La città che non dorme mai, la Grande Mela, New York ospita la prima AIFashion Week dedicata agli stilisti emergenti della moda, che sviluppano le loro creazioni mediante l’utilizzo della Intelligenza Artificiale Generativa.
Partecipano sia stilisti che creatori di AI che, grazie alle loro creazioni, daranno vita a questo incredibile evento unico nel suo genere.
AI Fashion Week: quando e dove
Le date della AI Fashion Week sono fissate dal 20 al 21 aprile 2023 e vedranno competere tra loro più di 350 creator. La location è al centro di Manhattan presso lo Spring Studio.
L’evento è gratuito ed è stato organizzato in collaborazione con Revolve Group, organizzazione specializzata nella rivendita di moda online, di abbigliamento e calzature, accessori e prodotti di bellezza per il target millennial e generation Z.
Come già detto, l’evento ha lo scopo di scoprire i nuovi talenti della moda: è un vero e proprio scouting di talenti della moda che operano con l’ AI, tanto è che nella giuria sono presenti personaggi di tutto rilievo, come:
Pat McGrath, è una delle più prestigiose truccatrici al mondo e la sua influenza nel mondo della bellezza e della moda non ha rivali da oltre 20 anni. L’aspetto visionario che immagina e che quindi crea per sfilate di moda, pubblicità e riviste – definisce i futuri canoni della bellezza.
Tiffany Godoy di Vogue Giappone, è una giornalista e influencer di moda esperta di internet.
Natalie Hazzout, casting director di Celine, azienda francese di vendita al dettaglio di abbigliamento e accessori.
Negli ultimi mesi l’interesse del settore moda nell’ AI generativa ha superato di gran lunga quello sul Metaverso, dei token non fungibili (NFT), della realtà aumentata e virtuale, argomenti che restano obiettivi di medio periodo rispetto all’AI che ha invece interessato da subito il settore, mostrando gli innumerevoli ambiti di applicazione.
Quello che è importante tenere in considerazione è che questa tecnologia è diventata ampiamente disponibile solo di recente ed è ancora piena di problemi e bug preoccupanti, ma tutto mostra che possa migliorare velocemente di giorno in giorno e diventare un punto di svolta in molti aspetti del business.
Secondo l’analisi di McKinsey, in un periodo compreso tra i tre e i cinque anni l’AI generativa potrebbe raggiungere fino a 275 miliardi di dollari di profitti nei settori dell’abbigliamento, della moda e del lusso.
Attualmente i designer, i direttori creativi e i rivenditori possono fare affidamento non solo sui report di tendenza e sull’analisi di mercato, ma possono utilizzare l’AI generativa per analizzare in tempo reale vari tipi di dati non strutturati.
AI fashion Week: dalle sfilate al business
L’AI generativa può, ad esempio, aggregare rapidamente ed eseguire analisi del sentiment dai video sui social media o modellare le tendenze da più fonti di dati sui consumatori.
I direttori creativi e i loro team possono inserire schizzi e i dettagli desiderati, come tessuti, tavolozze di colori e motivi, in una piattaforma alimentata dall’intelligenza artificiale generativa che crea automaticamente una serie di “proposte”, consentendo così ai designer di giocare con un’enorme varietà di stili e look.
Un team potrebbe quindi progettare nuovi articoli sulla base di questi risultati, mettendo il tocco distintivo di una casa di moda su ciascuno dei look. Questo apre le porte alla creazione di prodotti innovativi in edizione limitata che potrebbero anche essere collaborazioni tra due marchi.
Ed è proprio in questa direzione che si muove la AI generativa, individuare i creativi che in questo momento stanno utilizzando in maniera migliore l’ AI generativa.
AI generativa nella moda e Fashion Week 2023
Ai designer viene fornita una piattaforma che ha la funzione di vetrina, grazie alla quale possono mostrare le loro creazioni realizzate tramite AI a eventuali clienti oppure a direttori creativi.
Quando parliamo di creazioni intendiamo, come previsto dagli organizzatori, collezioni costituite da minimo 15 look ad un massimo di 30.
In questo modo si incoraggiano i designers a mettersi in luce a presentare creazioni che altrimenti rimarrebbero nel cassetto e tutto questo consente di creare un nuovo mercato accessibile a tutti oltre che fornire i nuovi designer a sperimentare le tecnologie generative basate su AI.
Gli organizzatori della AI Fashion Week puntano hanno formato la giuria coinvolgendo sponsor tra le grandi firme della moda per offrire premi in denaro ai vincitori. Sono in programma altri eventi subito dopo il calendario della settimana della moda per attirare una maggiore attenzione sull’evento.
Le creazioni generate dall’intelligenza artificiale sono state tra i temi più caldi di questi mesi. La moda fantasy, le calzature ed i design di accessori sono ora diffusi su Internet. I creativi ricreano l’immagine dei capi dei loro marchi preferiti e ne sviluppano di nuovi, in alcuni casi creano capi ancora più belli degli originali.
L’AI Fashion Week rappresenta un punto di partenza per tutta una serie di applicazioni ed eventi che possono valorizzare la creatività aprendo nuove prospettive di business per il mondo della moda e per i creativi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/Artificial-Intelligence-Fashion-Week-Is-Scheduled-for-April-20-21.jpg6751200Antonio Romanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAntonio Romano2023-04-21 10:09:142023-04-26 12:06:09Parte l'AI Fashion Week, l'evento più atteso dagli stilisti della AI generativa
A partire dal primo decennio del XXI secolo, il marketing viene accusato di essere uno dei colpevoli della crisi economica, reo di diffondere un atteggiamento iperconsumista, che ha legato il concetto della felicità al possesso dei beni materiali.
Già negli anni ’70, Pier Paolo Pasolini, criticava sul Corriere della Sera l’economia del consumismo, seguito da una miriade di psicologi internazionali.
Nel tempo, il marketing ha necessariamente dovuto migliorare la propria immagine, sfruttando la carta della responsabilità sociale d’impresa. Non si parla quindi di marketing tradizionale bensì di marketing sostenibile e responsabile: non più centrato sul benessere individuale di breve periodo ma sul benessere collettivo di lungo periodo.
La responsabilità sociale d’impresa è un “must have”
Per sopravvivere l’azienda, oggi, deve agire nell’ottica di una responsabilità sociale d’impresa.
Se fino a poco tempo fa, l’attenzione alle problematiche della società era una scelta originale per differenziarsi, ora è necessario per la sopravvivenza di lungo periodo, non solo per le grandi imprese, ma anche per le piccole realtà.
Nella scelta di un prodotto da parte del consumatore, il criterio economico non è più l’unica variabile considerata, soprattutto per la Generazione Z. Si fa attenzione ad altri elementi, quali, il packaging plastic free, lo schieramento dell’azienda contro il gender gap, o ancora, il sostegno ai diritti LGTBQ+, e così via.
Vengono valutate una serie di misure e pratiche con fini etici, ambientali e sociali che un’impresa mette in atto nelle sue operazioni commerciali.
Se in passato le aziende potevano concentrarsi esclusivamente sul raggiungimento della redditività, ora la necessità è di ottenerla mostrando qualcosa in più, lavorando per il bene della comunità.
L’impresa è un sistema aperto che si relaziona con l’ambiente. Per perdurare nel tempo deve seguire i passi della società, e adeguarsi ai cambiamenti richiesti dai consumatori, che, grazie al web, discutono e si confrontano.
Se la reputazione aziendale è l’asset intangibile da seguire, allora la migliore reputazione possibile è quella che si realizza dimostrando l’impegno nell’ambito comunitario. All’azienda è richiesto una responsabilità sociale d’impresa che migliori le condizioni ambientali e sociali della comunità nella quale è inserita, secondo un atteggiamento “corporate citizenship”, quello proprio di un cittadino.
La cittadinanza d’impresa, promossa dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel 2000, nel Global Impact, comprende 10 principi essenziali:
promuovere i diritti umani
non essere complici di abusi dei diritti umani
sostenere la contrattazione collettiva
eliminare il lavoro obbligatorio
eliminare il lavoro minorile
eliminare le discriminazioni lavorative
sostenere un approccio preventivo alle sfide ambientali
promuovere azioni di responsabilità ambientale
contrastare la corruzione
incoraggiare lo sviluppo di tecnologie che rispettino l’ambiente
I concetti, ribaditi nel 2001 nel Libro Verde dall’Unione Europea, sottolineano che la sostenibilità non è l’elemento per differenziarsi dalla concorrenza, quanto una via da seguire per rimanere competitivi, e i programmi di responsabilità sociale d’impresa rappresentano un modo per soddisfare questo obiettivo.
Secondo un sondaggio pubblicato dal Word Economic Forum, 9 cittadini su 10, a livello globale, auspicano di vivere in un modo maggiormente sostenibile nel post-Covid 19.
Il 72% degli intervistati dichiara di aspettarsi un miglioramento delle condizioni di vita anziché un ritorno alla vita pre-pandemia.
Si tratta di un messaggio chiaro che le aziende non possono ignorare, “continuiamo a valutare il successo su basi unicamente finanziarie” ha affermato in un intervento al vertice WEF, Alan Jope, Chief Executive Officer di Unilever, “è bizzarro e superato. Le nostre metriche finanziarie, così come la misura della ricchezza di un paese basata sul PIL, stanno creando diseguaglianze sociali e degrado ambientale”.
D’altronde, come asseriva Robert Kennedy nel 1968, “il PIL misura tutto tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.
Come realizzare una strategia di responsabilità sociale d’impresa
Il concetto di CSR (corporate social responsability), fu espresso già nel 1953 nel libro Social Responsability of Bussinessman di Howard R. Bowen, nel quale l’autore si chiede quali responsabilità verso la società sia lecito aspettarsi da chi dirige un’impresa.
La Commissione Europea definisce la CSR come “la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”.
Quali sono i passi da seguire per realizzare una strategia d’impresa responsabile?
Determinare i valori aziendali, secondo le priorità della comunità, collegandoli al brand. Un esempio, è il lavoro di Access Writers Program di WarnerMedia, (produttore di intrattenimento tv), il cui ultimo programma è focalizzato sul migliorare l’accesso alle professioni televisive da parte dei soggetti delle comunità più svantaggiate
Ottenere informazioni dettagliate da parte degli stakeholder (attraverso sondaggi, a risposta aperta e multipla), in modo da capire rispetto a quali temi ambientali e sociali i clienti sono più sensibili, e cosa conoscono del passato dell’impresa stessa. Il punto di partenza è la raccolta di feedback da parte degli stakeholders interni dai quali poi si possono intercettare le esigenze della comunità esterna. A tale scopo può risultare utile leggere le informazioni di Community Tool Box, che offre suggerimenti utili per comprendere le esigenze dell’attuale società
Prendi in prestito una buona strategia: cerca di individuare i campi di sostenibilità più seguiti. Non pensare che copiare sia sempre un fatto negativo, ogni brand sarà comunque unico nello sviluppare la propria strategia. Per selezionare le migliori strategie già messe in atto ci si può rivolgere alla Baker Library della Harvard Business School, che offre un elenco di report sulla responsabilità sociale delle imprese (la maggior parte delle quali allineate con gli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite sopra citati)
Coinvolgimento interno, è fondamentale che la leadership sappia coinvolgere i dipendenti nella creazione della strategia, che permetta loro di rispecchiarsi nel valore supportato, e consenta la massima condivisione dei feedback, in modo da creare un maggiore senso di comunità, soddisfazione e motivazione. È importante che tutti i dipartimenti dell’azienda collaborino tra loro per il raggiungimento dell’obiettivo, in particolar modo è auspicabile la collaborazione del team che si occupa della responsabilità sociale d’impresa con l’area marketing e comunicazione
Creare partenariati esterni, dare vita a collaborazioni con organizzazioni o individui che nella società stanno già portando avanti i valori di CSR condivisi dall’impresa. Può essere vantaggioso per generare soluzioni alternative e aprire nuove opportunità riguardo a finanziamenti, sponsorizzazioni e occasioni di volontariato
Essere chiari e trasparenti, fissando obiettivi misurabili con metriche di misurazione, per mantenere la fiducia delle persone e a creare un senso di rigore e cura intorno al marchio. Utilizzare un linguaggio numerico consente inoltre di valutare e capire con maggiore facilità i risultati, anche all’impresa stessa. Altrettanto importante sarà poi comunicarli, ciò può avvenire attraverso diversi canali, sito web, newsletter, social media ecc.
Migliorarsi continuamente, le strategie di responsabilità sociale d’impresa devono saper essere flessibili perché riguardano le esigenze delle persone, e come tali sono in continua evoluzione. Ad esempio, con la diffusione del Covid-19, molte aziende hanno dovuto adeguarsi ai cambiamenti e rivedere i loro piani repentinamente. Saper anticipare è senza dubbio un fattore chiave.
Parola d’ordine: Report
A causa delle restrittive normative governative e dell’autoregolazione di alcuni, la necessità di una puntuale rendicontazione circa la responsabilità d’impresa è andata crescendo
Il World Business Council Sustainable Development definisce il report pubblico come la modalità da parte delle aziende di fornire informazioni agli stakeholders (interni ed esterni). Il report fornisce un quadro della posizione aziendale sulle attività circa la dimensione economica, ambientale, sociale.
Consente di individuare i punti deboli da migliorare e fornisce informazioni spesso assenti dai rapporti finanziari, tanto che, al classico bilancio economico-finanziario, è abitudine allegare il bilancio sociale.
Il report rappresenta l’impegno dell’azienda nei confronti degli stakeholders, ne migliora la fiducia, e fornisce la potenzialità di attirare nuovi investitori green.
Secondo l’indagine di Deloitte, su oltre 2000 dirigenti, pubblicare e condividere un rapporto annuale di responsabilità sociale d’impresa aumenta la possibilità di ottenere un maggior successo.
Inoltre, protegge la reputazione del marchio contro il rischio di un’errata percezione da parte dei consumatori, che spesso temono che l’azienda possa fare tanti discorsi ma pochi fatti.
Deloitte ha individuato le pratiche per stilare un buon report:
Usare indicatori KPI (key performance indicator), riconosciuti a livello globale, che allineano il report alle guide standardizzate
Coinvolgere numerosi professionisti e gruppi di consulenza indipendenti per consigliare l’impresa con sguardo obiettivo proveniente dall’esterno
Effettuare un incrocio tra report cartaceo e digitale. Ultimamente la pratica si indirizza verso un cartaceo breve che rimanda ad una descrizione più dettagliata sul web, facilmente accessibile ai più.
Chi è il professionista del marketing ambientale
Con lo sviluppo di una responsabilità sociale d’impresa si modifica l’assetto organizzativo aziendale. Si sono rafforzati gli uffici legali delle imprese, si inseriscono così nuove figure necessarie, quali, ad esempio, l’esperto di marketing ambientale.
Si tratta di una figura che sa spaziare dallo studio attento degli adempimenti normativi, alla ricerca dei finanziamenti, fino alla comunicazione all’esterno dell’orientamento imprenditoriale. È una figura che deve saper conciliare gli obiettivi economici dell’impresa con il contributo che fornisce alla società.
Il ruolo da ricoprire richiede skills tecniche normative/ambientali, ma anche competenze trasversali, quali la capacità comunicativa e di leadership.
Dall’identikit del responsabile della sostenibilità, tracciato nel 2022 da Sustainability Markers, emerge che il 64,6% è donna, il 36,5% di esse è in possesso di una laurea in management e il 19,8% di una laurea dell’ambito tecnico-scientifico.
Attenzione al Greenwashing: quando alle parole non seguono i fatti
Non è sufficiente raccontare di portare avanti dei progetti green, occorre metterli in atto e raggiungere risultati concreti.
Il greenwashing, neologismo inglese, tradotto come ecologismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di quelle imprese che, con poco sforzo, cercano di acquisire una reputazione sociale di facciata. “Un’appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente” (Furlanetto, 2013).
Il termine viene fatto risalire al 1986, ad opera dell’ambientalista Jay Westerveld. In quell’occasione, fu utilizzato per denunciare il comportamento degli alberghi che invitavano gli ospiti a ridurre il numero di asciugamani utilizzati dai clienti, al fine di diminuire l’impatto ambientale del lavaggio degli stessi. Il reale motivo, notò l’ambientalista, era invece quello di lenire i propri costi relativi al lavaggio.
Ricorrere a questa strategia è una strada molto pericolosa, che può danneggiare l’impressa anziché aiutarla, come potrebbe sembrare.
Quali sono i principi da seguire per non cadere nella trappola del greenwashing?
Autenticità della comunicazione, che deve avere riscontro concreto in ogni particolare che viene raccontato, altrimenti è meglio non dire
Sincerità: comunicare le best practice aziendali, ma anche quegli aspetti che vanno migliorati e sui quali si sta lavorando. Non esiste un’azienda ad impatto zero e il consumatore questo lo sa
Comunicare le informazioni in modo tecnico, per avere credibilità, ma allo stesso tempo in modo non troppo scientifico. Ricercare un linguaggio creativo per renderlo comprensibile a tutta la comunità
Continuità: l’attività di sostenibilità deve essere costante e avere obiettivi di lungo termine, non può estinguersi in un’attività temporanea, una singola azione non rende l’azienda sostenibile
Autorevolezza: i dati comunicati circa l’operato sostenibile devono essere certificati da enti esterni, non solo autocelebrati da chi li realizza
Non farti travolgere dagli effetti mediatici e dalle mode del momento. Non comunicare un comportamento che potrebbe essere difficile da realizzare concretamente, fissa obiettivi concreti per avere risultati concreti
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/csr-corporate-social-responsibility_slider_home.jpg500750Ilenia Vallerianihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngIlenia Valleriani2023-04-20 12:30:282023-04-21 10:09:35Responsabilità sociale d’impresa, i passi da seguire per realizzarla davvero
Il marketing tribale fa parte di quelle pratiche unconventional che hanno coinvolto le più innovative strategie rispetto agli approcci convenzionali.
Uno dei padri di questo filone è il sociologo Bernard Cova, professore di marketing presso la Kedge Business School di Marsiglia e già professore dell’Università Bocconi di Milano che insieme a Mirko Pallera e Alex Giordano, è autore del libro “Marketing Non Convenzionale. Viral, Guerrilla, Tribal e i 10 principi fondamentali del marketing postmoderno.”
Nel libro, Cova, Pallera e Giordano ci parlano di uno Sturm und Drang che rivoluziona i vecchi schemi di marketing kotleriani e si apre ad una nuova era creativa in cui le strategie si fondano su tecniche non convenzionali come quelle virali, le azioni guerrilla e tribali.
Bernard Cova è un marketer di grande spessore, considerato uno dei pionieri nel settore del consumo collettivo dagli anni ’90 che ha spianato la strada ad un diverso approccio al marketing basato più sul tribal e sul societing rispetto al tradizionale marketing di stampo anglosassone.
Ed il societing offre una nuova visione del consumatore che non è più percepito come il “target” da scovare e colpire, ma come una parte del dualismo cliente-brand che collabora in modo attivo nel processo dell’esperienza d’acquisto.
Bernard Cova al Ninja Wrap UP #3
Bernard Cova, uno dei papà del Marketing Tribale, terrà una Masterclass gratuita in esclusiva per la Ninja Tribe.
Il tema di questo nuovo appuntamento è: Da Brand Tribe a Subscription: trasformare una community in abbonati.
Mercoledì 12 aprile ti spiegheremo come valorizzare le relazioni tra gli individui e convertire una community in membership grazie al marketing tribale.
Partecipare è semplicissimo: basta registrarsi a questo link per essere tra i primi ad approfondire e sperimentare le più recenti novità del mondo digital.
Cos’è il Marketing Tribale di Cova
Siamo nel campo dell’unconventional e la strategia di marketing si propone di creare una comunità intorno al prodotto o al servizio che intende pubblicizzare.
Questo tipo di approccio è definito dai vari esponenti, tra cui il principale teorico del tribalismo è proprio Bernard Cova, come mediterraneo, in rottura rispetto al tipico approccio nord-americano.
Il focus nel marketing tribale si sposta dallo stabilire un legame biunivoco con il consumatore al conservare il legame tra i consumatori in cui l’importanza è attribuita al sentimento comunitario e alla necessità di stabilire relazioni sociali arcaiche che rimandano al concetto di tribù, supportandone la crescita e l’autoidentificazione.
La tribù è formata da un complesso trasversale di individui che pur mantenendo le proprie caratteristiche socio-demografiche, condividono emozioni ed interessi che girano attorno al concetto e agli ideali, distaccandosi dal materialismo vero e proprio del prodotto.
Ed in questo senso, il brand attraverso la sua espressione costruisce e potenzia i legami tra gli individui.
Questo approccio nell’ultimo decennio sta prendendo sempre più piede tra le aziende ed i brand si fanno portavoce di esigenze individuali e sociali in cui gli individui trovano la propria identità e la propria capacità di espressione.
La Fedeltà di Marca secondo Bernard Cova
Per Cova il punto centrale è la fidelizzazione al brand il cui ruolo è, dunque, quello di fungere da aggregatore di valori e stili di vita che rispecchiano l’unicità di ogni individuo.
Il tempo del prodotto al centro è terminato: la funzionalità, le caratteristiche di beneficio e differenziazione materiale lasciano il posto alle emozioni, all’espressione del sé e all’unicità del senso di appartenenza dell’individuo post-moderno.
Il prodotto acquistato non è più la risultante delle sue caratteristiche vantaggiose ma della rappresentazione di un insieme valoriale in cui il novo consumatore si rispecchia.
Un esempio è dato dall’acquisto di un oggetto che abbraccia una scelta di vita o una buona causa: non stiamo comprando il prodotto di per sé ma implicitamente acquistiamo un valore, un ideale, rappresentato dall’oggetto.
I braccialetti di plastica riciclata racconta dagli oceani e proposta dal brand 4ocean ne sono la prova.
Secondo Cova, grazie al marketing tribale ci si distacca dalla visione economicaper avvicinarsi a quella antropologica dove al centro sono posti gli individui ed il bisogno di riconoscimento e autodeterminazione all’interno della comunità.
In questo senso la scelta di acquisto di un prodotto raggiunge il grado più alto di fedeltà alla marca. Il legame costruito tra brand e individuo si dimostra solido e viene rafforzato (o demolito) dalla potenza relazionale della tribù.
Bernard Cova afferma inoltre che il marketing tradizionale one-to-one è individualistico ed in quanto tale è limitato poiché cerca una relazione con il consumatore senza tener conto della parte emozionale che non viene condivisa dai due lati.
Sempre più individui necessitano infatti di relazioni personalizzate incentrate sulle emozioni che vanno al di là della semplice vicinanza ed a cui il marketing tribale risponde creando e supportando relazioni tra più consumatori.
E qui il marketer ci fa notare le fondamentali differenze tra il marketing classico-individualistico e quello tribale: il primo lavora sulla relazione brand-cliente e sulla costruzione di una fedeltà cognitiva; il secondo invece lavora sulla relazione cliente-cliente e sulla costruzione da parte del brand di collegamenti a supporto dei clienti per creare una fedeltà affettiva.
Il Potere dei Collegamenti Social
In una strategia tribal, i social network hanno un ruolo importante: rappresentano una piazza virtuale in cui gli individui vengono coinvolti dal brand nella creazione di confronti e discussioni sul prodotto. Una comunità di individui che ha poteri fortissimi: può infatti trascinare nuovi individui nel flusso emotivo e quindi nella fidelizzazione al brand; allo stesso tempo può abbandonare il brand, come per l’effetto domino, se questo si dimostra incoerente con i valori espressi. Un lavoro molto duro per i brand che ancora di più oggi devono essere capaci di trasmettere trasparenza, coerenza e continui stimoli emotivi positivi.
Ma non solo: devono essere attenti al mood delle interazioni tra gli individui e attenti a supportare le azioni che le tribù intraprendono nei confronti dell’azienda.
I consumatori online difatti risultano più attivi, comunitari, partecipativi ed anche oppositivi.
La passione che li accomuna ad un brand si tramuta in uno scambio di competenze tali da trasformare le tribù in una forza capace di veicolare azioni di marketing, quasi più dell’azienda. Le tribù si autoproclamano garanti dell’autenticità del brand anche grazie alla condivisione delle proprie esperienze e sperimentazioni. Basti pensare alla nicchia degli Harley-Davidson lover o ai fanatici di Star Wars.
Questi ultimi, ad esempio, producono e si scambiano film amatoriali ispirati alla serie; l’azienda Lucasfilm invece di opporsi, premia la loro passione fornendo online contenuti video e audio da inserire nei film “fatti in casa”.
Relazioni emotive, condivisione di valori, intenti e supporto alla passione delle comunità: una rivoluzione che penetra affettivamente nell’anima dei consumatori, anzi delle tribù.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/Bernard-Cova-tribal-marketing.jpeg6001200Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2023-04-11 17:05:572023-04-13 10:57:12Il marketing tribale secondo Bernard Cova: cos'è e come si fa
Il Ninja Wrap Up nasce per mettere insieme la potenza informativa e di Intelligence Ninja con la profondità dell’Alta Formazione. Si parte infatti da un condensato delle principali notizie Digital del mese – tra quelle selezionate ogni giorno dalla Redazione dalle più autorevoli fonti internazionali – per poi commentarle con i migliori esperti del settore e renderle applicabili concretamente.
Se ti impegni costantemente per restare al passo con le novità che impattano sulla tua professione, ma vorresti andare oltre il livello superficiale della notizia e affidarti a chi ne sa qualcosa per esperienza diretta, il Ninja Wrap Up è l’appuntamento mensile di cui ha bisogno per unire tutti i punti e imparare ad applicare nelle tue attività quotidiane nuovi trend e funzionalità, tool e best practice del Digital.
Si parte infatti da un condensato delle principali notizie Digital del mese, tra quelle selezionate ogni giorno dalla Redazione dalle più autorevoli fonti internazionali, per poi commentarle con i migliori esperti del settore e renderle applicabili concretamente.
Ninja Wrap Up #3: temi e ospiti
Il tema di questo nuovo appuntamento è: Da Brand Tribe a Subscription: trasformare una community in abbonati.
Mercoledì 12 aprile ti spiegheremo come valorizzare le relazioni tra gli individui e convertire una community in membership grazie al marketing tribale.
Bernard Cova, l’inventore del Marketing Tribale, terrà una Masterclass gratuita in esclusiva per la Ninja Tribe.
Cova è tra i professori di marketing più importanti del mondo e tra i più grandi esperti di Brand Tribes. Oggi Professore di Sociologia del Consumo e Marketing presso la Kedge Business School in Francia e Visiting Professor all’Università Bocconi di Milano, ha il merito di aver applicato per la prima volta la teoria delle tribù del sociologo Michel Maffesoli al marketing, ideando il concetto di community unita intorno a una marca.
Il programma e gli ospiti
Ecco cosa troverai nel Ninja Wrap Up #3:
ore 12:30 – 13:00 I take away dei marketer per il mese di marzo – Ninja Team
ore 13:00 – 13:30 Il ruolo delle brand community nella toolbox dei marketer – Bernard Cova
ore 13:30 – 14:00 Da Ninja Marketing a Ninja: evoluzione di una brand tribe – Mirko Pallera
ore 14:00 – 14:30 Convertire una nicchia di interessi in micro-community .- Gianluca Perrelli
ore 14:30 – 15:00 Dietro le quinte di un modello di business in subscription – Ignazio Morici
ore 15:00 – 15:30 I fattori di successo del Community Management – Carlotta Calegari
Come partecipare al Ninja Wrap Up
Partecipare è semplicissimo: basta registrarsi a questo link per essere tra i primi ad approfondire e sperimentare le più recenti novità del mondo digital.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/Bernard-Cova.jpg607850Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-06 10:59:422023-04-07 09:55:36Ninja Wrap Up #3: come si trasforma una community in abbonati
Dopo la comparsa di ChatGPT, il più popolare e utilizzato strumento di AI generativa che ha avuto senza dubbio il merito di rendere di uso comune l’Intelligenza Artificiale, aiutandoci forse a comprenderne meglio il funzionamento, le nostre vite ci sembravano un po’ cambiate, a causa delle implicazioni sulla sfera professionale che l’impiego di questa tecnologia prospettava.
Anche sulla sfera personale, però, l’impatto non era indifferente. Ce lo ha ricordato il Garante della Privacy che, sulla base della non aderenza alle norme contenute nel GDPR, ha imposto all’applicazione di OpenAI lo stop al trattamento dei dati della popolazione italiana.
Al di là della curiosità della maggior parte degli utilizzatori, che si sono approcciati al sistema per gioco o per uso strettamente personale, molte aziende hanno scoperto con entusiasmo le possibilità di integrazione nei processi aziendali adottando immediatamente la nuova tecnologia per facilitare o velocizzare alcune operazioni.
La tegola dell’interruzione del servizio da parte di OpenAI ha quindi posto molte domande sulle possibilità di utilizzare il servizio in futuro. Domande che ci siamo posti anche noi.
Per questo, abbiamo sentito Gianluca Maruzzella, CEO e co-founder di indigo.ai e abbiamo scoperto che non tutto è perduto: ad esempio, che le interfacce dedicate agli sviluppatori continuano a funzionare e che GPT3 è ancora disponibile tramite i servizi Azure di Microsoft all’interno del territorio della UE ed è quindi completamente compliant alla GDPR.
Ecco cosa ci ha detto Gianluca.
Facciamo chiarezza: ChatGPT è davvero bloccato?
Per noi è importante fare innanzitutto una premessa più ampia: il diritto alla privacy è fondamentale, e su questo non si discute.
La posizione del Garante, indipendentemente dall’effetto che ha scaturito, parte da una intenzione concettualmente corretta: fare chiarezza e regolamentare ove possibile un corretto trattamento dei dati di una organizzazione estera, OpenAI, rispetto ai cittadini italiani.
Allo stesso tempo crediamo sia importante favorire l’accesso alle tecnologie in quanto hanno un impatto diretto sulla competizione del nostro sistema-paese.
Fatte queste dovute premesse e tornando allo specifico caso di ChatGPT, è fondamentale distinguere il servizio rivolto agli utenti, che OpenAI ha scelto di non rendere accessibile agli utenti italiani in seguito alla richiesta del Garante di sospendere temporaneamente il trattamento dei dati, dai modelli di linguaggio di OpenAI che sono attualmente accessibili dalle aziende, anche italiane, che vogliono utilizzarli per sviluppare le proprie soluzioni basate su AI generativa, come facciamo noi di indigo.ai.
Quali sono i servizi interessati dal blocco dopo l’istruttoria del Garante della Privacy?
In seguito all’istruttoria del Garante è stata disabilitata l’interfaccia più “consumer” di ChatGPT che era raggiungibile all’indirizzo chat.openai.com, sia nella versione gratuita sia in quella a pagamento.
L’istruttoria ha l’obiettivo di tutelare i cittadini italiani, in particolare assicurandosi che i loro dati vengano trattati in modo compliant alla GDPR e gestiti in data center all’interno dell’Unione Europea.
Avendo a disposizione un’interfaccia in cui potenzialmente scrivere qualsiasi cosa, con ChatGPT ogni cittadino italiano può riportare dei propri dati personali. Questi vengono poi gestiti attraverso data center di OpenAI collocati verosimilmente sul territorio statunitense, e di conseguenza utilizzati per migliorare le performance del modello al di fuori dell’Unione Europea.
Quali sono invece quelli che continuano a funzionare?
Continuano a funzionare le interfacce dedicate agli “sviluppatori”.
Si tratta di un servizio di OpenAI chiamato playground che consente ad aziende e startup che vogliono sviluppare servizi innovativi utilizzando i modelli dietro ChatGPT di potervi accedere sia da interfaccia che attraverso API.
OpenAI ha sviluppato questi servizi pensando alle esigenze delle aziende, dando anche la possibilità di sfruttare l’infrastruttura tecnologica di Microsoft Azure che fornisce ambienti cloud in Europa e quindi completamente compliant alla GDPR.
Le realtà che vogliono utilizzare la potenza dei modelli sottostanti a ChatGPT all’interno del proprio stack tecnologico possono quindi continuare a farlo perché accedono ai modelli attraverso i servizi Azure di Microsoft, quindi i dati non fuoriescono dai confini europei.
Ad esempio, nel nostro caso abbiamo sviluppato una piattaforma rivolta alle aziende per consentire loro di creare chatbot di nuova generazione.
La nostra piattaforma utilizza diversi modelli di intelligenza artificiale generativa, tra i quali anche quelli creati da OpenAI, naturalmente sfruttando le opportunità rivolte agli sviluppatori e nel massimo rispetto della privacy grazie ai servizi di Azure che opera nell’Unione Europea.
Inoltre, ben prima di questo provvedimento del Garante della Privacy, abbiamo sempre posto massima attenzione al trattamento dei dati che facciamo anche e per conto dei nostri clienti: abbiamo nominato un Data Protection Officer e, nei contratti che facciamo sottoscrivere ai nostri clienti per l’utilizzo del nostro software, noi veniamo sempre nominati come responsabili esterni del trattamento dei dati mentre il cliente invece risulta essere titolare del trattamento.
Questo ci consente di fornire alle aziende italiane che a loro volta hanno utenti in italia, una soluzione per la creazione di chatbot che sfrutta la potenza delle più avanzate tecnologie sviluppate dalle big tech, ma fornendo loro opportunità di controllo, sia sui dati sia sui messaggi.
Le aziende possono così utilizzare la conoscenza generalista di GPT3 e integrarla con la conoscenza di settore e i dati dell’azienda, rispetto ai quali possono avere il massimo controllo rispetto all’accuratezza dell’informazione e nel massimo rispetto della privacy.
Al momento, utilizzare una VPN è davvero l’unica soluzione per l’utente medio?
Qualunque utente può accedere a ChatGPT simulando la connessione da un paese che non è l’Italia. Per farlo è possibile utilizzare una VPN. Ad esempio, tramite il browser Opera è possibile attivare gratuitamente una VPN ed accedere sia a ChatGPT che a Bard.
Una seconda soluzione potrebbe essere connettersi al playground, la piattaforma dedicata agli sviluppatori.
In questo caso c’è un costo di utilizzo estremamente accessibile (circa 0,001€ a messaggio). Trattandosi però di un’interfaccia progettata per gli sviluppatori è meno user friendly della versione di ChatGPT disponibile all’indirizzo chat.openai.com.
Che contromisure dovrebbe adottare chi ha iniziato a utilizzare questo strumento nei processi aziendali?
In questi mesi in cui ChatGPT è salito alla ribalta ci sono state due principali modalità in cui è stato inserito lo strumento nei contesti aziendali.
Da una parte tanti professionisti lo hanno utilizzato come supporto alla propria operatività per fare meglio il proprio lavoro, chiedendo a questi tool di AI generativa di scrivere mail, brief, elaborare pensieri, costruire presentazioni, etc.
Dall’altra, chi ha avuto modo di sfruttare questo modello da sviluppatore e ha trovato degli ambiti di applicazioni interessanti per l’utilizzo di chatGPT come modello di linguaggio da integrare in soluzioni B2BC, ha anche potuto inserirlo a pieno regime all’interno di un processo aziendale chiamandone le API – quindi in modo sicuramente più invasivo.
In entrambi i casi è possibile continuare ad ottenere i benefici dell’AI generativa, senza dover mettere in discussione il diritto fondamentale alla privacy degli individui.
In ogni caso le rincipali contromisure sono le seguenti:
Prima di tutto continuare a prestare attenzione al tema del trattamento dei dati e quindi, qualsiasi sia l’applicazione messa in piedi, trovare sempre le giuste modalità per informare l’utente sul trattamento dei dati durante l’utilizzo. Naturalmente questa non dovrebbe essere una novità: la stessa attenzione sarebbe stata necessaria anche prima della diatriba tra Open AI e Garante della Privacy. Chi lo ha usato per scrivere le mail, ad esempio, può ricorrere all’uso di VPN in attesa che si risolva la disputa tra il Garante risolve e Open AI, in quanto nella maggior parte dei casi non serve trattare dati personali per assolvere allo scopo. Chi invece ne ha usufruito per la realizzazione di servizi rivolti ai consumatori finali, quindi sfruttando le interfacce da sviluppatore, potrebbe continuare ad utilizzarlo, accertandosi però di mostrare e chiedere all’utente di accettare la privacy policy – adeguatamente scritta per coprire questo caso d’uso – prima che avvenga il trattamento.
Per tutte le altre applicazioni più invasive, è inoltre utile capire quali modelli o tecnologie di AI siano in grado di assolvere allo stesso scopo – quindi trovare dei sostituti a ChatGPT per essere in grado di regolare il servizio che era stato immaginato senza interruzioni. Su questo fronte basta pensare al fatto che ChatGPT si basa su GPT3 che invece è disponibile tramite i servizi Azure di Microsoft all’interno del territorio della UE.
In ogni caso una strategia potrebbe essere anche solo quella di aspettare: dato che non è nell’interesse di nessuno bloccare la tecnologia, ci aspettiamo che a breve il Garante e Open AI trovino una soluzione che permetterà di ripristinare l’utilizzo di ChatGPT senza che ci siano rischi per la privacy delle persone.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/04/chatgpt-si-puo-ancora-usare.jpg571867Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-05 11:30:382023-04-05 09:03:11Puoi continuare a usare ChatGPT nella tua azienda tutelando la privacy. Ecco come
Tre marketer su quattro prevedono di aumentare la spesa su TikTok nei prossimi 12 mesi. Le notizie sull’aumento degli investimenti pubblicitari sono senza dubbio una positive, anche se si scontrano con i nostri timori legati alla sicurezza proprio adesso che stiamo per rinunciare ai Cookie di terze parti (leggi qui sull’argomento) e il passaggio a Google Analytics 4 sta per diventare irreversibile (qui trovi la timeline della transizione).
Una nuova indagine di Gartner rileva che il 60% dei leader del marketing ritiene che la raccolta dei dati e il bilanciamento tra privacy e valore dei clienti saranno più impegnativi nel 2023.
Nel frattempo, gli strumenti di Intelligenza Artificiale diventano sempre più capaci e molti Big del Tech (Elon Musk in testa) lanciano anatemi sull’uso sconsiderato di questa tecnologia.
In questo contesto, si inserisce il nuovo Ads Safety Report di Google: oltre 5,2 miliardi di annunci sono stati bloccati o rimossi per violazione delle policy. E intanto arriva la doccia fredda del blocco di ChatGPT in Italia.
Anche se il GDPR ci assicura un periodo di tranquillità, con le AI dovremo ridiscutere completamente il concetto di sicurezza e quello di privacy. Molto, molto presto.
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Le notizie della settimana: Musk chiede una pausa per le Intelligenze Artificiali…
In una lettera aperta, Elon Musk e un gruppo di esperti di intelligenza artificiale e dirigenti del settore chiedono una pausa di sei mesi nello sviluppo di sistemi più potenti dell’appena lanciato GPT-4 di OpenAI, citando potenziali rischi per la società.
Secondo il CEO di Tesla, queste nuove tecnologie potrebbero “renderci obsoleti e sostituirci“.
OpenAI avrà 20 giorni di tempo per comunicare al Garante le misure intraprese in attuazione di quanto richiesto, pena una sanzione fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato globale annuo.
Un’app interamente generata da ChatGPT
Un esempio lampante delle grandi capacità dell’AI di OpenAI è l’app 5 Movies. Morten Just, sviluppatore indipendente di app per Mac, ha guidato ChatGPT attraverso il processo di sviluppo dell’applicazione.
Il modello di IA è riuscito a creare uno strumento per la raccomandazione di film che funziona e che è stato approvato da Apple e reso disponibile nell’App Store.
La gara delle Big Tech per l’AI
A parlarne è The Economist, che racconta di come una nuova ondata di modelli di IA stia provocando una frenetica attività nel mondo tecnologico. I giganti tecnologici lavorano da anni sull’intelligenza artificiale e dispongono di dati, potenza di calcolo e utenti per prosperare nell’era dell’AI e diventare dominanti nel settore.
Tuttavia, ci sono molti esempi di aziende dominanti che in passato hanno fatto passi falsi proprio durante periodi di transizione e cambiamenti significativi.
Un miliardo di nuovi consumatori online
Millennials, Gen Z e Gen Alpha si affermeranno nel prossimo decennio in otto Paesi in rapida crescita, segnalando la necessità per le aziende di reinventare le proprie strategie di commercio digitale, secondo il nuovo studio di Accenture.
Questi consumatori digitali, che vivono in Bangladesh, Egitto, Etiopia, India, Indonesia, Kenya, Nigeria e Filippine, hanno un’età compresa tra i 6 e i 26 anni e rappresentano il 36% della popolazione di questi Paesi; i loro comportamenti offrono oggi spunti fondamentali per le aziende che vogliono cogliere la prossima ondata di crescita guidata dal commercio.
Buone notizie: il 75% dei marketer spenderà di più su TikTok
Secondo l’82% degli intervistati, un divieto di TikTok avrebbe un impatto da moderato a significativo sul raggiungimento degli obiettivi di marketing o pubblicità sui social media.
La sfida dei dati di prima parte
Una nuova indagine di Gartner rileva che il 60% dei leader del marketing ritiene che la raccolta dei dati e il bilanciamento tra privacy e valore dei clienti saranno più impegnativi nel 2023. Nonostante l’85% dei CMO abbia stabilito politiche formali per la gestione dei dati dei clienti, la privacy rimane una sfida, con il 78% degli intervistati afferma che la propria organizzazione consente ai clienti di assumere il controllo dei propri dati.
Google pubblica il suo nuovo Ads Safety Report
Bloccati o rimossi oltre 5,2 miliardi di annunci per violazione delle policy, limitati oltre 4,3 miliardi di annunci e sospesi oltre 6,7 milioni di account di inserzionisti.
Sono solo alcuni dei dati del resoconto che ogni anno racconta le attività di Google per rendere più sicura la pubblicità online e prevenire l’uso dannoso delle sue piattaforme pubblicitarie.
Insieme al nuovo report, quest’anno è stato annunciato anche il nuovo Centro per la trasparenza pubblicitaria, uno strumento che permetterà di consultare gli annunci pubblicati sulle piattaforme di Google da inserzionisti verificati a livello globale.
La timeline per il passaggio a GA4
Google Analytics 4 (GA4) sta sostituendo Universal Analytics (UA o GA3). La raccolta dei dati sulle proprietà UA standard terminerà il 1° luglio 2023, quindi tutti gli oltre 28 milioni di utenti freemium di Google Analytics dovranno passare a Google Analytics 4 entro tale data. Qui trovi la timeline con le milestone.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/03/griglia-immagine-di-copertina-5.jpg377754Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-04-03 09:31:312023-04-03 18:40:40Lo stop a ChatGPT, la lettera di Musk contro l'AI e le altre notizie della settimana
Il Garante per la protezione dei dati personali stabilisce quindi una limitazione per OpenAI, la società statunitense proprietaria della piattaforma, che proprio qualche giorno fa ha rilasciato la sua nuova versione potenziata, GPT4.
La piattaforma, che ha avuto il merito di rendere mainstream l’utilizzo dell’intelligenza artificiale applicata ai testi e divenuta probabilmente l’applicazione più nota di questa tecnologia, aveva subito una perdita di dati lo scorso 20 marzo.
Dati che riguarderebbero le chat create dagli utenti nell’interrogazione dell’Intelligenza artificiale e anche le informazioni relative al pagamento per gli abbonati al servizio premium.
Tuttavia, al momento in cui scriviamo il servizio risulta ancora disponibile.
Cosa contesta il Garante a ChatGPT
Causa dello stop a ChatGPT sarebbe la mancanza di una informativa puntuale agli utenti e agli utilizzatori i cui dati vengono raccolti da una società che ha sede fuori dalla Comunità Europea (OpenaAI, appunto) e l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali.
Stop a ChatGPT: la questione anagrafica
Altro punto dolente su cui si basa lo stop a ChatGPT da parte del Garante è la protezione dei più giovani: nonostante il servizio sia rivolto ai maggiori di 13 anni, non esiste in realtà alcun filtro di verifica per evitare che chi non raggiunge questa soglia utilizzi il servizio.
Che succede ora
Ora OpenAI avrà 20 giorni di tempo per comunicare al Garante le misure intraprese in attuazione di quanto richiesto, pena una sanzione pena una sanzione fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato globale annuo.
L’azienda, che non ha una sede nell’Unione, ha però designato un rappresentante nello Spazio economico europeo.
Il commento di Massimiliano Masnada, Partner di Hogan Lovells
«L’intervento del Garante anzitutto sembra contestare a ChatGPT la mancanza di trasparenza, intesa come mancanza di informativa agli utenti rispetto alle finalità e modalità del trattamento dei dati personali eventualmente comunicati.
Il provvedimento, inoltre, richiama la necessità che sia individuata una base giuridica rispetto alla legittimità del trattamento da parte di OpenAI dei dati personali eventualmente raccolti dagli utenti. Infine, il Garante lamenta una mancanza di trasparenza sui filtri e altri meccanismi adottati da ChatGPT per impedire ai minori di 13 anni di utilizzare il servizio. Quest’ultimo punto, peraltro, accomuna l’intervento del Garante nei confronti di ChatGPT a quello che, a suo tempo, fece nei confronti di TikTok.
Il provvedimento odierno, che – va ricordato – ha natura temporanea di blocco del trattamento ma non implica necessariamente un divieto definitivo all’uso del servizio, pone numerose riflessioni, al di là delle misure specifiche che saranno intraprese da OpenAI per superare il blocco del Garante, sul futuro dei meccanismi di AI e su quanto è necessario fare per creare una cultura di legalità rispetto al loro utilizzo.
Non bastano, ad opinione di chi scrive, i pur necessari meccanismi di privacy by design e privacy by default ovvero i controlli e i rimedi per tutelare la privacy degli interessati, specie se minori. Occorre creare una nuova cultura tecnologica che si fondi sull’etica e sul rispetto dei diritti fondamentali.
Non è questo il luogo, né sarei in grado di dare indicazioni e, tanto meno, soluzioni, certo che un certo tipo di “pessimismo di maniera” connesso all’evoluzione degli strumenti tecnologici alimenta solo la paura e la preoccupazione senza essere utile in alcun modo a sviluppare una cultura della legalità.
Occorre, a mio parere, abbracciare il progresso pur mantenendo lo spirito critico necessario per evitare usi distorti e dannosi. In tal senso, credo sia importante diffondere informazioni in modo quanto più neutro possibile, raccogliere preoccupazioni e opinioni, porre i problemi per cercare le soluzioni.
Tutto ciò non può prescindere da un dati incontrovertibile. I dati, a prescindere che siano personali o meno, sono il carburante necessario per lo sviluppo di meccanismi di AI come ChatGPZ.
L’accesso ai dati consente di avere algoritmi più precisi ed idonei all’utilizzo per migliorare la vita delle persone. Il loro deve avvenire in modo sicuro ed etico. Per fare ciò non bastano i divieti.
Un primo passo, in tale senso, sarà la corretta implementazione delle regole sul riuso dei dati che sono alla base del Data Governace Act, di prossima entrata in vigore, e del successivo Data Act.
La giostra è appena partita».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/03/stop-chatgpt.jpg470841Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-03-31 15:11:222023-04-11 12:55:51Stop a ChatGPT in Italia: il Garante della Privacy apre un'istruttoria
L’eCommerce non si ferma: dopo un fatturato globale di 5,7 trilioni di dollari nel 2022 (di cui l’Italia ha generato 48,1 miliardi, con il +20% rispetto al 2021), le previsioni per il 2023 sono ancora al rialzo, stimando 6,51 trilioni di dollari per l’anno in corso.
Una crescita che non accenna a fermarsi, con gli eCommerce che occupano sempre più spazio nell’ecosistema del retail B2C: il 20,8% delle vendite totali nel 2022, con proiezioni al 23% per il 2025.
In questa cornice, le possibilità per aziende e attori fintech si moltiplicano, grazie anche alle opzioni offerte dal commercio online, come social commerce, live commerce e pagamenti pay-by-link.
Tra le principali motivazioni di abbandono, gli utenti citano la scarsa affidabilità trasmessa dalla pagina di pagamento e problemi durante la transazione, come, per esempio, tentativi di pagamento molteplici.
Per questo motivo, Payplug ci ha consigliato 5 modalità per guadagnare la fiducia del cliente e rendere il proprio eCommerce sicuro e competitivo, dalla personalizzazione dell’esperienza lungo tutta la customer journey, fino alla protezione dei dati del cliente e a esperienze calibrate su ogni diverso device.
Secondo dati raccolti da Payplug, infatti, un cliente appagato della propria esperienza è portato a spendere di più, con valori medi per i carrelli su mobile superiori di 21 euro a quelli effettuati da desktop.
Il 39% degli utenti, invece, afferma di preferire il pagamento rateizzato del proprio acquisto, modalità che può portare a un aumento complessivo del valore del carrello del 45%.
I consigli per conquistare la fiducia dei clienti sul nostro eCommerce
1 – Rendere l’esperienza fluida e device-specific
Con il 51% delle transazioni effettuate su device mobili, fornire al cliente un’esperienza fluida e agevole, personalizzata su ogni diverso dispositivo, permette di fidelizzarlo maggiormente e portarlo a concludere l’acquisto con più facilità.
Un’accortezza che giova anche al merchant, in quanto il valore medio di un carrello mobile è superiore a quello “riempito” tramite desktop: 71 euro contro 50 euro.
In questo senso, sarà inoltre prezioso dotarsi di gateway di pagamento che possano connettersi simultaneamente a diversi PSP (Payment Service Providers) ed, eventualmente, ritentare immediatamente un pagamento che, per mancata comunicazione con il server, non sia andato a buon fine al primo tentativo.
2 – Permettere al cliente di scegliere la modalità di pagamento sul nostro eCommerce
Nel 2023, la personalizzazione dell’esperienza di acquisto di ogni cliente passerà anche per la scelta del metodo di pagamento preferito (carta di credito, wallet, etc).
Secondo i dati raccolti da Payplug, il 50% degli acquirenti desidera poter pagare attraverso modalità one-click, utilizzando dunque dati di pagamento pre-memorizzati e conservati in tutta sicurezza sul sito.
Il 39%, invece, preferisce effettuare un pagamento rateizzato secondo la modalità Buy Now, Pay Later che conduce a un aumento medio del 45% sul valore di partenza del carrello, traducendosi in un +10% di volume di affari annuo del merchant.
3 – Personalizzare le vendite grazie all’omnicanalità
L’approccio omnicanale al retail eCommerce, che offre al consumatore molteplici strade con cui interagire con il merchant e completare la propria esperienza di acquisto, sarà uno dei maggiori trend per gli acquisti online del 2023. Infatti, il 70% delle aziende medio-grandi lo considera una direzione obbligata per lo sviluppo strategico del proprio business.
Ciò si traduce in ulteriori opportunità di vendita personalizzata, e dunque in una maggiore fidelizzazione del cliente verso il merchant. Scegliere correttamente il proprio partner di gestione dei pagamenti digitali significherà quindi maggiori opportunità per la propria azienda, e maggiore soddisfazione da parte dei clienti.
4 – Creare una pagina di pagamento chiara e sicura
Un primo aspetto riguarda la personalizzazione della pagina di pagamento abbinata al template del proprio eCommerce, includendo elementi che richiamino l’identità visiva del merchant.
Inoltre, sarà opportuno inserire sia i loghi ufficiali dei sistemi di pagamento utilizzati, sia appositi loghi a certificare la sicurezza della pagina stessa.
Infine, meglio non reindirizzare l’utente a una pagina esterna al momento dell’inserimento dati e conferma acquisto, ma integrare questo passaggio nella pagina principale attraverso una lightbox in sovrimpressione.
5 – Usare le recensioni come passaparola
Anche nell’era della connessione online, il passaparola si rivela uno strumento prezioso per far crescere la reputazione del proprio business, fidelizzare i consumatori e ampliare il proprio parco clienti, proprio a partire dalla fiducia pregressa di altri clienti.
Come rivelato da alcuni dati di Trustpilot, le recensioni condivise con altri utenti a seguito di un acquisto o un’esperienza sono ormai parte integrante del customer journey, e dunque influenzeranno positivamente – o negativamente – gli altri utenti.
Ciò è vero per il 93% dei consumatori, che affermano che le loro decisioni in materia di acquisti online sono influenzate dai feedback di altri peer.
L’89%, invece, afferma di consultare recensioni preesistenti prima di effettuare un acquisto, mentre il 75% si aspetta, al termine del ciclo di acquisto, di poter condividere le proprie impressioni con gli altri utenti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/03/ecommerce-consigli.jpg6701003Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-03-31 10:30:022023-03-31 15:25:195 consigli per aumentare la fiducia dei clienti del tuo eCommerce
In una lettera aperta, Elon Musk e un gruppo di esperti di intelligenza artificiale e dirigenti del settore chiedono una pausa di sei mesi nello sviluppo di sistemi più potenti dell’appena lanciato GPT-4 di OpenAI, citando potenziali rischi per la società. Ma mettere in pausa le intelligenze artificiali è davvero possibile?
“I potenti sistemi di intelligenza artificiale dovrebbero essere sviluppati solo quando saremo sicuri che i loro effetti saranno positivi e i loro rischi gestibili“, si legge nella lettera pubblicata dal Future of Life Institute.
L’organizzazione non profit è finanziata principalmente dalla Musk Foundation, dal gruppo londinese Founders Pledge e dalla Silicon Valley Community Foundation.
La lettera per la pausa delle Intelligenze Artificiali
“L’intelligenza artificiale mi spaventa“, ha dichiarato Musk all’inizio del mese, anche se è uno dei co-fondatori dell’azienda leader del settore OpenAI e la sua casa automobilistica Tesla utilizza l’IA per il sistema di pilota automatico.
Cosa chiede Elon Musk per l’Intelligenza Artificiale
Musk ha chiesto un’autorità di regolamentazione per garantire che lo sviluppo dell’IA serva l’interesse pubblico, iniziando con il mettere in pausa le intelligenze artificiali.
“È profondamente ipocrita che Elon Musk firmi, visto quanto duramente Tesla ha combattuto contro le responsabilità per l’IA difettosa delle sue auto a guida autonoma“, ha dichiarato James Grimmelmann, professore di diritto digitale e dell’informazione alla Cornell University. “Una pausa è una buona idea, ma la lettera è vaga e non prende sul serio i problemi normativi“.
Il mese scorso Tesla ha dovuto richiamare più di 362.000 veicoli statunitensi per aggiornare il software dopo che le autorità di regolamentazione americane hanno affermato che il sistema di assistenza alla guida potrebbe causare incidenti, spingendo Musk a twittare che la parola “richiamo” per un aggiornamento software over-the-air è “anacronistica e semplicemente sbagliata!“.
OpenAI non risponde alla lettera di Musk
OpenAI non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento sulla lettera aperta, che esorta a sospendere lo sviluppo di IA avanzate fino a quando non saranno sviluppati protocolli di sicurezza condivisi da esperti indipendenti e invita gli sviluppatori a lavorare con i responsabili politici sulla governance.
“Dovremmo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità? … Dovremmo sviluppare menti non umane che potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti, renderci obsoleti e sostituirci?“, si chiedeva nella lettera, affermando che “tali decisioni non devono essere delegate a leader tecnologici non eletti“.
La lettera è stata firmata da oltre 1.000 persone, tra cui Musk. Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, non era tra i firmatari della lettera. Anche Sundar Pichai e Satya Nadella, CEO di Alphabet e Microsoft, non hanno firmato.
Tra i cofirmatari figurano l’amministratore delegato di Stability AI Emad Mostaque, i ricercatori di DeepMind, società di proprietà di Alphabet, e i pesi massimi dell’IA Yoshua Bengio, spesso definito uno dei “padrini dell’IA”, e Stuart Russell, un pioniere della ricerca in questo campo.
Le preoccupazioni arrivano mentre ChatGPT attira l’attenzione dei legislatori statunitensi con domande sul suo impatto sulla sicurezza nazionale e sull’istruzione. Lunedì la polizia dell’UE Europol ha messo in guardia sul potenziale uso improprio del sistema nei tentativi di phishing, disinformazione e criminalità informatica.
Dal suo rilascio l’anno scorso, ChatGPT di OpenAI ha spinto i rivali ad accelerare lo sviluppo di modelli linguistici simili di grandi dimensioni e le aziende, tra cui Alphabet Inc, stanno correndo per arricchire i loro prodotti con l’IA.
Gli investitori, diffidenti nell’affidarsi a un’unica azienda, stanno abbracciando i concorrenti di OpenAI.
Microsoft ha rifiutato di commentare la lettera e Alphabet non ha risposto alle chiamate per un commento.
“Gran parte del potere di sviluppare questi sistemi è stato costantemente nelle mani di poche aziende che hanno le risorse per farlo“, ha detto Suresh Venkatasubramanian, professore alla Brown University ed ex assistente del direttore dell’Ufficio della politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/07/Elon-Musk.jpg5241000Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-03-30 13:00:492023-03-30 10:36:40Elon Musk chiede una pausa sulle Intelligenze Artificiali: possono renderci obsoleti
Anche se la libreria “gtag.js” è la stessa usata per la versione precedente, i dati vengono misurati con un nuovo sistema basato unicamente sugli eventi.
La raccolta dei dati sulle proprietà UA standard terminerà il 1° luglio 2023, quindi tutti gli oltre 28 milioni di utenti freemium di Google Analytics dovranno passare a Google Analytics 4 entro tale data.
Google Analytics 4 è invece costruito attorno a una struttura molto flessibile per cui tutti i tipi di interazione degli utenti sono considerati eventi, e posti tutti sullo stesso piano.
HIT UA
EVENTO GA4
Visualizzazione di pagina
Evento
Evento
Evento
eCommerce
Evento
Interazioni social
Evento
Tempo utente
Evento
Eccezioni
Evento
Visualizzazione schermata (app)
Evento
La timeline per il passaggio a GA4
Marzo 2023
Se non hai già creato una proprietà GA4, Google ne creerà una per te, a meno che non sia tu a scegliere espressamente di non farlo.
Fino al 1° luglio 2023
Gli utenti possono continuare a utilizzare e raccogliere nuovi dati nelle loro proprietà Universal Analytics.
Dopo il 1° luglio 2023
Gli utenti possono accedere ai dati Universal Analytics elaborati in passato per almeno sei mesi e sono invitati a esportare tutti i rapporti storici in questa fase.
Cosa succede con GA4 ai dati raccolti con Google Analytics 3
I dati storici di UA non saranno copiati in GA4: ci sarà una completa tabula rasa di tutte le informazioni raccolte nel tempo (ed è per questo che viene raccomandata l’esportazione).
GA4 renderà le attività di analisi dei dati più conformi alle leggi sulla privacy dell’UE, ma non saremo più in grado di seguire il comportamento degli utenti nello stesso modo di prima.
Mentre molti discutono sul futuro del gigante della ricerca, è consigliabile passare a GA4 finché UA è ancora disponibile. Questo aiuterà a costruire i dati storici e l’esperienza d’uso necessari per garantire la continuità una volta che Universal Analytics non sarà più disponibile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2023/03/ga4-goole-analytics.jpg6631008Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2023-03-30 10:30:292023-03-31 10:36:02GA4: la timeline del passaggio da UA a Google Analytics 4
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