutore è – ad esempio – un direttore di banca o un dirigente, allora riuscire a creare un collegamento con lui e proporgli contenuti interessanti e pertinenti potrebbe aiutarti nel processo di acquisizione di nuovi clienti con cui difficilmente potresti entrare in contatto. Ovviamente non sto dicendo che basta collegarsi con un dirigente perché questo ti offra una collaborazione, ma sicuramente mostrare le proprie abilità e progressi può essere un interessante calamita da utilizzare.

LinkedIn

Come ottimizzare il tuo profilo personale

Per procedere con l’ottimizzazione del tuo profilo personale, ti suggerisco di accedervi direttamente al desktop, in quanto alcune modifiche non possono essere apportate attraverso l’applicazione per smartphone. Prima di passare ad alcuni suggerimenti tecnici, vorrei darti un consiglio: durante la fase di registrazione utilizza la tua email personale e non quella aziendale.

La vita è imprevedibile e non puoi sapere per quanto tempo potrai disporre di quell’indirizzo email: magari, quando cambierai posizione lavorativa, potresti perdere il tuo precedente indirizzo e – insieme ad esso – la possibilità di accedere ed entrare in contatto con la tua community. Mi raccomando, usa sempre la mail personale: un indirizzo Gmail andrà benissimo.

Una volta che hai acceduto al tuo profilo, puoi procedere con l’ottimizzazione di:

  • Foto – è letteralmente la prima cosa che i tuoi potenziali collegamenti vedono. Per questo ti suggerisco di caricare un’immagine in cui il tuo volto si vede in maniera nitida e sei ritratto all’interno di un contesto professionale. Meglio evitare i selfie o immagini al mare, a meno che tu non sia un bagnino o tu abbia un’attività in una località balneare. Ricordati, se possibile, di farti ritrarre mentre sorridi: questo ti aiuterà a fare un’ottima prima impressione su LinkedIn. Per quanto riguarda le dimensioni della foto, puoi mantenerti su 400×400 PX.
  • Immagine di copertina – è vero che questa sezione parla di come ottimizzare i profili personali, ma ricorda che su LinkedIn tu rappresenti soprattutto il tuo lavoro. Ecco quindi che puoi lasciare spazio nell’immagine di copertina per il logo della tua azienda, immagini del team o lo slogan del tuo brand. L’immagine di copertina risulta essere uno spazio prezioso soprattutto per coloro che svolgono un ruolo di prestigio all’interno della propria azienda o in un determinato settore. Per quanto riguarda le dimensioni della copertina: 1584×396 PX.
  • Headline – in questa posizione di testo puoi inserire il ruolo che svolgi all’interno di un’azienda o quello che fai attraverso la tua professione. Ricordati di non eccedere con i dettagli, in quanto non è questa la sezione del tuo profilo in cui potrai inserire la tua intera biografia. Ancora una volta ricorda che il tuo profilo LinkedIn non è il tuo curriculum.
  • Localizzazione – non dimenticare di inserire le informazioni relative al luogo in cui svolgi principalmente la tua attività. Il posizionamento local è un fattore importantissimo non solo su Google, ma anche su LinkedIn.
  • About – ti suggerisco di inserire una descrizione breve di quello di cui ti occupi e di quelle che sono le tue aspirazioni future, soprattutto se sei uno studente che cerca di attirare l’attenzione di un determinato tipo di aziende.
  • Esperienze lavorative – è una delle parti più importanti di tutto il tuo profilo perché è qui e nella sezione che segue che gli head hunter, competitor e potenziali datori di lavoro potrebbero soffermarsi maggiormente. Non inventare esperienze che non hai avuto, evita di inserire quelle che non sono coerenti con il tuo percorso di studi o le tue ambizioni. Mai come in questo caso è importante ricordare che “less in more”.
  • Competenze (skill) – qui puoi inserire le competenze tecniche e relazionali che credi di avere innate o che hai avuto l’occasione di sviluppare durante il tuo percorso di studi e di lavoro. Anche in questo caso, tieni ben a mente il criterio della coerenza rispetto al resto delle informazioni che hai inserito nel resto del tuo profilo. Inoltre, non dimenticare che non è importante tanto (o solo) inserire un gran numero di competenze, ma ricevere le conferme da parte di conoscenti e collaboratori. Per confermare una competenza un utente che visita il tuo profilo può eseguire facilmente questa procedura.

Come ottimizzare la tua pagina corporate

Come detto prima, la tua pagina corporate è la vetrina con cui potenziali clienti entrano in contatto con il tuo brand. È quindi molto importante non solo inserire tutte le informazioni, ma che queste siano corrette, aggiornate e nel formato più adatto. Vediamo insieme i dettagli:

  1. Logo – suggerisco sempre di inserire come “Page logo” quello che è effettivamente il tuo logo. Caricalo nelle dimensioni consentite da questo social media, altrimenti potrebbe essere troppo piccolo o sgranare: nel primo caso hai la possibilità di fare uno zoom, ma è comunque preferibile realizzarne uno ad hoc della dimensione più adeguata.
  2. Immagine di copertina – come accade per Facebook, anche LinkedIn mette a disposizione la possibilità di inserire una immagine di copertina. Ogni azienda riempie questo spazio in maniera soggettiva, ma le scelte più frequenti riguardano l’uso di uno slogan, l’immagine del team o degli edifici in cui svolgono le giornate lavorative. Ricorda che puoi accedere a questa funzione solo nella modalità desktop e non attraverso l’applicazione per smartphone.
  3. Nome – nell’apposita sezione di editing inserisci il nome della tua società e – se hai spazio – anche il tuo payoff che potrebbe permetterti di differenziarti da omonimi o potenziali competitor. Usa un segno divisorio tra il nome del brand e il payoff ricordando che quest’ultimo deve essere parlante ossia descrivere in maniera precisa, puntuale ed esaustiva quello di cui ti occupi.
  4. Tagline – qui hai a disposizione 120 caratteri che compariranno esattamente sotto al nome del tuo brand e al logo. Sfrutta al meglio questo spazio perché è il primo vero contatto con i tuoi clienti: ti suggerisco di inserire il settore al quale appartieni e quello che fai. Non ti dilungare sui servizi (per quello c’è il sito), ma cerca di esprimere quello che ti rende unico sul mercato. Evita le iperboli e frasi scontate come “leader di mercato/di settore”, “massimi esperti di …”.

Oltre a questa prima parte di ottimizzazione pratica, è fondamentale avere un piano editoriale che ti guidi nella condivisione di contenuti rilevanti per il tuo target. Semaforo verde quindi per tutti gli articoli che parlano dell’azienda, interviste ai membri del tuo team o contenuti prodotti direttamente dal gruppo di lavoro (magari su un blog aziendale). Suggerisco lanci brevi e con lo short link alla pagina di riferimento: questo ti aiuterà a tracciare in maniera precisa l’efficienza del tuo pubblico.

Attenzione inoltre ai collegamenti che autorizzi: la tua pagina aziendale non deve essere collegata con i tuoi parenti, a meno che non siano personaggi rilevanti nel tuo settore o appartengano all’azienda stessa. Invia e accetta unicamente collegamenti di valore per il tuo business e quindi coerenti con la tua attività e i servizi sui quali stai puntando.

Uno degli aspetti ai quali porre maggiore attenzione, è relativo ai dipendenti o ai collaboratori che hanno inserito il proprio ruolo all’interno dell’azienda nel proprio profilo: quest’informazione compare automaticamente anche sulla tua pagina aziendale.

È fondamentale porre attenzione ai profili che dichiarano avere un ruolo all’interno della tua azienda in quanto accade spesso che, a seguito di un cambiamento di posizione o d’azienda, l’utente dimentichi di aggiornare la propria posizione lavorativa su LinkedIn. In questo caso è opportuno contattarlo personalmente o tramite email, chiedendo di modificare questa voce del proprio profilo.

linkedin

Come creare engagement sulla tua pagina professionale

Il verso segreto per il successo su LinkedIn – come su tutte le altre piattaforme social – è condividere le proprie esperienze, realizzando contenuti pertinenti e interessanti per il proprio pubblico. Ma creare post interessanti non è abbastanza, soprattutto se la tua pagina aziendale è all’inizio del proprio percorso di crescita: ecco quindi che è fondamentale ottimizzare tutte le risorse che si hanno a propria disposizione, ossia collaboratori, dipendenti e figure chiave all’interno del proprio team.

Sono proprio loro gli ambassador dei valori, della filosofia e dei risultati che vengono ottenuti dall’azienda. Sebbene ciascun imprenditore non possa obbligare queste figure a “consigliare” o condividere i post della pagina aziendale, tuttavia può fare di tutto per creare engagement e coinvolgerli nelle varie iniziative promozionali. Del resto, i brand che hanno dimostrato di ottenere maggiore successo sono proprio quelli che hanno mostrato il proprio lato umano sui social.

Torniamo, circolarmente, ad un concetto importantissimo per LinkedIn ossia la pianificazione strategica della condivisione dei contenuti secondo il piano editoriale. Per far sì che ogni membro del tuo team si senta parte integrante della grande famiglia che è la tua azienda, perché non coinvolgerli direttamente rendendoli protagonisti di un post? Potresti realizzare dei contenuti in cui li presenti, magari in maniera spiritosa attraverso una frase che li contraddistingue o un aspetto peculiare del loro carattere.

Inoltre, la fase di stesura del piano editoriale (o almeno quella di brainstorming che la precede) può trasformarsi in un’ottima occasione di team building in cui ciascun partecipante può esprimere la propria opinione liberamente su come vive e percepisce il brand, arricchendo la comunicazione di nuovi spunti.

Infine, sia che la tua azienda sia una startup sia che sia una PMI, ricordati che l’imprenditore svolge un ruolo fondamentale nella comunicazione dei progressi e dei risultati raggiunti: il primo commento ad ogni post deve essere il suo, incoraggiando e spronando il lavoro che è stato svolto dal gruppo (mai dal singolo!).

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linkedin dati

L’importanza di monitorare i propri risultati

È risaputo come la condivisione di contenuti su LinkedIn condivisi durante le prime ore del mattino sortiscano un effetto migliore rispetto a quelli pubblicati durante il resto della giornata: questo avviene a causa delle abitudini degli utenti che, almeno una volta al giorno, preferibilmente la mattina appunto, accedono alla propria homepage.

Tuttavia, ti invito a non farti trarre in inganno e a monitorare personalmente il comportamento dei tuoi follower giorno per giorno: per farlo LinkedIn mette a disposizione delle pagine una piattaforma di Analytics dalla quale puoi estrapolare tutti i dati che ti occorrono.

Per accedervi è sufficiente cliccare sulla pagina di cui vuoi effettuare l’analisi e – all’interno della tab Analisi, seleziona la voce relativa a Visitatori, Aggiornamenti e Follower. L’usabilità di questa funzione analitica è versatile e permette di legge e confrontare le informazioni in maniera rapida e veloce.

Ricorda che la piattaforma di Analytics proposta da LinkedIn non deve essere confusa con quella di Google Analytics.

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LinkedIn Advertising

Come qualsiasi altra attività di marketing a pagamento, anche quella di LinkedIn Advertising presuppone un’attenta pianificazione delle azioni da svolgere in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Senza voler entrare nel merito specifico di come strutturare una strategia di LinkedIn Advertising – che, comunque, deve essere personalizzata sugli obiettivi di marketing di ogni brand – è opportuno sfatare alcuni miti su questo argomento: infatti, una volta liberato da queste false credenze potrai affrontare LinkedIn Advertising con maggiore consapevolezza e flessibilità.

Vediamo alcuni di questi:

  1. LinkedIn non è una piattaforma per Advertising. Falso! La piattaforma e soprattutto l’algoritmo sono cambiati molto negli ultimi anni, muovendosi nella direzione di ottimizzare l’interfaccia per le promozioni a pagamento. Oggi LinkedIn offre ai propri utenti la possibilità di promuovere il proprio profilo o la propria azienda attraverso una serie variegata di strumenti (che vedremo a breve);
  2. Fare sponsorizzazioni su LinkedIn è costoso. Falso, di nuovo! In senso assoluto è sbagliato definire come costoso o economico una campagna di advertising online in quanto il vero parametro da prendere in considerazione è la qualità dei lead che viene portata in relazione al proprio settore. È vero, l’investimento iniziale su LinkedIn è maggiore e il CPM e il CPC è in base molto più elevato rispetto a Facebook, ma la qualità del ROI è impagabile: provare per credere.
  3. Non funziona. Sbagliato! Pensa che uno degli elementi delle sponsorizzate su LinkedIn è proprio nella gran quantità di dati che gli utenti sono interessati ad inserire all’interno del proprio profilo. Queste informazioni sono materiale prezioso quando vengono impostate delle campagne a pagamento perché consentono di profilare e raggiungere in maniera precisa, dettagliata e puntuale il proprio target.

Una volta assimilate le potenzialità dello strumento, è opportuno ricordare che la piattaforma di LinkedIn ti mette a disposizione differenti soluzioni per fare pubblicità.

  • Ads Testuali: è la soluzione ideale per campagne CPC e CPM; questo tipo di alternativa fa’ sì che il tuo annuncio compaia nella Homepage di LinkedIn, nei risultati di ricerca dei profili e nelle Pagine;
  • Post sponsorizzati: come accade per altre piattaforme Social Media, anche LinkedIn offre la possibilità di sponsorizzare determinati contenuti – posto, foto o immagini – amplificandone l’audience e ampliando il numero di persone che possono essere interessate ai tuoi contenuti.
  • Sponsorizzazione tramite e-mail: si tratta di una soluzione analoga a quella dell’email marketing, con la differenza che si tratta di un sistema interno a LinkedIn stesso. Utilizzando questo strumento di promozione a pagamento è possibile inviare messaggi personalizzati nella posta di LinkedIn ad utenti potenzialmente interessati al proprio servizio. In questo modo non solo si è certi della ricezione dell’input pubblicitario, ma si ha la possibilità di aprire una conversione con il proprio utente in target.

Alla fine di questa lunga rassegna sugli strumenti su LinkedIn e delle numerose opportunità che offre per creare relazioni, mi permetto di concludere con una parentesi sociologica: preoccupatevi delle relazioni umane fisiche reali che stringete durante i corsi di formazione, in azienda o in pausa pranzo e, dopo aver avuto un primo contatto, richiedete il collegamento su LinkedIn, non viceversa!