La violenza verbale sui social si accanisce sulle donne che non fanno scelte dettate dalla società.
Rakete, Botteri, Romano sono solo alcune vittime del bullismo verbale.
Il manifesto della comunicazione non ostile contro la violenza delle parole.
Il body shaming spesso si presenta travestito da battuta. L’aspetto fisico è ancora oggi un metro di misura diffuso per giudicare se stessi e gli altri. Purtroppo al giorno d’oggi vige la convinzione che magrezza e bellezza sono requisiti fondamentali per avere successo. Il bullismo verbale crea vergogna in coloro che lo subiscono, che a sua volta può scatenare depressione e comportamenti compulsivi.
I commenti sulle donne professioniste spesso vertono sull’apparenza e raramente sui contenuti. Apprezzamenti, battute o insulti, poco importa: il corpo fa discutere più dell’intelletto.
In società maschiliste e populiste emerge una diffusa difficoltà nel ritenere il sesso femminile capace di svolgere determinati incarichi o di occupare posizioni di potere. Abituati a veline, vallette, schedine, Miss Italia ecc., il corpo della donna si riduce ad oggetto di facile giudizio agli sguardi pubblici. La tv diventa veicolo di stereotipi di genere ed alimenta luoghi comuni. Succede dunque che grazie a questo mondo non rappresentativo della società si diffondono rigidi canoni di bellezza. I leoni da tastiera criticano a prescindere:
“In Italia le donne vengono criticate qualunque cosa facciano. Se sei intellettuale, ti criticano perché sei una maestrina. Se ti occupi di moda ti criticano perché sei troppo superficiale, se sei brutta ti criticano perché sei brutta e se sei bella ti criticano perché sei troppo bella”
Spesso dietro l’odio si nasconde la paura di ciò che è ignoto, perché in fondo la figura della donna forte e libera non è ancora radicata nella nostra società. Se guardiamo indietro non sono pochi gli esempi di body shaming avvenuti negli ultimi mesi: Carola Rakete si è fatta carico della vita di molte persone. Cercando un porto sicuro nelle acque italiane, ha finito poi per essere insultata per i suoi capelli, le ascelle non depilate e il reggiseno non indossato sotto la maglietta.
Poi c’è Silvia Romano: partita per il Kenya ad aiutare il prossimo, sequestrata per 18 mesi, dopo la liberazione si è ritrovata a sua volta messa alla gogna dal terrorismo mediatico. Lì dove dovrebbe sentirsi libera non lo è. Imprigionata dall’odio trasmesso da una fetta d’Italia che non ha saputo accoglierla, accusandola tra l’altro di indossare un velo ed essersi convertita all’Islam.
O ancora la giornalista Giovanna Botteri: poco importano gli innumerevoli riconoscimenti ed i 25 anni di lavoro in zone di guerra, il suo look rimane tema di numerosi commenti sui social. In una recente intervista sulle pagine del Corriere della Sera, la giornalista afferma:
“In generale il problema è quando si confondono i piani, quando la tua immagine diventa notizia. Noi raccontiamo, non siamo quelli che devono essere raccontati: se la donna da soggetto diventa oggetto del racconto c’è qualcosa di sbagliato. I problemi sono sempre legati all’immagine: la giornalista che fa tv non dovrebbe mai rispondere a una serie di canoni legati al suo essere donna piuttosto che giornalista”
Autorevolezza delle donne, qualità, rigore umano e professionale, impegno, non sono una questione d’immagine. Ha ragione #GiovannaBotteri quando invita ad aprire una discussione seria su come ribaltare codici e aspettative.
Il mio blog per @ilriformistahttps://t.co/155uxK794f
Rakete, Romano e Botteri sono solo alcuni esempi dove l’intelletto e l’esperienza sono passati in secondo piano a favore del body shaming. Armandosi di superficialità, c’è chi non è riuscito e non riesce a guardare oltre. Anche nelle realtà più piccole, al di fuori dei grandi riflettori, non mancano episodi di bullismo verbale. Recentemente, in provincia di Bolzano, la capogruppo dei Verdi, Brigitte Foppa, è stata presa di mira da una lettera anonima che insultava lei ed i suoi capelli (!). Nell’intervista con il quotidiano Alto Adige afferma:
“Sono anni che sento parlare dei miei capelli, troppo lunghi, troppo ricci, brizzolati o colorati. Il punto è che disturbiamo.”
Contrastare il body shaming: il manifesto della comunicazione non ostile
Le parole hanno un peso e lo dimostra anche Parole O_Stili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. Il loro manifesto è composto da dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere parole giuste, per non dare etichette, isolare o ferire.
Il manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale
Educazione e prevenzione costruiscono le basi per combattere le discriminazioni, il body shaming e la grassofobia. Sul sito di Paroleostili sono disponibili vari materiali didattici e informazioni per approfondire il tema. Le parole pungono, gli insulti feriscono. Scegliamo con cura le parole che diciamo (e non diciamo)!
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/body-shaming-ninja.jpg10801977Marina Nardonhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMarina Nardon2020-06-19 10:58:582020-06-22 09:14:53Body shaming e insulti contro le donne forti: come colpiscono i leoni da tastiera
Su TikTok è in arrivo un programma a lungo termine che riunisce esperti, associazioni, educatori, creator con abilità e competenze differenti per creare un ecosistema di contenuti di taglio educativo.
Dallo sport alla cucina, dall’arte al lifestyle, dai tutorial ai life hack, i contenuti didattici hanno già totalizzato oltre 225 milioni di visualizzazioni solo in Italia.
Gallerie degli Uffizi, Unione Nazionale Consumatori, i celebri chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara, l’associazione no-profit Diversity tra i primi partner.
La piattaforma per video brevi da dispositivi mobili si evolve, andando ad ampliare e diversificare i suoi contenuti con video di taglio educativo e didattico, che si affiancano a quelli di intrattenimento.
La costante condivisione e infusione di conoscenze ha visto un considerevole aumento in piattaforma, specialmente nell’ultimo periodo, conseguenza della naturale evoluzione di TikTok che ha rivelato la sua potenzialità, diventando una sorta di enciclopedia virtuale da tenere comodamente nel palmo della mano, rendendo l’apprendimento accessibile e sfruttando al contempo l’incredibile creatività dei suoi utenti.
Nasce così il programma #ImparaConTikTok, volto a divulgare i video didattici, dalla letteratura allo sport, dalla musica al lifestyle, dalla cucina ai viaggi, fino alle questioni sociali. Sono, infatti, innumerevoli i contenuti condivisi dai creator che coprono una vasta gamma di categorie, tanto che il tag ufficiale conta già oltre 225 milioni di visualizzazioni e nell’ultimo periodo è tra i hashtag più popolari su TikTok.
Chi ha già aderito al programma di TikTok
Un cambio significativo di direzione per TikTok, come ha commentato anche Rich Waterworth, TikTok General Manager EU: “Fin dal suo lancio, nel 2018, TikTok è rapidamente diventata una destinazione di riferimento per l’intrattenimento in video pillole brevi. Ora, il nostro obiettivo è costruire su questa eredità, riunendo sulla stessa piattaforma divertimento e apprendimento, offrendo così alla nostra community un ecosistema ricco e diversificato di contenuti”.
In Italia, tra i primi ad aver accolto con entusiasmo l’iniziativa:
le Gallerie degli Uffizi di Firenze (@uffizigalleries), primo e unico museo italiano a partecipare alla Settimana dei Musei su TikTok con una diretta streaming, che avvicina all’arte con i suoi video ricchi d’inventiva e spiccato senso dell’umorismo anche le generazioni più giovani.
L’Unione Nazionale Consumatori (@massimilianodona) che proprio in questi giorni con #cucinasenzasprechi sta favorendo la conoscenza del tema dello spreco alimentare su TikTok.
L’associazione no-profit Diversity, presieduta da Francesca Vecchioni, che attraverso i video di TikTok promuoverà la valenza positiva della diversità, una concezione del mondo che valorizzi appieno l’importanza delle differenze e della molteplicità, patrimonio prezioso per tutti e tutte.
Si aggiungono anche alcune delle celeb più popolari su TikTok che già realizzano i contenuti didattici nel proprio stile personale ed inconfondibile, come gli chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara.
Tra i creator più amati e rappresentati di #ImparaConTikTok c’è Aurora Cavallo, meglio nota come @cooker.girl: soli 18 anni, ma una passione travolgente per il mondo della cucina condivisa in brevi pillole da 60 secondi che le hanno permesso di avere un seguito di oltre 150 mila follower in pochi mesi.
Marco Martinelli, @marcoilgiallino, scienziato e cantante, rende la scienza e la chimica semplice e accattivante, mostrando curiosità e semplici esperimenti da rifare a casa.
Sulla piattaforma trovano spazio anche contenuti volti all’insegnamento e alla scoperta delle lingue straniere: le porte della Cina e della cultura cinese si spalancano con i video di Liz (@lizsupermais), mentre sono Norma (@normasteaching) e The Cool Professor (@thecoolprofessor) a svelare i segreti dell’inglese.
Lucia Andreoli (@luciaandreoli), invece, trasforma stoffe e vecchi tessuti in splendidi abiti:così anche il cucito viene riscoperto diventando la più social e affascinante delle materie.
“Vorremmo che le persone arrivassero su TikTok non solo per il divertimento, ma per imparare qualcosa di nuovo, acquisire una nuova abilità o semplicemente essere ispirati a fare qualcosa di nuovo, che non avevano mai fatto prima”, aggiunge Rich Waterworth.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/tiktok.jpg552827Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-06-18 17:26:102020-06-18 17:30:52Nasce #ImparaConTikTok, il programma che unisce apprendimento e divertimento
Nel momento in cui le proteste infiammano gli Stati Uniti e il mondo intero, nell’occhio del ciclone sono finiti anche noti brand.
Aunt Jemina, Uncle Ben e Cream of Wheat da sempre utilizzano “testimonial” afroamericani stereotipati.
Queste immagini sorridenti e compiacenti servirono agli albori dei marchi per edulcorare la realtà della schiavitù.
Nel momento in cui sto scrivendo questo post, sui social ha trovato terra fertile una nuova ondata di sgomento: HBO Max ritira“Via col Vento” – momentaneamente e per permettere l’inserimento un disclaimer che sia in grado di contestualizzare l’epoca storica nel quale è ambientato il film (che probabilmente verrà fatto da un esperto di storia e cultura afroamericana) – un classicone della filmografia mondiale.
La decisione del broadcaster è dovuta all’impatto globale che hanno avuto l’insensato omicidio di George Floyd e le manifestazioni mondiali nate in seno al movimento attivista internazionale Black Lives Matter (movimento che non nasce dall’omicidio Floyd ma in risposta all’assoluzione dell’assassino di Trayvon Martin, vi rimando al sito ufficiale dell’associazione per conoscerne meglio la storia).
Sotto accusa anche le opere d’arte: primo bersaglio diverse statue di schiavisti e coloni che sono state abbattute negli U.S.A. (anche quella di Cristoforo Colombo) e nuovi bersagli in tutto il mondo. A Milano viene messa in discussione (e imbrattata) la statua di Indro Montanelli, ubicata nel parco stesso che porta il suo nome, mentre a Londra pare abbiano già messo sotto teca protettiva quella di Winston Churchill in attesa delle prossime manifestazioni.
Ma mentre il dibattito verte su censura vs atto obbligato, il problema razziale nella cultura e nell’intrattenimento si esaurisce qui?
Personalmente ritengo che la storia non vada né revisionata né cancellata; sarà banale ma da lei si può solo imparare e migliorare, ma per farlo bisogna conoscerla. E l’intento di questo post non è quello di sposare uno schieramento ma fare luce proprio sulla storia di tre particolari loghi.
Alla fine la pubblicità è anche cultura, quella in cui nasce e quella che crea.
Cosa succede nella comunicazione dei brand?
Nei giorni scorsi molti brand, nazionali, internazionali, grandi o piccoli hanno preso posizione soprattutto sui social, dove (spesso senza contesto e slegati da qualsiasi narrazione di marca) sono state pubblicate immagini completamente nere, a sostegno della protesta.
E mentre la catena di supermercati svizzera Migros ritira dagli scaffali i “Moretti”, c’è anche chi con la “nostalgia” e sulla mitizzazione decontestualizzata dei suoi testimonial, soprattutto sugli scaffali dei mass market, continua a contribuire alla consistenza di alcuni brand.
C’è chi cambia e chi no: da Land O’Lake ad Aunt Jemina
Il brand Land O’Lakes ha scelto di eliminare la donna nativa americana che offre del burro dal suo logo, segnando la fine di una testimonial controversa con quasi 100 anni di storia alle spalle, eliminando una “testimonial scomoda”, soprattutto alla luce della sempre maggiore presa di coscienza da parte del pubblico.
Ma quelli che probabilmente sono gli esempi più eclatanti di testimonial che potrebbero (o dovrebbero?) essere discussi sono tre: Aunt Jemina, Cream of Wheat e Uncle Ben, brand creati in un anfratto della storia, tra la Guerra Civile americana e il Civil Right Act.
Scott vs. Sandford: quando stereotipo e discriminazione nascono in un’aula di tribunale
Facciamo un passo indietro: perché questi tre brand dovrebbero essere incriminati, perché utilizzano testimonial di colore? No, è perché hanno pescato a piene mani negli stereotipi razziali, tutto in regola e con il pieno favore della legge.
Secondo un post pubblicato nel blog dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture, l’incentivo all’utilizzo di figure caricaturali nella cultura popolare a danno della comunità afroamericana (inclusa la Mami interpretata da Hattie McDaniel e della quale Aunt Jemina è un’omologa), affonda le sue radici nelle aule di un tribunale.
Gli stereotipi sugli afroamericani sarebbero infatti cresciuti dopo la decisione – nel 1857 – del giudice della Corte Suprema Roger B. Taney, che nel caso “Dred Scott vs. Jhon F.A. Sandford”, sentenziò che le persone di origine africana non fossero cittadini statunitensi e non avessero diritto di adire a un tribunale federale.
La storia di Aunt Jemina
Ieri, , stando a quanto riportato da Usa Today, la Quacker Oats, proprietaria del brand, ha ritirato dal mercato il logo che – per sua stessa ammissione – rappresenta uno stereotipo razzista.
“Zia Jemina” è una vera e propria istituzione in America che nasce dalla tradizione orale, e che è stata resa popolare dagli spettacoli per menestrelli dopo la Guerra Civile.
Marilyn Kern-Foxworth nel suo libro “Aunt Jemina, Uncle Ben and Rastus, Black in advertising, Yesterday, Today and Tomorrow”, scrive proprio che uno dei soci fondatori di Aunt Jemina ne sentì la storia da un menestrello nel 1889.
Vista la sua data di nascita possiamo dire che questo è il capostipite dei tre brand dei quali vogliamo parlare, e quello con il seguito più interessante: come si diceva qualche riga più in lato, Aunt Jemina rappresenta lo stereotipo della governante-nutrice di colore, la stessa Mami di Via col Vento.
Il personaggio venne interpretato per la prima volta nel 1890 da Nancy Green, che il Brand descriveva come una “narratrice, una cuoca e una lavoratrice”, sorvolando sul fatto che fosse nata schiava nel Kentucky del 1834.
Successivamente il ruolo venne affidato ad altre donne: Anna Robinson, il cui retroscena è poco chiaro ma pare che il brand dichiarò che dopo aver viaggiato negli Stati Uniti in lungo e in largo fosse stata i grado di acquistare una casa da 22 camere (ha fatto i soldi insomma), a cui seguirono altre donne per poi arrivare all’attrice Aylene Lewis, che veste i panni di Aunt Jemina in un ristorante del Brand a Disneyland dove “serve” frittelle e “posa” per le foto con gli ospiti.
…E Mrs. Butterworth’s?
Strano, è anche lei una governante, tenera, sorridente e di colore. Ed anche lei è immortalata su una bottiglia di sciroppo per pancake, di un brand facente parte del colosso CPG Unilever che lo acquistò nel 1961 e più recentemente passata sotto il controllo di Conagra.
Interpellati pochi mesi fa da AdWeek, in una mail di risposta Dan Skinner – responsabile della comunicazione del brand – scriveva: “Non abbiamo mai discusso della razza, della religione o dell’etnia di Mrs. Butterworth’s, se non per dire che è materna e conosciuta in tutto il mondo per il suo delizioso sciroppo”. (Nel momento in cui questo post è stato redatto pare che anche Mrs. Butterworth’s sarà ritirato dal mercato o subirà un rebranding).
Cream of Wheat
Passarono pochi anni dalla nascita di Aunt Jemina quando un brand di cereali, Cream of Wheat, iniziò a usare un’immagine molto simile per sponsorizzare il suo prodotto.
In un post del 2013, Kirsten Delegard co-founder del Mapping Prejudice Project presso l’Università del Minnesota, dichiara che Emery Mapes, il fondatore di Cream of Wheat, disegnò la sua confezione scegliendo come modello un ex schiavo, “Rastus”, fondamentale per il successo di questo prodotto.
Ma dell’immagine controversa utilizzata da Cream of Wheat ne parlò, in un saggio del 2000, anche David Pilgrim – professore di Sociologia alla Ferris State University – nel quale afferma che Mapes, ex tipografo, trovò l’immagine di un cuoco nero in un vecchio album. Solo negli anni ’20 del secolo scorso, Mapes diede 5 dollari ad un cameriere di colore perché posasse per il suo logo.
Lo Chef di Cream of Wheat è sicuramente la rappresentazione stereotipata più longeva di quello che viene chiamato “lo Zio Tom”, risalente al romanzo del 1852 La capanna dello Zio Tom.
Molto interessante quello che lo Smithsonian scrive in merito:
Lo stereotipo dello Zio Tom ha una natura sottomessa, obbediente e in cerca della costante approvazione bianca.
Nel suo saggio Pilgrim aggiunge che la caricatura di Tom, come quella di Mami, nasce nel periodo pre-bellico in difesa della schiavitù.
Come potrebbe essere sbagliata la schiavitù – sostennero i suoi sostenitori – se i servi neri, i maschi (Tom) e le femmine (Mami), se sono così felici e leali? – David Pilgrim
Ed è proprio questo il punto fondamentale, quello a cui dobbiamo puntare non è il revisionismo odierno ma quello che è stato fatto in passato per “rendere più piacevole”, appianare il disgusto, di fronte ad uno degli atti peggiori compiuti dall’umanità.
Uncle Ben
Secondo il brand, il nome “Uncle Ben” venne adottato nel 1946, solo quattro anni dopo che Forrest Mars – figlio di Frank Mars, il magnate americano che fondò l’omonima compagnia – acquistò i diritti per un riso parboiled facile da cucinare.
Sul sito ufficiale “il nome dello zio Ben deriva da un contadino nero texano, conosciuto appunto come Zio Ben, che coltivava riso così bene che la gente lo rese uno standard d’eccellenza. Il signore così orgoglioso e dignitoso che ha impersonificato i nostri prodotti era un amato Chef e cameriere di Chicago che si chiamava Frank Brown”.
Anche in questo caso, la storia però dipinge un quadro nettamente diverso: Ronald LF Davis, professore alla California State University, Northridge, nel suo articolo “Racial Etiquette: The Racial Customs and Rules of Racial Behaviour in Jim Crow America”, fa notare come gli uomini di colore fossero chiamati “Boy”, “Uncle” e “Old Man” per “indicarne l’inferiorità durante l’era di Jim Crow”, periodo di segregazione e discriminazione seguito alla Guerra Civile e che perdurò fino al Civil Right Act del 1964.
Oltre al naming, il New York Times sottolinea che la raffigurazione di Uncle Ben, munito di papillon evocava i servi e i facchini dei pullman, tutti uomini afroamericani, alcuni di loro ex schiavi, che servirono i passeggeri bianchi sui vagoni ferroviari dal 1860 al 1960.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Black-Lives-Matter-anche-in-pubblicità-o-ci-sono-ancora-brand-in-odore-di-nostalgia_aunt-jemina.jpg8001600Roberta Leonehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRoberta Leone2020-06-18 13:12:072020-06-22 21:59:59Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)
Coca-Cola ha firmato come partner di lancio esclusivo di #BeApp, una nuova piattaforma di streaming musicale che integra elementi di gaming e social media nell’esperienza di virtual concert-viewing.
L’app ospita le Coke Studio Sessions, una serie performance di artisti di alto profilo come Katy Perry, Miguel, Steve Aoki.
Con questa partnership, Coca-Cola cerca di prendere il controllo di quello che potrebbe essere uno dei principali trend globali: l’interesse crescente per i concerti virtuali.
Recentemente, Coca-Cola e #BeApp, una nuova piattaforma di virtual concert-viewing,hanno annunciato il lancio delle Coke Studio Sessions, un progetto esclusivo di spettacoli musicali in streaming per sessanta giorni consecutivi.
Le performance coinvolgono oltre 100 artisti in tutto il mondo, tra cui Katy Perry, Anitta, DJ Khaled, Bebe Rexha, Miguele Steve Aoki.
Alla scoperta di #BeApp
#BeApp è una nuova piattaforma di social streaming che democratizza l’accesso live alle performance dei migliori artisti, e ai più grandi spettacoli e show musicali, portando le star più amate direttamente a casa del pubblico, in una sorta di salotto virtuale globale.
Scaricabile gratuitamente, l’app consente di sintonizzarsi su una serie di esperienze virtuali immersive, paragonabili a quelle dei concerti e dei festival dal vivo.
Essa, inoltre, integra elementi di gaming e social media al livestreaming, consentendo agli utenti di divertirsi, fare acquisti, donazioni e interagire con i loro artisti preferiti.
Tra le principali funzionalità accessorie di #BeApp, ricordiamo:
Condivisione in-app – una funzione di condivisione che incoraggia gli utenti a invitare amici e parenti a unirsi a loro durante il livestreaming dei concerti.
Valuta / Punti – le interazioni e le condivisioni su #BeApp fanno guadagnare agli utenti punti e valuta in-app che possono essere riscattati attraverso premi, upgrade di funzionalità e molto altro. Tra i premi, i “posti in prima fila”, che offrono ai fan una maggiore presenza digitale durante il livestreaming.
Donazioni – il pubblico ha la possibilità di fare una donazione al Movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa per sostenere la battaglia contro il Covid-19.
L’impegno contro il Covid-19
Secondo il co-fondatore Ray Smith, “#BeApp è stato progettato per connettere gli amanti della musica e dei concertidal vivo. Le persone hanno bisogno di quella connessione ora più che mai”.
Ricardo Fort di Coca-Cola ha dichiarato: “Molti potrebbero sentirsi soli o isolati a causa della pandemia. Noi ci siamo impegnati a rafforzare lo spirito umano e favorire la connessione in un periodo difficile. Con 60 giorni di contenuti musicali live interattivi, i fan possono divertirsi e condividere le proprie esperienze. Il nostro auspicio è che le Coke Studio Sessions siano piccoli momenti di intrattenimento quotidiano per coloro che attraversano la fase del new normal”.
Durante tutto il periodo di programmazione delle performance, i fan avranno l’opportunità di fare donazioni al Movimento Internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna Rossa per sostenere la lotta contro il Covid-19.
A tal fine, Coca-Cola Foundation ha già donato oltre 14 milioni di dollari in tutto il mondo, a cui si aggiungono le donazioni degli utenti che finora si attestano su un totale collettivo di 3 milioni di dollari.
La scommessa di Coca-Cola
Con l’esclusiva partnership, Coca-Cola punta in modo chiaro su quello che è oggi dei principali trend globali.
L’emergenza Covid-19 ha portato alla sospensione di concerti e festival musicali. Per questo, sempre più artisti fanno ricorso alle app di streaming per coinvolgere i propri fan, aprendo nuove opportunità sia per le piattaforme in sé che per gli esperti di marketing.
Una testimonianza dell’esplosione di questo trend è la recente iniziativa promossa da Budwiser, “Rewind”, una serie di concerti interattivi live su YouTube.
Un progetto che si concentra su artisti come The Black Eyed Pease incoraggia gli spettatori a fare richieste di canzoni e porre domande alle band attraverso il social media.
Dall’altra parte, l’intento di #BeApp è quello di cogliere i frutti del recente fenomeno di transizione verso spazi digitali di aggregazione e dell’incremento nell’uso dei social media registrato durante la crisi sanitaria globale.
L’accordo rientra nel novero degli “esperimenti digitali” in cui Coca-Cola potrebbe investire di più, in un momento storico in cui le sponsorizzazioni delle partite e dei concerti dal vivo sono sospese.
Allo stato attuale, le previsioni sul successo di #BeApp non sono facili. Molte recensioni sull’App Store di Apple sono positive, tuttavia alcuni ne criticano l’interfaccia, poco user-friendly.
Gli artisti di fama internazionale che partecipano alle Coke Studio Sessions potrebbero essere la chiave per attirare i fan affamati di contenuti e per cavalcare l’onda dell’interesse crescente per i concerti virtuali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/BeApp-1.jpg5761024Giulia Migliettahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulia Miglietta2020-06-17 16:59:432020-06-17 16:59:46Coca-Cola punta sui concerti virtuali grazie alla partnership con #BeApp
Lo streaming diventerà il nuovo modo di consumare i contenuti.
Anche per lo Smart Working, una volta che i lavoratori avranno un assaggio di cosa significa davvero e i dirigenti vedranno che i dipendenti saranno più produttivi, diventerà la nuova normalità.
L’emergenza COVID-19 lascerà un segno enorme su come consumiamo, come impariamo, come lavoriamo e come socializziamo e comunichiamo, grazie all’uso che abbiamo fatto della tecnologia durante l’emergenza.
I cambiamenti che stiamo vivendo in questo periodo di ripartenza sono molteplici. Molte di quelle che erano le nostre abitudini sono state stravolte, a partire dal tempo libero, e dal lavoro.
A causa del virus, tutti i cambiamenti già in atto hanno subito un’accelerazione. Internet è diventato sempre più fondamentale per far fronte alla pandemia, e quando tutto questo sarà finito, saremo più dipendenti che mai dall’essere connessi.
Dall’inizio del lockdown le nostre esigenze sono cambiate, lo ha sottolineato Think with Google, che indica che ad oggi le ricerche fatte dai consumatori sono più “sofisticate”.
Le persone si sono adattate alla nuova quotidianità, sfruttando maggiormente quelli che sono gli spazi casalinghi.
Poco più di un secolo fa, un mondo molto meno connesso ha subito una pandemia simile e ne è uscito cambiato. L’influenza spagnola del 1918 ha infettato 500 milioni di persone, ucciso 50 milioni e confinato le persone nelle loro case.
Ciò ha avuto un profondo effetto sulla medicina, in particolare sullo studio e il trattamento dei virus, che erano noti, ma non ben compresi. All’epoca, la maggior parte degli scienziati credeva che l’influenza fosse causata da batteri, ha affermato Laura F. Spinney, autrice di Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How It Changed The World. La devastazione dell’influenza ha dato origine ai sistemi di medicina socializzata in Europa, così come al sistema basato sulle assicurazioni negli Stati Uniti.
Mentre è ancora troppo presto per valutare il danno causato da questa pandemia globale a livello sanitario e medico, è già evidente che cambierà in modo permanente il modo in cui la società funziona. Dal suo impatto sull’economia globale alle nostre vite quotidiane, COVID-19 lascerà un segno enorme su come consumiamo, come impariamo, come lavoriamo e come socializziamo e comunichiamo.
Il Coronavirus viene già considerato il momento più impattante di questa generazione e avrà un effetto duraturo. Molti di questi cambiamenti riguardano la tecnologia connessa. Lo streaming è diventato il nuovo modo di consumare i contenuti.
Più di tutte saranno tre le aree maggiormente cambiate da questa pandemia: lavoro, istruzione e intrattenimento. Proviamo quindi ad analizzare come la tecnologia ha supportato questi settori e soprattutto come in futuro ci verrà in aiuto.
Lavoro
Come strategia per contenere le persone potenzialmente infette e impedire che il virus si diffonda ulteriormente, le aziende e le scuole hanno fatto affidamento su Internet. Dall’apprendimento online al telelavoro, molti aspetti della nostra vita quotidiana che erano soliti coinvolgere i contatti faccia a faccia verranno spostati nel cyberspazio. Questo passaggio al lavoro basato su Internet presenta vantaggi, sfide e numerose opportunità.
In Italia prima dell’arrivo della pandemia l’Osservatorio del politecnico di Milano censiva 570.000 persone che lavoravano in smart working, indicando però che quelli potenziali sarebbero stati circa 5 milioni.
A conferma di questo, il grafico sottostante ci mostra la forza lavoro europea che saltuariamente svolge attività da casa in percentuale rispetto all’occupazione totale, e possiamo notare come l’Italia sia in una posizione molto bassa.
Dopo l’esplosione del virus i numeri delle persone che hanno iniziato a lavorare da casa sono aumentati moltissimo nel giro di qualche settimana.
L’utilizzo di questa metodologia di lavoro è stata resa possibile, grazie anche a diverse piattaforme virtuali: Zoom, Slack e Skype, per citarne alcune.
Alcuni vantaggi del lavorare da remoto sono un amento della produttività, in quanto viene dichiarato che la concentrazione aumenta, il risparmio di tempo, non dovendosi spostare.
Quello che emerge è che la soddisfazione maggiore si ha nel momento in cui si può alternare il lavoro da remoto a quello in cui ci si può recare in ufficio. Infatti uno degli svantaggi è la mancanza di relazioni dirette con i colleghi, e in alcuni casi aumenta la sensazione di isolamento.
In realtà per sopperire a questo la tecnologia ha potuto arginare questa situazione usando sistemi di teleconferenza.
In questo ambito i manager maniaci del controllo e i dirigenti legati alla tradizione stanno imparando che lo smart working non è il male in termini di produttività.
Ce ne parla Matt Mullenweg, fondatore di Automattic, la società dietro la piattaforma di blog WordPress. Mullenweg è diventato uno dei principali sostenitori del lavoro da remoto, in cui i dipendenti sono autorizzati a lavorare ovunque si trovino. La sua azienda non ha mai avuto un quartier generale fisico, sebbene i dipendenti si riuniscano una volta all’anno.
Sebbene Mullenweg sia il primo a sostenere questo modo di lavorare, non è così che immaginava che la rivoluzione del lavoro in smart working prendesse piede.
Questi sono tempi anormali, le persone fanno fatica a lavorare da casa, in quanto la situazione è davvero estrema. I bambini sono a casa da scuola e bisogna, ovviamente, dedicagli molto tempo. Siamo preoccupati per i nostri cari. Anche quando si lavora da casa, la migliore pratica è uscire e socializzare. Questa situazione, non lo permette.
Detto questo, Mullenweg ritiene che questo sia un punto di svolta per il lavoro da remoto. Una volta che i lavoratori ne avranno un assaggio e i dirigenti vedranno che, sì, i dipendenti sono spesso più produttivi, diventerà la nuova normalità.
Per alcune aziende, il telelavoro può essere un vantaggio per i loro profitti. Immagina una società in grado di gestire tutto il lavoro da casa. Non è necessario affittare spazi per uffici di grandi dimensioni. Non c’è bisogno di lunghi spostamenti. Orari flessibili e lavoro in pigiama (o qualsiasi cosa tu voglia indossare). Con il telelavoro, puoi assumere un gruppo di dipendenti geograficamente diversificato senza preoccuparti di dove alloggiarli o trasferirli.
Questa situazione potrebbe rappresentare un futuro diverso anche quando la pandemia sarà finita?
Istruzione
La chiusura delle scuole, come sappiamo, è stata una delle prime azioni messe in atto contro il Covid-19. Ciò ha colto impreparato il sistema scolastico, che ha catapultato tutti gli insegnanti nel mondo delle lezioni a distanza.
Molti insegnanti, hanno cercato di padroneggiare gli strumenti per la didattica online e di fornire supporto tecnico a genitori e studenti che non hanno familiarità con la tecnologia.
In termini di istruzione, l’apprendimento online presenta alcuni vantaggi. Per molto tempo, scuole e università hanno resistito all’istruzione online e sono state considerate inferiori.
Tuttavia, con un virus in rapida diffusione e strutture piene di persone a stretto contatto, le scuole non hanno avuto altra scelta che passare alle lezioni online come soluzione alternativa, seppure temporanea. Consentendo agli studenti di imparare da casa, le scuole come le università possono permettere a più studenti di frequentare la stessa classe contemporaneamente, mentre gli studenti che hanno perso delle lezioni per qualsiasi motivo possono compensare con lo streaming video.
La didattica online non è la soluzione a tutti i mali della scuola pubblica italiana, i rischi sono comunque tanti, ad esempio: l’insegnante che parla per tutto il tempo senza riuscire ad interagire con i suoi alunni, una classe virtuale che potenzialmente, potrebbe distrarsi più spesso, senza tener conto del bisogno di interazione con i compagni di classe.
In questo contesto diventa fondamentale avere infrastrutture e alfabetizzazione digitale sia degli studenti che dei docenti.
Ora è importante passare da uno stato di emergenza dell’istruzione a distanza a quello di vederlo come un’opportunità per ripensare al processo di insegnamento.
Come molti stanno scoprendo, non si tratta di padroneggiare la tecnologia, si tratta di come si insegna.
Intrattenimento
Come già sottolineato lo streaming è stato il protagonista di questo lockdown, in questi mesi ci sono state alcune app che hanno fatto da padrone, troviamo Tik Tok, zoom, Disney+, l’app di Nike training, Netflix e Telegram.
Serie tv e film sono stati per molti di compagnia e non è strano che gli utenti registrati siano aumentati negli ultimi mesi. Eclatante è stato il caso della piattaforma Disney+ lanciata a marzo che ha visto un iscrizione da parte dei consumatori molto più alta di quello che era stato previsto.
A dover far i conti con questa situazione è sicuramente il settore dell’intrattenimento che dovrà effettuare non pochi cambi per poter adeguarsi allo stile di vita post pandemia. Gli eventi dovranno essere più piccoli e gestiti in modo diverso, in questo senso dovrà avvenire una vera e propria rivoluzione. Nei cinema e teatro si stima che ci sarà una riduzione di affluenza compresa tra il 40 e 60% imposte dalle norme di sicurezza e il distanziamento.
Il cinema in particolare stava già vivendo un momento di transizione e di cambiamento, in parte dovuto all’aumento costante delle piattaforme streaming, che trasmettono contenuti appena usciti dai cinema. Come è successo per gli altri settori, il virus ha accelerato un cambiamento che comunque sarebbe avvenuto in un prossimo futuro. Incisivo è stato il caso di Trolls World Tour, un cartone firmato Dreamworks, atteso soprattutto dai più piccoli, in uscita al cinema a inizio aprile. Non potendo ovviamente essere trasmesso al cinema è stato reso disponibile in digitale comodamente da casa.
Lo streaming di contenuti online è diventato molto popolare negli ultimi dieci anni. Man mano che i cinema chiudono e gli eventi dal vivo vengono cancellati di fronte a una pandemia globale, lo streaming diventerà un modo ancora più critico e dominante per fornire contenuti al consumatore. Dai concerti agli eventi sportivi, quelli che una volta erano considerati eventi principali per il grande pubblico di persona saranno costretti a trasmetterli in streaming ai fan di casa.
Sebbene gli eventi live dopo l’attuale crisi torneranno, si prevede che più fan e consumatori rimarranno invece nel comfort delle proprie case e guarderanno eventi che vengono trasmessi in streaming o in live invece di pagare biglietti costosi, alloggi. Lo streaming di film a casa, già un’opzione in uso, aumenterà di popolarità, con aziende come Netflix e Disney che ne trarranno vantaggio. Allo stesso tempo, l’industria dell’intrattenimento dal vivo e le attività teatrali ne risentiranno.
Cosa resterà della tecnologia dopo l’emergenza
Per preservare le connessioni umane, internet è uno strumento essenziale. Grazie ad esso, l’apprendimento online, lo streaming e il telelavoro sono tutte tecnologie disponibili.
In questo ultimo periodo molti servizi online sono diventati sempre più abituali, come effettuare pagamenti online, frequentare corsi da remoto, e video di attività fisica. Senza dimenticare l’incremento dello smart working che in molti casi migliora la qualità della vita e riduce l’impatto ambientale.
Sfortunatamente, affinché tutti questi metodi siano implementati in modo appropriato, dobbiamo disporre di una rete in grado di sostenere tale larghezza di banda e, per molti l’infrastruttura è gravemente carente.
Mentre molti di noi che vivono in città dispongono di Wi-Fi e Internet ad alta velocità, le persone che vivono in aree rurali non lo hanno, ciò provoca un potenziale divario di informazioni in tempi di crisi. Inoltre, gli adulti più anziani la cui sopravvivenza dipende da informazioni adeguate non sono in grado di navigare online, rendendoli vulnerabili ad informazioni false.
Gli studenti meno abbienti potrebbero non avere la tecnologia necessaria per partecipare ai corsi online e alcuni lavoratori potrebbero non avere le connessioni per il telelavoro. Per riparare questo divario informativo, il governo e le imprese private dovrebbero investire per estendere la copertura della rete domestica a milioni di persone a un costo accessibile.
Indipendentemente dalla durata e dalla gravità della pandemia a livello globale, tutto questo avrà un impatto duraturo sulla nostra società, ed è evidente come il supporto della tecnologia sia fondamentale per lo stile di vita che avremo dopo questa pandemia.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/cosa-resta-della-tecnologia-dopo-lemergenza.jpg460690Silvia Senesehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngSilvia Senese2020-06-17 13:18:542020-06-17 16:08:10L'eredità tecnologica dell’emergenza aiuta persone e aziende a ripartire
Gli strumenti digitali hanno fornito finora un’importante alternativa agli eventi fisici.
Va considerato che il tone of voice e le finalità di un evento da ospitare sui social sono molto diversi da quelli di un evento tradizionale.
Una strategia promozionale ben strutturata e omnicanale è fondamentale ai fini di una buona riuscita di un evento digitale.
Il settore degli eventi è fra quelli che ha sofferto maggiormente durante il periodo di emergenza da Covid-19: negli ultimi mesi sono stati annullati tutti gli eventi che prevedevano riunioni di persone. Dai concerti alle fiere, passando per quelli sportivi e di business.
Da marzo, infatti, tutto il comparto legato al vasto mondo dell’intrattenimento live ha subito una brusca frenata in Italia.
Anche da un punto di vista marketing gli eventi rappresentano per i brand un efficace metodo di comunicazione con i consumatori e gli stakeholder, permettendo un contatto diretto con quest’ultimi (più di qualsiasi altro strumento). Questo genere di eventi può avere, ad esempio, carattere commerciale, come il lancio di un prodotto, relazionale, un aperitivo per celebrare un risultato raggiunto, o professionale, un meeting per presentare una nuova strategia.
Gli strumenti digitali hanno fornito finora, e nella maggior parte dei casi citati, un’importante alternativa agli eventi fisici: infatti negli ultimi mesi si è assistito a un non trascurabile utilizzo di social network e di software per l’organizzazione di eventi digitali. Le community hanno dato vita ad “assembramenti digitali”.
Questa possibilità ha concesso ad artisti, intrattenitori e brand di rimanere in contatto con il proprio pubblico che ha partecipato a concerti, conferenze, seminari e spettacoli, comodamente dal divano di casa.
Gli eventi sui social media
Proprio come accade nel reparto marketing di un’azienda quando ci si appresta ad organizzare un evento tradizionale, è importante avere le idee chiare e conoscere bene gli strumenti che si hanno a disposizione prima di ospitarne uno sui propri canali.
Per la maggior parte degli operatori del settore si tratta di un lavoro nuovo: finora i social media hanno rappresentato, nel settore eventi, una leva promozionale e una parte (seppur importante) della customer journey.
Negli ultimi 3 mesi si sono trasformati nel palcoscenico: il ponte di congiunzione fra l’evento e il rispettivo pubblico.
Le piattaforme social hanno messo a disposizione diversi upgrade per venire incontro a questa esigenza degli organizzatori di eventi, offrendo servizi e strumenti sempre più in linea con questo nuovo trend: lo scopo è la creazione di engagement e di interattività con chi decide di collegarsi.
L’importante è non sottovalutare questo genere di attività, all’apparenza più semplice rispetto all’organizzazione di un evento fisico: per tale motivo sono stati considerati pochi punti chiave da non tralasciare durante l’organizzazione di un evento digitale.
Come organizzare un evento sui social
1. Il tema dell’evento e il tone of voice
Domanda numero uno: un evento pensato per una platea tradizionale può avere la stessa efficacia anche in formato digitale?
In un articolo dedicato al tema, il team Marketing di Google sostiene che il poter realizzare un evento digitale non vuol dire che va necessariamente organizzato.
Va considerato che il tone of voice e le finalità di un evento da ospitare sui social sono molto diversi da quelli di un evento tradizionale: è importante capire se l’argomento scelto è in linea con il proprio pubblico, ha appeal (anche da un punto di vista digitale) e se è un tema che si può trattare di fronte ad una platea potenzialmente molto ampia e fisicamente distante.
Qual è la finalità dell’evento? Quanto durerà il live? Chi sono gli ospiti? Come e quando interverranno? C’è materiale grafico o video a supporto da condividere con il pubblico?
Queste sono solo alcune delle importanti domande a cui dovrebbe rispondere il piano organizzativo dell’evento live. Inoltre è corretto che tutto il team di lavoro sia coinvolto nella redazione di questo piano, e che siano presenti tutte le figure professionali al fine di fronteggiare al meglio gli eventuali imprevisti della diretta.
Capitolo a parte meriterebbe la scelta della piattaforma social su cui ospitare il proprio evento. A seconda delle esigenze, della tipologia di target e del topic dell’evento si può decidere di andare in diretta su un determinato social network.
La scelta è ampia e dovrebbe ricadere sulla piattaforma social dove si ha il maggior seguito o dove si ritiene sia concentrato il target di riferimento.
All’interno del piano organizzativo dovrebbe essere presente un paragrafo dedicato agli imprevisti della diretta che, se da un lato può regalare emozioni indescrivibili, dall’altro nasconde mille insidie. Si consiglia di preventivare, 1 o 2 giorni prima del go live, una giornata dedicata alle prove generali per testare con la massima calma il corretto svolgimento di tutte le fasi dell’evento in programma.
Ad esempio è importante tenere sotto controllo la qualità della connessione Internet, la qualità del suono e la luminosità della location scelta per la diretta.
È importante rivedere un’ultima volta la scaletta e calcolarne i tempi di discussione. Sarebbe ancora più utile farlo con tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione e con un focus group, composto da alcune persone fidate o del settore eventi, al fine di effettuare il definitivo “fine tuning”.
3. La promozione degli eventi sui social (e non solo)
Una strategia promozionale ben congegnata, omnicanale e strutturata è fondamentale ai fini di una buona riuscita di un evento digitale. Le informazioni che devono arrivare chiaramente al target sono la durata, il luogo dove si svolgerà la diretta, il nome degli ospiti, lo scopo e le istruzioni con cui iscriversi e partecipare.
Ecco alcuni consigli per una corretta strategia promozionale:
• Promuovere l’evento per almeno 3 o 4 settimane.
• Dedicare all’evento una pagina web contenente una breve descrizione e un form di registrazione molto chiaro.
• Comunicare sui propri canali social i messaggi più significativi (nome dei partecipanti, orari, modalità di registrazione, come partecipare).
• Inviare una mail come reminder alcuni giorni prima.
• Coinvolgere nella promozione diretta dei brand ambassador.
È il grande giorno: è il momento di raccogliere i frutti di tanto lavoro da parte di tutti gli operatori che hanno partecipato al corretto svolgimento di questo evento digitale.
È giusto ribadire che lo svolgimento, il tone of voice, gli orari e il coinvolgimento del pubblico di un evento da ospitare sui social network sono molto diversi rispetto a quelli di un evento tradizionale.
Mantenere alta la concentrazione degli spettatori, con un ritmo più veloce e con tecniche di engagement diventa prioritario nel mondo digitale: rispondere ai commenti e interagire con le persone che pongono domande durante l’evento è sempre una buona idea.
Una volta finito l’evento bisogna focalizzarsi sul follow-up con il proprio team: ripercorrendo le tappe della giornata verranno in mente momenti interessanti e vincenti, assolutamente da riproporre. Altri invece verranno cancellati dalle prossime scalette.
Il follow-up è uno dei momenti chiave per realizzare eventi digitali professionali e sempre più in linea con le preferenze del proprio target. Soprattutto se si ha intenzione di preparare la seconda edizione dell’evento, o un nuovo format, bisogna prendere del tempo per condividere con il proprio team i punti di forza e i punti deboli dell’opera appena terminata.
Chiedere un parere a tutti coloro che hanno partecipato attraverso email, per valutare la customer satisfaction, può rivelarsi molto utile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/consigli-eventi-social.jpg460668Luca Maucionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maucione2020-06-16 16:36:222020-06-17 13:30:274 punti chiave irrinunciabili per ospitare eventi sui social
Il Customer Journey è una leva al cuore di ogni strategia di marketing. È il viaggio del consumatore che lo porta a una relazione con l’azienda o il brand e la sua mappa è una rappresentazione visiva di queste interazioni.
Un percorso complesso, popolato da una moltitudine di touchpoint che vanno dalle piattaforme digitali agli spazi fisici.
Per analizzare più nel dettaglio come si costruisce una Customer Journey Strategy, Andrea Buffoni – Regional Vice President Salesforce Marketing Cloud ci accompagnerà nella Free Masterclass del prossimo 16 luglio, dalle ore 13 alle 14.
Scopriremo quali sono gli aspetti focali di ogni strategia di marketing e lead generation come customer journey e customer lifecycle, attraverso obiettivi, touchpoint e competenze.
Nella Masterclass esploreremo case study, sia B2C che B2B, di diversi settori merceologici, dal fashion all’automotive: grandi aziende globali come Diadora, Sara Assicurazioni ed Esprinet, che grazie ad una strategia basata su questo approccio hanno raggiunto e superato i propri obiettivi di business.
La centralità del cliente è un obiettivo sfidante per molte aziende: l’esperienza del cliente e il suo customer journey sono uno strumento per differenziarsi e creare un vantaggio competitivo.
Ma quali passi deve seguire un’azienda per realizzare questa visione?
Scoprire cosa guida il coinvolgimento dei clienti.
Il primo passo è quello di sviluppare una comprensione globale non solo delle esigenze consce dei clienti attuali e futuri, ma anche dei bisogni latenti e dei fattori che dettano il comportamento umano. In parole povere, se si impara di più sul proprio mercato di riferimento rispetto ai concorrenti, allora ci si mette in una posizione di forza per essere più competitivi. L’analisi dei dati (sia qualitativi che quantitativi) può giocare un ruolo importante nell’aiutare a stabilire questa profondità di comprensione, ma è un processo che non si ferma mai.
Comprendere il percorso del cliente nel suo complesso.
Stabilire una visione altamente dettagliata dell’esperienza del cliente end-to-end può essere uno strumento incredibilmente potente, in quanto fornisce una prospettiva olistica del percorso anche emotivo che il cliente sta compiendo, permettendo di considerare i punti nei quali si potrebbe creare un nuovo valore. Ma attenzione, perché è qui che spesso si commettono errori. Innanzitutto non bisognerebbe soffermarsi solo sui touchpoint, ma bisognerebbe tracciare il percorso effettivo del cliente, considerandolo anche in un’ottica non lineare. Solo così il Customer Journey può innescare un’azione strategica o tattica a livello aziendale.
Migliorare la Customer Journey Strategy generando nuove idee.
Una volta sviluppata una customer journey map dettagliata, è necessario mettere in atto un processo strutturato per sviluppare nuove idee e creare esperienze uniche attraverso le fasi chiave. Le idee possono essere mirate ad eliminare o attenuare le cause di una customer experience negativa – dove è necessario ad esempio uno sforzo inutile da parte del cliente, o dove emergono cause di stress, confusione, ansia e frustrazione. Solo una volta raggiunto questo obiettivo, possiamo rivolgere la nostra attenzione allo sviluppo di esperienze positive che innescano una connessione emotiva. Questo è importante perché i ricordi duraturi sono stabiliti solo quando si innesca un sentimento emotivo, che può includere la sorpresa (positiva), la gioia, lo stupore, o semplicemente la soddisfazione.
Il 2019 ha segnato un momento di svolta per la comprensione e l’ottimizzazione dei customer journey da parte dei marketer. In particolare nell’ottimizzazione su più canali, ben l’88% dei responsabili si dice soddisfatto dei risultati raggiunti con una crescita dei tassi di conversione cresciuta dal 61% nel 2018 all’85% dello scorso anno.
Nel 2020 in particolare, la maggior parte dei professionisti ha dichiarato che si passerà da un bisogno di tecnologia a un bisogno di competenze per dare un senso concreto agli sforzi di ottimizzazione del customer journey.
Cosa imparerai durante la Free Masterclass
Nello specifico durante l’ora di lezione gratuita risponderemo alle seguenti domande:
Come mappare una Customer Journey?
Come si costruisce il percorso ideale che va dal primo contatto fino alla fidelizzazione?
Come guidare l’utente nel suo percorso esperienziale attraverso i touchpoint fisici o digitali?
Come si analizzano i touch point?
Come impostare e monitorare obiettivi e KPI?
Come instillare in azienda una cultura fondata sul dato e un mindset adeguato?
Come cambiano i lifecycle stage nelle diverse industry?
La Free Masterclass è online e gratuita, iscriviti adesso! Ma se proprio non ce la fai a seguirla in diretta, potrai recuperarla on demand, attraverso la tua area utente.
RICAPITOLANDO
Free Masterclass “Customer Journey Strategy”
con Andrea Buffoni, Salesforce
In un Pride Month 2020 all’insegna del social distancing, senza eventi e parate, i grandi brand danno sfogo alla loro creatività con limited edition a tema.
Molte delle collezioni per il mese del Pride sono parte di più ampi progetti per il sostegno attivo da parte delle aziende alla lotta per i diritti della comunità LGBTQIA+.
Inizia il mese dedicato ai diritti della comunità LGBTQ+, che per la prima volta dopo anni non vedrà le strade delle grandi città riempirsi di persone per celebrare l’orgoglio omosessuale, nel rispetto del social distancing.
Ma come ogni anno, anche in questo giugno 2020 i brand tornano a celebrare l’amore in tutte le sue forme tingendosi dei colori dell’arcobaleno.
Abbigliamento, accessori, scarpe: sono tantissime le creazioni in edizione limitata lanciate dai grandi nomi del fashion e dello sportswear a supporto della comunità omo-lesbo-bi-trans.
Il Pride month 2020 visto dai brand
Adidas
Il colosso tedesco di abbigliamento sportivo apre il Pride month 2020 con il lancio di un Pride Pack contenente una rivisitazione arcobaleno delle sue calzature best seller: Superstar, NMD R1, Ultra Boost S&L, Nite Jogger, Stan Smith e Carrera Low, quest’ultima in duplice versione.
Siamo orgogliosi e impenitenti e vi incoraggiamo a essere come noi. L’amore unisce.
Alle sneakers, Adidas aggiunge una release delle amatissime ciabatte Adilette, in versione nera e con il logo Trefoil con texture colorata.
Lo stesso logo lo ritroviamo sulle t-shirt della collezione clothing a tema Pride, composta anche da shorts, calzini, felpe e leggings, molti dei quali già disponibili sull’e-commerce ufficiale, altri coming sono.
Con la Pride Collection, Adidas riconferma il suo impegno a favore della comunità LGBTQIA+; il brand, infatti, sostiene regolarmente da anni il Trevor Project, la più grande organizzazione mondiale di prevenzione del suicidio e di supporto psicologico per i giovani della comunità.
Banana Republic
Dagli abiti alle calze, passando anche per le t-shirt, la collezione Pride di Banana Republic conta in tutto 19 pezzi disponibili sull’e-commerce ufficiale, riconfermando l’impegno del brand nella difesa dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender.
La Pride Collection non è l’unica iniziativa del brand a favore della comunità LGBTQIA+: Banana Republic ha fatto una donazione di 60 mila dollari ad una campagna d’informazione delle Nazioni Unite Free & Equal per la promozione del progresso in fatto di diritti umani.
Nike
Con la collezione di sneaker e abbigliamentoNike BETRUE, disponibile a partire dal 19 giugno su nike.com e presso rivenditori selezionati, anche il colosso americano supporta la comunità LGBTQIA+.
Le calzature rivisitate in chiave BETRUE sono le Nike Air Max 2090, le Nike Air Deschutz e, sopratutto, le Nike Air Force 1, vere protagoniste della collezione, con il marchio sul tallone dei 10 colori della bandiera More Color, More Pride.
Come annunciato dall’azienda, Nike dichiara pubblicamente il suo impegno a supporto di più di 20 associazioni locali e nazionali, per promuovere l’inclusione e combattere le discriminazioni degli atleti LGBTQIA+ nel mondo dello sport.
New Balance
Fuori dal 22 maggio, la Pride collection di New Balance, composta da due versioni delle sue FuelCell Echo, una da uomo in blu e una da donna verde acqua, e da una coloratissima release della sua iconica 327.
Entrambi i modelli FuelCell Echo sono caratterizzati da pannelli oleografici sul tallone e i colori dell’arcobaleno sulla metà posteriore.
Anche New Balance non si limita alle scarpe, ma affianca alla collezione di sneaker, ciabatte e t-shirt dal logo arcobaleno.
Oltre ai capi casual più iconici della Chiara Ferragni Collection, con il logo stampato su un arcobaleno glitterato, la linea Love Fiercely propone anche polo-shirt e polo-dress, tutti abbinabili con le sneackers disponibili nei colori bianco e nero.
Converse
Per il quinto anno di fila, Converse lancia la sua Pride Collection, ispirata ai colori della bandiera “More Color, More Pride”, per celebrare la diversità e l’inclusione estendendo l’arcobaleno con l’aggiunta di una linea marrone e una nera che rappresentano rispettivamente la comunità Latin e Black LGBTQIA+.
La piattaforma Converse By YOU offrirà la possibilità di customizzare i prodotti del marchio a proprio piacimento, come ulteriore celebrazione della libera espressione individuale.
Sarà possibile creare modelli personalizzati, le cui opzioni di design sono ispirate alle bandiere bisessuali, transgender, pansessuali.
Vans
Anche il brand di scarpe e abbigliamento da skate non ci fa mancare la sua Pride Collection, con una vasta gamma di sneaker, dall’iconica checkerboard, il “mocassino” con il motivo a scacchiera che si colora d’arcobaleno, alle sneaker kids con la chiusura a strappo a tema pride flag.
Ma la vera chicca di quest’anno, però, sono le ciabatte vans, sempre con motivo a scacchiera coloratissime e glitterate.
Anche il Re indiscusso degli stivali stringati si colora per il Pride Month, ma lo fa in modo più discreto, con una bandiera cucita sul tallone e la linguetta colorata, senza stravolgere troppo la sua identità.
In associazione con il lancio del Pride Boot, Dr. Martens donerà 25 mila dollari alla fondazione The Trevor Project, una delle più grandi organizzazioni mondiali dedicate al supporto psicologico e alla prevenzione di suicidi di giovani gay, bisex e transgender.
Levi’s
“Use your voice” è il tema centrale della Pride Collection 2020 di Levi’s, un messaggio che incita la libera espressione di sé, l’uguaglianza e l’inclusione.
La collezione Pride di quest’anno è sia un incoraggiamento che una celebrazione di coloro che usano la propria voce per cambiare il mondo.
Jennifer Sey, a capo della divisione marketing dell’azienda.
All’interno della collezione, una vasta e coloratissima gamma di magliette grafiche, giacche di jeans e accessori. Oltre al logo su sfondo arcobaleno, molti pezzi della collezione riportano anche lo slogan “Use Your Voice”.
Per il secondo anno consecutivo, Levi Strauss & Co si unisce all’organizzazione no-profit OutRight Action International, a cui ha annunciato che devolverà il 100% dei proventi netti della Pride Collection.
Nordstrom
Disponibile da giugno, la “BP. Be Proud” Collection di Nordstrom spazia dall’abbigliamento, agli occhiali da sole, ai fermagli per capelli.
Il 10% delle vendite della collezione sarà devoluto all’organizzazione no profit True Colours United, che opera nello sviluppo di soluzioni innovative per i giovani homeless, concentrandosi sulle esperienze delle giovani lesbiche, gay, bisessuali e transgender, che in America costituiscono il 40% della popolazione giovanile senzatetto.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/pride-month-2020.jpg388531Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2020-06-16 11:06:082020-06-17 21:40:02Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l'amore con i colori dell’arcobaleno
Il momento storico in cui siamo stati catapultati, ha davvero scosso i nostri animi. Siamo stati costretti a reinventarci e pensare a nuovi possibili modi di vivere, interagire e lavorare.
In particolare il lavoro da remoto e la sua diretta evoluzione, lo smart working, sono diventate parole chiave fondamentali di questo cambiamento, per garantire la business continuity.
Rispondere in modo efficace a questa nuova necessità presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che possa attivare ilframework per avviare, sostenere e scalare una iniziativa di smart working.
Una’analisi dettagliata sulla nuova normalità: gli impatti su persone, organizzazioni e processi di lavoro;
Come attivare un progetto di Smart Working, dalle strategie al framework;
Le piattaforme abilitanti il remote working e lo smart working;
From face to screen: pratiche virtuose per riunioni e presentazioni da remoto.
Una nuova frontiera
Come aiutare le imprese a lavorare con queste nuove dinamiche in modo efficace? Come far evolvere l’organizzazione dal lavorareremote al lavoraresmart? Come scalare un reale processo smart in un’organizzazione complessa?
La guida si pone l’obiettivo di aiutare imprenditori, manager, HR a comprendere i punti saldi di questo nuovo modo di lavorare e applicarli nelle proprie aziende, al fine di trasformarle in vere smart organization.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Creator_studio_Cover-1.jpg600900Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-06-15 13:07:052020-06-16 11:07:06Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja
Coronavirus e lockdown hanno alimentato nell’ultimo periodo le consegne a domicilio: aumentano gli ordini da mobile e i pagamenti digitali.
Oggi l’ulteriore accesso al digitale per gli utenti ha un enorme potenziale nel food delivery.
Durante il lockdown, le strade deserte, senza pedoni e con pochissime macchine in circolazione, lasciavano spazio ad una presenza costante dei rider del food delivery.
La chiusura al pubblico di bar, pizzerie, ristoranti, infatti, non ha fermato l’attività di consegna al domicilio, anzi, molti clienti si sono avvicinati al servizio per la prima volta, proprio in relazione alla fase di emergenza.
Ma, cosa prediligono ordinare gli italiani?
I cibi più ordinati sulle piattaforme di food delivery
Pollo allo spiedo di Giannasi 1967: il cibo più ordinato su Deliveroo
Deliveroo, piattaforma leader del food delivery, ha fatto il punto sulle preferenze degli italiani in termini di cibo a domicilio. Durante gli ultimi mesi, la città che più di ogni altra ha fatto ricorso a Deliveroo è stata Milano, davanti a Roma, Cagliari, Firenze e Bologna. Seguono Bolzano, Monza, Bergamo, Busto Arsizio e Modena. Tendenzialmente le persone preferiscono ordinare il fine settimana, con la preferenza per la giornata di sabato, seguita dalla domenica e dal venerdì.
La cucina più apprezzata a livello nazionale è sicuramente quella italiana, con una predilezione per la pizza e la pasta. Seguono la cucina americana (in particolare gli hamburger), il gelato (+58%), il poke hawaiano e la cucina giapponese (sushi). Confrontando i dati con il passato, però, è notevole la perdita di posizione della cucina cinese, che fino ad oggi è sempre stata stabile nella top 5 delle cucine best-seller.
Quali sono i cibi più acquistati secondo Deliveroo? Al primo posto c’è il Pollo allo Spiedo di Giannasi 1967 (Milano), seguito dal Bacon King di Burger King (Roma) e l’OS Burger di Old Square (Cagliari). In quarta posizione c’è il Bowl Componibile di Pokeria By Nima (Firenze) e in quinta il Burger & Amazing Fries di Snack Jack (Bolzano). Seguono il Burger, pancetta, cheddar e insalata di La Birreria Italiana (Monza), il TW burger di Burger Wave (Bergamo), il Burger di manzo di Panino Grigliato (Busto Arsizio) e la Vaschetta 750 gr di Antica Gelateria Modenese (Modena).
Pizza, patatine, hamburger e dolci dominano la classifica di Uber Eats
Trend molto simili emergono dalle statistiche di Uber Eats: in cima alla classifica dei cibi a domicilio più ordinati troviamo la pizza, in particolare la margherita. Seguono, poi, le patatine fritte, il salmon poke e numerosi prodotti della tradizione americana come hamburger e chicken nuggets. Ma non solo, molti italiani hanno ordinato panini e sandwich di diverse tipologie: tra i più ordinati durante il lockdown ci sono la Pita Greca Gyros la piadina Kebab e il Pulled Pork Sandwich. Non mancano nemmeno i sapori della tradizione messicana come il Burrito di Pollo, il Tacos di Pollo Asado o i Ribs Tacos.
Tra i prodotti più ordinati ci sono anche i dessert, che hanno addolcito le giornate di quarantena. Con l’arrivo delle giornate calde aumentano sempre di più gli ordini di gelati, che si posizionano al primo posto della classifica. Riscuotono grande successo anche i mochi, dolce tipico giapponese, disponibile in diversi gusti come cocco, cioccolato o mango, e i dolci della tradizione italiana, come il tiramisù e i cannoli siciliani.
Nella classifica non ci sono solo pizza, patatine, hamburger e dolci. I clienti Uber Eats, di target femminile in particolare, hanno preferito un’alimentazione più sana ordinando insalate e zuppe. Fra i cibi veg primeggiano le famose Poke: al primo posto si posiziona infatti la più classica con il salmone, ma sono presenti anche la Chicken Poke, la Vegan Poke e la Spicy Tuna Poke. Fra le zuppe, invece, primeggiano i sapori orientali: al primo posto si posiziona la classica Zuppa di Miso, seguita da Zuppa di Mais e Zuppa Agropiccante.
Secondo Just Eat, il piatto più ordinato in assoluto è la pizza
Anche l’Osservatorio Just Eat ha analizzato i consumi del food delivery degli ultimi mesi: secondo le statistiche, la pizza si conferma al primo posto come il piatto più ordinato (68%), seguita dalla cucina italiana (26%), in particolare la carbonara, le tagliatelle al ragù e l’amatriciana, e dagli hamburger (22%). Il cibo più ordinato sui luoghi di lavoro, invece, è il sushi. Il gelato è una new entry assoluta, che si inserisce, per la prima volta, al quinto posto in classifica.
Tra i principali trend di crescita si attestano poi proprio i dolcie i gelati (+133%), ma anche il sushi in formato famiglia, come le barche e i mix (+124%) e le ormai famose poke bowl (+54%). Emergono inoltre trend specifici, come i menù dedicati a chi lavora da casa, i menù baby, le sfiziosità in abbinamento a cocktail, birre artigianali o bottiglie di vino.
Just Eat ha anche profilato l’acquirente medio del food delivery in fase di lockdown. Si tratta principalmente di uomini (55%), appartenenti alla categoria dei millennials (58%), ma anche famiglie (20%) e adulti (6%). I motivi che spingono gli italiani a ordinare food delivery in questa fase di pandemia sono principalmente quattro: la limitazione delle uscite (59,35%), evitare inutili code al supermercato (47,49%), farsi una coccola (15,97%), oppure la mancanza di tempo o della voglia di cucinare (13,81%).
Ordini mobili, pagamenti digitali e attenzione alla sicurezza
Fra le altre evidenze del periodo, è possibile riscontrare un leggero aumento degli ordini da mobile (77%), ma anche un incremento dei pagamenti digitali (+36%). Predominante anche la quota di giovani che prediligono l’app rispetto al sito, anche se non mancano acquisti da desktop.
Il tema della salute e della sicurezza, comunque, restano di fondamentale importanza. Secondo il survey, quando ordinano i clienti si aspettano: rider con guanti e mascherina (65%), consegna senza contanti (59%), pagamenti digitali (55%), confezioni ben sigillate (47%) e richieste particolari da parte del rider (25%). Ecco perché, fin dall’inizio, Just Eat ha introdotto una serie di misure di sicurezza importanti (oltre 15.000 mascherine, 50.000 paia di guanti e gel disinfettante monouso, pagamenti elettronici e supporto economico ai dipendenti contagiati). Questo tipo di servizio è stato apprezzato dalla maggior parte degli acquirenti (96,1%), oltre che dai rider (76%).
Le consegne a domicilio rimarranno un’opzione che verrà sicuramente sfruttata anche in seguito alla fase di lockdown: l’80% dei nuovi utenti Just Eat, ad esempio, dichiara che probabilmente ordinerà food delivery anche nelle fasi successive alla pandemia.
Questo servizio diventa un punto di forza per ristoranti, pizzerie e bistrot. Secondo le statistiche del food delivery e stando alle parole dell’analista statunitense John Glass:
“Siamo nei primi giorni di un cambiamento potenzialmente significativo nell’accesso alla consegna di cibo a domicilio, in quanto diverse aziende iniziano ad offrire più che mai varietà, velocità e convenienza ai propri consumatori“.
Ma, lo sviluppo del digitale ha ancora un enorme potenziale legato al food delivery, basti pensare che attualmente, in Italia, solo il 18% del mercato della ristorazione è digitalizzato.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/food-deliver.jpg338600Monica Brignolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMonica Brignoli2020-06-15 09:31:432020-06-15 17:48:15Trend, dati e potenziale del Food Delivery nell'era Covid
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