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5 consigli per aumentare la fiducia dei clienti del tuo eCommerce

L’eCommerce non si ferma: dopo un fatturato globale di 5,7 trilioni di dollari nel 2022 (di cui l’Italia ha generato 48,1 miliardi, con il +20% rispetto al 2021), le previsioni per il 2023 sono ancora al rialzo, stimando 6,51 trilioni di dollari per l’anno in corso.

Una crescita che non accenna a fermarsi, con gli eCommerce che occupano sempre più spazio nell’ecosistema del retail B2C: il 20,8% delle vendite totali nel 2022, con proiezioni al 23% per il 2025.

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ecommerce 2021-2026

In questa cornice, le possibilità per aziende e attori fintech si moltiplicano, grazie anche alle opzioni offerte dal commercio online, come social commerce, live commerce e pagamenti pay-by-link.

Eppure, il tasso di abbandono carrelli ha sfiorato, nel 2022, il 70%, e il 79% degli utenti teme di poter essere vittima di una frode online.

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Tra le principali motivazioni di abbandono, gli utenti citano la scarsa affidabilità trasmessa dalla pagina di pagamento e problemi durante la transazione, come, per esempio, tentativi di pagamento molteplici.

Timori che sembrano confermati dai dati della Polizia Postale, che registrano, per il 2022, un aumento percentuale del 3% sui casi trattati di truffe online (15.508 in totale).

Per questo motivo, Payplug ci ha consigliato 5 modalità per guadagnare la fiducia del cliente e rendere il proprio eCommerce sicuro e competitivo, dalla personalizzazione dell’esperienza lungo tutta la customer journey, fino alla protezione dei dati del cliente e a esperienze calibrate su ogni diverso device.

Secondo dati raccolti da Payplug, infatti, un cliente appagato della propria esperienza è portato a spendere di più, con valori medi per i carrelli su mobile superiori di 21 euro a quelli effettuati da desktop.

Il 39% degli utenti, invece, afferma di preferire il pagamento rateizzato del proprio acquisto, modalità che può portare a un aumento complessivo del valore del carrello del 45%.

LEGGI ANCHE: eCommerce, euro digitale e cybersicurezza: il presente e il futuro dei servizi finanziari al Salone dei Pagamenti 2022

I consigli per conquistare la fiducia dei clienti sul nostro eCommerce

1 – Rendere l’esperienza fluida e device-specific

Con il 51% delle transazioni effettuate su device mobili, fornire al cliente un’esperienza fluida e agevole, personalizzata su ogni diverso dispositivo, permette di fidelizzarlo maggiormente e portarlo a concludere l’acquisto con più facilità.

Un’accortezza che giova anche al merchant, in quanto il valore medio di un carrello mobile è superiore a quello “riempito” tramite desktop: 71 euro contro 50 euro.

In questo senso, sarà inoltre prezioso dotarsi di gateway di pagamento che possano connettersi simultaneamente a diversi PSP (Payment Service Providers) ed, eventualmente, ritentare immediatamente un pagamento che, per mancata comunicazione con il server, non sia andato a buon fine al primo tentativo.

2 – Permettere al cliente di scegliere la modalità di pagamento sul nostro eCommerce

Nel 2023, la personalizzazione dell’esperienza di acquisto di ogni cliente passerà anche per la scelta del metodo di pagamento preferito (carta di credito, wallet, etc).

Secondo i dati raccolti da Payplug, il 50% degli acquirenti desidera poter pagare attraverso modalità one-click, utilizzando dunque dati di pagamento pre-memorizzati e conservati in tutta sicurezza sul sito.

Il 39%, invece, preferisce effettuare un pagamento rateizzato secondo la modalità Buy Now, Pay Later che conduce a un aumento medio del 45% sul valore di partenza del carrello, traducendosi in un +10% di volume di affari annuo del merchant.

3 – Personalizzare le vendite grazie all’omnicanalità

L’approccio omnicanale al retail eCommerce, che offre al consumatore molteplici strade con cui interagire con il merchant e completare la propria esperienza di acquisto, sarà uno dei maggiori trend per gli acquisti online del 2023. Infatti, il 70% delle aziende medio-grandi lo considera una direzione obbligata per lo sviluppo strategico del proprio business.

I dati mostrano inoltre una propensione sempre maggiore del cliente alla cessione delle proprie informazioni personali nel caso in cui questo comporti un vantaggio per la sua esperienza (l’87% degli intervistati secondo una ricerca del Politecnico di Milano), passaggio fondamentale per implementare corretti processi di vendita su più canali.

Ciò si traduce in ulteriori opportunità di vendita personalizzata, e dunque in una maggiore fidelizzazione del cliente verso il merchant. Scegliere correttamente il proprio partner di gestione dei pagamenti digitali significherà quindi maggiori opportunità per la propria azienda, e maggiore soddisfazione da parte dei clienti.

4 – Creare una pagina di pagamento chiara e sicura

Un primo aspetto riguarda la personalizzazione della pagina di pagamento abbinata al template del proprio eCommerce, includendo elementi che richiamino l’identità visiva del merchant.

Inoltre, sarà opportuno inserire sia i loghi ufficiali dei sistemi di pagamento utilizzati, sia appositi loghi a certificare la sicurezza della pagina stessa.

Infine, meglio non reindirizzare l’utente a una pagina esterna al momento dell’inserimento dati e conferma acquisto, ma integrare questo passaggio nella pagina principale attraverso una lightbox in sovrimpressione.

5 – Usare le recensioni come passaparola

Anche nell’era della connessione online, il passaparola si rivela uno strumento prezioso per far crescere la reputazione del proprio business, fidelizzare i consumatori e ampliare il proprio parco clienti, proprio a partire dalla fiducia pregressa di altri clienti.

Come rivelato da alcuni dati di Trustpilot, le recensioni condivise con altri utenti a seguito di un acquisto o un’esperienza sono ormai parte integrante del customer journey, e dunque influenzeranno positivamente – o negativamente – gli altri utenti.

Ciò è vero per il 93% dei consumatori, che affermano che le loro decisioni in materia di acquisti online sono influenzate dai feedback di altri peer.

L’89%, invece, afferma di consultare recensioni preesistenti prima di effettuare un acquisto, mentre il 75% si aspetta, al termine del ciclo di acquisto, di poter condividere le proprie impressioni con gli altri utenti.

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE numeri

ChatGPT e l’intelligenza artificiale generativa: i numeri del mercato

ChatGPT ha portato alla ribalta l’IA generativa quando ha raggiunto 1 milione di utenti in cinque giorni.

Quanto è potente Chat GPT? Come funziona l’IA generativa? Chi sono i protagonisti? ChatGPT è pronto per cambiare le nostre vite?

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Cos’è e cosa fa l’intelligenza artificiale generativa

L’intelligenza artificiale generativa è un’intelligenza artificiale che crea contenuti da semplici prompt e contesto.

#1. L’IA generativa può creare di tutto, dai saggi agli oggetti 3D. Esistono modelli per produrre testi, codici, immagini, video, musica, discorsi, sfondi di giochi. Per creare questo contenuto, la tecnologia richiede suggerimenti da parte dell’utente, un breve stringa di parole o frasi.

#2. I modelli più recenti combinano più di una funzionalità. Conosciuti come modelli multimodali, possono comprendere diversi tipi di contenuto, come immagini, testo e musica. Ciò consente loro di convertirsi l’uno nell’altro o persino di trasformarli in qualcosa di completamente diverso, come il video. Ma anche i casi d’uso a modalità singola, come il completamento di una canzone incompiuta, stanno diventando più sofisticati.

Ecco alcuni casi d’uso:

ai generativa esempi

Qual è la dimensione del mercato per l’AI generativa

#1. Secondo PitchBook e la National Venture Capital Association (NVCA), nel 2022 l’intelligenza artificiale generativa comprendeva meno dell’1% del finanziamento totale del capitale di rischio statunitense di 238,3 miliardi di dollari.

Ma circa 450 startup e diversi nuovi fondi per l’AI generativa indicano un mercato caldo e grandi speranze di crescita.

#2. L’IA generativa ha prosperato nel 2022 nonostante un clima difficile. I finanziamenti VC per l’Intelligenza Artificiale generativa sono aumentati di oltre il 20% nel 2022, mentre i finanziamenti VC sono diminuiti complessivamente del 30,9%, secondo PitchBook e NVCA.

ai generativa investimenti

Cos’è ChatGPT

ChatGPT è un modello di intelligenza artificiale conversazionale creato da OpenAI (GPT sta per trasformatore generativo pre-addestrato).

Rilasciato il 30 novembre 2022 in fase di test, ha guadagnato 1 milione di utenti in cinque giorni ed è esploso come fenomeno mainstream diventando popolarissimo.

Come funziona ChatGPT

Gli utenti fanno una domanda o effettuano una richiesta in una casella di query. Il modello fornisce quindi una risposta in frasi o paragrafi ben strutturati.

Dati alcuni input di testo, ChatGPT può anche scrivere o correggere codice informatico.

 

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Il punto sull’Intelligenza Artificiale: percezione e applicazioni

Un articolo sull’Intelligenza Artificiale scritto da una AI

notizie della settimana 20-26 marzo 2023

La rottura Meta/Siae, il nuovo logo di NY, l’arrivo di Bard e le altre ninja news della settimana

La musica è cambiata” non è più solo un modo di dire, almeno in casa Meta. Apriamo le notizie della settimana con la rottura delle trattative tra la corporate di Facebook e Siae ha gettato nel panico l’industry e tanti stakeholder del mondo digital (leggi, i creator e gli artisti).

Anche se abbiamo raccolto qui la voce del Direttore Generale di Siae, Matteo Fedeli, restiamo con le orecchie tese auspicando una soluzione. E non è l’unico cambiamento che riguarda i Social Media: le persone iniziano a usarli sempre con maggiore frequenza al posto dei motori di ricerca (ce lo dice Capterra), anche se la stragrande maggioranza degli internauti continua ad affidarsi alle SERP di Google&Co (a proposito, dai un’occhiata a questi consigli per la SEO).

Il cambiamento ci impone un’attenzione importante alla formazione: se è vero che gli esami non finiscono mai e che non si finisce mai di imparare, tanto vale trasformare l’esperienza in un percorso di vita.

La keyword di questa settimana è “lifelong learning“.

Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

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Musica via da Meta, la posizione di SIAE

Ninja ha ascoltato Matteo Fedeli, Direttore generale di Siae, per capire quali sono le possibili soluzioni al mancato accordo con Meta, che sta già avendo conseguenze sia sui creator che sull’industria discografica. Quello che Siae lamenta è l’impossibilità di definire un quantum economico sulla base di un modello di revenue sharing. Puoi ascoltare un estratto dell’intervista nel podcast.

Formazione continua: i vantaggi personali e professionali

Creare una cultura dell’apprendimento all’interno dell’organizzazione è un modo efficace per migliorare le prestazioni e l’innovazione, come già detto, ma anche la soddisfazione e la fidelizzazione dei dipendenti. Ecco perché:

1. La conoscenza è potere
Più i dipendenti sanno e sanno fare, meglio possono contribuire all’organizzazione.

2. Conviene all’azienda
Investire nello sviluppo dei collaboratori è meno costoso che riassumere e riqualificare nuovi dipendenti.

3. Valorizza il lavoratore
Il sostegno all’apprendimento continuo indica che l’organizzazione è sinceramente interessata allo sviluppo della carriera dei dipendenti.

Continua a leggere qui la nostra analisi.

I social come motore di ricerca: lo studio di Capterra

A dirlo è uno studio di Capterra che ha analizzato i metodi di ricerca di informazioni online nell’era dei social.

notizie - ricerche online

Il sondaggio ha mostrato che più della metà degli intervistati (il 54%) utilizza i motori di ricerca (Google, Yahoo o Bing) come metodo principale per trovare contenuti online, mentre il 5% si rivolge esclusivamente ai social media e il resto (il 41%) combina entrambi gli approcci con ricerche ibride.

Adobe entra nell’AI generativa con FireFly

La nuova famiglia di intelligenze artificiali della compagnia sarà composta da più modelli di AI “che lavoreranno in una varietà di casi d’uso diversi”. Si tratta di un’espansione degli strumenti di intelligenza artificiale generativa introdotti da Adobe in Photoshop, Express e Lightroom durante la conferenza annuale Max dello scorso anno, che consentono agli utenti di creare e modificare oggetti ed effetti semplicemente descrivendoli.

Sephora e TikTok lanciano un programma per creator

La nuova partnership punta ad aiutare i nuovi marchi a crescere sulla piattaforma di social media. Il Sephora x TikTok Incubator Program metterà in contatto i creatori di contenuti di TikTok con i brand del programma Accelerate di Sephora.

I font che faranno tendenza nel 2023

Il font rappresenta non solo un vezzo per l’azienda, ma uno degli elementi che contribuiscono a dare forma all’identità del brand stesso. Dai un’occhiata alla lista di quelli che hanno fatto la storia e dei più gettonati per il 2023.

Google apre la lista di attesa per Bard

Google ha iniziato ad aprire al pubblico la sua risposta a ChatGPT e ad altre soluzioni di chat basati su AI. È ora possibile iscriversi a una lista d’attesa all’indirizzo bard.google.com, ma solo se si risiede negli Stati Uniti o nel Regno Unito.

A differenza di ChatGPT su Bing, Bard resta separato da Search, quindi le funzioni di intelligenza artificiale generativa di Search rimangono separate.

Il mercato italiano dell’advertising è in ritardo sulla misurazione dell’attenzione degli utenti

Il 73% degli investitori in pubblicità conosce poco le “Attention Metrics” e il 10% non ne ha mai sentito parlare.

Anche le modalità di rilevazione di queste metriche sono poco note: solo il 10% degli investitori le conosce in modo approfondito.

Il 69% ne ha una conoscenza limitata e per il restante 21% non è nota alcuna metodologia. A dirlo sono i dati dell’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano.

LEGO con Disney per festeggiare il 100° anniversario

Per commemorare i 100 anni di Disney, il brand dei mattoncini invita le famiglie a condividere la meraviglia della narrazione, dell’immaginazione e del gioco creativo.

lego disney 100 anniversario

I più popolari e iconici personaggi animati diventano costruzioni da collezionare, da esporre con orgoglio o da utilizzare per intraprendere entusiasmanti giochi di fantasia. Per l’evento sarà lanciata anche una nuova serie in tre parti che conterrà scene di film Disney e Pixar e incoraggerà gli appassionati a condividere i propri momenti Disney preferiti realizzati con LEGO.

Cambia l’iconico logo di New York

Questa settimana le istituzioni governative hanno lanciato “We ❤️ NYC“, una campagna per mostrare i punti di forza della Grande mela e mobilitare i newyorkesi ad assicurarsi che questa rimanga la più grande città del mondo. Leggilo su Ninja.

notizie - nuovo logo new york

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nuovo logo new york

Cambia il logo di New York: l’iconico I ❤️ NY diventa We ❤️ NYC

I ❤️ NY diventa We ❤️ NYC per riflettere al meglio l’identità collettiva della città di New York.

Questa settimana le istituzioni governative, insieme ad alcuni leader aziendali, sindacali e civici dei cinque distretti, hanno lanciato “We ❤️ NYC”, una campagna per mostrare i punti di forza della Grande mela e mobilitare i newyorkesi ad assicurarsi che questa rimanga la più grande città del mondo.

New York

Nuovo look per il simbolo di New York

La nuova interpretazione del famoso I ❤️ NY è stata approvata dal Dipartimento per lo sviluppo economico di New York che possiede tutti i diritti del marchio.

La formula segreta di New York è da sempre la capacità delle sue diverse comunità di lavorare insieme, con fiducia e con uno scopo comune, per risolvere i problemi e affrontare il cambiamento.

Il nuovo logo è diverso, universale, inclusivo e risulta attraente per tutte le età ed etnie.

Il rebranding è supportato da uno spot di 30 secondi che sottolinea ulteriormente la diversità attraverso le voci dei suoi abitanti. Nel video possiamo ascoltare persone con diversi background e accenti. Ognuno di loro spiega perché ama New York City usando l’affermazione “noi”.

“Questa campagna We ❤️ NYC contribuirà a catturare quell’energia e a preservare lo spirito della città, incoraggiando i newyorkesi di ogni estrazione sociale a riunirsi, essere coinvolti e apportare un cambiamento positivo nella loro comunità” ha dichiarato la Governatrice Kathy Hochul.

La storia del marchio

Il logo è stato concepito dal graphic designer Milton Glaser nel 1976 sul retro di un taxi ed è stato disegnato con un pastello rosso su carta straccia.

Il disegno originale è conservato al Museum of Modern Art di Manhattan

 

Rappresenta il simbolo di New York ed è tra i più conosciuti e prestigiosi al mondo. Il marchio è diventato icona degli anni ’70, ed è stato riprodotto su una vasta gamma di oggetti, poster, gadget e abbigliamento. Proprio grazie al lavoro di Glaser il cuore diventa emblema universale dell’amore.

Il carattere utilizzato è l’American Typewriter, uno speciale slab serif creato nel 1974 da Joel Kaden e Tony Stan per l’International Typeface Corporation.

Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, Glaser creò un nuovo logo per la città di New York. Il simbolo modificato presentava una nuova scritta:

New York

LEGGI ANCHE: I font che hanno fatto la storia e quelli che faranno tendenza nel 2023

La campagna

Non solo celebrazione. La campagna ha già preso vita nella city e rappresenta un’opportunità di impegno civico a cui tutti possono contribuire.

Ancora una volta, i newyorkesi si uniscono per mobilitare l’azione civica e l’impegno della comunità come catalizzatore per la rinascita della città e dei suoi quartieri. Per molti versi, le sfide che la città deve affrontare oggi sono più complesse che in passato.

Gli artisti di New York sono incoraggiati a presentare le proprie idee creative per i poster tramite il sito welovenyc.nyc. La campagna chiede a tutti coloro che amano la più grande città del mondo di dimostrarlo dando una mano e diffondendo quell’amore in ogni isolato.

New York

L’iniziativa prevede la partnership con enti pubblici, organizzazioni non profit e aziende per riaffermare che New York City è il luogo più sicuro, pulito e stimolante in cui vivere e lavorare.

 

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Siae Meta

Musica via da Facebook e Instagram: ecco cosa ci ha detto Siae

La notizia della rottura delle trattative tra Meta e Siae ha velocemente generato il panico nell’industria musicale, ma anche tra chi i social li usa per farsi conoscere e per lavorare (leggi, creator di contenuti). Via la musica dalle piattaforme della holding e fredde comunicazioni a colpi di comunicato.

Risultato? Reel e storie mute (sì, ma non sempre) e stakholder nel panico.

Via la musica da Meta: cosa è successo

Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con Siae“, si legge nel comunicato diffuso dall’azienda proprietaria di Facebook e Instagram. “La decisione unilaterale di Meta di escludere il repertorio Siae dalla propria library lascia sconcertati gli autori ed editori italiani” è la risposta, in una nota, della Società Italiana Autori ed Editori.

Abbiamo contattato Siae per capire in che punto si sia interrotta la trattativa, quale sia stato l’oggetto della contesa e se siamo o meno vicini a una soluzione.

«Il comunicato stampa di Meta ci ha colto di sorpresa: è stata una doccia fredda perché c’era un tavolo negoziale che andava avanti da diverse settimane; con alti e bassi, certo, ma non ci saremmo mai aspettati di arrivare a questa rottura», ci ha detto Siae.

L’oggetto della contesa: secondo Siae sono i dati

Il pomo della discordia in grado di generare la rottura, a quanto ci ha detto Siae, sembra essere una mancata trasparenza nella comunicazione dei dati da parte della Corporate proprietaria di Facebook e Instagram, sulla quale valutare con cognizione di causa un’offerta economica. «Gli unici dati che siamo riusciti a tirar fuori sono quelli depositati alla SEC americana. Non avendo a disposizione i dati, ad esempio, per singolo contenuto o per Paese e neppure la percentuale di distribuzione della musica nei video delle due piattaforme, come è possibile fare una valutazione?»

Quello che Siae lamenta è stata quindi l’impossibilità di definire un quantum economico sulla base di un modello di revenue sharing.

Con TikTok e YouTube, ad esempio, si è arrivati a un accordo perché i dati che le piattaforme hanno presentato a Siae hanno consentito alla Società Italiana Autori ed Editori di concordare una tariffa “fair”.

LEGGI ANCHE: Sonic Science 2.0, ottimizzare l’audio adv con Spotify: intervista ad Alberto Mazzieri

La mossa inaspettata: il takedown

Nel corso di una qualunque negoziazione, tanto più se fra due soggetti “forti” come Meta e Siae, è prevedibile che si sviluppi una sorta di “braccio di ferro” tra le parti: «È normale che si scontrino diverse pretese, da una parte e dall’altra», continua Siae, «ma da lì a diffondere un comunicato stampa annunciando un takedown dei contenuti ce ne passa. In più, tornando sui propri passi auspicando che il tavolo possa ritrovare una propria armonia, il comportamento è contraddittorio».

 

mark zuckerberg - SIAE

In aggiunta, il frettoloso takedown dei contenuti musicali dell’azienda di Mark Zuckerberg sembra non essere riuscito tecnicamente alla perfezione: «Sono stati buttati giù pezzi di musica italiana ma anche internazionale, è successo un caos. Ad esempio, alcuni colleghi in Spagna ci hanno segnalato che la musica è ancora disponibile; oppure, sono stati estromessi anche alcuni autori stranieri dei quali Siae non ha alcuna quota. È stata un’operazione fatta “con il lanciarazzi” che ha creato un disservizio e la situazione un po’ spaventa».

Insomma, è un po’ tutto complicato: «i brani ci sono, poi non ci sono, appaiono e scompaiono», hanno specificato.

Sembra comunque che il caos generato non faccia per nulla piacere a Siae: «Anche con YouTube le contrattazioni sono state, in un certo senso, “severe”, ma poi si è arrivati a un accordo, come è normale che sia».

Ma chi lavora con i social media, e con il marketing digitale in generale, ha probabilmente in mente una sola domanda: siamo davvero così lontani da una possibile soluzione? «Al momento non ci sono in corso ulteriori trattative; la diffusione del comunicato stampa di Meta ha portato la discussione su un livello diverso. Entrambi, attraverso i comunicati, abbiamo dichiarato l’intenzione di sederci e trovare un accordo».

Perché l’Italia no e gli altri Paesi sì

Uno dei dati che abbiamo ritrovato spesso nelle discussione sulla questione riguarda “l’unicità dell’Italia“, che si sarebbe trovata in questa situazione di stallo rispetto a un numero cospicuo di Paesi che, invece, con Meta avrebbero raggiunto l’accordo.

Alla base dell’accaduto ci sarebbe la scadenza della licenza di Meta per l’utilizzo della musica che, naturalmente, non coincide con quella degli altri 150 Paesi che vengono genericamente indicati come paragone dell’accordo raggiunto.

«Siamo il primo Paese che ha richiesto maggiore chiarezza sulla base della Direttiva Copyright fortemente voluta da tutti, che prevede che l’utilizzatore metta a disposizione una reportistica molto puntuale per fare un corretto matching tra quello che è stato performato e le distribuzioni economiche».

Perché Meta no e le altre piattaforme sì

Il tavolo di negoziazione che non è riuscito a chiudere positivamente l’accordo con Meta è però lo stesso che ha concluso con successo le trattative con molti altri player del mondo dei contenuti digitali, tra cui YouTube, DAZN e Spotify.

«A livello esperienziale, non si può negare che il servizio che offriamo a queste piattaforme crei un valore; chiaramente, ogni trattativa è diversa perché ogni realtà è differente: ad esempio, se togli la musica a Spotify, che è una piattaforma prevalentemente musicale, condizioni fortemente il servizio e l’impatto è sicuramente diverso se si tratta di Facebook, ma questo non significa che il valore della musica non sia importante per l’esperienza sulla piattaforma».

Siae e il futuro della musica a Palo Alto

Dobbiamo abituarci a reel silenziosi e storie senza audio o possiamo sperare in una soluzione rapida della diatriba? Lo abbiamo chiesto a Matteo Fedeli, Direttore Generale di Siae.

«La nostra speranza è che l’atteggiamento “muro a muro” di Meta possa cambiare e che ci sia la possibilità di riaprire il tavolo negoziale. Dopo due mesi di trattative, hanno scelto di alzarsi dal tavolo e andare via “sbattendo la porta”, comunicando la rottura pubblicamente senza informare prima noi e l’industria discografica».

Secondo Siae ci perdono tutti

Anche questo è un tema importante, in vista degli investimenti che diversi stakeholder possono aver fatto sulla musica intermediata da Siae. Creator, artisti, giovani emergenti e musicisti affermati: chi ha subito un danno maggiore dalla mossa inaspettata di Meta?

«Direi che il danno è di sistema: ci perdono tutti. Ci perde Meta, ci perdiamo noi e ci perde l’industria discografica. Il takedown è stato fatto, ma di cosa? La musica è ancora presente su Instagram, è un dato di fatto oggettivo e noi siamo tenuti a negoziare al meglio in nome e per conto dei nostri aventi diritto; l’offerta take or leave che ci ha fatto Meta non era altro che un’imposizione».

Siae continua a ripetere che il suo obiettivo, per il sistema e per il mercato, è mantenere la porta aperta a nuove contrattazioni, ma a una precisa condizione: che la musica cambi.

10 brand e 10 profili da seguire nel 2023 su Linkedin (secondo LinkedIn)

Più di 850 milioni di utenti, più di 59 milioni di pagine aziendali, eleggono LinkedIn una delle piattaforme professionali con più utenti sparsi per il mondo.

LinkedIn è da sempre conosciuto come il social media dedicato alla professionalità e alla ricerca del lavoro dei sogni, ma non dobbiamo dimenticarci, come ogni social media che si rispetti, che è in grado di dettare trend e creare conversazioni con un engagement organico online del 40% degli utenti iscritti.

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Ecco alcuni profili, aziendali e personali, che per questo 2023 potrebbero essere d’ispirazione secondo noi.

I Brand più seguiti su LinkedIn e cosa ci insegnano

linkedin persone chiave

La classifica di questi 10 grandi big, tra i più seguiti di LinkedIn, ci insegna che avere un tratto distinguibile tra 59 milioni di pagine aziendali è uno dei segreti per farsi riconoscere.

Primo e decimo posto: Amazon e The Economist. Perché insieme?

Amazon con una platea di più di 28 milioni di followers è il brand in assoluto più followato su LinkedIn.

Il suo tratto distintivo sono: i suoi dipendenti.

L’azienda, infatti, produce contenuti in cui i suoi dipendenti e collaboratori sono in prima linea per il successo e i contenuti aziendali, con format che vanno da video interviste a riprese di eventi aziendali. Il successo è dettato dallo stimolo continuo dei collaboratori che a vario titolo interagiscono con i loro profili personali con la pagina aziendale.

The Economist, con “soli” 13 milioni di followers, cosa condivide con il primo in classifica?

Le facce dei dipendenti, naturalmente. Anche per la testata di informazione coinvolgere in prima linea i propri collaboratori nella creazione di contenuti è uno dei tratti vincenti, oltre a quello di riprendere in ogni post, anche se vengono utilizzate grafiche diverse, i propri colori del logo così da risaltare agli occhi dell’utente nello scorrimento del feed.

Punta sul colore anche Unilever, quinta con più di 18 milioni di followers, in cui il blu del suo logo è dominante in ogni post che si tratti di informazione o di employees. Sì, parliamo di persone in prima linea anche qui.

C’è poi tutto un mondo di contenuti formativi e informativi che rendono i big interessanti da seguire perché danno ai loro followers informazioni utili da cui imparare.

Partiamo dal nostro argento con Google, quasi 27 milioni di followers, che trasforma il suo feed nei risultati di ricerca del suo motore, riportando una carrellata di domande e risposte, tra quelle più richieste dagli utenti.

Lo segue a ruota IBM con 14 milioni e mezzo di followers che cerca, tramite i contenuti pubblicati, di scatenare una vera e propria conversazione da parte degli utenti che interagiscono con l’azienda utilizzando, anche, degli hashtag creati ad hoc per ogni trend del feed.

C’è poi Microsoft, 18 milioni e mezzo di utenti, che non solo crea contenuti attrattivi, ma anche ottimizzati per le ricerche. Mostrando ai suoi followers che il suo mondo è la tecnologia, anche su LinkedIn.

Terzo topic: il contenuto autoreferenziale, ossia creare dei post che rimandino a contenuti poi del sito o di altre iniziative del brand. TED Conferences, Forbes e Harvard Business Review.

TED Conferences, 23 milioni di utenti, utilizza piccoli video ed estratti delle sue conferenze per tenere aggiornati i suoi utenti sulle ultime news, dandogli la possibilità, anche in caso di mancata partecipazione all’evento, di avere spunti e materiali.

Arriviamo a Forbes, quasi 18 milioni di followers, i suoi post pubblicati sono per la maggior parte ricondivisioni di notizie dal sito, suddivisi per approfondimenti. Seppur il contenuto potrebbe essere lo stesso, è chiaramente scritto in ottica LinkedIn e quindi ottimizzato per le ricerche e la lettura da mobile.

Harvard Business Review, 13,7 milioni di followers, ospita, mensilmente, eventi live sulla propria pagina LinkedIn a tema lavoro e professionalità, dando agli utenti la possibilità di interagire live con i professionisti coinvolti.

Per ultimo chi usa LinkedIn per approfondire tematiche a cui tiene, come la sostenibilità, Nestlé.
Nestlé ha 14 milioni di followers e ha deciso di dedicare il proprio feed a ricordare i propri sforzi e traguardi per rendersi un’azienda sostenibile entro il 2050 senza mai dimenticarsi di tenere vive le conversazioni con i propri follower ai quali risponde e con i quali interagisce.

Ogni brand citato ha una strategia che lo distingue dagli altri e che lo posiziona tra i 10 più seguiti, ma possiamo imparare da loro quelle che sono le caratteristiche principali che li rendono tra i più seguiti.

LEGGI ANCHE: 8 errori sui social media che le aziende dovrebbero evitare nel 2023

Innanzitutto il coinvolgimento dei propri dipendenti. È innegabile che rendere i propri dipendenti e collaboratori partecipi della strategia social di un’azienda la rende più umana e permette ai follower di immedesimarsi con chi lavora per il brand. Vedere dipendenti felici trasforma l’azienda nel luogo di lavoro dei sogni e rende l’utente maggiormente disposto ad interagire e a sentirsi parte della filosofia aziendale.

Se tenere le persone al centro fa il successo sui social, lo fa anche dal lato followers. Un brand di successo continuerà ad avere un’attenzione specifica per il proprio pubblico, interagendo, dando informazioni aggiuntive a quelle che si individuano su altri canali e cercando di creare contenuti coinvolgenti, in cui foto e video la fanno da padrona.

Contenuti non solo propri, ma anche di ricondivisione di altre pagine simili o che hanno gli stessi interessi o punti di vista.

Dulcis in fundo: anche l’occhio vuole la sua parte. Scegliere un colore e uno stile riconoscibile tra milioni di altri stili e colori, che riprenda il logo aziendale e che sia il filo di collegamento tra tutto il materiale prodotto.

Attraverso, quindi, tutte queste tecniche un brand potrà posizionarsi tra i top of mind e far si che l’utente non voglia perdersi nessun aggiornamento della sua pagina.

LinkedIn Influencer, chi tenere d’occhio nel 2023

Passiamo invece, ora, alle star di LinkedIn intese come i marketing influencer di in questo 2023 che non possiamo lasciarci scappare.

 

  • Nemanja Zivkovic, CEO & Founder of Funky Marketing
    Il paladino del marketing evolutivo, secondo il quale il marketing deve essere una cosa in costante evoluzione, dinamica, sempre pronta a cambiare in funzione del punto di vista da cui la si guarda
  • Sydni Craig Hart, Inclusive Marketing Strategist & Coach to Minority/Women-owned Businesses
    Promotrice del marketing inclusivo, secondo il quale il marketing dovrebbe essere utile per far interagire e mettere in relazione i produttori anche con i business più piccoli e le piccole aziende, con particolare attenzione ai business a gestione femminile.
  • Marisa Lather, Director of Marketing and Communications of Bridge Partners
    Per lei marketing ed experience vanno a braccetto. Se un brand vuole avere successo dovrà usare la propria strategia di marketing per dare al proprio pubblico un’esperienza indimenticabile
  • Lola Bakare, CMO Advisor, Anthem Award-winning Inclusive Marketing Strategist and Founder of be/co
    Top Voice in Marketing & Advertising 2022, Lola, è un punto di riferimento per il marketing misurabile, ossia la spiegazione e l’applicazione di tutte le metriche di marketing che lo rendono effettivamente misurabile in materia di investimento e ritorno economico
  • Michael Barber, Freelance Brand Consultant and Marketing Strategist
    Michael ha sperimentato il marketing teorico, in università, e pratico, in grandi aziende ed è in grado di creare team efficaci che studino una strategia di customer-experience specifica per il target richiesto
  • Michelle Ngome, Founder of the African American Marketing Association
    Esperta di personal branding e di marketing inclusivo, produce contenuti coerenti sul considerare il marketing come una leva per fare squadra
  • Jacquie Chakirelis, Director of Digital Media at Cleveland Magazine and Quest Digital
    La conoscenza al servizio del posizionamento di valore, grazie alla sua esperienza eclettica nel mondo del marketing è in grado di consigliare come adattare il marketing aziendale alla situazione corrente
  • Mayur Gupta, CMO at Kraken Digital Asset Exchange
    Ex ingegnere ha un approccio al marketing analitico, che va a guardare numeri e statistiche oltre che il successo ottenuto dalla strategia
  • Stacey Danheiser, Founder and CMO of SHAKE Marketing
    B2B marketing former e performer, Stacey punta all’informazione su una strategia marketing di coesione tra comparto marketing e comparto vendite e un successo che può essere misurato solo con il coinvolgimento del target
  • Diego Oquendo, Founder of Vulkan Marketing
    L’innovatore, eletto come il marketer più giovane della scena, è in grado di dare una visione sempre nuova e al passo coi tempi del marketing 2.0.

Come performare al meglio su LinkedIn e perché non puoi non esserci

Lo abbiamo detto in apertura, LinkedIn è uno dei social network in cui l’engagement organico è in continua crescita, gli utenti hanno interazioni continue con le pagine che seguono, con il 40% di loro che interagisce settimanalmente in conversazioni o post.

Linkedin

Nei primi mesi dell’anno si sono registrati incrementi del 22% in pubblicazioni di aggiornamenti e post sulle proprie pagine, altri incrementi del 25% nelle interazioni nelle conversazioni e sempre più aziende che si affidano allo strumento “newsletter” fornito dalla piattaforma. LinkedIn, infatti, funziona sia per target B2B che B2C, in modo differente, ma sicuramente efficace.

LEGGI ANCHE: 10 consigli per produrre contenuti social risparmiando tempo

Ora diamo qualche numero. Statistiche generali: più di 850 milioni di utenti sparsi in 200 Paesi, 9 milioni di pagine aziendali di cui solo 2,7 milioni postano settimanalmente.

Essendo LinkedIn il social network professionale per eccellenza, ci sono circa 39 mila skills registrate e il 40% delle aziende lo usa costantemente per selezionare candidati.

I contenuti a pagamento sono prodotti dall’80% degli utenti attivi.

Engagement: il 40% degli utenti interagisce con le pagine in maniera costante e intercetta +22% di aggiornamenti nel feed, percentuale che si incrementa se parliamo di contenuti video e foto, ecco perché nel 2022 gli eventi live hanno subito un +150% e le dirette live un +175%.

Strumenti a pagamento: l’incasso per LinkedIn nel 2022 è stato di 5 milioni di dollari, con un miglioramento a favore dei brand paganti nel tasso di engagement che si è quadruplicato e duplicato il tasso di apertura delle newsletter.

Quindi, come performare al meglio? Alcuni consigli:

  1. Pubblica almeno 5 volte a settimana, martedì-giovedì-sabato sono i giorni migliori
  2. Usa un mix di contenuti, tuoi e di terzi, cercando di pubblicare, condividere, interagire e reazionare i post
  3. I contenuti più efficaci sono quelli che coinvolgono i dipendenti, comprese le storie personali, valori aziendali, pensieri motivazionali

<<Domina i nuovi scenari HR, tra Great Resignation e GenZ: esplora il Corso Employer Branding>>

notizie della settimana 6 - 12 febbraio

Pagamenti digitali, tool SEO e cybersecurity: le notizie ninja della settimana

Ci siamo: è l’anno dell’abbandono ai cookie di terze parti e la febbre della profilazione torna a salire. Grazie al report di Salesforce scopriamo che la soluzione c’è e passa attraverso la conquista della fiducia dei potenziali clienti.

Ma, per raggiungerli, è in primo luogo necessario che riescano a trovarci, e in questo senso acquisire le necessarie competenze SEO diventa indispensabile (dai un’occhiata alla Factory per diventare SEO specialist e in questo articolo trovi anche una serie di tool che possono aiutarti).

L’importanza di farsi trovare è confermata dai dati dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, che registra un aumento dei pagamenti digitali (avevamo già affrontato l’argomento qui con Banca Sella), mentre l’advertising trova nuova linfa vitale nello streaming video e audio (trovi qui l’analisi di Spotify).

Chiudiamo il cerchio aperto con la maggiore attenzione alla privacy con l’alert dell’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica: gli attacchi informatici in Italia aumentano spaventosamente ogni anno.

“Sicurezza” continuerà a essere una delle hot keyword del 2023.

Puoi ascoltare queste e le altre notizie selezionate per i nostri abbonati tra oltre 30 fonti internazionali anche in formato podcast.

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Partecipa alla prima SEO Factory di Ninja Academy, il Percorso Learning by Doing per perfezionarti come SEO Specialist con un project work reale per un top brand.

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I pagamenti digitali sfiorano i 400 miliardi

Lo dicono i risultati della nuova edizione dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano che per il 2022 registra una crescita del 18%.

Si avvicina il Cookieless. Cosa possono fare i marketer

Attraverso i dati dello State of Marketing di Salesforce scopriamo sfide e opportunità della scomparsa dei cookie di terze parti.

notizie della settimana - marketing top priorities State of Marketing Salesforce

Secondo il report, le possibili soluzioni adottabili dai marketer possono essere riassunte in quattro punti principali:

  • Esplicito consenso
  • Privacy by default
  • Soluzioni tecniche
  • Banner informativi

Puoi scaricare il report completo a questo indirizzo.

I tool essenziali per la tua SEO

Chi si occupa di contenuti online sa perfettamente che l’ottimizzazione per i motori di ricerca è fondamentale per aumentare il traffico verso il sito web. A questo scopo, questa shortlist di SEO tool può fornirti un valido aiuto anche se sei alle prime armi.

Re-hiring, le aziende riassumono gli over 50

Viene dagli Stati Uniti la nuova tendenza che sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Le aziende sono sempre più portate a rivalutare la generazione dei baby boomer, rinominati già “longennials”, per la loro esperienza.

Italia a rischio cybersicurezza

Secondo l’ultimo rapporto Clusit (l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica), nel 2022 sono stati 188 gli attacchi informatici verso il nostro paese, con un incremento del 169% sull’anno. A livello mondiale la crescita è stata del 21%.

Le notizie della settimana: il potenziale divieto di TikTok negli Stati Uniti

La Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti ha approvato martedì un disegno di legge che darebbe al presidente Joe Biden l’autorità di vietare la piattaforma. Secondo l’analisi di CNBC, le prime società a poter essere avvantaggiate dal ban sarebbero quelle di pubblicità digitale, tra cui Meta, Snap e Google.

Lo streaming video supportato da pubblicità continua a crescere

Lo rileva l’ultimo report di TiVo, secondo il quale, però, comincia a calare la tollerenza del pubblico nei confronti dei break pubblicitari.

notizie della settimana - tempo medio streaming audio video

Il numero medio di fonti video utilizzate dagli utenti raggiunge quasi 12 e sono i servizi gratuiti a crescere al ritmo più alto.

Notizie sull’intelligenza artificiale: DuckDuckGo si cimenta con la ricerca AI

Il motore di ricerca incentrato sulla privacy, ha seguito Microsoft e Google immergendosi nella tendenza dell’intelligenza artificiale generativa. Annunciato il lancio in versione beta di una funzione di riassunto alimentata dall’AI, denominata DuckAssist. Sarà in grado di rispondere direttamente alle query di ricerca semplici degli utenti.

Le pubblicità più belle di febbraio 2023

Instancabili e sempre pieni di idee, i brand non smettono di creare lavori dalle sfumature più complesse e affascinanti.

pubblicità febbraio - IKEA Troll - ninja marketing

Da IKEA a Google, passando per la partnership tra Dove e LinkedIn, dai un’occhiata alle creatività selezionate dalla redazione.

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Se vuoi ricevere tutte le notizie ogni giorno, senza pubblicità, con il formato audio attivabile su Alexa e l’accesso a tutti gli articoli e i webinar PRO iscriviti a Ninja PRO Information.

addio ai cookie di terze parti

Addio ai cookie di terze parti: prospettive future e soluzioni alternative per i marketer

Nel 2023 Google Chrome bloccherà i cookie di terze parti così come già hanno fatto Safari e Firefox. 

Mentre lo scopo dichiarato di questa scelta è quello di aumentare la privacy di Chrome, molti marketer temono un rafforzamento del potere di mercato di Google, poiché Chrome sarà un indispensabile intermediario per chi farà pubblicità e avrà bisogno di dati. 

Google, infatti, continuerà a possedere e gestire un gran numero di informazioni sugli utenti, mentre ad essere ostacolati nella raccolta delle informazioni potrebbero essere gli editori.

Cosa comporterà quindi l’eliminazione dei cookie di terze parti per chi si occupa di advertising?

Abbiamo analizzato la situazione attraverso l’ottava edizione del report State of Marketing di Salesforce, ma è bene iniziare chiarendo cosa si intende con cookie di terze parti.

LEGGI ANCHE: Le sfide per i marketer nel 2023: la ricerca di Salesforce su un campione di oltre 6.000 leader del settore

Cosa sono i cookie di terze parti, di parte zero o di prima parte

I  cookie di terze parti sono cookie che vengono memorizzati sotto un dominio diverso da quello che si sta attualmente visitando. Sostanzialmente questi cookie vengono impiegati per:

  • Tracciare gli utenti tra i siti web.
  • Visualizzare annunci più pertinenti tra i siti web.

La graduale eliminazione dei cookie di terze parti comporterà inevitabilmente  grandi sconvolgimenti nell’industria pubblicitaria online che, fino a questo momento, era in grado di tracciare le abitudini delle persone e proporre offerte commerciali pertinenti.

Gli esperti di marketing e le organizzazioni si trovano dunque oggi nella condizione di dover ovviare a tale mancanza trovando soluzioni alternative come i cookie di parte zero o di prima parte. Vediamo quindi nello specifico cosa sono i cookie di parte zero o di prima parte.

I cookie di prima parte sono sostanzialmente quelli creati dal web server del sito visitato dall’utente, che avranno lo stesso dominio e indirizzo web e che quindi non forniscono all’esterno informazioni tali da essere utilizzate per erogare pubblicità personalizzata all’interno di altri siti.

I cookie di parte zero corrispondono ai dati che vengono direttamente e volontariamente  lasciati dall’utente, per esempio attraverso sondaggi o la compilazione di form.

Le possibili deroghe e soluzioni per l’utilizzo di cookie di parte zero o di prima parte

Partendo dal presupposto che l’elemento primario in merito alla protezione dei dati è il consenso dell’utente,  sempre maggiore importanza affinché sia possibile continuare a tracciare e memorizzare qualsiasi dato personale, sarà acquisita dal consenso esplicito.

Una volta compreso questo aspetto fondamentale, le possibili soluzioni adottabili dai marketer possono essere riassunte in quattro punti principali:

  1. Esplicito consenso: a differenza dei cookie di terze parti per cui è necessario il consenso degli utenti all’utilizzo, i cookie di prima parte potrebbero essere esentati da questa regola.
  2. Privacy by default: mentre per alcune leggi sulla privacy, al fine di proteggere la privacy è richiesto che le impostazioni di privacy siano impostate per impostazione predefinita – e quindi i cookie di terze parti sono disattivati ​​per impostazione predefinita – i cookie di prima parte sono invece abilitati.
  3. Soluzioni tecniche: alcune soluzioni tecniche come cookie anonimizzati potrebbero essere la soluzione per consentire l’utilizzo di cookie di prima parte senza violare le normative sulla privacy.
  4. Banner informativi: i cookie di prima parte potrebbero essere abilitati per impostazione predefinita nei siti in cui sono usati banner informativi che consentono agli utenti di scegliere se abilitare o disabilitare i cookie di terze parti.

In un contesto caratterizzato dalle preoccupazioni sulla privacy, dove il consenso esplicito è diventato più che mai fondamentale, costruire e mantenere la fiducia dei clienti lo è altrettanto ed è una grande priorità ed una sfida per tutte le organizzazioni.

In questa nuova situazione, stando ai dati del report State of Marketing di Salesforcesecondo il 91% dei CMO è necessario innovarsi continuamente.

Cosa fare per innovarsi oggi?

Dal report sono emersi sei punti necessari per avviare un processo di innovazione costante:

  • Miglioramento dell’uso di strumenti e tecnologie.
  • Sperimentazione di nuove strategie di marketing.
  • Modernizzazione di strumenti e tecnologie.
  • Costruzione e mantenimento della fiducia con i clienti.
  • Miglioramento della collaborazione.
  • Bilanciamento della personalizzazione con il cliente.

Nel complesso, inoltre, un dato interessante è che il 67% dei marketer dichiari di percepire il proprio lavoro come di maggior valore oggi rispetto a un anno fa.

cookie di terze parti valore dei marketer salesforce

Le principali sfide per i marketer

Le maggiori sfide dei marketer oggi sono quindi legate a due fattori primari: personalizzazione e privacy.

In sostanza, individuare soluzioni sempre nuove che consentano di mantenere il più possibile la personalizzazione dei servizi, pur avendo il controllo sulle norme da rispettare in materia di privacy.

salesforce priorities and challenges

Tali sfide, dovute principalmente a cambiamenti come quelli legati al GDPR dell’Unione Europea o all’aggiornamento della politica sulla privacy di Apple, hanno avuto ovviamente un effetto significativo sull’analisi digitale.

Comprendere dunque come mantenere la conformità ai regolamenti continuando a prestare la giusta attenzione alla personalizzazione si è rivelata una grande sfida, seppur non l’unica.

Le principali sfide che i marketer si trovano oggi ad affrontare infatti possono riassumersi anche in altri fattori, come:

  • Un uso inefficace di strumenti e tecnologie.
  • La misurazione del ROI.
  • Bilanciare la personalizzazione con il cliente.
  • Costruire e mantenere la fiducia con i clienti.

Le nuove strategie dei marketer

Una ricerca di McKinsey ha mostrato come l’industria della pubblicità digitale statunitense, che registra un valore pari a 152 miliardi di dollari, potrebbe subire un calo perdendo fino a 10 miliardi di dollari in entrate pubblicitarie.

Sulla base di questo scenario, nascono nuove strategie riprogettando il flusso di acquisizione e conversione contatti, nonché di fidelizzazione dei clienti. 

Ancora secondo i dati utili presenti nel report di Salesforce, molti marketer stanno riscontrando successo impiegando tattiche che includono:

  • Nuovi segmenti di clientela mirati.
  • Investimenti in collaborazione e tecnologie.
  • Investimento in esperienze digital-first.
  • Investimento nel virtuale e negli eventi ibridi.
  • Target geografici estesi.
  • Automazione del flusso di lavoro.
  • Offerte di prodotti ampliate.

salesforce news trategies

Intelligenza Artificiale

Rispetto alla domanda di data-driven e personalizzazione, il 62% dei marketer ha dichiarato di aver investito nell’intelligenza artificiale (IA), che sempre più rappresenta un valido supporto per chi lavora nel campo digitale migliorando l’efficienza.

Stando ai dati di Salesforce, infatti:

  • Il 68% dei marketer afferma di avere una strategia AI completamente definita.
  • Nonostante la maggioranza dei clienti siano online, il 43% preferisce i canali non digitali e in tal caso l’IA rappresenta per i marketer un valido supporto per collegare esperienze online e offline.

Inoltre, per migliorare la comprensione dei risultati delle nuove strategie, i professionisti del marketing stanno investendo fortemente in capacità di analisi, in modo da garantirsi una panoramica più coerente dell’impatto dei loro messaggi, delle campagne e del budget sul marketing.

Streaming, video, messaggi ed email

Tra le nuove strade che i marketer stanno percorrendo ci sono i servizi di streaming, che hanno registrato il più grande tasso di crescita tra i canali abituali e grazie a cui i marketer riescono a raggiungere prospect e clienti.

In generale i marketer oggi attingono in misura sempre maggiore a:

  • Contenuti interattivi.
  • Video.
  • Messaggistica mobile.
  • Campagne email (secondo i dati di Salesforce le email in uscita sono aumentate del 15% nell’ultimo anno).

salseforce email sms - cookie di terze parti

Conclusioni

Nuovi scenari portano a nuove esigenze da parte dei responsabili della pubblicità online.

In questo contesto diviene di fondamentale importanza conoscere le prospettive future, le possibili soluzioni alternative rispetto alla nuova situazione che si sta delineando e quelli che sono le opinioni e le soluzioni già adottate o in procinto di essere scelte da quelli che possono essere considerate figure leader nel settore della pubblicità online.

Solo così si potrà essere pronti a sfruttare ogni possibilità che le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, o strumenti alternativi a quelli impiegati fino ad oggi, sono in grado di offrire ai marketer per migliorare i risultati del loro lavoro efficientando ogni processo.

Puoi scaricare il report completo a questo indirizzo.

Sonic Science 2.0, ottimizzare l’audio adv con Spotify: intervista ad Alberto Mazzieri

Le tecnologie si fanno sempre più intelligenti e vicine ad ogni singolo utente. Un aiuto per gli inserzionisti alla ricerca di nuove modalità per rendere ancora più efficienti le campagne di advertising arriva dalle nuove tecnologie di Spotify.

Nella ricerca effettuata da Spotify lo scorso anno, e che ha visto la collaborazione con Neuro Insight, una società di Neuroscienze degli Stati Uniti nell’esplorazione gli effetti del suono sulle persone, si è evidenziato come l’effetto dell’esposizione ai contenuti audio possa realmente agire sul cervello e influenzare il comportamento degli individui.

LEGGI ANCHE: La fotografia di Millennial e Gen Z secondo Spotify: differenze e sovrapposizioni

Come i contenuti audio digitali aumentano l’engagement dei brand

A parlarci delle adv su Spotify c’è Alberto Mazzieri, Head of Sales Southern Europe di Spotify che ci ha raccontato di come le aziende siano estremamente interessate a sfruttare la piattaforma per condurre al meglio i propri obiettivi di comunicazione ed aumentare la propria audience.

Alberto mazzieri spotify

Nella ricerca di quest’anno,Sonic Science 2.0, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Biometrica MindProber, si è invece indagato sull’impatto durante la giornata dell’audio digitale sul fisico e sul comportamento delle persone e di come questo comportamento possa fornire degli insights interessanti da elaborare per raggiungere in modo più efficace il pubblico.

Lo studio ha coinvolto un campione di diverse centinaia di persone distribuite tra US e UK e che sono state esposte nell’arco di 40 giorni a più di 15.000 sessioni audio per un totale di più di 22.000 ore di ascolto.

Grazie a dei sensori indossati nell’arco della giornata e durante ogni attività, è stato possibile analizzare dei dati ricavati dall’attivazione elettrodermica, ovvero alle reazioni della pelle sollecitata da un determinato tipo di stimolo.

Un ulteriore step della ricerca consisteva nell’acquisizione di dati pre e post esperimento per indagare come la percezione dell’esposizione a contenuti audio potesse generare cambiamenti sulla giornata, anche in termini qualitativi.

Il Mood Boost dei contenuti audio su Spotify

“Capire come il ruolo dei contenuti audio, non solo musicali, possano interagire ed influenzare i diversi stati psicologici è utile per avere degli insight interessanti. È interessante per i brand apprendere che l’ascolto di audio sia realmente parte della routine quotidiana e che genera un miglioramento dello stato d’animo e delle emozioni, a prescindere che si parta da uno stato positivo o meno e a prescindere dall’attività che si sta svolgendo. Il che si traduce, per i brand, avere un engagement più alto, con la possibilità di raggiungere un pubblico più connesso e interessato in un momento in cui c’è un’altissima attenzione. Un mood boost quindi, in cui Spotify riesce appieno grazie alla sua offerta non solo di musica ma anche di contenuti che sempre più stanno registrando livelli alti di attenzione e di ingaggio, come i podcast.”

Su Spotify, piattaforma leader nell’audio in streaming, oltre ad un’ampia offerta musicale ci sono moltissime categorie di contenuti podcast, basti pensare che sono presenti 5 milioni di titoli, che spaziano dalle news, al true-crime fino all’intrattenimento comedy: un tasso di immersività e di engagement che si riflette anche nella trasferenza degli annunci pubblicitari inseriti, ovvero nel livello di attenzione del pubblico al passaggio delle ads.

La personalizzazione di Sonic Science 2.0

E a questo proposito, la tecnologia di Sonic Science 2.0 fornisce una cerchia quasi infinita di informazioni utili per i brand, tali da poter personalizzare maggiormente il messaggio.

Infatti, in base al comportamento dell’utente su Spotify, della scelta musicale, di ritmo o di quantità di parole, la ricerca ha evidenziato come ad un determinato contenuto audio scelto durante le diverse attività della giornata, come a lavoro, in auto, con la famiglia o in palestra, sia associato un certo tipo di engagement e di relazione.

sonic science numeri

In questo modo il messaggio pubblicitario costruito su uno specifico momento, legato al contesto e all’ambiente risulta ragionevolmente più dinamico ed efficace rispetto a un messaggio targetizzato su quei dati “statici” come interesse, età e luogo geografico.

Come possono queste informazioni essere sfruttate al meglio per creare dell’advertising efficace su Spotify

I dati a disposizione permettono di creare ampi cluster suddivisi in base al mood e al momento, a cui veicolare le inserzioni in modo specifico e attraverso azioni strategiche: ad esempio se siamo in auto e ascoltiamo un podcast in cui l’attenzione è massima ed il flusso del racconto è costante, si creeranno dei messaggi che non distraggano troppo dal flusso e che abbiano un tono di voce coerente con ciò che si sta ascoltando.

Se invece l’attività sarà quella dell’allenamento in palestra, il messaggio che ci sarà proposto sarà coerente con il ritmo ed il mood di quel momento: presumibilmente sarà energico per non andare ad interrompere il carico adrenalinico del nostro corpo.

“L’iper-targetizzazione sebbene sia molto utile per le aziende, presenta dei limiti naturali, per alcuni casi e per alcuni brand o servizi, in cui è invece necessario raggiungere un pubblico più ampio possibile. In questo caso, bisogna essere consapevoli di non poter generare i numeri attesi o i volumi che si intende raggiungere con questo tipo di ads.  La semplice targetizzazione demografica, il lavorare con la reach e con il retargeting sugli utenti, si rivelano essere comunque azioni efficaci.”

Incuriositi dai dati di Spotify, che ricordiamo essere l’App su cui le persone passano più tempo da mobile rispetto agli altri social, abbiamo chiesto ad Alberto Mazzieri quale sia la percentuale degli utenti disponibili ad ascoltare annunci pubblicitari su questa piattaforma e quale attività quotidiana genera un mood boost superiore.

sonic science slide 01 - spotify

La risposta è chiara: si tratta di una percentuale abbastanza consistente. Il 73% degli utenti dichiara, infatti, di accettare ad essere esposti ai messaggi pubblicitari.

Un pubblico consapevole che le informazioni utilizzate da Spotify possano fornire forme di advertising rilevanti e congruenti, con un tone of voice costruito sulla base delle personali esperienze di ascolto.

“Inoltre, da parte nostra, il condurre regolarmente delle analisi ci porta a scoprire quale sia il feedback degli utenti sulla user experience e come migliorarla, fornendo un’esperienza soddisfacente e che li spinga a rimanere molto tempo sulla piattaforma. Un’ulteriore opportunità che fa gola ai brand proprio perché l’audio digitale, a differenza del video, può essere usufruibile anche indistintamente dallo schermo. “

Per quanto riguarda l’attività più “penetrante” in termini di mood positivo e di attenzione, sempre secondo la ricerca di Sonic Science 2.0, è senza dubbio l’attività fisica. Un momento ormai della quotidianità della maggior parte di noi in cui la presenza della musica è una costante e che registra un livello di engagement superiore del 19%.

Campagne pubblicitarie audio: una media strategy ottimale per le aziende

Dalla ricerca di Sonic Scienze 2.0 si evince anche quanto i dati delle campagne pubblicitarie siano positivi e coerenti su Spotify, in termini di ricordo, memorabilità e trasferimento dell’engagement, aumentando dunque le possibilità di conversione anche attraverso una singola campagna pubblicitaria.

L’immersività dei contenuti audio nel contesto e durante la giornata dimostra difatti che il 93% degli utenti rimane attento durante il passaggio da contenuti editoriali (musica o podcast) a quelli advertising e il 60% conserva un saldo ricordo dei brand e dei tipi di messaggi ascoltati.

sonic science statistica spotify

Di certo, questi sono risultati molto positivi in termini di engagement legato al livello di attività di attenzione, soprattutto se paragonati alle stesse campagne veicolate su altri mezzi. A conferma di come l’audio svolga un ruolo importante in una media strategy articolata.

“In definitiva, pensare di aumentare le prospettive dei brand attraverso Spotify può rivelarsi una mossa ottimale: le metriche di engagement audio sono superiori rispetto a qualsiasi altro social: coinvolgono la fedeltà degli utenti, non solo come tempo di permanenza sulla piattaforma ma anche di ritorno quotidiano, di brand awareness, di consideration del brand e del funnel di conversione. Senza contare che produrre audio è infinitamente più economico che produrre video, per cui c’è la possibilità veramente di declinare tanti soggetti e personalizzare la comunicazione.”

Il momento d’oro dei Podcast

Una grande opportunità che comporta un uso mirato e specifico della piattaforma, con contenuti che calzino perfettamente con essa: il consiglio che Alberto Mazzieri dà alle aziende è quello di fare attenzione alla tipologia di messaggio da veicolare. Utilizzare un formato radio come formato audio su Spotify sarebbe sconsigliato perché andrebbe a creare un’interruzione del flusso di ascolto, non coerente con il momento ed il contesto, generando così una perdita di attenzione dell’utente.

Così come pensare di veicolare uno spot tv su Instagram o Tik Tok: una perfetta strategia comporta una creazione ad hoc del messaggio rispetto ai diversi canali da sfruttare.

Alberto Mazzieri conclude la nostra intervista confermando i dati della ricerca che evidenziano come l’audio digitale sia un compagno quotidiano a prescindere dal tipo di attività svolta o del mood e di come nessun’ altra attività media ci influenzi in modo tanto pervasivo. Questo si riflette su un livello alto e continuo di engagement, che porta ad un ricordo maggiore dei brand e di conseguenza un’efficacia maggiore dei messaggi pubblicitari. L’audio digitale può contribuire in modo consistente al raggiungimento degli obiettivi di una comunicazione multipiattaforma e multicanale.

Un accento importante va posto sui podcast diventati ormai mainstream: secondo l’ultima analisi Ipsos il numero di italiani che ascolta questi contenuti è di circa 11 milioni.

“Quello dei podcast è un mercato su cui stiamo investendo e che contribuisce all’evoluzione dello stesso Spotify. Il nostro obiettivo è portare sia in ambito di misurazione e tracciamento delle campagne pubblicitarie all’interno dei podcast, la stessa qualità dell’ambito digitale. Abbiamo una tecnologia chiamata Streaming Ad Insertion, in grado di pianificare all’interno dei podcast in modo più accurato, con delle metriche di reach più precise rispetto alla tecnologia standard del mercato.”

Ed anche il pubblico esposto ai messaggi pubblicitari è in continua espansione, dal momento che le inserzioni inserite nei podcast, a differenza dei contenuti musicali, raggiungono sia gli utenti free che quelli premium.

Spotify può dunque aiutare gli inserzionisti a raggiungere i loro obiettivi di marketing, vista l’importante quantità e qualità di dati ed insight a disposizione al fine di conoscere davvero al meglio l’audience, e in particolare, la Gen Z che è il gruppo di utenti con maggiore aderenza alla piattaforma.

È fondamentale dunque fornire ai brand gli insight sul loro pubblico, sui comportamenti, sulle scelte, sui trend che seguono per poter costruire un messaggio accurato che garantisca una sferzata positiva sulla sua efficacia.

engagement generazionale sul lavoro

Come motivare generazioni differenti di lavoratori in azienda

  • Le strategie di gestione della workforce multigenerazionale rappresentano una leva strategica per l’engagement e la retention in azienda
  • Come si coniugano motivazioni diverse tra colleghi e colleghe di età distanti
  • L’eterno trade-off tra tempo e denaro nelle prospettive generazionali del total reward

Dalla pandemia, le persone hanno cercato di prendersi cura di se stesse dal punto di vista fisico e psicologico e di avere più libertà nel lavoro. Questa nuova mentalità ha portato a un grande cambiamento nelle aziende, che hanno iniziato a comprendere quanto sia urgente in alcuni casi, rivisitare valori, modelli e cultura del lavoro.

Inoltre, i dipendenti hanno messo in discussione le proprie motivazioni e hanno iniziato a cercare impieghi che offrano flessibilità, motivazione e empatia.

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Ripensare l’engagement coinvolgendo le aziende

L’ “abbandono silenzioso” ha innescato riflessioni sul coinvolgimento al lavoro. Oltre ai problemi di attraction, come la scarsità di nuove competenze digitali e sostenibili, ci sono anche problemi di retention, soprattutto in Italia, dove solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro rispetto al 21% a livello mondiale.

A questo scenario si aggiungono le sempre inquietanti prospettive demografiche, che non si può continuare a sottovalutare. Negli ultimi 5 anni, la popolazione in età da lavoro (16-64 anni) è diminuita di 756 mila persone.

Nel solo 2022 di 133 mila.  La scarsità dell’offerta di lavoro sarà sempre più una realtà, così come lo squilibrio tra occupati e pensionati e un minor gettito di entrate per servizi e welfare.

LEGGI ANCHE: Cos’è il Quiet Quitting, la nuova fase delle Grandi Dimissioni

Le cause di questo abbandono silenzioso (quiet quitting) o di “grande rassegnazione” collettiva, comprendono la volontà di evitare l’hustle culture, il burnout, lo stress da lavoro e la mancanza di quella leadership che aiuti a coniugare i bisogni aziendali con quelli individuali e di gruppo.

Non bisogna poi dimenticare eventuali disillusioni di crescita personale e professionale che l’organizzazione compie attraverso i propri messaggi di employer branding.

Tra le cause di questi cambiamenti che hanno portato al “Great Reshuffle” (come suggerito da LinkedIn), non dimentichiamo di includere anche molti fallimenti dei manager nel bilanciare benessere e obiettivi aziendali con la concreta crescita personale o con addirittura comportamenti diffusi di micro-management.

A fine 2022, uno studio globale condotto da LinkedIn su 2.900 executive (C-suite) ha evidenziato un rallentamento delle assunzioni a livello globale, con il 34% delle aziende italiane che ha ridotto i propri piani di hiring.

Oggi, quasi la metà (49%) dei lavoratori intervistati si sente più sicura di richiedere una promozione o una nuova opportunità rispetto all’inizio del 2022, mentre solo un quinto (20%) si sente meno fiducioso. Inoltre, il 47% si sente più a proprio agio nell’esprimere disaccordo con un superiore.

In Italia, più della metà degli intervistati (54%) sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, con differenze tra le fasce d’età: il 69% nel gruppo 18-24 anni, il 46% nel gruppo 45-54 anni, e solo il 27% nel gruppo over 55.

La maggior parte dei Millennial (25-34 anni) e dei più anziani (35-54 anni) cita la necessità di guadagnare di più come la ragione principale per un cambiamento, mentre solo il 31% della Gen Z cita la paga come motivo principale.

Invece, per i più giovani (18-24 anni), la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (29%) e la sicurezza nelle proprie capacità (29%) sono ragioni importanti per cambiare lavoro, mentre solo il 23% dei millennial cita la work-life balance come priorità e solo il 19% si sente più sicuro delle proprie capacità.

Solo il 20% della Gen Z segnala una buona work-life balance attuale, rispetto al 39% dei millennial e al 30% delle altre fasce d’età. Infine, il 25% dei lavoratori tra i 35-44 anni è annoiato dal proprio ruolo e cita questo come motivo per cambiare lavoro, una percentuale significativamente superiore a tutte le altre fasce d’età.

LEGGI ANCHE: Il Quiet Quitting non è (solo) lavorare meno, ma lavorare meglio

In questo scenario la parola chiave dell’engagement risuona fortemente, sia per frenare le emorragie di competenze e il loro continuo ricambio, sia per mantenere livelli di performance adeguati a mercati sempre più concitati e veloci, sia per superare le difficoltà di integrazione delle nuove generazioni in azienda.

L’engagement intergenerazionale

Le generazioni attuali sono impegnate ad equilibrare le loro aspettative per il presente, che sono notevolmente differenti e in qualche modo risultanti dalla pandemia e dalle relative trasformazioni.

engagement workplace

La focalizzazione sul presente è diffusa in ogni generazione, ma la percezione del futuro varia in base all’età, anche se in alcuni casi è simile. Questo incide non poco sulle prospettive di fidelizzazione con un datore di lavoro.

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Per mantenere un ambiente di lavoro motivante e coinvolgente, le aziende non possono, pertanto, non tener conto delle diverse generazioni compresenti e delle loro motivazioni, poiché cambia per ciascuna generazione la declinazione di alcuni paradigmi che descrivono importanti aspetti della vita.

Come descrive bene Diego Martone in “Senza età”: “pensiamo al rapporto di equilibrio vita privata/lavoro, con un’evoluzione che è ottimamente riassunta nei seguenti slogan generazionali: si è passati dal “work is living” della Silent Gen al “live to work” dei Boomers, dal “work to live” della generazione X al “live in the moment” della generazione Y, fino al “S1E1:work” della Gen Zed”.

Proviamo allora a fare una breve fotografia delle aspettative delle diverse generazioni al lavoro e delle misure che solitamente vengono apprestate dal mondo aziendale.

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La Generazione dei Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964) cerca una stabilità finanziaria e una pensione sicura. I loro obiettivi sono quelli di impegnarsi a mantenersi attivi e in salute cercando di non gravare su figli e nipoti.

Con questo cluster le organizzazioni provano a prefiggersi l’obiettivo di offrire programmi di pensionamento solidi e ben progettati per mantenere il loro impegno e coinvolgimento sul lavoro, magari provando anche a valorizzare l’esperienza e la conoscenza di questa generazione, offrendo loro opportunità di mentoring o formazione per giovani dipendenti.

Per la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), le opportunità di crescita e sviluppo professionale sono fondamentali per mantenere l’engagement.

Questa generazione si trova una discreta stabilità lavorativa reddituale e patrimoniale (comunque inferiore ai loro genitori) e tra i loro obiettivi c’è ancora il tema di essere condizionati dal completamento del progetto familiare.

E cerca inevitabilmente anche un equilibrio tra vita privata e lavoro; quindi, le aziende si pongono l’idea di offrire flessibilità negli orari di lavoro o la possibilità di lavorare da casa per mantenere una motivazione al lavoro adeguata, provando ad incoraggiarla con la formazione continua e offrendo nuove opportunità di avanzamento di carriera.

Per la Generazione Y o Millennials (nati tra il 1981 e il 1996), la cultura e i valori aziendali sono da sempre stati molto importanti. Questa generazione è stata attratta da aziende che hanno missione e valori forti e che mostrano un impegno per la sostenibilità e la responsabilità sociale, ma vive ancora il lavoro, il reddito e la disponibilità economica come incerte e continua in molti casi ad essere protesa verso l’uscita dalla precarietà, con la prospettiva di creazione o crescita di una propria famiglia.

In questi casi l’orientamento del welfare aziendale dovrebbe essere teso ad incoraggiare la creatività e l’innovazione attraverso progetti di gruppo e fornire una visione chiara e trasparente per il futuro per mantenere l’impegno dei Millennials.

Per quanto riguarda la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012 circa), cresciuta nel mondo digitale e abituata a lavorare in modo collaborativo e interattivo, dobbiamo considerare un gruppo sociale in buona parte ancora dipendente dalla famiglia di origine, che è impegnata a terminare il proprio percorso di istruzione per il successivo ingresso nel mondo del lavoro.

Il trend che sembra distinguersi oggi per le aziende è quello di incoraggiare sempre di più l’inclusività e la diversità, rispettare le opinioni e le esigenze dei dipendenti più giovani, per creare un workplace positivo e fluido, sulla scorta delle trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo del lavoro.

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Abbiamo forse compreso che le percezioni, i vissuti e le rappresentazioni dell’ambiente lavorativo differiscono tra le generazioni, ma sempre di più queste condividono gli stessi spazi e gli stessi progetti aziendali.

Trascurare queste differenze può avere un impatto sulla produttività e sul clima aziendale, nella comunicazione e nell’apprendimento del lavoro. Non tanto forse nella difficoltà nell’utilizzo di tecnologie, ma soprattutto nel modo di percepire e vivere con senso di appartenenza le regole e la mission aziendale, considerati sempre di più dei fattori distintivi di valore aggiunto anche per i risultati di business.

Tuttavia, all’interno dei sistemi relazionali aziendali, tende ad emergere una convergenza, basata sugli obiettivi comuni, sul linguaggio specifico e condiviso che caratterizza le attività, sul modus operandi dell’azienda stessa, sul codice non scritto di comportamento aziendale che viene direttamente o indirettamente trasmesso e assimilato dall’onboarding in poi.

A volte è molto più probabile, infatti, condividere una visione comune con un collega di una generazione diversa, ma appartenente alla medesima azienda, che con una/un coetaneo che lavora in un campo o settore molto differente.

In sintesi, quello che solitamente chiamiamo “engagement” ha bisogno necessariamente di una rivisitazione proprio in prospettiva intergenerazionale e di “belonging” organizzativo.

Non solo per i cambiamenti delle fasi e dei cicli di vita delle persone nelle organizzazioni, ma proprio in ottica cooperativa, integrata, di mutuo scambio di esigenze e rappresentazioni semantiche del concetto di lavoro.

Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z, lavorando insieme con esigenze diverse, richiedono una talent & rewards strategy composita e segmentata, che tenga conto dei fabbisogni dei diversi cluster di popolazione aziendale e di quelli individuali.

Engagement intergenerazionale: conviene puntare su tempo o denaro?

In tutte le indagini che approfondiscono le Nuove Generazioni in azienda, i giovani vengono rappresentati come una generazione che ricerca un equilibrio tra vita lavorativa e privata, presta attenzione all’impatto ambientale, all’integrità e agli effetti a lungo termine delle loro azioni.

La loro soddisfazione sul lavoro e il loro impegno nell’azienda sono fermamente legati alla condivisione dei valori personali con quelli dell’organizzazione. Sembra quasi che la formula magica sia: maggiore sarà la coerenza con i principi e l’etica aziendale, più i giovani saranno in grado di dare il massimo.

Ma non possiamo ridurre il ragionamento solo a questo: è necessario fare i conti anche con gli annosi, e pur sempre attuali, aspetti retributivi.

Abbiamo compreso che il valore della gestione del tempo e del lavoro per obiettivi sembra essere maggiormente apprezzato dai Millennials e dai Gen Z lavoratori, laddove ne abbiano già fatto esperienza del mondo professionale, ma non sappiamo ancora se i giovanissimi (oggi studenti) effettueranno la loro stessa scelta culturale, o nutriranno una percezione del valore del denaro più pragmatica rispetto ai “cugini” di generazione.

La crisi economica del 2008 influì sui Millennials facendo loro abbandonare molte pretese sulla carriera e la certezza del futuro professionale; sarà molto utile monitorare in questi anni gli effetti delle attuali difficoltà economiche su tutta la popolazione giovanile.

Quanto guadagnano Boomer, Gen Z e Millennial

Una recente indagine di Odm Consulting ha rilevato che un impiegato di 30 anni guadagna il 34% in meno rispetto a un impiegato di 60 anni. Le retribuzioni medie di diverse generazioni, tra cui i Baby Boomer, la Generazione X, i Millennial e la Generazione Z, presentano notevoli differenze, creando un vero e proprio “generational pay gap“.

engagement generazionale

La retribuzione media per un impiegato è di 33.514 euro all’anno, ma un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più, un impiegato della Generazione X il 12,2% in più e un Millennial solo l’1,6% in più. Invece, un impiegato della Generazione Z guadagna il 23,1% in meno rispetto alla media.

In altre parole, un Baby Boomer guadagna il 17,5% in più rispetto a un impiegato della Generazione X e addirittura il 34% in più rispetto a un Millennial.

Quando la discriminazione di età diventa strutturale non deve essere sottovalutata, anche se Daniel Pink da alcuni anni ci ha spiegato che la motivazione umana è principalmente intrinseca e che i tradizionali modelli di motivazione guidati dalle ricompense e dalla paura delle punizioni, dominati da fattori estrinseci come il denaro, fanno parte di un vecchio paradigma che non funziona bene negli ambienti di lavoro moderni.

Di certo c’è che gli aspetti retributivi sono parte integrante della “sicurezza psicologica” delle dottrine agile e, se in azienda non sono assicurate saldamente (soprattutto durante le tempeste inflazionistiche) o sono tema di disparità generazionale, l’engagement basato su purpose e storytelling deflagra malamente.

Per quanto riguarda allora i total rewards, ovvero il sistema completo di gratificazioni che comprende sia le componenti tangibili come la retribuzione e il welfare, che quelle qualitative ed intangibili come lo sviluppo e l’ambiente di lavoro, probabilmente le Nuove Generazioni richiederanno un’attenzione riformulata sia degli aspetti intangibili, ma anche di quelli più concreti. Continuerà ad essere importante il “perché” e il “come” dei riconoscimenti ma forse anche il “quanto”.

La gestione della diversità così diventa ancora più olistica: dimentichiamo infatti sistematicamente che tra gli elementi che costituiscono i temi di D&I c’è anche il divario economico tra gli individui, e se consideriamo strategico inserire queste dinamiche culturali in azienda, la “Diversity EQUITY and Inclusion”  deve essere considerata fondamentale in tutte le fasi della gestione del capitale umano: dal reclutamento, alla formazione, alla carriera e alla definizione dei pacchetti retributivi, e così via.

Esistono inevitabilmente dei rischi di conflitti tra gruppi eterogenei e difficoltà di comunicazione connessi alle diverse modalità di lavoro. La retribuzione individuale dovrebbe essere maggiormente legata alla professionalità, ai risultati, più che al tempo dedicato al lavoro e alla seniority aziendale.

La capacità di tenere il passo con lo sviluppo tecnologico, l’innovazione e l’attualità culturale diventerà, a tendere, importante quanto l’esperienza maturata.

Per ciò che riguarda la retribuzione, c’è chi suggerisce che potrebbe essere utile personalizzare i pacchetti retributivi con un peso maggiore della retribuzione variabile, per comportare una minore rigidità retributiva e la possibilità di adeguare i pacchetti in base alle performance.

Ma la componente del welfare aziendale continuerà ad acquisire comunque sempre maggior importanza nella retribuzione complessiva, soprattutto in quelle realtà che lo utilizzano come leva di attraction e retention collegandola ai valori aziendali.

Per questo un aspetto cruciale sarà inesorabilmente la capacità delle aziende di comunicare sulle tematiche retributive in modo finalmente trasparente (dagli annunci di lavoro alle prospettive di carriera), invece di considerarle argomenti riservati o tabù.

Le motivazioni “di nuova generazione”

In passato, la motivazione al lavoro era basata sulla semplice accettazione da parte dei dipendenti, ma con l’evoluzione professionale di questi ultimi anni, la motivazione richiede strategie di engagement sempre più profonde.

Citando nuovamente “Drive” di Daniel Pink, per far sì che i dipendenti siano veramente motivati, è necessario che vivano un’esperienza “autotelica”, dove l’attività stessa è una ricompensa e la padronanza di un compito appreso alimenta ulteriormente la motivazione.

Per affrontare questi nuovi paradigmi e migliorare i risultati di attraction&retention, è importante allora considerare gli aspetti di autonomia, padronanza e scopo come elementi chiave delle esperienze professionali in azienda per tutte le generazioni.

È certamente auspicabile che ognuno trovi il suo “flow” attraverso questo tipo di personalizzazione della gratificazione retributiva e non, ma soprattutto che tutto questo venga sviluppato attraverso una lente strategica di intergenerazionalità, magari coinvolgendo direttamente senior e junior in una definizione trasparente dei benefit, delle retribuzioni e degli obiettivi comuni, così come in una riformulazione coraggiosa del classico percorso trifasico (studio, lavoro, pensione) del ciclo di vita organizzativo.

Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo.” (Anton Pavlovic Cechov)