Il COVID-19 sta già cambiando la nostra vita e condizionerà anche le scelte di marketing
La forma di advertising più colpita è evidentemente l’outdoor, segue subito dopo il mercato delle sponsorizzazioni
Gli influencer hanno un ruolo positivo attivo, coinvolgendo i follower con le dirette da casa
Cosa accadrà al mondo del marketing post Covid-19?
Abbiamo provato ad analizzare, partendo da alcuni dati, come il mondo del marketing potrà essere influenzato dal lockdown mondiale.
Alcune considerazioni, sono forse banali, ma vanno necessariamente sottolineate oggi: se le strade sono deserte, internet è in sovraffollamento; i social media sono diventati il luogo in cui rifugiarsi per ritrovare un senso di comunità e le piattaforme di video conference sono diventati i nuovi bar virtuali in cui incontrare amici e parenti.
Tutto il mondo si sta interrogando su domande da milioni di dollari: quanto durerà? Come sarà influenzata la mia vita e il mio lavoro? Noi queste risposte ovviamente non le abbiamo, ma abbiamo provato a capire come il Coronavirus influenzerà le scelte di marketing nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Mentre siamo chiusi nelle nostre case, il mondo intorno a noi sta cambiando. La comunicazione in TV è stata rivoluzionata nel giro di poche settimane, i programmi televisivi si sono adattati alle nuove disposizioni sanitarie e i brand più reattivi sono andati in onda con spot pubblicitari girati in case, mostrando un messaggio di vicinanza al pubblico.
Ma proprio dal mercato del marketing tradizionale arriva il primo grande paradosso: gli ascolti della TV esplodono ma i brand fanno retro-front sugli investimenti pubblicitari.
Secondo uno studio svolto in queste settimane recente studio, la penetrazione degli ascolti TV aumenta ogni giorno, mediamente un italiano su tre guarda la tv, la chiusura delle scuole aggiunge una bella fetta di bambini, che tuttavia rimane inferiore a quella degli adulti. Il picco di ascolto è alle 9 di sera con quasi la metà degli italiani davanti alla televisione, mentre il day time ha beneficiato maggiormente della situazione con un incremento del 17%.
Lo stesso dato di crescita, tra TV tradizional e streaming si registra inoltre in tutto il mondo, come mostrato da Statista.
Ma nonostante ciò, in Italia si stima una riduzione degli investimenti in acquisto di spazi televisivi. Un vero e proprio paradosso, spinto dall’ondata di crisi economica verso cui stiamo andando incontro.
L’Out of Home potrebbe essere la forma di advertising più colpita. Ha ancora senso la pubblicità per strada? Nei prossimi mesi sarà sempre meno frequente camminare per strada, spostarsi da casa a ufficio, raggiungere da qualche parte un amico. E allora quanto saranno utili i cartelloni pubblicitari? Quale sarà l’effettivo ritorno dell’awareness di una pubblicità sugli un autobus, o in una stazione della metropolitana? C’è tuttavia da considerare che una buona fetta della spesa pubblicitaria in questo settore sia allocata alla fine dell’anno, per le festività natalizie.
Infine, anche il mercato delle sponsorizzazione ne risentirà: i grandi eventi sportivi, come il campionato di calcio e perfino le olimpiadi, sono sospesi e alcuni brand tenderanno a tagliare gli accordi di sponsorizzazione.
A differenza delle forme di pubblicità tradizionali, gli investimenti in digital marketing potrebbero aumentare.
Da una ricerca di Dentsu Aegis Network, su 155 brand intervistati, il 14% ha dichiarato di spostare budget online, da media offline.
Nei prossimi mesi potremmo vedere un netto aumento della spesa pubblicitaria digitale poiché i consumatori trascorreranno naturalmente più tempo online, scegliendo di fare acquisti online anziché uscire di casa.
La ricerca di Global Web Index ha rilevato che stiamo assistendo a un netto aumento delle persone che accedono ai social media in tutte le fasce di età. Il 27% tra la Gen Z, il 30% tra i Millennials, il 29% tra la Gen X e il 15% tra i Boomer.
La spesa pubblicitaria sui social media è quindi destinata ad aumentare. Si ritiene che gli investimenti in social advertising potrebbero aumentare del 20%.
Sarà però fondamentale fare attenzione alla scelta del contenuto, capire e scegliere le parole e le immagini giuste per comunicare in questo momento di crisi. Come content creator, abbiamo la responsabilità di scegliere con consapevolezza i contenuti che pubblichiamo in questo momento. Le persone hanno bisogno del supporto dei brand che amano e i social media forniscono un ottimo veicolo per farlo.
Stiamo assistendo poi ad un enorme aumento dell’influencer marketing, con un recente studio che ha riscontrato un aumento del 76% dei Mi piace accumulati quotidianamente sui post #ad di Instagram nelle ultime due settimane. Le dirette Instagram sono all’ordine del giorno fra gli influencer che fanno compagnia agli italiani dalle loro case. Chiara Ferragni e Fedez sono un chiaro esempio di come gli influencer possano avere un ruolo da protagonisti positivi: la loro iniziativa di solidarietà, sfonda i 3 milioni di euro in meno di 48 ore.
Nulla sarà più come prima? Probabilmente sì, cambierà anche il mondo del marketing. Solo chi avrà la capacità di cambiare velocemente le sue strategie, dotandosi di strumenti e competenze adeguate, potrà evitare la crisi o almeno superarla indenne.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/corporate-social-responsibility-4.jpg607853Federica Fiorillohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica Fiorillo2020-04-17 11:34:582020-04-20 22:21:22Come potrebbero cambiare le scelte di marketing dopo il COVID-19
Nel post-covid ci sarà un sistema che cambierà per non morire, così come questa emergenza ha generato milioni di lavori flessibili.
Alla contrazione della domanda di servizi si contrapporrà, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.
“Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare” sono le parole che ruberei a Fiorella Mannoia per descrivere il presente che si trasforma. Non solo nella testa o nel cuore. C’è un sistema che cambierà per non morire, dalla necessità all’abitudine. Così come questa emergenza Covid ha generato, sta generando e genererà milioni di lavori flessibili.
Oggi 9 su 10 freelancer su un campione esteso intervistato dalla piattaforma di business data Statista, dichiara aspettative crescenti di riduzione delle attività.
Una contrazione della domanda di servizi a cui si contrapporrà nel post-covid, con lo stabilizzarsi della crisi e il graduale ritorno alla normalità, l’emergere di nuovi bisogni generati dalla trasformazione delle nostre abitudini.
Come è cambiato il nostro quotidiano (e cosa ci porteremo nel post-covid)
È bastato questo periodo di vacanze pasquali per i nostri ragazzi a farci scoprire quanto sia difficile lo smart working con un figlio completamente libero dalle call di Zoom della scuola e farci rimpiangere la colf appena licenziata e le babysitter last minute che popolano le rubriche telefoniche di tutte le mamme.
Due giorni fa un caro amico mi ha chiesto come sopperire ai mancati ricavi della sua attività ora che i clienti non entrano più in negozio per provare la vista e comprare un paio di occhiali. Nella stessa giornata, in una chat di scuola, alcuni genitori si lamentavano perché temono che il figlio ricomincerà a prendere brutti voti, non potendo più frequentare le ripetizioni . E per finire immagino, dal taglio improbabile di capelli che ho inflitto a me stesso e ho visto nelle video call di questi giorni, come sia in difficoltà il gentil sesso che non può accedere al proprio parrucchiere per un taglio e una piega.
In questi giorni ho provato ad aiutare queste persone e son partito da tre considerazioni prima di dar loro un consiglio.
Prima considerazione
Le abitudini in questo momento sono alterate dallo stravolgimento di un’emergenza planetaria che ha imposto un regime di quarantena. Aziende e lavoratori non erano preparati e devono da oggi prendere in seria considerazione di sviluppare un “gruppo di continuità” a protezione della capacità di sostentamento in casi di emergenza (al di là di ammortizzatori sociali).
Al mio amico ottico, che aveva un cospicuo seguito nei social ho consigliato di dare un occhiata ad uno dei tanti sistemi di dropshippingche mettono a disposizione i prodotti più disparati da vendere alla propria community senza possedere in magazzino le merci. Magari dando un occhio ai prodotti da mettere in vetrina del suo eCommerce in questo periodo prima di aprirlo. E quando riaprirà la sua ottica, perché non continuare a vendere anche la nuova linea di prodotti scelti in queste settimane!
Non sarà diverso per chi vende servizi, per loro i portali non mancano, nati da tempo grazie al fenomeno noto come Nomadismo digitale ed ora meta di iscrizione anche da parte di freelancer rimasti a bocca asciutta.
Quando la marea si ritrarrà rimarranno sulla spiaggia abitudini, bisogni e professioni nuove con una trasformazione dei vecchi modelli che mixeranno le soluzioni tampone adottate in tempo di Covid a quelle più tradizionali a cui la natura umana è più propensa.
In ogni caso se saremo costretti, o sceglieremo di lavorare in regime di smart working da casa, con figli piccoli da gestire, sarà utile sapere che ora le babysitter operano pure a distanza ed organizzano challenge digitali per i più piccoli. O se un figlio doveva scegliere tra gli allenamenti o le ripetizioni di matematica perché i trasferimenti dal docente al campo da gioco non consentivano di incastrare i due appuntamenti nello stesso pomeriggio, non è più necessario. Stanno letteralmente decollando i docenti a distanza, sono più di 23.000 e funzionano alla grande stando ai commenti degli utenti.
Terza considerazione
Da ultimo, se non si può velocemente passare a vendere on-line per qualsiasi motivo, forse si riesce almeno a prendersi cura dei clienti distribuendo forme di customer loyalty o coupon che accelerino il graduale ritorno alla normalità senza lasciare sul terreno i vecchi clienti attratti, sotto quarantena, dal vicino di saracinesca.
Sicuramente al fianco di forme di aggregazione che spingono frotte di signore a ritrovarsi in un salone di bellezza si svilupperà<strong> il servizio a domicilio. Sarà il lascito di questa pandemia, un’abitudine con cui le persone stanno prendendo confidenza con le provviste alimentari del bottegaio di fiducia. Fioriranno quindi portali come quello a cui ho consigliato la mia enoteca di fiducia di iscriversi.
Mentre ad un ristoratore dei vicoli di Genova ho fatto scoprire promettoditornare.it, il portale che aiuta i locali – settore particolarmente colpito da questa serrata – consentendogli di vendere dei coupon da riscattare appena la reclusione finirà. Un modo intelligente per ripartire e per chiamare a raccolta i tuoi clienti più cari.
Sempre che non possa accedere alle cucine del suo locale per cui il neonato RistoaCasa è portale ottimo e gratuito, al di fuori del circuito dei blasonati delivery, per servire piatti a domicilio.
Come sarà il post-Covid?
Nessuno può dirlo ma di una cosa sono certo, nel post-covid il livello di alfabetizzazione digitale del Paese sarà migliorato di molto aprendo le porte all’intraprendenza di molte professionalità che hanno scoperto nuovi lavori e un nuovo modo di vivere lavorando.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/email-marketing-4.jpg547835Luca Eleuterihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Eleuteri2020-04-16 11:32:362020-04-17 16:08:54Post-covid: l'emergenza cambierà per sempre le nostre abitudini di consumo e di lavoro
Secondo un recente studio di OCM e NetLine, solo il 12% dei marketer è soddisfatto della propria strategia di comunicazione
La chiusura temporanea di molte attività rende il Content Marketing l’unico mezzo per mantenere un legame con il pubblico
Sunglass Hut, Cookist, Delish ci offrono esempi di contenuti user centered per migliorare la digital strategy
Ebbene sì, l’88% degli eBuyer fa acquisti sulla base di contenuti online. Eppure, poco più di un marketer su dieci ritiene che la propria strategia di Content Marketing funzioni realmente e solo due lavorano attivamente con il dipartimento vendite per implementarla.
Sviluppare e misurare un piano di digital marketing avendo come riferimento la domanda degli utenti significa avere la capacità influenzare le loro scelte d’acquisto attraverso dei contenuti editoriali.
Se invece, come rilevato dalla ricerca, il processo di Content Marketing non tiene conto degli interessi del pubblico, ecco che siamo di fronte a una colossale occasione mancata.
L’occasione di farsi conoscere e riconoscere come azienda.
L’occasione di generare engagement ed entrare in sintonia con i bisogni e le abitudini delle persone, quella di acquisire credibilità e guidare le scelte d’acquisto del pubblico.
Una grande occasione mancata, ma anche una sfida che rimane ancora aperta per i professionisti del marketing.
Il COVID-19 ha trasformato radicalmente il modo in cui i brand comunicano e agiscono sul mercato, evidenziando la loro resilienza e la capacità di prendere decisioni d’impatto in maniera rapida.
Come è ovvio, le aziende stanno dando la priorità alla salute dei loro dipendenti e clienti. Per questo, molte attività sono temporaneamente sospese, così come le fiere e gli eventi di settore annullati.
Mai come ora, il Content Marketing rimane un asset fondamentale per connettersi con le persone e manifestare la propria vicinanza in un momento così critico.
Così, i marketer hanno l’opportunità/dovere di sviluppare un piano editoriale che sia davvero incentrato sui bisogni del pubblico.
Come fare? Niente di meglio che seguire le brillanti iniziative di alcuni brand.
“Quando il cielo è pieno di nuvole, guardati dentro, è lì il sole più splendente”. Con la campagna #TheSunWithin, Sunglass Hutinvita i propri follower a condividere piccoli momenti di quotidianità.
L’intero piano editoriale del brand costruisce una narrazione all’insegna dell’ironia e della leggerezza: è un richiamo a stare uniti, ad affrontare i momenti difficili con positività e a prendersi cura di se stessi, ritagliandosi piccole oasi di felicità.
Seppur non incentrato sul core business di Sunglass Hut – e forse proprio per questo- #TheSunWithinfunziona perché è costruito intorno alle necessità di “evasione” degli utenti e riesce a trasmettere la vicinanza del brand in un presente incerto.
Cookist: #iorestoincucina
Mai come in questo periodo di isolamento forzato, abbiamo liberato la nostra fantasia in cucina e ci siamo ritrovati, mani in pasta, a creare le ricette più sfiziose o a riscoprire il piacere delle tradizioni di una volta, come il pane o la pizza fatti in casa.
Al nostro viaggio alla ricerca del “nuovo gusto di stare in casa”, Cookist dedica un’intera sezione del suo sito: #iorestoincucina.
Si tratta di uno spazio riservato alle notizie, ai racconti e agli approfondimenti sull’emergenza.
Ma anche di una finestra sulla condizione di isolamento che stiamo vivendo, con tutorial, idee e iniziative per sfruttare al meglio questo periodo.
Imparando, ad esempio, a cucinare tutte quelle ricette che avremmo sempre voluto sperimentare e a cui non ci siamo mai potuti dedicare.
Delish: come organizzare un virtual party
Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici.
Tuttavia, le recenti direttive per praticare il distanziamento sociale hanno reso questo piacere un po’ più difficile da raggiungere, ma non impossibile.
Delish ha infatti creato una guida completa per organizzare e condividere cene, happy hour e feste di compleanno utilizzando il WiFi come “un nuovo grande tavolo”.
Sono i Virtual Dinner Party,luoghi virtuali per divertirsi “separatamente ma insieme”.
Dai consigli sulle piattaforme di video calling, a quelli sulle decorazioni per creare la giusta atmosfera, fino alle ricette e alle attività per intrattenersi a distanza con gli amici, Delish offre agli utenti tutti i dettagli su come organizzare un perfetto party virtuale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/content-marketing-coronavirus.jpg487833Giulia Migliettahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulia Miglietta2020-04-16 10:43:372020-04-16 10:47:37Come reinventare una strategia di Content Marketing durante la quarantena
Per capire chi è il Chief Digital Officer bisogna partire da un presupposto: negli ultimi anni è emerso un interrogativo comune tra i manager di PMI, istituzioni pubbliche o grandi aziende: “in che modo possiamo affrontare il cambiamento imposto dal digitale?”.
Rispondere in modo efficace a questa domanda presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che deve essere guidato da una figura professionale capace di:
comprendere lo scenario del cambiamento in atto;
attuare un framework di transizione verso il digitale in grado di porre al centro le persone prima ancora delle tecnologie.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il processo di convergenza tra tecnologie e piattaforme digitali ha contribuito a cambiare radicalmente le esperienze quotidiane di ciascuno di noi, sia nella vita privata che sul lavoro. Oggi il rapporto tra ecosistema digitale e mondo imprenditoriale è caratterizzato da due fattori critici sui quali occorre lavorare:
da una parte troviamo le aziende. Molte delle innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie contribuiscono a erodere quote di mercato consolidate in decenni di attività, se non addirittura a sfaldare modelli di business diventati rapidamente obsoleti perché non sono in grado di sostenere le rapide accelerazioni imposte sul mercato dal digitale;
dall’altro lato troviamo i professionisti, e in particolare le figure di middle e top management che sono chiamate a un urgente upskilling o reskilling in ambito digitale delle proprie competenze; azione indispensabile per non restare esclusi dalla competizione sul mercato del lavoro.
Upskilling nel mondo digitale
La trasformazione digitale alla quale ci troviamo di fronte determina una forte riduzione dei tempi di adozione delle innovazioni tecnologiche, che oggi tendono a raggiungere in tempi rapidi ampie quote di mercato, per poi decrescere altrettanto rapidamente sotto la spinta di prodotti/servizi aggiornati e, per questo, più competitivi.
Vuoi saperne di più sul ruolo del Chief Digital Officer?
Se vuoi approfondire l’argomento e saperne di più su chi è e quale è il ruolo del Chief Digital Officer, puoi scaricare la Guida Interattiva Ninja dedicata ai membri PRO.
Se non sei ancora iscritto, approfitta del free risk trial period, potrai scoprire attraverso video, questionari, pareri di esperti e self-assessment:
perché la tecnologia ci impone un nuovo mindset digital first;
dove stiamo andando e come stanno cambiando i modelli organizzativi e di business;
le aree di intervento del Chief Digital Officer in azienda;
quali sono gli step fondamentali per guidare il processo di Digital Transformation.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/chief-digital-officer-guida.jpg480693Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-04-15 16:16:172020-04-16 17:08:15Qual è il ruolo del Chief Digital Officer in azienda? Scopri la Guida Interattiva Ninja
Per i brand è necessario capire le differenze tra la Gen Z e le precedenti per sviluppare campagne video che soddisfino il loro desiderio di autenticità
La Gen Z e i millennial si distinguono profondamente per quanto riguarda le abitudini di consumo dello streaming online
La pandemia causata dal COVID-19 ha bloccato gran parte del mondo e con essa è cambiato anche il concetto di intrattenimento: stiamo attraversando infatti un momento storico in cui il consumo di contenuti online ha raggiunto un livello mai sperimentato nella storia dello streaming.
Su questo tema si articola una ricerca del Global Web Index, condotta alla fine del mese di marzo su 13 Paesi diversi, dove i consumatori hanno citato le tre attività principali che dominano durante il loro stato di quarantena, ovvero:
guardare il telegiornale e informarsi online (il 67%)
socializzare con la propria famiglia (il 53%)
utilizzare servizi e piattaforme di Streaming online (il 51%)
Ovviamente le risposte cambiano a seconda delle fasce di età intervistate. In particolare, Generazione Z e millennial dedicano più tempo alla creazione di contenuti video su piattaforme come YouTube e TikTok, con rispetto alla Generazione X e ai Baby Boomers.
Le fasce di età più “anziane”, infatti, preferiscono leggere le ultime notizie, chiacchierare al telefono con i propri famigliari e amici, oppure sperimentare nuove ricette in cucina.
In generale il lockdown obbligato ha portato la maggior parte delle persone a trascorrere più tempo su diversi dispositivi multimediali di casa, soprattutto sullo smartphone, come dichiarato da 8 su 10 intervistati.
Ma quali sono i contenuti più visualizzati in streaming dalla Generazione Z?
In questo articolo vogliamo concentrarci principalmente sulla fruizione dei contenuti di streaming online da parte della Generazione Z, ovvero quella fetta di popolazione nata a partire dal 1997.
La prima cosa che dobbiamo evidenziare è che Gen Z e millennial si distinguono profondamente per quanto riguarda le abitudini di consumo dello streaming online: piattaforme come Netflix, HBO, Amazon Prime Video e la nuova arrivata Disney+, infatti, sembrano essere quasi prerogativa dei millennial.
Questa differenza probabilmente è dovuta alla maggiore possibilità da parte dei millennial di pagare l’abbonamento a più servizi contemporaneamente, con un 64% di streamer nella fascia 25-37 anni che pagano per due o quattro piattaforme di streaming online.
La piattaforma preferita per lo streaming della GenZ è YouTube
YouTube è nato nel 2005 ed è cresciuto insieme a questa generazione, per questo la maggior parte degli adolescenti rimane fedele alla piattaforma.
Secondo un articolo pubblicato da Think with Google, infatti, l’85% degli utenti che rientra nella Generazione Z conferma di utilizzarla.
Inoltre bisogna considerare l’ascesa dei “vlogger”, una categoria specifica di webstar che continua ad aumentare la propria popolarità, soprattutto in un momento nel quale tutti sono chiusi in casa e hanno più tempo per produrre contenuti video per il proprio canale.
Basta pensare che, secondo uno studio americano pubblicato lo scorso anno da The Harris Poll in collaborazione con LEGO, risulta che il 29% dei 3.000 bambini intervistati preferiscano diventare una star di YouTube piuttosto che un astronauta (11%).
Vi sembra una cosa triste?
C’è da dire che non è solo l’intrattenimento a rendere YouTube un successo per la Generazione Z, in quanto l’80% degli adolescenti afferma di aver imparato cose nuove grazie ai video di YouTube, mentre il 68% ringrazia la piattaforma per averli aiutati a migliorare o acquisire nuove competenze che potranno essere utili in futuro.
La maggior parte degli studenti, ormai, preferisce cercare informazioni attraverso i video di YouTube rispetto all’utilizzo dei libri di testo, soprattutto per quanto riguarda progetti fai-da-te e prove tecniche pratiche.
La sezione Discover di Snapchat è in continua crescita
Un’altra piattaforma di particolare tendenza tra gli adolescenti, soprattutto americani, è Snapchat, con la sua sezione Discover.
Verso la fine del 2019 infatti, proprio Snapchat ha riferito che il tempo giornaliero trascorso dalla GenZ a guardare i contenuti Discover è aumentato del 40% in un anno, e questa crescita sembra continuare anche nel 2020.
Il successo dei video Discover del fantasmino giallo risiede nelle sue caratteristiche, che seguono il cambiamento significativo delle abitudini di fruizione dei contenuti online.
Si tratta infatti di video in verticale, full-screen, con una durata media di circa 5 minuti: perfetti per adolescenti annoiati, sempre in cerca di qualcosa di nuovo e originale, che riesca a catturare la loro attenzione per pochi minuti.
Impossibile parlare di Gen Z senza citare TikTok
Il fenomeno TikTok è esploso nell’estate 2019, diventando l’app più scaricata nel mondo dopo Facebook in quel periodo, e la maggior parte del suo pubblico rientra nella fascia di età della Generazione Z.
I contenuti di questa piattaforma sono molto più brevi rispetto a quelli di YouTube o di Snapchat, con un limite di 15 secondi per clip, per questo un alto livello di creatività è fondamentale per decretarne il successo.
Ormai gli Influencer che presiedono l’applicazione, i cosiddetti TikToker, sono famosi quasi quanto gli Instagramer e i marketer fanno a gara per collaborare con loro, tanto che è proprio la stessa società ad aver creato un Creator Marketplace: un vero e proprio catalogo dei propri Influencer che i Brand possono cercare e contattare in base alle proprie esigenze.
La chiave per raggiungere la Generazione Z è il contenuto video
Siamo tutti d’accordo che il contenuto chiave per riuscire a comunicare in modo efficace con la Gen Z è solo uno: il video. Lo conferma anche Forbes, che in un articolo aggiunge che per funzionare deve essere “pertinente, significativo e autentico”.
Gli adolescenti sembrano essere sempre più consapevoli delle strategie di marketing che i brand usano per provare convertirli in consumatori, per questo è necessario che i marketer capiscano le differenze tra la Gen Z e le precedenti per sviluppare campagne video che soddisfino, appunto, questo desiderio di autenticità.
La Generazione Z è formata da adolescenti alla ricerca di nuovi modi per sfuggire dallo stress della vita quotidiana e prepararsi per il futuro: i brand che vogliono entrare in contatto con questa generazione dovrebbero sfruttare questo scenario, aiutandoli a raggiungere i loro obiettivi con contenuti originali e reali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/rsz_1streamingonline.jpg542960Daniela Chiorbolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniela Chiorboli2020-04-15 13:07:292020-04-16 11:33:52Gen Z e streaming online durante la quarantena: quali sono i contenuti più visualizzati
La piattaforma di LinkedIn è nata esattamente con lo scopo che ha oggi, ossia costituire un luogo d’incontro virtuale per professionisti
Sono 663,3 milioni le persone che possono esser raggiunte con l’advertising su LinkedIn, circa il 12% della popolazione mondiale
Oggi gli sviluppatori stanno lavorano per implementare numerose funzionalità che aumentino il grado di engagement nelle conversazioni
Quando si parla di social media la mente va immediatamente a Facebook, Instagram o – al più – a TikTok, trascurando erroneamente LinkedIn. Si tratta di un social network a tutti gli effetti, anzi è il social network nato per creare connessioni lavorative e nuove interazioni di business. Ecco perché è fondamentale non solo avere un profilo LinkedIn, ma curare le connessioni che si instaurano e lavorare affinché l’algoritmo ci premi.
Vediamo in questa guida non solo perché ottimizzare il proprio profilo su LinkedIn, ma anche e soprattutto come farlo sia che nel caso tu svolga sia un’attività di libero professionista, sia di dipendente all’interno di un’azienda.
I numeri di LinkedIn
LinkedIn non è uno dei satelliti della mente del fondatore di Facebook, ma è il prodotto del lavoro di Reid Hoffman, lo studioso laureato in Scienze cognitive nel 1990 all’Università di Stratford, specializzato in Filosofia ad Oxford e con una carriera nell’informatica, che dopo alterne vicende lavorative nel 2002 diede vita insieme a tre colleghi ad un social network nuovo.
La piattaforma di LinkedIn è nata esattamente con lo scopo che ha oggi, ossia costituire un luogo d’incontro virtuale per professionisti che qui potessero scambiarsi idee e pareri su argomenti di attualità e novità nella propria area di business.
Da allora LinkedIn ne ha fatta di strada, non solo per il numero di utenti iscritti, ma come strumento di marketing nel quale si è trasformato nel tempo: basti pensare che sono 663,3 milioni le persone che possono esser raggiunte con l’advertising su LinkedIn, circa il 12% della popolazione mondiale.
Su scala globale l’Italia è solamente al nono posto tra i paesi che utilizzano questo social network, seguita da Messico, Spagna, Australia e Germania; al primo posto gli immancabili Stati Uniti, seguiti da India e Cina.
Insomma, sembra proprio che il colosso acquisito da Microsoft sia diventato il più grande database di professionisti al mondo: sarà forse per questo che gli esperti stanno lavorano per implementare numerose funzionalità che aumentino il grado di engagement nelle conversazioni. In fondo, il rilascio della possibilità di eseguire dei video in diretta conferma quanto LinkedIn sia sulla cresta dell’onda e, anzi, stia lavorando alacremente per trasformare in maniera profonda il proprio algoritmo, in meglio.
Come i liberi professionisti possono usare LinkedIn
Se avere una pagina LinkedIn è fondamentale per le aziende, lo è altrettanto per i liberi professioni o chi ambisce ad esserlo. Anche per te ho alcuni preziosi suggerimenti:
il tuo profilo non è un curriculum online. Non confondere il tuo cv con il tuo profilo LinkedIn. Sebbene sia fondamentale inserire correttamente tutte le tue esperienze professionali e abilità, ricordati che la vera differenza viene fatta dalle interazioni e dalla rete di contatti che saprai creati. Emergere può essere difficile, ma con costanza otterrai risultati quasi insperati.
Conosci il tuo target. Come avviene in qualsiasi attività online, è fondamentale comprendere a chi ti rivolgi. Domandati quindi: qual è la persona che vorrei trovasse interessante il mio profilo? Quali sono le competenze che è importante inserisca e quali posso invece tralasciare perché non sono al 100% coerenti con le mie ambizioni?
Gli head hunter guarderanno il tuo profilo. Come vedremo nei paragrafi seguenti, LinkedIn è uno strumento fondamentale per le aziende che ricercano nuove figure da inserire all’interno del proprio team. Assicurati quindi che il tuo profilo sia aggiornato e con tutte le informazioni che occorrono.
Troppo spesso mi trovo a lavorare con aziende che hanno un potenziale inespresso che non traspare minimamente, non solo dal proprio sito ma anche e soprattutto dal profilo LinekdIn aziendale.
Cominciamo quindi con alcuni punti fermi che devono essere tenuti ben presenti quando si parla di LinkedIn per le aziende: la pagina del tuo brand non può essere quella del suo fondatore. Per quanto la strategia di personal branding del CEO, del direttore marketing o qualsiasi altra figura designata debba rispecchiare i valori dell’azienda è fondamentale che questa possa vivere di vita propria su questo social.
Ecco quindi qualche suggerimento preliminare che ti aiuterà a mettere a fuoco come e soprattutto perché la tua azienda deve avere una pagina aziendale:
è uno strumento di marketing. Curare la pagina della propria azienda è come assicurarsi che il proprio sito internet funzioni, cioè è semplicemente indispensabile! Infatti, al pari della pagina web, è un importante biglietto da visita a livello commerciale e d’immagine per tutto il team che vi lavora. Inoltre, avevi mai sentito parlare di LinkedIn Advertising? Ne parleremo più avanti.
Selezionare le risorse utili per ampliare il tuo team. LinkedIn è come se fosse una piazza in cui ciascuno mostra le proprie caratteristiche, evidenziando pregi e soprattutto aspettative lavorative. Ecco quindi che la tua pagina aziendale è uno strumento da una parte per attirare candidati qualificati e in target con le tue aspettative; dall’altra per procedere concretamente nell’iter selettivo, attraverso il tuo referente risorse umane.
Creare una community. Se il target della tua azienda è Business To Business e il tuo interlocutore è – ad esempio – un direttore di banca o un dirigente, allora riuscire a creare un collegamento con lui e proporgli contenuti interessanti e pertinenti potrebbe aiutarti nel processo di acquisizione di nuovi clienti con cui difficilmente potresti entrare in contatto. Ovviamente non sto dicendo che basta collegarsi con un dirigente perché questo ti offra una collaborazione, ma sicuramente mostrare le proprie abilità e progressi può essere un interessante calamita da utilizzare.
Come ottimizzare il tuo profilo personale
Per procedere con l’ottimizzazione del tuo profilo personale, ti suggerisco di accedervi direttamente al desktop, in quanto alcune modifiche non possono essere apportate attraverso l’applicazione per smartphone. Prima di passare ad alcuni suggerimenti tecnici, vorrei darti un consiglio: durante la fase di registrazione utilizza la tua email personale e non quella aziendale.
La vita è imprevedibile e non puoi sapere per quanto tempo potrai disporre di quell’indirizzo email: magari, quando cambierai posizione lavorativa, potresti perdere il tuo precedente indirizzo e – insieme ad esso – la possibilità di accedere ed entrare in contatto con la tua community. Mi raccomando, usa sempre la mail personale: un indirizzo Gmail andrà benissimo.
Una volta che hai acceduto al tuo profilo, puoi procedere con l’ottimizzazione di:
Foto – è letteralmente la prima cosa che i tuoi potenziali collegamenti vedono. Per questo ti suggerisco di caricare un’immagine in cui il tuo volto si vede in maniera nitida e sei ritratto all’interno di un contesto professionale. Meglio evitare i selfie o immagini al mare, a meno che tu non sia un bagnino o tu abbia un’attività in una località balneare. Ricordati, se possibile, di farti ritrarre mentre sorridi: questo ti aiuterà a fare un’ottima prima impressione su LinkedIn. Per quanto riguarda le dimensioni della foto, puoi mantenerti su 400×400 PX.
Immagine di copertina – è vero che questa sezione parla di come ottimizzare i profili personali, ma ricorda che su LinkedIn tu rappresenti soprattutto il tuo lavoro. Ecco quindi che puoi lasciare spazio nell’immagine di copertina per il logo della tua azienda, immagini del team o lo slogan del tuo brand. L’immagine di copertina risulta essere uno spazio prezioso soprattutto per coloro che svolgono un ruolo di prestigio all’interno della propria azienda o in un determinato settore. Per quanto riguarda le dimensioni della copertina: 1584×396 PX.
Headline – in questa posizione di testo puoi inserire il ruolo che svolgi all’interno di un’azienda o quello che fai attraverso la tua professione. Ricordati di non eccedere con i dettagli, in quanto non è questa la sezione del tuo profilo in cui potrai inserire la tua intera biografia. Ancora una volta ricorda che il tuo profilo LinkedIn non è il tuo curriculum.
Localizzazione – non dimenticare di inserire le informazioni relative al luogo in cui svolgi principalmente la tua attività. Il posizionamento local è un fattore importantissimo non solo su Google, ma anche su LinkedIn.
About – ti suggerisco di inserire una descrizione breve di quello di cui ti occupi e di quelle che sono le tue aspirazioni future, soprattutto se sei uno studente che cerca di attirare l’attenzione di un determinato tipo di aziende.
Esperienze lavorative – è una delle parti più importanti di tutto il tuo profilo perché è qui e nella sezione che segue che gli head hunter, competitor e potenziali datori di lavoro potrebbero soffermarsi maggiormente. Non inventare esperienze che non hai avuto, evita di inserire quelle che non sono coerenti con il tuo percorso di studi o le tue ambizioni. Mai come in questo caso è importante ricordare che “less in more”.
Competenze (skill) – qui puoi inserire le competenze tecniche e relazionali che credi di avere innate o che hai avuto l’occasione di sviluppare durante il tuo percorso di studi e di lavoro. Anche in questo caso, tieni ben a mente il criterio della coerenza rispetto al resto delle informazioni che hai inserito nel resto del tuo profilo. Inoltre, non dimenticare che non è importante tanto (o solo) inserire un gran numero di competenze, ma ricevere le conferme da parte di conoscenti e collaboratori. Per confermare una competenza un utente che visita il tuo profilo può eseguire facilmente questa procedura.
Come ottimizzare la tua pagina corporate
Come detto prima, la tua pagina corporate è la vetrina con cui potenziali clienti entrano in contatto con il tuo brand. È quindi molto importante non solo inserire tutte le informazioni, ma che queste siano corrette, aggiornate e nel formato più adatto. Vediamo insieme i dettagli:
Logo – suggerisco sempre di inserire come “Page logo” quello che è effettivamente il tuo logo. Caricalo nelle dimensioni consentite da questo social media, altrimenti potrebbe essere troppo piccolo o sgranare: nel primo caso hai la possibilità di fare uno zoom, ma è comunque preferibile realizzarne uno ad hoc della dimensione più adeguata.
Immagine di copertina – come accade per Facebook, anche LinkedIn mette a disposizione la possibilità di inserire una immagine di copertina. Ogni azienda riempie questo spazio in maniera soggettiva, ma le scelte più frequenti riguardano l’uso di uno slogan, l’immagine del team o degli edifici in cui svolgono le giornate lavorative. Ricorda che puoi accedere a questa funzione solo nella modalità desktop e non attraverso l’applicazione per smartphone.
Nome – nell’apposita sezione di editing inserisci il nome della tua società e – se hai spazio – anche il tuo payoff che potrebbe permetterti di differenziarti da omonimi o potenziali competitor. Usa un segno divisorio tra il nome del brand e il payoff ricordando che quest’ultimo deve essere parlante ossia descrivere in maniera precisa, puntuale ed esaustiva quello di cui ti occupi.
Tagline – qui hai a disposizione 120 caratteri che compariranno esattamente sotto al nome del tuo brand e al logo. Sfrutta al meglio questo spazio perché è il primo vero contatto con i tuoi clienti: ti suggerisco di inserire il settore al quale appartieni e quello che fai. Non ti dilungare sui servizi (per quello c’è il sito), ma cerca di esprimere quello che ti rende unico sul mercato. Evita le iperboli e frasi scontate come “leader di mercato/di settore”, “massimi esperti di …”.
Oltre a questa prima parte di ottimizzazione pratica, è fondamentale avere un piano editoriale che ti guidi nella condivisione di contenuti rilevanti per il tuo target. Semaforo verde quindi per tutti gli articoli che parlano dell’azienda, interviste ai membri del tuo team o contenuti prodotti direttamente dal gruppo di lavoro (magari su un blog aziendale). Suggerisco lanci brevi e con lo short link alla pagina di riferimento: questo ti aiuterà a tracciare in maniera precisa l’efficienza del tuo pubblico.
Attenzione inoltre ai collegamenti che autorizzi: la tua pagina aziendale non deve essere collegata con i tuoi parenti, a meno che non siano personaggi rilevanti nel tuo settore o appartengano all’azienda stessa. Invia e accetta unicamente collegamenti di valore per il tuo business e quindi coerenti con la tua attività e i servizi sui quali stai puntando.
Uno degli aspetti ai quali porre maggiore attenzione, è relativo ai dipendenti o ai collaboratori che hanno inserito il proprio ruolo all’interno dell’azienda nel proprio profilo: quest’informazione compare automaticamente anche sulla tua pagina aziendale.
È fondamentale porre attenzione ai profili che dichiarano avere un ruolo all’interno della tua azienda in quanto accade spesso che, a seguito di un cambiamento di posizione o d’azienda, l’utente dimentichi di aggiornare la propria posizione lavorativa su LinkedIn. In questo caso è opportuno contattarlo personalmente o tramite email, chiedendo di modificare questa voce del proprio profilo.
Come creare engagement sulla tua pagina professionale
Il verso segreto per il successo su LinkedIn – come su tutte le altre piattaforme social – è condividere le proprie esperienze, realizzando contenuti pertinenti e interessanti per il proprio pubblico. Ma creare post interessanti non è abbastanza, soprattutto se la tua pagina aziendale è all’inizio del proprio percorso di crescita: ecco quindi che è fondamentale ottimizzare tutte le risorse che si hanno a propria disposizione, ossia collaboratori, dipendenti e figure chiave all’interno del proprio team.
Sono proprio loro gli ambassador dei valori, della filosofia e dei risultati che vengono ottenuti dall’azienda. Sebbene ciascun imprenditore non possa obbligare queste figure a “consigliare” o condividere i post della pagina aziendale, tuttavia può fare di tutto per creare engagement e coinvolgerli nelle varie iniziative promozionali. Del resto, i brand che hanno dimostrato di ottenere maggiore successo sono proprio quelli che hanno mostrato il proprio lato umano sui social.
Torniamo, circolarmente, ad un concetto importantissimo per LinkedIn ossia la pianificazione strategica della condivisione dei contenuti secondo il piano editoriale. Per far sì che ogni membro del tuo team si senta parte integrante della grande famiglia che è la tua azienda, perché non coinvolgerli direttamente rendendoli protagonisti di un post? Potresti realizzare dei contenuti in cui li presenti, magari in maniera spiritosa attraverso una frase che li contraddistingue o un aspetto peculiare del loro carattere.
Inoltre, la fase di stesura del piano editoriale (o almeno quella di brainstorming che la precede) può trasformarsi in un’ottima occasione di team building in cui ciascun partecipante può esprimere la propria opinione liberamente su come vive e percepisce il brand, arricchendo la comunicazione di nuovi spunti.
Infine, sia che la tua azienda sia una startup sia che sia una PMI, ricordati che l’imprenditore svolge un ruolo fondamentale nella comunicazione dei progressi e dei risultati raggiunti: il primo commento ad ogni post deve essere il suo, incoraggiando e spronando il lavoro che è stato svolto dal gruppo (mai dal singolo!).
È risaputo come la condivisione di contenuti su LinkedIn condivisi durante le prime ore del mattino sortiscano un effetto migliore rispetto a quelli pubblicati durante il resto della giornata: questo avviene a causa delle abitudini degli utenti che, almeno una volta al giorno, preferibilmente la mattina appunto, accedono alla propria homepage.
Tuttavia, ti invito a non farti trarre in inganno e a monitorare personalmente il comportamento dei tuoi follower giorno per giorno: per farlo LinkedIn mette a disposizione delle pagine una piattaforma di Analytics dalla quale puoi estrapolare tutti i dati che ti occorrono.
Per accedervi è sufficiente cliccare sulla pagina di cui vuoi effettuare l’analisi e – all’interno della tab Analisi, seleziona la voce relativa a Visitatori, Aggiornamenti e Follower. L’usabilità di questa funzione analitica è versatile e permette di legge e confrontare le informazioni in maniera rapida e veloce.
Ricorda che la piattaforma di Analytics proposta da LinkedIn non deve essere confusa con quella di Google Analytics.
LinkedIn Advertising
Come qualsiasi altra attività di marketing a pagamento, anche quella di LinkedIn Advertising presuppone un’attenta pianificazione delle azioni da svolgere in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Senza voler entrare nel merito specifico di come strutturare una strategia di LinkedIn Advertising – che, comunque, deve essere personalizzata sugli obiettivi di marketing di ogni brand – è opportuno sfatare alcuni miti su questo argomento: infatti, una volta liberato da queste false credenze potrai affrontare LinkedIn Advertising con maggiore consapevolezza e flessibilità.
Vediamo alcuni di questi:
LinkedIn non è una piattaforma per Advertising.Falso! La piattaforma e soprattutto l’algoritmo sono cambiati molto negli ultimi anni, muovendosi nella direzione di ottimizzare l’interfaccia per le promozioni a pagamento. Oggi LinkedIn offre ai propri utenti la possibilità di promuovere il proprio profilo o la propria azienda attraverso una serie variegata di strumenti (che vedremo a breve);
Fare sponsorizzazioni su LinkedIn è costoso.Falso, di nuovo! In senso assoluto è sbagliato definire come costoso o economico una campagna di advertising online in quanto il vero parametro da prendere in considerazione è la qualità dei lead che viene portata in relazione al proprio settore. È vero, l’investimento iniziale su LinkedIn è maggiore e il CPM e il CPC è in base molto più elevato rispetto a Facebook, ma la qualità del ROI è impagabile: provare per credere.
Non funziona.Sbagliato! Pensa che uno degli elementi delle sponsorizzate su LinkedIn è proprio nella gran quantità di dati che gli utenti sono interessati ad inserire all’interno del proprio profilo. Queste informazioni sono materiale prezioso quando vengono impostate delle campagne a pagamento perché consentono di profilare e raggiungere in maniera precisa, dettagliata e puntuale il proprio target.
Una volta assimilate le potenzialità dello strumento, è opportuno ricordare che la piattaforma di LinkedIn ti mette a disposizione differenti soluzioni per fare pubblicità.
Ads Testuali: è la soluzione ideale per campagne CPC e CPM; questo tipo di alternativa fa’ sì che il tuo annuncio compaia nella Homepage di LinkedIn, nei risultati di ricerca dei profili e nelle Pagine;
Post sponsorizzati: come accade per altre piattaforme Social Media, anche LinkedIn offre la possibilità di sponsorizzare determinati contenuti – posto, foto o immagini – amplificandone l’audience e ampliando il numero di persone che possono essere interessate ai tuoi contenuti.
Sponsorizzazione tramite e-mail: si tratta di una soluzione analoga a quella dell’email marketing, con la differenza che si tratta di un sistema interno a LinkedIn stesso. Utilizzando questo strumento di promozione a pagamento è possibile inviare messaggi personalizzati nella posta di LinkedIn ad utenti potenzialmente interessati al proprio servizio. In questo modo non solo si è certi della ricezione dell’input pubblicitario, ma si ha la possibilità di aprire una conversione con il proprio utente in target.
Alla fine di questa lunga rassegna sugli strumenti su LinkedIn e delle numerose opportunità che offre per creare relazioni, mi permetto di concludere con una parentesi sociologica: preoccupatevi delle relazioni umane fisiche reali che stringete durante i corsi di formazione, in azienda o in pausa pranzo e, dopo aver avuto un primo contatto, richiedete il collegamento su LinkedIn, non viceversa!
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/01/linkedin-algoritmo.jpg433650Gaetano Romeohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGaetano Romeo2020-04-15 11:54:582020-04-15 16:20:48Come ottimizzare il tuo profilo LinkedIn (ed essere premiato dall'algoritmo)
L’emergenza COVID-19 ci ha ricordato quanto sia importante mantenere le relazioni con il proprio pubblico. È in momenti come questi che i brand si accorgono di voler comunicare con tutti i loro destinatari e questo li porta a includere anche quella porzione di contatti solitamente esclusa dagli invii.
La segmentazione, il monitoraggio, l’attività di testing, l’equilibrata distribuzione degli invii nel tempo per evitare di generare picchi di volumi rischiano presto essere abbandonate. Ma sarebbe un errore.
Un’attività di invio massivo, infatti, ha ripercussioni in termini di deliverability. Gli algoritmi dei sistemi di spam filtering dei provider non sono dotati di empatia, purtroppo, e potrebbero penalizzarci.
Le best practice da non dimenticare
In un recente articolo di Gartner si raccomanda, prima di inviare le proprie comunicazioni, di valutare alcuni aspetti, ponendosi una serie di quesiti:
Stai per comunicare qualcosa di diverso rispetto a quanto stanno facendo gli altri brand?
Il contenuto delle email diverge da ciò che i destinatari sono abituati a ricevere?
I destinatari riescono a comprendere dall’oggetto e dalle prime righe dell’email l’informazione chiave della comunicazione?
Le informazioni chiave dell’email sono legate alle esigenze dei destinatari in questo specifico momento?
Su quest’ultimo punto viene posta particolare attenzione. Data la criticità della situazione, la regola generale dovrebbe essere quella di ridurre il più possibile l’intasamento della posta elettronica e il rumore di fondo generale, così da favorire e dare maggiore visibilità ad aggiornamenti e comunicazioni realmente importanti.
Ecco quindi alcuni consigli raccolti da MailUp per continuare a fare EmailMarketing in modo rilevante anche nelle settimane dell’emergenza.
Email per fare marketing e per comunicare
Prima di inviare le email verifica che le indicazioni di cui abbiamo parlato poco più sopra siano soddisfatte, rispondendo alla domanda “i destinatari hanno veramente bisogno di ricevere questa comunicazione?”.
Non bisogna approfittare del momento per caricare nel database una notevole quantità di nuovi contatti ai quali non si è mai spedito. Contatti molto vecchi o acquisiti con modalità non corrette possono portare a un calo di reputazione o addirittura a un blacklisting; senza contare che si potrebbe generare un picco di disiscrizioni, che andrà a pesare sul database anche a emergenza terminata.
Se vuoi vendere qualcosa o lanciare particolari promozioni in questo momento, procedi come hai sempre fatto, segmentando il pubblico in modo oculato.
Un’ultima riflessione può essere fatta sull’engagement. Le settimane che stiamo vivendo ci dicono che l’email non è solo marketing: nel momento del bisogno può essere lo strumento più efficace per comunicare.
Ma ci dice anche un’altra cosa: i risultati medi che siamo abituati a considerare come riferimenti in realtà potrebbero non esserlo in questi giorni. I tassi di apertura, i clic, ma anche il ROI (nel senso più generale del termine, ovvero il ritorno di una determinata attività) possono cambiare a seconda del contesto.
Sappiamo come le attività dei destinatari sull’email siano proporzionali alla rilevanza del contenuto veicolato e oggi i tassi di apertura potrebbero essere decisamente più alti del solito. Questo accade perché i contenuti sono molto rilevanti per i destinatari, più rilevanti rispetto ai contenuti che erano abituati a ricevere dalle stesse aziende.
No panic
Nonostante si possa assistere in questo periodo a un netto miglioramento dell’engagement di alcune comunicazioni rispetto alla media, è altrettanto vero che un messaggio sbagliato o una pratica sbagliata potrebbero creare problemi di branding e reputazione di invio ancora peggiori rispetto al passato.
In ogni caso il consiglio è di non farsi prendere dal panico e non considerare questo periodo come una fase in cui inviare comunicazioni anche ai contatti che non avevamo mai incluso nei nostri invii, poiché sarebbe controproducente.
Inviamo anche a loro solo se abbiamo qualcosa di fondamentale da comunicare, qualcosa di diverso dal solito. Pensiamo sempre in termini di rilevanza: anche in questo caso rimane sempre il parametro migliore per avere risposte positive da parte dei destinatari.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/webinar.jpg538846Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-04-14 15:36:432020-04-16 10:48:21Come fare Email Marketing nelle settimane dell’emergenza
Dalle misure rivolte ai dipendenti, alle raccolte fondi, sino alle riconversioni, la Corporate Social Responsibility si esprime in tanti modi al tempo del Coronavirus
Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari quando il management sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.
Sono molte le aziende che si stanno impegnando socialmente per far fronte all’emergenza COVID-19. Un senso di responsabilità che si è inizialmente espresso grazie allo smart working, come soluzione per le imprese impiegate nel settore dei servizi. Anche molte compagnie che non avevano mai previsto il lavoro da casa si sono adoperate per garantire la salute e il benessere dei propri dipendenti.
Altri hanno optato per non chiudere il luogo di lavoro, prevedendo però una quotidiana sanificazione degli impianti, una turnazione del personale per rispettare le distanze di sicurezza e l’acquisto di prodotti per la protezione individuale.
Numerosi gli aiuti economiciarrivati da parte delle aziende e degli stessi imprenditori e manager, in favore di ospedali, Croce Rossa e Protezione Civile. La maggior parte di queste offerte sono state utilizzate per comprare macchinari o per riadattare le strutture all’emergenza.
Non dimentichiamo che alcune fabbriche hanno deciso di interrompere la produzione di beni non necessari per cambiare o accelerare la produzione di materiali essenziali per contrastare il virus.
Se da anni si parla ormai di come le aziende debbano avere uno scopo sociale e rispondere a un insieme di valori, o di quanto abbiano a cuore i loro dipendenti e gli altri stakeholder, ora è il momento di portare avanti questo impegno. Le persone credono veramente che la loro azienda abbia uno scopo e dei valori chiari solo quando vedono il management prendere una decisione che sacrifica la redditività a breve termine per aderire a quei valori.
Gli esempi più significativi di Corporate Social Responsibility
Moda
Gucci invita tutti i suoi follower a diventare #GucciCommunty, dando un contributo economico per combattere la situazione di crisi che stiamo affrontando, attraverso due campagne di crowdfunding.
Una dedicata al nostro paese, a sostegno della Protezione Civile “per sostenere il servizio sanitario italiano e la creazione di nuovi posti letto nelle terapie intensive”. È possibile partecipare alla raccolta fondi attraverso la piattaforma di Intesa SanPaolo ForFunding o tramite la story salvata sul profilo Instagram del brand.
L’altra campagna esorta a fare una donazione al Fondo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sempre grazie alla funzione “donate” nella IG Stories del canale www.instagram.com/Gucci.
Al momento del lancio, Gucci ha devoluto 1 milione di euro in favore della campagna per l’Italia e un altro milione alCOVID-19 Solidarietà Response Fund della fondazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo finale è di arrivare a raccogliere 10 milioni per entrambi i progetti. Facebook si impegnerà a doppiare la cifra complessiva delle donazioni.
L’iniziativa fa seguito al progetto del gruppo Kering (di cui Gucci fa parte), ossia produrre oltre 1 milione di maschere e camici per il personale sanitario, in risposta all’appello della regione toscana.
Questa pandemia ci chiama a un compito inaspettato, ma è una chiamata alla quale rispondiamo con decisione, supportando il lavoro straordinario del personale sanitario, dei medici e degli infermieri che sono ogni giorno in prima linea nella lotta contro l’epidemia di Covid-19, in Italia e nel resto del mondo. Sostenendoci a vicenda saremo in grado di superare questa crisi: uniti, ancora più di prima.
Queste le parole di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, e Marco Bizzarri, Presidente e CEO.
Bizzarri, inoltre, ha donato 100 mila euro a favore dell’azienda sanitaria di Reggio Emilia, sua città d’origine.
Giorgio Armani è stato il primo a riconoscere la gravità del problema, decidendo di sfilare a porte chiuse. In principio con aiuti in favore della Protezione Civile e degli ospedali di Milano, Roma, Bergamo, Piacenza e Versilia, per un valore complessivo di 2 milioni di euro. A partire dal 26 marzo tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. È così che lo stilista piacentino decide di rimane vicino al nostro paese.
Moncler ha offerto 10 milioni per mettere in moto il progetto promosso dalla Regione Lombardia. Realizzare un polo ospedaliero con 400 posti di rianimazione nell’ex Fiera di Milano.
Milano è una città che ha regalato a tutti noi un presente straordinario. Non possiamo e non vogliamo abbandonarla. È un dovere di tutti restituire alla città ciò che fino ad ora ci ha dato.
Pronuncia con orgoglio Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato dell’azienda tessile.
In tanti hanno elargito ingenti somme di denaro e convertito la produzione delle loro fabbriche in materiali essenziali per contrastare il virus. Dalle mascherine, ai camici, fino agli igienizzanti per le mani. Valentino, Versace, Trussardi, Dolce & Gabbana, Bulgari, Prada, Gruppo Miroglio, Geox, Calzendonia e The Ferragnez, solo per citarne alcuni.
C’è chi come Trussardi ha deciso di destinare anche il 100% dei ricavi dell’eCommerce all’acquisto di respiratori e ventilatori polmonari.
FCA e Ferrari, insieme a Marelli, metteranno i loro impianti e dipendenti a disposizione di Siare Engineering International, leader nella progettazione e produzione di apparecchiature medicali a livello mondiale.
L’obiettivo è la fabbricazione di nuovi respiratori polmonari per i pazienti.
Pirelli, grazie alla collaborazione con China Construction Bank, ha deciso di donare 65 ventilatori per la terapia intensiva, 5.000 tute protettive per chi lavora negli ospedali e 20.000 mascherine alla Lombardia.
In un momento di così grande difficoltà, vogliamo stare vicini alla nostra regione e al nostro paese. Dobbiamo dunque ringraziare tutti i nostri partner che ci hanno aiutati in questa iniziativa, per supportare il sistema sanitario in modo rapido ed efficace.
Spiega Marco Tronchetti Provera, CEO della società.
Il gruppoAponte segue le orme della Gnv Splendid, ovvero la “nave ospedale” ferma a Genova, offrendo la disponibilità di stazionare al porto di Palermo una nave MSC. Un piano B per la quarantena di coloro che risultano positivi al tampone o per i casi confermati di COVID-19.
Settore farmaceutico
La Bayer dona 1 milione di euro agli ospedali della Lombardia per acquistare macchinari per la terapia intensiva.
Menarini ha prodotto tonnellate di gel disinfettante da offrire agli ospedali.
La Roche si impegna a fornire gratuitamente il suo farmaco contro l’artrite, per il tempo necessario e a tutte le Regioni che lo richiedono. Infatti secondo la comunità scientifica questo prodotto sembra migliorare la capacità respiratoria nei pazienti positivi al virus.
C’è un tempo per ogni cosa, e questo per tutti è il tempo per restare a casa, per essere responsabili, per proteggere noi stessi, i nostri cari, le persone più deboli, il Paese.
Queste sono le prime parole del comunicato stampa di Sky del 17 marzo.
L’emittente mostra la sua vicinanza agli italiani e il suo incoraggiamento a stare in casa tramite una programmazione aperta a tutti gli abbonati (nessun limite di pacchetto), senza costi aggiuntivi e lancia una campagna di raccolta fondi per sostenere la Protezione Civile.
Per ora non si sa con certezza fino a quando l’offerta rimarrà valida, l’unico aggiornamento è che dal 4 aprile ci saranno due nuovi canali creati ad hoc. Sky CinemaIoRestoACasa 1, con film per tutta la famiglia e Sky CinemaIoRestoACasa 2, indirizzato a un pubblico più adulto.
Infinity, la piattaforma streaming on demand del Gruppo Mediaset, offre due mesi gratuiti per provare il servizio.
MYmovies mette a disposizione (fino al 5 aprile e a costo zero) 50 film da visionare tramite la prenotazione di posti digitali nelle sale web.
In un momento così difficile per l’Italia, destiniamo alla ricerca sul Covid-19 un milione di euro, una misura che si aggiunge alle donazioni alla sanità nazionale, al sostegno economico a privati e imprese, a iniziative di raccolta fondi per progetti meritori.
“Insieme ce la faremo!” è lo slogan con cui Banca Mediolanum, in collaborazione con ClassCNBC, ha presentato l’iniziativa che si è tenuta il 19 marzo. Un approfondimento circa le previsioni economiche e finanziarie della crisi, grazie ai commenti di esperti del settore. Inoltre la Banca ha effettuato donazioni per l’emergenza sanitaria e organizzato una raccolta fondi.
UBI Banca ha devoluto 5 milioni di euro a istituti ospedalieri e centri di ricerca direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza.
Sport
La Roma ha raccolto 50 mila euro grazie alla fondazione RomaCares, il presidente Pallotta ha donato altri 50 mila euro e il club ha aperto una pagina su GoFundMe (piattaforma di crowdfunding americana) per la raccolta fondi in favore dell’Istituto Spallanzani di Roma.
Anche altre società come Inter, Milan e Parma si sono impegnate con importanti donazioni, senza dimenticare gli aiuti economici da parte dei singoli giocatori tra cui DyBala, Pazzini, Balotelli, Donnarumma, Ilicic e allenatori come Filippo Inzaghi.
L’ex calciatore invita i suoi follower ad agire tutti insieme, ognuno in base alla proprie possibilità.
Il valore della Corporate Social Responsibility
Questi sono solo alcuni esempi di Corporate Social Responsibility nel nostro paese.
Dall’attenzione ai dipendenti, a chi combatte in prima linea negli ospedali, a ogni singolo cittadino chiamato a stare in casa per proteggere se stesso e gli altri. Alle aziende che davanti a difficoltà come questa non si fermano. Ciò che non va dimenticato è che in questo momento così critico, le imprese hanno la possibilità di mostrare l’autenticità dei propri valori e in tante lo stanno facendo nel modo giusto, nel modo che non sarà facile dimenticare.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/corporate-social-responsibility-2.jpg520936Maria Vittoria Angeluccihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMaria Vittoria Angelucci2020-04-14 10:22:542020-04-15 16:20:17Il Coronavirus sta mettendo alla prova la Corporate Social Responsibility (e il risultato è sorprendente)
Societing4.0 – Che cosa sono le tecnologie 4.0 è una miniserie per capire le principali tecnologie 4.0 (Robotica all’Intelligenza Artificiale, dalla Stampa 3D alla Realtà Aumentata/Virtuale, dai Big Data all’Internet of Things) e per dare maggiore consapevolezza e strumenti critici sulla loro applicazione a cittadini curiosi, PMI, studenti e insegnanti.
Per ciascuna tecnologia le telecamere dei giovani ricercatori entrano nei laboratori dell’Università Federico II dove sono studiate le tecnologie e dove sei luminari rispondono alle domande dei ragazzi, sotto la direzione scientifica del Professore Alex Giordano.
I giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II hanno intervistato Leopoldo Angrisani, Professore Ordinario di Misure Elettriche ed Elettroniche presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie Informatiche della Federico II e Direttore del Centro CESMA (Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati).
Puoi guardare la video-intervista integrale sul portale di Rai Scuola a questo link.
Il Professor Angrisani ritiene che il grande vantaggio nel poter utilizzare tecnologie IoT sia “avere una disponibilità di informazioni del mondo circostante molto più intensa, e soprattutto in tempi ristrettissimi, quasi in tempo reale. Perché le informazioni possono essere prelevate e possono essere trasferite in un arco temporale decisamente contenuto e quindi con possibilità di utilizzarle al meglio per compiere azioni e prendere decisioni […] l’importante è usare l’IoT dove realmente può servire, sulla base delle caratteristiche che in questo momento offre“.
Sulla possibilità di adattare tale tecnologie al contesto imprenditoriale del nostro territorio dice: “Per esempio, il settore dell’agrifood è certamente un settore che può beneficiare tantissimo di questa tecnologia, e di fatto lo sta già facendo. Infatti, avere una tracciabilità quasi in tempo reale dell’intero processo all’interno di un contesto agricolo, dal campo alla tavola, può certamente essere di aiuto al settore per promuovere il proprio prodotto su una platea sempre più vasta, che riesca a carpire questo significato e sia sensibile a questo tipo di messaggio […] Ciò che dobbiamo fare è dare il tempo alla tecnologia di trovare le risposte giuste agli scenari attuali, ma anche cercare di prevedere quelli futuri, in modo da farsi trovare preparati per quello che sarà”.
Sulla possibilità di avere un approccio “mediterraneo” all’innovazione, il Prof. aggiunge: “La tecnologia dell’IoT ha come caratteristica quella di essere aperta. Al suo sviluppo contribuiscono vari concorrenti, con azioni condivise un’ open architecture. Inoltre vi sono diversi livelli (e quindi diversi player) rappresentati, dai sensori, all’elaborazione, alle batterie, fino alla connettività. Questo rende la tecnologia molto con-flessibile e riconfigurabile”.
Approfondimenti sull’IoT
A cura dei giovani ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
L’uomo utilizza i propri sensi per conoscere il mondo esterno e reperire da esso informazioni. Grazie al tatto, all’udito, al gusto, alla vista e all’olfatto ottiene numerose e variegate informazioni (dati) che, grazie al sistema nervoso, sono trasferite al cervello e da quest’ultimo interpretate.
Internet of Things (IoT) è un neologismo, con il quale viene identificato un insieme di smart things capaci di comunicare tra loro, scambiandosi ed elaborando le informazioni raccolte, e operanti all’unisono per il raggiungimento di uno o più obiettivi prefissati. Il termine «connettività di rete» è spesso usato per indicare tale capacità di comunicazione.
Le informazioni sono raccolte grazie all’utilizzo degli “smart sensors“ (sensori intelligenti), capaci di rilevare grandezze fisiche, di trasformarle in informazione e di trasmetterle nella forma di segnali elettrici all’unità di elaborazione centrale dello smart thing, preposta all’elaborazione delle stesse e alla formulazione di possibili decisioni.
L’evoluzione delle tecnologie peculiari dell’IoT (micro/nanoelettronica, sensori, unità e software di elaborazione, apprendimento automatico, connettività di rete, batterie) è attualmente tumultuosa. L’IoT è infatti inserito nell’elenco delle tecnologie abilitanti del paradigma «Industria 4.0», di derivazione tedesca, o «ICT&Industry», di derivazione statunitense.
L’IoT mescola quattro elementi che sommati consentono di ottenere grandi benefici per le attività imprenditoriali: sensori, dati, algoritmi, applicazioni. I sensori sono ormai diffusissimi su macchinari di ogni dimensione: i costi di produzione e il loro fabbisogno energetico sono bassissimi. Dotare un macchinario di sensori consente non solo di raccogliere dati ma anche di trattarli e classificarli, e addirittura di far svolgere operazioni specifiche al macchinario da remoto. È possibile intervenire sui processi, per ottimizzarli e potenziarli, consentendo agli operatori, agli analisti e alle macchine stesse di prendere decisioni in maniera più consapevole.
L’espressione Internet of Things (IoT) o Internet delle Cose, indica propriamente l’estensione dellaconnettività a Internet a dispositivi fisici e oggetti del mondo quotidiano. Tale locuzione viene introdotta per la prima volta in un articolo del 1999 da Kevin Ashton, ingegnere britannico co-fondatore dell’organizzazione di ricerca globale Auto ID Center, afferente al Massachussetts Institute of Technology (MIT).
Ashton utilizzò l’espressione IoT per riferirsi ad un sistema complesso che grazie a specifiche tecnologie permettesse di oltrepassare il gap tra mondo fisico e mondo virtuale, e fosse in grado di potenziare i computer con modalità a loro appropriate di raccolta e scambio di dati, in modo da renderli più indipendenti dal ‘router umano’.
L’IoT dunque consiste in un sistema composto da tutti i devices che sono connessi a Internet e che, tramite tale connessione, sono in grado di comunicare tra loro, siano essi dispositivi digital first (ovvero per loro natura predisposti alla raccolta e allo scambio di dati, come smartphone e tablet), o al contrario physical first (non predisposti alla raccolta e allo scambio di dati se non trasformati opportunamente con specifiche tecnologie, come ad esempio un tradizionale libro su cui vengono implementati chip o sensori che abilitano la comunicazione).
Quello dell’Internet of Things, dunque, è un sistema estremamente complesso e composto da una lunga serie di tecnologie hardware e software: seppure non si possa considerare novità assoluta a tutti gli effetti- come si coglie dal fatto che i primi contributi accademici riguardo tale argomento risalgono a più di un ventennio fa- esso diventa realizzabile solo con la diffusione pervasiva delle rete Internet, iniziata negli anni ’90 grazie all’invenzione del World Wide Web di Tim Berners Lee e allo sviluppo di protocolli di rete, software e componenti hardware. Tutti elementi, di fatto, che concorrono a rendere possibile la comunicazione in tempo reale e lo scambio dei dati su scala di massa, elementi alla base al funzionamento dell’IoT.
Componente chiave dell’IoT è la tecnologiamobile. La diffusione di dispositivi mobili, in particolare degli smartphone, ha infatti inciso notevolmente non solo sulla quantità degli individui che fruiscono della rete Internet ma anche sulle modalità di tale fruizione: non a caso si può infatti parlare di quella che il ricercatore MIT David D. Clark definì nel 1999 ‘era post-pc’, indicando con questa espressione l’ampliamento della rete di connettività e interconnettività e il cambiamento del modo in cui gli individui si servono di Internet.
L’idea di realizzare la comunicazione tramite i dispositivi portatili risale al secolo scorso: dai walkie-talkie utilizzati in ambito militare, al primo telefono cellulare lanciato da Motorola nel 1973, sino al primo embrionale tentativo di smartphone digitale (il Simon della IBM del 1993), la storia della comunicazione umana è piena di esempi in quest’ambito. Tutte queste sperimentazioni hanno permesso di migliorare le componenti hardware e software, ottimizzando sempre di più questi devices, rendendoli più leggeri, aumentandone il raggio d’azione e dotandoli di sistemi operativi e interfacce sempre più user-friendly. Il vero e proprio decollo della portabilità può essere identificato con il lancio del primo iPhone Applenel 2007, data a partire dalla quale questi dispositivi iniziano a diffondersi a livello globale rivoluzionando in maniera significativa sia la vita quotidiana che l’ambito dell’impresa, di pari passo con la diffusione di altre tecnologie hardware e software, come le retiWi-Fi e il CloudComputing (ambienti di calcolo distribuiti sul network che erogano servizi on demand e in tempo reale come i sistemi di gestione dei dati).
Oggi gli smartphone sono oggetti a supporto della persona e rappresentano il primo step della rivoluzione che conduce all’IoT, la quale può essere considerata come una seconda ondata di rivoluzione digitale (considerando come prima ondata, invece, la diffusione di Internet e dei personal computer avvenuta attorno agli anni ’90).
Secondo Leopoldo Angrisani, docente di Misure Elettriche ed Elettroniche presso il DIETI(Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione)dell’Università di Napoli Federico II, gli smartphone sono passati ad essere strumento atto a realizzare la comunicazione tra le persone a strumento sfruttato per la comunicazione tra gli oggetti. La sola idea di far parlare le cose- sostiene Angrisani- apre scenari macroeconomici prima impensabili. Dotare gli oggetti della capacità di comunicare significa creare un nuovo ecosistema: Internet prima era uno spazio in cui potevano accedere solo le persone, mentre ora si configura come qualcosa di molto più evoluto, una piattaforma dai confini indistinti in cui si realizza la comunicazione tra individui e oggetti, a prescindere dalla natura degli attori in questioni.
L’IoT, infatti, abilita la comunicazione tra cosa e cosa, ma anche tra le cose e gli individui connessi (Internet of Humans, IoH). L’incontro tra Internet of Things e Internet of Humans risulta nel cosiddetto Internet of Everything (IoE), espressione utilizzata per indicare il sempre più profondo e costante embedding tra realtà fisica e realtà virtuale.
Il sistema dell’Internet of Things, dunque, più che come una tecnologia, si definisce come un set di tecnologie sia hardware che software strettamente in relazione fra loro che realizzano un collegamento tra mondo fisico e mondo virtuale. Tali device- che compongono l’IoT- sono detti smartthings, ossia oggetti la cui smartness è definita in termini di capacità di connettività e di comunicazione. Le stesse smart things, inoltre, sono a loro volta costituite da diverse componenti tecnologiche specifiche, le quali concorrono a rendere ancora più complessa la struttura inerente all’Internet of Things.
La comunicazione abilitata dall’IoT è anche osservabile in quanto trasmissione di dati: poiché lo scambio dei dati è alla base di questo processo, sorge il problema del contenuto, vale a dire di quali siano le informazioni che tali dispositivi devono poter comunicare e, prima ancora, essere in grado di acquisire. Per questo motivo un ambito fondamentale per il funzionamento dell’Internet delle Cose è quello della sensoristica. Un sensore è un «dispositivo che fornisce in uscita un segnale che dipende dal valore di una determinata grandezza presente all’ingresso» allo scopo di «determinare il valore della variabile in ingresso a fini di regolazione o di controllo del sistema in cui il sensore opera».
Secondo Leopoldo Angrisani eseguire una misurazione significa associare un valore ad una grandezza fisica. Ciò equivale dunque a mettere in comunicazione due mondi diversi, quello delle grandezze fisiche e quello dei numeri reali, il mondo dei fisici e quello dei matematici. Da un lato vi è la realtà, e dall’altro invece i modelli e le rappresentazioni della realtà che noi creiamo, formulandoli in modo tale che essi siano estremamente favorevoli ad un nostro ragionamento logico e ai nostri processi cognitivi. Attraverso i sensori, le smart things acquisiscono le informazioni dal mondo reale: i sensori sono dunque quei dispositivi che svolgono per l’oggetto intelligente lo stesso ruolo che i sensi svolgono per l’essere umano. Oggi nell’ambito della sensoristica è particolarmente importante la scienza della microelettromeccanica, grazie alla quale sono stati implementati i cosiddetti MEMS: sistemi microelettromeccanici dalle dimensioni ai costi ridotti e che dunque si dimostrano particolarmente versatili e incorporabili in una lunga serie di devices diversi.
Ovviamente al giorno d’oggi la maggior parte dei sensori utilizzati sono sensori digitali i quali permettono una maggiore accuratezza e un più alto grado di approfondimento delle loro versioni analogiche. Inoltre, nelle loro versioni più aggiornate, tali sensori possiedono anche la cosiddetta capacità di contesto, la quale si divide in elaborazione contestuale passiva (misurazione continua di un fenomeno e feedback all’utente); elaborazione contestuale attiva (misurazione continua di un fenomeno e reazione automatica in base ai parametri registrati); personalizzazione (comportamento sulla base delle preferenze dell’utente specifico).
Oltre ai sensori, le smart things si basano su altre soluzioni tecnologiche. Ad esempio, tra le soluzioni software, vi sono i protocolli di comunicazione che assolvono il compito della comunicazione delle informazioni. Si tratta di set di convenzioni e standard che istruiscono circa le modalità in cui avviene la comunicazione. Essi sono estremamente importanti per lo sviluppo e il funzionamento dell’IoT e lo furono, a suo tempo, anche per il funzionamento di Internet stessa. Nel caso dell’IoT il ruolo è fondamentale vista la varietà nelle componenti hardware, nelle architetture software e nei formati dei file. Diversi enti a livello internazionale, come la Allseen Alliance e la Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE), si sono impegnati a elaborare questi linguaggi, che sono necessariamente molteplici poiché variano sulle specifiche esigenze della determinata comunicazione da soddisfare.
È attraverso queste componenti- come i sensori, i protocolli di connettività, i sistemi di storage delle informazioni e molte altre- che l’oggetto diventa intelligente.
Applicazioni, questioni e futuri sviluppi dell’Internet of Things
Nel mondo dell’industria, l’IoT (nel suo sottosistema definito come Industrial Internet) viene annoverata tra le tecnologie abilitanti 4.0 perché è la tecnologia che abilita le macchine presenti nella filiera a comunicare ottimizzando operazioni e processi, realizzando risultati finali migliori e garantendo una condizione migliore per chi ad esempio lavora nella fabbrica. A differenza delle altre tecnologie abilitanti è sui generis perché è un set, un contenitore di varie tecnologie radunate sotto il cappello IoT con un atteggiamento omnicomprensivo.
Il discorso tecnologico alla base dell’Internet of Things- sostiene l’esperto Angrisani- non è nato tanto dalla ricerca accademica quanto piuttosto dal business, nel momento in cui si è resa evidente la saturazione del settore della comunicazione tra individui. Tale settore dunque ha cercato soluzioni in una diversa direzione, basandosi sulla realizzazione della comunicazione tra gli oggetti. A partire da questo presupposto si è cominciato a ragionare su quali fossero gli oggetti da dotare della capacità comunicativa e quali fossero i nuclei di attività, gli scenari e i contesti in cui la comunicazione fra gli oggetti- e fra oggetti e individui- potesse apportare beneficio.
Sono così emersi i più svariati approfondimenti: dalla domotica– l’applicazione delle tecnologie informatiche e digitali ai sistemi di abitazione- all’ e-health– l’applicazione delle tecnologie informatiche e digitali all’ambito della salute- oggi sono tantissimi i settori che traggono beneficio dalla smartness degli oggetti.
Poiché l’IoT rappresenta- più che un trend passeggero- una vera e propria rivoluzione, le sue implicazioni però non sono da dare per scontato. Lo scenario che si profila è sempre di più quello di una rete pervasiva, integrata e meno esplicita e, per la portata del cambiamento in atto, esistono ovviamente dei rischi. Basti pensare ad esempio alle questioni relative alla privacy, con i sempre più frequenti leaks, furti di identità e violazione dei dati, per cui è necessario da un lato attrezzarsi secondo modalità tecniche, dotando ogni dispositivo di sistemi di sicurezza e monitoraggio; dall’altro, si rendono necessari anche provvedimenti legislativi volti a regolamentare la proprietà delle informazioni e a definire le misure giuridiche circa i reati in merito.
Oppure, altro problema fondamentale è quello del digital divide: si tratta del divario sociale, economico e politico tra individui che hanno la possibilità di sfruttare tali tecnologie e individui che invece per questioni di limitazioni fisiche all’accesso o per mancanza di padronanza non ne possono trarre beneficio. A questo titolo, diventa un bisogno primario non solo sviluppare infrastrutture adeguate, pervasive ed efficienti per abilitare la connessione, ma anche- e soprattutto- permettere alla popolazione mondiale, a prescindere da parametri sociali e demografici, di acquisire le competenze necessarie per poter utilizzare queste tecnologie.
Oggi- sostiene infatti Angrisani- è compito sia dei singoli che delle istituzioni combattere l’ignoranza su tutti i livelli, divulgando, approfondendo, acquisendo competenze specifiche e investendo sulla cultura. E la tecnologia 4.0 fa parte di tale cultura.
Il CeSMA
Il CeSMA – Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati – è la rete federiciana per misurazioni e tecnologie avanzate, ad accesso remoto, che vanta 30 laboratori dotati di strumentazione con caratteristiche esclusive e distintive. Vuole fornire supporto ai maggiori attori locali, nazionali e internazionali nelle attività di misurazione avanzata, e più in generale nella sperimentazione di nuove tecnologie, traendo anche vantaggio dalla presenza di ricercatori e tecnici esperti della Federico II.
In quanto Centro di ateneo, CeSMA ha un’identità multidisciplinare che garantisce osmosi costante di conoscenze attingendo alla ricchezza delle competenze dei Dipartimenti e traguardando i confini della integrazione più completa e complementare. La numerosità delle afferenze garantisce al CeSMA la disponibilità di ricercatori scientificamente qualificati in ogni settore, che forniscono risposte efficaci a complesse esigenze misuristiche e tecnologiche espresse dai settori dell’Industria e dei Servizi.
La sinergia dei modernissimi laboratori di Fisica, Chimica, Ingegneria, Biologia promuove il CeSMA come naturale e innovativa interfaccia tra accademia e imprese, nell’ambito del piano governativo Industria 4.0, per il presidio di settori strategici della vita quotidiana, quali l’ambiente e i territori, la vita e la salute, i prodotti e i processi industriali.
Il CeSMA opera lungo quattro direttrici tematiche:
Misure per la Qualità della Vita e la Salute;
Misure e Monitoraggi su Reti e Impianti;
Monitoraggio dell’Ambiente e del Territorio;
Qualificazione di Processi e Prodotti Industriali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/10/Depositphotos_196649986_m-2015.jpg6671000Alex Giordanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlex Giordano2020-04-13 17:27:022020-04-16 09:32:49Che cos'è l'Internet of Things, spiegato con una mini-serie TV
Natale con i tuoi, Pasqua con Ninja Marketing. Chi avrebbe mai immaginato una Pasquetta così? Per fortuna, la Week in Social non va in vacanza e potrà tenervi compagnia, qualora lo vogliate, anche in questo weekend.
TikTok e la quarantena
Complice l’emergenza Covid-19, complice la novità, complice la voglia di divertirsi che abbiamo in questo periodo e che, purtroppo, si può sfogare in pochi modi, dati alla mano, i numeri di TikTok in Italia sono in crescita: se non ci credete, sfogliate una manciata di video e noterete che l’età media non è affatto di 15 anni come in origine.
Facciamo una prova: guardate quante famiglie, nonni, genitori sono coinvolti in questi video, nella challenge di turno e quanti gatti e cani sono protagonisti del sistema TikTok? Lo ammettiamo, ci siamo anche noi. E sicuramente, i banchi di scuola li abbiamo abbandonati da un pezzo. Poveri giovani d’oggi: non possono scoprire un’app che il mondo adulto se ne impossessa subito.
Smart working e TikTok
“Sono tanti i modi con cui gli utenti di TikTok esprimono la nostalgia verso il loro lavoro. I più colpiti dal blocco delle attività, come estetisti, parrucchieri, hostess e steward di bordo, sono anche i più creativi sulla piattaforma.” scrive il Ninja Giancarlo Donadio.
C’è chi, per esempio, come @justcallmepino, non rinuncia alla sua passione per il volo. Per combattere la noia, con indosso una divisa da pilota, si esercita facendo volare un modellino di aereo. In attesa di pilotare un aereo vero è riuscito a “far volare” le visualizzazioni, che hanno superato le 230mila.
Gli estetisti, i parrucchieri e itatuatori danno invece un nuovo significato alla parola“telelavoro”. Con la TV accesa che proietta immagini di loro potenziali clienti in saloni di bellezza, si impegnano, ferri del mestiere alla mano, a fare una messa in piega, disporre lo smalto sulle unghie, e a disegnare coloratissimi tatuaggi. In tempi in cui la telemedicina fa miracoli, in cui è possibile operare i pazienti a distanza, chissà se un giorno le loro professioni potranno essere svolte “da remoto”.
Dating tarda ad arrivare in Italia per i motivi che già sappiamo (non diteci che siete lettori distratti, ne abbiamo parlato nella rubrica Week in Social, poche settimane fa) e quindi se Facebook non può fare da Cupido tra gli italiani, sceglie di agire tra chi è già innamorato.
Uno spazio gratuito per dare la possibilità alle coppie di scambiarsi quello che si vuole, dalla musica alle foto, e non necessita del collegamento a Facebook. Perché? Chi lo sa come vanno questi esperimenti, magari domani falliscono e dopodomani invece saranno le funzionalità del momento.
Il modo migliore per capirlo è comunque testarla: ed è subito download.
Facebook Gaming e i tornei
Facebook Gaming si adegua al periodo storico che stiamo vivendo e lo fa informando l’utenza attraverso un tweet, una manciata di giorni fa:
?Launch announcement…???
1/ Social distancing means we have to be apart, but games can still bring us together. So today we’re opening early access to Facebook Gaming tournaments, a feature to help people stay connected through games. pic.twitter.com/rYOIXBcIHS
— Facebook Gaming #playaparttogether (@FacebookGaming) April 7, 2020
Questa funzionalità sarebbe dovuta uscire più avanti ma non si poteva attendere. Ora, si potranno organizzare tornei e vere e proprie sfide con chiunque. Tutto come fosse reale: ecco, ora sappiamo cosa fare a Pasquetta.
In breve
Zoom – Cosa fare quando la tua piattaforma passa da 10 a 200 milioni di utenti al giorno? Assumere chi ne sa più di te. Ed ecco perché, in termini di privacy, è stato assunto da Zoom, la piattaforma di videochiamate e teledidattica del momento, l’ex capo della sicurezza di Facebook, Alex Stamos. Non si possono correre rischi, quando si diventa famosi.
Data for Good – Mark Zuckerberg mette a disposizione degli esperti dati e spostamenti delle persone nel mondo per monitorare il contagio da Covid-19. Grandi mappe, a definire quanto e come si sta evolvendo la situazione. I social (o chi per loro) che aiutano il progresso.
Fake News – Continua la lotta alle fake news: secondo un recente studio dell’Università di Oxford, Facebook è in grado di bloccare il 76% delle notizie false.
Luxury – Instagram non è più il padrone social incontrastato del settore lusso: ora TikTok offre una bella e variegata concorrenza. Tantissimi i brand che si affidano a questo social per la propria comunicazione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/weel-in-social.jpg551991Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-04-11 15:52:402020-04-20 10:58:12Week in Social: TikTok e la quarantena, la nuova app per coppie e i tornei su Facebook
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