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Tutto il Marketing che Verrà

Tutto il Marketing che verrà

  • Nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano
  • Nella società dei consumi la percezione dell’essere consumatori è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità
  • La sfida che si apre ai professionisti di Marketing non è sul what, ma sull’how

 

Buone notizie da Covid-19

Se questo fosse stato un blog post, avresti avuto tutte le migliori ragioni per criticare il titolo che ho dato al paragrafo, troppo simile all’esca del click baiting usata ancora da tanti (sedicenti) giornalisti e writer. In effetti, Covid-19 non porta quasi mai buone notizie, anzi. Piuttosto, porta notizie meno negative.

Se c’è una cosa che la storia delle pandemie e delle crisi insegna, e che gli analisti (in primis, finanziari) ci stanno ripetendo in continuazione dagli inizi, è che anche lo stress di Covid-19 finirà. Questa è in realtà una prima buona notizia, e dobbiamo prepararci a quello, dopo ben più di 40 giorni chiusi in casa o comunque molto limitati nella nostra quotidianità. Dobbiamo prepararci come persone, ma anche come professionisti. Se poi lavoriamo nel marketing, questa preparazione non è solo importante ma essenziale.

E qui, sta una seconda buona notizia: nonostante tutto, i clienti e i consumatori non sono spariti, né si sono eclissati; più semplicemente sono sul divano, stanno probabilmente vivendo un periodo di maggiori ristrettezze economiche, vivono una giornata diversa che richiede nuovi punti e modalità di contatto.

A proposito, ti consiglio l’ottimo e ricco osservatorio globale di McKinsey con dati legati a cosa stanno provando e a come si stanno comportando i consumatori. Anche perché nella società dei consumi dove in Italia viviamo da tempo, proprio la percezione dell’essere consumatori e consumatrici è diventata tratto caratterizzante delle nostre identità. Consumo dunque sono, ci avrebbe ricordato il grande Zygmunt Bauman. Immaginiamo le attuali economie a maggior tasso di crescita, come quelle asiatiche: appena i consumatori cinesi hanno potuto uscire nuovamente di casa, hanno dato vita al fenomeno del revenge spending, ovvero della spesa rabbiosa e senza sosta, dopo settimane di forzature e ristrettezze imposte. Per la felicità di brand del luxury come Hermès, che nella sola boutique di Canton e nel solo giorno di riapertura dopo il lockdown ha fatturato la bellezza di 2.7 milioni di dollari (che in euro, sono 2.5 milioni).

Dunque, Covid-19 finirà e i consumatori esistono ancora. Già queste mi sembrano due belle notizie, in mezzo a tante difficoltà. La sfida che si apre ai professionisti di marketing non è dunque sul what, ma sull’how: come leggere il mondo che verrà?

La marketing personas di Covid-19

Da professionisti, un esercizio utile che possiamo fare (e che personalmente ho fatto più volte) per dare forma e sembianze al Covid-19 è antropomorfizzarlo.

L’antropomorfismo è l’attribuzione di caratteristiche e qualità umane ad esseri animati o inanimati o a fenomeni naturali o soprannaturali.

Antropomorfizzare, nel marketing, è un fenomeno comune e con una lunga storia di ricerche e progetti alle spalle: lo si fa, per esempio, per dare ai brand maggiore concretezza e poterne comunicare meglio l’identità. I ricordi personali più vividi riportano alla memoria personaggi come Bibendum (l’Omino Michelin) o le forme umane (anche se comunque idealizzate) dei profumi La Femme e Le Male dello stilista Jean-Paul Gaultier.

Tutto il Marketing che verrà

Ecco, proviamo adesso a fare lo stesso esercizio con il Coronavirus e chiediamoci: se fosse una persona, come sarebbe a livello di tratti, personalità, fisico?

E allora, Covid-19…

  1. è straniero (Cinese)
  2. viene da zone periferiche, di mercati e mercanteggiamenti
  3. è solitario
  4. è magrolino e snello
  5. [in modo contro-intuitivo rispetto al punto 4] è molto forte
  6. non solo è forte. Ha una forza esplosiva e contagiosa
  7. è dunque e in qualche modo irresistibile
  8. è infido, sempre pronto a colpire (fatalmente) alle spalle
  9. [per tutti i motivi sopra] è totalmente inaffidabile

Come ben segnalato dall’amico, collega e co-autore Joseph Sassoon nell’articolo “Fighting the Unknown: The Powerful Symbolism of the Coronavirus Crisis”, un’ulteriore caratteristica di Covid-19 deve fare riflettere: il nome. Riporto testualmente il suo pensiero:

When magnified, with its ‘corona’ (crown) it appears at the same time beautiful and horrific.

Coronavirus’, in effetti, è un nome esplosivo e altisonante. Regale e killer allo stesso tempo.

Brand new world

Quando ero studente in business school, mi aveva affascinato molto il titolo di un libro: si chiamava e si chiama ancora Brand New World, lo ha scritto Nello Barile nel 2009 per l’editore Lupetti. Un gioco di parole chiaro su come già allora il modo di pensare e progettare i brand stesse cambiando, rinforzato da un’altra riflessione più recente pubblicata su Advertising Week dall’ex docente di Harvard e imprenditore Erich Joachimsthaler: “It’s a Brand-New World When It Comes to Building Brands”.

Oggi più che mai, dobbiamo ripensare il nostro marketing tenendo conto di tale nuova personas appena discussa. Una personas che in tanti dicono rimarrà nella nostra testa e nelle nostre abitudini, anche dopo questi mesi difficili.

Come possiamo rispondere? Vincenzo Cosenza ha prodotto una matrice del marketing emergenziale utile per iniziare a posizionare il comportamento dei business al tempo del virus in funzione dello stato psicologico del management e dell’approccio al marketing.

Tutto il Marketing che verrà

Più nel concreto, servirà una trasformazione del marketing e del business: personalmente, parlo proprio di marketing transformation. Anche perché nel 2003 era la Sars, nel 2008 la crisi finanziaria e nel 2020 Covid-19: dobbiamo diventare resilienti e innovativi by design: quel mondo VUCA (volatile, uncertain, complesso, ambiguo) su cui ci hanno tanto stressato nel tempo, è arrivato ed è qui per restare. Da dove puoi e possiamo partire?

A mio avviso, sono tre i principali paradigmi trasformativi su cui come Marketing Expert dobbiamo iniziare a lavorare.

1. Dal journey delle persone, al journey per le persone

Customer journey dinamici, social, digital, consumer decision journey: tante parole scritti da tanti (a memoria, McKinsey, Altimeter, Jeremiah Owyang, Brian Solis, …) che indicano una profonda e crescente difficoltà nel tempo da parte delle aziende di mappare e disegnare percorsi di marca e di interazione con le audience davvero efficaci. Troppo touchpoint, troppa volatilità nelle preferenze, troppa poca fedeltà alla marca o al prodotto.

D’altronde, con un semplice gioco di lettere il futurologo Brian Solis su Instagram mostra come, aggiungendo una ‘s’ possessiva alla parola customer journey, passiamo a un sorprendente customer’s journey. Appunto, a un journey quasi posseduto dalle persone, senza possibilità alcuna per le aziende di governarlo o almeno orientarlo. Covid-19 sta digitalizzando la società e l’economia, e alla base del digitale sta il dato.

Non abbiamo più scuse: la relazione tra marketing, data management e tecnologia è ormai molto forte. Gianluigi Zarantonello ne ha scritto anche un libro per la collana che dirigo in FrancoAngeli: si chiama Marketing Technologist. Dobbiamo rinforzarla e rinforzare le competenze su tutti e tre i domini, perché solo grazie al dato e alla corretta strategia tecnologica a suo fondamento possiamo tornare in possesso del customer journey, e possibilmente anticiparlo per deliziare i clienti. Clienti che proprio oggi stanno facendo ampio utilizzo di Amazon, delle piattaforme di food delivery e di altri player densi di tecnologia, i quali applicano a dovere questo triage sin dalla loro nascita. Non pensare che, dopo due mesi abbondanti passati così e il mondo nuovo che sta nascendo, accetteranno ancora di fare la fila alle poste.

2. Dall’omnicanale, al policanale

L’idea del policanale non è mia, per sfortuna. L’ha proposta l’evangelist italiano Ivan Ortenzi in un talk online che puoi ritrovare su YouTube, ed è molto interessante: semplicemente, nel dopo Covid-19 e per un po’ di tempo possiamo scordarci l’omnicanalità, perché alcuni canali non li vorremo vedere o faremo fatica a farlo. Pensa a tutto il mondo del retail fisico e degli store, quanta fatica farà. Si parla di distanze minime di 2 metri, di sterilizzazione dei capi di abbigliamento una volta che vengono provati dai potenziali clienti, di chiusura prolungata dei luoghi più a rischio diffusione del virus come le palestre e i cinema. Hai visto gli spoiler billboard, l’idea proposta da due studenti della Miami Ad School di Amburgo di tappezzare le città di manifesti con spoiler eclatanti delle più popolari serie Netflix per far desistere le persone dall’uscire e contribuire alla prevenzione del Coronavirus? Ecco: trovo renda molto bene l’idea. Omnicanalità, adieu.

Al contrario, i touchpoint dovranno essere attentamente identificati e selezionati, il budget ottimizzato e gestito sempre più in tempo reale, e nuovi modi di contatto ora futuristici per certi mercati – penso ad AR, VR, AI Assistant, tecnologie olografiche – diventeranno la realtà. A proposito, ti consiglio il report prodotto da Futurum e SAS sulla customer experience 2030, ricco di suggestioni che stanno per arrivare a partire da una ricerca globale su un campione di più di 4.000 rispondenti equamente suddivisi tra brand e consumatori.

3. Dai touch point, ai trust point

Quando parliamo di canali e touch point, parliamo di contesto: conoscerlo è di grande valore, ma bisogna prestare molta, molta attenzione alle insidie legate alla privacy e alla tutela del dato che lo abilita. Soprattutto sui mercati europei protetti da GDPR.

L’edizione 2020 del Trust Barometer, il report che l’agenzia di relazioni pubbliche Edelman dedica annualmente alla misurazione della fiducia, riporta alcuni risultati per me impressionanti. Su tutti, l’attesa da parte dei consumatori che i brand agiscano e prendano posizione rispetto ai grandi temi sociali, economici, etici.

Tutto il Marketing che verrà

Una novità bellissima, nonché una grande opportunità per le aziende e i business in un momento dove la reputazione di politica e istituzioni è ai minimi di sempre. Allo stesso tempo, come mi ha recentemente fatto notare il CIO di illimity Filipe Teixeira in un webinar che ci ha visto coinvolti, una sfida di digital trust e cybersecurity impressionante. Se la metà delle persone coinvolte nella survey Futurum / SAS che ho citato sopra sono disponibili a condividere i propri dati in cambio di valore, attraverso la tecnologia questi dati devono restare in buone mani, ed essere utilizzati per renderle ancora più consapevoli del valore che stanno ottenendo.

Già nel secondo punto ho ricordato come, quando parliamo di customer experience, le interazioni avvengano principalmente tramite i diversi punti di contatto che l’azienda ha progettato e gestisce nei confronti dell’ecosistema connesso. Il problema dei touch point, sta proprio nella credibilità. Amplificati dal digitale, fake news, gossip, storytelling negativi mettono sempre più a dura prova la percezione di affidabilità che abbiamo dei diversi canali. Con il rischio che i touch point si trasformino in terreno di contro-narrazioni – a volte di vere e proprie battaglie conversazionali – tra persone e aziende. Nel mondo digitalizzato di oggi è difficile giudicare ciò che è autentico, da dove viene l’informazione e chi l’ha eventualmente modificata.

La soluzione a questo problema sta probabilmente nel passaggio da touch point come il discusso Facebook (ricordi lo scandalo Cambridge Analytica?) a trust point come la blockchain o altri ‘luoghi’ abilitati dalla tecnologia dove la fiducia può essere co-creata e approfondita. Un discorso valido soprattutto nei settori che soffrono maggiormente a livello reputazionale.

Allora, ho trattato tre punti impegnativi vero?

Da parte mia non ho ancora soluzioni a proposito, ma ho la consapevolezza che su questi si giocherà tanto del marketing di domani.

email marketing

L’eCommerce ai tempi del Coronavirus: numeri, trend, scenari e strategie

Casaleggio Associati è al lavoro sulla nuova ricerca E-commerce in Italia 2020 – Vendere online ai tempi del Coronavirus. Giunta alla XIV edizione la ricerca verrà presentata il 19 maggio alle ore 15.00 durante un evento digitale trasmesso in streaming.

Come ogni anno, la ricercaE-commerce in Italia” di Casaleggio Associati farà il punto su numeri, trend e strategie adottate dai principali operatori del mercato.

Lo studio mette in luce l’andamento del commercio online al dettaglio nel Mondo, in Europa e nel nostro Paese, in crescita a doppia cifra anche nel 2019. Non mancheranno dettagli sui principali trend, che fanno emergere sempre di più l’importanza della digitalizzazione e delle tecnologie esponenziali per l’evoluzione e l’innovazione delle aziende italiane dei vari settori.

eCommerce coronavirus

Il focus sull’eCommerce nella fase dell’emergenza

Un focus, in particolare, verrà dedicato all’eCommerce ai tempi del Coronavirus. Se da una parte, infatti, gli acquisti online stanno garantendo grandi performance alle aziende impegnate ad esempio nei settori merceologici dell’alimentare, molti altri settori sono fortemente in crisi e solo un’adeguata strategia può permettere un rilancio. La pandemia e il lockdown stanno cambiando ancora più velocemente le dinamiche di acquisto e i mercati, anche quelli online.

La ricerca di quest’anno punta anche ad evidenziare quali sono le strategie che le aziende stanno applicando e che possono applicare per far fronte alla situazione, ed eventualmente, accelerare la ripresa.

Nel rapporto verranno raccontati casi aziendali nazionali di successo, che potranno essere d’ispirazione per tutte quelle piccole e medie imprese che ancora non hanno saputo cogliere il vantaggio della vendita online.

LEGGI ANCHE: Effetto COVID-19, l’emergenza mette le ali a eCommerce e GDO

Per partecipare allo streaming

La partecipazione è riservata ai merchant eCommerce: imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, responsabili marketing, responsabili e-commerce e responsabili Internet.

Per iscriversi alla presentazione e ricevere gratuitamente il report basta registrarsi sulla pagina dedicata all’evento: https://www.casaleggio.it/e-commerce/

pinterest ads

Pinterest Ads: consigli e strategie per ottimizzare le tue campagne

  • Pinterest è un importante strumento per accompagnare gli utenti dall’ispirazione all’acquisto;
  • Quest’anno il social è cresciuto del 29% in Italia, raggiungendo 12 milioni di visitatori unici mensili;
  • Prima i brand riusciranno a raggiungere gli utenti giusti e meglio sarà per la loro notorietà.

 

Pinterest diventa sempre più importante per i brand che vogliono comunicare e vendere i loro prodotti e servizi. Il canale attira un pubblico con un forte intento all’acquisto e allo stesso tempo genera engagement. Il tutto è condito con la parola che caratterizza il social network: ispirazione.

Il 90% degli utenti afferma di accedere alla piattaforma in cerca di idee su cosa fare e su quali prodotti comprare.

Ormai le persone usano Pinterest ogni giorno, per prendere decisioni quotidiane come la preparazione di ricette, per ispirarsi durante i momenti importanti della vita come il matrimonio o l’arredamento di una nuova casa, o durante i cambi di stagione per scegliere le scarpe da comprare.

Pinterest in Italia

Secondo il Report Digital 2020 di We Are Social e Hootsuite quest’anno Pinterest è cresciuto del 29% in Italia, raggiungendo 14,7 milioni di visitatori unici mensili. Il 64% sono donne, mentre il restante 36% sono uomini. Gli utenti maggiormente coinvolti comprendono la fascia d’età 16-54 anni.

utenti unici pinterest

Prima i brand riusciranno a raggiungere gli utenti giusti e meglio sarà per la loro notorietà, ma soprattutto per il loro ROAS (Return on Advertising Spend).

Prima della campagna

Per impostare una campagna su questo social, prima di tutto bisogna installare il tag di Pinterest. Grazie al pixel si possono monitorare le azioni dei visitatori sul sito (quindi capire l’efficacia delle sponsorizzazioni) e utilizzare questi cluster di retargeting per ottimizzare le campagne.

Qui sotto tutte le attività che è possibile tracciare:

  • PageVisit
  • ViewCategory
  • Search (ricerche sul tuo sito web)
  • AddToCart
  • CheckOut
  • visualizzazioni del video
  • Signup
  • Lead
  • Custom (un evento personalizzato che vuoi tracciare)

pinterest

Awareness

Inizialmente i potenziali consumatori si trovano in una fase di scoperta e ispirazione. Una volta che hanno le idee più chiare su cosa stanno cercando è il momento di intervenire, costruendo consapevolezza intorno al brand e prodotto/servizio che si vuole proporre. Questo accade in media dopo 14 giorni.

In questa fase è importante anche mantenere la notorietà del brand. Chi ha iniziato a seguire e a salvare i tuoi pin probabilmente continuerà a manifestare interesse in futuro. Per questo è utile controllare il più possibile le performance dei post.

Il consiglio è quello di aumentare l’offerta per i pin che registrano i dati migliori e di stoppare quelli con le prestazioni peggiori. Inizia con 2 o 4 pin con lo stesso tema per capire quali sono i contenuti creativi che funzionano meglio. Ottimizza le campagne aggiungendo un Pin nuovo ed eliminando a rotazione quello che ha avuto la performance peggiore nel gruppo di annunci.

L’obiettivo brand awareness aiuta le persone a scoprire i prodotti o servizi che offri. Mentre l’obiettivo visualizzazioni del video può essere utile se vi è la necessità di far vedere come indossare un prodotto o per raccontare meglio un servizio.

LEGGI ANCHE: Cosa sapere su Pinterest100 e i trend da seguire per il 2020 sul social

Metriche principali

Le metriche principali da monitorare per valutare le prestazioni dei pin nella parte più alta del funnel:

  • Copertura e frequenza
  • Impression
  • Visualizzazioni del video

Formati consigliati

I formati consigliati per l’awareness:

  • Pin statico sponsorizzato
  • Video standard (dai 6 ai 20 secondi massimo; mostrare il brand nei primi 3 secondi)
  • Video di massima larghezza (dai 6 ai 20 secondi massimo; mostrare il brand nei primi 3 secondi)
  • Carosello (si possono inserire massimo 5 card)

Posizionamenti

Per tutti gli obiettivi il suggerimento è di presidiare entrambi i posizionamenti:

  • Feed
  • Ricerca

Tipo di offerta

Per l’awareness i tipi di offerta da tenere in considerazione sono CPM (per campagne di notorietà del brand) e CPV (per campagne in ottica di visualizzazioni del video).

Misurazioni

Consideration

Dopo aver conquistato l’attenzione dei potenziali clienti, puoi invitarli a dare un’occhiata al tuo sito, per convincerli a comprare il tuo prodotto/servizio. In questa fase è importante monitorare tutte le azioni che i visitatori effettuano una volta dentro al tuo e-commerce, per ottimizzare sempre più le campagne e accompagnare gli utenti verso la parte più bassa del funnel.

Nella parte intermedia del percorso d’acquisto, puoi selezionare “traffico” se il tuo obiettivo è aumentare il traffico su o al di fuori di Pinterest. Oppure puoi optare per “installazione app“.

Metriche principali

Le metriche principali da monitorare per valutare le prestazioni dei pin nella parte media del funnel:

  • Clic
  • CTR
  • Azioni qualificate sul sto web
  • Installazione dell’app

Formati consigliati

I formati suggeriti per la consideration:

  • Pin statico sponsorizzato
  • Pin di app video
  • Pin carosello (si possono inserire massimo 5 card)
  • Video standard (dai 6 ai 20 secondi massimo; mostrare il brand nei primi 3 secondi)

Posizionamenti

I posizionamenti da presidiare:

  • Feed
  • Ricerca

Tipo di offerta

  • CPC
  • oCPM

Misurazioni

pinterest

Conversion

Dopo aver raggiunto un certo numero di risultati grazie al traffico portato sul sito (almeno 50 eventi tracciati sul sito a settimana) puoi creare campagne con obiettivo conversione e ottimizzarle per far compiere azioni specifiche agli utenti, come l’aggiunta al carrello o l’acquisto.

Prima di procedere è necessario assicurarsi di tracciare correttamente almeno un evento tra checkout, aggiungi al carrello, iscrizione o lead.

Il consiglio è di partire con un CPA del + 10-15% rispetto al solito per vincere più aste e raccogliere dati significativi. Il budget giornaliero dovrebbe essere 3.5 volte tanto il tuo CPA target (costo per azione ottimale). Infine assicurati di includere due finestre di attribuzione: una per il coinvolgimento e una per la visualizzazione. Considera per entrambi un periodo di 30 giorni.

Grazie ai cataloghi commerciali (per provarli in Italia contatta il tuo referente Pinterest) puoi aiutare i potenziali clienti a scoprire tutti i prodotti del tuo sito, mentre navigano sul social.

LEGGI ANCHE: Come creare annunci su Pinterest: guida base per iniziare

Metriche principali

Le metriche principali da tenere sotto controllo:

  • ROAS
  • Aumentare le vendite incrementali

Formati consigliati

I formati consigliati se vuoi vendere prodotti/servizi:

  • Pin statico sponsorizzato
  • Pin carosello (si possono inserire massimo 5 card)
  • Video standard (dai 6 ai 20 secondi massimo; mostrare il brand nei primi 3 secondi)

Posizionamenti

I posizionamenti da includere:

  • Feed
  • Ricerca

Tipo di offerta

  • CPC
  • oCPM

Misurazioni

Target

Possiamo dividere il targeting di Pinterest in tre aree principali: per interessi, per parole chiave e targeting di pubblico.

Interessi

Proponi i tuoi annunci agli utenti in base ai loro interessi mentre stanno curiosando sul canale. Insieme al target per parole chiave, è fondamentale per raggiungere più persone possibili.

Parole chiave

Raggiungi persone già interessate al prodotto/servizio che offri, sulla base delle ricerche che effettuano. Avrai più probabilità di aumentare le vendite, il traffico e l’interazione. Puoi selezionare funzioni come i tipi di corrispondenza e parole chiave a corrispondenza inversa. Grazie al report sui termini di ricerca puoi ottimizzare ulteriormente le tue strategie.

Su Pinterest gli utenti possono fare ricerche attraverso le immagini, le parole, o entrambe. Le ricerche accompagnano gli utenti dal primo momento in cui cercano ispirazione, fino al momento dell’acquisto. Ciò spiega perché questo targeting è utile per tutte le fasi del funnel di marketing.

Esiste una sezione dell’account chiamata “keyword generator“, che per ora è solo per uso interno a Pinterest.

Targeting di pubblico

Il targeting di pubblico permette di proporre gli annunci a persone più propense a effettuare delle azioni.

È possibile creare un pubblico dedicato a coloro che hanno interagito con i tuoi pin su Pinterest, uno per chi ha visitato determinate pagine o fatto azioni sul tuo sito web e nulla ti vieta di caricare un elenco clienti.

Dopo aver individuato i cluster più performanti, è importante orientare le campagne verso audience simili a questi segmenti di pubblico per intercettare nuovi potenziali consumatori.

Ottimizzazione

Dopo aver creato la tua strategia, attivato le campagne e fatto trascorrere il tempo giusto per valutare i risultati, puoi dedicarti all’ottimizzazione.

Testa nuovi target e stoppa quelli meno performanti. Allo stesso modo procedi con i contenuti creativi. Infine sposta il budget nei gruppi di annunci con le prestazioni migliori.

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5 settori nei quali il Coronavirus sta accelerando la Digital Transformation

  • A causa della pandemia, le persone sono meno inclini a toccare con mano i contanti e a digitare i tasti di un touchpad;
  • Sta anche spopolando la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi spostamenti diffondendo il virus negli ospedali;
  • Più in generale ci sono settori nei quali la Digital Transformation ha subito una decisa accelerazione, complici tecnologie già testate.

 

L’emergenza Coronavirus ha messo l’acceleratore sul progresso tecnologico. In molti ambiti i cambiamenti che si sarebbero verificati nel corso dei prossimi anni hanno preso vita nel giro di qualche settimana.

In che senso la digital transformation ha subito una accelerazione e quali sono le principali trasformazioni in atto? Le abbiamo analizzate una per una.

LEGGI ANCHE: Il Coronavirus ci obbliga ad accelerare e così la digital transformation diventa virale

#1 eCommerce e pagamenti digitali

Più spazio ai pagamenti digitali: considerando che attualmente la maggior parte degli acquisti vengono effettuati online la moneta elettronica prende piede a livello globale. Basti pesare agli  Stati Uniti dove, nel corso dell’ultimo decennio, il mondo del retail non si è lasciato coinvolgere dalla diffusione delle nuove tecnologie di pagamento che si sono diffuse in Europa e in Asia.

Con il COVID-19 si nota un inversione di tendenza, le persone per paura del contagio non sono molto propense a maneggiare contanti e a toccare i tasti di un touchpad. I sistemi che consentono di effettuare le transazioni mediante il proprio dispositivo mobile sembrano avere la meglio. Catene alimentari come Publix stanno accelerando sul lancio di terminali in cui non è necessario il contatto e l’introduzione di servizi come Apple Pay e Google Pay.

#2 Telemedicina

La pandemia globale in corso ha costretto le istituzioni sanitarie e gli organismi di regolamentazione a ricorrere a metodi alternativi per offrire assistenza sanitaria limitando il contagio del virus.

È così entrata in gioco la telemedicina, una valida possibilità per limitare gli spostamenti dei pazienti.

Le soluzioni di telemedicina possono essere descritte come prodotti e servizi progettati per migliorare e coordinare l’assistenza ai pazienti mediante la tecnologia. Gli strumenti e le soluzioni emerse negli ultimi anni sono state sviluppate e concepite per migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria, per consentire ai pazienti di essere monitorati da remoto e per facilitare l’accesso alle informazioni sanitarie elettroniche.

Nell’attuale scenario mondiale, così come le aziende e persino le scuole adottano la soluzione dello smart working, i robot aiutano a monitorare i pazienti infetti per limitare il contatto con il personale medico e anche la telemedicina gioca la sua parte, acquisendo una nuova luce. La consultazione medica a distanza diventa un’opzione sempre più attraente.

La tele-health si rivela essere un valido strumento nella lotta al virus, che sta colmando il gap tra persone, medici e sistemi sanitari, consentendo a tutti, soprattutto ai pazienti sintomatici, di rimanere a casa e comunicare con i medici attraverso canali virtuali, contribuendo a ridurre il contagio. Non solo, grazie alla consulenza medica a distanza è possibile addirittura filtrare i potenziali casi COVID-19 da remoto.

La telemedicina sta incontrando l’interesse sia delle istituzioni che dei pazienti.

Anche l’OMS sta sostenendo la tele-health per monitorare i pazienti e ridurre i rischi che con gli spostamenti diffondano il virus negli ospedali.

Il numero di persone che si affida alle consulenze mediche virtuali è sempre più alto.

Nel 2018 la Commissione europea aveva stimato che il mercato globale della telemedicina avrebbe raggiunto i 37 miliardi di euro entro il 2021, con un tasso di crescita annuale del 14%. Questi numeri possono essere decisamente superati in quanto con la diffusione della pandemia la domanda è nettamente in crescita.

La pandemia COVID-19 è un banco di prova impegnativo per tutte le aziende che offrono soluzioni di telemedicina. Oltre a dover dimostrare affidabilità, una delle sfide più grandi è la scalabilità dei sistemi. L’opportunità di aumentare il numero di utenti in poche ore è il requisito principale e le soluzioni basate su cloud hanno meno problemi in questo senso. Con così tanti nuovi pazienti interessati, le soluzioni proposte dovrebbero essere uno strumento di facile utilizzo ed essere disponibili attraverso i dispositivi degli utenti stessi come computer, smartphone, notebook e tablet.

Il punto di forza della telemedicina sta nella sua capacità di riunire diverse organizzazioni mediche in un’unica rete virtuale, guidata da un’unità centrale. Questa rete può includere diverse località fisiche: cliniche centrali e remote, cliniche statali e private, centri di riabilitazione e centri di prevenzione, studi privati dei medici e tutti i pazienti registrati all’interno delle loro sedi. Le funzionalità prioritarie dei sistemi di Telehealth devono essere: audio / videoconferenza, messaggistica sicura, programmazione elettronica, analisi e report, fatturazione e pagamento online, upload di immagini e file, prescrizioni digitali. Un aspetto cruciale per i sistemi di telemedicina è legato alla protezione e alla sicurezza relativa allo scambio e alla conservazione dei dati.

LEGGI ANCHE: Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

#3 Gli eventi digitali rappresentano la nuova normalità

webinar coronavirus

La diffusione del COVID-19 ha causato la chiusura di frontiere e affari, nonché la cancellazione di eventi a livello globale. È qui che arriva ancora una volta in aiuto la tecnologia. Con l’ausilio di tool digitali e del web, gli eventi diventano virtuali.

Webinar, live, sono ormai entrati appieno nel mondo degli eventi coinvolgendo il popolo della rete.

Seppur vero che molti aspetti degli eventi di persona non possono essere replicati in forma digitale, organizzare un evento virtuale può avere anche i suoi lati positivi, in primo luogo si abbattono le distanze e si può coinvolgere un pubblico più ampio, si eliminano i costi relativi alla realizzazione dell’evento stesso e quelli legati agli spostamenti e ai viaggi.

LEGGI ANCHE: 5 business colpiti dal Coronavirus e 5 che potrebbero guadagnarci

#4 Al delivery ci pensano i droni

droni walmart coronavirus

Oggi, una delle sfide più grandi per l’industria dell’eCommerce è limitare il contatto umano legato alle consegne. Quale soluzione adottare per far fronte a questa criticità? La risposta per molte aziende è stata quella di effettuare consegne mediante i droni.

C’è già chi ha iniziato a testare questa strada, parliamo di Amazon, Walmart, UPS e Domino’s Pizza che hanno avviato un servizio di delivery via droni per recapitare generi di prima necessità, medicine e cibo, offrendo così un servizio sicuro e al tempo stesso riducendo i costi di consegna.
Operando con i droni, le persone vulnerabili che sono in quarantena o malate possono ricevere tutti i beni essenziali di cui hanno bisogno senza rischi per l’operatore che dovrebbe recapitare la merce.

Secondo eMarketer, nel corso del 2020 assisteremo ad un aumento di 24.900 spedizioni effettuate mediante droni per il retail, con una proiezione di 122.000 entro il 2023.

La consegna automatizzata al momento risponde ad una delle preoccupazioni maggiormente diffuse ossia limitare i contatti.

Ci sono buone probabilità che, finita la pandemia, l’utilizzo dei droni potrebbe affermasi come un’opzione valida e vantaggiosa. I brand che decideranno di continuare ad adottare questa soluzione per il delivery potranno da un lato risparmiare denaro e dall’altro ottimizzare l’organizzazione dei dipendenti reindirizzando gli addetti alle consegne verso altre aree e mansioni.

#5 Il mondo del fitness diventa social

È evidente come palestre e centri fitness hanno subito un impatto negativo relativo alle restrizioni imposte che prevedono la chiusura di queste attività.

Tuttavia il fitness è un ambito che sorprendentemente si è adatto abbastanza bene alla trasformazione digitale. Molti business operanti in questo campo si sono reinventati aprendo le porte al pubblico mediante i social network. Diverse palestre e aziende che vendono attrezzature sportive hanno messo a disposizione degli utenti che desiderano mantenersi in forma da casa  lezioni online.

Un caso di successo che vale la pena citare è quello della catena americana Planet fitness, che vista la situazione ha subito modificato la propria strategia di comunicazione sui canali social adattandola alle esigenze attuali. Il brand sin dall’inizio del lockdown ha ospitato lezioni di allenamento gratuito tramite Facebook live, iniziativa che ha subito riscosso un enorme successo tra le persone bloccate a casa.

L’azienda ha inoltre collaborato con il giocatore di football Julian Edelman trasmettendo live una sua lezione di 20 minuti. Risultato? Più di 2000 persone coinvolte in un solo giorno. 

Jeremy Tucker, CMO di Planet Fitness, ha dichiarato in un’intervista a USA Today: 

Le lezioni di fitness virtuali offrono strumenti per combattere lo stress, fornendo al contempo motivazione e ispirazione per farci stare fisicamente e mentalmente in forma.

Startup innovative in Italia: i numeri, ma anche il contesto geografico per capirne l’evoluzione

  • Al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente;
  • Con il termine ”scale up” si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura;
  • Tre filosofie distinte in Italia, secondo i dati del report: mettere radici a Milano, investire in altre grandi città italiane oppure creare il proprio rifugio in centri geograficamente più piccoli;

 

Alcuni mesi fa, prima dello scoppio dell’emergenza mondiale da COVID-19, sono stati analizzati la situazione e l’andamento delle startup innovative in Italia durante l’ultimo trimestre del 2019.

Il primo giorno di gennaio 2020 è stato pubblicato dal Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico, il “Report con dati strutturali Startup innovative – 4° trimestre 2019”: osservando i dati pubblicati, è interessante constatare che al termine del 4° trimestre 2019, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 10.882. Un aumento del 2,6% rispetto al trimestre precedente.

+2,6% vuol dire 272 nuove startup innovative: questo dato significa che, nel trimestre che è andato da ottobre a dicembre 2019, ben 272 idee hanno avuto la possibilità di concretizzarsi, con una media aritmetica di 13,6 nuove imprese a regione italiana.

I numeri del report

Di queste startup innovative, il 73,7% ha lo scopo di fornire servizi alle imprese come la produzione di software e la consulenza informatica, 2.153 o il 19,8% sono a prevalenza giovanile (under 35) e il 13,5% del totale (numericamente 1.468) è a prevalenza femminile, vale a dire startup in cui le quote e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne.

Il dato più interessante, e su cui ci si può soffermare, è quello inerente alla distribuzione geografica del fenomeno, in quanto analizzandolo emerge un vero e proprio leader di questa speciale classifica: considerando che la Lombardia è la Regione da cui partono più di un quarto di tutte le startup italiane (26,9%), è da sottolineare che solo la Provincia di Milano, con 2.075 società (il 19,1%) ospita quasi un quinto delle startup innovative italiane, superando i numeri di qualsiasi regione d’Italia.

A seguire, in questa classifica territoriale, Roma con 1.110 startup innovative e al terzo posto Napoli con 423. Scorrendo qualche posizione nella classifica territoriale è facile notare come si siano concentrati dei poli innovativi anche in città con meno abitanti come Padova, Bergamo e Salerno, tutte e tre in “top ten”.

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La distribuzione geografica delle startup

Scegliere il contesto territoriale giusto per fondare una startup innovativa è uno dei momenti critici ed essenziali di un business plan. Per quanto si tenda maggiormente all’offerta di servizi e quindi in maniera inevitabile all’utilizzo degli strumenti digitali, che “internazionalizzano in rete” una startup, è pur vero che il contesto di inserimento geografico di quest’ultima può essere determinante nella sua trasformazione in una scale-up.

Per una definizione internazionale, con scale-up si intende una startup che ha raggiunto un fatturato o una raccolta da 100 milioni di dollari: insomma una startup matura sia da un punto di vista finanziario che in termini di credibilità e struttura.

La scelta dello scenario territoriale per fondare una startup non è governata da una regola. Tuttavia, in base ai dati del Report, è forse possibile interpretare tre filosofie distinte in Italia:

  • Mettere radici a Milano– Questa città merita un capitolo a parte! Se quasi 1/5 degli startupper innovativi italiani ha deciso di partire dalla città meneghina per piantare il seme della propria idea, allora vi saranno tanti validi motivi. Milano rappresenta un formidabile ed enorme incubatore di startup: partendo da questa città, si può sfruttare lo scenario internazionale, l’efficienza e la potenza delle infrastrutture e dei trasporti, l’esposizione mediatica, il network a disposizione e i collegamenti che possono nascere anche durante un semplice aperitivo a Corso Sempione (appena sarà possibile!).
  • Investire in grandi città italiane – Investire, con la propria idea, in città metropolitane come Roma, Napoli, Torino e Bologna: grandi scenari con altrettanto grandi tradizioni storiche dove è davvero facile farsi ispirare ed affascinare da turismo, territorio e popolazione. Si tratta di grandi compromessi fra modernità e tradizione. C’è tanto spazio per il turismo ma allo stesso tempo una grande varietà di risorse umane, c’è cultura gastronomica ma anche tanta ricerca di trend e novità. Queste città rappresentano dei punti di riferimento per tutti i territori limitrofi.
  • Creare il proprio rifugio – Per alcuni startupper è sempre valido il detto che recita: “Nella botte piccola c’è il vino buono”. Scegliere come base città geograficamente più piccole o con meno abitanti, sia del Nord che del Sud Italia, sembra essere apprezzato: la conoscenza diretta di eventuali partner, collaboratori e delle usanze di un territorio può rappresentare un vantaggio non indifferente per chi decide di fare impresa. Puntare sul cosiddetto “fattore umano” può rivelarsi davvero vincente quando si opera in un territorio più circoscritto. Per esempio Bergamo e Salerno sono entrambe città con meno di 150mila abitanti ma con rispettivamente 209 e 193 startup innovative all’attivo.

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Italia, culla di creatività

Non va dimenticato che l’Italia è storicamente un paese di creativi e di straordinari ideatori, che man mano si sta approcciando sempre di più ai metodi digitali, sfruttandone le potenzialità: lo dimostra la diffusione dello smartworking, l’interesse incalzante verso gli strumenti digitali o verso le ultime tendenze di marketing. La storia insegna che con strumenti, impegno e coraggio si possono compiere delle opere straordinarie e colmare gap anche profondi.

È importante trasmettere dati e andamenti positivi, anche se relativi ad un periodo (leggermente) precedente all’emergenza da Coronavirus, che ha fortemente scosso l’economia italiana e mondiale. Mai come in questo periodo è estremamente importante utilizzare tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione al fine di riprendere, al più presto, il percorso di crescita tecnologica nazionale e far sì che delle semplici ma efficaci idee possano trasformarsi in grandi startup innovative.

marketing automation

Qualche consiglio per usare meglio gli strumenti di Online Marketing (anche durante l’emergenza)

Le persone sono alla base di ogni attività commerciale, sia che questa si svolga offline sia che si svolga online, come avviene sempre più spesso in questo periodo di emergenza a causa delle misure di distanziamento sociale. Per questo motivo, oggi più che mai, è fondamentale restare in contatto con loro e grazie a Internet (e a qualche utile strumento) possiamo continuare a farlo.

Email, landing page, marketing automation e webinar possono aiutare le aziende soprattutto in una situazione commerciale difficile come quella attuale. Per trasferire la tua attività online e restare nella mente del tuo pubblico, puoi cominciare dall’eBook preparato da GetResponse:  “Come mantenersi in contatto con i tuoi clienti”.

marketing automation

Perché continuare a usare le email (qualche numero)

Probabilmente avrai sentito dire che l’email marketing è morto. In realtà l’email marketing è ancora uno strumento essenziale per attirare e fidelizzare i clienti.

Con un potenziale ritorno sull’investimento fino al 4400%, infatti, questo strumento rimane tra quelli con il miglior ROI. Ecco perché ogni anno vengono inviate 102,6 trilioni di email. E i numeri continuano a salire, con 126,7 trilioni che dovrebbero essere inviate entro il 2022.

Dal lato degli utenti, poi, tutti noi controllano la propria email ogni giorno, anche fino a 20 volte al giorno. Con l’aumento dell’uso del mobile, infatti, controllare la posta elettronica è diventato più facile e immediato.

In media le email raggiungono circa l’85% delle persone a cui vengono inviate, ma grazie a uno strumento come GetResponse la deliverability è del 99%.

Anche nel B2B l’email marketing resta uno strumento essenziale, secondo il 91% dei marketer, stando allo studio del Content Marketing Institute.

I consumatori tuttavia tendono a sbarazzarsi facilmente delle email irrilevanti che ingombrano le loro caselle di posta, per questo oltre a personalizzare in modo intelligente il contenuto, è essenziale collegare le email con landing page che portino i potenziali clienti verso la parte bassa del funnel di vendita.

landing page

Come collegare le email a landing page personalizzate

Una landing page è una pagina web il cui scopo è proprio quello di spostare i potenziali clienti verso il bottom of funnel. È progettata e ottimizzata, cioè, per convertire i potenziali clienti interessati in acquirenti. Uno dei modi migliori per far arrivare i visitatori a una landing page è proprio via email.

Data la sua importanza nel processo di vendita, è fondamentale che il cliente sia spinto a visitarla attraverso un’email efficace, che inviti chiaramente all’azione con una CTA esplicita.

Quando un utente clicca su un’offerta in un’email o su un invito a un webinar e viene portato su una landing page, si concentra su un solo compito. Ciò aumenta la probabilità che segua l’azione, arrivando alla conversione.

Ecco perché tra email e landing dovrebbe esserci una continuità di comunicazione oltre che visiva: email e landing dovrebbero avere un testo e un design simili. Questo ispirerà fiducia nel potenziale cliente, che non avrà dubbi che le due cose siano collegate. Questo approccio semplificato facilita l’azione.

Infine nell’email quanto nella landing, non è necessario usare tanto testo o molte immagini: basta comunicare in modo semplice, incoraggiando ad esempio all’iscrizione per una prova gratuita, o mostrando la foto del prodotto.

webinar automation

Dall’email al webinar

I webinar sono oggi uno degli strumenti online interattivi più efficaci per comunicare, condividere conoscenze e costruire relazioni con il pubblico e i colleghi.

Sia che si tratti di una lezione o di una presentazione online, i webinar sono la soluzione ideale, per far partecipare tutti comodamente da casa, in qualsiasi parte del mondo.

Innanzitutto è bene sapere che un webinar può essere:

  • in diretta
  • pre-registrato
  • basato sulla condivisione dello schermo

A seconda delle esigenze potrai scegliere quello più adatto a te. Ciò che ti servirà per organizzarlo sarà un microfono, una webcam, una buona connessione a internet e ovviamente contenuti di qualità. Grazie a un semplice software potrai creare la stanza per il tuo webinar online.

Dovrai quindi inviare il link di registrazione ai partecipanti tramite una email di invito. Per creare il tuo pubblico potrebbe esserti di aiuto anche una apposita landing page.

Puoi pensare, infine, di aggiungere una sessione di domande e risposte, per comunicare a partner e clienti anche i tuoi piani futuri e permettere a tutti di fare domande tramite chat.

webinar automation

Che cos’è la Marketing Automation

Secondo Econsultancy, solo il 22% delle aziende si dichiara soddisfatto dei tassi di conversione delle proprie email.

In genere, questi contenuti puntano a stimolare i destinatari all’azione: vorremmo tutti che la nostra newsletter portasse più iscrizioni al webinar, o che facesse aumentare il numero di download del white paper, o che più semplicemente portasse gli iscritti a cliccare su una determinata offerta.

Per aumentare il conversion rate, tuttavia, è molto utile integrare le email con un processo complessivo di marketing automation a cui collegare anche una landing page.

In parole semplici, la marketing automation è quel processo nel quale si automatizzano una serie di attività di marketing e di engagement dei clienti attraverso l’uso di un software, che consegna email e crea workflow su misura per una gestione automatica delle lead, affiancando al tool anche un Customer Support in lingua italiana.

L’automazione del marketing permette, ad esempio, di:

  • costruire automaticamente liste di utenti utilizzando landing page che offrono contenuti per profilare gli abbonati.
  • Accogliere automaticamente i potenziali clienti con messaggi di posta elettronica pertinenti, personalizzati in base alle caratteristiche del singolo.
  • Esaminare automaticamente le interazioni con le e-mail e i contenuti per inviare annunci o offerte sulla base di queste informazioni.

La marketing automation consente quindi di rendere più semplici e rapide attività che in passato avrebbero richiesto lunghissime giornate di elaborazione, o che non sarebbero state affatto attuabili.

marketing email

Email, landing, marketing automation e webinar: la combinazione perfetta per restare in contatto

#StayHome è la parola chiave del momento. Ma questo non significa perdere i contatti, soprattutto con i propri clienti, anzi, per le imprese questo hashtag deve trasformarsi in uno Stay in Touch, grazie al digitale.

Per saperne di più GetResponse ha messo a disposizione alcune risorse. Ad esempio, qui puoi scoprire “Come funzionano i webinars”.

Per trasformare l’emergenza in una opportunità è necessario partire dagli strumenti: abbinare l’email marketing alla creazione di specifiche landing page o di webinar, con l’aiuto di software di automation, ti aiuterà ad aumentare l’efficacia delle campagne digitali e restare in contatto con il tuo pubblico.

contact tracing app immuni privacy

Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

  • La discussione sui rischi legati alla privacy delle contact tracing app potrebbe essere una “distrazione” da ciò che è davvero importante;
  • Il funzionamento dell’app ha già preso in considerazione i rischi per la privacy ed è conforme alle normative;
  • Ci sono problematiche diverse che rischiano di rendere l’app poco efficace, specialmente se non si riesce a coinvolgere davvero il cittadino.

 

Sì, la cosa si fa sempre più simile a un film di fantascienza. Se qualcuno avesse avuto, solo qualche mese fa, l’idea di scrivere una sceneggiatura su una società in cui le persone sono obbligate a restare a casa o a utilizzare i propri dispositivi tecnologici per verificare i propri contatti, sarebbe entrato di diritto nella lista dei grandi autori a fianco di Orwell con 1984.

Ma si sa, la vita è molto più creativa del più creativo degli esseri umani, e a volerla guardare esclusivamente dal punto di vista tecnologico il Coronavirus ha reso realtà i film fantascientifici che ci dilettavamo a guardare su Netflix.

L’ultima evoluzione è quella che, con scelta altrettanto hollywoodiana, è stata definita “Fase 2”. Ebbene sì, una delle soluzioni che ci aiuteranno ad attuarla, ormai è ufficiale, è la contact tracing app sui nostri smartphone: Immuni, dell’azienda tecnologica italiana Bending Spoons.

Chiaramente, come era più che prevedibile, ancora prima che l’annuncio fosse ufficiale, l’app ha attirato più critiche e teorie complottiste che proseliti. Si sono susseguite teorie di tutti i tipi, sia sugli usi che potrebbe farne il governo, sia sulla legittimità dell’azienda scelta.

Da una parte è lecito che sia così: si tratta di una soluzione talmente ampia e inedita che non possiamo semplicemente accettarla passivamente. Soprattutto visto che siamo tra i Paesi con più leggi a tutela della privacy, e che come UE abbiamo sottoscritto solo due anni fa il famoso GDPR.

Dall’altra, come al solito, pare che il dibattito si concentri più su temi politici che su quelli di reale importanza, e quindi per l’appunto la discussione sulla privacy è l’unica (o quasi) che sembra aver monopolizzato le prime pagine dei giornali.

Ma è davvero questo il punto? O si tratta, come spesso capita, di una “distrazione” da temi ben più sensibili? Proprio quelli che possono davvero mettere a rischio il successo o meno non solo dell’app, ma dell’intera Fase 2?

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contact tracing app immuni privacy

La privacy come “distrazione” dai veri problemi dell’app

A suggerirlo è qualcuno che di privacy, sorveglianza tecnologica e simili temi ne sa qualcosa: Zak Doffman, CEO di Digital Barriers, azienda internazionale che sviluppa soluzioni avanzate di sorveglianza per la difesa, la sicurezza nazionale e l’anti-terrorismo.

In un lungo articolo apparso su Forbes, Doffman esplora proprio la risposta a questa domanda: dobbiamo davvero preoccuparci della privacy con queste app, o è appunto una “distrazione” dai veri problemi che potrebbero renderle inefficaci? È possibile che qualcuno o qualcosa le utilizzi per spiarci, in uno scenario orwelliano?

“C’è un vecchio adagio nel settore della sorveglianza: se hai troppe informazioni, non ne hai abbastanza“, spiega nell’articolo. “L’idea che le contact tracing app siano il sogno di qualche spia è insensata. Se lo Stato volesse controllarvi, avrebbe metodi molto più pratici già a portata di mano. Qualcosa come un cellulare, che ha un sistema di accensione e spegnimento, non sarebbe efficace. Qualunque ‘persona di interesse’ potrebbe semplicemente disattivarlo, è inutile”.

Inoltre, aggiungo io, se qualche organizzazione malintenzionata volesse approfittarsi della situazione per ottenere i nostri dati, presumibilmente non lo farebbe in questo contesto: la contact tracing app di Stato sarà probabilmente la cosa più controllata (e criticata) a cui si possa pensare. E dove ci sono i riflettori di tutti puntati, solitamente non c’è abbastanza ombra per operare inosservati.

Infine, consideriamo che quello della privacy è spesso un “falso problema”, che vediamo come terribile nel futuro ma a cui siamo ciechi nel presente. Se siamo preoccupati dei dati di tracciamento che qualche azienda potrebbe avere su di noi, proviamo a dare un’occhiata a quelli che Google Maps raccoglie sui nostri spostamenti, a meno che non si siano rimossi i relativi permessi.

Quindi, posto che la privacy non è un problema di cui dovremmo preoccuparci quando parliamo di app ufficiali per il tracciamento per contrastare il Coronavirus, di cosa dovremmo preoccuparci?

problemi app di tracciamento

Come funzionerà (e ci tutelerà) la contact tracing app nostrana

Per fortuna (almeno sotto certi punti di vista), al contrario che in altri Paesi, in Italia e in Europa ci si sta orientando verso soluzioni tecnologicamente più rispettose della privacy.

E forse il fatto che giganti come Google e Apple abbiano deciso non solo di intervenire, ma anche di unire le forze, potrebbe rendere il tutto paradossalmente più sicuro: cane e gatto non potranno che controllarsi a vicenda.

In Cina (e in misura diversa in altri Paesi, come la Corea del Sud e Singapore) la contact tracing app designata è stata introdotta e utilizzata in maniera estremamente pervasiva, non solo per notificare ai diretti interessati un possibile contatto con un contagiato, ma anche per verificare l’isolamento e le attività svolte.

Qui la grande differenza tra Oriente e Occidente, per quanto riguarda la lotta “tecnologica” al Coronavirus. E paradossalmente uno dei motivi per cui noi arriviamo a parlare solo adesso di un’app di tracciamento, quando è realtà da diverse settimane nei sopra elencati Paesi.

contact tracing app italia

Ecco alcuni degli elementi che, in Italia in particolare con Immuni, verranno messi in campo per garantire la sicurezza della privacy e la libertà dei cittadini:

  • L’adesione all’app sarà su base totalmente volontaria, anche se si stanno valutando diversi tipi di incentivi
  • Si è scelto di utilizzare unicamente la tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE), che non contiene informazioni di localizzazione ma solo di prossimità (si saprà che due dispositivi sono stati vicini, ma non dove né per quanto tempo)
  • Per aumentare la privacy, la sicurezza dei dati e andare incontro alle indicazioni di GoogleApple, si segue il progetto Decentralised Privacy-Preserving Proximity Tracing (DP-3T) che si è separato da Pepp-Pt perseguendo un modello più decentralizzato (e quindi più sicuro)
  • Quando due cellulari si avvicinano a una determinata distanza e per un tempo definito, si scambiano il proprio codice anonimo generato localmente e crittografato (quindi un numero casuale senza alcun dato sensibile sulla persona a cui è associato)
  • I codici degli altri device con cui si entra in contatto verranno conservati nella memoria del dispositivo
  • Qualora uno dei soggetti che ha scaricato l’app risulti positivo al virus, gli operatori sanitari gli forniscono un codice di autorizzazione con il quale l’utente può scaricare su un server ministeriale il proprio codice anonimo
  • Se l’app riconosce tra i codici anonimi resi noti uno di quelli con cui è entrata in contatto, invia una notifica all’utente (quindi senza possibilità di sapere chi/come/quando era il contagiato) – sarà poi sua responsabilità auto-isolarsi di conseguenza
  • Il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione si impegna a rendere il codice dell’applicazione open source, quindi non solo utilizzabile da altri governi nella lotta contro il virus, ma anche verificabile e revisionabile (ma NON modificabile) da chiunque vi abbia interesse

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contact tracing app immuni privacy

Per tutelare la privacy, mettiamo a rischio la Fase 2 in altri modi

Quindi, messa da parte la preoccupazione legata alla privacy, siamo a posto, giusto? Quest’app ci permetterà di tornare praticamente alla vita di prima?

Purtroppo non è così facile, in parte proprio perché, per riuscire a rendere l’app il più rispettosa della privacy, abbiamo almeno parzialmente dovuto compromettere la sua efficacia, in vari modi.

Il primo scoglio sarà l’adozione da parte della popolazione, essendo totalmente libera e volontaria. Che non significa solo scaricarla, ma accettare tutte le impostazioni sulla privacy, non disattivare le notifiche, continuare a utilizzarla, etc. Consideriamo che, a detta degli esperti, per essere davvero efficace il sistema dovrebbe essere utilizzato almeno dal 60-70% della popolazione. In Italia nel 2019 si collegava almeno una volta al mese da mobile il 66.6% degli italiani, quindi dovrebbe utilizzare l’app praticamente la totalità dei possessori di smartphone. Già così è complicato.

Poi c’è un tema di funzionamento: non avendo finalità di controllo, l’efficacia del sistema si baserà quasi totalmente sul senso di responsabilità del singolo, che dovrà auto-isolarsi quando notificato. Bastano pochi falsi-positivi o problemi simili per compromettere l’intero sistema, facendo perdere agli utenti fiducia nel processo e quindi vanificando il senso di responsabilità civica necessario perché il tutto funzioni.

Inoltre, il sistema basato sul Bluetooth non è così sensibile nel calcolare l’esatta distanza tra due dispositivi (saranno essenziali i contributi di Apple e Google per ridurre questo problema quanto possibile). Un sistema misto (blended), che comprenda sia Bluetooth che dati GPS, sarebbe più accurato in questo senso perché permetterebbe di avere informazioni aggiuntive oltre alla semplice vicinanza; ma, come dicevamo, per maggiore privacy non sarà possibile usare il GPS e quindi identificare informazioni quali la durata del contatto o la località – rendendo praticamente identico il livello di rischio di uno sconosciuto incrociato per strada e di un collega di lavoro con cui si condivide l’ufficio.

contact tracing app immuni privacy

Infine, come ha reso chiaro il successo nel contenimento dell’epidemia in Corea del Sud, la soluzione tecnologica può avere successo solo se associata agli altri due elementi dell’ormai ben noto paradigma delle “tre T”: Testing, Tracing, Treating. L’app potrà funzionare, quindi, solo se il sistema complessivo sarà in grado di effettuare tamponi a tappeto per individuare i positivi, trattare i malati e isolare i meno gravi, implementando anche un’assistenza sanitaria quanto più possibile a distanza. E su questi ulteriori due punti, complice anche l’acceso dibattito che è divampato sui temi della privacy, il governo non ha ancora fatto chiarezza.

Insomma, le scelte fatte finora, più politiche che tecnologiche, hanno dato priorità alla sicurezza dei nostri dati; e questa linea, pur essendo comprensibile e anche eticamente giusta, rischia di compromettere almeno in parte il successo dell’app, del sistema e quindi, per estensione, dell’intera Fase 2.

Specialmente se la disinformazione e il “panico da privacy” contribuiranno a ridurre l’adozione dell’app da parte della popolazione.

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smart watch

Quindi sarà davvero utile l’app di tracciamento?

Nessuno può rispondere a questa domanda, ma è chiaro che difficilmente sarà “la soluzione a tutti i nostri mali”, come in certi ambiti si vorrebbe far passare.

Servirà un grande impegno da parte del governo, delle imprese, della cooperazione internazionale, e specialmente dei cittadini.

In ogni caso, pur con un’efficacia ridotta, l’importanza di questo tipo di app sarà massima nel prossimo futuro, per riuscire non solo come Paese ma come ecosistema globale a riprendere una parvenza di normalità, nell’attesa di soluzioni permanenti come un vaccino.

E per riprendere le parole di Luca Ferrari, l’amministratore delegato di Bending Spoons, l’app potrà essere davvero utile per aiutare a limitare la diffusione del Covid-19 e tornare a vivere una vita la più normale possibile, ma serve l’aiuto di tutti. Spero sia un motivo valido per unirci con spirito di solidarietà e anche un po’ di sano orgoglio nazionale, che talvolta ci è mancato. Mi piace l’idea di viverla come una gara e far vedere che la diffusione dell’app in Italia supererà quella di tutti gli altri Paesi. Noi ce la stiamo mettendo tutta, poi starà a ognuno fare la sua parte.

videochiamate di gruppo su facebook

Week in Social: dai nuovi sticker su Instagram alle videochiamate di gruppo su Messenger

Non c’è quarantena o festività che ci fermi: torna, come ogni settimana, la nostra Week in Social.

Abbiamo raccolto per te le principali novità dal mondo dei social. Vediamole insieme.

Su Instagram: sticker per sostenere gli account business

Stando a quanto dichiarato dall’esperta Jane Manchun Wong, sulle Instagram Stories potrebbe arrivare presto un nuovo sticker. Già la scorsa settimana Instagram aveva lanciato gift card, food order, e fundraiser tools. Anche questo sticker sembra pensato per aiutare i business durante il covid-19. Ma veniamo al dunque. Lo sticker, che Jane chiama ‘Share Professional‘, darebbe l’opportunità ai profili Instagram di condividere foto, tre al massimo, tag e link ad account business.

È facile immaginare quanto questo possa risultare utile anche terminata la fase di lockdown. Aspettiamo di saperne di più da fonti ufficiali.

Facebook copia Bitmoji

Hai sperimentato l’ultima versione di Facebook? Non tanto per il colore dark, ma il web pare non aver apprezzato granché la ridistribuzione dei contenuti all’interno della app. Non soddisfatta, Facebook ci riprova. Stavolta proponendo una nuova interfaccia per i profili.

Come puoi vedere, nella nuova versione, che non sappiamo se e quando verrà implementata, il profilo è pensato in una variante di colori.

Libero di scegliere quello che ti piace di più? Non proprio. Il colore del profilo dipenderebbe dal colore principale rilevato nella tua foto profilo. Abbiamo dei dubbi sul fatto che questa novità possa portare dei vantaggi al social network. Chissà.

Le novità non sono finite. Tra le più importanti troviamo il lancio di una nuova app di gaming, la diffusione della app Messenger Kids a più regioni, e degli avatar all’Europa.

Apriamo una parentesi su questa ultima questione. Gli avatar non sono nuovi al web. Possiamo quindi dire che Facebook ha copiato l’idea a Bitmoji? Sì. Il primo lancio in Australia della feature ha riscosso successo? Sembra di no. Avrà successo in Europa? Non possiamo dirlo. Sta di fatto che nelle prossime settimane potremo scegliere la nostra versione cartoonata e usarla su Facebook e Messenger.

E per chiudere, proprio ieri sera Mark Zuckerberg ha annunciato il lancio delle videochiamate di gruppo su Messenger, fino a 150 persone, in arrivo presto anche in Italia. In pieno stile Zoom, insomma.

Il prossimo step, ha spiegato, sarà rendere possibile aprire una stanza anche da Instagram Direct, WhatsApp e Portal (il dispositivo che funziona come speaker intelligente di casa Facebook).

WhatsApp e gli sticker per il Covid-19

Arrivano nuovi sticker su WhatsApp!


Siamo orgogliosi di collaborare con l’Organizzazione mondiale della sanità per il lancio del pacchetto di sticker “Insieme a casa” che contribuirà ad arricchire le conversazioni dei nostri utenti durante la pandemia di COVID-19 e in futuro. Gli sticker possono essere divertenti, istruttivi e universali, in quanto abbattono le barriere linguistiche o dell’età. Ci auguriamo che questo pacchetto di sticker costituisca per i nostri utenti un modo per stare vicini ai propri cari, soprattutto a coloro che in questo momento si sentono soli, isolati o spaventati.

Ecco quanto dichiarato dalla app di messaggistica. Non vediamo l’ora di usarli, così come attendiamo con ansia siano confermate dalla app le voci di corridoio che parlano di una estensione delle video chiamate a gruppi di 8 persone. Sarà vero?

In breve

Mentre il mondo è in lockdown, Instagram lancia un nuovo hashtag, #MonthofGood, in occasione del Ramadan, per invitare le persone a condividere i propri atti di positività e inspirare la community.

L’uomo che ha creato l’impero Disney: Bob Iger in 15 citazioni

  • Capacità di leadership innate, fiducia nella creatività e nella possibilità di crearsi opportunità per il futuro, un mindset orientato al rischio e ad abbandonare lo status quo. Tutto questo e molto altro è Bob Iger;
  • Torna alla guida di Disney il CEO che in 15 anni ha rivoluzionato l’azienda con le sue acquisizioni: Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox.

 

Lo scorso martedì 25 febbraio Robert “Bob” Iger ha annunciato il suo ritiro dall’incarico come CEO di Walt Disney Company. Una notizia sorprendente su una decisione inaspettata, dato che il suo mandato sarebbe durato fino a fine 2021. Si tratta comunque di una transizione graduale, con il testimone operativo che passa a Robert Chapek (direttore dei parchi a tema Disney dal 2015) e con Iger che prende il ruolo di Executive Chairman. L’incarico prevede di supervisionare il lavoro del suo successore fino a fine mandato, conservando comunque la delega alla gestione della produzione del contenuto. Un cambiamento “soft”, per così dire.

È con l’emergenza Coronavirus, però, che si sono rimescolate le carte in tavola. Meno di due mesi dopo questa fatidica decisione, infatti, Bob Iger è tornato alla guida di Disney, per gestire l’azienda in un periodo a dir poco preoccupante. Ecco quindi che si è dimostrato subito disponibile per aiutare attivamente il “nuovo” Bob, dopo aver gestito la multinazionale di Topolino per ben 15 anni. Quest’ultima, infatti, si trova attualmente in grande difficoltà, essendo una delle società in ambito media che più ha risentito della pandemia globale, tra uscite cinematografiche ritardate, produzioni di film e serie TV interrotte, oltre alla chiusura di parchi a tema e di altre numerose attività previste in questi mesi.

I numeri pre-Coronavirus di Disney, però, sono a dir poco impressionanti. Nel 2019 l’azienda ha prodotto da sola un terzo dei ricavi del box office USA. Nel 2005, quando Iger è diventato amministratore delegato, valeva 29 miliardi di dollari. Oggi, 15 anni dopo, quei miliardi sono diventati quasi 230, con i profitti che sono aumentati del 335%. Grazie alla guida del CEO che si era ritirato lo scorso febbraio, la Walt Disney Company è diventata la più grande azienda cinetelevisiva del mondo.

Bob Iger ha fatto sua la citazione di Walt DisneyIf you can dream it, you can do it“, ed è proprio con 15 sue citazioni che vogliamo raccontarlo.

La storia di Bob Iger

Nato a New York nel 1951, Bob Iger debutta sul piccolo schermo già da studente come conduttore di uno show televisivo della sua università, Campus probe. Si laurea in Scienze della televisione e della radio e poco dopo inizia a lavorare per ABC. Questa viene comprata da Disney nel 1996, e 4 anni più tardi Iger ne è già il numero due sotto il CEO e presidente Michael Eisner. Dal 2005, è alla guida della multinazionale.

Una scalata incredibile, contando che nel 1974 era un semplice assistente di produzione con uno stipendio da 700 dollari al mese. Nella sua biografia “The Ride of a Lifetime”, infatti, ha dichiarato:

A volte mi sento un concorrente in un reality show che probabilmente si chiamerebbe “L’Apprendista Sopravvissuto che è diventato Milionario”. 

Bob Iger ABC

(Credits: ABC)

I valori di un leader secondo Bob Iger

  1. «La vera autorevolezza e la vera leadership vengono dal sapere chi sei e non dal pretendere di essere qualcun altro.»
  2. «Nella sua essenza, la buona leadership non ha a che fare con l’essere indispensabile; ha a che fare con l’aiutare gli altri a essere preparati a mettersi al tuo posto, in caso di necessità […]»
  3. «Questi sono i 10 principi che penso siano necessari per la vera leadership: Ottimismo, Coraggio, Concentrazione, Capacità di prendere decisioni, Curiosità, Fantasia, Premura, Autenticità, implacabile Ricerca della Perfezione, e Integrità
  4. «Se i leader non articolano chiaramente le loro priorità, allora le persone attorno ad essi non sapranno quali dovrebbero essere le loro, di priorità».

Bob Iger è entrato nella lista delle 100 persone più influenti secondo Time, mentre lo scorso gennaio è stato anche inserito nella Hall of fame della televisione statunitense. Innegabile come in 15 anni ai vertici di Disney ci abbia dimostrato doti di leadership innate, diventando una tra le figure più importanti nel mondo dell’intrattenimento. La crescita della sua azienda, poi, è a dir poco mostruosa: con Iger ai vertici, i risultati che ha ottenuto si rivolgono “all’infinito e oltre”, come direbbe Buzz Lightyear. 

Gli elementi che ruotano intorno al suo concetto di leadership sono sicuramente riconducibili all’essenza stessa del guidare le persone, del farle sentire coinvolte. Un vero leader cerca di trasmettere al suo team i suoi valori personali, senza cercarne altrove, così da diventare un punto di riferimento per la vera persona che è. Così, ci si sente guidati da qualcuno che si conosce, lavorando come un unico sistema in grado di funzionare perfettamente anche senza una persona “al comando”.

Non c’è innovazione senza creatività

Sotto la gestione Eisner, Disney era diventata di nuovo grande dopo molte difficoltà. Agli inizi anni Duemila, però, entrò di nuovo in crisi quando il produttore Jeffrey Katzenberg lascia la compagnia per andare a fondare il dipartimento Animation di DreamWorks SKG.

Nel frattempo, un certo Steve Jobs rivoluzionava il mondo dell’animazione con l’azienda Pixar, sia dal punto di vista tecnico che creativo. Ed è proprio con il fondatore di Apple che Bob Iger aveva un feeling particolare. Egli succedette a Eisner con l’aiuto del nipote di Walt Disney, Roy Edward. Probabilmente, proprio perché il suo predecessore non fu in grado di gestire i rapporti con Jobs.

A inizio 2006, invece, il primo colpo di Iger fu proprio l’acquisizione della Pixar. L’operazione portò la famiglia Jobs e Apple ad acquisire un’importante fetta di azioni Disney, e il direttore creativo John Lasseter insieme al top management Pixar a prendere la guida di tutta la produzione animata dell’azienda di Topolino, che da quel momento iniziò a risalire velocemente.

Bob Iger, quindi, rivoluzionò l’azienda in un momento in cui rischiava di perdere tutto ciò di buono che aveva portato Pixar. Una visione che donò a Disney nuova linfa creativa, oltre a spianare la strada per numerosi ed enormi successi. Con questa acquisizione, costata 7,4 miliardi di dollari, Iger lasciava un’impronta indelebile per gli anni successivi, caratterizzata da una capacità indescrivibile di raccontare storie che sprigionano creatività da tutti i pori.

D’altronde, secondo lui è proprio la creatività uno dei valori principali per un’azienda, una qualità imprescindibile se si vuole davvero innovare

5. «Non c’è nulla di scientifico nella creatività. Se non ti dai la possibilità di fallire, non potrai portare innovazione.»

6. «Il cuore e l’anima di un’azienda sono la creatività e l’innovazione

Steve Jobs, Bob Iger

[Credits: Paul Sakuma]

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Come nacque l’impero: i segreti di Bob Iger per la crescita Disney

Dopo l’acquisizione della Pixar, Bob Iger non si è fermato. Nel 2009 ha comprato quello che sembrava il “nemico”, Marvel, per 4 miliardi, entrando in un mondo che dava a disposizione di Disney oltre 5mila personaggi usciti dalla testa di Stan Lee. È stato lo stesso Iger, poi, a contribuire alla pianificazione della saga degli Avengers, realizzando il franchise più redditizio della storia del cinema (28mld in 10 anni). Nel 2012, poi, un’altro colpo di scena: l’acquisizione della casa cinematografica di George Lucas, Lucasfilm, aka Star Wars e Indiana Jones.

Inutile dire i successi derivati da questa mossa strategica. Basti pensare che la nuova trilogia di Guerre Stellari ha incassato da sola circa 4 miliardi e mezzo di dollari. Disney, oggi, monopolizza i box office grazie a un’altra famosa acquisizione avvenuta a marzo 2019: 21st Century Fox. Un vero e proprio impero dell’entertainment, creato sotto la guida di Iger.

Lo scorso settembre ha dichiarato allo show “The Talk” che una delle ragioni per cui è riuscito ad acquisire realtà come Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox è che non si è mai preoccupato di proteggere lo status quo Disney.

Qui la chiave del nativo di New York per la crescita e il cambiamento: mai andare sul sicuro. Se non ci si prende dei rischi difficilmente si potrà ottenere grandi risultati. Il suo consiglio è quello di essere ambiziosi, così da crearsi le proprie opportunità senza aver timore di sbagliare o di non capire. C’è sempre possibilità di imparare. I rischi più grandi per lui, infatti, e quindi anche quelli da evitare, sono proprio affidarsi allo status quo e alla staticità, e non saper prendere rischi.

7. «Si guardi al mondo oggi e a quanto sconvolgimento si può trovare, a quanti cambiamenti sono in atto: penso che se si va sul sicuro, se in un modo o nell’altro si prova a proteggere lo status quo, non si va da nessuna parte.»

8. «Nulla è sicuro, ma come minimo a volte avrai bisogno di essere disposto a prenderti grandi rischi. Non puoi ottenere grandi risultati senza rischiare

9. «Non puoi lasciare che l’ambizione si allontani troppo dall’opportunità.»

10. «Chiedi ciò che ti serve sapere, ammetti senza timore ciò che non capisci, e fai in modo di imparare ciò di cui hai bisogno più velocemente che puoi.»

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Consumer-first. I bisogni delle persone sono il futuro

11. «Se approcci e coinvolgi le persone con rispetto ed empatia, quello che sembra impossibile può diventare reale.»

12. «È nei nostri migliori interessi lasciare perdere alcune vecchie regole, crearne di nuove e seguire i consumatori – quello che i consumatori vogliono e dove vogliono andare.»

13. «Le persone amano ancora una bella storia, e non credo che questo cambierà mai.»

Quando Bob Iger salì sul palco del keynote di Steve Jobs nell’ottobre 2005, durante il quale Apple presentava l’iPod video e la possibilità di guardare comodamente non solo film ma anche le serie TV ABC, disse che secondo lui quello sarebbe stato «il primo passo da gigante verso il rendere più contenuti disponibili a più persone online […] È il futuro, per quanto mi riguarda». Da lì a Disney+ sono passati 14 anni, ma il percorso che ha segnato Iger sin dall’inizio è ben chiaro.

Con la sua piattaforma di streaming, che ha avuto molta fortuna in Europa vista la quarantena causata dal fenomeno Coronavirus, Disney lancia un bel messaggio a Netflix e agli altri concorrenti, superando i 50 milioni di abbonati in 5 mesi. Disney+ è la dimostrazione che sotto la guida di Bob Iger l’azienda di Topolino non solo ha saputo destreggiarsi nello sviluppo creativo di nuovi prodotti, ma anche ascoltare il consumatore cercando di soddisfare al meglio i suoi desideri. Questi ultimi, secondo Iger, ruoteranno sempre attorno al racconto di una bella storia.

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La parola d’ordine per Bob Iger: ottimismo

Alcuni sostengono che l’addio di febbraio 2020 sia dovuto alla sensazione della fine di un periodo d’oro che difficilmente potrà continuare, per Disney. Probabile, ma ora come ora la realtà dei fatti ci dice che Bob Iger è tornato alla guida del suo gioiello in un momento difficile, di crisi, con pochi spiragli luminosi per il futuro. Come riemergere? Per Iger, la qualità più imprescindibile per un leader è l’ottimismo. D’altronde, chi seguirebbe una guida pessimista? Bisogna quindi crearsi tutte le opportunità con entusiasmo, guardando al futuro con la fiducia che le cose miglioreranno. Un pensiero che, oggi, può aiutare tutti noi anche nel nostro piccolo. Magari con una piccola spintarella made in Disney, che, come dice Iger, «produce felicità».

14. «Ottimismo. Una delle qualità più importanti per un grande leader è l’ottimismo, un entusiasmo pragmatico per quello che si può realizzare. Anche quando ci si trova davanti a scelte difficili e risultati non del tutto confortanti, un leader ottimista non si lascia condizionare dal pessimismo.»

15. «Il tono che tieni da leader ha un effetto enorme sulle persone attorno a te. Nessuno si ispira o viene motivato da un pessimista.»

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Gli italiani si scoprono podcaster durante il lockdown

È ormai chiaro che gli italiani hanno ‘scoperto’ l’universo dei podcast: basti pensare che nel nostro Paese la media mensile di ascolti di podcast su Spreaker è aumentata, tra dicembre 2019 e marzo 2020, del 50%.

Inoltre, durante il lockdown da emergenza sanitaria, l’interesse di ascolto degli italiani è passato dallo Sport – argomento sul quale per ovvi motivi al momento scarseggiano alcune informazioni – a categorie più ‘immateriali’, come la Religione e in genere la Spiritualità e i podcast relativi al miglioramento ed evoluzione dell’individuo (Self-Improvement).

Il dato che stupisce, in questa ‘podcast revolution’ tricolore, è che gli italiani stiano passando dall’essere prevalentemente ascoltatori di podcast a diventare creatori di podcast.

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Crescono i contenuti in podcast durante la quarantena

Con la necessità di #restareacasa, tanti concittadini si sono scoperti molto più curiosi e attenti di quanto si potesse immaginare: su Spreaker è stato registrato un aumento vertiginoso nella creazione di podcast, proprio nel periodo della quarantena.

Se a inizio febbraio 2020 la creazione di nuovi podcast (intesi come interi show completi di episodi) su Spreaker registrava un andamento in crescita costante, nel mese di marzo 2020, in particolare dopo il 3 marzo e con un picco interessante attorno alla metà del mese (quando ormai l’intero Paese era in lockdown) si è avuto un aumento di nuovi podcast di oltre il 700% nella categoria Tempo Libero e di oltre il 600% in quella Educazione, complice l’obbligo di seguire le lezioni da casa.

Una crescita simile, anche se su numeri inferiori, l’hanno avuta anche la categoria Società e Cultura (quasi 600%), Arte (500%) e Libri (ovvero, show su letture, consigli, commenti ecc.) che arriva ad una crescita di oltre il 400% rispetto al mese di febbraio.

Tutti segnali che concorrono a misurare il termometro di un Paese che, in un momento storico difficile come questo, non smette di ricercare stimoli e nutrimento per la mente.

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Nuovi podcast significa nuovi podcaster?

La domanda non è affatto scontata, visto che spesso alcuni podcaster intraprendono più di un progetto di podcast. In questo caso, però, lo scenario è diverso e, sull’onda dell’’effetto quarantena’, Voxnest ha rilevato che su Spreaker in Italia già nella prima settimana del lockdown, in tanti si sono scoperti creatori di contenuti podcast.

C’è stata infatti una decisa impennata nell’iscrizione di podcaster durante la quarantena: sono stati oltre il 500% rispetto a febbraio, che comunque registrava già un trend in crescita.

Segno che gli italiani hanno scoperto il mondo dei podcast non solo come fruitori, ma anche come produttori di contenuto.

“L’obbligo di restare a casa ha evidentemente prodotto alcuni effetti nel mondo digitale e di conseguenza nel mondo del podcasting, dando agli italiani l’opportunità di scoprire nuovi mezzi di produzione e fruizione di contenuti – racconta Tonia Maffeo, Head of Marketing Voxnest – Il podcast, per la sua modalità diretta e la sua capacità di creare una relazione informale e intima con chi ascolta, si presta particolarmente ad essere lo strumento di comunicazione più ‘studiato’ durante queste settimane di lockdown”.

L’andamento in Europa è molto simile: rispetto al mese di febbraio, la creazione di podcast, in particolare relativi alla categoria Società e Cultura, ha visto un significativo aumento di oltre il doppio nella prima settimana di lockdown, per poi salire vigorosamente nella settimana del 23 marzo, con un incremento di oltre 200%.

Negli USA, al contrario, nello stesso periodo si è registrato un lieve calo sia nell’ascolto che nella produzione di podcast, ma forse si tratta di un comportamento differente rispetto allo strumento: mediamente infatti negli Stati Uniti i podcast vengono ascoltati nel tragitto casa-lavoro, quindi sui mezzi, durante i viaggi, e, in un momento come questo, venendo meno l’occasione, è naturale che ci sia una breve battuta d’arresto.